ERCOLE OTTAVIO VALERIO CAVAZZA

RACCOLTO DI MEMORIE ISTORICHE di CASTEL SAN PIETRO Volume 5°

Trascrizione a cura di Eolo Zuppiroli.

Prefazione

Questo quinto volume del “Raccolto” del Cavazza riguarda il periodo di tempo che va dal 1793 al 1796 compresi. Sono soli quattro anni e il racconto si svolge quasi giorno per giorno. I primi tre anni non hanno novità particolari. La lite con i poggesi per la dismembrazione da Castello è ormai alla conclusione con parere favorevole ai castellani, beghe con Bologna per una nuova farmacia, per la concia delle pelli locali, le liti solite tra le congregazioni religiose , la comunità e l’arciprete Calistri.
Anche Bologna, ossia i suoi maggiorenti, è abbastanza tranquilla. La tensione che si era creata per le riforme economiche del Papa, gestite dal cardinale Boncompagni, che fondamentalmente prevedevano due cose: far pagare le tasse ai nobili e alle congregazioni religiose e aumentare il potere centrale di Roma, si era allentata nelle maglie della burocrazia pontificia. C’è da dire che queste riforme promesse piacevano molto ai castellani e in genere a tutti gli abitanti del contado.
L’Europa era invasa dalla febbre della rivoluzione francese e dal suo esercito di sanculotti. Tutto ciò però avveniva di là delle Alpi. Le idee di libertà e fraternità non interessavano i castellani, anzi facevano se mai paura come una oscura manovra di misteriosi congiurati, i Framassoni.
Una notizia che arriva da Parigi però impressiona i nostri paesani, l’esecuzione il 21 gennaio 1793 del Re di Francia Luigi XVI e successivamente, il 6 novembre, quella della Regina Maria Antonietta.
Circa un anno dopo a Bologna due giovani studenti, Luigi Zamboni e Giovanni de Rolandis, tentano di organizzare una rivolta contro il governo papalino. Scoperti sono arrestati, Zamboni si suicida in carcere il 18 agosto 1795, de Rolandis verrà impiccato il 23 aprile 1796.
Il 1796 si apre a Castello abbastanza serenamente, dopo alcuni anni di sospensione si può di nuovo fare il carnevale in maschera. La comunità, ritenendo che il teatro sia troppo piccolo si propone di ampliarlo o di farne uno nuovo, si studiano anche alcuni progetti e si comincia a discutere. Se ne riparlerà 30 anni dopo.
In primavere un esercito francese guidato da Napoleone entra in Italia e si scontra in Piemonte contro le truppe piemontesi , imperiali e inglesi. L’esercito francese in breve sconfigge gli avversari, Napoleone il 15 maggio entra a Milano.
La guerra sembra ancora lontana, da Castello per i mesi di marzo e aprile è un continuo passaggio di truppe inglesi, tedesche, napoletane. Cavazza racconta dettagliatamente chi sono, quante sono, come sono vestite, con quali decorazioni, come sono armate ecc. Sembra la descrizione di una parata.
Poi senza strepito, o alcun eroismo, nella legazione di Bologna finisce “l’Antico Regime”.
Domenica 19 giugno 1796 l’esercito francese, arriva a Bologna, si presenta come amico, attraversa la città in parata e si accampa fuori porta Maggiore. La città è in festa per la festa degli “Addobbi”. I francesi passano tra due ali di folla e le vie addobbate e pensano sia un accoglienza a loro.
Il giorno dopo arriva Napoleone, il legato è mandato via, al Senato viene annunciato che ora è instituita la Repubblica di Bologna, vengono tolte le insegne del papa e sostituite con quelle di Bologna e della Francia.
Sembra ai senatori bolognesi la realizzazione di un sogno di libertà e autonomia, il risveglio sarà brutale. I francesi chiedono 4 milioni di scudi , i tesori delle chiese e dell’arte bolognese.
Da Castello si debbono consegnare gli argenti delle chiese e delle della compagnia del Rosario e del SS.mo. Ovunque, soprattutto nelle campagne, ci sono requisizioni e violenze. Sono requisite tutte le armi , tutti i cavalli.
A Lugo per rispondere alle pretese e alle violenze dei soldati si accende una rivolta che durerà 8 giorni con 43 morti lughesi e 40 francesi. Questi fuochi di rivolta cresceranno, questo fenomeno chiamato “insorgenza” si estenderà soprattutto nella Romagna e durerà alcuni anni.
Intanto la nuova amministrazione bolognese è piena di smania di innovazione e regolamentazione, i decreti si susseguono, in un mese quasi 30 editti. Cavazza non riesce a notarli tutti.
Tra questi quello che abolisce tutti i titoli nobiliari lasciando solo quelli professionali, dottore, notaio, ecc.. Cavazza annota con piacere questa disposizione, ognuno deve valere per quello che è e non per quello che è stato un suo antenato.
Conseguenza di questa disposizione, cessano nelle corrispondenze , nei documenti quelle formule di rispetto pompose e un po’ ridicole come, Eccellentissimo, Reverendissimo e tutti gli altri issimi, alle quali corrispondevano dall’altra parte le formule di umiltà, servitù, supplica ecc. Ora sono tutti Cittadini.
Altra novità è l’introduzione non solo del nuovo calendario rivoluzionario, ma anche dell’ora francese al posto di quella italiana. Da sempre il tempo si calcolava così: il giorno andava dall’alba al tramonto, la notte dal tramonto all’alba. Le ore del giorno e della notte erano diverse e quindi bisognava specificarlo. Ad esempio le ore 4 italiane di notte potrebbero essere, a secondo della stagione, le nostre 22 o 24.
Questo sistema richiedeva un continuo aggiustamento degli orologi pubblici, almeno una volta al mese, dovendo intervenire per modificare la velocità delle lancette.
Maturano anche nuove forme istituzionali e associative, parte l’idea di una confederazione tra Bologna,Ferrara, Modena e Reggio. A questo scopo si organizza un riunione a Modena con i rappresentanti dei quattro territori. Nella delegazione di Bologna c’è il Cavazza come rappresentante di Castello. A Modena si decide di formare un Confederazione e di ritrovarsi a dicembre a Reggio. Da qui nascerà la Repubblica Cispadana.
Nel frattempo la Repubblica bolognese sente l’esigenza di dotarsi democraticamente di una Costituzione, un comitato di studiosi la prepara. Va però approvata dal popolo. A questo scopo vengono indette elezioni per eleggere i rappresentanti nell’assemblea che dovrà giudicare la proposta. Possono votare i maggiori di 21 anni.
Il 20 novembre gli elettori castellani, in numero di oltre 900, si riuniscono nella parrocchiale per eleggere un rappresentante ogni 10, elettori, i decurioni. Cavazza ci elenca tutti i 93 eletti.
Il 4 dicembre tutti i rappresentanti del territorio, riuniti in S. Petronio, approvano la proposta di Costituzione della Repubblica di Bologna con 456 si e 29 no. Questa Costituzione non avrà seguito perché sarà superata dalla istituzione della Repubblica Cispadana l’anno successivo.
Eolo Zuppiroli
maggio 2020

RACCOLTO
DI MEMORIE ISTORICHE DI
CASTEL S. PIETRO SUL BOLOGNESE
Compillate e scritte da me
Ercole Ottavio Valerio Cavazza dello stesso castello
Dall’Anno 1793 fino all’anno 1797

1793
Adi 2 genaro, stante le irruzioni de francesi e la flotta maritima de medesimi nonché la minaccia di invadere lo stato papale, avendo armata molta gente che guardava Roma, il Papa quanto li lidi e porti, ed avendo altresì ordinato alle sue provincie dare nota distinta delle persone abili all’armi, così nel bolognese seguì.
Il Governo intimò ad ogni sua comunità fare la descrizione delli uomini. Si ordinò quindi dal nostro Consolo e consilieri, allo scrivano e massaro procedere secondo li ordini alla descrizione ordinata onde alli 3 si cominciò a descrivere la campagna, dappoi dallo scrivano li 7 ed 8, colli giorni consecutivi, si fece la descrizione nel Castello e Borgo, copia della quale è in archivio della Comunità a memoria de posteri.
Il cap. Pier Andrea Giorgi ancor esso, giusto li ordini dell’E.mo, dovette spedire li roli di questa sua compagnia di Castel S. Pietro affine di riempire li posti vacanti.
E perché le armi temporali hanno poca forza se non vengono coroborate dall’ajuto spirituale, così il Papa ordinò un altro giubileo universale per li suoi Stati. In Bologna fu puro pubblicato ed eseguito. In apresso il Cardinale arcivescovo lo partecipò alla diocesi facendo prima precedere una pastorale notificazione, alli parochi tutti come si rileva dalla unita stampa. [A.1]
Adi 12 genaro l’Assonteria di Governo scrisse alla Comunità che aveva confirmato per il corso di quest’anno sopraintendente alli di lei affari il sen. Marescalchi. La Comunità conferma avere ora tutti li suoi stipendiati non ostante le traversie passate.
Adi 13 genaro seguì in Roma una solevazione contro certo Basville, ministro di Francia, che intendeva alzare la bandiera della Libertà per cui, essendo assalito dal popolo, le convenne socombere. La anessa relazione stampata ne da tutto il raguaglio. [A.2]
Furono per ciò fatti alcuni sonetti in Roma, due de quali sono li seguenti, sopra l’audace richiesta di Basville per l’inalzamento dello stema della Republica di Francia in Roma:
No’ disse Pio, l’ostil richiesta indegna
luogo non ha fra le cristiane mura
l’inferno mai non prevarrà, sicura
sopra Base imortal la Fè qui regna.
L’ode Basville e nell’udir si sdegna
grida, minaccia e la vendetta giura,
e inteso a seminar la sua congiura
spiega sul crin di Libertà l’insegna.
All’aborrita vista il popol freme
l’empio ferisce e un suon confuso e misto
di furor l’ode e di letizia insieme.
Oh suon loquace, che confonde il tristo,
che rassecura al suo Pastor la speme
alla patria l’amor, la fede a Cristo
Di N.N. Abate romano
L’ombra di Basville uciso ritorna a Parigi (sonetto).
Dai furibondi Galli infra la schiera
di libertà sull’aborrita traccia
sen vola di Basvil l’ombra severa
tinta in volto d’orror e di minaccia.
Giunta collà ferocemente straccia
la coccarda fatal, la ria bandiera,
onde costretto da Romani in faccia
vide de giorni suoi l’ultima sera.
Mostra l’ampia ferita e bieco in volto
del popolo latin disse: Tuttora
fedeli al suo sovrano le voci ascolto.
Pera, dicea, la Francia. Il Papa viva.
Deh fugite quel suol, nascono ancora
li Manlii ed i Camilli al Tebro in riva.
Adi 21 genaro fu decapitato miseramente in Parigi da solevati il Re Luigi XVI con dispiacere di tutte le corone.
Adi 27 d. fu presentato memoriale alla Comunità dal sig. Giuseppe Sarti di questo Castello per aprire una seconda speciaria, la Comunità prestò tutto il suo assenso.
Adi d. giorno di lunedì, aperse la sua scola publica comunitativa in questo loco il prete D. Giuseppe Tetfauf, tedesco di nazione, ma nato in Bologna.
Perché poi crescevano li insulti de francesi e si temeva di una invasione anco litorale ne Stati della Chiesa, così il Papa ordinò la Provisione di stare tutti pronti all’arma, come nell’antecedente notificazione stampata in Faenza pubblicata in Roma il di 31 cadente genaro .[A.3]
Adi 6 febraro l’arciprete pubblicò il Giubileo per quindici giorni in questo Castello, che terminò a tutto li 17 prima domenica di quaresima. In questo tempo avendo per una sua sufficienza l’arciprete ordinato a queste compagnie capate la visita processionalmente col clero alle tre chiese de regolari alla visita del SS, accade che , per poca sua convenienza, si portò alla chiesa di S. Francesco nella quale, pensando avere il dominio che ha nella propria, si ritrovò chiuso il presbiterio ma, fattisi impertinenti, li di lui seguaci della compagnia del Rosario saltarono sopra la ballaustrata ed aprirono forzatamente il cancello ove entrò come sovrano l’arciprete.
Fu perciò gran bisbiglio onde, pretendendo l’arciprete li altri giorni seguenti entrare in d. chiesa, il guardiano le fece sapere che se avesse usato li termini di creanza a chiedere ed avisare la di lui andata sarebbe stato accolto secondo le convenzioni. Piccò l’arciprete, non volle più andare in d. chiesa, ma vi sostituì la chiesa dell’Oratorio del SS.mo andando alla visita del Crocefisso. Ciò venuto a notizia de superiori, fu composta la differenza.
In proposito della morte del re di Francia decollato da quelli insorgenti giacobini, furono combinate certe epoche luminose della di lui vita come siegue sempre in data delli 21 mensile.
Li 21 aprile 1770 seguì il di lui matrimonio in Viena.
Li 21 giugno 1770 si fecero in Parigi le feste per le sue nozze.
Li 21 genaro 1782 si fecero in Parigi le feste per la nascita del Delfino di lui filio.
Li 21 giugno 1791 il Re fu arrestato a Varnef in Francia
Li 21 settembre 1792 fu abbolita la regia dignità in esso.
Li 21 genaro 1793 finalmente il re fu morto ed inalzata la Libertà.
Seguite tutte queste cose in discorso, è da notare come pure doppo la morte del Re fu riscontrato da un erudito lettore di belle lettere e si vide effettuare quanto l’immortale Torquato Tasso nella sua Gerusalemme Conquistata al lib. XX stanza LXXVI presagì li sud. eventi funesti della Francia, che in ora accadono, con questi versi.
La Francia adorna or di natura ed arte
squallida allor vedersi in manto negro,
ne d’empio oltraggio inviolata parte
nel loco del furor rimaso integro,
vedova la corona, afflitte e sparte
le sue fortune, e al regno oppresso ed agro
e di stirpe real percosso e tronco
il più bel ramo e fulminato e tronco
La nota ed elenco poi delli individui e familie ordinate nelle notificazioni delli 15 dicembre 1792 è la unita. [A.4]
Composte le differenze coll’arciprete e francescani come si scrisse, con convenienza comune, cosiché usati li atti di polizia reciprocamente tornò la processione e visita a S. Francesco, ricevuto l’arciprete alla porta della chiesa con l’aqua benedetta, assieme al clero e Compagnie e popolo, il che seguì li 10 febraro.
Adì 13 febraro primo giorno di Quaresima non si ebbe la consueta predica perché niun predicatore volle venire a questo pulpito stante la scarsa corrispondenza di l. 60 o siano scudi sedici che le passa la Comunità e per una pietanza pavoli otto che sono lire sessantaquattro moneta di Bologna, et a dir vero l’emolumento è scarso per un predicatore quaresimale che predica tre volte la settimana cioè domenica, mercordì e venerdì e le feste, se ve ne sono fra settimana, non partecipando che le elemosine di una sola predica nel secondo giorno di Pasqua, le altre elemosine colano tutte in mano dell’arciprete, quale non soministra niente al povero predicatore né di abitazione né di vitto e tutto conviene stare a carico e peso del povero predicatore ed è una grande ingiustizia che una chiesa di questa sorte non pensi a nulla, avendo una entrata più di mille scudi liberi da agravi.
Se al superiore si ricorre, come si è fatto tante volte, chiude l’orechio e non vole intendere né acoltare il popolo che resta privo dell’alimento spirituale e solo lascia impinguarsi la borsa di questo paroco che troppo si è fatto prepotente e soverchiante.
Le feste di precetto in questo tempo di quaresima si sono solo distinte due volte col predicare in pulpito l’arciprete Mazzoni di S Martino di Petriolo. La Comunità non è mai intervenuta alla predicazione nel suo posto, si starà a vedere l’esito per assegno del predicatore a chi si deve passare.
Adi 16 febraro, atteso il memoriale dato dal sig. Giuseppe Sarti a Colegio de Medici di Bologna per aprire la seconda speciaria in questo Castello avendo avuto una negativa perché Stefano Grandi, moderno speciale, per li forti impegni aveva tanto ottenuto, la Comunità fu necessitata chiamare in giudizio a Roma il d. Grandi a giustificare la sua privativa mediante il seguente ordine eseguire, Coram E.mo Signature Prefecto Justitie sive citatus D. Stephano et frat. Grandi Pharmacopoles in C. S. Petri Comitat. Bonon. ad videatur circumscribi revocari et annullari quodcumque decretum seu provisionem nullit. et indebito extortam seu extortum ad Ill.um Collegio Medicorum Bononie sive et ab alio sup. prohibitione cuijuscumque (..) Apotece Pharnateutice, aperian in C. S. P.ri in pregiuditium d. Castrum eiusq. privilegium, ac etiam in pregjudicium Litis penden. coram (..) urbis, et pro (…) essu declarati et decerni licuisse e licere cumcunque in d. Castro aperire quamlibet alia Apoteca ad usu artis Pharmaceutice nec non declari causa spectare ad D. A. C. et (……) inhiberi et d. cum grates. de expensis.
Instan. illiis D.D. Consule et Consulibus Co.talis Castri S. P.ri.
Adi 17 febraro, prima domenica di quaresima, terminò il giubileo già pubblicato colle riserve stampate nell’anesso libretto stampato. [A.5]
In questo giorno pure fu pubblicato l’indulto per la corente Quaresima da carne di ogni sorta, ecettuati li primi quattro giorni e li ultimi quattro da pesce e tutti li mercordì da burro ed ova. [A.6]
In questo giorno l’arciprete in vece di predica fece un Cattechismo in un palco e fu poco gradito dal popolo.
Adi 24 d. fu presentata suplica alla Comunità soscritta da molti paesani chiedendo provisione sopra li prezzi di fassi e legna, perché da contadini si vole fino a 30 pavoli del carra di fassi e 24 de la legna grossa.
Contemporaneamente che si teneva consilio arrivò nel med. altra suplica con schiamazzo e tumulto popolare in cui bramavasi una seconda speciaria aperta. Il tumulto fu grande, la Comunità ne diede parte al tribunale. Stefano Grandi speciale, perché li tumultuanti si quietassero, dispensava loro danaro ed alcuni altri li condusse in casa dandole vino a braccio. L’Assonteria avendo scritto alla Comunità che non intendeva che si facesse la lite per la speciaria, la Comunità rispose che trattandosi di sostenere una lite già radicata in Roma per le arti non credeva dovere chiedere la pretesa licenza, che però questa nova questione collo speciale era un corolario ed incidente della lite intrapresa che credevasi giusta per il paese.
Adi 29 marzo venerdì Santo alle ore 18 si appiciò un incendio nella casa rurale del sen. Dalla Vacche nel comune di questo Castello nel quartiere della Lama in loco detto la Colombara, durò fino alle 21 cosichè tutto andò consunto. Si salvarono solo le creature di Giovanni Bedetti d. Cavichio colle bestie che abitavano in d. fondo, tutto il resto fu consunto e fu tale l’incendio che consumò fino i letamai e liquefece tutti li rami e metalli.
Non si osservò in questo accidente il rito di S.Chiesa, cioè di non sonare né battere campana, dove che si cominciò a sonarla e durò molto.
Si intese che li francesi erano stati distrutti nell’elettorato di Maganza e in Olanda ove perdettero tutta la artiglieria, cassa militare di 16 millioni di lire, morirono più di tremila uomini, 40 carra di feriti e li altri tutti prigionieri col loro generale M. Demolier ferito.
Si è anco presentito che sia nata in Parigi una rivoluzione fierissima per la quale sia durato più di 40 ore il foco. Il duca di Orleans, zio dell’ucciso Re Luigi, fu assaltato e doppo averli cavati li ochi fu miseramente tagliato a pezzi e sacheggiato il palazzo.
Adi 2 aprile ultima festa di Pasqua la sera si tenne congregazione dalla Arciconfraternita del Rosario, fra le altre preposizioni in esso fatte fu proposto di fare un oratorio per cantar ivi l’officio della Beata Vergine, fabricandolo di dietro alla capella nel cemeterio. Fu fatta tassa dalli adunati, presente l’arciprete ed il priore della Arciconfraternita cap. Pier Andrea Giorgi.
Perché la Toscana scarsegiava a grani a motivo delle estrazioni fatte in Livorno per la guerra contro li francesi e perché anco avevano li fiorentini fatta scarsa raccolta, quindi li montanari di Sassoleone, Piancaldoli e luoghi vicini alla confina calavano a Castel S. Pietro a provedere grano e biade e lo trasportavano nella Toscana ove il grano vendevasi a questi giorni pavoli 40 e 45 la corba di nostra misura. Di ciò accortosi il popolaccio di questo Castello per che vedeva tali trasporti e che si facevano di notte tempo e traspirato che andavano li generi fuori Stato e moltopiù che non veniva grano di Romagna, che andava tutto verso Roma per le 20 milla uomini soldati papalini, pensarono li malcontenti, vedendo votarsi li granari di Castel S. Pietro, ricorrere alla Comunità perché ricoresse al Legato onde a tanto male provedesse.
Ma giunto il di 13 aprile, mercoldì doppo Pasqua essendovi mezo mercato, si amutinò il popolo vedendo molti montanari condur via grano, andarono alla via della fontana della Fegatella dietro questo nostro fiume e presso il Campo della Baruffa aspettarono molti di d. montanari e giumenti carichi quindi, ritrovato anco un birozzo carico, fecero ritornare tutto addietro e consegnorlo al Massaro della Comunità ed al ministrale Francesco Bocciardi, non volendo che più si inoltrasse al monte generi e così furono forzati eseguire li poveri montanari.
Altra parte del popolo amutinato andò su la via di Viara o sia via Cupa e de Cappuccini facendo lo stesso, cosichè fu chiuso ogni passo per la parte del monte e fu fermato ogni genere, non la perdonarono ad alcuno. Capi di questo fatto furono Serafino Ravasini, uomo di statura e corpo gigantesco, Leonardo Cavina detto 18, Disdotto e Luigi Bergami detto Buldrina e Luigi Magnani detto Granelluccia. Era il populo amutinato armato di bastoni, armi da taglio e foco, la Comunità ne diede per ciò parte alla legazione per espresso.

(25s) Il grano in tante some fu fermato sotto il portico della Comunità, la maggior parte era di Pietro Strada. In seguito a ciò la Comunità ad effetto di ovviare a qualche inconveniente ed a maggiori sussuri popolari, credette bene radunarsi in casa mia, come Decano del Consilio in assenza del Consolo, e quivi prendere quelle rissoluzioni più opportune , molto più che in questa mia casa, già palazzo del senatore Piriteo Malvezzi, vi sono due ingressi, uno avanti nella strada maggiore del Castello e l’altro posteriore nella via di Saragozza di sotto, contro la piazzetta angolare del Castello dalla parte di levante presso la torre, ove facilmente si possono fare sortite ed ingressi senza mostruosità e per che caminavano in truppa li sudd. quattro capi popolo, Leonardo Cavina detto Disdotto e Zan Zano, che in questa occasione fu nominato Capitano del Popolo e li altri aleati Serafino Ravasini, Luigi Bergami detto Boldrina e Luigi Magnani detto Graneluccia a quali si erano uniti Filippo detto Pippo, Dalla (…), Giovanni Vignali detto Gabanino ed altri che avevano seco tratta infinità di popolo, e caminavano coraggiosamente sbracciati di panni e colla sola vita come tanti manigoldi, tutti giovanotti da far spavento a chiunque colla sola vita.
Quello che fu da osservare si fu che colla sola vita andavano e pattugliavano senza armi, senza bastoni e senza sassi ma in guisa di disperati, non offendendo alcuno né con ingiurie né con minaccie né fatti, ma mutuli tutti, cosichè non si poteva comprendere l’animo loro.
Adunato per ciò il Consilio in casa mia in N. di sette consilieri cioè: Il cap. Pier Andrea Giorgi proconsolo, Francesco di Pietro Conti tenente o sia vicecapitano, Paolo Farnè, Gio. Battista Fiegna, Antonio Beruzzi e me scrivente questa storia, dopo tutte le riflessioni fatte fu rissoluto che il ministrale o sia nunzio esecutore nostro non lasciasse più il grano sotto il portico della ressidenza consolare in abbandono ma dal med. si introducesse in casa propria e si custodisse in una carcere e ben guardato dalle iruzioni popolari mediante seratura, il che prontamente eseguì e ne diede la sua relazione al tribunale con tutta la moderazione e circospezione, tenendo in casa oltre due figli uomini adulti anco padre e filio Cenni, cioè Domenico e Luigi detti Gattino vechio e giovine proesecutori.
La Comunità poscia fece il suo riferto e lo diresse al Legato mediante li due consilieri Fiegna e Farnè che si presentarono in persona al med. colla lettera di questo nostro publico. Furono umanamente e con tutta l’amorevolezza accolti a segno che il Legato li ringraziò della nostra prudente condotta e, presenti li uditori maggiori cioè Antonio Innocenzi del Torone e Vincenzo Delli Antoni uditore di Camera, promise di ogni suo autorevole sovrano provedimento comiserando la povera gente.
Adi 7 aprile, giorno di domenica prima del mese, vennero Caponotaro del Torone dott. Cristoforo Romiti e l’Uditore di Camera sud. sig. Vincenzo avvocato Delli Antoni. Il primo cominciò a fare processo per iscoprire se nel tumulto vi fosse stato alcuno promotore. Esaminò li sudd. Ravasini, Capitano Cavina, Granellino e Boldrina e tutti concordi risposero che niun direttore avevano essi avuto ma l’impulso era provenuto da un loro zelo poiché non si affamasse il paese, molto più che li incettatori di grano avevano sussurato di acrescere il prezzo nel primo mercato.
Il colonello Galgano Guidotti militare di questa compagnia di Castel S. Pietro ordinò al capitano Pietro Andrea Giorgi ogni più esatta diligenza e vigilanza per l’estrazione delle grane da questo loco per la Toscana, concedendoli, con intelligenza del Legato, la facoltà di pattugliare con soldati, arrestare grani e bestie che le portassero fori, conducendole poscia a questo loco e darne sucessivamente li riporti alla Legazione ed Assunti di Milizia. Il paese è consolato e quieto a tali nove. Vennero ancora due squadre di birri a guardare il mercato e cercare mercantini.
La stessa mattina di domenica fu chiamato Consilio nella propria ressidenza per le ore 13 in punto e così adunato in N. di otto consilieri vi intervenne l’Uditore di Camera e fece la seguente sessione. La sessione è nelli atti della Comunità scritta dal cancelliere Francesco Conti in questo giorno.
Fu in appresso publicato un Bando del Cardinale in cui ordinò che niuno potesse levar grano, marzadelli, farina da questo loco altrove, se non era munito di fede oppure di attestato di quel massaro o paroco ove si conduceva e introduceva il genere accennato; ed ecco ritornato l’uso delle Bolette de Grane che furono incombenzate alli gabellieri del contado pagando però un solo mezo bajocco per boletta e per qualunque quantità di robba, come dalla unita (?) stampa si rileva.
Adi 21 aprile, stante le grandi pioggie ed incessanti così che li seminati di marzatelli, di grano, canape e li erbaggi per li bestiami pativano d’assai per mancanza di caldo e per le brine che si vedevano alcune mattine, la compagnia del SS.mo SS.to fece un solenne triduo alla sua miracolosa Imagine del X.to esponendolo per tre giorni nell’altare maggiore della sua chiesa onde, appena esposto, si videro dileguare le nubi e venire placidamente il sereno.
E come che la compagnia, odiata da questo arciprete Calisti, non volle che si questuasse per chiesa con bacini ma solo con cassetta, avendolo così fatto decretare dall’arcivescovo, non per questo la devota popolazione volle astenersi di fare offerte anco più copiose della ricerca, quindi si videro gettare nella pradella dell’altare avanti l’Imagine esposta, o sia nel supedaneo, monete d’argento rame ed ogni altra qualità, toltone però l’oro cosichè, a marcia confusione delli odiosi, fiocavano anco nel tempo delle messe i danari e se ne fece buona racolta. La chiesa era incapace ricevere tutta l’affluenza del popolo. Non si diede la bendizione del SS.mo mai la sera che fu esposta l’imagine che furono li 18, 19, 20 corente aprile perché l’arciprete le fu contrario e negativo.
Oltre le tre giornate sud., per che si erano fatte elemosine grandi, volle la compagnia convincere ogni mal’animo e compiere le intenzioni de limosinieri onde, con grande stento, ottenne potere tenere esposto il X.to anco la domenica ed ivi cantare il Te Deum la sera che fu li 21 solennemente con musica.
A questa funzione intervenne tutto il Corpo della Comunità in forma ed ogni buon catolico, toltone l’arciprete che mai in queste circostanze venne alla chiesa non che a celebrare e volle ogni giorno la doppia ciò non ostante. Quando li superiori sono acciecati, corotte le Corti dall’oro e sonovi parzialità anco l’onor di Dio va a monte.
Essendosi fatta instanza a sua Em.za Legato dalla Comunità inesivamente ad una suplica data dal popolo per avere una previdenza sopra li combustibili divenuti carissimi, pagandosi li fassi di acavazzatura fino a pavoli 30 il carro, deducendosi che ciò proveniva dalle fornaci da calce qui vicine, il Cardinale chiese alla Comunità il N. presso poco delle fascine che potevasi consumare ed altre notizie a ciò confacenti.
Rispose la Comunità che quivi erano nel nostro contorno 6 fornaci di calce e due da materiali, cioè alla Masone, alla Boldrina, al Ponte, alla Gajana Malvezzi, alla fornace da pietre ed a S. Martino di Petriolo e che ogni cotta di calce, computando una fornace per l’altra, si calcolava un N. di più di 400 carra, senza la legna.
Essendosi pure ricorso a sua Em.za che il popolo richiedea l’apertura di un’altra speciaria, stante che la presente esercitata dalli fratelli Grandi, troppo patrocinata dal dott. Luigi Laghi e Protomedicato, non serviva bene il popolo, aggiungendosi che benespesso era sfornita de necessari medicamenti e che essendo, stata denegata dal Protomedicato l’appertura della seconda speciaria, interponesse la sua autorità il sig. Cardinale perché fosse consolato il popolo.
Rispose il Legato che essendosi informato de privilegi del Colegio medico, il med. aveva un indulto appostolico che le concedeva il diritto di riconoscere e decretare se debbansi o no aprire nove botteghe di speciaria e che a questo effetto essendosi altra volta in Roma discusso l’articolo fu deciso favorevolmente dalla Rota romana li 14 maggio 1762 coram Cornelio Bononien. manutentionis.
Adi 29 aprile il Magistrato de tribuni della Plebe venne a Castel S. Pietro giorno di lunedì e mercato ove, chiamato il Consolo, il Cancelliere ed una pattuglia di nostri soldati, si portò a tutte le case delli trafficanti in grano di questo Castello e dove le era indicato trovarsi grane incettate. Si fece la visita e furono trovate solo duemilla corbe grano ed ottomilla formentone. Ciò non ostante il grano si vendette l. 18 la corba. il grano poi che fu arestato col formentone da solevatti, fu venduto in questi oggi nella pubblica piazza a suon di tromba ed al calmiere di l. 9 la corba.
Adi 5 maggio domenica delle Rogazioni giunse espresso da Bologna dal Card. Legato con lettera al cap. Pier Andrea Giorgi doversi portare in questi luoghi con soldati ad arestare grani e formentoni e farine cioè a Varignana da Battista Bianchi al palazzo Scarselli, al molino Palesi da Filippo Venturoli, a Monte Armato da Vincenzo Fiorentino ed a Castel de Britti dal monaro Minghetti. Partirono subito e trovarono c. 200 in tutto e ne fecero l’aresto a disposizione del Legato che rimunerò la soldatesca poscia pel suo operato.
Nella stessa mattina la Comunità intervenne in forma a ricevere l’Imagine di S. M. del Poggio e sicome per l’adietro quando andavasi alla processione sempre precedevano il Consolo col medico, così questa volta fu decretato e si eseguì che andassero avanti li consilieri più giovani colli stipendiali ed in fine restasse il Consolo col medico. Fu pure decretato che il Consolo si distinguesse in chiesa con sedia e cuscino avanti nel genuflessorio, il che fu eseguito anco giusta li Capitoli della Comunità nell’Oratorio del SS.mo assistendo la Comunità alla messa solenne.
Sette anni sono essendosi quivi stabilto il Conte Luigi del già Conte Antonio Bentivoglio di Bologna colla famiglia di sette figlioli, cioè cinque femine e due maschi per economizarsi, accade che avendo levato dal monastero di S. Guglielmo di Bologna le tre figlie maggiori, Contessa Girolama detta Momina, C. Angiola ed Eudosia per guadagnare di salute, fu ordinato da medici bolognesi alla C. Momina il moto su qualche legno di quanto in quanto e, perché era di bello aspetto e graziosa, l’arciprete Calistri se ne offerse esso condurla nel suo legno al passeggio in compagnia però del Conte Antonio Bentivoglio di lei fratello maggiore. Fu acettata l’offerta, ma degenerò questa dalla sua essenza ingenua, cosichè il paese cominciò a mormorare della amorevolezza dell’arciprete, il che venne a notizia de genitori Bontivogli.
Questi non furono sordi alle ciarle, né ciechi alle appasionate maniere dell’arciprete, tanto più si intese di qualche cosa sospetta per che, famigliarizato questo, pretese di avere aquistato un diritto sopra la figlia e coraggiosamente chiese alla Contessa Madre della Momina una obligazione in carta di doverla lasciar seco al passeggio ad ogni suo cenno ed, alternativamente poi , coll’altra sorella secondogenita Angiola, forse per palliare i suoi dissegni.
La contessa Agata madre, fatto petto e coraggio, negò costantemente condiscendere alle brame dell’arciprete, anziché, preso sospetto, lo ringraziò delle attenzioni passate e lo pregò astenersene dallo avvenire.
Montò in collera l’arciprete e, doppo non poco sussuro, mordendosi la mano, disse, anco in presenza del Conte Luigi padre, che voleva farsela pagare. Quindi in appresso cessò il passeggio e, seminando zizania col figlio maggiore Conte Antonio, naquerò nella familia non indiferenti rumori e minaccie di usar le mani fra padre e figlio che, per dovuto riguardo, io scrivente le notizie ometto.
Accordato per tanto l’arciprete colli figli maggiori Conte Antonio, Momina ed Angiola, procurarono levar il governo ai genitori e sottometterli ad un governo esterno. Fu per ciò fatto un memoriale al S. Padre a nome della famiglia del Conte Luigi Bentivoglio in cui si chiedeva un economo alla condotta sua e fu presentato fino dall’anno scorso in agosto. Fu spedito questo all’arcivescovo Giovanetti pro informazione il quale, addimandando all’arciprete Calistri se sosisteva l’esposto nel memoriale, rispose che si e dippiù lo fece coredare mediante due attestati de suoi soliti preti D. Baldessaro Landi e D. Sebastiano Dall’Oppio e dal chierico Giovanni Tomba tonsurato, che deposero essere il Conte Luigi un scialone e la consorte sua una dilapidatrice. Tali prove avute, spedite a Roma, segnò il Papa la suplica che se le desse un economo.
Impensatamente chiamato a Bologna alla fine dello scorso aprile il Conte Luigi colli tre figli maggiori, l’arcivescovo fece rinchiudere le femine nel ritiro del P. Recati detto delle Salesiane, che ha poco concetto per intrometervisi persone di poca bona condotta, poi fece acettare al povero Conte Luigi su due piedi l’economato, senza punto comunicarle la causa e le ragioni e li rescritti, cosichè fu strozzata la giustizia non essendosele voluti comunicare li documenti per averne doverosa diffesa.
Le figlie maggiori mal sofrendo il ritiro furono dopo tre giorni collocate nella SS.ma Trinità colla dozzena a spese del povero Conte.
Che santa, che bella economia! Gravare un dippiù a chi abisogna risparmiarlo! Poi fu ordinato che in appresso si portasse con tutta la famiglia in città a vivere. Ottima riflessione!
In Castel S. Pietro si fa una sola tavola, una sola dozena, li viveri si hanno ad un terzo meno della città, il vestiario è mediocre ed in Bologna due dozene, la domestica e le monache, i viveri ed il vestiario più caro e scialoso e questo è zelo e questa è economia. Quando l’arciprete giurò che voleva che glie la pagassero li Bentivogli non pensò certamente male ed eccone l’esito di sua malignità.
In sequela di questi fatti eletto per economo il Marchese Gaetano Conti di Bologna, il giorno 15 maggio la famiglia Bentivoglio, doppo sette anni di dimora quivi, se ne andò di buon mattino a Bologna, chiudendo la casa, con dispiacere universale del paese, sì per la bontà del cavaliere e sua familia, di cui niuno è stato disgustato, sì per le elemosine che facea, li operari che lavoravano, il bene spirituale alle chiese e per ogni e qualunque titolo, di modo che in sette anni che è stato quivi niuni si è potuto dolere di una parola e di un menomo sgarbo, trattando tutti affabilissimamente con quelle distinzioni proporzionate al grado.
In questo stato volendosi però giustificare il Conte di suo operato, governo e condotta, procurossi attestati da tutte quelle persone e dignità del paese. Solo l’arciprete fu restio a farlo ma sentendo li rimproveri del paese e le accuse che a lui si davano di autore e fomentore di questo sporco fatto, fece un miserabile attestato, che se ne farebbero di miliori al più vil birbante del paese.
Glie lo fece ma alla condizione che non ne usasse coll’arcivescovo nelle presenti circostanze. Ecco la presunta prova che esso ne è stato il direttore di questa iniquità, per cui ognuno mormora. Se pure non è l’autore come moltissimi vogliono mentre, non volendo che si facia uso dell’attestato, teme di romproveri ed anco di qualche penitenza se pure si ascolta la verità e vi è giustizia al mondo.
Adi 19 maggio 1793 fu pubblicato in questo Castello la Notificazione del Card. Legato sopra la Condotta delle Grane a Molini fori Stato, imponendo tanto a terrieri di confina, quanto a chiunque altro che voglia portar grani fori di provincia a macinare debba prendere dall’uficiale gabelliere delle Comunità limitrofe la boletta col presentarsi ad esso col genere da macinare e poscia doversi riportare da molinari esteri l’attestato a tergo della boletta della molitura fatta alla persona e del genere molito.
Ordina pure che, venendo generi forastieri a macinare nelli molini della provincia, si debba in tal guisa procedere da nostri molinari che non dovranno macinare se non vedono la boletta del genere forestiero ed ivi alterporle l’attestato. Ordina finalmente che rispetto a territoriali che avranno macinato fori Stato il presentarsi di novo col genere molito all’officiali per il riscontro della quantità e qualità della robba macinata, Cosa a dir vero che riuscirà di grave incomodo a poveri abitanti sul labro del confine e nella montagna massimamente il presentarsi all’ufficiale con tale robba e poi retrocedere alla propria abitazione, onde pur troppo nasceranno danni al povero.
In questo giorno stesso Domenica delle Pentecoste si tenne scoperta l’Imagine di M. SS.ma del Rosario in questa arcipretale e sicome la d. Imagine tiene il braccio sinistro con la mano che abbraccia il S. Bambino, da quale vi si cava e vi si mostra all’effetto di portarla alli malati per benedirli, così tutti questi tre giorni restò la S. Imagine priva della d. mano, vedendosi mutilare con amirazione del popolo, fu per ciò dato memoriale di ricorso alla Congregazione del Concilio in Roma e per che cod. E.mo Giovanetti è parziale all’arciprete così vi fu aggiunto nella instanza che si prendesse la informazione dall’E.mo Ciaramonti vescovo d’Imola, oppure da questa Comunità, mentre si tratta del culto ad una Imagine sospesa.
Fu contemporaneamente publicata una notificazione del Legato imponente dare la denunzia entro 15 giorni alla sua Cancellaria delli grani, farine e della famiglia e persone aventi tali grani e farine. Cosa che si crede originata per il passaggio di milizie papaline che si dicono andare contro la Francia sollevata d’ordine del Papa.
Essendosi dal Protomedicato di Bologna rinuito condiscendere alle petizioni ed instanze di questa Comunità di Castel S. Pietro per avere una seconda speciaria, conforme era pochi anni sono, fu costretta la Comunità farle eseguire un monitorio di Roma coram A. C. il che fu eseguito sopra la manutenzione del Privilegio dell’Arti nelli giorni 20 cadente maggio e così si fece anco con cod. speciale Stefano e fratelli Grandi.
Adi 25 maggio il Conte Luigi Bentivoglio colla sua moglie e figli sloggiarono tutti di questo Castello per ordine dell’arcivescovo e restò la sua abitazione vuota, che è la mia casa alla destra di questo Castello, subito entro l’ingresso maggiore sotto la torre. La precipitosa andata le fu di gran danno, furon costretti questi signori vender li suoi capitali nella maggior parte quivi a prezzo vile e per sino li comestibili e combustibili e comprarne in Bologna dalli altri a maggior prezzo, così che a vedersi farsi il trasporto della robba, oltre le otto carra e dodici birozze a Bologna, era cosa lacrimevole a vedersi, molto più poi ciò dispiaque a paesani per che, partita questa nobile famiglia dal paese che lasciavale danaro e faceva lustro, si vide in questo fatto la parfidia dell’arciprete maligno.
Adi 30 maggio giorno del Corpus D., secondo il consueto la Comunità intervenne alla funzione del SS.mo e perché sotto il presente consolato di Lorenzo Trochi si cominciò ad usare nelle funzioni comutative il cuscino d’appogio al Consolo cosi, essendo questo stato portato senza ordine dalla Comunità nella parochiale dal donzello e senza passar parola all’arciprete, fu rimandato indietro.
Questo fatto amareggiò molto il corpo della Comunità e pensò rifarsi a tempo opportuno.
Sono ormai quindici giorni che continua la pioggia onde si è posta la coletta nella messa per la serenità. Li marzadelli stan male, il fieno non si può custodire, li frutti non alligano e cadono tutti i fiori e si teme di penuria. Il grano vale oggi 26 pavoli la corba, il formentone 15. Dio ci assista.
Adi primo giugno la notte antecedente a questa giornata venne un fiero turbine australe su le sei ore di notte che, oltre dirottissima pioggia, venne al monte verso Sassoleone e segnatamente in Piancaldoli non poca neve che cagionò danno alli castagni ed alli altri arbori fronzuti.
Nel primo giugno il dott. Luigi Farnè, arciprete di Varignana ma originario di Castel S. Pietro, andò con altri compagni a fare le missioni nella città di Gubbio ivi chiamato da quel zio vescovo.
Adi 8 giugno la notte del sabato venendo alli 9 domenica si sentì su le 6 un picolo scotimento di terra.
Adi 24 giugno fino a questo oggi è sempre stato freddo, così che niuno aveva spogliato per anco li abiti di verno ed il grano era bianco alla campagna e la spica non biondeggiava ancora e si sta in timore di penuria. Il grano si vende pavoli 25 la corba, ed il formentone pavoli 15 la corba.
Fu estratto Consolo per il secondo semestre Francesco qd. Pietro Conti abitante in questo Borgo.
Venne un impetuoso vento che dannegiò molto li frutti primaticci, che era assai freddo.
In questa sera venne l’uditore Fenucci processante del Torrone ad instanza di alcuni confratelli della arciconfraternita del Rosario per caggione di essersi l’anno scorso il 7 ottobre domenica del Rosario rovesciata la sparata de mortaletti da alcuni confrati della compagnia del SS.mo, perché tale sparata erasi collocata improvisamente, nel tempo che tutto il popolo era in processione nel Borgo, avanti la porta della chiesa del SS.mo ed apresso la casa della Comunità ove concorre tutto il popolo a ricevere la S. Benedizione di M. V. Questo fatto si eseguì per fare un affronto tanto alla Comunità quanto alla compagnia del SS.mo, onde poco vi mancò che non acadesse disordine, come acennai nell’epoca dell’anno scorso.
Per eseguire questa Cavalcata da una unione di confratelli del Rosario, scortati e diretti da questo arciprete Calistri, fu fatto un deposito di scudi quaranta. Li fazionari del Rosario sono questi cioè: Giacomo di Antonio Ravasini, Lorenzo di Pier Antonio Alvisi, Carlo qd. Sante Tomba, Pascale qd. Sante Castellari detto Granadello, tutta povera gente, ma di cattivo fondo.
In questa processura che durò quattro giorni si esaminarono solo li confratelli del Rosario e quello che è più bello li sudd. quattro si esaminarono del rovesciamento de mortaletti, deponendo che ciò avevano veduto quandochè erano in processione capati nel Borgo, onde non potevano vedere mai quello che seguiva in piazza onde, alla loro malignità, accusarono ancora che vi erano armati nel fatto e persone che nemeno erano in paese, tanto è l’odio di questi birbanti.
L’instanza criminale essendo stata fatta, insciente il priore ed il corporale del Rosario non essendosi tenuta alcuna congregazione sopra ciò, volle il priore Pier Andrea Giorgi giustificare la sua innocenza e ne estese attestato giurato della sua inscienza e del non dato consenso. E per che veniva nella processura sud. anco interessata la Comunità fu fatto imediatamente ricorso a sua Em.za della causa e corredata da informazione del sig. avvocato Ignazio Magnani, Diffensore de Rei in Bologna, avvocato non meno civile di altre cause per la Comunità e Compagnia del SS.mo, pregando sua Em.za, per l’affronto fatto dalli confrati del Rosario, a cancellare il processo estorto ed a stabilire per loco alle sparate e fochi artificiali la piazza de bovini fra il Borgo e Castello ove è la fossa interita e lontana da incendi.
In questa processura pretesero anco attaccare il capitano Pier Andrea Giorgi sud. che la festa del Rosario non era intervenuto co’ soldati alla funzione secondo il passato e li ordini del Legato ed Assonteria di Milizia, ma non lo poterono perché, essendo venuto l’ordine solamente la sera del Rosario alle 2 di notte il capitano si fece fare nella stessa lettera l’attestato da chi la portò di Bologna e da chi la vide consegnare solamente a quell’ora di notte.
Stante le racolte scarse di grano e li trasporti che dalla Romagna si facevano nel fiorentino, precorse la voce al Legato di Bologna onde, temendo che anco da questo nostro territorio se ne potesse estrarre, chiamò a Bologna il Consolo nostro sig. Francesco qd. Pietro Conti ed il cap. Pier Andrea Giorgi col cap. Giuseppe Rovaglia di Sassoleone e nel di 22 lulio, portatisi a Bologna, fu fatto un congresso in casa dell’Uditore di Camera avvocato Delli Antoni.
Ma come che non si potette nulla determinare senza l’autorità del principe, così il martedì seguente 23 d. si portarono tutti e tre li sudd. col Auditore dal Legato che era in villa alla Scornetta presso S. Lazaro ove, con sentimenti di somma amorevolezza, ordinò alli capitani tenere in guardia e pichetti volanti per li passi di confina, cioè a Sassoleone venti soldati ed a Castel S. Pietro ai passi della Rivulla N. dieci soldati colla paga di un pavolo a testa ed il terzo del buttino e contrabando, se ne facevano.
Ordinò poi ancora che si facesse un foglio della Comunità di Castel S. Pietro sopra li abbusi de comestibili delli bottegari e macellari sopra cui avrebbe autorizzati il Consolo ed il V. Podestà pro tempore. Questo folio non si effettuò sul momento ma la Comunità prese tempo a formarlo e fu il seguente.(?)
Adi 18 agosto si lesse in Consilio lettera pervenuta di Roma dall’Abbate Francesco Pirelli difensore della Comunità per la lite dell’Arti tanto contro li pellacani, calegati e cartolari, quanto contro il Protomedicato di Bologna per la vertenza delle speciarie. Esponeva questa che doppo il silenzio di alquanti mesi era venuto in campo il Protomedicato con un enorme volume contro la nostra Comunità all’effetto di tenere una sola speciaria apperta esponendo in esso le prerogative del Protomedicato di Bologna e che in conseguenza si prendeva il pensiero di risponderle categoricamente.
La Comunità ingiunse al cancell. Conti che ripetesse del Pirelli non solo tale scrittura, ma anco spedisse la sua risposta per analizarla. Così pure chiese che fossero spediti li sommari e scritture de pellacani, affine di sugerirle le dovute risposte.
Fu nello stesso Consilio esibito precetto dell’Officio dell’Aque in seguito di comissione dell’E.mo Legato, datole per ricorso da me fatto sopra la via de Confini con Doccia dalla parte della colina contiguamente alla possidenza di Domenico Cugini denominata il Machione. Su questo capo la Comunità deputò li consilieri Lorenzo Trochi, Antonio Bertuzzi assieme col Consolo Francesco di Pietro Conti, incombendo loro trattare colla Comunità di Doccia sopra tale accomodamento giacchè si crede sovertito il Governatore di quel feudo dott. Giovanni Soriani di Fusignano da Domenico Cuppini e contemporaneamente fu ordinato che si scrivesse a quella Comunità, come si fece, che decidesse se voleva o no concorrere al riatamento per trattarsi di via Confine, quando il Cugini fosse restio ad acomodarla come per il passato.
E perché giorni sono li relegati di Civitavechia si erano impadroniti di una galera pontificia coll’aver aciso la guardia ed il capitano e poscia essersi approdati nel littorale pontificio in N. di trecento, così avendo il pontefice imposta la taglia di scudi dieci per ciascuno fuggito a chi glielo dava vivo e scudi cinque a chi ne recava la testa dopo averlo in fazione aciso. Ne avvenne che molti malcontenti si unirono ad essi ed ora hanno un corpo di N. 500, che tutti sono assassini e qua e là sparsi per la Marca ed anco qui si diramano. Che per ciò, ad ovviare a mali maggiori in questa Legazione, fu con ordine del Legato intimato a tutti li Massari della provincia dovere stare in guardia, fermare ed uccidere questa canaglia insorgente contro la quiete pubblica, come si rileva dalla unita stampa. [A.7]
Finalmente nel Consilio si lesse lettera dell’abate Celestini causidico romano per la vertenza di questa Comunità contro li malcontenti di Poggio, in cui venne esposto che di novo quei villani instavano per avere un massaro, al quale effetto avevano presentata a Mons. Paracciani la seguente promemoria da comunicarsi al nostro consilio, che fu rigettata totalmente ed il cui tenore è il seguente:
Nel soprascritto: All’Ill.mo e R.mo Signore Monsignore Paracciani. Memoria per il Comune di Poggio.
Entro poi: Memoria. La negata smembrazione dal Comune di Castel S. Pietro , che domandavano i poggesi, non è derivata dal non riconoscersi la esorbitanza degli aggravi a cui li hanno assogettati i Sampietrini, né la mente della Congregazione particolare deputata da nostro Signore ha tolto loro dal Reclamo, che anco è stata di avviso che si debbano cercare altri compensi fuori della totale smembrazione.
Sono stati i Sampietrini li primi a contestare questa verità innegabile, perciò amando di declinare una particolare discussione su li diversi articoli di aggravi hanno essi li primi ultroneamente esibito per mezo della med. Congregazione un progetto di accomodamento, progetto questo opportuno per fissare la massima della necessità di una qualche modificazione, altrettanto irragionevole quallora si restringesse ai soli termini da essi esibiti.
Non altro esibiscono li Sampietrini a compenso delli infiniti aggravi, de quali riclamano li Poggesi se nonché: quallora si abbandoni la lite riceveranno due figlioli gratis alla publica scola del Castello, sempre che abbiano li Riquisiti ricercati dai Capitoli e permetteranno che il Medico e Chirurgo, dandosi egli la cavalcatura, attendono gratis alla cura de poveri, che siano brazzenti e pigionanti e non mai lavoratori o coloni parziari della terra altrui.
Tutto ciò è presso che un nulla, giacchè li Poggesi essendo in maggiore distanza da Castel S. Pietro che da altri Castelli di quelle contrade, gli accomoda assai più di mandare li figli a quelle scuole e di farsi curare da que Medici e chirurghi di Castel S. Pietro ma bensì dall’avere dovuto contribuire senza altro alcun profitto corispettivo all’aspetto di tal contribuzione,
Un più ragionevole progetto che con poco o niun interesse de Sampietrini può esimerli da una lite, che cagiona ai medesimi un giusto sgomento, si è quello che si presenta da li abitanti di Poggio. Chiedono di essere autorizati a scieglirsi : un Massaro nel loro Ceto e da pagarsi da essi soli Poggesi, sebbene incorporati con Castel S. Pietro. Chiedono altresì di essere sgravati da que pesi che diconsi spirituali i quali appartengono al Culto divino, che indipendentemente si esercita nella separata Parochia di Castel S. Pietro restando a carico de Poggesi per l’intero il divin culto della loro particolare e separata parochia.
L’uno e l’altro articolo nulla interessa il publico erario, niun torto reca né alle onorificenze né all’interesse ragionevole de sampietrini. Molti comuni, sebbene incorporati in altri, hanno nulla di meno che il loro proprio Massaro, anzi li comuni più vasti ne hanno due o tre ancora. L’incorporazione procalamata da sampietrini porebbe a rigor di ragione il contributo di questa nuova spesa sopra li sampietrini, nulla di meno li Poggesi sono si moderati che ne asumono di bon grado a loro carico la spesa.
Il ben pubblico poi ed il gran riparo ai disordini ocorenti preligono ad ogni conto la scelta di un tale particolare Massaro e chi ostasse alla med. si opporebbe al ben publico. A questo si attenda e nulla si curi l’interesse. Perdano pure li Sampietrini della supremazia che godono sopra Poggio, siano gli arbitri delle entrate, senza profittarne punto de Poggiesi, coprano tutti li posti del loro Consilio e ritengano il Governo di quella Municipalità, esclusi per sempre i Poggesi, ma non tolgano ad essi , a loro proprie spese, l’unico mezo per riparare al nocumento e disordini di quella separata, numerosa e distante populazione di Poggio.
Li sgravi altresì dai pesi spirituali di Castel S. Pietro, che chiedono li Poggesi è del pari equitativo tutte le volte che questi hanno la loro particolare parochia, alla quale non contribuiscono li sampietrini. Tanto più che li Poggesi per ragione del proprio pascolo spirituale, che presso loro (…) a motivo della distanza niun profitto ritraggono da atti di religione che si esercitano dai sampietrini nel loro Castello.
Sembra per tanto che per ogetto di tanta ragionevolezza ed a si poco interesse da sampietrini, non dovranno questi rifiutare una tale proposta di accomodamento, atteso specialmente che si redimerebbero in tal guisa dalle conseguenze di una lite per essi dispendiosa, non onorevole e produttiva di modificazioni assai maggior peso per li med. quando con particolar esame si abbiano a sogettare gli infiniti capi di aggravi, dai quali intendono altrimenti di riclamare li Poggiesi e di ottenere per l’intero la meritata liberazione.
Adi 9 settembre giorno di lunedì, essendo stati sospesi le mercati di Castel Bolognese per bando pontificio a comprare generi nella Romagna per trasportarli nel bolognese, si videro perciò in questo Borgo di Castel S. Pietro chiusi tutti li magazeni e fu gran clamore. Il Legato di Bologna vedendo che essendo interdetto questo comercio andò imediatamente a Ravenna da quel Legato E.mo Stiliano Colonna p. ottenere tratte almeno, fu questi rinovante, onde l’affare si mise nel tavolino pontificio. Intanto il Legato di Ravenna eccitato dal suo Uditore Cavalcante Guido Fabbri cominciò processura contro quelli di Castel Bolognese che avevano comprato generi nella sua Legazione, aggiungendovi ancora che si facevano da que’ contrabandieri trasporti di grane nella Toscana e ne fece carcerare alcuni in Imola, aspettandoli con imboscate che venissero a Castel S. Pietro e, quantunque fossero innocenti li catturati, convenne loro pagare una multa.
Di queste penali caricò ancora molti imolesi con pretesto di essere incettatori di grane, cosichè si inpiegnò la Curia di migliaia di scudi. Non furono dormigliosi quelli di Castelbolognese che, avendo scoperto che l’Uditore faceva per farsi esso una privativa di comercio ne grani e ne spedivano li suoi ministri nella Toscana, fu illuminato il nostro Legato di Bologna quale si maneggiò tanto che furono escarcerati li contrabandieri e si pensò ad un temperamento per il comune interesse.
Esendo stata precettata la Comunità dall’Officio dell’Aqua per l’accomodo della via de Confini di sopra detta anco la via de Pretini si fece perciò la visita a d. strada da due deputati della Comunità stante chè per l’addietro la Comunità di Doccia ha sempre mantenuta d. strada e fu rissoluto avanzarne le instanze contro questa Comunità di Doccia.
E perchè prosseguiva la processura dell’Uditore Fabri contro li mercanti di C. Bolognese, fecero questi ricorso novamente al Legato di Bologna onde facesse constare al Legato di Ravenna essere una perfidia del suo criminalista che imputava molte calunnie a d. mercanti. Ricorsero alla nostra comunità di Castel S. Pietro che le fece un attestato giuridico che tali mercanti tengono botteghe aperte attualmente nel nostro mercato di ogni lunedì e venerdì per vendere a quelli di Bologna e del contado li formenti e biade con tutta onestà, carità e quiete e furono nominati li mercanti seguenti intervenienti al nostro mercato cioè: signori Matteo Contoli de Bianchi, Francesco Pacifico Barbieri, Francesco de Giovanni, Biagio, Domenico fratelli Salvestri, Francesco Gattavilli, e fratelli detti di Gagnolo, Antonio Budini, Cesare Valdire, Pavolo e fratelli Panazza detti di Sovaja., Pietro Franceschelli detto Carozza, Giovanni e Domenico Antoni, Domenico Beri, Tomaso Mattioli e Mattiolo Contoli.
)Adi 4 ottobre prima domenica, festa del SS.mo Rosario, non si usarono li soldati a ragione che l’anno scorso successero inconvenienti.
Adi 28 d. essendo stato eletto Colonello di questa truppa di Castel S. Pietro il nobil uomo Galgano Guidotti, il med. venne quivi e fece la sua rassegna avendo fisso il suo quartiere in casa del capitano Giorgi in questo Borgo.
Prosseguendosi dalla Legazione di Ravenna ad arrestare quelli di Castel Bolognese e ad impedire il transito delle grane per l’imolese quando venivano quivi, il card. Legato nostro di Bologna vedendo darsi poco ascolto alle sue lettere dal Legato di Romagna, andò esso in persona a Ravenna a trattare il modo, onde potere avere li suoi suditi liberi al trafico e transito da Castel Bolognese colle grane a questo nostro Castel S. Pietro.
Tanto si adoprò che fu stabilito la seguente provisione: che li commercianti da grani di quel Castello prima di levar d’ivi sorta alcuna di grane si notificassero a quelli abbondanzieri, poscia il Consolo di quella Comunità col Podestà locale dessero un accompagnamento al commerciante o suo gargione in istampa soscritto dal Legato di Bologna, poi dal sud. Podestà quindi da quel Consolo colla direzzione al Consolo di Castel S. Pietro, che ne doveva poi attergare nella stessa stampa l’attestato di avere veduta l’introduzione del genere e carico qui trasportato, indi a capo di ogni settimana il med. Consolo fu incaricato spedirne alla legazione di Bologna tutte le accompagnature soscritte a scarico delli d. comercianti. [A.8]
Il che tosto cominciò ad avere il suo effetto ediante ordine avuto da questo Consolo Francesco qd. Pietro Conti speditole dall’ A. C. di Bologna che poscia fu a me Ercole Cavazza comunicato per essere Decano e suo sucessore nel consolato il venturo 1794.
Adi 29, 30 e 31 ottobre, essendosi preventivamente intimata una Dieta provinciale nel convento di S. Bartolomeo di questo Castello dal moderno Rev.do provinciale P. M.ro Nicola Bibiena affine dare alcuni provedimenti alli conventi della provincia, per ciò vi intervennero li seguenti regolari agostiniani che per essere il convento picolo alloggiarono come siegue.
Il Rev.mo Pietro M.ro Domenico Picini di Bologna ex Generale assieme col R. P. M.ro Nicola Bibiena di Bologna Provinciale in S. Bartolomeo. Il P. M.ro P.ro M.ra Scarella di Cento ex Provinciale priore di Cento col P.ra M.ro Francesco Giorgi ex provinciale priore di Bologna unitamente al P. Bacel. Lett. Agostino Firnacciari di Castel S. Pietro in S. Bartolomeo. Il P. Bacel. Tomaso Brusatelli definit. di Ravenna in casa del sig. Gio Battista Fiegna presso S. Bartolomeo. Il P. Bacel. Adiodato Valentini Del Finale Difinit. del Finale di Modena in casa de sig. Graffi e finalmente il P. Bacel. Andrea Bollini di Cento Definit. per Suplemento nel convento di S. Francesco.
Nella d. Congregazione, oltre la conferma de Priori e V. Priori, furono esaminati il P. Lettore Gio. Michele Cervelli di Castel S. Pietro per il Bacelierato ed il P.ro Giuseppe Azzi per il Lettorato i due passarono. Erano in casa mia. Il segretario era il d. P. Fornaciari.
Adi 6 novembre essendo stata sentenziata a morte la infelice regina Maria Antonietta d’Austria, vedova dell’infelicissimo Luigi XVI, Re di Francia, da que spiriti diabolici de solevati francesi, giacobini, della setta de muratori, ebrei, ugonotti, sanculottes, cioè straccioni senza braghe, libertini e protestanti, subì la med. in Parigi in un palco la decapitazione. A questa sucessivamente seguirono altre stragi nelle città di Francia contro li poveri cattolici e realisti, motivo per cui l’età passata né la ventura avrà mai l’eguale epoca miserabile conforme a questa. Lo che darà larghissimo campo alli storici di scrivere tante barbarie, tante opressioni, incendi, omicidi e desolazioni di quel regno così florido e bello, che in tutto il mondo non ha mai avuto l’eguale, ove sonosi con incendi consunto gran cose.
Adi 25 novembre la notte venendo alli 26 fra le ore 8 e 9 di notte si fece sentire il teremoto e massime in questo Borgo.
Adi 27 novembre il dott. Gaetano filio di codesto nostro Consolo Francesco Conti, giovane di gran talento, aspirando ad una cattedra medica in Bologna fece in questo oggi le sue conclusioni nel Quartiere del Senato di Bologna proponendo 8 tesi sopra le lagrime dando dopo il terzo argomentante luogo a chiunque, furono dedicate le sue proposizioni al Marchese Bartolomeo de Buoi Confaloniere.
Queste sue conclusioni furono replicate in 12 Tesi il di 17 dicembre e dedicate allo stesso confaloniere ed al Senato nel modo sud. e ne riportò ampla lode. La stampa delle tesi è stata unita e colegata alli documenti del paese.
Adi 16 dicembre fu estratto per Podestà di Castel S. Pietro il Marchese Girolamo Legnani Senatore e fu sostituito il suo notaio.
Adi 27 d. fu estratto Consolo per il venturo primo semestre 1794 io Ercole Cavazza scrittore della presente storia.
La Comunità accordò alla Compagnia del SS.mo detta dell’Oratorio piedi dieci di terreno nel suo orto per costruire la sagrestia, stante l’asserto di una lettera del fu Massimo Fabbri segretario del Senato di Bologna ed a norma della pianta e dissegno dell’architetto publico Dotti seniore.. e così terminossi l’anno.

1794
Adi 5 genaro premuroso il nostro Legato che non venghino trasportati fuori di provincia grani, biade ed altri simili generi fece di novo pubblicare in questo loco l’anessa notificazione affinchè ognuno fosse bene ammonito, tantopiù che l’Uditore di Camera Mancurti in Ferara aveva delle tratte e fu per ciò condotto in fortezza. [A 9]
Questo Mancurti è un imolese e ciò seguì d’ordine pontificio. A questo aresto fu unito l’aresto ancora del tesoriere Antonio Gnudi di Ferara, ma nostro bolognese in Macerata, per intelligenza col d. Mancurti per nome Domenico, avendo spedito una infinità di grani alli francesi.
Il Papa in queste turbolenze certamente non riguarda né a dignità né a parenti de quali ve ne ha fatto rinchiudere in Castel S. Angelo Mons. Onesti e Mons. Falconieri privandoli di manteletta e di ogni onore, come pubblicamente si narra. Il sud. Gnudi, quantunque si può dir l’occhio e pupilla del Papa per la stretta e lunga amicizia, ha soconbito ancor esso a questa sorte di carcerazione.
E perché nel di 20 dicembre 1780 mediante notificazione fu stabilito che li podestà estratti nelli uffici utili, dovessero tra quindici giorni fare le dovute prove per ottenerlo e nello stesso tempo nominare un notaio coleggiato che esercitasse tale officio, così non trovandosi notai che tallora ricusano esercitare tale ministero, fu nel di 22 dicembre 1792 scorso per Senato Consulto determinato che il notaio colegiato nominato dovesse e debba acettare la nomina, oppure provedere l’officio, con dare la sigurtà, nel qual caso potrà il fumante esercitare in nome proprio l’officio, come rilevasi nell’anessa copia levata dall’off. e dalli atti delle Rifformazioni. [A.10]
Tutto ciò è accaduto in vista che essendo la podestaria di Castel S. Pietro decaduta delli utili non si trova notai in altri luoghi che voglia esercitare l’officio.
Adi primo marzo in sabato giunse la Notificazione dell’E.mo Arcivescovo dell’indulto di carni d’ogni sorte nella prossima quaresima toltane li primi quatro giorni, li quattro tempora, la vigilia della SS.ma Anunziata, tutti li venerdì e sabati e li ultimi quatro giorni della settimana Santa. Tutto ciò è provenuto dalla scarsezza delli oli che si pagano per fino a soldi 13 la libra.
Adi 2 d. stante l’espulsione de francesi fugiaschi doppo la presa di Tolone e Marsilia dalli inglesi e spagnoli intimata dal Duca di Toscana per le presenti penurie ed anco per assicurarsi dalli tradimenti, venivano nel bolognese li med. francesi. Per la qual cosa temendosi dal papa qualche avvenimento funesto, ordinò alli suoi Legati invigilare, al quale effetto il Card. Legato Archetti di Bologna, mediante il suo Auditore criminale del Torrone Inocenzo Inocenzi, ordinò alli Consoli della provincia, e segnatamente a me Ercole Cavazza Consolo moderno di Castel S. Pietro, significarlo il N. di tali nazionali francesi che soggiornano quivi, come dalla unita originale [A.11] a cui si è risposto non trovarsi altro che li quattro sacerdoti stabiliti quivi dall’E.mo sig. Card. Arciv. Giovanetti ne conventi de regolari ove catolicamente vivono cioè:
D. Natale Varnes paroco, D. Gio. Remesci, suo vicario in S. Bartolomeo. D. Gulielmo Dalle Vigne in S. Francesco e D. Pietro Andrea Miminerval ne Capuccini.
In seguito ho ingiunto a questi ministri publici ed alli locandieri stare avvertiti e darmene conto nel caso venissero e si fermassero in questo loco per rincontrarne il Governo come riscontrasi da lettera unita segnata il dì primo corrente nel seguente foglio.
E perché la stagione era così bella, di aria tiepida, non essendosi veduta sorte alcuna di neve, cosi che le genti se ne stavano a campo aperto, cominciossi ancora ad usare in questo tempo la bevanda dell’aqua della nostra Fegatella, che gli anni andati si poteva prendere in agosto.
In tale contingenza il P. Filippo Carlo di Cento sacerdote capucino, la esaltò mediante canzonetta stampata, che è l’unita.(?)
Il med. religioso propose essendo in questo loco la reviviscenza dell’Accademia Literaria antica, che dal secolo scorso fino al principio del presente esisteva sotto il titolo delli Imaturi e perciò ne propose il suo principio ad onore di questo miracoloso Crocefisso e nella domenica di Passione nel suo Oratorio fece, essendo egli l’oratore, ed il principe il P. Gulielmo Marcolini Lettor teologo de Carmelitani ariminese, che fungeva quivi con lode per predicatore quaresimale.
La compagnia del SS.mo cominciò nell’orto della Comunità la sua sagrestia a canto dell’oratorio, che a forza di elmosine fu inalzara in pochissimi giorni, con dispiacenza però delli aversari.
Infrantosi il campanello della nostra Comunità esistente nel campanile presso questa arcipretale fino dall’anno scorso, fu questo mandato ad Imola per evitare le soverchierie dell’arciprete che non vole prestarsi alla proposta del campanaro su la nomina da farsi dalla Comunità.
Ma questa insistendo non volere restituire il campanello se prima non le era fatta ragione, venne per ciò lettera dalla stessa Assonteria che imponeva alla Comunità sotto pena di multa il collocare il campanello al suo loco. Fu rinuente la Comunità, onde per ciò l’Assonteria spedì in questo Castello il senatore Conte Giuseppe Malvasia come uno delli Assonti, ma in forma privata affine di calmare l’animo della Comunità esacerbata dalla condotta del soverchiante e prepotente arciprete.
Che però esso cavaliere si offerse come sigurtà che la Comunità avrebbe avuto il suo intento, che per ciò spedisse le sue ragioni accompagnate da informazione, il che fece tosto da me scrivente la presente storia e se ne conserva in Comunità la copia, oltre la quale si fece anco sentire all’Assonteria rapporto alla lettera impertinente del segretario Garimberti ad essa scritta. Intanto nel sabato della domenica in Albis fu posto il campanello al suo loco che fu il 26 aprile.
Nella scorsa solennità di Pasqua li Cappuccini di questo Castello esposero nella loro chiesa due quadri novi nel primo e terzo altare laterale e cioè nelle capelle Locatelli ove erano il primo presso la porta, il quadro di di S. Antonio opera di Mons. Langè detto Monsù Lans, bravo pittore bolognese ma di nazione francese, ed il secondo, ove era un X.to del Tiarini. Furonvi perciò collocati li novi due quadri opera di Pietro Menarini pittore romano rapresentanti S. Antonio, li santi Giuseppe da Leonessa, Fedele da Sigmaringa e Giuseppe da Corleone. Li due quadri vecchi si posero nel coro, ove presentemente si vedono, che è stato peccato levare due quadri di penello maestro per porvene due di un penello assai e di gran lunga inferiore.
Adi 3 maggio essendo grande la sicittà e le aque mancanti si fanno tridui in questo loco a S. Francesco, alla parochia per ottenere la pioggia colla coletta e su tema di carestia.
Essendosi da non pochi possidenti terreni aderenti le vie publiche dello stato, impadroniti ed ocupato terreno di ragione publica così che le strade restavano impoverite e ristrette per il passaggio delle persone per cui ne andarono ricorsi al Governo, quindi il med. prese le opportune informazioni intimò a tutti li massari doverne fare la denunzia alli Atti del Governo. Rilevasi ciò dalla unita stampa. [A.12]
Nel nostro comune furono per ciò denunziati li seguenti:
6 lulio 1794 Castel S. Pietro. In seguito della intimazione datami per l’Atti di V.S. molto Ill.ma, stampata li 26 marzo1794, sopra le comutazioni di strade , drizzagne, usurpazioni di strade publiche denunzio a lei sig. Not. le seguenti e cioè: – Sig. Conte Zini in loco detto il Palazzo dietro la strada maggiore di circa piedi 4 verso detta strada in lunghezza di pertiche 20 circa. – Sig. Conte Malvasia in loco detto Mezavia in strada Maggiore da circa pertiche N. 1, in lunghezza di pertiche N. 18 circa. – Li R.R. P.P. de Servi in loco d. Il mercato verso lo stradello morto da circa un piede, in lunghezza pertiche 30 circa. – Sig. Pietro Gordini in loco detto il Merlone, nella via che conduce alli Capuccini in circa piedi 3, in lunghezza pertiche N. 16. – Sig. Domenico Cuppini nella via de Confini tra Dozza e Castel S. Pietro di circa pertiche N. 3 in larghezza e lunghezza pertiche 11 circa.
Filippo Monti massaro
Adi 13 maggio avendo fatta instanza Gianpietro Zanoni di Bologna all’Assonteria di Governo qual sucessore nelli tereni Vacchi aderenti alla fossa publica di questa Comunità affinchè si si riparasse al danno, che sofriva per escrescenza dell’aque, fu per ciò spedito in visita l’architetto e perito publico Gio. Giacomo Dotti quale osservato in facia del loco il pregiudizio, si convenne col med. Dotti il giorno d’oggi di arginare la fossa e darne parte all’assuntore del progetto, il che fu poi adottato nel successivo giugno.
Stante le instanze fatte per il selciato della via coriera nel Borgo essendosi ottenuto per grazia dell’Assonteria la sovenzione come dal suo comparto B diedesi principio alla med. nel di 26 corente maggio. [A.13]
Attese le orazioni fatte, per avere dopo una lunga sicità la pioggia, cominciarono in questi giorni le pioggie, ma copiose che durarono quasi tutto giugno onde fu duopo ricorrere di novo per la serenità come dirassi in appresso.
Adi 29 maggio giovedì, giorno della Ascensione, dopo lunga ma miserabile malattia morì Alessandro qd. Lorenzo Sarti ultimo maschio di questo colonello, non fu dissimile la morte di questo povero ragazzo da quella del padre Lorenzo in cui si vide la scomunica, per avere fatto fuggire ed apostatare D. Giuseppe Giorgi dalla religione Cappuccina, ove teneva il nome di P. Remigio, fratello di Francesca Giorgi madre del d, Alessandro, che vive in massima miseria. L’ultimo crollo che ebbe questo povero giovine fu l’arciprete Calistri che lo fece carcerare da birri del vescovato e trascinarlo a Bologna infermiccio, quantunque li birri lo avessero rilasciato sul riflesso che era imputridito pel mal venereo cosichè, tradotto alle carceri di Bologna per accusa di aver deflorata una fanciulla, dopo esservi stato pochi giorni fu rimandato a casa per la sua infermità da cui non scampò più la vita, che in meno di 15 giorni socombette. Egli subito giunto di Bologna a casa fu sagramentato per viatico e munito di olio santo. Fu presa diceria nel paese per la irregolarità incorsa dall’arciprete in voler di novo carcerare un povero ragazzo infermo dopo che li sbirri lo avevano rilasciato poche ore prima per il suo malanno, ripudiandolo come una carogna.
Adi 6 giugno per bando speciale della Legazione e di Roma vengono dichiarati tutti li privilegiati decaduti dal loro preteso jus di non fare la inghiarazione e ciò in vigore delle Costituzioni Apostoliche e per le instanze fatte al S. Padre dal Governo di Bologna.
Adi 20 giugno venerdì dopo il Corpus D. venne un temporale così grande di pioggia con tuoni, saette e lampi che sembrava il diluvio onde crebbe talmente la corrente nel Silaro che spezzando l’alveo venne ad allagare fino al macero vicino argini. Le pille del ponte erano coperte tutte. Durò questo turbine dalle ore 19 fino alle 20 ½. Si vide la Biscia Bora detta la filosessiona, ruinò arbori questa, svelse quercie dalla radici ed in conseguenza seguirono anche rotte di fiumi. Il freddo regna come in febraro, tutti vestono di verno, sciegano li pioppi, non si può far la messe, le escrescenze dell’aque portano via li covi e li manipoli di grano. Li contadini piangono, il racolto va molto male e li mietitori non possono far opera intera.
Adi 3 lulio seguendo la pioggia dalla fine di maggio sin a questa parte furono cominciati tridui dalle Religioni per la serenità e per redurre le (…) alle case già (…) fino al principio di giugno per la grave sicità di maggio e siamo alli 9 lulio e comincia il tempo a serenarsi, ma li grani sono cattivi di odore e nascono nei barchi e nelli campi, si è cresciuto il prezzo fino a l. 14 la corba il grano e il formentone è tornato a l. 10.
Venne nova come il papa aveva levato totalmente Castel Bolognese dalla giurisdizione e sottomessa a quella di Ravenna in tutto e per tutto. Si legga il Breve, ove sono altre notizie per l’archivista di Faenza.
Prima di dare a ciò esecuzione sessanta uomini di Castel Bolognese de più armigeri venero a Bologna tutti armati, entrarono in città senza ostacolo colli ragazzi abili ancor essi all’armi. Si presentarono a monsig. Camillo Santoboni V. Legato, perché il Legato era fuori, chiedendole di volere a forza ressistere alla violenza che loro si faceva. Essendo in questo tempo fuori di Bologna il Card. Legato alla visita delle aque, il V. Legato li persuase a non rumoreggiare e che sariasi inpegnato per essi loro. Si portarono in appresso al Confaloniere ed alli altri senatori, tutti li promissero che a novo pontificato si sarebbe tentato con tutto il calore la deroga alle determinazioni presenti pontificie.
Poi li sudd. furono regalati di contanti da tutti, cosichè misero più di trecento scudi assieme. Ritornando questi a Castel Bolognese si fermarono in Imola implorando dall’E.mo Chiaramonti vescovo di questa città come suoi diocesani a mantenerli nella sede in cui sono.
Questo porporato benignissimo si obligò di tanto poi, sentendo il vice legato di Ravenna a Castel Bolognese li 22 lulio, lo andò ad oficiare. Ciò non sufragò e poichè era già stato tutto consumato in Roma e li 31 lulio fu preso dalla legazione di Ravenna il possesso.
Tutti gli atti comunitativi di Castel Bolognese furono trasportati a Bologna al Senato e così ancora tutti gli atti criminali furono portati al Torone di Bologna. Prima che seguisse il possesso furono da Castel Bolognese trasportati tutti li generi di granelle a Castel S. Pietro, come si rileva da nota delle introduzioni in questo loco tenuta me come deputato della Legazione, che in meno di otto giorni furono trasportate e di giorno e di notte migliaia di grane, toltone però li formentoni che non erano maturi.
Gio. Pietro Zanoni avendo fatto instanza al Card. Legato che la nostra Comunità interisse la latrina o sia fossa di deposizione delle feci del Castello ed avendo la Comunità sostenuto valorosamente il suo possesso e la ragioni di prevalersi di queste deposizioni per un redito comunitativo come lo fu.
Stanti li grandi impegni veniva in visita il Card. Gio. Andrea Archetti Legato il quale il di 17 settembre, giorno di lunedì, si portò in Castel S. Pietro anco all’effetto di visitare li magazeni de grane stante lo scarso raccolto. Visitati li magazeni in compagnia di me Ercole Cavazza proconsolo, di ser Francesco Conti segretario della Comunità ed altri due coleghi cioè cap. Pier Andrea Giorgi e Francesco qd. Pietro Conti, si andò poscia alla visita della latrina o fossa morta, intervenendovi anco il Zanoni. Si ebbe lungo contraditorio fra le parti coram E.mo e la decisione si fu che si osservasse la perizia dell’architetto publico Gian Giacomo Dotti fatta ne mesi addietro d’ordine dell’Ec.ma Assonteria, cioè che si arginasse, secondo il progetto della Comunità, la fossa, si scavasse oltre il fosso recipiente le aque chiare in modo che non daneggiare coll’escrescenza il sig. Zanoni e così fu terminato tutto il diverbio nel quale il segretario si portò lodevolmente co lumi da me avuti per li fatti dalla Comunità ne’ tempi andati.
Ciò fatto l’E.mo si portò al suo albergo in casa di Nicola Manaresi nel Borgo a pranzo ove erano l’abbate Tortosa exgesuita spagnolo, uomo veramente secante e presuntuoso e prepotente se avesse potuto, sicome sono la maggior parte di questi spagnoli exgesuiti che pretendono di saper tutto di tutto e che niuno li pareggi. Eravi l’abbate Sachetti di S. Salvatore nostro bolognese, uomo prudentissimo, l’abbate Polini d’Imola, segretario del Legato.
Al pranzo volle ancora sua Em.za seco li quattro comunisti sudd. dandole quelle distinzioni proprie che meritar sogliono li Capi de paesi. L’arciprete fu escluso ed il Zanoni, cosa che fece ammirare tutto il paese.
In questo tempo soggiornava da agosto a questa parte a vileggiare la Marchesa Barnati Coppi Ghiselieri col vicelegato sud. di lei favorito quali, sentendo la venuta del Legato, andarono a Faenza per diporto a trovare il Legato di Ravenna, zio del vice legato.
Li principi in linea di convenienza sanno fuggirle tutti per non sottomettersi fra di loro. Partito il Legato fra otto giorni doppo la piova, la Comunità fece arginare la fossa ed il Legato ne dette riscontro del gradimento.
In questo mese morì in Modena Anna figlia di Teresa Zogoli d. la Lissina, m. di Matteo Guidi di Castel S. Pietro, la d. Anna era cantatrice virtuosa di sua Altezza Duca Ercole d’Este, faceva gran strepito e per la belezza e per la virtù. Fu donna onorata, morì in due giorni non senza sospetto di veleno.
L’arte de Pelacani, Calegari e Pelliciari di Bologna ritornò alli atti giudiciali in Roma pretendendo la privativa di raccorre in questo loco le pelli qualunquemente in virtù di concessione fattale dal Senato e non riflesse che, in vigore del vegliante chirografo di N. S. Pio VI vivente sopra la libera circolazione de generi fra le cinque provincie di Bologna, Romagna, Stato di Urbino publicato e stampato in Bologna l’anno 1791, accorda al paragrafo o sia articolo N. 21 la estrazione delle pelli grezze da questa nostra legazione alle provincie sudd. onde per illazione viene che è abbolita la privativa sudd. e si possono anconciare ancor quivi ove è l’arte esente.
Adi 16 dicembre fu estratto per Podestà di Castel S. Pietro il senatore Ulisse Gozadini, suo notaio fu Zenobio Teodori.
Stante li progressi che si fanno da francesi da ogni canto, l’arcivescovo Giovanetti con notificazione circolare ordina devozioni.
In questo fratempo essendosi scoperta una trama rivoluzionaria furono carcerati per capi Luigi Zamboni colla madre, il dott. Angiolo Sassoli, il dott. Pietro Gavassetti, li Suzzi della Molinella ed infinite persone.
Adi 27 dicembre fu estratto Consolo dalla nova imborsazione il sig. Agostino Ronchi e così si terminò l’anno di nostra salute 1794.
Certo padre Francesco da Bologna cappuccino, avendo per consilio de quei medici ricuperato la salute da alcuni malori cagionatisi da erpeti e scabbie coll’uso di bere questa aqua della Fegatella ed anco lavarsi li erpeti, di cui ne era molto coperto, di questi sali, produsse alla stampa la unita composizione, quale quantunque sia semplice e poco coretta non di meno ci piace qui unirla giachè questo relligioso ne faceva la dispensa delle stampe. [A.14]

1795
Essendo stato estratto per Podestà di Castel S. Pietro il senatore e moderno Confaloniere Ulisse Gozadini, questi nominò in suo notaio Ser Antonio Franchi quale pretendendo di sostituire un notaio fumante di Castel S. Pietro col riportarne dal med. una regalia pecuniaria, tutti e quattro li notari, cioè Ser Francesco qd. Lorenzo Conti, Ser Antonio qd. Gio Paolo Giorgi, me Ercole Cavazza scrittore delle presenti memorie e finalmente il dott. Francesco Camillo e notaio Cavazza mio figlio, ricusarono prestarsi a questo patto di far spese onde, cenzionato il senatore dal S. C. e dalla consecutiva notificazione, impose al Franchi fare l’officio.
Il med. riconoscendo non tornarle, rinonciò l’officio e fu poi nominato il notaio Carlo Lemmi, quale pretendendo ancor esso la regalia e che l’officio andasse sotto il suo nome, tutti noi altri quattro notai ricusassimo servirlo non solo ma ancora di volere che l’officio andasse in nostro nome. Tuttociò fu scritto al senatore, quale essendo duro a prestarsi, finalmente veduta la legge in sunto e sentito altresì che io come notaio, secondo la convenzione fatta fra noi dal 1788 di esercitare questo turno, doveva questo anno coprire il posto.
Finalmente si determinò e fece, alli Atti delle Refformazioni, la nomina nella mia persona il dì 17 febraro col segnarne la patente il tutto a norma della Notificazione unita e così solo la prima settimana intesa di quaresima fu aperto l’officio che fu li 12 marzo. [A.15]
Adi 14 febraro si publicò l’indulto di carne e laticini per tutta la quaresima, eccettuati li primi quattro e li ultimi tre giorni della med. e le quattro tempora.
18 d. cominciò a predicare nella parochia D. Lucca Bartolotti prete bolognese ed il paroco lo tenne in casa dandole la cibaria, cosa non più usata dalli arcipreti.
Adi 7 marzo giorno di sabato il dott. Gaetano filio di codesto Francesco qd. Pietro Conti di Castel S. Pietro e di Maria Pisi, laureato pochi anni sono nella nostra università di Bologna more civium, ottenne una cattedra di lettore publico in Bologna con N. 25 voti bianchi ed uno nero dal Senato collo stipendio di l. 200 annui. Ciò riescì a questo paese di singulare onore e piacere del parentado. Giovine in vero di sublime talento, di alta statura e bell’aspetto ancora. Giusto fra li dottori che presentemente tiene vivi questo Castello è quegli che col dott. D. Luigi Farnè, arciprete di Varignana spiccano più di tutti gli altri che sono dott. Don Luigi Trochi, dott. D. Giuseppe Conti arciprete di S. Agata e dott. Francesco Cavazza che, per la gracilità di sua persona, quest’ultimo le è abbandonare la città e fare vita privata ed attendere solo alla poetica per piacere ed all’arte notaria col padre, e finalmente il dott. Simone Gordini che, dopo essere stato nella condotta di Castel Guelfo, di Casola Valdissenio, di Castel del Rio, ora trovasi cadente al Seraglio de S.S. Albergati col filio D. Luigi, avendolo abbandonato li altri due maschi, uno che sta in Livorno a fare il chirurgo e speciale e l’altro, che è D. Cesare maggior di tutti, sta presentemente col vescovo di Faenza per segretario.
Adi 19 marzo giorno di S. Giuseppe la sera su le 22 in questa publica piazza di Castel S. Pietro fu ucciso da Battista Gasparini di Piancaldoli, ma però qui domiciliato, Luigi di Natale Oppi di lui lavorante canapino con una grave coltellata che lo colpì in mezo al cuore, lasciandolo miseramente in aria spento che cadendo colli ochi aperti non sembrava nemeno morto. Niuno potè socorerlo ne meno co’ sagramenti. Quello che fu peggio egli è che era ubriaco e morì anco pasqualino di vari anni, per questo fu detto il disgraziato Oppi, che per sopranome si chiamava Scolina. Usava una imprecazione per sè quando voleva sostenere una cosa e diceva: che io sia amazzato se ciò non sussiste, e purtroppo fu esaudito.
Adi 9 maggio venne a Castel S. Pietro l’Imagine miracolosa di Poggio in sera e li 11 d. giorno di lunedì si incominciarono le rogazioni.
Avendo il tenente Gio. Francesco Andrini di questo Castello data suplica al S. Padre, anco a nome de comercianti di questo loco, per avere una fiera perpetua di tre giorni ogni anno per la solenità di S. Bartolomeo mediante il Vicelegato Erizzo chiamato a Roma, fu dal S. Padre spedita la suplica al Card. Legato Archetti per la informazione, il med. la comunicò all’Assonteria di Governo quale nel 9 corente maggio scrissse alla nostra Comunità per sentirne il suo parere.
Aderì la Comunità, scrisse al Governo averne perciò tutta la compiacenza onde si attenderà in breve la Grazia.
Gaetano Giorgi di questo Castello filio di Rosa Cavazza mia sorella e del capitano Pier Andrea Giorgi, essendo studente filosofia in Bologna sotto il dott. Palcani, ebbe in concorso la scuola minore di latino nella scuola Pia di Bologna con l’emolumento di annui scudi sessanta, era prefetto nella scuola Monsig. Rusconi.
23 d. l’Assonteria, in seguito alla nostra rissoluzione sopra la fiera richiesta, rispose alla Comunità che acudiva benissimo e si com piaceva di questo ma qualunque spesa fosse poi occorsa non intendeva che la Comunità vi si prestasse e che così era convenuto col sig. Card. Legato.
Essendosi scoperto una quantità di ladretti in questo Castello, ne furono perciò carcerati nove.
Adi 23 maggio, la festa delle Pentecoste, fu assalito in Castello Giuseppe Bianchi da Gaspare Raggi, Francesco Manaresi e Luigi Ferri detto Rigidorino, tutti ragazzi, e condotto fori con scappolotti quando fu ai Capucini le levarono quel poco di danaro che aveva. Fu anco carcerato Francesco di Pietro Conti detto dalla Fornace per capo di ladri a Castel Guelfo, che conduceva via una somarra, dipoi in Castello furono carcerati per ladri Fedele Amadesi e Natale Galavotti e condotti a Bologna.
Sussuri si sentono in paese per cagione della farina che si vende a talento onde, il popolo avendo fatto ricorso alla Comunità, fu spedito il ricorso al Legato Archetti onde provedesse al disordine di pagarla fino a q.ni 15 la libra ed al piacere del venditore bottegaro.
Ma che vi ha da fare il Legato se esso dalla sua cancellaria spedisce tali licenze stampate. La carne a questi giorni, per secondare il monopolio dell’unione maledetta de becari, si è acresciuta in Bologna a soldi 7 la libra ed in contado a soldi sei. Grano non se ne ritrova e si vende fino a pavoli 37 la corba. La città disagia ed avendo codesto Giacomo Lugatti fatto proviste di grani in Romagna, cioè Forlì, Faenza per corbe 5000 per il Senato, questo non si può avere. Ne ha fatte altre proviste in Tossignano, Cottignola e Bagnara ma il popolaccio l’ha araffato tenendolo per se.
Ciò non ostante, attendendosene una quantità entro il corrente mese di maggio a Castel S. Pietro, il Senato ha estradato ordine diretto al Consolo, o sia comando, di improntare carra 160 di careggiatori all’ordine del d. Lugatti da levare di qui tal grano e trasportarlo fino alla Campana, pagando a villani a raggione di soldi 10 per ogni miglio il carragio, come da ordine spicato alla cancellaria di Governo per li atti di ser Pietro Riviera nel di 24 cadente maggio, imponendo di ciò eseguire entro il corso di giorni 10 compresi ancora il lunedì e martedì delle Pentecoste. La miseria è assai grande per l’indolenza di chi gioverna.
Si è poi avuta notizia che, essendo nato in Parigi un disparere fra li assembleisti divisi in due partiti, cioè di moderati e de terroristi o siano giacobini, abbia prevalso questo partito e siano per ciò stati massacrati tutti li emigrati che erano rimpatriati e li preti pure ritornati siano tutti periti di morte onde temesi un conflitto grande.
Ciò confermasi ancora da lettere dal Piemonte e dal regno di Torrino ove di presente ancora abitano nostri paesani di Castel S. Pietro, fra questi si distingue Angiolo Maria di Antonio Galassi detto volgarmente di Marochino, che pochi anni sono piantò sua casa in Bologna ove esistono solo due suoi fratelli, cioè Benedetto bravo sonatore di contrabasso e che fa il gargiolaro, Francesco che fa il sartore con credito.
Il sud. Angiolo dilettante di musica fu anni sono fatto academico filarmonico, divenne poi mastro di capella da P.P. de Servi di Bologna di dove chiamato nella Sardegna per mastro di capella della citta di Sassari nella cattedrale della med. che porta il titolo di arcivescovato primale della Sardegna e Corsica. Vive a questi giorni, benchè vecchio, decentemente ed onorato nella professione a Tirne il med. Angiolo. Il di lui fratello maggiore Benedetto, nato e battezato in Castel S. Pietro al servigio di Mastro di capella in Portogallo nella cattedrale di (….) primate della Spagna, decorato del titolo di virtuoso di camera da Sua Altezza Reale il fratello del Re defunto già arcivescovo della d. cattedrale.
Adi 15 giugno, essendosi portati alquanti ragazzi su li campi di questi P. di S. Bartolomeo a spigare, ancorchè vi fossero per li campi detto de Capucini li manipoli per terra, non vollero attendere alle sgridate del contadino perché andassero fino a che vi era il formentone pe campi, onde, intervenendovi il sindaco P. Andrea Arnolfi, ne castigò alcuni, ma presone uno di essi, lo battè fortemente e poi presolo per la giubba e calze levatolo in aria lo gettò fuori della sciepe nella strada. Il ragazzo, che era un sirventi nella venturiera, da scaltro si finse semimorto, onde fu portato nello Ospitale delli infermi di questo loco e, dando pochi segni di vita, le fu dato l’olio santo.
Il chirurgo Domenico Giordani inganato dalla furberia di questo ragazzo diede imediatamente la relazione di pericolo alli tribunali. Avutosi l’aviso a Bologna da questo in S. Giacomo, venne imediatamente il dì doppo 17 giugno per scoprir tutto il P. Andrea Muraglia priore del convento di Bologna e trovata la malizia del ragazzo se ne partì tosto dopo aver pranzato.
La compagnia del SS.mo avendo ottenuto dal S. Padre la grazia del gonfalone e contendendosi questa dal moderno arciprete Calistri, fece esso di sottomano dare al Card. Braschi protetore una informazione sinistra nella quale minacciavasi la profanazione della chiesa ed assegno della med. alli creditori della compagnia, colla clausura dell’Oratorio e sospensione di officializarlo. Fu scoperto il manegio e tosto si pensò al riparo con iscrivere al ponente canonico Rochettani per il riparo ed informazione al S. Padre.
Il fiorentinello ragazzo di cui si è testè parlato era un secondo cugino di questo arciprete Calistri che veniva dai Boschi di Granalione e si fingeva fiorentino. Di costui si era per ciò presa tutta la protezione l’arciprete, sì per essere suo parente, sì perché avendo esso in odio li frati, massime quelli che le possano dare sogezione e che di esso non abbisognano, e ne fece il processo al frate e, per gravare la causa del med., una mattino le mandò due croccide e stampelle al ragazzo acciò se ne valesse ma, Dio che non vole che sempre trionfi la malignità, il ragazzo rifiutò le stampelle e faceva tutti li sforzi per sortire dall’Ospitale ove dalli ospitalieri si faceva tenere ben custodito.
Non valsero tutte queste imposture a nulla poiché il ragazzo di quando in quando scapava sulla porta dell’ospitale col camiciotto di cui si vestono li convalescenti, ne anco per questo vedendosi il med. il comodo di fuggire, sì per la veste che sarebbe stata conosciuta, sì per che sarebbe fatto distenere nell’ospitale, mentre tutta la mira dell’arciprete tendeva di farlo mantenere di vitto e vestito dalla Religione e da questo convento di S. Bartolomeo.
La mattina delli 25 cadente giugno il med. ragazzo da scaltro, vedendo fori l’ospitaliere, chiese alle donne del med. di andare nell’orto o sia cortile posteriore dell’ospitale per asciugare una camicia di esso bagnata, le fu concesso. Quivi essendo un arbore di prugno, lo ascese poscia, saltato sul muro circondario, descese nel vicino campo e se ne fuggì, Non sapendosi dove su le ore 10 e così l’arciprete restò deluso nella sua malignità, né più oltre potette andare col processo e far credere alla Curia quel male che le aveva supposto.
Il chirurgo Giordani fece in appresso la sua discolpa. il medico Muratori con attestato provò che il ragazzo nel tempo di sua dimora nell’ospitale non aveva mai avuto alcun sintomo di febbre, sichè tutto in vanas evanuit auras.
Adi 28 giugno venne la funesta nova che il Delfino fanciullo, figlio dell’infelice Luigi XIV Re di Francia, era morto nel carcere del Temple in Parigi asfitico. La morte fu creduto ma non l’asfisia e fu creduto da tutti opera di veleno. Era esso in età di anni undici, di forte complessione, ma convenne cedere alla fatalità, come purtroppo si aspetta debba succedere nella sorella giovinetta ancor essa relegata nel Temple. Si infermò li 4 maggio e morì li 4 giugno, il chirurgo che lo medicava, prima d’esso morì tre giorni e furono morti propinate secondo l’opinione comune. Avutasi tal nova dall’Assemblea, si sentirono in seguito alcune voci esclamanti: Viva la libertà francese.
Adì 8 lulio su le 9 del giorno seguì un grandissimo incendio alla campagna in una casa rurale di Gio. Antonio Bolis detta il Guercè, che tutta andò in aria. Non si diede alcun segno con le campane publiche perché cod. arciprete non si vole prestare a dar il comodo al Massaro, avendo imposto a quelli di sua famiglia che quando dormiva non voleva essere svegliato tanto più che non era necessario radunare popolo per li incendi perché li ladri approfittavano molto.
Adi 9 lulio stante la scarsa racolta e penuria di viveri il Card. Legato fece il calmiere a l. 13 la corba, dove che era prima di l. 21. La sicittà farà ancora crescere il prezzo alle altre grane e sicome li farinotti del paese ed il fornaro publico non aveva più modo di far pane per mancanza di grano, onde quietare il popolo, ascoltò il Legato li clamori ed in seguito fece la seguente ordinazione, che poi diresse al Consolo.
L’E.mo e R.mo sig. Card. Legato ordina e comanda a Lei sig. Consolo di Castel S. Pietro che visto il problema ella intimi subbito ai fumanti di cod. Comunità e suo distretto, loro affittuari o agenti e segnatamente alli signori Francesco Zuffi, Paolo e fratelli Farnè, signori eredi del cap. Lorenzo Graffi, sig. Carlo e fratelli Conti, come ancora agli agenti della Comenda di Malta, che esibiscano a Lei imediatamente nota aperta del grano raccolto dai loro beni e che quello, dedotto il necessario per il consumo delle loro famiglie pure da individuarsi, si ritengano alla disposizione di sua Em.za R.ma.
Qual grano resta fino ad ora determinato alli fornari di cod. terra alli quali in conseguenza potranno, anco senza alcun ulteriore ordine, a detti fumanti venderlo in ragione del vigente calmiere a pronti contanti nell’atto di levarlo. Avvertendola di tener conto delle ressidue levate, per esibirle alla cancellaria maggiore di sua Em.za a capo di ogni mese . Dia pronto riscontro della esecuzione del presente ordine che Ella potrà far vedere ai detti fumanti, loro affittuari e agenti indicando i nomi delle persone alle quali sarà fatta tale intimazione, affine di procedere contro di essi irremissibilmete alle pene più rigorose ad arbitrio della prelodata Em.za sua R.ma in qualunque caso di rimanenza od eccezione o scusa in contrario che non sarà assolutamente ascoltata, aggiungendo che non sarà neppure ammessa la ecezione di avere forse a questi o ad altri venduto, assegnato o in qualunque altra maniera disposto del grano sud. E’ volontà di sua Em.za che l’ordine dato di se comprenda anco li luoghi pii e gli aclesiatici sicolari e regolari possidenti in cod. distretto. Sono per ubidirla Bologna 9 lulio 1795. V. Berni delli Antoni A.C.
In seguito di quest’ordine si portò il vice consolo Agostino Ronchi alle persone acenate e le impose non esitar grano senza ordini di sua Em.za e tenerli a requisizione di questo fornaro publico Giulio Viscardi.
Ciò però non quietò il popolo che mancava di farine quindi , andato novo clamore al principe, venne al vice consolo sud. quest’altro ordine.
Il sig Proconsolo di Castel S. Pietro farà immediatamente somministrare a Giulio Viscardi fornaro in d. luogo le corbe undici formento raccolto in quest’anno di parte dominicale nel podere Tassinari condotto in affitto da Sabatino Beltrandi, dovendosi dal d. fornaro pagarne l’importo in ragione del corrente calmiere, il qual importo si potrà da d. fornaro, in assenza del proprietario del grano, depositare in mano del sig. Proconsolo per pagarlo indi al med. proprietario, allorchè si presenti a riceverlo. Tanto è mente di sua Em.za R.ma Card. Legato. Bologna questo dì 21 lulio 1795 V. Berni Dalli Antoni A.C.
Per la farina poi mancante onde il popolo gridava venne questo altro ordine,
Sig. Proconsole pregiatissimo. E’ mente di sua E. R. il sig Card. Legato che ella intimi subito a cod. bottegari, sotto pena della carcere ed altre ad arbitrio della stessa E. S. R., di provedere imediatamente le loro botteghe di farina a norma dell’obligo da essi assunto, che è tanto più riprensibile che manchino, quanto che ne mesi addietro il Castello è sempre stato proveduto di grani forestieri e i bottegari giustificandone la gravezza vendano la farina con libertà di prezzo.
Se per provedere al momento vi fosse una qualche partita di fumanti, benchè eclesiatici, secolari o regolari, ella potrà determinarla segnatamente a favore de sudd. bottegari dando conto del quantitativo e de fumanti che avranno somministrato.
L’E.mo Card. Legato aspetta per mezo mio riscontro della esecuzione di questi ordini, ed io con ogni stima mi dichiaro. 22 lulio 95 (….) Berni delli Antoni A. C.
Adi 23 d. vennero li Tribuni in loco e ritrovate le botteghe mancanti di farina, furono citati li delinquenti a dar ragione della mancanza loro a fronte dell’obbligo suo assunto.
Si scoperse a questo tempo una trama dell’arciprete Calistri affine di opprimere anco la compagnia capata del SS.mo. Aveva questa debito col sig. Luigi Tassinari di scudi 240 (….) pagato, diede intenderle alla Congregazione de vescovi e regolari che questa era una compagnia torbida, litigiosa, insoburdinata e per li suoi debiti impossibilitata a sostenersi.
Scoperta tale calunia, si procurò il pagamento al Tassinari ed io ne feci, a rogito di ser Francesco Conti not. di Castel S. Pietro, la obligazione di pagare il debito. Poscia fu ciò notiziato al Card. Braschi protetore della compagnia. Fu altresì accusata la compagnia di una informe maniera di ricevere nella sua chiesa e oratorio il magistrato o sia Comunità di questo Castello allorchè andava alle funzioni, non convenuta alla med. onde si scoperse che l’arcivescovo Giovanetti pensava al modo di farsene render bon conto alla compagnia, avendo già di ciò notiziato l’E.mo Braschi. A tutto ciò pensò la Comunità provedere e ricorse a Roma per la manutenzione ne suoi diritti di rito.
Tutto ciò che facea ombra e rabbia all’arciprete si è vedere la Comunità, allorchè va in figura di Magistrato alle funzioni publiche, precede il clero ed è infraposta fra la religione più antica del paese ed il clero secolare, che quando è in chiesa tiene il tapeto pavonazzo nel suo genuflessorio tanto nella chiesa di S. Francesco de M.M. O.O. quanto nell’oratorio sud. ed il Consolo non ha altro distintivo che il cussino d’avvanti, oltre all’ingresso della chiesa non ha altro distintivo che di essere ricevuto coll’aqua benedetta dal capellano in cotta e stola, cose tutte che l’arciprete non le piaceva, perché il suo operare è diretto solo al disprezzo delle persone, ai ceti ed alla conculcazione dell’onor divino e delle altre onorificenze ed a torbido, in maniera divenute, che non ha stima di alcuno.
La visita pastorale a Castel S. Pietro che era fissata per il 9 agosto stante essere stato L’E.mo Giovanetti arcivescovo attaccato da rafredore, in questo tempo tirava giornalmente sempre vento impetuoso e freddo, fu differita alli 24 del med. mese.
La raccolta di grani è mediocre, ma si teme assai de marzatelle per la scarsezza dell’aqua.
Contemporaneamente fu acusato l’arciprete Calistri a Roma avvanti il Card. segretario di Stato di tante sue soverchierie e fu prevenuto che, accadendo la oppressione della compagnia, si prevedeva un tumulto popolare per essere questa la chiesa più frequentata dal popolo e la più devota nelle funzioni del paese. Fu anco acusato alla Congregazione del Concilio per tante sue nequizie, che veranno presto alla luce.
Il tenente Gio. Francesco Andrini di questo loco, avendo data al S. Padre suplica a nome de comercianti affine di avere una fiera annua di tre giorni in questo Castello, avendo ottenuto il favorevole rescritto sotto il giorno 13 giugno anno corente, ne fece perciò affissare tanto in paese che fuori li cedoloni di avviso come dalla unita (?) stampa. Il rescritto pontificio trovandosi in mano del Card. Legato ad effetto di registrarlo nella sua cancellaria maggiore si trascriverà in appo tosto che sarà stato trascritto colla copia della suplica data al S. Padre dal med. Andrini a nome de comercianti.
Avendo cod. arciprete Calistri in abbominazione la compagnia cappata del SS.mo, si scoperse un occulto maneggio del med. affine di levarla a confratelli, oppure opprimere la med. e fu in seguito scoperto egli che il sig. Luigi Tassinari di Castel Bolognese andava creditore della compagnia per la somma di l. 240 qual sucessore mediato del fu sig. Giuseppe Rinaldi di questo loco, esimio benefattore della Compagnia di cui ne era confratello, a motivo di danari pagati all’ospitale della Vita di Bologna qual fidejussore di questa per ocasione della fabbrica della chiesa e oratorio, che perciò non avendo potuto avere il Tassinari l’intero, lo spronò l’arciprete fare un ricorso alla Congregazione de Vescovi e Regolari all’oggetto di profanare la chiesa ed espellere la compagnia capata come quella che era imposibilitata il sostenersi, ma andata la suplica e rimessa all’arcivescovo Giovanetti, parzialissimo dell’arciprete e male impressionato della povera compagnia, adottò la petizione del Tassinari.
La Congregazione però sospese il suo voto. Infrattanto, venuto ciò a notizia di alcuni paesani e di me scrivente la presente memoria, sollecitai li capi della compagnia a fare in Roma le opportune instanze alla Congregazione sud. a quella del Concilio ed all’Uditore SS.mo per fare ne respettivi tribunali il Nihil trasfeat e l’Advertatur.
In frattempo si prepararono li danari ed io mi offersi per rogitare dal notaio ser Francesco Conti sborsare li l. 240 al Tassinari col patto di subentrare nelle di lui ragioni ed avere da quattro confratelli l’obbligazione di pagarmi in fra 4 anni il capitale ed anco il frutto di quello a die solutionis facto al Tassinari.
Di Roma in questo mentre si risseppe che era già stata fermata ogni contraria esecuzione alla compagnia. Il Tassinari poi, avisato di documentare le rissoluzioni della S. Congregazione di fare avere riportata la decisione a suo favore in parte, e fu la unita che a me spedì di suo carattere segnata li 26 giugno corrente. [A.16]
Si deduce da questa che la assegnazione di questo oratorio e chiesa era tutto diretto dall’arciprete, mentre avendo egli fatto fare dallo statuario Filippo Scandelari bolognese una statua di S. Giuseppe in conformità ed esecuzione della testamentaria disposizione di Mariana qd. Carlo Cheschi di questo loco da me rogata, non trovavasi loco ove collocare tale imagine, come non lo trova per anco, e sono mesi che la conserva in casa per poterla poi fare benedire all’arcivescovo quando verrà in visita e cosi con tale occasione pensando farne fare il decreto in visita che sarebbe stato inapellabile. Restò deluso e scorre già il mese di agosto che, attacato il cardinale di asma, guarda il palazzo ed il letto onde per quest’anno non si aspetta la visita in Castello già intimata per li 9 agosto poi protratta a li 24 e finalmente sospesa ad mentem.
Leggasi per tanto la lettera della Congregazione e vedrassi con quale finezza di artificio conduceva ad esterminare una compagnia che è il lustro del paese, che è quella che fa le principali funzioni del med., che è quella che è composta dal cardinale Chiaramonti, card. Braschi Onesti, di molti nobili bolognesi, imolesi e pesaresi e di tante familie civili, quella che con singular divozione
conserva il culto al miracoloso crocefisso di questa terra. E perché mai questo, diranno li posteri che legeranno queste memorie?
La sordida avarizia, la soperchieria e la giustizia guadagnata col danaro, onde tutta la corte del Cardinale corotta fa che il medesimo non ascolta li ricorsi, onde poi ne derivano odii ed iniquità che così si può dire coll’Eclesiastico C. 3. vidi sub sole in loco juditii inpietatem et in loco justitie inequitatem, Che ottimamente parafrasò Filoteo Achillini nelle seguenti ottave:
In queste cose vane e incostanti
che abbondan sempre di perversi mali
vidi che di giustizia i luoghi sacri
contornati son da rai mortali
che alla bontà le frode è posta avvanti
e cos’ opressa è la Ragion e vinta,
sogiace ai falsi doni in tutto estinta.
Ma chi volesse di più dire senza esagerare non mancherebbe materia certamente e voglia Iddio che tutto finisca bene.
Intanto passeremo a scrivere della divisata fiera che facenvansi annualmente in questo loco il giorno di S. Bartolomeo, una fiera o sia festa straordinaria co’ banchetti come in Bologna. La festa popolare che di già si scrisse nel primo secolo del nostro raguaglio istorico o siano memorie di Castel S. Pietro.
Parve al tenente militare Gio. Francesco Andrini di Castel S. Pietro, credendo che ogni loco del contado era decorato di questa prerogativa di fare una volta l’anno una fiera,
fosse di poca onorificenza alla sua patria di Castel S. Pietro non essere ella ancora onorificata di questo decoro tanto più che la situazione del paese era più che opportuna, quindi si risolse e presentò suplica al S. Padre Pio VI per averne ancor esso la Benigna Grazia come già la ottenne il di cui tenore è il seguente cioè:
Alla Santità del S. Papa Pio VI felicemente regnante.
Li commercianti di Castel S. Pietro, legazione di Bologna e per essi Giovanni Francesco Andrini, umilmente prostrato a piedi della S. V., espone che per immemorabile consuetudine in d. Castello si fa una fiera il giorno di S. Bartolomeo 24 agosto, la quale non ha il concorso della mercatura per la ristretezza del tempo.
Si suplica pertanto la S. V. degnarsi benignamente di accordare un prezioso Rescritto che la suddetta fiera si possa fare perpetuamente per lo spazio di tre giorni compreso il sud., potendosi formare in tal maniera un’ottima fiera generale, stante ancora la vantaggiosa formazione del paese, concedendosi tal grazia senza pregiudizio dei Dazi e Gabelle. Tanto si dà l’onore di implorare dalla sovrana magnificenza della S. V. intenta sempre al bene de suoi sudditi, per cui i sudd. sempre più porgeranno fervorose preci all’altissimo per la prosperosa conservazione della S. V. Che della grazia, quam Deus .
Il rescritto poi è il seguente:
Ex audentia S.S die 19 junj 1795. Nunc audita Relatione et voto E.mi ac R.mi D. Card.Legato Bononie, benigne annuit pro gratia ampliationis nundinas pro diebus de quem antecedentibus solita celebrationem videl die XXII et XXIII augusti juxta volut (…) E.mi Legati ac presens Resch. sedet Loco Chirographi. Pro R.mo D. Card Cameraria A. Rusconus And. Die 13 Augusti 1795. Presens Restum fuisse p. D. Jo. Frances Andrine N.ra suplicentia E.mo et R.mo D. Bonon. Vard. Legatus presentat. e tregistrat. de ord. Em.tie sue R.me in eius Cancell. Majori canalis (…) Ego D. Schiassi Cancell et M. Lofredo Card Campi.
17 agosto la sera a quattro ore e mezza di notte Luigi Zamboni, che sono mesi otto che fu carcerato per il meditato sollievo di Bologna, essendo in segreta con altri due compagni in Bologna, stanco delle angustie della carcere, le sortì di levare una ferla dal tavolaccio ove dormono li carcerati, con questa, doppo avere cercato farsi una breccia onde fuggire ma vanamente, disfece il tamarazzo su cui dormiva e poi formata una fune legò li due compagni indi, perché non le riuscì fuggire, si appicò con un laccio fattosi colle dette funi. Li carcerati seco cominciarono a gridare ad alta voce che il Zamboni si appicava, passò il rumore alli altri carcerati, che replicando le stesse parole si fecero sentire per tutta la contrada vicina.
Il card. Legato intese male questa morte per la indolenza del tribunale in disbrigare il processo, furono per ciò
carcerati alcuni, ma a che pro quando è perduta l’anima, che giova punire chi non ha reato? Bologna grida e declama molto.
Adi 31 agosto giorno di venerdì la sera su le 23 giunse di Bologna uno staccamento di soldati del pressidio di quella città in questo Castello sotto la condotta del sergente Alberto Cenacchi all’effetto di guardare la nova fiera che incominciò il sabato 22 corrente. Il suo quartiere fu destinato in casa mia. Apena giunti li soldati le fu fatta la rassegna colla presentazione dell’arma, diedero poscia una caminata per la diposizione della fiera.
Li mercanti entro il Castello che cominciava dalla porta di mia casa fino alla piazza, lateralmente sotto li portici vi erano li banchi preparati alli negozianti, che furono di ogni sorta merci. Li macellari partirono e con una tenda stavano nelli stradelli Graffi e Vanti ove eran le sentinelle, altre sentinelle erano alla boca della piazza, alla porta del quartiere ed alla porta del Castello.
Io fui deputato in giudice ordinario delle cause e questioni mere e miste. La domenica mattina 23 d. fu pioggia onde fu poco il concorso. Il giorno poi 24 di S. Bartolomeo vi fu numeroso popolo di ogni luogo a proversi di lane, saponi, coralli, lavori di merci e di ciò tutto che ocoreva. Vi erano cinque argentieri bolognesi. Ogni banco per il nolo un pavolo al giorno. Il doppo pranzo vi fu un mercato tale di bovini, cavalli e bestie da soma che non fuvvi memoria d’uomo che potesse mai ramentarsi tanto. Tutto il mercato de bovini era coperto. La via del Borgo coperta, lo stradello morto coperto e si estendeva fino alli capuccini nella via circondaria della fossa del Castello dalla parte di ponente, cosichè fu incalcolabile il N. de bovini. Li più pratici delle fiere e mercanti asserirono oltrepassare il numero di cinque milla capi di bovi, aggiungendo che la massima di Lugo nulla potea competere con questa in linea di bestiami e li primi mercanti aggiungevano non averne mai veduta simile in altri luoghi dello stato pontificio.
La via del Castello maggiore fino alla piazza per tutto il tempo della fiera, cominciando dalla porta del Castello fino alla piazza era coperta di un tendone di tela per diffesa dal sole a comodo delli intervenienti. Nella piazola di S. Pietro nel Borgo eravi la fiera di archibugi, armi d’ogni sorta purchè non proibite. La piazza per li cavalli e bestie da somma era avvanti la casa Stella che va al fiume, opposta al mercato de bovini. Tante altre minutezze si omettono per la loro quantità.
In questa contingenza furono arestati due famosi giocatori di cordella e de tubi che si possono dire ladri impuniti, furono da me fatti porre nelle carceri publiche di questa Comunità e poi data la relazione a Legato. Se le trovarono nella perquisizione danari entro le scarpe, il primo fu Crisistomo Pirani di Cento, l’altro Francesco Baraldi modenese.
Tante altre causette poi furono da me decise sul momento e così terminossi la fiera. In seguito di esse io ne ebbi il riscontro militare dal comandante Conte Camillo Malvezzi, che è l’unito, nel quale si lagna ancora della ristretezza del tenente Gio. Francesco Andrini in corispondere all’attenzione de soldati. [A.17]
La paga a medesimi fu due pavoli il giorno per ciascuno, al caporale quattro pavoli ed al sergente pavoli otto, oltre la cibaria due volte al giorno e vino a braccio, tutto a spese dell’Andrini. E partirono li soldati il martedì 25 agosto contentissimi del paese e quartiere ove ebbero anco il comodo di letti e fuoco per farsi da mangiare. Consumarono c. 3 ½ vino, la spesa del militare ammontò a scudi 22.
Adi 27 d. il tenente della squadra de birri Carlo Chiegali venne a prendere li due carcerati, che, con ricevuta, li furono fatti consegnare da me, la quale a mio scarico si conferma nelli atti della podestaria.
Essendo dieci giorni sono appicato nella segreta l’infelice Luigi Zamboni che si voleva far capo della solevazione in Bologna, si ritrovò scritto nella parete di quello la seguente memoria con una punta di ferla, che aveva cavato dal tavolazzo in tre lingue
1795 12 lulio
Apongo a sua infamia del dott. Antonio Suzzi della Molinella
contro li democratici bolognesi del 1794.
Impunito seduttore ed accusatore de propri fratelli.
Traditore della più sacra amicizia del proprio partito,
vile disertore, uomo iniquo e disleale
fratello disnaturato, finto amico e patriotto falso.
Scritto l’ottavo mese della sua carcerazione avvinto da catene
Luigi Zamboni democratico bolognese
Inferiormente poi vi era quest’altra inscrizione incisa nel muro:
Joanni Erolandi pedemontanensi
Probo juveni, vero amico et frate democratico
monumentum gratie amicitie eternum potuit Aloisius Zamboni bonon.
doppo questa inscrizione al di sotto legevasi ancor questa altra diretta alla sua amata moglie dall’agrimensore (….) Vittorio Conti cioè
Angela Razani Conti
optima, dilectissima, venusta
monumentum eternum, catena aristocrat..
in carcere strictus posuit
A. Z. bononiensis
scripsit quia somniavit die 5 juli 1795.
In francese poi lasciò così scritto ai piedi delle accennate epigrafi, cioè
Luis Zamboni, Libertè, Suretè, Egalitè.
In questo stesso giorno 27 agosto essendosi chiamato Consilio della Comunità affine di manifestare il decreto patito nell’Officio dell’Aqua per la manutenzione della via de Confini superiore con Dozza, presso la via Romana contro li tereni del Machione, fu altresì manifestato che essendo morto monsig. Savacciani, uno delli cinque prelati componenti la congregazione deputata da N. S. Pio VI sopra la vertenza della Villa di Poggio colla Comunità di Castel S. Pietro, era stato deputato in vece di quello monsig. Alessandro Malvasia, fratello del senat. Conte Giuseppe per lo che la Comunità, avendo presentito che veniva nel prossimo settembre a Bologna, deputò due consilieri cioè il segretario Ser Francesco Conti, e me Ercole Cavazza per ufficiarlo, affinchè ci fosse protettore. Come di fatti facessimo e ricevutosi con ogni compitezza volle essere informato in voce da noi e poscia ci insinuò farne prima di Natale la prosizione, che egli allora sarebbe in Roma e sarebbe stato per noi tutto propizio ed addotò la massima nostra, che ottenuta la favorevole decisione si opponesse una memoria alla vista del popolo incisa in piazza.
Adi 12 settembre, essendo venuto in capo ad alcuni paesani di coprire il fosso della chiavica maestra del Castello fori della porta maggiore contro li casamenti del conte Stella fino alla voltata del Torazzo contro il canale per evitare il fettore che tallora tramandavano le aque scolatizia del Castello, ne fu fatta la proposta in Consilio, nella quale naque qualche diverbio fra consilieri, ma la ostinazione del Consolo moderno Floriano Fabbri volle che se ne facesse la richiesta all’Assonteria e, per la spesa che oltrepassava li scudi cento, addomandossi di farne il comparto nelli Libri Camerali. Propose in oltre il med. Fabbri di ribassare anco la mura del Castello dall’angolo dell’orto mio fino alla strada de Pistrini poi colli materiali edificare una bettola nella piazza de bovini, il che fu da me impugnato né altro però si fece.
Dovendo poi passare il convolio del card. Legato di Ferara cioè l’E.mo Pignatelli, fu quello accompagnato da uno stacamento di cavalaria pontificia ressidente in questo tempo in Imola. Furono così impertinenti li soldati che volero a forza dalla nostra Comunità li foraggi per loro e per li cavalli.
Si scoperse in questo tempo una epidemia di bestiami dal Piemonte, però furono fatte precauzioni grandi mediante rigorosi Bandi dalla legazione.
In appresso si ebbero nove di come li francesi facevano progressi nel genovese essendosi impadroniti di alcuni borghi nella riviera di quella republica. Si vide fuori stampata per ciò in alcune gazette la seguente profezia:
Anno 1791 et 1792. Gallus suscitabit cum pace bellum.

  1. Gallus invadet magnam terre partem.
  2. Gallus habebit victoria.
  3. Crux et aquila suoniliabuntur.
  4. Crux et aquila exaltabuntur.
    1797 et 1798. Gallus peribit.
    Prophetia Abbatis Joachim
    Poi se ne vide un’altra con il seguente titolo:
    Prophetia inventa in tumulo monachi ungarensis qui habebatur dum vivebat ut sanctus,
    Pose mille expletos a parte vingtnis annos
    et septingentos rursus ab inde datos
    ochos pesimus octavus mirabilis annus
    impruet et faciem tristia facta ferat
    si non hoc anno totus malus obtruet ortis
    si non …………………………
    cuncta tamen mundi sursum abunt atque derosat
    imperia et grandis undique luchis erit.
    Tutti questi pronostici però ebbero ed hanno finora sortito l’effetto pur troppo, onde si sentono calamità, crudeltà, empietà e barbarie tali, che chi legerà la storia di questi tempi le sembreranno quasi che favolosi ed incredibili li fatti.
    Adi 29 settembre intendevano li P. P. de Servi di Bologna chiudere il vicolo che intercede cod. suo picolo fondo detto il Mercato, addietro il fronte del Castello denominato la Larga della Rocazza e compensare poi la Comunità col dirizzare il semicircolo che fa il loro terreno fronteggiante la piazza de bovini. Ne diedero perciò la suplica alla Comunità la quale si prestò alla annuenza, ma il Conte Stella fu negativo onde per ciò non se ne fece altro.
    Li frati di S. Bartolomeo, che per l’addietro andavano alla questua anco dell’uva per la compagnia del Suffragio, fu sospesa. Questa questua fu introdotta da certo P. Giuseppe Vechi agostiniano bolognese ma fatto figlio di questo convento nel tempo che fu scritto sagristano dal 1745, fu egli zelantissimi del Purgatorio e si può dire il ristoratore della compagnia cadente. Ma siccome divenne tanto petulante nel questuare, molti le perdevano il rispetto, tanto più che egli baccia tutti li limosinieri onde, per l’abbito fatto di bacciar le genti, inavedatamente bacciò una donna contadina e ne ebbe mortificazione. Le furono fatte satire per ciò e divene nominato fra Basilio.
    Quando andava in campagna prendeva seco certo Giuseppe Bergami suo socio al loco detto la Scania di ragione del convento, nominato questo uomo per sopranome Razzone, onde le fu fatta la seguente ottava ed affissa di notte tempo alla porta del convento, fu dipinto a meraviglia il frate.
    Allorchè il padre Vechi in birba andava
    un paro di somar seco egli aveva
    sovente sovra d’un ei cavalcava
    e sovra l’altro il buon Razzon sedeva.
    Giunto sull’ara , u il villanel spullava
    la pala dalla man tosto ei prendeva
    e per che piena e colma gli è la faccia,
    lo stringe, palpa e poi lo baccia in faccia.
    Fu contemporaneamente portata in questo Castello la nova statua di S. Giuseppe fatta di stucco dall’artefice Filippo Scandellari statuario bolognese. Fu portata in casa dell’arciprete né si potette penetrare in quale loco ed altare di dovesse collocare, costò dodici scudi e fu un legato fatto dalla citella Marianna Chechi figlia del fu Carlo, familia estinta come ne appare dal suo testamento per me rogato anni sono. Fu benedetta in casa dell’arciprete dal sacerdote pio D. Luca Bartolotti bolognese e missionario che era qua a questo effetto e che doveva esso fare la funzione.
    Al quale effetto fu trasportata nella chiesa della Annunziata nel Borgo, ma per che questa prima funzione volevasi dall’arciprete che fosse fatta dalla sua compagnia del Rosario ad esclusiva della compagnia del SS.mo cappata, quando che ne decreti pastorali avvi che qualunque nova funzione e processione si facesse in questo loco dovesse essere diretta dalla compagnia del SS.mo. Fecero perciò li confratelli del SS.mo formale instanza all’arciprete in N. di 4 confratelli cioè Sandrone Alvisi, Pietro Oppi, Luigi Masi e Pietro Cervellati che non fosse a quella l’arciprete di incominciare tale funzione senza la compagnia del SS.mo altrimenti sarebbe accaduto uno scandalo e si sarebbero adoprate le mani contro la compagnia del Rosario.
    L’arciprete ciò intese e fosse che egli temesse questo sconcerto o che temesse l’indignazione dell’Arcivescovo per la trasgressione dei decreti, il giorno preventivo alla festa di S. Simone anzi la sera di nottetempo fece all’oscuro riportare l’immagine di S. Giuseppe nella parochia e fu collocata all’altar maggiore alla publica venerazione senza alcuna processione.
    Quello che fece impressione nel paese a tutti fu quello di vedere tutti li contadini della compagnia del Rosario, che erano già stati invitati per tal funzione, venero colla cappa sotto il braccio ed il lume e poi se ne ritornarono a casa senza aver fatto nulla. Terminato il giorno di notte tempo si levò la statua di chiesa e non si seppe dipoi dove fosse collocata. L’intenzione però dell’arciprete era di collocarla nell’oratorio e chiesa della compagnia del SS.mo allorchè fosse stata supressa, come si era machinato e doveva accadere nella visita pastorale intimata nella estate passata che andò poi a monte, essendosi scoperto il maneggio colli Tassinari di Castel Bolognese come dicemmo.
    Adi 28 ottobre giorno di S. Simone il novo Card. Legato Ipolito Vincenti fece la sua solenne entrata in Bologna in qualità di Legato apostolico e fu incontrato alli crociali fori di strada Maggiore ed accompagnato dal Senato alla sua ressidenza con tutto il seguito ministeriale.
    Adi 9 novembre il P. Tomaso da Castel S. Pietro, degente in Bologna dell’ordine capuccino, fece le sue conclusioni teologiche nelle pubbliche scuole di Bologna dedicate all’E.mo Card. Duca d’Iliore sopra li attributi di Dio, sopra l’augustissimo mistero della SS.ma Trinità, sopra il mirabile mistero della Incarnazione e ciò si eseguì nella chiesa del Bon Gesù ed riscosse un applauso universale e singulare. Questo giovine è di ottimo talento ma di scarsa comunicativa, figura perciò nella Religione moltissimo ed è di buoni costumi e temperamento forte, egli è figlio del fu Ottaviano Delfoco e di Umiltà Lucarelli, il primo è di famiglia antica di Castel S. Pietro, l’altra è di nazione fiorentina, al secolo aveva nome Luigi nato a batezato in Castel S. Pietro.
    Il di lui mecenate è stato ed è l’incomparabile e piissimo senatore Piriteo Malvezzi che da fanciuletto lo prese ad amare per essere figlio del d. Ottaviano uno dei di lui mastri muratori e seliciari nella impresa di Castel Guelfo. Dalli stampati libercoli si vede e si legge tutta la materia su cui è vertita la sua disputa. Non anderà molto che diverrà Lettore. Altre dispute publiche ha fatte in Ferara con aclamazione ed onore del paese e Religione.
    Perché il male ne bovini faceva strage nel Piemonte e temevasi per ciò che si inoltrasse ne nostri stati, essendosi con Bandi proveduto all’introduzione de bestiami, restava soltanto instruire le genti per la qualità de mali onde in seguito nel di 16 novembre fu pubblicato instrutivo editto a lume di ciascuno. [A.18]
    In seguito la nostra Comunità chiamò a se tutti cod. manescalchi, se glie ne diede copia e si ordinò stretamente a med. l’osservanza. Al Massaro se le impose una diligente osservanza e di quanto in quanto la visita alle stalle di questo nostro territorio. [A.19]
    Il di 20 novembre venne una neve orida alta più di un piede, che durò due giorni a nevicare, durò per altro poco per che vi seguì un vento sirocale che la distrusse e perciò vennero piene nelli fiumi, torenti e condotti.
    Essendo fatta instanza dal Cavaliere e Principe Alessandro Falconieri Generale delle Poste Pontificie al S. Padre Pio VI per ricorso fattole dai Mastri di Posta della Marca, Romagna ed altri fino a Roma a motivo che la via consolare era maltenuta ed in alcuni luoghi impraticabili ad effetto di accomodarla massime in quei luoghi ove era troppo stretta ed in alcuni luoghi alta con montagnole, in altri senza fossi e scoli ed in altri bipartita in due vie, cosichè accadeva spesso intoppi, incontri funesti, pericoli e ritardi delli viandanti per la loro speditezza del viaggio, accolse il papa il ricorso ed ordinò con bando sovrano la dilatazione della via ove abbisognava fino alla larghezza di piedi 25.
    Ordinò ancora l’atteramento delle alberature che le facevano ombra onde male si asciugava, ecettuati li mori e pioppi alle respettive padronanze ed in caso di rinuenza incaricò le Comunità aderenti a d. via procedere more principis et manu regia, ordinò l’alungamento de ponticelli che attraversavano la via, con sua sponte ordinò sprofondare li fossi, il tutto fino al N. di 25 capitoli a spesa delle d. Comunità aderenti. Ciò si eseguì nel teritorio di Dozza, ma nel nostro di Castel S. Pietro nulla si fece e per ciò vi fu mormorio. Il Bando sud. trovasi nella cancellaria di Dozza.
    Entrato il mese di dicembre il dott. Gaetano di Francesco Conti nostro compatriota, già fatto Lettor pubblico di Medicina, nella Università di Bologna, diede il di 10 di questo mese la sua prima lezione come si vede dall’unita stampa colegata alli presenti fogli. [A.20]
    Questa prima lezione esso la fece nel teatro anatomico, dove che mai si è dato esempio che più siasi dato e fatta lezione da alcun publico lettore, ciò seguì avvanti il Confaloniere Vitale de Buoi, alla quale con altri senatori, suo seguito e molti altri lettori publici vi intervennero in affluenza. Tutto ciò procedette per la aspettazione del nuovo lettore che corispose con egual sapienza ed eloquenza, cosichè il colegio medico lo onorò del titolo di Ecellente Giovane e riscosse grandi onori.
    Adi 16 dicembre fu estratto Podestà di Castel S. Pietro il cavaliere, Conte e senatore Graffi, per nome Vincenzo e così terminossi l’anno 1795 di nostra salute.

1796
Adi primo genaro entrò Consolo Lorenzo Trochi per la seconda volta e Podestà Il senatore Conte Vincenzo Graffi che nominò per suo notaio cod. sig. Antonio Giorgi alla forma del S. C.
Essendosi stati alquanti anni senza carnevale e bagorddare fu concessa la maschera alla fine di questo mese. Si fecero perciò mascherate pel Castello e Borgo con legni e cavalli, feste da ballo e rappresentazioni in teatro, ma perché il teatro moderno sopra l’abitazione de macellari, una volta sopra le due porte maggiori del Castello era angusto, fu proposto di farne uno di pianta novo, oppure voltare il sud. sopra l’altro abitato ove hanno presentemente ressidenza le guardie della Ferma generale di Bologna. Fu proposto altresì edificarlo nelle case mie dietro alle mura del Castello fronteggianti la piazza del mercato de bovini dalla parte di ponente nell’angolo inferiore del Castello e fu proposto altresì farlo entro il torazzo dell’angolo inferiore del castello dalla parte di levante nella piazzola posteriore al palazzo Malvezzi, ora mio, del qual progetto il Trochi ne fu l’autore e ne fece fare il dissegno, ma non fu plaudito per la sua situazione e per la spesa. Sopra li altri due progetti fu fatto il dissegno dal perito Vittorio Conti. Sinora niuno si effettua per difetto di danaro e vegliano per il paese due partiti.
Avendo il S. Padre concesso l’indulto da carne e laticini per la prossima quaresima, fu publicato perciò la unita stampa li 4 febraro. [A.21]
Le vicende poi del mondo caminando poi di male in peggio per la insurezione della Francia ed inoltratosi nel genovesato le truppe francesi ed all’incontro le imperiali ed inglesi, chiesero li primi alla Republica genovese le fortezze in modo di deposito, gli fu negato onde, temendosi di violenze anco per la parte maritima, li inglesi pensarono fortificare la Corsica levata a francesi col mandarvi truppe. Fu chiesto il passo al Duca di Toscana, ma fu negativo. Si ricorse per ciò alla S. Sede che non fu restia.
Quindi li inglesi, avendo preso al soldo duemila svizzeri per mandarli in Corsica e dovendo perciò imbarcarli a Civitavecchia a motivo di essere stato negato il transito per la Toscana, furono pertanto eletti dal Papa il capitano Martini in qualità di comissario della R. C. A. e l’ajutante Renò con due altri officiali li quali vennero a Forturbano affine di ricevere la truppa sudd. ed assisterli in tutto l’occorente per il viaggio fino a Civitavecchia divisi in due reggimenti distinti in tre colonne. Li due regimenti sono chiamati Royal Etranger uno e l’altro Ghiringam.
In appresso li 29, ultimo di febraro giunse ordine al Consolo Trochi di preparare bovi e comandar villani che ricevino l’equipaggio militare e lo conduchino fino ad Imola col pagamento di un pavolo per miglio a villani per ogni copia bestie. Fu publicato l’unito editto pontificio in Bologna con altre providenze relative alla truppe e quartieri militari. [A.22]
Dovevano essere questi il giorno sesto del corente marzo in

(90s) Castello ma la neve che tuttora cade, e sono da primo giorno del mese, ha impedito la venuta che si attende solo lunedì venturo 7 corrente marzo.
Il Bando su acenato fu anco fatto affissare alle Comunità vicine di Liano, Casalechio, Varignana la cui stampa è la annessa da cui si rileva tutta fosse sette capitoli.
Adì 7 marzo lunedì su le 19 giunse l’avanguardia del regimento Renò e doppo un ora arrivarono 480 pedoni metà fucilieri e metà granatieri ben guarniti di monture ed armi belissime con berettoni alti rotondi diversi dalli comuni con fiochi bianchi, la montura era rossa trinata di bianca cordella. Avevano seco sei carattoni da trasporto e la cassa militare e de munizioni in un caratone tutto coperto di tela cerata e verniciata di rosso che si traportò di dietro li palazzi Malvasia e Locatelli, guardata sempre da due sentinelle con fucile una e l’altra con sciabola nuda.
L’officialità allogiò tutta nel palazzo Malvasia, le donne e malati nel convento di S. Francesco, li altri soldati nel palazzo Locatelli ne suoi paglioni, essendole soministrato dal nostro pubblico dieci libre di paglia ogni soldato.
Aveva questo staccamento seco due medici e due capellani, la bandiera del Sovrano Giorgio Re d’Inghilterra, aveva la sua banda di instrumenti di trombe, corni, clarinè, fagotti, tamballo e ciufoli oltre li tamburi e pletri sonati da un moro. Tutta bella gente ben fornita di abito ed uniforme scarlatta e rovescio turchino trinato d’argento. Li calzoni erano tutti lunghi fino ai pedi all’uso delli ussari, turchini di colore. Fra questa truppa vi erano emigrati francesi che, per distinguersi dalli altri, portavano in capo un beretone rotondo di pelle lupo cerviere

(90d) con coda che le pendeva di dietro. Questi emigrati e truppa sono quelli che accompagnarono il Re e fecero baruffa tanto contro i republicani allorchè vollero carcerare il povero Re e poi essi colli svizzeri sud. che erano la guardia di quello. Andarono sotto la condotta del Conte di Condè fratello del Re e fecero guerra unitamente alli imperiali contro li assanculeisti o siano repubblicani francesi e corsero la peggio nelle coste del Reno in Francia.
Li sud. militari componenti la banda allogiarono ne capuccini e le case de paesani furono esentate da questo incomodo. Li cariaggi di seguito stettero sparsi nella piazza entro il Castello, guardati da opportune sentinelle, ove era tutto il bagaglio. Nel palazzo Locatelli vi furono eretti entro diverse botteghe di carne, comestibili, di vino, caffè ed altre vettovaglie. Assegnato perciò a ciascuno il respettivo posto e banca dal senatore Filippo Conte Bentivoglio di Bologna col titolo di Giusdicente con ampie facoltà del principato, fu passata la pagnotta ad ogni soldato dal nostro fornaro Giulio Viscardi secondo l’ordine di Bologna di libre tre e mezo l’una per ciascun soldato, farina tutta condotta, che per essere grande il pane il fornaro lo vendeva alli particolari persone che ne valevano soldi nove per ciascuna, ma li soldati le vendevano soldi sette l’una. La paga militare era compresavi la pagnotta ed una lira carne a testa di soldi ventotto e mezzo per ogni soldato.
Partirono il mercoldì alle 13 della mattina che fu alli 9 marzo e non diedero alcun danno, nella partenza come nell’arrivo furono scortati da sette dragoni a cavallo del Papa per segno che il pontefice le aveva accordato il passaggio ne suoi stati e furono d. soldati credenziati.

(91s) Adi 9 d. mercordì nonostante la neve appena partito lo stacamento sud per Imola, giunse su le 17 avvanti mezodì un altro stacamento di pedoni di N. 250 ed alloggiarono come sopra, poi partirono il venerdì alle 11 ed alle 19 giunse altro stacamento di fucillieri con l’avanguardi delli dragoni sudd. e con tamburri in N. fra tutti di 400 ed allogiarono nelli sud. palazzi con la ufficialità e le donne ed amalati in S. Francesco, avevano questi quattro carettoni con fucili e poco bagaglio.
Adi 12 marzo domenica di Passione partì la colonna sud. di inglesi per Imola alle ore 13 ed alle ore 19 giunse un altra colonna del sud. regimento preceduta dalli dragoni pontifici a cavallo ed alloggiò nelli palazzi sudd. e poi stette fino alli 15 d.
Martedi mattina in su le ore 18 giunse una nova compagnia di emigrati al N. di 400 con la sua banda e bandiera del Re d’Inghilterra, erano questi denominati li Cacciatori, avevano il fucile corto, bajonetta e sciabola, l’uniforme era tutto rosso di taglio corto, con divisa gialla, capello rotondo e di zuccolo alto trinato di bianco, con una coda di orso sopra che formava una cresta e sembrava un elmo. Erano divisi in due fazioni una di granatieri che aveva tutti il zuccolo del capello ricoperto all’interno d’una fascia di fettuccia rosa pelo di castore e nella parte d’avvanti aveva la granata incisa d’aciajo, che risplendeva a guisa di una stella, nel resto il capello era uniforme alli altri sudescritti con coda di orso che formando una cresta sembra una celata. Li altri fucilieri avevano la cocarda nera. Avevano poi seco una banda questo battaglione altrettanto numerosa di

(91d) ogni strumento di fiato e tamballo con lo stemma d’Inghilterra ed era vestita tutta di torchino panno strinato di bianca lista e torchina ricamata.
La sera stessa seguì una diserzione di nove granatieri per la parte della nostra collina tenendo la via di Firenze per la via di Viara, furono tosto inseguiti da un pichetto di dieci fucilieri con capellano seco.
In questa colonna vi erano li Duca Chelus, il Principe di S. Clù.
Adi 17 d. giorno di giovedì alle 12 partì la sudd. colonna per Imola ed alle ore 12 dello stesso giorno giunse l’ultima colonna di simile uniforme, aveva questa seco solo due tamburri e dalla citta di Bologna venendo a questo castello sempre per istrada batteva il tamburo e cosi fecero le altre colonne. Eranvi in questa medesimamente nobili francesi che portavano il distintivo del loro ordine in petto e furono il Principe di Comoransì che aveva avuto contesa per la corona lungo tempo col fratello di Luigi XIV, guilotinato nella presente prosima passata Rivoluzione. Partì questa il sabbato mattina alle ore 12 e fu il 19 caddente nmarzo.
Alli 23 d. venne un ordine di restar preparato per l’arrivo di una cavallaria napoletana al N. di 10 milla in più colonne proveniente di Napoli per andare nella Lombardia e ciò seguirebbe il di 6 venturo aprile, a questo effetto spedito qua l’agente di casa Caprara si fece egli fare la obligazione dalli osti del Borgo Nicola Farnè e Gaspare Sarti per la sovenzione di fieni necessari valutati il fieno l. 4 per cento e l’orzo l. 10: 16 la corba, cioè soldi 13 per quartirolo per N. sei squadroni di cavallaria di sua Maestà ciciliana destinati essendo N. 60 cavalli per ogni squadrone, ciò seguì per obbligazione legalizata da me not. e rimessa alli due senatori deputati dall’Assonteria di Milizia Caprara e Bentivoglio; si visitarono ancora altre stalle.

(92s)Adi 28 marzo lunedì, festa seconda di Pasqua di ressurezione, la notte venne una grossa neve ma durò poco poiché il dì seguente si squagliò tutta. E’ da notare che il giorno 19 festa di S. Giuseppe non essendosi fatta la procesione premeditata fino l’anno scorso a motivo di non dar stato alla compagnia del SS.mo S.to per le processioni e nove funzioni, essendosi fatto non picolo mormorio ancor quest’anno dalla populazione, furono carcerati alquanti sussuroni del Castello ma poi rilasciati a motivo d’ovviare ad uno sconcerto.
Mercordì giorno 30 marzo, affine di eriggere un novo teatro, il Consolo Lorenzo Trochi cominciò a far tagliare internamente li grossi muri del torazzo o sia baloardo nell’angolo sinistro inferiore del castello su dissegno di Vittorio Conti, ma è di così dura materia, che conviene usare scalpelli.
Adi 31 d. si sparse nova come era già stata fatta la pace universale fra li republicani francesi, l’Imperatore, Inghilterra, Torino e altre potenze aleate per deprimere la solevazione ed assemblea di tutta la Gallia.
Adi 6 aprile mercoldì venne il senatore Filippo Bentivoglio deputato dall’Assonteria di Milizia a preparare li quartieri per la truppa a cavallo napoletana che andava in Lombardia. Si chiamò Consilio nel quale intervenne il senatore, quivi produsse una nota di letti, biancaria ed altri utensili domestici per mandarli nei palazzi Locatelli, Malvasia e casa Stella per esentare li paesani dalli incomodi della soldataglia, si fece perciò un riparto tanto di biancaria che di letti, coperte ed altro cose a diverse familie del paese. Fu convenuto che per la volta che fosse persa o andasse a male, pagasse la Comunità, da ripetersi dalla Assonteria il ristoro. Per effettuare questa azienda furono deputati, in presenza del senatore, il Consolo Trochi, Agostino Ronchi e Francesco di Pietro Conti.
Adi 7 aprile giovedì ad ore 16 giunse l’avvanguardia della cavallaria e furono li cavalli alloggiati nelle stalle dell’osterie del Portone e Corona. Al Castello fu eseguito precetto di ritrovare le carra e bovi occorenti per il trasporto del bagaglio dando per paga a villani dodici bajochi per miglio fino alla osteria della Campana per li giorni 7, 9, 11, 13, 15, 17, 19 d.
Il giorno adunque 8 aprile su le 20 in giovedì giunse la prima colonna della cavallaria napoletana, brutta gente, mal in ordine, cavalli mediocri e bagaglio miserabile, l’uniforme turchina con cordonato rosso nelle cociture, corto fino alla centura come un corpetto e fascia rossa alla centura, sprovvista di danaro, capello grande senza bordo. Restò allogiata tutta nelle locande del Borgo cioè Corona e Portone. Non fece né male né bene al alcuno, onde tutto il gran preparamento fatto fare dal senat. Conte Filippo Bentivoglio a nulla valse.
Il sabato mattina 9 d. partì questo colonna alle ore 12 senza fare punto alcuna mostra ed ordinanza come fece quando giunse, che solo prima di entrare in Borgo si fermò al molino e si schierò in una sola fila per racontare il numero delli militari. La sua bandiera era bianca ricamata d’oro ma di una picolissima mostra, larga come un facioletto da naso, così che era e riesciva a tutti redicola. Lo stesso giorno ottavo di aprile si chiamò Consilio da Consolo Trochi ed espostò in esso, radunato in N. di nove consilieri, la sentare al Cardinale dal d. Ronchi e dal Legato Serafino Betti. Contemporaneamente fu affissato il Bando della Legazione sopra il passaggio che è l’unito. [A.23]
Adi 10 aprile giorno di domenica su le 16 arrivò la seconda colonna di cavalli napoletani in N. di 140, gente tutta mal coredata colla sua bandiera uniforme alla prima e così l’abito con pochi cariaggi, cosa piutosto di poco pregio
Il senat. Bentivoglio, atteso il memoriale datole contro tutta la Comunità, non si vide in paese ma venne il sen. Conte Carlo Caprara, uomo piuttosto bestiale e plateale che non ebbe gradenza minacciare il Consolo Trochi di farlo legare e di minacciare pure il segretario della Comunità ser Francesco Conti notaio a motivo del memoriale datole contro il suo compagno. In seguito venne lettera dall’Uditore di Camera V. Berni delli Rutony diretta alla Comunità, responsiva al memoriale sud.
Si accennava in esso la compiacenza del Papa per il maneggio del Conte Bentivoglio, poi riprendeva la Comunità per averla data tale suplica al Cardinale ed infine che la instanza fatta era originata da alcuni individui della Comunità, che non amavano la subordinazione.
Si rispose a tutto e segnatamente all’articolo della insoburdinazione dicendole che il trattamento al comune di Castel S. Pietro si doveva osservare umanamente conforme la letera apostolica di Nicolò V Papa, portata nel T. secondo dello statuto di Bologna del Sacchi, affinchè il paese avesse più felice accrescimento.
Adi 11 aprile lunedì partì la sud. colonna, in cui eravi il Viceré di Napoli che alle ore 11 attesoche erano venute cattive nove per li progressi de francesi nel genovesato ove li austriaci furono chiamati entro Genova.
Adi 12 d. martedì venne il sen. Bentivoglio, non ostante il memoriale datole contro dalla Comunità, ma però, come si suol dire, castrato. Al suo arrivo il Consolo Trochi le diede il ben tornato, rispose egli: Sono il Senatore Bentivoglio, ed il Trochi, quantunque uomo poco esperto nelli tratti, replicò costantemente: Ed io sono il Consolo di Castel S. Pietro a comandi dell’Ec.za V.ra, della Sig. di Assontaria e del sig. Cardinale Legato e qui finì tutta la publicità seguita nella strada maestra del Borgo che porta entro il Castello avvanti la casa di Nicola Maragi nel punto che calava di (…).
Lo stesso giorno alle ore 19 giunse la terza colonna della cavallaria siciliana tutta bagnata per lo scroscio d’acqua e tempesta seguita. Alloggiò nelli soliti quartieri destinati. La sera il comandante del Papa con dottore de suoi dragoni per nome sig. Fioravanti romano, raccomandato a me dal comandante Borgianelli di Monte Lugone, mio amico, diede in casa mia festa da ballo a suoi officiali e la mattina seguente ad ore 11 del mercoldì partì per Bologna colla cavallaria.
Adi 14 aprile giorno di giovedì giunse la terza colonna alle ore 20 ed alloggiò a li soliti quartieri. E’ da notare come essendo giunta lettera dall’Assonteria di Governo diretta alla Comunità sopra il ricorso fatto, si presentò in seguito al sen. Bentivoglio il Consolo Trochi col cap. Pier Andrea Giorgi e me Ercole Cavazza quale, capacitato del motivo per cui era accaduto il ricorso, egli promise porre tutto in silenzio.
Adi 19 aprile martedì mattina alle ore 12 partì l’ultima colonna della cavallaria napoletana per Bologna e così tutto finì.
La vertenza che esisteva contro questa compagnia del SS.mo col sig. Luigi Tassinari, di cui si scrisse l’anno scorso che volevasi opprimerla per farla dichiarare inpotente a sostenersi per li debiti, oggi è stata terminata col pagare scudi duecento col decreto dell’Arcivescovo per gli atti Sachetti de quali, non avendo che scudi 80 io ne soministrai 120, come appare da publ. instrumento rogato insolido per li dott. e not. Luigi Piana e Vincenzo Fontana bolognesi, e così fu di tutto assoluta la compagnia. La mia sovenzione dovrà poi rimborsarmi a scudi 40 l’anno in tre anni.
Adi 13 aprile si diede esecuzione alla sentenza delli rivoluzionari di Bologna, compagni di Luigi Zamboni. Il primo fu Giovanni de Rolandis da Asti piemontese, colegiale del Colegio Ferero di Bologna detto della Viola, che fu impicato nella Montagnola con una figura acanto di strazzi imitante il già Luigi Zamboni. Li tre fratelli Suzzi della Molinella furono condannati il primo alla galera per anni cinque, il secondo in fortezza per anni 10 e l’altro al perpetuo esiglio dalla provincia di Bologna. Il Bambocci di Ancona con il dott. Pietro Gavasetti bolognese in galera per anni cinque, il dott. Angiolo Sassoli bolognese alli esercizzi per tre mesi in figura di carcere (…) legali. La donna poi cioè Brigida Zamboni, madre del d. Luigi colla figlia furono condanate in vita nella casa di corezzione di Roma. Le porte della città oggi sono state chiuse ai carcerati
Adi 20 aprile, attesa la penuria d’aqua e le grandi eruche che corrodevano le foglie alli olmi per cui le bestie si vedono in pericolo di miseria, si fece quivi un triduo a Maria SS.ma del Rosario coll’esporre alla publica venerazione la sua Imagine e il mercoldì si diede la S. Benedizione all’altare maggiore della parochia. In questi giorni faceva gran freddo e venti rigidi.
Sicome la soprascritta esecuzione di sentenza non fu propallata se non oggi in tribunale così quivi viene espressa come si è avuta dall’officio. [A.24]
Giovanni de Rolandis di anni 22 colegiato del colegio Ferero alla morte su la forca. Luigi Zamboni che si uccise da se, effigie dipinta nell’esterno delle carceri. Dott. Antonio Suzzi della Molinella fortezza per anni 7 poi esiglio dallo stato pontificio. Brigida Zamboni, madre del sud. con Barbara Borghi, mendicanti in vita da (…). Antonio Farnè e Camillo Galli, che dovevano fare da carnefici al Legato, V. Legato, Confaloniere e Uditore, criminali sotto la forca, furono salvati per nullità del processo, avendo l’Uditore scritto le deposizioni delli sud. in causa propria mentre il reo Galli disse che doveva anco impicare il med. esaminante; poi in galera in vita sotto bona custodia. Camillo Tomesani, galera per anni 10 con Giuseppe Suzzi fratello del sud., poi esiglio dallo stato pontificio. Tomaso Bambocci da Ancona e dott. Pietro Gavasetti galera per anni 5 poi esiliato come sopra. Filippo Marzochi repertus non culpabilis. Dott. Angiolo Sassoli dimittat. ad mentem E.mi et ad exerciziam. Alessio Succi della Molinella fratello delli sud. esiglio come sopra. Luigi Montignani e Giovanni Calori dimittatur exilio satis. Giovanni Osbel tedesco e Gio. Battista Neri esilio come sopra. Giacomo Comaschi carceriere per che sciolse la catena al Zamboni onde si appicasse ad opus per anni tre. Tutti li accenati sono bolognesi ecetto quelli che si è notata la sua patria. Angela Conti moglie del devito Vittorio Conti fu asoluta.
Adi primo maggio in sabbato si andò a prendere la S. Imagine di Poggio per le rogazioni.
Tenendosi la strada di Medicina, detta volgarmente di S. Carlo, molto disastrosa ridotta a motivi di non esservi mai stato fatto alcun beneficio ma per che era tale, avendo fatto due anni sono fatte instanze al card. Legato Andrea Archetti che le rimise all’Officio Aque, ne fu decretato il rissarcimento, al quale effetto, essendo stato deputato il tenente Gio. Francesco Andrini per soprintendente e capo della instanza, fu al med. accordata una parte della inghiarazione di Castel S. Pietro da farsi ne luoghi necessitati. La med. strada, essendo in alcuni luoghi angusta il med. Andrini ottenne da fronteggianti , coll’approvazione dell’Officio Aque, chiudere tali fossi da una parte. Il massimo benefattore è il marchese Annibale Banzi e mons. Banzi suo fratello, possessori di un lunghissimo tratto di terreni da Poggio fino a Castel S. Pietro.
Adi 2 d. domenica mattina il d. Andrini fece pubblicare la nota de villani tenuti al lavoro.
Adi 3 primo giorno delle Rogazioni venne nova come li francesi avendo dato una battaglia sul Piemonte, ove erano tre generali austrosardi ed imperiali, furono socombenti li austriaci con perdita di un regimento intero del comandante Argentò che fece egli tradimento, in cui fra prigionieri e morti furono 22 mila. il generale Colli, ed il generale Buliò tedesco, avendo preso il posto della Rochetta, convenne loro ivi stare per sua diffesa. Li francesi sono 180 mila, li austriaci non giungono a 100 mila onde, accostati per altre parti li francesi a Torino, convenne al Re domandare la pace la quale sta in potere della assemblea francese.
Per effettuare la quale il generale francese ha volsuto in ostaggio Tortona con la fortezza, Cunia, Mondovì, Ceva ed alcuni altri luoghi da esso presi e resta fermato da Torino 15 miglia, onde si teme che non invadino li stati pontifici, perciò si fanno divozioni per lutto. In Castel S. Pietro si trattiene la B. V. di Poggio per un triduo e stette fino alla domenica del corente maggio dove che la Comunità in forma vi intervenne ricevuta alla porta della chiesa dell’oratorio nella piazza coll’aqua benedetta, assistì a tutta la messa solenne in musica celebrata dall’arciprete Calistri. Ricevette la Comunità oltre l’aqua benedetta anco la Purificazione presente l’arciprete.
Adi 9 d. lunedì di sera fu tutto il paese in comozione a motivo che Luigi Visibelli, pastarolo di paste all’uso di Puglia, racontò per cosa certa che li francesi erano avvanzati fino a Modena con un corpo di 15 mila militari, dove che la gente fuggiva. Egli è però vero che solamente questo corpo si portò all’interno di Parma ove, chiuse le porte, entrò solo il comandante e non trovatolo fu diretto a Colorno, dove ricevuto, l’ambasciatore francese chiese a titolo di sussidio per la truppa 36 milioni di lire e vittuaria.
Il Duca facendole presente che nella pace seguita fra l’assemblea e la Spagna, alla quale apparteneva il ducato di Parma e Piacenza, non doveva darle nulla. Il comandante replicò che non a titolo di contributo ma a titolo di sussidio chiedevale tanto. Il Duca per ciò le fece pagare immediatamente scudi quattrocento milla, 28 bovi, vino e farina molta onde, ciò avuto insieme con pane e vino, venne il corpo alla volta di Modena e Regio feudi imperiali. Il duca d’Este di Modena Ercole I partì per Venezia il sabato notte venendo alla domenica passata per assicurarsi della vita colla moglie. Entrò in Bologna alle 5 e alle 6 partì per la porta di Galliera verso Ferara. Il marchese Rangoni con altri nobili modenesi e regiani partirono per Firenze.
Si quietò poi lo spavento dal canto nostro il martedì sera giorno delli 10 quando si intese che nella pace, seguita pochi anni sono tra la Spagna e la Assemblea e Repubblica Francese, vi fu incorporato lo stato e ducato di Parma e Piacenza e lo stato pontificio confinante onde si misero in quiete li animi della nostra popolazione e si rasserenarono tutti.
Ma chi si può fidare di gente senza legge e senza Capo, che tante e tante volte nella presente rivoluzione ha mancato nelle parole ed ha vinto con tradimento?
Adi 12 maggio giovedì stante le notizie cattive che si erano avute ed avevano dei progressi de francesi nella Lombardia austriaca coll’essersi impadroniti di Cremona, Lodi ed altre città minacciando il mantovano, si pensò da alcuni devoti del nostro Castello fare un triduo di supliche a M. V. detta del Soccorso nella chiesa dell’appena supressa compagnia di S. Cattarina. Questo si effettuò e fu collocata la S. Imagine dalla sua nichia nell’altar maggiore della sua chiesa il sabbato Santo vigilia delle S. Pentecoste, ove stette esposta fino al lunedì sera, dandosi ivi la s. Benedizione col SSm.to. Vi fu concorso grande di popolo ed abbondanza di messe. Erano in punto anni 24 che non si era mossa dalla sua capella e luogo.
In questo corso di triduo la domenica di Pentecoste giorno 15 maggio si ebbe l’infausta nova come Milano era stato circondato dalli francesi e che il loro generale Bonaparte le aveva intimato la resa colla contribuzione di danaro inpossibile a soddisfarsi e che intanto erano state abbassate tutte le armi o siano stemi gentilizi dell’Imperatore e delle aquile, che li francesi aveva predato molte casse d’argento che si mandavano a Venezia con altri bottini di conseguenza, che nella città si facevano le sentinelle dai nobili e non da popolari per tema di una rivoluzione e finalmente il generale Buliù austriaco si era ritirato verso il Piemonte ma con poca gente e colla sola speranza di avere un tardo soccorso dalle parti di Mantova e scarso in proporzione della moltitudine francese.
Li nostri bolognesi, temendo ancor essi di una ritirata delli francesi dal milanese, stanno in gran timore del popolaccio, che per ovviare alli disordini che in questi frangenti accadono fanno battere moneta d’oro e argento colle argenterie pubbliche oltre l’avere preso ad usare da genovesi settantamilla scudi.
Di Bologna sono partiti e partono molti poveri francesi emigrati e preti diportati, il mondo è in gran conflitto. L’ira di Dio è sopra la terra. Non si vede scampo se non per un miracolo. In Bologna si sono pure abbassate le armi auguste e quelle tutte che portano aquila per timore di una insurrezione parziale alli repubblicani francesi.
Sono stati in questa contingenza spediti quattro senatori alla volta di Parma per rillevare la situazione delle cose. Dicesi che marchino col nome di repubblicani bolognesi o come indipendenti dal Papa. Sono questi cioè: sen. Lodovico Savioli, sen. Conte Carlo Caprara, sen. Vincenzo Marescalchi e sen. Conte Giuseppe Malvasia.
Adi 16 maggio seconda festa delle Pentecoste quantunque il giorno fosse piovoso, essendosi terminato il triduo fatto a M. V. del Soccorso in questa chiesa di S. Cattarina da alcuni devoti di quel quartiere coll’essersi data ogni sera la benedizione col venerabile che si custodì in quella chiesa ogni notte, avendovi il moderno arciprete fatto fare aderentemente alla med. chiesa la abitazione di un custode della med. che il primo fu Francesco di Pietro Alvisi, si diede finalmente questa sera colla S. Imagine la benedizione al popolo in mezzo alla strada doppo anni 24 che ciò non si era fatto.
Nel dì 17 poi ultima festa di Pentecoste fu chiamato Consilio, in esso fra le altre cose propose il Consolo Trochi di fare un triduo nelle presenti crisi della Francia colla chiesa e potenze cattoliche per le quali era tutta in iscompiglio la provincia di Bologna. Sentendosi volte l’armi allo stato pontificio e sul modenese dove che Modena era stata dichiarata città di conquista francese, fu determinato che il Consiglio in forma si sarìa portato il terzo giorno alla solita visita di S. Bernardino alla chiesa de francescani al proprio altare ove, se si fosse fatto il triduo ad onore de santi Bernardino e Pietro protetori del paese, la Comunità aurebbe contribuito dalla propria rendita unicamente e non altro che sei candelotti di cera di una libra l’uno circa da presentarsi il giorno della visita e così fu rissoluto.
Nel di 20 d. poi si cominciò il triduo dandosi ogni sera la benedizione col SS.mo all’altare della Comunità.
In questo tempo si publicò un bando prod. dalli Monti de Depositi o sia di Pietà di Bologna di dovere fra tre giorni riscuotere li pegni di argento ed oro fatti, altrimenti sarebbero andati in sorte. [A.25]
Nello stesso tempo girava un foglio per la città e contrade sopra la libertà, dicesi proveniente da Genova ma pur troppo si crede nato in Bologna il di cui tenore è l’unito alla presente legenda.
Il bando o sia notificazione del Monte di Pietà avendo fatto nascere in Bologna un non sospettoso sussurro della prossima invasione de francesi, fu in qualche pericolo la città. Fu perciò moderata la notificazione in rapporto alli pegni fatti con chiarire li ori ed argenti senza tara e maggiori delle lire venti di contanti ogni pegno, cosichè li minori e le altre robbe preziose non sarebbero andate all’incanto e quanto al tempo fu dilazionato ad otto giorni per li comitatini, cosa che invero fece ribrezzo. E fosse l’affluenza di popolo nelle riscossioni o fosse il timore de francesi prossimi, che erano poi andati alla volta di Mantova, naquero anco nel contado e città impressioni grandi che molti murarono li argenti e robbe preziose, tanto più che si era vociferato che si facevano cuniare nova moneta all’effetto di darla in un contributo alli francesi allorchè fossero venuti. Egli è certo che si fece cuniare quantità di moneta ma da Zecca chiusa, onde solo il rame si vedeva cuniare per non intimorir dippiù il popolo.
Li generi di grano e formentone si accrebbero di prezzo, dalli l. 9 la corba il formentone ascese a l. 10 in un momento e cos’ il grano dalli l. 12 andò alli 18 a motivo che il Senato aveva fatto una compra di quattro milla corbe grano in un punto nella Romagna, ancorchè la stagione andasse bene colla aqua giornaliera.
Li P.P. M.M. O.O. di S. Francesco in questo Castello nella cui chiesa facevasi il triduo acennato diedero segni di penitenza e contribuirono colle orazioni pubbliche. Solo le genti oziose e scapestrate in questo loco facevano Glubbi all’uso francese o sia conventicole per modo che furono necessitate molte persone e famiglie del quartiere e contrada di Saragozza ricorere al Legato per la revoca delle licenze date fori dal tribunale a questi osti.
La Villa di Poggio prosseguendo ad essere turbolenta contro la Comunità di Castel S. Pietro diede nova suplica al Papa onde si degnasse far vedere l’articolo delli pesi insoportabili che suponeva e voleva far credere che venissero imposti dalla Comunità. Il Papa rimise la suplica al suo uditore onde, per che il dubbio primo sopra la smembrazione era tutto collocato e fondamentato sul quale delle gravezze, la Comunità impose al suo diffensore ser Giovanni Celestini andare avvanti nelli atti giudiciali dinannzi alla Congregazione passata, nella quale era stato sostituito mons. Napalioni in loco di Mons. Eschine promosso alla porpora e di mons. Alessandro Malvasia in loco di mons. Paracciani morto.
Adi 21 d. giorno della ottava di Pentecoste la Comunità andò in forma alla visita de SS. Pietro e Bernardino protettori del paese non secondo il solito alla messa cantata colla compagnia del SS.mo, ma anco con una oferta di cera in sei candelotti portati da due fanciulli capati della compagnia sudetta collo stema e bandiera sopra della Comunità per il triduo terminato.
La notificazione del Monte sopra li pegni fu prorogata dalli tre giorni alli otto di tempo a riscuotere per l’esclamo della povertà. In appresso doppo questa dilazione fu a suon di tromba fatto intendere alla poppulazione che per ora erano sospese le pignoragioni.
Adi 26 maggio giorno del Corpus Domini, per evitare maggiomente lo spavento in cui era tutta la città e per iscansare ancora un qualche amutinamento e meditata insurezione per la diversità dei geni che erano seminati per tutta la legazione chi per la nazione francese chi per l’austriaca, fu pubblicato l’annesso bando proibitivo parlarne in alcun luogo. [A.26]
Tanto più che molti venivano animati alla libertà, come si legge nell’annesso foglio del generale Bonaparte, che è una orazione militare fatta a suoi comilitoni per incoragiarli alli progressi. [A.27]
Si ebbe notizia come li milanesi, mal sopportanti la soperchierie de francesi, insorsero contro questi dove nata una solevazione interna alla città in occasione di una festa da ballo, restò divisa in due fazioni la città, una partegiando la Francia, l’altra l’Austria. Questa fu la vincitrice e cacciò l’altra con mortalità di persone dall’uno e all’altro canto. Similmente ciò accadde in Pavia, in Collegno ed altri luoghi del Piemonte e Lombardia austriaca.
In questo frangente avendo mandato al generale francese Bonaparte, che teneva la sua truppa nel parmeggiano e minacciava l’ingresso nello stato pontificio, il ministro di Spagna Ezarra con il tesoriere di Ferrara Francesco Bottoni a trattare perché non facessero danno allo stato, poco mancovvi che fra Parma e Piacenza non rimanesse estinto il primo, mentre convenne essere scortato da picolo stacamento francese. Nella permanenza furono ricevuti e trattati bene in Piacenza ma poi spediti a Basilea alli Assemblaisti autorizati dalla Assemblea di Parigi a trattare pace o farle altre determinazioni secondo il uopo.
L’esito di questa facenda fu che chiesero li francesi al Papa quaranta millioni di scudi, la Specola di Bologna e quattro quadri di pittura inapreziabili, cioè il famoso S. Francesco di Guido in casa Zambeccari, il S. Pietro dello stesso autore nella galleria Sampieri e quattro altri quadri eccellenti nella galleria delli Sampieri, tra questi il famoso S. Pietro di Guido, il Baccanale di puttini dell’Albani.
A queste domande non si sa altra rissoluzione pontificia. Quello che è da temere si è che nella Lombardia li francesi hanno gran partito, massime poi in Modena per che quel popolo è stato angustiato dal suo sovrano Duca Ercole I d’Este, che l’ha esanguato con tributi enormissimi.
Ezarra per tanto, Ministro della Spagna, avendo in Basilea trattato ed esplorato l’animo delli Assemblaisti deputati intorno ai movimenti dell’armata che in Lombardia militava contro li imperiali, fece mediante coriere espresso intendere al Senato ed al Legato apostolico in Bologna che non avendo mai avuto la Francia guerra e provoche nelle presenti vertenze repubblicane contro il Papa e suoi Stati, per ciò deponesse ogni timore di irruzioni e contribuzioni sopra li suoi sudditi ed in conseguenza vivessero tutti tranquillamente ed in pace. Deposti in Bologna li dispazi, il coriere proseguì la sua corsa di volo a Roma per questa parte di Loreto il dì primo di giugno che fu il martedì santo, onde ognuno si rasserenò d’animo.
Stante le presenti angustie che si fanno dalli francesi nella Lombardia e le contribuzioni che si sono imposte massime in Milano dove sono trattati que cittadini barbaramente e che si impongono nel modenese, temendosi dal Papa che non rompino li stessi francesi le promesse avvanzate di non volere molestare né imporre contribuzioni alli Stati pontifici, fece prendere in nota tutte le argenterie delle chiese di Bologna eccettuati li vasi sacri e furono comisssionati li due cardinali Legato e Arcivescovo. Ciò fatto in Bologna si eseguì similmente nelle diocesi onde, di ciò incaricato, questo nostro arciprete Calistri nel giorno di jeri 3 giugno con ordine pressantissimo spedì all’arcivescovo la nota di tutte le argenterie di parochia spettanti alla Compagnia del Rosario e furono otto candelieri grandi da altare e due mediocri per li cersorari, la croce grande della palliola, lo stendardo grande tutto di lamina d’argento manifattura di Milano, le lampade e li turiboli, cosichè si crede sia ciò valore di 4 mila scudi sicuramente. Le altre chiese sono mancanti di queste richezze, alle quali vi si aggiunse anco tutto l’altare cioè palio e scassette del Rosario di veluto con rabeschi di lamina d’argento.
Ciò è stato fatto all’ogetto battere moneta per ripulsare il nemico al bisogno oppure contributarlo, ma intanto alli baroni del paese sia di Bologna che della provincia non vi si provede e di giorno si accrescono e si fanno audaci, insolenti e prepotenti colle ruberie e stanno sul gioco a motivo che dalli uditori si danno le licenze di giocare non ostante li bandi.
A questo effetto non potendosi vivere nelle case e per il rumore, né passar per le strade per le bestemie e giochi da palle che si facevano nella piazzola di dietro a questa mia abitazione detta volgarmente al Torrazzo, fui necessitato ricorrere con suplica al Card. il quale ordinò tosto all’uditore del Torrone proibire a Vincenzo Trapondani pascolare il gioco in questo loco essendo egli l’oste vicino.
Trovandosi nel colegio seminario di Bologna l’unico filio maschio di cod. sig. Francesco Conti, nome Emidio, nel giorno 17 giugno ad ore 21 fece le sue conclusioni publiche nella sala dello stesso seminario sotto il Lettore pub. Giovanni Aldini in N. di 11 tesi de Deo eiusque attributis more accademico e si fece molto di onore .
Adi 17 il Card. Legato di Bologna spedì una circolare stampata a tutte le Comunità della Provincia con piego incluso da non aprirsi se non domenica ventura 19 corrente giugno e ciò fu fatto con partecipazione del Confaloniere e Regimento sotto pene arbitrarie e poscia pubblicare al popolo quello che dentro vi si trova.
Finalmente il 19 domenica mattina doppo l’ora dei divini officii, essendosi convocato il Consilio da me Ercole Cavazza decano della Comunità per assenza del moderno Consolo Lorenzo Trocchi e del segretario Francesco qd. Lorenzo Conti, si è aperto il piego spedito da Bologna con tanta gelosia che faceva ed a fatto stare in ispavento ed agitazione la nostra popolazione. L’apertura di questo, premesso il suono della campana publica della torre non solo ma anco l’aringo colla campana maggiore nel campanile vicino alla parochia, l’uno e l’altro del publico di questo Castello, si è ritrovato e letto un lunghissimo Bando sopra la seta e follicelli il quale acorda fra le altre concessioni la libertà di estrarre la seta greggia e li bachi fori di provincia senza tratta e dazio limitatamente a quest’anno stante l’incaglio deli veli e sete nella città di Bologna per le presenti guerre della Francia, Austria, Inghilterra ed altre potenze di Europa. Oltre il Bando provisionale se ne è pubblicato altro e letto il suo tenore sopra le monete erose novamente cuniate cioè quelle da pavoli sei, quelle da 25, quelle da 15 e sue spezzate.
Le quali providenze furono poi sospese a motivo dell’ingresso nella città delle truppe francesi che seguì la sera stessa del generale Giuseppe Bonaparte in 5 milla francesi parte a cavallo e parte a piedi introdotti dal senatore Carlo Caprara, lo che spiaque molto alla populazione mentre a vista fu presa la piazza, scacciato il presidio bolognese, arestato il Legato Vincenti, il vice legato Corsini poi fu guernita la piazza di due pezzi di canone ed un mortaro da bomba e fucillaria. E quantunque si facesse la solenne processione per la via degli Orefici riccamente apparata, ciò non ostante restò molto scompigliata dalla forestaria.
Il lunedì che fu li 20 fu dichiarata Bologna repubblica e subordinata alla Francia. Filipo Ercolani confaloniere restò in palazzo, furono chiusi tutti li offici e licenziate le magistrature. Il lunedì seguente che fu li 20 fu pubblicato l’annesso avviso ed intimazione a quelli di Castel Bolognese per essere reintegrati nel dominio bolognese. [A.28]
Il card. Legato fu licenziato in termine di tre ore da Bologna, distraendo però il vicelegato. Li uditori del Torrone cassati. Il Card. passò di Castel S. Pietro imediatamente per la Romagna. Il coriere di Roma non si potette inoltrare e stette fermo in Imola fino al martedì successivo. Li uditori Federico Pistrucci e Fenucci criminali fuggirono sopra un giumento alla volta di Medicina.
La stessa giornata fu per Bando del sud. generale ordinato che si portassero tutte le armi da foco nelle scuole pubbliche e tutti li cavalli da sella si riducessero nel prato della chiesa di S. Francesco come dalli uniti bandi stampati. [A.29]
In questo conflitto di cose niuno più ardì di parlare , il martedì seguente poi si fece un congresso nel Senato e restò tutto il palazzo in mano del general francese, si levarono le armi pontificie e in loro vece vi fu posto quelle della Francia e del Senato.
Nella stessa sera di notte tempo verso le 2 fu presa la fortezza urbana con stratagema e fatto prigioniero il castellano. La mattina seguente del lunedì fu fatto prigioniero di guerra tutto il presidio pontificio nella città di Bologna, indi la guardia svizzera del palazzo. Poi furono spediti li ufficiali del pressidio col maggior dell’armi (….) Conte Pirro Malvezzi sotto bona custodia alla volta di Nizza in Provenza, ma furono poi richiamati nel viaggio. Furono altresì arestate e sigillate tutte le casse publiche dei Monti, della dogane, delli dazieri, della tesoreria e del pubblico e con esse arrestato Antonio Gnudi diletto del Papa, i tesorieri di sud. Vincenzo Galli appaltatore del Tabacco e Gaetano Terzi capo della ferma che in appresso furono poi rilasciati.
Li tribunali furono chiusi ancor essi ma poi aperti e seguirono altre cose nella città che da altri scrittori e diaristi saranno forse più esatamente scritte a memoria de posteri.
Nell’arrivo che fecero li francesi a Crevalcore seguì un furto sacrilego alla chiesa di Branunzio. Fu preso il reo e fu tosto punito. Doppo queste cose fu chiamato l’arcivescovo Giovanetti dal generale Bonaparte. Non voleva presentarsi l’arcivescovo adducendo scuse, ma le convenne ubidire e portatosi in Palazzo riscosse dal generale una amonizione acciò il clero fosse più catolico, meno scandaloso, più studioso e meno simoniaco perché troppo informato di tanti assordi in Bologna, come è verissimo accadevano. Furono in appresso pubblicate le unite providenze. [A.30]
Nello stesso Consilio tenutosi il giorno d’oggi dopo la estrazione del Consolo , inerendo alli ordini avuti di Bologna furono eletti due consilieri acciò col Consolo andassero il dì 30 alla città a giurare in mano del Confaloniere fedeltà e ubidienza alle leggi fatte ed alle nove da farsi. Furono col Consolo Trochi Francesco qd. Pietro Conti e Floriano Fabbri, quali nel dì 30 tanto eseguirono.
La nota de grani ne magazeni trovata è la seguente cioè:
Nei magazeni delli sig. Conti Gini custoditi da Crispino Tomba, grano
di ragione di Giacomo Facini d’Imola detto Nardone:— corbe 1200.
Del sig. Matteo Contoli di Castel Bolognese:—–corbe 30.
Nelli magazeni del sig. Giulio Andrini custoditi da Domenico Zechi, grano
di ragione del sig. Pirazzoli d’Imola: —-corbe 150.
Di ragione del Piancastelli :—corbe 50
Di ragione di Vincenzo Vanini d’Imola:—corbe 150
Di Giuseppe Camerini di Castel Bolognese:—corbe 125
Di Biagio Silvestrini:—corbe 300
Nelli magazeni del sig. Giovanni Caprara di Simone Minghetti.
Grano di Giovanni de Giovanni e Gottarelli:— corbe 300.
In altri magazeni del sig. Giulio Andrini custoditi dal d. Minghetti di diversi padroni:—corbe 200
In d. magazeno altro grano del Gottarelli:—corbe 30
Nei magazeni del sig. Lugatti custoditi da d. Minghetti:—corbe 300.
Nei magazeni del sig. Landi custoditi da Lorenzo Marabini, grano
di ragione di Francesco Barbieri di Castel Bolognese:—corbe 630
In un magazeno del sig. Nicola Manaresi custodito da Francesco Sassatelli,
grano di Sebastiano Rafini:—corbe 90
In altri due magazeni, grano di diversi padroni:—corbe 250.
Grano in tutto corbe 3775

Doppo data la sud. nota arrivò la lettera diretta alla Comunità e consolo Trochi che stesse bene oculato affinchè il grano e formentone non sortisse di provincia e dovesse mantenersi per comodo della truppa francese onde in seguito si precettarono verbalmente li custodi delli magazeni, fra questi, volendo fare l’audace il d. Tomba ebbe una chiamata a Bologna ove per grazia del senat. Bevilaqua fu rilasciato coll’obligo di domandare perdono al Consolo e consilieri che avevano fattola rivista ai grani e magazeni, così fece ed ottenne il perdono sotto rigorosi precetti militari.
Sieguendosi la nota de formentoni fu la seguente cioè:
Nota delli formentoni ritrovati
In un magazeno de sig. Conti Zini custodito da Crispino Tomba,
formentone di Giacomo Facini d’Imola:—corbe 130
altro di diversi custodito dal detto.—corbe 30
di Giovanni Caprara d’Imola:—corbe 100
del sig. Matteo Contoli di Castel Bolognese:— corbe 40
in un magazeno del sig. Giulio Andrini:— corbe 150
altro di Giacomo Facini d’Imola detto Nardone custodito da Domenico Zechi.—corbe 140
in due magazeni del sig. Antonio Inviti custoditi da Francesco Sassatelli, di Tomaso Matioli:—corbe 50
di un faentino altro formentone:—corbe 30
di Gio. Guarini in un magazeno delli Facenda custodito da Giacomo Mazzini:— corbe130
Di N. N. Giuseppe da Cotignola:—corbe 110
di N. N. di Bagnacavallo in due magazeni del sig. Nicolò Giorgi formentone:– corbe130
di un mercante di Casal Fiumanese:— corbe __
In tutto formentone Corbe 1030

Adi 26 giugno arrivarono da Bologna mille francesi alle ore 11 a piedi, formarono il loro campo come si è detto nella via romana all’ingresso del Borgo, vi stettero fino alle ore 13 e se le diede dalla comunità pagnotta e bocali uno per ciascuno poi partirono per Imola.
Si pubblicò notificazione che si volevano da Bologna quattro milioni, metà in argentarie, capitali di seta e canepa e l’altra metà in moneta e contanti. Le notificazioni e proclami furono tre, si spogliarono perciò le chiese delle argentarie, fu convenuto così col Senato.
Il dì 27 ritornarono da Imola li primi 900 soldati a cavallo con 34 carra da Faenza cariche di fucili, archibugi ed altre arme da foco e N. 8 mila cartuccie di polvere del Papa levati da quella città di Faenza e 84 mila scudi levati da quel Monte. Fermati un poco partirono per Bologna alle 12, avevano seco un canone.
Li 28 giorno della vigilia di S. Pietro ritornò la truppa francese da Imola con carra 16 carichi di fucili, argentarie e munizioni da guerra levati da questa città con sei bellissimi cannoni del Papa ne quali vi era sopra iscritto: ad servandam pubblica tranquillitatem Pius VI anno 1794. Fermatasi la truppa fino alle ore 12, molto inerita per la ressistenza avuta da Forlì che non l’aveva volsuta amettere in città ed aveva avuto contrasto per levarle il danaro dal Monte che fu calcolato un millione di scudi fra contanti, ori, argenti, partì
alle ore 12 dello stesso giorno.
Nella notte scorsa si portarono da questo Castello a Bologna le argentarie della Compagnia del Rosario, cioè trono d’argento, scassette, pallio, altarino, missale, turibolo, croce, candellieri, reliquiari, lampade , bastoni da novizzi ed altri argenti di ornato che furono oncie 900. Così fece la Compagnia del SS.mo portandovi il frontale della Madonna di Poggio, turibolo, crocefisso da mano e perfino li voti delle tavolette appesi all’altare del miracoloso Crocefisso, che furono oncie 120.
Alli francesi che erano quivi la Comunità le diede mille boccali di vino, servì in tutti questi passaggi di interprete di lingua francese il mio unico filio dott. di legge canonica e notaio Francesco Camillo Cavazza.
Le armi da foco finora nel paese non sono state levate.
Adi 29 d. giorno di S. Pietro giunse in questo Castello ad una ora di notte uno staccamento francese di Bologna di 50 pedoni ed alloggiarono alla locanda del Portone nella rimessa, partirono alle ore 6 della notte.
Nel dì 30 ultimo di giugno arrivarono di Bologna 60 cavalli francesi e partirono poche ore dopo per la Romagna.
Nel dì primo lulio, entrato Consolo il notaio Francesco Conti, la mattina arrivarono 300 pedoni, dopo la solita collazione di pagnotta e vino andarono alla volta di Cesena ove amutinata quella bella populazione colli vicini castellani e villani, seguì nella piazza una baruffa e restarono prigionieri 100 francesi, onde altra truppa francese proveniente da Bologna andò alla volta di quella città con canoni ed un grosso mortaro da bomba.
Li Consolo Trochi e deputati della Comunità dopo aver preso il giuramento riferirono che si premurasse tenere il paese in quiete da sussurri.
Adi 2 lulio giorno di sabato arrivò uno stacamento di 50 cavalli francesi provenienti dalla Romagna che accompagnavano le carra caricate in Ravenna ed altri luoghi di Romagna ammontanti al valore di 400 mila scudi fra argenti, ori e contanti.
Si ebbe notizia come in Ancona una imagine di M. V. dipinta apriva e chiudeva gli occhi a vista del popolo con ribrezzo di chi la mirava. Nello stesso tempo si ebbe notizia come in Lugo si era ammutinata quella populazione con li cotignolesi e bagnacavalesi e massesi al N. di 4 mila con avere formato campo militare per resistere a feraresi e francesi che volevano le argentarie. Si pagavano li arrolati giornalmente dalli ebrei a soldi quindici per ciascun soldato, fabbricandosi ivi pane ed altre munizioni da guerra.
Dio ci assista in tante disgrazie che ci sovrastano.
In questo stesso giorno la comunità nostra di Castel S. Pietro, adunata in casa del Consolo Conti infermo, si lesse ordine di Pressidente novo Criminale Giuseppe Piella imponente al stesso che invigilasse acciò non nascessero tumulti ed a capo di ogni settimana

(117d) dovesse dare riscontro di quanto accadeva nel paese dovendo esserne esso il responsabile. Per provisione poi alli notai fu imposto nella celebrazione de contrati regolarsi come accenna l’unito precetto in istampa [A.31] e di non dovere più cautelarsi colla obbligazione anco in forma della R. C. A. ma in forma guarantigie.
Successivamente per giunta alle contribuzioni e servigio de cavalli fu pubblicato proclama, a questo se ne aggiunsero altri che saranno uniti alla seguente pagina e quinternetto, tanto per li novi compilatori delle leggi repubblicane, che per altri effetti come in essi bandi, onde da qui in poi noi non notaremo altro che puramente credessi necessario.
Di Roma si ebbe notizia che il sig. Celestini che la causa di Poggio con questa nostra Comunità restava sospesa come pure quella dell’arti tutte, fino a novo ordine. L’arcivescovo Giovanetti anco esso per contribuire alla quieta della populazione mandò una circolare a tutti li parochi e capi di religione a persuadere di non parlare contro il Governo ed essere cauti nel confessionale e nelle prediche sotto pene. Si intese contemporaneamente come la populazione di Lugo, della Massa, de Cottignola e Bagnacavallo si erano tutti amutinati avendo formato un campo militare a Lugo di 4 mila e più persone tutte armate con canoni per fare resistenza alli francesi che volevano levarle le argentarie e farle pagare una contribuzione. Fu fatto generale di quell’armi certo Pignotti lugarese, si apersero tre fucine per formare palle da canone e metraglie, si spedirono in appresso cedoloni stampati spediti dal campo di Lugo ad Imola per chi volesse assoldarsi.
Adi 20 giugno 1796 in questo stesso giorno il Cardinale arcivescovo Giovanetti scrisse circolare ai parochi della diocesi a prestarsi alla obedienza delle nove autorità.
Li 21 d. il Senato con suo editto confirmò li Magistrati e ne creo di novi come dalla unita stampa. [A.32] Mesimamente nello stesso giorno il Senato ordinò una requisizione di cavalli, con precetto di condurle sul prato di S. Francesco entro la città di Bologna, al che si diede la pronta esecuzione. [A.33]
Finalmente in questo stesso giorno il Senato pubblicò un editto di non doversi fare estrazione alcuna di vittuale, come dalle respettive stampe che annettiamo al presente racconto. [A.34]
Li 21 d. doppo entrato nella città Bonaparte colli Commissari di Guerra Saliceti e gran francesi, si impadronì di tutti li Monti di deposito, di robbe preziose ed altro, onde essendo noto del malcontento nella popolazione lassa ordini con suo proclama che li oggetti di vestiario e che tutti li oggetti non eccedenti il valore di lire duecento (l. 100 bolognesi) fossero restituiti alli respettivi proprietari, come da notificazione unita si rileva, nelle quali si affetta un altro atto di generosità francese il rilasciare la robba ai legittimi padroni, quando che nè questi di classe indigente, nè li altri cittadini hanno alcun demerito di perdere. [A 35] [A 36]
Adi 24 giugno il Senato inesivamente alli decreti delli commissari di guerra Saliceti, Garau e Bonaparte con suo proclama manifesta la generosità francese alla popolazione sopra la restituzione delle robbe e pegni esistenti nelli Monti di Pietà, contemporaneamente fu pubblicato avviso sopra la restituzione de cavalli riquisiti. [A.37]
Adi 25 d.fu publicato editto del Senato col quale si addomandano contribuzioni dai generali Bonaparte, Garau e Saliceti per quattro milioni di lire tornesi equivalenti a tre milioni di lire bolognesi in contanti, ori, verghe di argento ed altre materie preziose coll’obligo dell’annuo frutto del 5 per cento, all’effetto di rimettere le casse indigenti. [A.38]
25 d. fu promulgato un editto criminale dalla Giunta criminale in cui si ordina la tranquillità pubblica, l’osservanza delle leggi e si esortano li esecutori a non violentare come per l’addietro li contumaci. Il Senato pure mediante avviso manifesta di volere procedere alla nova Costituzione della L.L. col riportarne il pubblico voto per formare la med.
Nello stesso giorno fu pubblicato altro editto dal Senato sopra le contribuzioni o in contanti o in oro o in argento in massa e ciò in termine di ore 24 di portare tutto ciò al palazzo Monti da S. Bartaziano, ressidenza stabilita per la Giunta delle Contribuzioni con apoca soscritta esprimente la quantità e numerario che ognuno potrà dare. Fu contemporaneamente pubblicato avviso del Priore del Monte di Pietà che li effetti devoluti alla nazione francese non sogetti alla ordinata gratuita disimpegnazione, sarà avvisata novamente la populazione indigente, Priore del Monte Gio. Battista Scarani. [A.39]
Nello stesso giorno delli 25 fu pubblicata notificazione della Giunta sulle Contribuzioni del Pressidente Vincenzo Zambeccari sopra una requisizione di tele e canape vendibili per servigio dell’armata francese da pagarsi al prezzo conveniente quando tali generi siano riconosciuti della qualità ricercata.
Adi 25 giugno fu pubblicata altra notificazione del Senato sopra il zolfo, salnitri. Entro due giorni per averne la Contribuzione se ne dovrà tosto darne la nota.
Adi 26 d. fu pubblicata una notificazione del Confaloniere Filippo Ercolani sopra le materie preziose e derogazione de Fedecomessi.
Li 27 d. fu pubblicato editto del Senato contro li rivenditori di vittuali perché si vendevano più della tariffa alli francesi. [A.40]
28 d. fu pubblicato editto sopra il comprare armi dalli francesi ed avvendone comprate, si portino imediatamente nel dì 29 corente nelle scuole pubbliche. [A 41]
Nello stesso giorno la Giunta delle Contribuzioni notificò al pubblico, che non essendosi prestate che poche persone nella spontanea offerta, per ciò invitava a concorrere a contribuire ori, argenti ecc. altrimenti si minacciava la coazione alli rimanenti ed altre penali e quivi terminossi il primo semestre. [A.42]
Delle indicate stampe non se ne uniscono che solo queste, alcune delli 24 e l’altre delli 25 sulle contribuzioni, altre due sono delli 27 corente, finalmente altre tre conformemente delli 28 spirante.
Nel seguente lulio furono pubblicati li seguenti Editti, proclami e stampe delle quali ne annettiamo quelle poche che ci è riuscito avere, onde il lettore de nostri scritti non si deve ammirare se unita non ritrova tutta la colettanea, né le stampe sue poste alla loro epoca del presente nostro racconto sono adunque:
Adi primo lulio fu pubblicato un proclama sopra il formare il novo governo, furono 30 li aggiunti, Confaloniere era il Senatore Vincenzo Graffi. [A.43]
Adi d. si lesse un proclama del Pressidente Vincenzo Zambeccari sopra la requisizione della polvere d’archibugio di doverla denunziare e portarla al palazzo Monti. [A.44]
Adi d. altro proclama del sud. pressidente su la requisizione de cavalli. [A.45]
Fu pure affissa una notificazione criminale di non seminare timore sopra le presenti guerre.
Adi 2 lulio. Mediante proclama delli 2 lulio fu prescritto dal Governo a non dovere licenziare li corrieri, cavalcanti per cagione della seguita requisizione de cavalli, ordine del Confaloniere. [A.46]
Li 4 d. simile ordine del Confaloniere Graffi e tribuni della Plebe di oservare le Tariffe de vittuali conforme per il passato.
4 d. simile ordine fu proclamato contro li fornari da scasta, pastaroli di dover prosseguire nel suo mestiere, sotto rigorose pene. Fu pure nello stesso giorno proclamata d’ordine del Confaloniere la denunzia ed introduzione di grani nella città.
Nel sentirsi dal popolo che li francesi si erano impossessati di tutti li Monti di Bologna, naque un poco bisbiglio nella popolazione per quelli che avevano crediti nel Monte Matrimonio, onde siccome questi non erano stati contemplati dalli francesi, li pressidenti del Monte Matrimonio nel dì 4 d. notificarono al popolo con proclama che nella requisizione sud. non cadevano li crediti dotali del Monte Matrimonio. Come che la truppa francese era tutta male in arnese di vestiario, così il Senato avendo previsto tele, invitò con proclama le donne della città a cucire sachi.
Aveva l’avvocato Giuseppe Caciari molto faticato su le memorie e notizie del Governo antico, per continuarlo col presente e dovendo essere compensato, il Senato pubblicò notificazione al popolo per formarle tale compenso ed indennizazione.
Adi 6 lulio il cardinale Arcivescovo Giovanetti publicò per la stampa una notificazione esortatoria il suo clero e popolo di Bologna a vivere sottomesso alla nova autorità, né seminare zizania. [A.47]
Adi 6 d. il Senato invitò con proclama il popolo a formare una guardia civica per la Città e così pure per la campagna e luoghi murati, la quale non andò molto che fu introdotta e organizata. [A.48]
In Castel S. Pietro ebbe il suo effetto. In questa Guardia Civica, che fu anco detta sedentaria, si fecero la dignità nella med. Il dott. Francesco Cavazza fu nominato per capo batalione o sia capo legione del paese. Si videro in questa contingenza bellissime armi da taglio, cioè sciable di buon valore e fornimenti di vestiario.
Adì d. fu publicata notificazione sopra le tele da far sachine ai francesi con ordine di portarle al palazzo pubblico. [A.49]
Nello stesso fu pubblicato ordine del comandante della piazza di Bologna B. Yann che niun mercante e venditore ricevesse per contanti li assignati francesi. [A.50]
Non si deve preterire di raccontare quanti avvenimenti accadino per le presenti emergenze in cui si vede preparata una orribile profanazione alla Chiesa. Nella città di Ancona nel duomo, una Imagine di Maria V. dipinta in tela fu vista e si vede da un concerto di persone aprire, chiudere li occhi e lacrimare ancora con spavento di persone. [A.51]
Li tremori della terra in Ascoli non sono stati indiferenti. Li oragani, o siano detti comunemente biscie bure, che svetono alberi, scoprono edifici, trasportano bestiame adimostrano che Dio è sdegnato al sommo. Li fanciulli che latanti ancora parlano danno indizzi di gran cose. Di mano in mano che accaderanno ne faremo la memoria fedelmente.
Adi 6 lulio su le 23 ½ giornodi martedì ruinò il portico della chiesa della madonna della Scania.
Si fece in Bologna una racolta di cavalli per la truppa francese. La notte stessa passarono per Bologna 100 cavali alla volta della Massa e Lugo ove si sono fatti forti li lugaresi, massesi e bagnacavallesi e cottignolesi col formare campo contro la Francia. Per quanto si racconta si sono arginati, tagliati ponti, fatto fosse ed argino contro lo stato imolese. Capo di questa insorgenza dicesi sia un fabro per nome _.
Questa mattina su le 12 in punto arivato lo spoglio di Cesena, di Faenza e Forlì in N. di 140 carra di argenti, armi, munizioni e canoni con sei prigionieri cesenati fra quali un prete sacerdote, uomo di 50 anni con capestro al collo et alle braccia sopra un carro, quale confessatosi sotto il portico dell’osteria del Portone, si partirono tosto.
Videsi da questa nostra eminenza verso le parti di Lugo e Massa N. cinque altissime colonne di fumo. Fu perciò sospettato che fossero in quelle parti incendi tanto più che dalle parti d’Imola furonvi condotte 10 carra di fascine. Si sta attendendo un gran fatto per che si dicono ammutinate 16 persone contro li francesi, anzi aggiungesi che essendo inoltrata in quelle parti l’avanguardia di 60 cavalli ne siano stati uccisi 53 dalli imboscati lugaresi ne formentoni e ne canevari e si sta attendendo la certa relazione.
Fra li canoni condotti a Bologna ve ne sono due di Sisto V avendo nella culatta l’arma di tre monti e sono pezzi da batteria lunghi 7 piedi circa, li archibugi e sciable e spade sono incalcolabili nelle birozze.
Verificate le nove retroscritte aggiungesi come in quest’oggi su le 12 seguì nella vicinanza di Lugo una fiera battuta fra li lugaresi e francesi. Li primi avevano già disposto il suo campo e la strade che a quello menavano ma in esse, interpolatamente, vi erano attraversate fosse coperte con stuore, che eguagliavano il suolo ed erano coperte tutte di sabbia e terra ben disposta, poi all’intorno in diversi luoghi vi erano argini di legnami, doppo quali stavano li insorgenti.
Venne impetuosamente la cavalaria ma, credendo inoltrarsi addosso ai lugaresi apiatati, corendo li cavalli sopra li trabucchi delle stuore, profondarono ed ebbero campo li lugaresi ucidere li cavalieri. In questa batuta restarono socombenti 206 cavalli francesi. Riposata la truppa per ore 5 su le 17 diede un altro attacco e le sortì entrare in Lugo ove la Comunità fece la sua contribuzione salva robba e persona familiare. Li forusciti andarono qua e là dispersi ed abbandonarono li due pezzi di canone che avevano tolto con un mortaro da bomba alli francesi.
Contemporaneamente che si battevano, furono tradditi li lughesi dalla parte di sotto, cioè dal ferarese dove sopragiunsero 200 francesi invece di 200 papalini promessi dal march. Bevilaqua di Ferrara.
Seguì contemporaneamente simile batuta sotto la Massa colli massesi che infine patteggiarono ma, nel mentre che capitolavano, un massese diede una archibugiata al comandante francese ma non lo colpì. Qui di novo cominciò entro la Massa un’altra insurezione che fu poi calmata da quella Comunità colla contribuzione preparata.
Ad Argenta al sera fecero una sorpresa, su l’Avemaria seguì una baruffa per due ore continue di notte. Capo delli argentani fu Filippo Zogoli filio di Antonio di Castel S. Pietro, detto per sopranome Patano, che si fece alla testa di 200 insorgenti. Durò fino alle 4 onde, confuso l’uno e l’altra parte fra lo stridore delle genti, Patano ritirossi alla campagna con lasciare però sull’argine della abitazione alcune sentinelle, che vegliavano sul far del giorno per un novo attacco ma, infrapostosi il cavaliere Saro Porcari con altri principali del paese per che veniva minaciata la terra di incendio da francesi, restò sospeso e dissipato in appresso ogni tumulto. Un pichettaggio di francesi, volendo inseguire col comandante li capi delli insorti, sortì cattiva giornata poiché li tumultuanti retrocedendo vennero alle archibugiate e misero in fuga li francesi fino a Solarolo con ucciderne alquanti e particolarmente restò morto con tre fucilate su la porta il comandante francese.
Altra picole baruffe acaddero che si omettono, il nostro Zogoli nella capitolazione colli argentani, come capo delli insorgenti, fu eccettuato e riportò colli altri il perdono alla condizione che mandassero le armi alli francesi, il chè fu cosi eseguito, ma poi per ciò arischiare la loro vita nel rimpatriare.
Il generale Aggerò che trovavasi in Imola, pregato da quel cardinale Chiaramonti a dare il perdono alli lugaresi, non fu sordo alla pietà del vescovo imperochè li donò tutti li lugaresi frati, preti monache ed altri che fossero stati prigionieri, purchè non avessero usato l’arme, dippiù le donò 2 mila in sollievo di quella povertà.
Adi 10 lulio giorno di domenica si tenne Consiglio in esso si lesse lettera del sen. Francesco Marescalchi che avvisava ed imponeva non dar ostaggio a forestieri provenienti di Romagna. Si lesse medesimamente lettera di mons. Vincenzo Zambecari che ingiungeva spedire a Bologna li abboni e ricevute delle sovvenzioni fatte alla truppa francese dalla nostra Comunità. Furono tosto spedite ed amontavano a l. 400 da pavoli X.
Sucessivamente, essendosi pubblicato Bando sopra le denunzie ed introduzioni di grani ed altri generi in città, con stretto comando di non andare nemeno a macinare fori stato, così, sentendo esclamo nel popolo per la penuria di farine, fu incaricato il consiliere Floriano Fabbri a presentarsi in Senato e farle presenti le angustie nostre e la costumanza passata andandosi a Imola colla boletta di questo doganiere.
Medesimamente il Consolo presentò lettera dell’Aggiunto Criminale la quale imponeva ad esso settimanamente farne a Bologna il riporto di quanto accadeva. Si pubblicarono altresì avvisi e proclami che si vedono nella raccolta antecedentemente fatta e nella seguente di mano in mano si possano avere.
Perché a Mantova si travagliava fortemente dalle truppe tanto imperiali che francesi, si decamparono li soldati di Bologna alle sei della notte lasciando un solo
In Ancona poi, temendosi dell’assalto de francesi perché ve ne erano in quella città molti partecipanti, si fecero non poche orazioni al loro protetore ed a Maria SS.ma al duomo posta e dipinta in un picolo quadretto. Furono ascoltate le preghiere e ne seguirono prodigi, li quali nella unita relazione si legono né vi è da dubitare. poiché anco da nostri paesani si sono veduti.
Stante l’assedio de francesi a Mantova il generale Bonaparte, essendo ora in Bologna, ha fatto fare un solenne triduo alla madonna di S. Luca. Continuandosi in Lugo e nella Romagna bassa l’amutinamento delli insorgenti fuggiti, il Senato spedì una stafetta a questo nostro Consolo con lettera di dovere stare guardinghi a non lasciare introdursi sorta alcuna di armati.
Contemporaneamente si publicò la sicurezza, che faceva la Francia della sua protezione in mantenere republica Bologna e suoi stati come dalla unita stampa.[A.52]
Adi d. venne una grande tempesta che ruinò le canepe ed uva nelli quartieri di Poggio, Granara e Gaggio. La parte della collina fu esente.
Si pubblico novamente un proclama di Savito nel quale avvisava che chi avesse notizie o storiche o di altra natura sopra il metodo dell’antico governo di Bologna quando era repub. le presentasse all’avvocato Giuseppe Cacciari di Bologna.
In Roma parimenti molte imagini di Maria V. e santi che hanno più culto si vedono aprire e chiudere li ochi.
Adi 14 lulio si cominciò a bombardare Mantova gagliardamente da francesi. Si sentono anco in questo loco li rombi.
Adi 8 lulio domenica si ebbe notizia di Roma come in quella dominante si scopersero imagini di M. V. e di altri Santi tenuti in maggior venerazione aprivano e chiudevano li ochi. In Osimo un miracoloso X.to che fece tramortire il custode della chiesa, la relazione tutto narra. A Ascoli, Spoleti e molte altre città della Marca si videro simili prodigi.
Medesimamente si scoperse in Roma una congiura contro il Papa per mozzarli il capo. Fra li congiurati furono capi un bolognese ed un anconitano che, volendo prendere la inpunità dal Papa furono ributati. Si avrà la relazione in appresso di tutto quando il S. P. lo voglia, ma essendo di singular bontà, si vocifera che fatta la iustizia in Castel S. Angiolo, si taceranno li nomi a scanso di amarezze.
Li preti spagnoli ex gesuiti tanto in Bologna che nelle diocesi furono forzati con i loro secolari nazionali portar la cocarda rossa sopra il capello per essere distinti da tutte le altre nazioni e fu cosa al primo ridicola per li italiani, ma penosa per la nazione spagnola troppo vanagloriosa di natura.
In queste contingenze il Papa, avendo consulati molti prelati catolici sopra tante profezie e pronostici di anime bone, fece chiamare a se la contadinella profetessa di Viterbo che tante altre cose aveva profetizato e purificato intorno alla S. Chiesa e da essa intese che il giorno delli 19 corente lulio si sarìa sortito e veduto un gran prodigio, particolare ed un fatto che avrebbe fatto stordire chiunque.
Del venerabile Giuseppe Labrò nel suo processo consta lo stesso. Il mondo catolico è in grande aspettazione. il Papa vive impazientissimo e bramoso di animo illare vedere la fine.
Nel giorno di giovedì scorso 14 andante si ebbe fra li francesi ed imperiali una fiera scaramuccia mentre tentavano la presa di Mantova, furono respinti con perdita di 14 mila uomini. Il dì 15 in sabbato seguì altro attacco e fu socombente il campo francese di 6 mila militari fra prigioni e morti. Li imperiali si avvanzarono a tutta possa uniti colli veneziani. Narasi li primi siano in 108 mila guerieri. Li secondi non si sa il preciso. Bologna è in timore, a racontare tutta la cosa molto vi sarebbe, massime li reciprochi stratagemi, sorprese e invenzioni militari.
Da Bologna si hanno continuamente novi Bandi e proclami.
Nota de Bandi, proclami e stampa pubblicate nel corso di lulio. ci piace trasferirla in questo loco e quivi inserirla e cioè:
Lulio adì 8 Avviso ed invito a quelli che hanno soministrato alogi alli francesi di doverlo portare al palazzo Caprara per renderne conto.
8 d. Editto per fare il sindicato all’uditore del Torrone. Simile per fare giudicato all’avocato Vincenzo Berni delli Antoni e così pure contro il dott. Federico Pitrucci uditor criminale
9 d. Sindicato contro l’avocato Angeloni uditore del V. Legato.
Adi d. Editto del Senato sopra li negozianti che hanno soministrato robbe alla truppa.
10 d. lettera del comissario Saliceti al Senato con cui annunzia lasciare in Bologna il generale Agerò alla testa della aministrazione per il bon ordine.
11 d. aviso a chi ha in dogana mercanzie inglesi.
12 d. fu publicato editto su la sanità de bovini.
12 d.Bando che tutti li oziosi e vagabondi debbino partire entro tre giorni dal teritorio.
Editto del Senato che, essendosi allontanate le truppe francesi, debbasi guardare la città dalla truppa urbana, in seguito del quale vi andarono li villani delli orti vicini, che per essere vestiti di rigadino tella fu detta la Guardia delli Rigadini.
13 d. Notificazione sull’appalto del pan bianco e simile su l’asportazione fuori di stato delle granalie, sentendosi agressioni notturne per il contado.
Li 16 d. il Senato con notificazione impose l’aresto di questi malviventi. Furono per altro bando sospese tutte le fiere del teritorio e solo accordati li soliti mercati, massime li normali che sono C. S. Pietro, S. Gio. in Persiceto, Castel Franco, le Terme. Li Birri e burlandotti ed altri esecutori facendo questua nel teritorio furono bandite.
Adi 22 d. scopertosi contaggio ne bovini in Lombardia fu proibita l’introduzione delle bestie ne mercati di Bazano, S. Giovanni ed altri castelli limitrofi alla Lombardia.

  1. Proclama del Senato che esorta le genti alla contribuzione tanto di danari che di argenti.
    22 d. Li Tribuni della Plebe stabiliscono le ore concesse ai venditori in piazza, che sono distribuiti a mese per mese.
    22 d. Instruzione medica del veterinario Gandolfi fu publicata.
    Adi d. Il comandante della piazza di Bologna B. Yann con proclama ritirò tutte le licenze di caccia.
    Nellosstesso giorno il Senato ordinò alli fornari di città dessero l’avvanzo de grani a fornari del contado e la denunzia parimenti
    29 d. il Senato ordinò il rispetto alle chiese, la conservazione del culto a Dio e minacciò la pena a bestemiatori secondo le leggi,
    ordinò pure con altro proclama che la notte stessero aperte solo quattro porte della città, cioè strada Maggiore, strada S. Stefano, S. Felice e porta Galliera.
    Adi 30 d. fu pubblicato un editto del Senato intorno alli bovini da macellarsi per il contado e cioè di non doversi macellare bestia se non visitata dal marescalco e Consolo con fede della sanità da spedirsi poscia alla cancellaria del magistrato ogni sabbato.
    Reiterata la affissione del bando sopra la introduzione delle granalie in città, al quale si pretendevano soggetti li generi de contrabandieri che erano in questo Borgo di Castel S. Pietro, introdotti da contrabandieri.
    La raccolta è discreta nel grano, ma ne formentoni va male a cagione della pioggia mancante e delle gragnole.
    Recano le lettere di Parigi che il giorno 27 caduto fu machinata una insurezione popolare che scoperta aclamava un monarca, troppo stanco quel popolo di vivere a discrezione.
    Si conferma la perdita vistosa di 500 e più francesi e all’incirca di 100 lugaresi, li quali se non fossero stati traditi dal march. Bevilaqua di Ferara restava tolto il campo francese di cavalaria e fantaria distacata, tanta fu la bravura di quelli insorgenti.
    Gli uomini di Castel Bolognese, che avevano in questi nostri magazeni li grani arestati come si disse per la truppa francese e non per anco deliberati dal Senato, male la intendevano e fecero sapere alli sen. Bevilaqua e Marescalchi che più avrebbero condotti generi tanto più che nel loro castello si era volsuto fare affiggere il bando della introduzione delle granelle nella città, al che vi avevano ostato unitamente colla populazione sia eclesiastica sia laicale al quale effetto li preti avevano già scritto a Roma e li secolari instavano che se aveva preso la comunità il giuramento di fedeltà a Bologna doveva essere questo famulativo alle convenzioni preventive ed esenzioni (…) che del Castello, che però volevasi un consilio Generale, se le cose non mutavano faccia.
    Adi 18 lulio attesa la nova mutazione di Governo, essendosi fatta insolente la gente, comettevano capeggi, assalti, rubberie e que’ mali che loro piacevano, onde essendosi fatto quivi un complotto di scapestrati, andavano alle case de villani armata mano e la giustizia novella non ci faceva nulla, che però li gravati fecero un memoriale alla Comunità chiedendole la interposizione sua presso il governo.
    Li capi delli insolenti furono Antonio Cenni detti Gattino, Gaspare filio di Luigi Raggi, Tomaso Chiri detto Bussolai, Antonio Marchi detto Sgambillo e Luigi Ferri detto Rigidorino, quali andavano alla campagna armati e le guardie non li facevano nulla. Gattino ne aveva 22, Ruggi 7, Bussolai 11, il Rigidorino 9 e li altri ancora ne avevano la sua parte per ladronecci, onde la comunità preso l’impegno, scrisse alla nova Giunta Criminale che rispose avrebbe presa l’accusa in considerazione, come pure se la sarebbe mandata nota di altri scapestrati. Avendo poi il novo Governo fatto publicare un Bando che imponeva espellere tutti li forastieri anco lavoranti quando non davano prova della loro necessità, abilità e vantaggio del loro mestiere e delli boni costumi, come si legge nella notificazione stampata li 14 corente, dando tempo di otto giorni a quelli che abitassero nel contado, così la Comunità ebbe molto a travagliare.
    E perché pure molti fornari del teritorio avevano rinonciato al loro ministero a motivo che l’anno scorso l’Assonteria d’Annona non volle darle il formento necessario per ispianarlo secondo il calmiere ed essi avevano comprato il grano a pavoli 36 ed il calmiere era di 27, né le volevano abbonare il danno patito perciò trovandosi in angustia.
    L’Annona scrisse per espresso alla Comunità che le sugerisse qualche temperamento. La Comunità rispose che se si desse la libertà a ciascuno di vender pane come nella podestaria di Casal Fiumanese il paese sarebbe sempre ben servito e provisto, tanto più che nei tempi andati, in ocasione di penuria, si diede per lungo tempo l’adito a forestieri di vender ed introdur pane. Tale risposta fu imediatamente spedita per lo stesso espresso che ne portò quella dell’Assonteria di Annona.
    Furono in appresso publicati altri Bandi intorno alla denunzia delle canape, questo intorno a malviventi, accordando alli massari ed a chiunque un premio di l. 5 per ogni arestato.
    Li 19 d. di notte tempo fu ruinato l’uscio alla fonte della Fegatella ed il tubo di bronzo che tramandava fuori l’aqua a beneficio delle genti e furono levati tutti li feramenti. Premio ben degno al proprietario presente, che non ha altri titoli su la med. che quello del possideo, mentre sono poco più di 100 anni che era in potere legitimo della Comunità, come si rileva da atti e documenti nel di lei archivio.
    Prossiegue intanto l’assedio a Mantova e, quantunque non si vedano socorsi dalla Germania e li francesi abbiano preso il borgo di S. Giorgio che è in capo del ponte che introduce nella città, si difende valorosissimamente quel comandante austriaco che con una sortita ed una simulata fuga imediata, diede una batuta al campo francese comandato dal generale Bonaparte francese.
    Di Bologna li spediscono feramenti e carra con bestie del teritorio al campo francese all’effetto di riempire e condurre tanti sachi pieni di terra e sabbia ed altre materie che amontano al N. di un milione per formare un monte solido onde piantare una batteria di canoni e bombe per battere quella città.
    Continuavano li miracoli delle imagini e figure de santi e di X.to in Roma, nella Marca e in altri stati pontifici ,fori che nella Romagna e bolognese, che a racontarli tutti vi vorebbe d’assai.
    Li inglesi nemici de francesi hanno preso Porto Ferrajo nella Toscana per impedirle le spedizioni alla Corsica.
    La raccolta riesce discreta nel grano ma in altri generi e massime nel formentone assai scarsa per mancanza di pioggia.
    Temesi di nova insurezione in Lugo, così pare un qualche torbido in Castel Bolognese. Da questo loco non è sperabile avere in avenire più grano mentre li mercanti sono malcontenti per averle il Senato di Bologna incagliato il grano vechio e risservato per la truppa francese né per anco non è stato levato né pagato alli medesimi ed il lunedì scorso avanzarono lagnanze a questa nostra Comunità.
    Questo fatto, se non muta faccia, pronostica conseguenze funeste. Perché nel terminare dello scorso giugno furono arestati grani e formentoni forestieri alli mercanti che l’avevano in questi magazeni per servigio della truppa francese. In seguito della instanza sud. venne ordine alla Comunità del rilascio, che fu tosto intimato a respettivi magazenieri da proprietari, avendo compiuto li fornari del contado il corso delle loro obligazioni di mantenere li forni da scasso aperti alla popolazione e provisti di pane, fu loro intimato dal Senato la congregazione ed invito al proseguimento.
    Molti rinonciarono e molti si confirmarono. Il fornaro di Castel S. Pietro ricusò per la perdita fatta nelle proviste passate fori stato per non aveva avuto dal Senato il promesso ristoro onde, per che niuno concoreva a questo forno, fu in necessità al Senato pregarlo a continuare per il prossimo agosto, con facoltà di provedersi di corbe 300 circa grano e lo smercio del paese computando un mese per l’altro alla ragione di oncie 16 per ogni 4 bajochi di pane bianco.
    A questo proposito il Senato ingiunse alla Comunità l’invigilanza sopra le proviste le quali devono ad essa limitatamente poi accordate nella giurisdizione di Castel S. Pietro e sopra li grani de fumanti e comitatini. Ciò seguì in conseguenza anco delle instanze fatte da mercanti al Senato. Nelli giorni scorsi fu pubblicato un proclama sopra li forestieri abitanti nella città e contado di dovere sloggiare dalla città e provincia, si sentì non poco bisbiglio onde furono abilitati alla permanenza quelli che avessero la prerogativa di mestiere necessario ed abile con atti della Comunità e parochi del bon costume, nella cui parochia abitino.
    Adi dato lulio fra li altri bandi che si pubblicarono fu pubblicato altresì il Bando della denunzia de grani e delle moliture coll’aggiunta che per molitura si dovesse dare al molinaro un quartirolo grano per corba e non pagarla in contanti la molitura per che sopra questa corisposta pretendeva il magistrato averne poi esso il riparto alli fornari. Impone altresì il Bando che tutto il dippiù del grano che ogni comitatino avesse dippiù del proprio consumo domestico lo dovesse dare al fornaro della respettiva comunità, compresovi le primizie, luoghi privilegiati ed altri. Andò ciò dispiacendo a molte Comunità, si unirono le med. cioè Budrio, Castel S. Pietro e altre a (chiedere) la moderazione a tale bando. Fu per ciò scritto dalla prima (….) nostra di Castel S. Pietro e a quella di Medicina, cui replicò volersi porre prima li punti su cui doveva vertire il ricorso. Fu altresì pubbblicato il bando contro li Birri che andavano alle botteghe nel contado a farsi dare carne, minestra ed altre robbe lo che fu di molto gradevole alla provincia.
    Crescendo li rumori e fermento (divenne) il bolognese diviso in due partiti uno per il Papa e l’altro per i repubblicani, il primo era popolare e l’altro era civico. Fu in necessità il Senato mandarvi uno stacamento di soldati miliziotti che nel dì di S. Anna 26 lulio passarono di quivi in N. di 60 vestiti col proprio abito e senza alcuna montura, altra divisa non avevano se non quella delle tre fettaccie di color bianco, rosso e turchino sul braccio sinistro conforme alla coccarda ed intanto il Senato (comprò) mille marsine e qui crescono le spese. Si sentono perciò pochi discorsi fermentativi di insurezioni in Bologna. Il popolo è diviso in tre opinioni, la prima sta per li republicisti, la seconda sta per li imperiali e la terza per li papalini che si uniscono alli imperiali, onde sono li cittadini in timore di qualche massacro.
    Il senatore Girolamo Legnani tanto potente ne giorni andati, è sequestrato in casa colla moglie. Nel suo palazzo in S. Mamolo avvi guardia francese, altri nobili battono la ritirata. Il sen. Conte Giuseppe Malvasia, che fu uno dei primi che maneggiarono la sucessione della città alla Francia, più non agisce e colla aprensione del male che ne è venuto e che ne avverà a Bologna ed alla provincia, tallora vaneggia. Il popolo si duole molto, il ceto civico non quieta , li operai languiscono. Insomma Bologna è tutta mutata, al qual proposito è stato scritto il seguente distico di pronostico funesto e voglia il cielo non si effettuì come è probabile se li imperiali vincono la guerra:
    Felsina vel tibi si nimiun confisu Senatu es
    nam mala cuncta fluent et bona cuncta ruent
    Questo distico dicesi fatto di notte tempo in occasione che il Senato non si volle sottomettere alle providenze di Comune Comerico del Papa presente.
    Egli è certo che li imperiali fanno belle operazioni sebene in pochi in ajuto di Mantova. In due sortite che hanno fatto li mantovani, soccorsi da un corpo di ussari, hanno riportato due vittorie, la prima con una sortita hanno lasciati morti in campo 4 mila francesi, la seconda, ajutati dagli ussari e cacciatori austriaci, che hanno introdotto nella fortezza 11 mila ungari ed hanno foraggiato il campo francese, le hanno portato via 160 carra fra minizioni da bocca, da guerra, di argentaria tolta nelli stati pontifici e di 14 pezzi di canone da batteria, colla perdita di francesi in circa 9 mila che fra morti , feriti e partiti in questi due fatti d’armi ammontano a 14 mila aggiungendosi le malattie e l’epidemia ne bovini che in quelle parti si è scoperta onde a questo effetto si sono quivi stampati e pubblicati li Bandi.
    Domenica sera 25 cadente lulio si sentì un orido bombardamento, si crede che sia la fortezza e la città che batte le trincere e li approcci che si fanno ivi dal Generale Bonaparte oppure un qualche fatto d’armi. Cominciò verso le 3 della notte al lume di luna, e in una distanza di 70 miglia che fanno si forte tremare la terra.
    Dalla parte della Toscana sono giunte sotto Livorno 200 legni inglesi, hanno addomandata la fortezza al Gran Duca dandole tempo 18 giorni a rissolvere. Porto Ferraio è preso dalli inglesi.
    Le imagini di M.V. nella Marca fanno strepitosi prodigi. massime in Ancona, in Sinigaglia, Macerata, Fano e perfino in Savignano e noi siamo privi di tante belle e divine opere di Dio.
    Adi 28 lulio seguì sotto Mantova una grande battaglia fra li francesi assedianti e li mantovani che azzuffati assieme e fra le canonate della città ne perirono 12 mila francesi, che parte de quali furono sepolti, parte gettati nel Po semivivi e feriti a morte, per il che eseguire chiesero li francesi tre giorni di tempo collo spiegare la bandiera nera, ma il comandante della città gli accordò solo 24 ore mediante la spiegazione della bandiera bianca. Egli è certo che li francesi travagliano gagliardamente, hanno fatto una grande breccia e con alzamenti di terra si sono inoltrati nel lago sotto le mura dove, per essere coperti dal tiro del canone con un argine di falchetti pieni di terreno, si sono fatto argini e temono di un attacco ed una sorpresa delli imperiali.
    La città di Ferrara, che avevano li francesi spogliata di guarnigione, di novo l’anno guarnita e dippiù fatta una spianata di tre miglia per ogni intorno anco della fortezza.
    Li inglesi hanno con molti legni abblocato Livorno e sono ancora ne contorni del porto di Ancona. Sieguono diserzioni tanto per la parte di Mantova, che della Toscana di francesi che stanchi del battagliare fugono nelli stati pontifici.
    In Roma il popolo strepita contro li francesi ed assolutamente nega darle nella contribuzione le rarità di Roma. A questo proposito si ritrovò il dì 24 domenica scorsa un cartello scritto alla porta delli comissionati francesi così cantante
    Viva Gesù, viva Maria
    ma le statue e codici non si portan via
    In Bologna si sta in grande aspettazione di nove dalli quattro inviati sopra il Governo Legislativo della Repubblica e molti sono di parere che tutto possa divenire una azione comica a tal segno che hanno battezati li inviati di quattro sopranomi ,maschere di comedia cioè Dottore, Pantalone, Brighella ed Arlecchino, soggetti appropriati alle nazioni. Il Dottore è il nostro Conti, il Pantalone Sebastiano Bologna per che nazionale veneziano, il Brighella l’avvocato Aldini per che il caratere di Brighella è quello di essere pronto ai ripieghi, di Arlechino è finalmente dipinto il senatore Savioli perché di personale picolo e rotondo e faceto, non già sciocco, ma destro e vivace.
    Non ostante tutte queste vicende si è inteso che l’assemblea francese ha risposto che nulla determinerà né sopra Bologna, né sopra Ferrara se non a pace seguita col Papa. Intanto la nostra città è esaurita di combattenti e cavalli mentre se ne chiedono altre 3 mila essendo stata quasi che disfatta la cavallaria sotto Mantova. Aggiungasi che Bonaparte chiede un millione e mezo di contanti in puro prestito ed il Senato non ne ha uno e si pensa ad una nova requisizione.
    In Terracina la notte delli ¬¬_ cadente si sentirono naturalmente suonare tutte le campane delle chiese. Il popolo sbigotito le aperse sul timore di qualche tradimento, ma nulla trovò se non illuminate le imagini di M. V. colli ochi aperti.
    Nel castelletto di Coriano sopra Rimini si scoperse una imagine di X.to morto su la croce che aperse gli ochi, la bocca e movette li SS. piedi. il popolo atterito gridava misericordia, onde da quel vescovo furono spediti li frati M.M. Osservanti ad ascoltare le confessioni.
    31 lulio ultimo del mese giunse a Ferara una avvanguardia di 20 mila tedeschi che tosto fece sloggiare que pochi francesi che vi erano di pressidio, li quali avendo inteso l’avanzamento de nemici intimò a poveri feraresi una contribuzione di 80 mila scudi in termine di 3 ore sotto pena del sacco. Furono tosto pagati e dappoi li francesi inchiodarono tutti li canoni e le polveri e palle furono gettate nella aqua della fossa della fortezza e la sera all’imbrunire del giorno arrivarono tosto li tedeschi che si impadronirono di tutta la città e fortezza.
    Non sapendo il nostro Senato come guarnire le porte della città per la partenza de francesi e miliziotti, scrisse una circolare alle castella del territorio ed alli altri comuni una notificazione stampata di eleggere rispetto a castelli due terazzani e quattro villani del teritorio dello stesso castello, rispetto poi alli altri comuni solamente due villani, che dovessero portarsi a Bologna a servire per un anno da cominciarsi li 11 prossimo agosto. Ordinò di più che, quallora fossero rinuenti le persone di prestarsi volontariamente, tosto se ne dovesse fare la imborsazione di tutti li giovani di anni 18 compiti fino alli 40 non amogliati. E perché niuno si volle prestare fu necessario alla Comunità di Castel S. Pietro proceder a una notificazione pubblica al popolo di quanto si voleva dal Senato.
    L’Imperatore sdegnato della ribellione di Bologna si al Papa e della dedizione del Senato alla Francia, intimò ed arestò per tutti li suoi stati tutte le cambiali di mercatura e li beni stabili de bolognesi. Cosa che fece non picolo titubamento nella mercatura tanto per la parte di Toscana che per la Lombardia dove li nostri bolognesi hanno interessi.
    Le nove che vengono di Mantova sono che li francesi socombono e sono da mantovani battuti con gravi perdite e la città è difesa da bravissimi artiglieri due de quali sono capucini ed uno è un exgesuita di Valenza per nome Cantò
    Adi 28 lulio seguì tale battaglia in questa guisa: si erano avvanzati bravamente li francesi fino all’ultimo stecato e presso alla scalata della città mediante un ponte provisionale di legno per una ritirata e già avevano li primi preso per fino le bocche de canoni ed abbraciateli uno, onde al pressidio mantovano convenne più bravamente tagliarle le braccia con la le scialbe potendo poco travagliare la moschettaria dalla parte francese.
    Intanto il generale tedesco Vumfer, nipote del famoso Laudon, doppo avere data nel confine veneziano una conpiuta batttaglia a francesi corse velocemente a socorer Mantova. Le diresse il canone e le tagliò il ponte provisionale, onde fu tolta a questi la ritirata. Si battevano da un canto all’altro ma convenne a francesi cedere perché furono tutti disfatti mentre, avendo preso il passo della Peschiera, fece ingrossar l’aqua da un suo corpo nel lago circondario di Mantova e così quella parte che non fu ucisa dall’armi fu soffocata dall’aqua.
    Si impadronì di tutto il blocco consistente in mille canoni, di tutte le bombe, attrecci militari, provisioni di guerra e bocca, fece gettare nel Po più di 100 carra di morti francesi e que pochi che poterono fuggire rimasero tutti dispersi.
    Li prigionieri francesi al numero di 2 mila fatti prigionieri appena entrati in Mantova furono tutti ad uno ad uno decapitati perché così hanno fatto li francesi colli imperiali non volendovi dare da vivere e risparmiando per li suoi.
    Inoltre altre cose sono accadute. Il comandante Agerò francese è ferito mortalmente, Userò ancor esso. 2 d. corrente condotti prigionieri a Milano. Bonaparte è fuggito alla volta di Piacenza dove pensasi arestato in un picolo castelletto da terazzani del med. La di lui moglie col fratello che fugivano scortati con 40 cavalli alla volta di Milano sono stati arestati. Il bagaglio perduto è indicibile, mille cavalli senza li cavallieri abbandonati, bestiami viveri ed altre robbe, toltone le farine, grani e vino perché non ne avevano, cosichè interamente è stato disfatto questo campo. Altro campo austriaco calò dal Tirolo, si impadronì tosto di tutte le piazze venete di confine, che avevano occupate li francesi cominciando dal lago di Garda fino a Cremona predando il tutto,ed il presidio di Peschiera francese di 8 mila è stato prigioniero.
    Dippiù seguendo la vittoria Vusmer ha coperta la ritirata de francesi impadronendosi del Po e del ponte fatto da francesi a Piacenza ove ha posto il suo quartiere generale.
    Il Senato di Bologna sbigottito ha fatto pubblicare il seguente stampato avviso, [A.53] dopo il quale si è pubblicata la unita lettera confortatoria, stampata alla machia. [A.54]
    Adi 2 agosto furono poi pubblicati altri bandi sopra il mal de bovini e providenze per il macello de med. che a capo del presente quinternetto si auranno.
    Si è avuta notizia come il generale Clarmen francese venghi a tutta possa con 40 mila fanti e cavalli a socorrere li corpi qua e là sparsi. In questa sarà sino alle 22 sloggiati tutti li francesi da Bologna, che è evacuata. La perdita delli francesi nel blocco di Mantova e battaglia data è stata di 46 mila computate tutte assieme. Li mantovani nella battaglia e dali 4 lulio a tutto il tempo che è durato l’assedio è stato di 26.600 persone, le palle de canoni francesi erano le più grosse ritrovate di libre venticinque.
    La nostra Republica di Bologna è in uno spavento grandissimo. Li Senatori autori non si vedono, solo si tengono li reggimenti e parlamenti di notte tempo. L’arma della libertà che per anco esiste sopra la porta del palazzo che è una donna nuda dipinta da un canto che poggia su meza colonna, con fascio di verghe e manaja e tiene con la destra il bastone colla beretta sopra, esiste ancora coll’altra arma posta alla sinistra di Bologna e la città è mesta.
    Adi 6 lulio ad ogetto di scansare li tumulti e la populare insurezione in questo Castello per la estrazione de militari che devono guardare la Città ed anco a scanso di non essere violentato il Corpo comunitativo, allorchè si fosse radunato nella propria ressidenza consolare, si convocò il Consilio senza cedola ma privatamente in casa mia. Quivi trattò dell’affare della estrazione accenata.
    Fu il rissultato di spedire immediatamente lettera al Confaloniere sen. Vincenzo Graffi colla nota di quelli che si credevano forniti delli requisiti ricercati e così restare la Comunità illesa e liberati li rappresentanti di essa dalle insurezioni de malcontenti, tanto più che il popolo milantavasi non volere servire la città, guardarla e lasciare la propria patria per essa e per qualche accidente ancora dovere andare alla guerra per difendere li stati altrui e non li nazionali. La nota delli giovani è nell’archivio della Comunità, onde arrivò in appresso la risposta seguente cioè che assolutamente si facesse la imbustazione colle instruzioni però se il Massaro ha più di un filio se ne imborsi uno. Li figli liberi del fattore se ne ha più di uno si imborsi. Tutti li gargioni si imborsi. Un filio unico non si imborsi. Se nella casa di un miliziotto attuale vi è più di uno abile, si imborsi. Li possidenti fumanti non si imborsino. Li esenti dei dodici figli non devono andare esenti onde si imborsino secondo si è detto delli altri. Li artisti capi di bottega non si imborsino. In seguito di ciò fattasi la imborsazione e chiamati due testimoni in Consilio mediante un putto si è fatta la seguente estrazione e sono sortiti: dal Castello Francesco Astorri e Natale Galavotti, dal comune del Castello Giacomo di Andrea Castellari ed Antonio Brini e finalmente della Villa di Poggio Angiolo Mascagna e Francesco di Andrea Fabbri poscia, per che niuno alleghi ignoranza, la Comunità a fatto affissare ai luoghi soliti una notificazione acciò si presentino al cap. Giorgi per averne poi l’acompagnamento con lettera della Comunità.
    Fu delusa l’aspettazione mentre ognuno ricorse ai ripieghi e convenne tanto alla Comunità fare nova estrazione per il Castello e Borgo quanto per la campagna, massime poi per la Villa di Poggio onde si durò fino al giorno di S. Bartolomeo a fare l’estrazioni e cambi.
    Li grani, che erano stati arestati in questo loco a diversi proprietari stante la bona raccolta, furono pagate dal Senato le sovenzioni fatte dalla nostra Comunità alle truppe francesi che ammontarono a lire mila e trecento (1300).
    Sortì poi altro Bando che imponeva settimanamente ai consoli dare notizia alla Giunta Criminale delli tumulti che fossero sucessi in quella settimana e che non si desse ostaggio a forestieri massime delli insorgenti di Lugo e Romagna e fu intimato per parte della Comunità tutto ciò alli locandieri del paese.
    Sortì altro Bando sopra li forestieri abitanti nella città e provincia, intendendosi dal governo di espellerli quando non fossero artisti necessari e per che in questo loco vi erano scapestrati fu per ciò data suplica alla Comunità contro li capi cioè Antonio Cenni detto Gattino, Gaspare Ruggi, Tomaso Chiari detto Bucellai, Antonio Marchi dettto Sgambillo e Luigi Ferri detto Ripidorino, poiché costoro amutinati in conventicola andavano alle case di campagna, derubbavano e facevano ciò che pareva, la Comunità ne diede l’instanza a Bologna, ma accortisi di ciò spatriarono costoro.
    Era divenuta questa provincia sconvolta che non volendo li fornari da scassa più far pane, il Governo di Bologna scrisse alla Comunità onde sugerisca qualche provedimento per il nostro paese. Se le rispose che opportuno sarebbe stato procedere come nella podestaria di Casal Fiumanese, che tutti fanno pane venale, servando sempre le tariffe. Se le aggiunse che in tempi carestiosi addietro nel contado furono fatte quattro formentarie.
    Fu poscia ingiunto dal Governo alla Comunità che si invigilasse onde non seguissero astrazioni di grano, ed a questo mese di lulio fu la fine.
    Seguì lo strepitoso fatto d’arme sotto Mantova, in cui furono soccombenti li francesi,perdettero tutto il campo, mille canoni, tutte le argenterie, (…), munizioni, casse publiche ed altro levato dallo stato pontificio e di Bologna e Ferrara, che fu calcolata la preda più di dieci milioni. La perdita della parte francese, parte ucisa dalla fucillaria, parte annegata dall’aque sorgeuntele nel lago per il taglio fatto nell’Adige dal generale tedesco Vumser nipote del famoso Loudon è incalcolabile e così in un punto fu liberatta quella importantissima piazza.
    Crescendo poi i male ne bovini furono pubblicati bandi, che si auranno a capo del presente quinternetto, come pure altre providenze intorno al culto divino. Non si prossiegue per ora la scrivenda delli giornalieri accidenti perché troppo gelosa, mentre vi è pena di vita anco a parlarne e in bene o in male, temendosi dal governo una qualche insurezione popolare si per il Bando istantaneo sopra le monete pontificie si per le contribuzioni che si mandavano a tutti li possidenti di dovere imediatamente pagare in termine di tre giorni, quella tassa che fosse venuta in capo alli tassatori, mentre non si vede raguagliata né tassata a proporzione.
    Nel di 17 agosto poi il Governo spedì a questa Comunità un coriere affinchè la stessa sera si provedesse l’albergo e vitto a 50 soldati provenienti da Bologna, condotti dal tenente Nicola Raimondi che doveva ricevere dalla parte di Romagna una porzione della contribuzione pontificia. Il med. venne su l’avemaria con credenziali dell’Assonteria di Milizia. Contemporaneamente il med. ricevette per la parte di Romagna lettera del not. Belmonte di Rimini, che aveva l’impegno di accompagnare colli dragoni pontifici il danaro a non avanzarsi per non sagrificare la sua gente, essendovi malcontenti nella Romagna, onde solo la notte seguente delli 18 andò sule 6 ore alla Toscanella e qui fu fatta la consegna del tesoro in 14 carrattoni di argentaria e contanti che si disse essere di cinque milioni e 180 milla scudi. Giunse nel Borgo accompagnata dalli nostri militari con alcuni francesi, si fermò al Borgo ove rinfrescata partì sul merigio alla volta di Bologna.
    E perché cresceva il sospetto di salute nelli uomini a motivo delle carni macellate, temendo questa comunità di essere in qualche pericolo sulla ragione che li nostri macellari hanno anco il macello della vicina Toscanella nel territorio di Dozza ove si sbancano qualunquemente carni per che non sono soggetti ad alcuna visita né a tariffa e li nostri macellari di nottetempo portano li avvanzi di quelle carni nel nostro macello e quivi si danno al popolo, perciò la Comunità scrisse all’Assonteria di Sanità onde provedesse al disordine. Ascoltò essa l’instanza e ne passò la sua premura al M. Giacomo Malvezzi feudatario che promise l’opportuna providenza e la eseguì coll’interdire quel macello.
    Nello stesso tempo giunse la lettera alla Comunità della Giunta alla formazione del novo piano di dover dar nota di tutta la nostra popolazione del Castello, Borgo e campagna, la quale fu tosto rillevata dallo stato delle anime della parochia e fu la seguente che si trasmise tosto cioè:
    Il Castello
    Sacerdoti secolari N. 11
    Uomini e donne N. 971
    Fanciulli e fanciulle N. 392
    Totale N. 1374
    Borgo
    Sacerdoti secolari N. 3
    Uomini e donne N. 589
    Fanciulli e fanciulle N. 274
    Totale N. 866
    Campagna
    Uomini e donne N. 943
    Fanciulli e fanciulle N. 454
    Totale 1397
    il totale è di N. 3637.
    E per che non fu compreso Poggio per ciò si ingiunse a quel paroco D. Alessandro Dal Bello di spedirla e fu la seguente:
    Sacerdoti N. 4
    Uomini N. 232
    Donne N. 206
    Totale N. 442
    Fanciulli N .95
    Fanciulle N. 81
    Totale 176
    Totale di Poggio N. 618

(176s) Il vicariato poi del S. Ufficio, che sino ad ora era sempre stato in mano de frati e in questo loco in mano di un frate di S. Bartolomeo che fu l’ultimo ed odierno P. Agostino Gasparini, in oggi è passato in mano dell’odierno arciprete Calistri per essere vicario foraneo. Escì ancora circolare del vescovato a suoi parochi di non dovere parlare né in bene , né in male delle corone belligeranti sotto la pena, quanto ai frati di essere espulsi e confiscati li beni e quanto ai parochi la perdita delle chiese, espulsione dallo stato ecclesiastico ed altresì, quanto alli altri preti, esclusione dallo stato eccl.. Li exgesuiti spagnoli furono presi in sospetto, onde si teme che possino essere espulsi da Bologna, furono bandite tutte le altre coccarde, toltone le spagnole per li nazionali spagnoli e le francesi.
Di Roma si hanno relazioni di infiniti prodigi di S. Imagini di Maria e di Salvatori. Le famiglie contributtate di Castel S. Pietro si auranno a capo del presente quinterno se saranno tutte terminate.
E perché il male de bovini si rendeva sospetto di essere prorogabile nelli uomini mediante le bestie di macello, fu ordinato che prima di essere macellati fossero visitate dal maniscalco, dal Massaro ed anco da uno de publici rappresentanti e poscia si macellassero e perché li nostri macellari di Castel S. Pietro tengono anco in affitto la macellaria della Toscanella cosi vivendosi in sospetto che di molto tempo siano introdotti da quella, cioè si macellano bestie qualunque siano, li avvanzi delle med. che possino essere infette, così si scrisse dalla Comunità all’Assonteria di Sanita che prevedesse lei al disordine altrimenti si sarìa stato in necessità ricorrere al legato di Ravenna. l’Assonteria prese in cosiderazione il fatto, fece li suoi rissentimenti al Mand. Giacomo Barone di Dozza e fu tosto quel macello sospeso per essere alla nostra confina.
Li 26 corente agosto poi per terminare le differenze nate fino dall’anno 1794 sopra la via de confini tra Docia e questa comunità fecesi sapere al march. Malvezzi che senza spedizione di periti, come aveva esso intenzionato, si sarebbe dalla nostra Comunità proceduto al riattamento in comunione colla comunità di Dozza. A questo effetto il dì 6 settembre si andò in loco dalli deputati nostri di Castel S. Pietro ove, intervenuto quel governatore di Dozza dott. Giovanni Soriani, fu tutto composto.
Essendosi poi ultimato il novo sistema in Bologna di governo republicano dalli deputati, non piaque questo alli nobili, onde nel Senato colli deputati vi fu non poco diverbio per vedersi li primi scemati della autorità e partecipate nella populazione, cioè alli tre gradi di cittadinanza, medici, giuristi, mercanti e cittadini, eclusi li artigiani, quindi per escludere questi il Senato pretese che niuno di questi ceti potesse optare al Governo quando non avessero almeno di rendita annua scudi mille, che era lo steso che escludere quasi tutti, mentre pochi delli giuristi, medici e mercanti avevano tale rendita.
La conclusione però fu che si esaminasse novamente il piano della Assonteria de magistrato, la quale pendeva più per la nobiltà che per la cittadinanza, e furono perciò intepellati li legislatori o per dir meglio li compilatori delle leggi ad emendare e fare un novo statuto. Impugnarono questi dicendo, che avendo il Senato una volta trasfuso in essi la facoltà legislativa secondo il proclama non volevano dimettere la loro autorità, se non a consenso di tutta la città. Intanto fu sospesa la publicazione.
Crescendo poi il male de bovini, e movendone parechio nel nostro comune di Castel S. Pietro, fu in necessità il Console sequestrare nelle case li coloni che erano attacati.
Tra questi fuvvi la famiglia di Inocenzo Dalfiume, socio delli Farnè alla Pelegrina, Marco Marabini socio alla Porzana del sen. de’ Buoi per che tutte le loro stalle erano state sfinite dalla morte. Li romagnoli temendo di essere attacati posero le guardie e soldati alla Selustra né lasciavano né uscire né entrare sorte alcuna di bovini, solo cavalli e bestie da soma e fu perciò gran penuria ancora per il macinare non potendosi inoltrare nella Romagna, per la siccità ancora, colli bestiami.
Venne poi una orida gragnola che distrusse quasi tutta l’uva del teritorio di Castel S. Pietro.
In questo tempo venne un emissario francese per nome Giuseppe de Michelis che visitò tutto il Castello, ricercò delle familie e delle possidenze della chiesa, si fece pagare dalla Comunità la vituaria per se e cavallo a ragione di l. 18 il giorno e stette quivi due giornate. Oservò li palazzi, per porvi li quartieri di inverno in caso di bisogna.
Il Senato, vedendo che le bestie bovine avevano patito e temevasi di loro esterminio, esentò con bando tutti li contadini dalla inghiarazione per quest’anno.
Venne avviso come il Duca Ercole d’Este di Modena, essendo fugito a Viena per le presenti circostanze, rinonciò al ducato con lettera alla regenza di quella città. Ciò male intendendo li cittadini, volendo essi pure partecipare al governo, andò la città a rumore, seguirono ucisioni ed in ultimo fu proclamato: Viva la Libertà francese e fu inalberato l’arbore nella pubblica piazza.
Novamente li francesi posero l’abbloco a Mantova e per inoltrarsi alla brecia e scalata fu posta in Ferrara una requisizione di boti di vino vote di aceto, di aquavite ed altre robbe. Le botti furono 900 spedite a Mantova per riempire di sabbia e fare una strada nel lago. Avvisò un coriere di Lombardia che una insurezione di 15 mila contrabandieri assassini fra Novi e Tortona avevano predato tutto il tesoro pontificio alli francesi con 2500 cavalli e muli.
Chi volesse raccontare non che segnare tutte le cose che giornalmente accadono, si vociferano nelle contingenze presenti, converrebbe giornalmente e continuamente avere la penna in mana, ma ciò non potendosi, né dovendosi p. che tutto poi non regge, scriverò soltanto ciò che sarà di puro necessario e che accadrà nel paese o avrà corellazione col med..
La vendemmia riescì scarsa non solo a motivo delle gragnole, ma anco per il comercio di bestiami fra la nostra provincia e la Romagna. Si paga ora che siamo alla B. V. di settembre scudi 12 la castellata. La epidemia di bovini cresce e si estende anco nella Romagna. Nel comune di Anzola, stato di Bologna, ne sono morti fino a quasi 400 delle grosse né sanno i villani come lavorare.
Adì 6 settembre si fece la visita alla strada de confini con Doccia, ove essendovi quel Governatore Giovanni Soriani nativo di Fusignano, Pavolo Manaresi per la parte di Doccia e per la parte nostra Antonio Balduzzi e me Ercole Cavazza, fu concluso, salva l’approvazione delle respettive Comunità, che la strada si tenesse in fondo al corso dell’aqua fino dove si poteva, giunta poi al Lavino si levasse dal fondo e si restituisse al suo suolo antico. Il lavoro si dovesse fare a comuni spese delle Comunità e l’arborazione sul labro della med. spettasser alla Comunità di Castel S. Pietro.
Adi 8 settembre giovedì, giorno dedicato alla natività di M. V., la compagnia del SS.mo secondo il consueto andò alla Madonna di Poggio. La Comunità nostra non mancò di portarsi in Corpo alla visita della S. Imagine coll’offerta di cera e di N. sei messe. Le critiche e lagrimevoli circostanze in cui si trova lo stato della chiesa e per l’epidemia de bovini che non si lasciano transitare e nemeno attaccare alli ordegni di una provincia all’altra, la perdita universale, i lavori della campagna che non si possono fare e moltopiù le guerre che inondano l’Italia, i governi dissestimati, il libertinaggio e le esosità del clero che tutto ha ingosato, fanno all’universo un castigo divino. Il comercio inceppato, la scarsezza del danaro sono l’oggetto più deplorabile nelle populazioni.
Perché alcune stalle del comune nostro di Castel S. Pietro erano attacate e perite le bestie bovine, il Consolo ser Francesco Conti le fece chiudere e porre la guardia alli villani onde non partecipassero e comunicassero il male alle altre, impose alli villani di non andare nemeno a messa, ne diede poi l’avviso all’Assonteria di Sanità che ne diede riscontri lodevoli. Furono in seguito pubblicate ed affisse le unite stampe. [A.55] [A.56] Contemporaneamente il Senato, per precetto estorto dall’arcivescovo da quanto si disse comunemente, ordinò ad ogni Massaro andare alla questua dell’uve per li mendicanti di Bologna in N. di 380, imponendo al med. Massaro sotto pena di carcere comandare un bifolco fare il giro e questua nel comune respettivo dell’uva e trasportarla alla città.
Sentì male la nostra Comunità, come molte altre un tale ordine a motivo di esporre li bovini al pericolo di infettarsi accostandosi ai predii ove erano altri bestiami, sul dubbio della Sanità aggiungesi la scarsezza dell’uva e le gragnole che l’anno scemata. La nostra Comunità fece ciò presente med. lettera al Confaloniere Carlo Bianchi per averne la dispensa, aggiunse ancora che occoreva fare un deputato per la vigilanza che dovesse vestire di tela cerata nelle sue visite, finalmente espose che ritrovandosi nel precetto ingiunto l’obbligo ad un officiale della Compagnia del SS.mo di assistere alla questua nasceva un dubbio perché nel nostro Castello eranvi due Compagnie del SS.mo, una capata anticamente eretta nel secolo passato ed un’altra introdotta dal moderno arciprete Calistri composta tutta di villani, il cui solo officio è di solo birbare per il med. e niuno esercizio di opere spirituali faceva con tante altre ragioni, onde per ciò la Comunità non sapeva a qual partito appigliarsi come dalli atti della Comunità si può più raccogliere. Ciò si eseguì nel consulto tenutosi il giorno di domenica 11 corrente settembre. Alla lettera acennata niuna risposta si fece.
Infrattanto in Bologna si presentano due partiti fazionari. Temesi di qualche insurezione, a tale effetto fu proclamato un ordine di non andare in conventicole e fu altresì fatto sapere nel med. che tantosto si sarebbe veduto il novo piano di Governo, quale sarebbe stato approvato dalli due generali francesi Saliceti e Aggerò.
Le composizioni e poesie stampate in sale de francesi che giravano sono molte e molto vi vorebbe a compilarle, due sole ne acenno per che più bravi sono e senbranmi più piene di sale, sono per Bonaparte inedite
Bonaparte non vol parte
perché vol più di sua parte.
e nel mondo non v’à parte
che non vogli la sua parte
Tal quadernario fu epilogato nel seguente distico:
Non Bonapars partem vult, sed partem occupat ultra
pars nulla in terra est, quia volet esse suam
In questa contingenza sortirono da Faenza li seguenti anagrammi:
Bonaparte : Pane rubbato
Municipalità : Capi male riuniti
In questo stato di cose vedendo il Papa che le cose andavano alla peggio, fu proposta la pace fra esso e la Francia a mediazione del sovrano di Spagna. A questo effetto fu concertata una Dieta a Firenze, vi intervennero per la parte pontificia il P. Salvati teologo domenicano, mons. Galeggi ed il cavaliere Azara ministro della Spagna e mons. Della Greca.
Non ebbero li congressi quell’effetto che si sperava. troppo ardue furono le addomande della Francia, onde restò sconclusa la pace.
Nel 13 corente settembre convocati li Cardinali il Papa, rappresentate le condizioni della Francia, furono tutti li cardinali negativi perché, oltre l’annientare la potestà pontificia temporale, toccavano molti e diversi punti di relligione onde si propalò in Roma che si sarebbe perciò fatta una guerra di Relligione. A questo effetto il Papa spedì alle corone catoliche corieri per sentirne il loro sentimento.
Si scoperse intanto che il cavaliere Azara aveva tradito la chiesa, il suo sovrano ed il re di Torrino col lasciare introdurre ne stati loro li francesi con cabale onde fu rivocato dal suo impiego e relegato in Tamplona, città e fortezza della Spagna.
Il nostro Senato con decreto abolì tutti li titoli di Conte, di Marchese ed altri simili lasciando solo intatta la dignità e li caraterizati cioè Dottori, Notari e Avvocati, volendo che in appresso si chiamassero tutti cittadini li Nobili come le altre persone ed in questo fatto riconobbesi l’eguaglianza francese vada riportandosi anco al metodo romano quando era Republica Roma. Si può giustamente dire con Ovidio:
Non census, nec nomen avorum
sed probitas magnos ingeniumque facit
Ed invero era una enormità che la nobiltà del sangue dovesse anco trasfondersi nei discendenti ancorchè reprobi ed ignoranti, quando che questa debba essere propria di chi se la produce e guadagna.
Nel medesimo tempo il Senato ordinò che la infamia per qualche delitto non dovesse trasferirsi nei sucessori, ma acedere il suo autore.
Li capi insorgenti d’Imola che nel dì 18 e 19 volevano incendiare il palazzo publico furono dissipati. Quattro sono statai carcerati, uno de quali è Antonio Marchi notaio imolese. Li altri sono fugiti. L’autore primario fu il Conte Francesco Tozzoni che subito andò all’armata francese per la parte di Bologna.
Adi 23, 24, 25 settembre si fece un solenne triduo al nostro miracoloso Crocefisso della Compagnia del SS. SS.to e l’ultimo giorno, che fu la domenica , si fece il dopo pranzo la processione colla S. Imagine che fu portata fori della porta di sopra nella piazza de Capuccini e quivi cantate le preci ab epedemica animalium lue, colla risposta te rogogamus per tre volte e per due volte ut inimicos S. Eclesie; indi cinque Pater ed Ave, diedesi la benedizione verso la parte del meridio. retrocedendo poi la processione verso il Castello dietro le mura presso il Toreggiotto Locatelli, ove si stentava passare per quel picolo vicolo, si fermò dietro il palazzo Malvasia in quella piccola piazzola, ove recitati li cinque Pater ed Ave colle sud. preci replicate avvanti la S. Imagine davasi colla med. la S. Benedizione verso l’oriente. Ripigliata la processione procedendosi dietro il convento di S. Francesco e le mura del castello fino all’angolo inferiore e, rivolgendosi verso la porta maggiore del Castello, si fermò verso il ponente nella piazza de bovini o sia mercato, quindi replicati li cinque Pater ed Ave colle sud. preci si diede la benedizione verso il ponente, poi incaminandosi la processione entro il Castello si condusse alla piazza maggiore alla chiesa o sia oratorio del SS.mo, ove su la porta di quella replicate le orazioni sud. si diede la benedizione al popolo verso borea, cosichè fu benedetto il paese e suo teritorio nelle quattro parti che lo compongono.
A questa processione intervennero le tre Religioni, le due Compagnie e il Corpo Comunittativo in uniforme nera tutti con lume onde riescì la funzione non meno bella che devota quantunque la pioggia preventiva avesse disanimato il concorso e l’arciprete di mala voglia favorisse questa singulare divozione.
Adì 19 settembre giorno di S. Michele si publicò la notificazione del Senato di dovere ridurre tutti li orologi pubblici all’uso francese.
Pubblicossi ancora il Bando sopra l’abolizione delle monete papali da soldi sessanta e da venticinque, il che produsse grande esclamo. Si pubblicò pure un lungo editto sopra la sopraintendenza e vigilanza nel male de bovini, coll’avere diviso il teritorio in tanti quartieri assegnando tante comunità a ciascun deputato dall’Assonteria di Sanità. Per Castel S. Pietro fu deputato il consiliere Francesco di Pietro Conti, sottomettendole queste comunità: Castel S. Pietro, Liano, Casalechio, Poggio e S. Maria della Capella.
A questa calamità si aggiunse ancora la sicità del tempo da molti mesi a questa parte, non si potette macinare per mancanza di aqua. Il trasportare grani nella Romagna è vietato dalle guardie militari di quella, che procedendo con somma gelosia, non vogliono nemeno fra (…) e Lugo della Romagna concedere il transito delle bestie se non sono accompagnate da militari locali fino al termine del loro confine.
In questo tempo si publicò notificazione del Senato di dovere riddurre li orologi publici all’uso oltremontano e non più all’italiana, cosa che imbarazzò molto.
Non essendosi potuta concludere la pace fra il Papa e la Francia a motivo delle ardue pretensioni de francesi in N. di 22 capitoli fra quali eranvi questi: Che li preti, eclesiastici e monichi potessero congiungersi in matrimonio. Che il papa deponesse il Governo laicale, che si approvassero li preti e vescovi intonsi nella Gallia. Che in Roma avesse la Francia una stampa libera, un teatro continuo, un Giudice supremo a qualunque causa indipendente dal papa. Che le confessioni e sagramenti di penitenza fosse abbolito e molte altre.
Fu perciò dichiarata la guerra dal Papa alla nazione francese. Si aleò il Papa con Napoli a diffesa de propri stati, onde per ciò parve questo l’ultimo espediente per terminare e decidere coll’armi ogni pretesa. Fu rivocata per ciò la contribuzione del Papa e tutti li argenti e robbe contributarie furono da Rimini richiamate a Roma, e così cominciossi a temere.
Essendo ritornati li francesi sotto Mantova che veniva rinforzata dalli imperiali, accade che nella battaglia seguita poco distante da questa fortezza sotto un Castello detto Governolo, distante poche, milia resta tagliata fuori una colonna di imperiali Usseri ed Olani, gente ferocissima e pronta ad ogni impresa onde, nell’alliamento per mettersi in sicuro, venne nelle parti di Lombardia in N. di quattrocento e più. Presa la strada di Parma e Piacenza, venne sotto Coreggio poi passò a Reggio domandando quartiere a quella città. Ricusò la guardia civica e si diede un picolo attacco, in esso perirono 23 regiani e solo sette imperiali furono feriti. Era questa truppa tutta cavallaria, aveva seco munizioni da bocca e da guerra con sette pezzi di canone fra quali uno tirato da 14 cavalli.
Temendosi dal Senato nostro una qualche scoreria, oppure una intelligenza di geniali da una parte, e dall’altra una qualche insurezione di geniali, mandò fuori un avviso nel quale si conteneva che trovandosi di questi militari si cercasse fermarli, arestarli e rigettarli anco col suono della campana a martello e coll’armi.
Li reggiani poi, malsoferenti di essere tributari per Modena, comisero una insurezzione ed uniti ad un corpo di francesi vennero alla città di notte tempo il giorno tre del corente ottobre, presero una porta della città che fu colpita improvisamente e fatti prigionieri li militari che custodivano la città e disarmati, ne furono condotti a Bologna al N. di settanta nel convento di S. Giacomo. Li altri militari che in quel conflitto noturno ed improviso si trovarono, deposte le armi disertarono e venero alla volta della Romagna.
Si ebbe notizia contemporaneamente che il Papa aveva concluso e segnata, il dì primo corente, l’aleanza col Re di Napoli che si obligava mantenere difesi li Stati pontifici colle sue armi, unite a quelle della chiesa in N. di 40 mila combatenti. In corespettivo di che il Papa rinonciava a quel Re li diritti della chiesa e tributi con le giurisdizioni laicali sopra Viterbo.
Certo egli è che il Direttorio della Francia aveva mandato al Papa 64 capitoli da approvarsi da esso colla legge di acettarli tutti o rifiutarli. Il Papa, che colli cardinali riconobbe essere inabbracciabili, ricusò l’approvazione e prese il partito della guerra per la quale racontasi che passi alla corte di Napoli centomila scudi al mese fino a guerra finita e colla condizione di non fare le due corti di Roma e Napoli la pace colla Francia se non concordemente.
Nella sessione tenutasi in Firenze, essendosi riconosciuto parziale della Francia il d. teologo Soldati domenicano fu in apresso, come sospetto di intelligenza, arestato.
Il Papa poi per giustificare il suo operato, non meno che per porsi in diffesa giachè il popolo romano gridava guerra, guerra, fece una circolare a tutti li capi, siano eclesiatici che secolari, invitandoli tutti alla ressistenza dell’armi nemiche, la quale fu stampata in diverse città, la cui copia è la unita assieme colli 64 capitoli che proponeva il Direttorio francese.[A.57]
Il Senato di Bologna notiziato di questa stampa promulgò una notificazione a suoi suditi in istampa col titolo: Notificazione di Disinganno, all’effetto che non si fomentasse qualche insurezione tanto più che in Imola vi era non picolo sussuro e gente armata che minacciava e declamava contro Bologna. Cosichè, pervenuto ciò a notizia del generale francese, fece egli sugere al vescovo card. Chiaromonti d’Imola e capi rapresentanti che usassero diverso contegno altrimenti minacciava di sacheggio e guerra. Dalle parti di Roma intanto si sentì venire alla volta di Romagna un corpo riguardevole di napoletani e romani.
In questo tempo fu restituito alla sua sede vescovile di Ferrara il Card. Mattei già stato fatto prigioniero a Milano dal gen. Bonaparte. In quella città si publicò il novo sistema republicano composto di 14 membri cioè sette ferraresi e sette provinciali che dovranno pressiedere a tutto col titolo di pubblici aministratori, con un appanaggio di scudi 72 mensili per ciascun membro. La loro autorità è coartata di non potere deliberare cosa alcuna se non con la approvazione del comandante francese locale.
Non essendosi potuto combinare le Massime di Convenzione e Pace fra la Repubblica gallicana col Papa per l’arduità delli capitoli che o tutti o nessuno si admettessero, venuto in sentimento il Papa di guardare li suoi stati fece produrre alle stampe la notificazione colli capitoli che sono le unite ed una instruzione alli suoi sudditi di prendere le armi per la diffesa delli suoi Stati. [A.58]
Non bastò ciò, per che conosceva la debolezza delle sue forze e li mancamenti del di lui Governo, quindi contrasse una aleanza col Re di Napoli per le presenti contingenze e ne seguì sucessivamente l’armamento di 36 mila combatenti cioè 12 mila papalini e 24 mila napoletani, di accrescersi il N. secondo il bisogno. Le capitulazioni di questa confederazione non sono piene prodotte alla luce.
Infrattanto il Senato di Bologna credette colle altre tre nazioni di Ferara, Modena e Reggio formare una confederazione, a questo effetto furono invitati li capi nazionali delle med. città e furono chiamati ad una dieta in Modena per concordare le massime, onde Bologna chiamò al Consilio sei municipalisti del suo teritorio di quei luoghi di maggiore importanza che furono Medicina, S. Giovanni in Persiceto, Castel S. Pietro, Budrio, Crevalcore e Molinella.
Nominò medesimamente il Senato quei sogetti che credette più capaci mediante circolare spedita nel di 19 corrente giorno di giovedì affinchè si trovassero in Senato il di seguente venerdì 13 ottobre imancabilmente, ma per che vi furono alcuni che per malatia o per altri impedimenti non poterono intervenire fu loro concesso di potere sostituire altro sogetto, ne fu per ciò publicata la seguente nota de cittadini deputati dal Senato di Bologna che si dovranno ritrovare il 16 ottobre 1796 in Modena a quel centumvirato congresso ordinato dalli comissari francesi per trattare l’aleanza delle quattro città cioè Modena, Reggio, Bologna e Ferara e per altri affari, cioè Bologna N. 36, Ferrara N. 24, Modena N. 20 e Reggio N. 20 per cadauna che in tutto sono 100.
Di Bologna
senatori N. 6 cioè Segni Lodovico ed in sua vece Dondini, Carlo Caprara, Vincenzo Marescalchi e Ulisse Aldrovandi, Bentivoglio ed Isolani Alemanno, Giuseppe Cacciari avvocato, Zechelli avvocato
Antonio Aldini avvocato, Giacomo Pastorini avv. consultore, Ignazio Magnani avv., D. Gnudi abbate di S. Giuliano, dott. D. Luigi Morandi paroco di S. Sebastiano, Fava conte Nicolò, Guastavillani Giovan Battista, dott. Riviera medico (sostituto Aldrovandi), dott. Fabbri medico (sostituto Mondini), Gnudi Rafaele, Gandolfi Angiolo, Chiesa Carlo (in sua vece Pietro Arselli), dott. Filippo Tacconi sindico del Senato, dott. Palcani, dott. Vincenzo Brunetti, Brusa Giacomo, De Luca Pietro, Bersani Giacomo, Bettini Domenico, Pizzardi Francesco, Bragaldi Giovanni (nativo di C. Bolognese), Gandolfi Mauro pittore,
Del Contado
Agostino Grandi di Medicina, Pamiresi di S. Giovanni in Persiceto, Francesco Conti di Castel S. Pietro ed in sua vece Ercole Cavazza, Cochi di Budrio, dott. Pigozzi di Crevalcore o Crepalcore, Francesco Ungarelli della Molinella.
La matina per tanto delli 14 si radunarono li sopracitati nella sala ove si tengono le sessioni senatorie, si parlò quivi della aleanza prendendone da tutti li adunati il consenso ma per che ciò si fece con qualche languidezza a motivo di non essersi per anco pubblicato il novo sistema, così fu decretato che si promulgasse questo quanto prima in istampa acciochè ogni uno votasse li oggetti di sua libertà e governo.
La mattina seguente poi, che fu il sabato 15 ottobre, si congressò per l’ora della partenza in nove carozze a 4 cavalli che per non distribuire la posta furono fermati tutti li cavalli delli stallatici al N. di 36 e la sera alle 20 italiane si andò a Modena, città ducale e molto bella per essere stata modernata dal moderno duca Ercole d’Este III, fuggito per sua sicurezza a Vinegia.
La sera all’ora di notte si radunarono tutti li bolognesi nel palazzo Manzoli di quella città, già Fontanelli ora Caprara di Bologna. Si ebbe novo trattato sopra la unione delle 4 città sudd. e si notificò volersi assolutamente vedere fuori il novo sistema di repubblica. Finito il congresso fu intimato a tutti li nazionali ritrovarsi la mattina seguente, domenica 16 ottobre, nella gran sala Rangoni alle ore 9 francesi e nostrane d’Italia 17. Vi si intervenne da tutte le nazioni sud. nella med. riccamente apparata a capo della quale vi era un gran tavolone coperto di damasco cremisino ornato di oro e sopra il tapeto di veluto con cinque sedie e 4 calamari per i respettivi segretari che furono, per Bologna avv.Magnani, per Reggio il dott. Parisi, per Modena Loschi e per Ferara Isechi, nel mezo di loro essendovi andato a sedere l’avvocato Cacciari bolognese per servire da pressidente.
Vi fu ostato dalle altre nazioni, si ricorse però alla sorte, furono imbustati per parte de bolognesi Aldini e per le altre parti li suoi respettivi avvocati. Cadde la sorte in Aldini, quale per tutto il tempo che durarono le Diete sederà esso al caratere sud.
Terminata la sessione verso le 22 ½ italiane fatte, le quattro Nazioni si portarono nel gran cortile del palazzo ducale ove era imbandita una lunghissima mensa che occupava da un portico all’altro il med. Vi erano più di 200 coperti per comensali ed un famoso (…), vale a dire una cena lautissima di ogni sorta comestibile.
Adagiati li convitati colli capi della Municipalità modenese, comincionsi a sentire instrumenti da fiato, corde e di ogni altro, con sinfonie da un canto e dall’opposto replicavano canti e suoni della banda militare, che al principio sembrò un paradiso terestre. Appena cominciato a cibarsi fu tale l’affollamento del popolo modenese attorno li convitati che, non potendo ressistere le sentinelle francesi che giravano, furono necessitati li comensali abbandonare la tavola alla discrezione di quelle genti che diedero il sacco alla mensa.
Ciò posso sicuramente lasciarlo notato a posteri per che poco potei godere e non gustai che poca zuppa, poco cotechino e bere, mentre volavano per ogni canto li bichieri e le bottiglie onde se volli bere mi convenne inzuppare pane nel mio gotto onde niuno potesse bevere li miei avvanzi ed in tal guisa fui sicuro almeno di meza
bibita di quel vino.
Partimmo pertanto al passeggio per mezora onde, fattasi notte, si ritornò alla sessione che durò fino alle 4 di notte, quale terminata ognuno delli asembleisti si portò al suo quartiere destinato in diverse abitazioni proprie e polite, fra le quali fuvvi il Colegio de Nobili detto di S. Carlo, ove io colli altri sette coleghi pernotassimo tutta la notte della Dieta tratati nobilmente a spese però del nostro Senato, toltone la mensa acennata che fu fatta a spese della municipalità modenese.
La mattina del lunedì 17 si riassunse il Congresso e così la notte alle ore come ho di sopra accenato e così il martedì mattina in cui terminossi la Dieta. Il lunedì mattina il Senato di Bologna diede un lautissimo pranzo a tutta la nazione bolognese ed ai capi della municipalità modenese fra lieti evviva sopra la libertà con canti musicati al suono di ogni sorta di instrumenti.
Li evviva poi che ogni sera si sentivano per Modena sono innarabili, per fino li ebrei di questa città apparavano il porticato del loro ghetto e lo illuminavano a giorno, tenendovi una solenne musica con orchestra in faccia ad un giudìo tempio, artefatto di veli colla stemma della libertà. Cantavasi per ogni dove un inno tratto dal francese e posto in canto figurato del quale a capo di tre strofette replicava il popolo baccante : Evviva, evviva la Libertà, che se mai riescirà averla sarà colegato alla presente narazione. Chi volesse racontare tutte le altre minutezze sarìa infinito.
Ma veniamo al sostanziale del Congresso. Nella prima sessione si parlò e determinò la Confederazione delle 4 Nazioni contro li sovrani passati e per li novi che volessero oprimere la libertà vendicata e donata dalle armi francesi. Per sostenere questa fu convenuto nelle sucessive sessioni di sostenerla con la vita e col sangue, dovendosi dalle nazioni confederate dar mano all’armi e socorersi scambievolmente nelli casi di aggressioni o per la parte del Papa o per qualunque altra potenza ed insurezione. Per consolidare la quale fu determinato formare un armamento di una valida coorte di seicento nazionali per ciascuna nazione e città, oltre la guardia civica, da pagarsi coll’erario pubblico e da erigersi una cassa per questo fine. Oltre queste quattro coorti di 600 per ciascuna nazione, fu determinato che se ne formasse un’altra simile di 600 militari che fosse composta però di militari estranei da pagarsi il soldo alla med. in proporzione dalle d. municipalità.
In un altro decreto un comitato di cinque sogetti a quali fu incaricato la organizzazione delle cinque coorti sud, li quali sogetti, per ciascuna e da ciascuna nazione eletti e publicati al popolo, dovranno pressidere e fare tuttociò che crederanno, mentre in quanto alla condotta dell’affare sarebbe stato il carico dell’intero Comitato.
Fatto il piano di tutto, fu decretato che si dovesse prima della esecuzione produrre per l’osservanza nella seconda Dieta, che fu determinata per il 27 dicembre anno presente con altre cose appartenenti alla Confederazione.
E perché naque fra li assembleisti il quesito dove si dovesse tenere questa seconda Dieta, optando e dessiderando ciascuna città capitale delle sua nazione, così per ovviare alli disgusti della parzialità, furono imbustati li nomi delle 4 città componenti la aleanza ed estratto un boletino, sortì Reggio per città capitale e questo se lo fatto.
In appresso fu nominato per Comisario generale il senatore Carlo Caprara, per segretario, che dovrà dipendere dal sud. Comitato Provvisorio, fu nominato il conte Nicolò Fava. Molte altre cose di poco memento si potrebbero quivi addurre, ma lo vieta la prolissità e si sentiranno di mano in mano proclamate.
Infrattanto il martedì sera su le 22 del giorno in Bologna fu inalberato l’albore della libertà sul mezo della piazza in faccia a S. Petronio con due bandiere spiegate al vento, beretta rossa su la cima, coronato a mezzo del corpo con tre cartelli di diverse inscrizioni, la principale delle quali è : Egualità, Libertà, Morte ai Tiranni, o Sangue o Vita. Autore e capo di questo inalzamento fu __ figlio di Ignazio Babina lardarolo di S. Bartolomeo in porta di Bologna.
Inalzati l’arbore , sicome non era in perfetta direzione, il Bargello della piazza volle sugerire qualche cosa, fu cacciato dalla plebaglia entro la sua guardiola. Crescendo il rumore e la festa intorno l’arbore dal popolazzo, mandò il Bargello a dire che fermassesi il gridio. Adirati li circostanti corsero a folla alla guardiola, caciarono
tutti li birri col Bargello, che appena potè salvarsi, poi diedero foco alla guardiola, vendettero li insurgenti tutti li feramenti e fu gran rumore Poi andarono alquanti ad alcune case nobili e segnatamente dal senatore Girolamo Legnani, minacciarono il sacco e vollero vino, pane, contanti ed altro per titolo di eguaglianza.
Fu tentato lo sferramento de contumaci, ma il capo fu arestato e, colli altri capipopolo, furono spediti tosto nelle fortezze di Lombardia dal generale Bonaparte che venne in Bologna la sera stessa che si alzò l’arbore ed allogia anco di presente in casa Pepoli, che se non vi era la truppa francese in Bologna la notte del rumore purtroppo andava la città sussopra.
La notte poi del venerdì venendo al sabato 22 corente ottobre su le 7, 9 e prima delle 11 si sentirono varie scosse di tremuoto, l’ultima durò alquanti minuti e fu strepitosa. Le picole campanelle suonarono onde si vede la mano di Dio adirata. Sono tre giorni che dalli 21 alle 24 d. cade gran pioggia doppo lunga siccità. Nella Romagna bassa il teremoto ha daneggiato molti edifici, così in Imola, Medicina, Castel bolognese ed altri luoghi per cui ne veranno forse relazioni.
Adi 23 ottobre giorno di domenica si pubblicarono alquanti bandi e notificazioni sopra la Dieta passata che ometto per essersi scritto quanto basta. Solo annoto li seguenti due per curiosità di chi leggerà questa mia qualunque siasi briga che mi prendo per la posterità onde non resti del tutto all’oscuro. [A.59] [A.60]
Adi 26 ottobre, detto Fruttidoro da francesi, fu pubblicato il proclama della convenuta guardia ed armamento stabilito nella dieta di Modena che è l’unito (?). Nel di 29 poi fu pubblicato il Bando di dovere partire dallo Stato tutti li regolari forestieri, dovendo solo rimanere li nazionali, in oltre si ordinò nel med. a tutti li parochi il rendimento de conti delle sue rendite per li fini enunziati nel med. bando.
Nel di 30 giorno di domenica secondo l’avviso venne un battaglione di soldati bolognesi tutto montato di novo, dalla città passò a Castel bolognese a dar la muta.
Si sono avute nove che la pace sia seguita fra Napoli e la Francia. Molte altre providenze sono pubblicate da ordine al comercio. La Romagna viene pressidiata da un grosso armamento papalino. Mediante una circolare del Senato di Bologna sono chiamati tutti li Consoli alla città per lunedì venturo che saranno li 7 dicembre chiamato da francesi Nebbiadoro, fu altresì pubblicato un altro proclama, o sia Norma della Legione Italiana che è l’unito(?) colla tariffa delli stipendi militari.
In seguito de Bandi e Proclami sud. fu eletto per capitano de canonieri per la fortezza di Alessandria Floriano qd. Flaminio Fabbri nostro sanpierano collo stipendio di 30 zechini il mese. Medesimamente fu eletto per medico della truppa il dott. Valerio filio del dott. Anibale Bartolucci di questo nostro Castello con ottimo stipendio.
Adì 31 d. venne una lettera di somma violenza al nostro macellaro Michele Corticelli d’ordine della Giunta del magistrato di dovere portare tutte le pelli grosse e minute al Massaro dell’Arte de Pellacani né più somministrarle ad alcuno, non ostante qualunque sorta di privilegi, imunità, esenzioni di chiunque, sentenze, statuti, patti e consuetudini, sotto rigorose pene, non riguardandosi punto nemeno il contratto. In seguito di ciò portossi il macellaro a Bologna ed addusse le obbligazioni per esso fatte al pellacano locale, fu infratanto sospesa ogni questione.
Adì primo novembre, giorno di Ogni Santi, radunato il Consilio nel loco solito al quale pretendevano intromettersi alcuni paesani, fatto avendo per ciò un memoriale al Senato che andò a voto, fu perciò in seguito sparso il seguente esametro per ironia contro chi voleva introdursi:
Regni sacra fames quid non pote diva Cupido ?
A motivo che alcuni patrioti si erano vantati della introduzione, nel med. Consilio, a tenore della notificazione delli 30 caduto di doversi spedire due del ceto comunitativo ed anco con libertà di scieglierne uno fuori del consilio per fare la la nomina delli 42 per agiunta al Senato, furono perciò eletti col titolo di elettorali il sud. Floriano Fabbri come uno del Consilio presente e che accettò la carica, per l’altro secondo elettorale tutti li comunisti ricusarono investire la carica e perciò fu eletto uno fori del Consilio e fu Giacomo Lugatti, nazionale. A questi il Consilio fece le credenziali per il prossimo lunedì 7 corente novembre ed a norma della notificazione unita in questo loco e congiunta al presente manoscritto.(?)
In seguito della deputazione fatta da questa Comunità di Castel S. Pietro in virtù della notificazione delli 30 caduto ottobre essendosi deputati per eletorali della giunta al Senato di N. 42 sogetti, fu pontualmente fatta la nomina il 7 corente novembre. Furono perciò li seguenti:
in Bologna. dott. Vincenzo Brunetti bolognese, che per essere segretario di Gabella non potette ottenere, dott. Bachetti dal Vergato, conte Pietro Bianchetti, Domenico Bettini, dott. Sebastiano Canterzani, avv. Giuseppe Caciari, avv. Luigi Cechetti, Pavolo Dazzani di Crevalcore, dott. Giacomo Fangaruzzi di S. Gio. in Persiceto, Antonio Giusti che per essere notaio pressidente dell’arch. pub. non potette ottenere, Pompeo Fontana, Giuseppe Ghedini, Francesco Nassina not., Giacomo Monti, avv. Eligio Nicoli, che ancor esso non potette ottenere per essere funzionario della signatura, avv. Vincenzo Paluzzi, Vincenzo Pascale Rusconi, dott. Luigi Palcani, Luigi Tassinari di Castel Bolognese, Giuseppe Scarani, Lodovico Goti, avv. Antonio Aldini, dott. Giuseppe Fabbri anatomico, Giovanni Salaroli, avv. Vincenzo Landi, avv. Filippo Gaudenzi, Sebastiano Bologna, Filippo Marsigli, pellegrino Zanetti, Gio. Battista Guastavillani, Vincenzo Taruffi, Giuseppe Pozzi, Antonio Coliva, Giacomo Brusa, Marco Guzzini da Gaggio di Montagna, Giacomo Gandolfi, Giuseppe Piemontese dalla Poretta, Pietro Arfelli, Giovanni Montignani, dott. Agostino Fantini, Antonio Rizzardi e Giacomo Longhi. Li sud. che non ottenero furono per ciò in quella asemblea protestati per incapaci all’officio. Furonvi sostituiti Giovanni Brapaldi di Castel Bolognese , Enrico Magnoni not.
Doppo ciò fu pubblicato un Bando di dovere tanto li cittadini bolognesi quanto li territoriali, sotto rigorose pene di ribelli, portare la cocarda francese di tre colori bianca, torchina o blù e rossa, oppure portare la cocarda nazionale tricolorata, cioè verde, bianca e rossa, che tale è l’uniforme nova militare. Contemporaneamente fu pubblicato altro bando di dovere dare nota di tutti li argenti, fibbie e possate giurata.
Si pubblicò altresì il libretto del novo piano il quale, per essere munito di antecedente articolo di doversi o tutta o niuna approvarsi la serie delle legislazioni da farsi, fece non poca impressione onde si sentirà in appresso la rissoluzione nelle assemblee che si faranno tanto in contado nelle parochie quanto in quelle della città.
Sono sortiti altri bandi e proclami che riguardano le azioni militari e battaglie avutesi di certo che, per essere di lieve momento e sospettose, attesa la volta pattita a Legnago ove fu distrutto quel paese e la truppa francese che per assalto delli imperiali restò disfatta colla perdita di tutto il campo e liberata Mantova dalli imperiali, si omette il riferto ed imposto in tali bandi.
Continua il male nelle bestie e nel nostro territorio di Castel S. Pietro ne sono perite fino ad oggi N. 148.
Il Papa da questo altro canto ingrossa la truppa a Faenza. La pace decantata fra la Francia e Napoli non sussiste poi che quel Re vole che siavi intromesso anco il Papa e reintegrato delli suoi stati occupati e sollevati da francesi cioè Ferrara e Bologna. Tutto finora è iniscompiglio. Li frati e forestieri sloggiano e solo li priori sono trattenuti fino a che non hanno reso conto di tutto.
Adi 12 d. essendo stati battuti li francesi dalli imperiali nel veneziano a Legnago preso per assalto ove perdettero li primi 8 mila combattenti, il campo e perfino fu distrutto quel paese, ne venne che fu perciò liberata Mantova dal blocco e potette ricevere ajuti.
Da quest’altro canto della Romagna crescendo l’armamento pontificio a Faenza, li bolognesi temendo di una aggressione presidiarono Castel Bolognese per quel poco che potevano. Vedendosi in ispavento per ciò questa mattina venne a Castel S. Pietro il sotto tenente Manzi da quel pressidio con 24 militari scortati da contrabandieri a cercare armi con lettera diretta alla vedova cittadina Maria Coppi Graffi, vi levarono nove fucili colla sciabla e patrone, 12 alabarde, una mazza ferrata cristata. Un picolo ruportaro di mettalo con un canoncino da gallaria e studio bellissimi. Cosa invero ridicola per quel tenente da servirsi a tirare alle mosche. Due grosse spingarde e due pezzi di canone di ferro su li suoi caretti, tutti avanzi dell’armeria del fu capitano Lorenzo Graffi. Non contenti di ciò questi militari fecero una perquisizione domiciliare, ma nulla altro ritrovarono.
Adi 13 d. giorno di domenica, essendosi portati in questo Castello tre officiali bolognesi in uniforme nova nazionale cioè il cittadino conte Gabriello Riari, capitano della Guardia Civica di Bologna, Luigi Bonetti tenente della settima compagnia della Legione cispadana confederata e Vincenzo Gotti basso ufficiale, intendevano questi fare festa da ballo e bagordare per poi introdurre il basso popolo ed inalberare l’arbore della libertà, abbominato all’eccesso da questa nostra popolazione.
Ma non avendo trovato pascolo alle loro intenzioni, la notte alle ore 5 ½ italiane cominciarono i due officiali a girare pel Castello e Borgo cantando l’inno patriottico francese coll’intercalare: Viva la Libertà, muoia il Barbone di Roma, viva la Libertà.
Come è uso di ogni paese cominciarono a tenervi dietro ragazzi picoli, indi adulti. Volevano li officiali ordinarli che andassero all’albergo, ricusarono tanto li picoli che li grandi, si passò dalli officiali alle minaccie, alcuni dei ragazzi risposero che essendo tempo di Libertà volevano godersela come essi.Li grandi cominciarono a pattegiare e far coreggie. Crebbero le minaccie e diedero mano all’armi.
Sdegnati li patriotti, tre di questi, sebbene ragazzi di meza età pubere, corsero alle proprie case a prendere armi cioè Antonio di Vincenzo Tragondani due pistole, Antonio di Crispino Tomba un archibugio e Gaetano Magnani, detto Graneluccia e Maiino una sciabla poi ritornati ove erano li officiali questi fecero nove minaccie vedendo li tre che avevano ragazzi seco. Il d. Bonetti alzando la voce disse Olà a casa e diede mano ad una terzetta, il Riari alla sciabla, gridando: Olà a casa a casa. Ma il Tragondani più ardito si avanzò alla vita del Bonetti le lasciò una pistoletata tutta nel petto, che non acese che fuori, deluso il Tragondani diede mano all’altra dicendo anima ora prendi quest’altra, perduto il Bonetti si pose in ginochio, chiese la vita. Intanto dall’altro canto il Tomba vedendo avvicinarsi il Riario le lasciò un archibugiata che lo ruinò tutto il tabarro, li stivali e lo ferì alla gamba sinistra, era carico di sola munizione e bon per lui che restava morto se erano palle. Poscia gridando li officiali misericordia e la vita per grazia, li due aggressori li levarono le armi cioè spada, scialba, terzetta e per fino le spalette d’oro simbolo dell’oficialità. Apena fugiti incontrarono altri venienti dal Castello ad incontrare la baruffa. Il Riario fuggì dietro le mura, entro il Castello. Sortì la porta montanara e, pauroso dell’insecuzione, calò al fiume, valicò il canale d’aqua con pericolo di anegarsi e venne al ponte per andarsena all’albergo della locanda del Portone. Il Bonetti disarmato fuggì per la più breve alla volta della casa Vachi ed indi andò al portone.
Il fatto seguì fuori dalla porta maggiore del Castello. Li volenterosi giovanetti portando in trofeo le armi e spoglie dei due officiali si fecero vedere la mattina del lunedì, giorno di mercato, mostrando i segni della loro bravura. Nel tempo del conflitto le contumelie che riportarono li due officiali dalli aggressori, che a vederli li uni e li altri è cosa mirabile per la corpuratura delli assaliti, riesce quasi incredibile un tanto rischio ed affronto, furono tante colle ingiurie verbali e provoche che sono indicibili tanto erano accaniti: anime nere, bestie senza fede e lealtà che vi pensate essere venuti nel paese de minchioni. Castel S. Pietro è papalino, vi divoreremo quanti siete, ancorchè foste più di mille, affollavanesi persino le femine e donne imbelli contro li pari vostri più forti e distruggeremo tutte le vostre coorti. Il Magnani poi detto Majno e Graneluccia guardava le spalle ai combattenti ed aspettava il Gotti per fare con esso la terza baruffa, ma avvisato questi stette rinchiuso e si nascose colle donne che seco aveva nella locanda. Partirono poscia per la Romagna.
Li due combattenti vittoriosi e portando seco le spoglie delli nemici, furono queste rilasciate a mediazione del chirurgo Domenico Giordani, che li lusingò fare discreta relazione della medicazione del ferito Riario.
Si ebbe intanto la notizia che che tutto il di 11 corente Ferara tenne chiuse le porte per timore di una agressione tedesca tanto più che li francesi si sentivano slogiati tutti ed accampati entro Verona e che a Ruigo si aspettavano truppe austriache distanti 25 miglia.
Il generale nostro Carlo Caprara accorse a quella città. Il nostro Floriano Fabbri fu decorato del titolo di Ciamberlano e spedito a Forte Urbano. Si fanno intanto reclute in Bologna per spedirle in ajuto de francesi. A questo effetto fu spedita una circolare a tutti li Massari e Consoli del contado a dare nota de vagabondi, oziosi e malviventi.
Adì 16 novembre si pubblicò una notificazione di doversi il di 20 novembre, in conformità di altra segnata li 30 scorso, congregare nella arcipretale tutti li uomini della parochia che avevano passati li anni 21 ad elegere tanti decurioni che in seguito poi si dovevano riunire nella stessa chiesa ed eleggere sei de med. per portarsi poscia il di 4 dicembre a Bologna nella basilica di S. Petronio e nominare li legislatori per la nova legge. Sicome nella d. notificazione veniva ordinato che si facesse il registro di chi doveva intervenire dal paroco e priore della compagnia del SS.mo, naque il dubbio quale dei due priori dovesse servire stante che fino al 1780 cod arciprete aveva ottenuto da questo bono arcivescovo la facoltà di elegere una altra Compagnia del SS. detta Compagnia larga, capo della quale ora è Lorenzo Trocchi e cioè se il priore Francesco Farnè della compagnia canonicamente eretta nello scorso secolo, oppure il d. Trocchi.
A questo effetto fece il Farnè colli suoi compagni una suplica diretta alla Comunità esponenda in essa il bon gius che le competeva. La Comunità spedì la supplica al Senato per la dissoluzione del dubbio. Rispose favorevolmente alla Compagnia capata. Ma che? L’arciprete che era in Bologna fece revocare il rescritto e rivolgerlo a suo favore. Si può dare di peggio ?
Durante la domenica mattina alli 14 pomeridiane cominciò l’adunanza, furono 900 li adunati. Si fecero le nomine con molte iregolarità, furono fatti due segretari, cioè tenente Gio. Francesco Andrini ed Antonio Giorgi not., i due coadiutori furono Francesco qd. Pietro Conti e Giacomo Lugatti. L’arciprete col suo priore Lorenzo Trochi della Compagnia larga sedeva a mano destra del med. sopra un palco, di rimpetto l’uno all’altro sedevano li segretari con tavolino avvanti per ciascuno e qui si prendevano le nomine, che da med. si scrivevano a dettato delli votanti in schedola.
Ciò fatto si venne alla lettura delle schedole e non essendovi trovato il numero completo delle nomine prescritte nell’editto delli 30 ottobre, si procedette alla estrazione di alquanti nominati cosichè fu fatta la nota delli 93 decurioni e per che nella d. nomina vi erano incorse illigimità ed irregolarità, così si prese l’espediente di scrivere tutto al Senato e spedirvi Alessandro Alvisi che su ciò ne fece instanza alla Comunità.
Infrattanto fu fatta la descrizione di tutti li decurioni la quale si riporta, nelli seguenti fogli.
Infrattanto dal Senato di Bologna giunse la risposta al Consolo che l’incombenza della Presidenza ed estrazione era addetta al paroco e che d. essendo inconbenza comunitativa poteva benissimo caminare come è gia caminata la facenda e che il Senato avrebbe sanato tutto. Si ebbe notizia in questo tempo che li tedeschi avevano ricevuto una batosta, ma non è certa.
Il P. Giovanni Coniberti agostiniano di nazione piemontese che fu l’ultimo priore di questo convento se ne partì per la Toscana lasciandovi io novo priore sostituito P. Antonio Bazani nazionale bolognese.
Li decurioni sopra indicati colla quantità de voti ottenuti nel Comizio generale su anunziato sono:

Nome Voti
1) Adrini Giulio 56
2) Andrini Gio. Francesco 31
3) Andrini Roco Antonio 65
4) Andrini Andrea 2
5) Alvisi Lorenzo 3
6) Albertazzi Domenico 2
7) Baroncini Domenico 5
8) Bergami Ercole 10
9) Bertucci Antonio 55
10) Bertucci Camillo 7
11) Bergami Francesco 2
12) Bettazzoni Carlo 5
13) Borelli Luigi 4
14) Canetti Lorenzo 5
15) Campi Antonio 7
16) Campagnoli Antonio 5
17) Cavazza Ercole 83
18) Cavazza dott. Francesco 16
19) Calistri d. Sante arciprete 27
20) Castellari Pietro 13
21) Canè Giacomo 2
23) Canè Sante 10
24) Canè Domenico 3
25) Conti Francesco qd. Pietro 88
26) Conti Francesco qd. Lorenzo notaio 16
27) Conti Filippo 16
28) Cardinali Luigi 9
29) Cardinali Pietro 3
30) Chiari Francesco 3
31) Cuppini D. Filippo 8
32) Cuppini Pietro 3
33) Cella Remigio 5
34) Corticelli Michele 2
35) Dall’Ossa D. Sebastiano 6
36) Farnè Antonio 4
37) Farnè Paolo 30
38) Farnè Francesco 5
39) Fiegna Giovan Battista 21
40) Farnè Nicola 20
41) Gardi Giuseppe 3
42) Galetti Amadeo 10
43) Galetti Andrea 3
44) Giorgi Nicolò 49
45) Giorgi Carlo 2
46) Giorgi Luigi 2
47) Giorgi Pier Andrea capitano 7
48) Giorgi Antonio notaio 59
49) Giordani Francesco 23
50) Grandi Stefano 29
51) Grandi Domenico 57
52) Inviti Antonio 4
53) Grandi D. Baldassare 2
54) Landi D. Franco Capellano 5
55) Lasi Giacomo 2
56) Lelli Giuseppe 3
57) Lugatti Giacomo 58
58) Magnani Giuseppe 9
59) Magnani Luigi 5
60) Magnani Antonio 18
61) Martelli Paolo 8
62) Martelli Antonio 3
63) Marabini Lorenzo 2
64) Macagna Marco 5
65) Muratori dott. Giuseppe 2
66) Musi Luigi 2
67) Mellini Giovanni 3
68) Nanni Pietro 2
69) Nepoti Giuseppe 7
70) Oppi Barnaba 2
71) Oppi Pietro 16
72) Petrucci Francesco 2
73) Poggipollini Benedetto 12
74) Ronchi Giuseppe 2
75) Ronchi Pietro 9
76) Ronchi Camillo 4
77) Ravasini Giacomo 2
78) Rossi Giovanni 2
77) Rossi Benedetto 3
80) Rivani Domenico 4
81) Sarti D. Luigi 4
82) Sarti Antonio 9
83) Sarti Bartolomeo 10
84) Sarti Gaspare 55
85) Salvatori Filippo 6
86) Tomba Filippo 49
87) Tomba Giuseppe di Sebastiano 10
88) Trocchi Antonio 2
89) Trochi dott. D. Luigi 3
90) Trocchi Lorenzo 49
91) Tragondari Vincenzo 4
92) Vergoni Natale 2
93) Viscardi Giulio 5
Giovanni Francesco Andrini Segretario
Antonio Giorgi Segretario
E perché molte comunità del contado non si vollero prestare ed in alcune vi furono persone che ostarono armata mano alla convocazione così che non vi fu il numero integrale dessiderato ed a questi si unirono anco alcune parochie, per ciò il Senato promulgò una notificazione di proroga fino al giorno 27 a formare il Comizio elettorale. La podestaria di Casalfiumanese ostò e fece constare al Senato che la adunanza delli eletoriali civici non eguagliavano li elettorali comitatini nel numero e così essere suplantatoria la città inverso delli comitatini, onde il Senato ciò non atende come in d. editto nel quale si esprime, che ciò non ostante si procederà avvanti nella formazione della nova legge secondo li eleti che saranno stati abilitati il di 4 dicembre. Soggiuge ancora il med. proclama ed insinua li parochi ad animare il gregge ad ubidire la nova legge e sanzioni fatte e da farsi.
Contemporaneamente si ebbe notizia che li imperiali avevano avuto un attacco per dieci giorni continui fra Verona, Vicenza e Cremona, ove con perdita di molte milla d’uomini guadagnarono ciò non ostante per assalto Verona.
Si pubblicò pure un novo editto a dovere denunziare li argenti inservienti le tavole con rigorose pene a chi mancasse. Vedasi quivi quanto siasi esurito il teritorio e la città.
Contasi in oggi che siasi fatto un debito di 18 millioni di lire per la formazione della nova coorte, ben montata di uniforme verde, con filetto scarlatto e mostra bianca, beretta e calzoni fino ai piedi, sciabla e tracolle di dante, onde sono anco spoliate le pellacanarie tutte.
Giunto finalmente il di 27 novembre giorno di domenica prima dell’Avento, fu convocato ed adunato il Comizio nella chiesa di S. Cattarina di questo Castello della già supressa compagnia. Vi intervennero li decurioni di Liano di Sotto e della Villa di Poggio, secondo la distribuzione della provincia in tanti cantoni. La Comunità di Castel S. Pietro diede 93 decurioni, Liano N. _ e Poggio N. __. Adunati quivi tutti la mattina si fece la nomina per schedula della campagna e riescirono per Poggio D. Alessandro Dal Bello curato e Giuseppe Ballarini, per Liano riescì Matteo Fiacca e Giuseppe Raggi e per la campagna di Castel S. Pietro nulla si nominò stante che la nomina ed elezione seguì sopra li cittadini del Castello e Borgo che furono li seguenti. dott. Bartolomeo Calistri con 33 nomine, D. Luigi Sarti con N. 45, Rocco Andrini con 43, Francesco qd. Pietro Conti con 46, Antonio Giorgi notaio con 39 e Domenico Grandi con 26, il quale in parità di nomine con altro sogetto lo favorì la sorte. Questa nomina delli cittadini seguì il doppo pranzo a motivo di non essersi potuto la mattina a cagione della brevità della giornata.
L’arciprete siedeva in capite, D. Luigi Sarti fece da presidente, D. Giovanni Ballarini di Poggio fece da segretario e per l’altro segretario operò Rocco Andrini, che a bella posta venne da Imola a questo loco. Concordarono per ciò tutti li nominati portarsi il di 4 prossimo a Bologna.
E’ da notare che in questa adunanza tutti quanti di questo Castello li nominati sud. ebbero il partito per essere eglino tutti del partito francese ed aristocratico molto coltivato dall’arciprete, così che ciò si deduce perché questa mattina stessa della nomina vi furono capurioni e sussuroni che ebbero il coraggio manifestarsi nella med. chiesa di volere fare partito solo alli partitanti francesi ed aristocratici ed escludere tutti quelli che credevano e suponevano democratici e parziali delli eclesiatici.
L’arciprete, che tanto forse doveva avere premeditato oppure , per dir meglio, machinato e procurato, seguita la mozione sud., annunziò che già aveva nel suo scrigno conservata la nomina da esso scritta preventivamente alla elezione accennata.
E sicome nelle presenti circostanze, in cui tutta l’Europa arde di partiti libertini e francesi, vi sono però de buoni che, conoscendo il veleno che si difonde e sparge, amano essere subordinati a loro sovrani leali. Non mancano per ciò in queste contingenze produzioni di opuscoli, di discorsi, di lettere ed amonizioni ai buoni di stare forti e di farle rilevare la vertigine che copre li ochi ai turbolenti, le quali tutte se volessi inserire in queste mie memorie ne avrei a quest’ora un volume di non picola mole. Tuttavolta fra le altre stampe, che girano per le mani delle persone, ma con gelosia a motivo di non socombere ad insulti ed agravi di partitanti francesi, ne inferirò qualcuna, fra le quali il discorso fatto da Alfonso Gabriele in Gorizia e Gradisca che è l’unito, onde il lettore potrà rilevare più di quello che lascio scritto. [A.61]
Adì 4 decembre giorno di domenica secondo il decretato nel proclama si incominciò nella basilica di S. Petronio alle ore 18 la sessione che durò fino alle 6 della notte. Intervennero li sud. nostri decurioni che, uniti alli altri della città e contado formarono il corpo di 485 vocali, quantunque mancassero molte parochie e decurioni del contado a motivo di non esservi la proporzione eguale delli teritoriali colli cittadini di Bologna ed anco perché non si vollero amettere proteste.
Ebbe il suo effetto la convocazione sopra l’approvazione del piano già prodotto e stampato che fu acettato con N. 456 voti bianchi e N. 29 neri negativi. Tutto ciò ebbe però quest’esito a motivo di un monopolio che fu inventato dai capi della Municipalità ivi uniti e fu di dare il voto scoperto et addimostrato al pressidente Antonio avv. Aldini ed assistenti, e quelli che diedero il voto segreto furono li reputati nemici della nova Costituzione, ne lo vollero addimostrare.
Il nostro arciprete Calistri si segnalò col farne pompa addimostrando il suo voto a chiunque per cui ne riscosse una battuta di mano. In questo Comizio si deputarono ancora li 36 soggetti che dovranno andare li 27 corente alla Dieta di Reggio, li nomi e cognomi de quali si sapranno in appresso dopo che ne sarà fatta la pubblicazione in istampa.
Terminata la sessione si alzò un doppio dalle principali chiese della città nelli 4 quartieri. Tutta la piazza fu guardata per timore di una insurezione dalla Guardia Civica a cavallo e la truppa assoldata girava con patulie.
Nel seguente giorno di lunedì 5 decembre li contrabandieri di Castel Bolognese non potendo estrarre di provincia, né transitare per la Romagna montana et andare co granelle nel fiorentino a motivo che li passi erano chiusi con truppe papaline, tenero le strade del bolognese e passarono per il nostro Borgo di Castel S. Pietro con cento somarri carichi accompagnati da 40 archibugi. Era loro capo certo Sebastiano Cindroni detto Bastanazzo di Castel bolognese, uomo fazionario e di grandissimo ardimento nelle baruffe, e presero la via della Toscana per le parti del fiume Idice e sembrava un’armata.
La sera dello stesso giorno accadde che essendo morta in questo Ospitale de Poveri della parochia Francesca Dalfiume vedova Sarti in età di anni 96 che prima di morire, quantunque fosse terziaria de M. M. Osservanti di S. Francesco di questo loco dell’ordine de Penitenti, ordinò la sua sepoltura nella chiesa di d. P. P. ove avvi l’avvello reidificato da Gio,. Antonio Bolis. Quindi, dovendosi portare alla sepoltura dalla compagnia del SS.mo SS.to capata, il capellano della parrocchia D. Francesco Landi montanaro pretese che si dovesse portare nella parochia, ed ivi si sepellisse, tanto più che l’arciprete Calistri, moderno padre dell’avarizia e simonia, stesso di sua autorità ha introdotto l’abuso che chi vole andare alla sepoltura in altra chiesa fuori della sua, quantunque sia miserabile debba far suonare la campana maggiore della parochia e pagare pavoli 17 e di più fare l’officio nella sua chiesa, lo che dispiacendo alli portantini della barra, che erano tre guerci ed il quarto sano di ambi li ochi, tacquerò alla minaccia del capellano ed assolutamente levato il cadavere dall’Ospitale, incaminandosi la croce alla parochia colla compagnia che precedeva il clero, entrò il capellano in chiesa e li tre monocoli col quarto compagno cheti, cheti ed astutamente, senza entrare punto nella chiesa prosseguirono col cataletto e cadavere sulla spalla nella via maestra poi, rivoltando alla destra dietro il cemetero parochiale, andarono di lungo alla chiesa di S. Francesco ove li frati l’attendevano su la porta che poi spalancarono per l’ingresso. Il capellano balordamente entrato nella parochiale, credendosi avere di dietro la morta, prosseguì a cantare le preci dei defunti, ma quando fu inoltrato rivolgendosi e non vedendo più né li portantini né la morta restò stupefatto e tanto le increbbe la burla che entrato poscia in canonica le venne per l’ira un deliquio.
Chi vide un tal fatto non potette a meno di non ridere della astutezza de portantini, li quali sono dependenti ancora dal convento di S. Francesco. Furono li monocoli li seguenti: Onofrio di Domenico Fiegna, Battista di Paolo Mazzanti ed Alessandro di Francesco Sassatelli, il quarto poi che non è leso d’ochi fu Nicola di Cornelia Costa.
L’arciprete che trovavasi in Bologna fece alto nel vescovato, ma con poco frutto, si presentò alla Giunta Criminale del Torrone e quivi fece le sue querele. In questo mentre l’arcivescovo chiamò a Bologna il padre Benvenuto, guardiano di questo convento, quale presentatosi al med. le richiese con quale fondamento ed autorità aveva egli e li suoi frati ricevuto questo cadavere e da qual disposizione rissultava questa volontà. Il frate prontamente, messasi la mano al petto, tirò fuori la testamentaria disposizione della defunta e così rimase stupido l’arcivescovo, al quale replicando il frate queste parole: E.mo da ciò impari una volta a conoscere l’arciprete Calistri, che marcia sempre mascherato ma è un fino impostore, non merita la di lei protezione. In avvenire la prego a darle la minor fede che puote. Rispose l’arcivescovo: così mi è stato fatto credere povero frate, andate che Dio vi benedica ed avrete le giuste soddisfazioni. Ciò non è però credibile per la corte corotta di questo prelato e, per la sua età, rimbambito.
L’Arte de Pellacani non cessando di inquietare questo macellaro Michele Corticelli ed il pellacane Antonio Melini per avere le pelli qualunque al che, optando questi due per godere della Imunità del paese, ricorse la prima al Tribunale delli Colegi in Bologna ed estradò quindi giudiziali precetti per la consegna di tali pelli , si unì la Comunità coli precettati ed impose al Legale de med. fare le dovute instanze giudiziali non solo per essere mantenuto il possesso del Privilegio, ma anco con facoltà di ricorere al Confaloniere moderno Girolamo sen. Legnani ed al Senato stesso med. suplica col richiederle, che ferma rimanendo la facoltà di conciar pelli locali giusta il Privilegio, si sarebbe fatta fare la obligazione tanto al macellaro che al conciatore Mellini di somministrare tutte le pelli da esso concie di biancaria alla città per servigio della truppa nova militare nel modo che ha fatto,ed ottenuto Medicina, S. Giovanni in Persiceto, Castelfranco ed altre comunità. L’esito pertanto di queste instanze è stato che quallora si giustificasse essere le pelli nella concia, prosseguisse il pellacane a conciare le pelli fino a Quaresima ventura secondo d’ordine e determinazione della Assonteria d’Arti.
Essendo poi stato affissato altro editto del Governo Provisorio di doversi fare un novo comizio all’effetto di eleggere nove decurioni per la formazione del novo sistema, furono invitati tutti li capifamilia e possidenti per lo meno un asse di redito di lire duecento compresovi anche li publici stipendi. Si raddunarono per ciò alquanti nella chiesa di S. Cattarina a dare le nomine di tre soggetti. Ma perché l’addunanza riescì scarsa in tal modo di numero, dovechè dovevano essere per lo meno 900 persone e riescirono solo da 40, naque non picolo tumulto nella chiesa da partitanti republicani. La rissoluzione si fu di rinovare il Comizio l’ultima festa delle prossime natalizie feste che sarà li 28 cadente decembre.
Essendosi ricevuta un’altra batuta a Cremona passivamente da francesi colla perdita fra morti, feriti e prigionieri al N. di 5 mila si pensò fare una leva forzata in Bologna ed altrove, quindi furono alquanti carcerati e condotti alla guerra verso il mantovano unitamente alla coorte assoldata e di novo ben montata, ma non furono appena nel viaggio che ne disertarono tanto di (….)
(….) Bando emanato li 19 dicembre che entro il prossimo genaro si dovesse procedere alla esenzione del med.
Ordinò quindi per tanto che ogni possidente terreni sotto la via Emilia alla pianura si pagasse pavoli otto per corba di sementazione. Sopra la via romana cominciando dai confini di Romagna fino a Savena nova si si considerasse il tereno sementativo di pavoli tre per corba per tutta la collina e montagna. Tale riparto dovrà pagarsi metà nel prosimo genaro e metà nel prossimo giugno nulla avendosi di riguardo a fondi emfiteutici, livellari ed altri oblighi ancorchè di imunità eclesiatica.
Nella città poi fu sancita la corisposta della quarta parte delle pigioni da pagarsi imediatamente tutta in genaro. Il Bando essendo lunghissimo e frizzante ancora il Governo di Roma, merita di grandi osservazioni per tanti altri capi come si può nel med. legere il tenore del quale si aurà a capo del presente quinternetto con altre stampe relative alla presente epoca di tutto il 1796.
Adì 22 decembre alle ore 16 sotto questo mio portico fu uciso con archibugiata premeditata Antonio di Cristiano Tomba da due burlandotti che lo assassinarono essendo inerme e sprovisto di tutto il povero ragazzo di anni 18 circa e subbito fuggirono nella vicina Romagna.
Proibì altresì il Senato la Prenditoria delli Lotti per Napoli e Roma.
Nel giorno 27 d. secondo il consueto si procedette alla estrazione del Consolo e fu estratto il sig. Paolo qd. Giuseppe Farnè quale confirmò per suo cancelliere Ercole Cavazza scrittore delle presenti memorie, che fu approvato dal consilio provvisoriamente stante le nove legislazioni che si vanno predicando. Ciò fatto si è terminato l’anno 1796 a lode di Dio.
Sin qui abbiamo scritto le cose della patria sotto il felice Governo Pontificio. Li anni venturi saranno repubblicani, giachè iminente sentesi la invasione di questi Stati da furibondi francesi, schismatici, eretici ed irreligionari. Compromettono li loro seguaci anni felici di avvenire, ma non è credibile poiché le rivoluzioni sono sempre perniciose ai popoli sia in spirituale che in temporale e molto più è da temere la presente poiché si è incominciata contro la chiesa, il culto e la cattolica relligione.
Li iconoclasti trionfano nelle vicine provincie, né evvi imagine di Dio e de suoi santi che sia intatta. Promettono li aggressori felicità ma li pricipi sono funesti e Dio sembra ci voglia voltare le spalle e guai a quella città che Dio non la diffenderà, mentre riescirà vano alle di lui guardie.
Lo disse per bocca di Davide Nisi dominus custodierit civitatem, frustra vigilat qui custodit eam. Abbandonata la città, accaderà lo stesso alle familie che si lusingheranno qui piantare saldi fondamenti se non saranno fortificate da Dio. Lo disse lo stesso Davidde Nisi D. edificaverit domus invanum laboraverunt qui edificant earum.
Voglia iddio che noi col nostro pronostico non incontriamo tal sorte come pur troppo sentesi accadere nella Francia tutta sconvolta contro Iddio.

Appendice al 1796
Non essendosi potuto effettuare il Comizio per la nomina delli decurioni che dovevano essere elettori del novo giudice di pace stante la abolizione delli vicepodestà pel contado, fu decretato nella assemblea tenutasi nella chiesa di questa supressa compagnia di S. Cattarina di fare un novo Comizio il di 29 decembre , giorno delli SS. Innocenti, perché prima si attendeva passaggio di truppe.
Difatti il giorno di Natale 25 decembre la sera arrivò uno staccamento di Francesi al N. di 200 provenienti di Bologna li quali, doppo avere pernotato in questo Borgo di Castel S. Pietro la mattina del giorno di S. Stefano partirono per la Romagna. Avevano seco molti contrabandieri di Castel bolognese e di altri paesi, che li accompagnavano armati, il capo di questi era Sebastiano Cendroni di Castel bolognese detto Bastanazzo, uomo di cattiva condotta e religione.
Questi prima di andare in Romagna andarono in questa nostra piazza maggiore del Castello a misurarla e dessignare il loco ove inalzare l’arbore di libertà, ciò fatto partirono, prima però della partenza svalligiarono di armi e fucili, tamburi ed altri attrecci militari la casa del fu capitano Lorenzo Graffi in Castello.
Perché poi seguisse la nomina delli decurioni, cod. arciprete impose al predicatore attuale dell’Avento in questo loco che fu il P. Antonio Bazanii bolognese, che fu l’ultimo priore di questi agostiniani degenti in S. Barolomeo, a predicare nella chiesa sud di S. Cattarina per la elezione delli 21 decurioni onde procedere da questi poi alla nomina del novo Giudice di pace, come difatti convenne così operare al d. povero frate predicatore.
Li 27 d. fu supressa la Guardia de Sbirri per la città e contado e fu decretata la guardia civica, nella stessa giornata delli 27 decembre si pubblicò altro Bando sopra la supressione delli Conventi de regolari e delle monache, non che supressi li diritti di Stola. Fu anco decretato di lasciare una congrua alli parochi e che si vendessero le loro possidenze onde pagare li debiti fatti dal Senato per li francesi, stampa del quale Bando e proclama, se si potrà avere, sarà colegata al presente.
Dispiacevole una tale supressione a tutta questa populazione, fu fatta una suplica al Senato diretta per la conservazione di questi conventi. Interpellato l’arciprete Calistri a soscriverla, fu negativo assoluto dicendo che non volevasi inimicare Bonaparte. Che bella riflessione di un paroco che crede essere una divinità senza la quale non si possi mai effettuare cosa alcuna. Bonaparte non lo ha nemeno per il capo.
E’ da notare in questo loco come l’arciprete sud. per guadagnarsi merito presso li giacobini omise non solo egli nelle preci comuni la preghiera ut inimicis eclesia humiliate, e così pure l’altra ut pacem et concordia viva principibus X.tianis. Ma ordinò ancora tale ommissione eseguire al capellano suo et a D. Sebastiano Dall’Ossa preti, che ordinariamente fanno le funzioni parochiali ed esercitano l’ufficio del paroco.
Dal fin qui narrato rilevi il leggitore da nostri scritti il caratere di questo pastore che mena la sua greggia fra balze e dirupi in bocca ai lupi.
Solamente in oggi ci è pervenuta la notizia quali fossero li senatori di Bologna che in complotto secreto furono traditori della patria e nulla parteciparono a tutto il complotto senatorio e furono li seguenti uniti ad altri manigolisti che servono il Governo bolognese cioè: Caprara Carlo in primis, Marescalchi Vincenzo : ambo passati in Francia presso Bonaparte, Bentivoglio, Malvasia Giuseppe, che dappoi simulò essere dementato, Savioli Lodovico, l’istorico che diede tutti li lumi per la rivoluzione, Ercolani Filippo, Aldrovandi Ulisse, Segni Lodovico, Isolani Alamanno, Angelelli che inteso della rivolta rinonciò al Papa l’ambasciaria e loro ministero, et aderenti furono li seguenti manipolatori:
Aldini avv. Antonio, che in oggi è segretario in Parigi di Bonaparte l’Imperatore, Cacciari Giuseppe, avvocato, che formò il piano di nova legislazione, Pistorini Giacomo, uditore ultimo di Camera del Legato che tosto alli senatori ribelli comunicava del governo pontificio, Gavazzi, consultore del Senato, che unitamente al dott. Filippo Tacconi estendevano le scritture in proposito. Si aggiunse dippiù l’avvocato Ignazio Magnani.
Tutto ciò si espone in questo foglio per essere voce commune della città di Bologna. A tutti questi soggetti se ne aggiunsero poi altri nobili e boni cittadini di ogni sesso ed infine ancora alcuni populari.
Pervenuti in fino li francesi ed impossessati della città e poscia del territorio cominciossi a sentire del titubamento nel popolo di mente sana. In proposito si videro fuori composizioni poetiche e prosaiche scritte con sale e fondamenti buoni. Fra questi gira un un opuscolo di carmi latini, tersi ed eleganti di un exgesuita spagnolo stampati in Cesena. Ne abbiamo una stampa ma mutilata. Da questi carmi fu estratto il seguente distico plaudito universalmente, si propagò in cantilena
Gallia vicisti profuso turpiter auro
armis pauca, dolo plurima, jura nihil
Difatti a forza di corutele nei ministri de Gabineti si introdusero per tutto li francesi. Venne Bonaparte in qualità di Generale con soli 25 mila combatenti, tutta gente disperata e fece della più fine canaglia francese, che essi chiamano Sanculotti vale a dire senza braghe, come di fatti erano tali, inganni senza numero e senza alcuna ragione si imposesarono dei Stati d’Italia, la ocuparono e spogliarono delle più belle cose che si avessero. L’opuscolo sud. è titolato lusus super Galliani
Si vedono ancora girare per mano delli eruditi uomini questi tre seguenti sonetti cioè.
Bologna dà un fedele consilio a Mantova assediata dall’armi francesi.
Sonetto di un faentino incognito
Odo il fragore de concavi metalli
che il Longobardo cielo assorda e fonde
vedo ondeggiar le sottoposte valli
d’elmi, di scudi e di guerriere tende.
Per ardui al uom fin qui attesi calli
ardimentosa la Vittoria ascende
Mantova che pensi far ? se in man de Galli
sta già scritto il destin di tue vicende
Cader da vile? Ah non è vil chi cade
quando ecelso valor di palme onusto
splender su gli ochi e trionfar si vede.
Cadè al gran Duce, all’immortal guerriero
che fa l’Austria scotendo e il solio augusto
tremar co’ suoi trionfi il mondo intero.
Mantova così risponde al sonetto superiore per bocca di altro poeta faentino:
S’oda il fragor de bellici metalli
che l’aria intorno orribilmente fende.
Ondeggino i miei campi e le mie valli
d’elmi, di spade e di guerere tende
Il Duce carchi inusutati calli
che l’oro, il tradimento apre ed ascende
Narrino in tuono ardimentosi i Galli
li facili trionfi, le lor vicende.
Che per ciò ah non si scuote e cade
il patrio Mincio, già di palme onusto
e l’antico valor rammenta e vede
e in fronte vede all’immortal gueriero
umiliata la Gallia al solio augusto
l’Italia vendicata e il mondo intero.
Siegue altro sonetto contro l’orda francese che significa disordinanza, di un poeta faentino.
Orda fatal che fu la negra antenna
dal cupo Averno al sacro suol rivarchi
guarda e poi di se alla crudel tua penna
dovea la Francia i simulacri e gli archi.
All’orror che la misera ti accenna
t’arresti e taci e il torvo ciglio inarchi ?
Ah cerchi invan su la regal tua Senna
le Leggi, il Trono, i sudditi, i Monarchi
Combattesti la fè. La causa hai vinta?
felicità sognasti, il lutto innonda
volesti Libertà? di ferro è cinta.
Or va, la barca carontea e all’altra sponda
ti accompagni di Averno il pianto e l’onta.
Adi 28 decembre, radunata l’assemblea delli decurioni eletti nel Comizio generale tenutosi nella chiesa della supressa compagnia di S. Cattarina per l’effetto di sciegliere nel giorno 6 del prossimo genaro li elettori, un giudice di pace ed un vice giudice, la incombenza de quali elettori era di eleggere li legislatori, però furono li seguenti decurioni.
Andrini Giulio, Alvisi Lorenzo, Bertuzzi Antonio, Bergami Ercole, Calistri Bartolomeo arciprete, Cavazza Ercole, Conti Francesco tenente, Giorgi Antonio, Grandi Stefano, Grandi Domenico, Gardi Giuseppe, Inviti Antonio, Landi D. Franco maestro di Capella, Lugatti Giacomo, Magnani Giuseppe, Roncovassalia Antonio, Sarti D. Luigi, Sarti Gaspare, Sarti Antonio, Trocantani Lorenzo, Tomba Giuseppe di Serafina, Tomba Filippo. Quali tutti in esecuzione della nomina sud. nel giorno 6 genaro prossimo 1797 eseguirono quanto in d. notificazione fu ingiunto, di che tutto si dirà a suo loco la evasione.
Avendo l’arciprete Calistri malamente amministrato li redditi del fondo destinato ad un ritiro per le oneste citelle della fu Ginevra Fabbri nel suo testamento, rogato il notaio Gio. Ventura Bertuzzi, fu accusato al Governo. Egli pertanto, secondo il suo costume, pretese di esentarsi e con ragiri e cabale riescì nel intento per che troppo patrocinato da chi doveva reprimerlo. In proposito fu chiamato in giudizio il cittadino Lorenzo Trochi affittuario delli stabili del così detto Ritiro. Furono tanti li cavilli che la facenda passò in silenzio. Perché il lettore delle presenti memorie sia a giorno, si unisce la stampa della Legalità fatta dal Curiale Sebastiano Lugatti concittadino di Castel S. Pietro dalla quale tutto si rileva. [A.62]
Cessato il Governo pontificio ed intruso il reppubblicano, non si atteserò più le regole comunitative o siano li Capitoli della Comunità di Castel S. Pietro quindi, perché non restino totalmente sepolti nelle tenebre dell’oblio essendo stati stampati nel 1773 in Bologna per il Benacci, ne annettiamo la stampa e così diamo termine all’anno presente 1796 a gloria ed onore di Dio.
Ercole Cavazza