I LAVURIR IN CAMPAGNA

Perché parliamo del dialetto
Perché parliamo ancora del dialetto? Ne parliamo perché, almeno noi che vi proponiamo questo quaderno, quando da piccoli abbiamo iniziato a parlare, lo abbiamo fatto proprio in questa lingua, che potremmo chiamare lingua madre, perché era proprio la mamma che, insegnandoci a dire le prime parole, lo faceva nel suo modo usuale, cioè parlando in dialetto. Usando il dialetto, le persone di una volta, hanno sempre comunicato tra loro; con i loro racconti orali hanno tramandato la storia delle famiglie, del paese, del lavoro, sia quello dei campi sia quello degli altri mestieri; con il dialetto hanno creato tanti soprannomi che, con un guizzo di ironia, hanno colto particolarità uniche delle persone, hanno formato giochi di parole e modi di dire divertenti. I vari dialetti sono stati per secoli l’unico modo di esprimersi della maggioranza delle popolazioni italiane e, quello bolognese, lo è stato per noi castellani, anche se con alcune sottili differenze.
Nel nostro dialetto c’era riflesso il carattere delle genti della nostra terra, e l’attaccamento al paese; c’era il riconoscersi in una comunità, seppur piena di problemi derivanti dalla povertà dei più e dalle vicissitudini della vita; era comunque, seppure in assenza di cultura scolastica, una comunità piena di valori morali.
Usando il dialetto, si sono trasmessi i sentimenti, la cultura del sapere riferita al lavoro, al concetto di onestà, al valore della parola data, alla solidarietà, alla mutua assistenza. Tutto fu vissuto in dialetto: le gioie e i dolori, compresi quelli prodotti dalle guerre. Questo fa parte della nostra storia e questo è l’ambiente e i valori che, attraverso le varie iniziative vorremmo contribuire a tramandare.
Vorremmo che i giovani, anche se non lo parlano, potessero almeno capire chi si esprime ancora in dialetto, nonché affrontare la letteratura e il teatro che si sono sviluppati usando questa lingua, per goderne gli aspetti umoristici e i quadretti di storia che propongono.
Dicono i saggi che senza conoscere il passato non si capisce il presente e diventa più difficile impostare il futuro. Noi, castellani di oggi, abbiamo queste radici, che ci derivano dall’esperienza di vita dei ceti più deboli: contadini e operai.

Il nostro “Gruppo del dialetto”, nelle sue iniziative, si prefigge di dare un contributo a mantenere la memoria dei nostri nonni e antenati. Ci auguriamo di continuare a trovare ascolto.
Ecco perché tra le varie iniziative dell’Associazione Terra Storia Memoria, dedicate al dialetto, abbiamo pensato di proporre queste brevi pubblicazioni che chiamiamo quaderni. In questo caso, il nostro obiettivo è dedicato a catalogare e tradurre i vocaboli dialettali di uso corrente fra chi svolgeva alcuni fra i principali mestieri praticati nel territorio castellano.

Siccome la nostra passata economia era in prevalenza agricola, il primo quaderno per quanto riguarda il dialetto, non poteva che essere dedicato al lavori dei campi, e alla terminologia usata dai contadini locali fino a metà del secolo scorso, per denominare luoghi, lavorazioni, animali, attrezzi e prodotti.
Il mondo contadino dopo la metà del novecento ha subito una vera rivoluzione:
per il lavoro non si usano più i buoi, ma le macchine, per cui non si alleva più il bestiame nella stalla accanto alla casa, e molti giovani abbandonano del tutto la campagna. Fra l’altro, stanno anche perdendo il nome tradizionale perché pare non si chiamino più contadini, ma produttori. Per farla breve, si sta perdendo la loro storia e parte della loro cultura, per questo abbiamo voluto fissare in questo quaderno le parole che quotidianamente usavano per la coltivazione della terra e l’allevamento del bestiame, attraverso le quali si può percepire l’impegno che vi dedicavano e la conseguente fatica per eseguirlo.
Speriamo possa far piacere a chi ha svolto o fa ancora il lavoro dei campi, trovare ricordati e tramandati i termini che quotidianamente usavano i suoi genitori o egli stesso in famiglia e nel lavoro, molti dei quali già scomparsi nell’uso, per la veloce trasformazione che ha subìto l’agricoltura, come abbiamo poc’anzi ricordato.

Note per la lettura
Abbiamo cercato di utilizzare pochi segni grafici, per non appesantire il testo, e rendere così più scorrevole la lettura, usando solo l’accento grave e acuto. Ci siamo presi questa libertà, perché non è definita ufficialmente la codifica della grafia del dialetto bolognese, e di conseguenza, nemmeno del castellano che ne è un derivato.
Insomma, c’è una certa libertà!….
Ci siamo ancorati all’impostazione di chi sostiene di scrivere il dialetto così come lo si pronuncia. Ecco perché davanti all b e alla p, c’è la n e non la m, a differrenza dell’italiano. C’è poi un suono poco chiaro nel nostro dialetto che sta tra la a e la o, come nella parola “capàn”, cioè cappone, che abbiamo scritto con la finale àn; inoltre italiano è scritto itagliàn, come suggerito dai due autori esperti, Lepri e Vitali.
Molte lettere doppie in dialetto scompaiono, come in gata = gatta, al contrario dove non c’è la doppia viene introdotta, come in vèggna = vigna.
Un’altra particolarità da segnalare è relativa a parole che contengono il suono sc seguito dalla vocale i, come in s’ciarìr = sfoltire; se le due lettere non le separassimo con un segno grafico, la parola si leggerebbe erroneamente come nella prima sillaba della parola: sciopero.
Le lettere c’ e g’e le doppie cc’ e gg’ seguite dall’apostrofo, si pronunciano dolci come nelle parole celeste e giostra, per esempio furàg’ = foraggio e radàcc’ = radicchio.
Per dare un aiuto concreto alla lettura ed alla pronuncia corretta, abbiamo registrato un CD in cui troverete pronunciate tutte le parole dialettali inserite nel vocabolarietto.

Vocabolario CASTELLANO-ITALIANO curato da Marisa Marocchi e Giorgio Biondi

Coordinamento di Lia Collina

*

I lavurìr in canpàgna

Al sìt da cuntadén, al fannd.   Il podere

cà dal cuntadén – casa colonica
camaràn – rimessa per attrezzi agricoli, deposito
cantéina – cantina
caséina – fienile sopra la stalla
casèla – fienile (struttura autonoma)
fàuren – forno
granèr – granaio
pàzz – pozzo
cavdàgna – capezzagna: striscia di terra non arata
alle estremità del campo o tra un appezzamento e l’altro, dove i buoi o le macchine agricole invertono la marcia.
èra – aia: terreno spianato e rassodato
davanti la casa colonica, dove si
batteva il grano.
fòs – fùs – fosso /i
madòn – grosse zolle di terra
masnadùr – macero per la canapa: campo scavato e
semipieno d’acqua.
murèl – murì – campo/i
sculéina – scolina: fossicello a lato dei campi che raccoglie le acque piovane.
turnadùra – tornatura: misura agricola che nel bolognese è di circa 2500 mq.
bindèna – tralcio di vite
piantè – filare di alberi
véggna – vigna

balén – balla di paglia
bèrc – figna arrotondata
co – covone/i: insieme di mannelli di spighe
féggna – figna a punta
manèl – manì – fascio /i di spighe o di canapa
zèda – siepe

La stàla e i su animèl     La stalla e i suoi animali

àibi – abbeveratoio
aldamèra – letamaio: buca di mattoni o di cemento
armato in cui si raccoglie il letame
delle bestie.
gròppia – mangiatoia
mandariòl – box per fieno e paglia, interno alla stalla
pòsta – vano dove stanno i bovini
suichéri – canaletta di scolo delle urine

ba, bù – bue – buoi: maschio castrato
bisti – bestie: normalmente si intendono i
bovini
manzòla – giovenca – femmina di oltre un anno
tòr – toro: masciho bovino da riproduzione
vaca – mucca, vacca
vidèl – vidlàn – vitello – vitellone
cavàl – cavallo
moll – mulo
sumàr – somaro, asino

castrèr – castrare: asportare o atrofizzare gli
organi genitali per rendere
infecondo l’animale.
guarnèr al bisti – accudire, governare le bestie
métter da fèr – far ingravidare la vacca
mònzer – mungere: far uscire il latte dalla
mammella
òvver – mammella della mucca
tàttel – téttel – capezzolo – capezzoli della mammella

Al pulàm e quelcos’èter      Pollame e qualcos’altro

capàn- capòn – cappone- capponi : galletto castrato
ciòza – chioccia: gallina dedita alla cova delle
uova
gàl – gallo /i – maschio da riproduzione
galàtt – galétt – galletto – galletti
galéina – galéin – gallina – galline
pisén, pipién – pulcino /i
pulàstra – pulàster – pollastra – pollastre
pulàstrén franzisén – pollo /i francesini

anàdra – anàder – anatra – anatre
faravàuna, ingìna – faraona
oca – òc – oca – oche
pizàn – pizòn – piccione – picioni
tachén – tuchén – tòc – tacchino

cunén – coniglio /i
agnèl- agnì – agnello- agnelli
bécc, cavràn – caprone: maschio della capra da
riproduzione
brécc, muntàn – montone : maschio della pecora da
riproduzione
castrè – agnello castrato
cavràtt – capretto
chèvra – chèver – capra – capre
pìgra- pìguer – pecora – pecore

Al purzìl, e al ninén da vìv e da mort        Il porcile, e il maiale da vivo e da morto

latàn – lattonzolo: maialino lattante
ninén, pòrz – maiale, porco
ninéina, trojja – scrofa, troia
vèr – verro: maschio da riproduzione

buclèr – trogolo: vaschetta in cui si versa il cibo
per il maiale.
stalàtt, purzìl – porcile
broda – pasto semiliquido per maiali
giànda – giànd – ghianda – ghiande
pastàn – pastone con farine
balrlàng – sanguinaccio: dolce che si impasta con il sangue del maiale.
budèl – budella, intestino
càddga – cotenna, cotica
cappa ed tèsta – coppa di testa
cappa d’estèd – coppa d’estade
cudghén – cotechino
fègghet – fegato
figadén o figadétt – fegatino /i : fettine di fegato avvolte
nella rete del maiale, che ne sosteneva l’intestino.
gràs (méss int la psiga) – strutto (messo nella vescica dei bovini)
ricavato dalla bollitura di tutte le
parti grasse residuate.
grasù – ciccioli: residuo solido risultante dalla
cottura delle parti grasse, poi pressato.
lammb – lombo
lèrd – lardo: strato adiposo sottocutaneo
panzàtta stàisa – pancetta stesa
panzàtta arudlè – pancetta arrotolata
parsòtt – prosciutto /i
salàm – salame /i
spuntadùra – costole
susézza in gavàtta – salsiccia insaccata nel budello
zanbudèl – salsiccia matta: utilizzando cuore e
polmoni
zanpàn – zampone
zanpàtt- zanpétt – zampetto /i (si mangiano bolliti)
saddla – sàddel – setola /e

I lavurìr dal cuntadén     I lavori del contadino

arèr – arare
arpghèr – erpicare: frantumare le zolle
arvultèr al faggn o l’aldàm – rivoltare l’erba segata o il letame
bàter – trebbiare: separare i chicchi dalla spiga
e dal loro involucro
còjjer – raccogliere
dèr l’aldàm – cunzimér – concimare
dèr l’àcua – dare gli antiparassitari alle piante
falzèr, sghèr – falciare, segare l’erba e i foraggi
insdìr – innestare
méder – mietere: raccogliere i cereali maturi
falciandone i gambi.
piantèr – piantare
polla – pula: involucro che avvolge i chicchi
dei cereali
pudèr – potare: recidere parti di rami invecchiati
per migliorare la fruttificazione.
rastlèr – rastrellare: radunare il fieno rimasto
steso ad asciugare dopo il taglio
sul campo.
runchèr – sarchiare, roncare: tagliare e asportare
le erbacce.
s’ciarìr – sfoltire
sgranèr – sgranare
sfujér – togliere le brattee che avvolgono le
pannocchie.
spanucèr – staccare i chicchi dalle pannocchie
sumnèr – seminare
trapiantèr – trapiantare
vanghèr – vangare: rivoltare le zolle e spezzarle
zapèr – zappare: livellare le zolle, spianare il
terreno

Da l’ù al vén       Dall’uva al vino

al bojjer dal masst – il fermentare del mosto
graspa – il grappolo d’uva privato degli acini,
vinaccia.
inbutigliér – imbottigliare
mustèr – pigiare l’uva
tirér al vén – spillare il vino
travasèr – travasare il vino, per separarlo dalla
parte densa che resta sul fondo.
turcèr – torchiare le vinacce: spremerle
vindmèr – vendemmiare: raccogliere i grappoli

turciadùra – torchiatura: vino residuo che esce dopo la pressatura delle vinacce.
mèz vén, tarzanèl, sbargiòll – bevande che escono dal continuare a versare acqua sulle vinacce.
vén (bianc e nàigher) – vino (bianco e rosso)
bàtt, butgéina – botte/ i, botticella
bichìr – bicchiere/ i
bigànz – bigoncio: recipiente in legno per
mostarvi l’uva e per il trasporto a spalla del mosto.
biràn dla batt – tappo della botte
butégglia – butélli – bottiglia – bottiglie
buvinèl – imbuto
calàstra-calàster – base-basi su cui poggiano le botti
canèla – tubo per spillare il vino
castlè – botte trasporta uva (misura locale
ql.8,40)
damigèna – damigiana: panciuto recipiente in vetro
machinàtta lèva butélli – macchinetta lava bottiglie
machinàtta sèra butélli – macchinetta tappa bottiglie
màsscla pr al màsst, in ram – mestolo per il mosto, di rame
mustadàura – mostatrice
mzatta – caraffa di terracotta
paniràn da damigèna – paniere porta damigiana
salvavéina – imbottavino: imbuto con filtro
stupài in sòvver pr’al butélli – turacciolo in sughero per botiglie
tinàz – tino: recipiente in cui si lascia il mosto
a fermentare
torc’ – torchio per vinacce
usvài par misurér al masst – attrezzo per misurare il mosto
zocca inpajè – fiasco impagliato

Màchin, atrézz e usvéi          Macchine, attrezzi e utensili

arpàig – erpice: frangizolle
badìl – badile
bàst – basto: rozza sella di legno che si mette
sul dorso delle bestie da soma, su cui si appoggia il carico.
brossca – brusca: ruvida spazzola per pulire il
manto delle bestie.
bròz (al bròz) – carretto: a due ruote con sponde alte,
trainato dal cavallo, dal somaro o
da un bue; era usato per i
trasporti leggeri e per venire al
mercato.
càr agréccol – carro agricolo: con pianale e senza
sponde, trainato dai buoi serviva
per il trasporto del raccolto.
cariola – carriola
chèva zémma par barbabiéttel – scollettatore per barbabietole
distanziatàur par barbabiéttel – distanziatore per barbabietole
dumadàura – calesse: trainato dal cavallo, aveva
il sedile unico per le persone.
falzàtt – piccola falce
fèlza – falce da fieno
fèr – falce messoria (per mietere)
forrbs par pudèr al vìd – forbici per potare le viti
forrbs e machinàtta par tusèr al pìguer – forbici e macchinetta tosa pecore
furchèl, furcàn – forcale, forcone: attrezzo con manico in
legno e tre o più denti metallici.
guant par cavèr al foi – guanto per defogliare
gumira, pià – vomere: lama appuntita montata
sull’aratro, per tagliare il terreno
ligàm ed cànva – corda grossa di canapa
màchina da bàter – trebbiatrice
machinàtta scuézza pundor – macchinetta spremi pomodori
manarén – piccola mannaia
murdàccia – mordacchia: anello da applicarre alle
narici delle bestie
pèla d laggn – pala di legno
pèla in fèr pr infurnèr – pala in ferro per infornare
panìra in vénc – paniere in giunco
paniràn – paniere grande
panpa par sàulfna – pompa per lo zolfo
pèten par pulìr la mèlga – pettine per pulire la saggina
pià (o arè se a 2 làm) – aratro, vomere
préda – cote per affilare
prèsa in laggn pr i grasù – pressa in legno per i ciccioli
pudàtt – pennato: una specie di accetta
ràgn par recuperèr la mastèla caschè int al pazz
-ragno: attrezzo in ferro per recupero del
secchio caduto nel pozzo.
r-anpàn chèva barbabiéttel   rampone cava barbabietole
ranzinèla – saracco: sega a lama trapezoidale
rastrèl – rastrello: attrezzo con denti, in legno,
per raccogliere il fieno
runcàtta – roncola: attrezzo con lama a curva
stretta
sàiga, sgàun – sega, segone
schèla, scalàtt – scala, scaletto
scanadàur pr al ninén – scannatore: coltello per recidere l’arteria nel collo del maiale.
sdàz pr i fasù – setaccio per fagioli
sgadàura – segatrice per l’erba
spanuciadàura – sgrana pannocchie
stràggia – striglia: specie di spazzola metallica
per pulire il manto delle bestie.
sumnadàura – seminatrice
sufiàtt par dèr la sàulfna – soffietto per spargere lo zolfo
tàja furàg’ – taglia foraggio
tàja ònng’ pr al bìsti – taglia unghie per bovini
tràpla par i animèl salvadg – trappola per animali selvatici
tratàur – trattore
usvài par pulìr i fùs – attrezzo per pulire i fossi
usvài spàca cànva – attrezzo spacca canapa
vènga – vanga
zaf o zavv – giogo: attrezzo in legno da appoggiare
sul collo di due bestie per tenerle
affiancate durante il lavoro nei
campi.
zàpa – zappa
zèrla – stanga da attaccare all’aratro
zirèla cun cadàina pr’al pàzz – carrucola con catena per sollevare
il secchio d’acqua dal pozzo.
zòca, zòchi – ciocco-ciocchi da bruciare o su cui
spaccare la legna da ardere.

Arcòlt divérs       Raccolti vari

avàina – avena
furmintàn – grano turco o mais
gran – frumento o grano
méi – miglio
òrz – orzo
sàigla – segale

faggn, furag’ – fieno, foraggio
spagna – erba medica o spagna
sula – sulla
tarfòi, trifòi – trifoglio

barbabiéttla – barbabiéttel – barbabietola , barbabietole
cànva – canapa
u da vén – uva da vino

La frùta      La frutta

amàndla – amàndel – mandorla – mandorle
castàgna – castàgn – castagna – castagna
clura – clùr – nocciola – nocciole
curbàzzol – curbèzzol – corbezzolo – corbezzoli
fìg – fico /i
frèvla – frèvel – fragola – fragole
gàmmbra – gommber – cocomero
lanpàn – lanpòn – lampone – lamponi
lazarén – lazzeruolo /i
luvén – lupino /i
màila – màil – mela – mele
màila granè – melagrana
maràn – maròn – marrone – marroni
màura – mòr – mora – more
mlàn – mlòn – melone – meloni
mugnéga – mugnég – albicocca – albicocche
nèspla – nèspel – nespola –nespole
nus – noce /i
pàira – pàir – pera – pere
patarlàng – bacca/he di rosa canina
pésga – pésg – pesca -pesche
pgnol – pignù – pinolo- pinoli
pròggna – pròggn – prugna – prugne, susine
rusticàn – mirabolano /i
sòrbla – sòrbel – sorbola- sorbole
u da tèvla – uva da tavola
zìzla – zìzel – giuggiola- giuggiole
zòcca – zòcc – zucca – zucche
zrìsa – zrìs – ciliegia – ciliegie

I urtag’ e i udour (qui cultivé e qui   ch’i cràssen da par làur)         Ortaggi e aromi (coltivati e spontanei)

ài – aglio
arvàjja- una grèna d’arvàjja – piselli – un chicco di piselli
bìda – bietola
chèrd – cardo
chevolfiàur o cavolfiàur – cavolfiore
col – cavolo cappuccio
fasòl – fasù in curnàccia – fagiolo – fagioli in baccello
fèva – fava
fasulén – fagiolino /i
fnòc’- fnùc’ – finochio – finocchi
insalè (rizuléina – rumèna) – insalata (ricciolina – romana)
maranzèna –maranzèn – melanzana – melanzane
navàn – rapa
patèta- patèt – patata – patate
pistinèga – pistinèg – carota- carote
pivràn – pivròn – peperone – peperoni
pòr – porro /i
prasòl – prasù – prezzemolo – prezzemoli
pundor – pomodoro /i
radàcc’ sumnè – radécc’ – radicchio seminato – radicchi
radisén – ravanello /i
sàrrel – sèrrel – sedano – sedani
scalàggna – scalogno
scarciòfel – carciofo /i
sèlvia – salvia
spèrz – asparago /i
spinàz – spinacio /i
usmarén – rosmarino
vérza -vérz – verza – verze
zidràn- zidròn – cetriolo – cetrioli
zivàlla – zivàll – cipolla – cipolle
zucàtt – zuchètt – zucchetto – zucchetti
bàc ed zanàvver – bacche di ginepro (per aroma)
fonnz – fungo /hi
frèbbsa – frèbbs – crespigno – crespigni
grasagaléina – valeriana
manta – mentuccia
mlor – alloro
rapànz – raponz – raponzolo – raponzoli
roccla salvadga – rucola selvatica
sparzéina – asparago/i di bosco
stréccapòggn, ciòcapiàt, péssalèt – tarassaco e simili (varietà di radicchi selvatici)
tartoffla- tartòffel – tartufo – tartufi
témm – timo
urtìga – urtìg – ortica – ortiche

Al cuntadén, chi u l aiutéva e chi l avéva sàura ed lò        Il contadino, chi l’aiutava e chi aveva
“sopra” di lui

arzdàur e arzdàura – reggitore e reggitrice: autorità interna
alla famiglia contadina di una volta
(erano i genitori, o in carenza il
fratello maggiore con la moglie).
la prémma spàusa – la moglie del figlio maggiore, ruolo
secondario dopo la reggitrice.
brazànt agréccol – bracciante agricolo: operaio che presta
la sua opera, a chiamata del
contadino.
buvèr o bioic – bovaro, addetto alla cura delle bestie e
della stalla; poteva essere lo stesso
garzone.
garzàn da cuntadén – affiliato alla famiglia come aiutante nei
vari lavori, per qualche anno o
anche per sempre. Il suo lavoro in cambio di vitto, alloggio e vestiario ; è una figura superata.
infstidàur – norcino: esperto a lavorare le carni del
maiale (a chiamata)
insdidàur – innestatore: operaio specializzato per
innestare le piante (a chiamata)

padràn – padrone, proprietario del podere
mezèder – il contadino che gestiva il fondo a
mezzadria (per legge è un
rapporto non esiste più).
afituèri – affittuario: che gestisce il fondo in
affitto (sistema attuale).
cuntaden padràn: ch’l à al sìt ed su – coltivatore diretto: possiede il podere
che coltiva
capurèl – caporale: incaricato del padrone che
dava le direttive al mezzadro sulla
scelta delle colture, procurava la mano d’opera bracciantile e interveniva sui metodi da seguire per migliorare i risultati.
fatàur – fattore: amministratore per conto del
proprietario.

I PROVERBI DEI CONTADINI, DURANTE IL SUSSEGUIRSI DEI MESI

Al tanp ch’al farà e i lavurìr int i divérs mìs
Il tempo che farà e i lavori nei diversi mesi.

Gran zél in znèr, miséria int al pulèr.
Gran gelo in Gennaio miseria nel pollaio
Al fràdd in znèr, al rinpéss al granèr.
Il freddo di Gennaio riempie il granaio.
Se znèr al càulma i fus, setàmmber al càulma al bàtt.
Se Gennaio colma i fossi, Settembre colma le botti.
Sant Antòni dala bèrba biànca, s u n nàiva poc ui manca.
Sant’Antonio dalla barba bianca, se non nevica poco manca.
Znèr cum al càta al làsa.
Gennaio come trova lascia.
Znèr gatèr.
Gennaio gattaio.
Znèr long e dur, al cràss al dé e al cala al bur.
Gennaio lungo e duro, cresce il giorno e cala il buio.
Znèr, znàran, la nàiv la dìs da bàn.
Gennaio gennarone la neve dice davvero.

Febrèr, curt e amèr.
Febbraio corto e amaro.
Par la Santa Inzariòla, o la nàiv o la bora.
Per la Candelora, o la neve o la bora.
Par la Santa Inzariòla, fùg, brès e fùg ancàura.
Per la Candelola, fuoco,brace e fuoco ancora.
Nàiv ed febrèr, fèsta dal granèr.
Neve di Febbraio festa del granaio.
Par San Valintén la premmavàira l’è avsén.
Per San Valentino la primavera è vicino.
Par San Valìntén al fiurès al spén.
Per San Valentino fiorisce il biancospino.
La piòva d febrèr, la vèl quant un’aldamèra.
La pioggia di Febbraio vale come un letamaio.
Se febrèr u n febraràzza e mèrz u n marzàggia, avréll mèl al pansa.
Se Febbraio non febbrarezza e Marzo non marzeggia, Aprile pensa male.

Mèrz sòtt , gràn da par tott.
Marzo asciutto grano dappertutto.
La nàiv marzuléina la dura dala sìra ala matéina.
La neve marzolina dura dalla sera alla mattina.
Dizàmmber al fa i agnì, mèrz u in vol al pèl.
Dicembre fa gli agnelli, Marzo ne vuole le pelli.
A mèrz tàja e pàuda, s t’an vù la bàtt vuda.
A Marzo taglia e pota se non vuoi la botte vuota.
Par San Bandàtt la rundanéina satta al càpp.
Per San Benedetto la rondine sotto il tetto.
Mèrz e avréll i èn fradì, àura brott e àura bì.
Marzo e Aprile sono fratelli, ora brutti ora belli.
La lòuna ed mèrz la porta sì lòun.
La luna di Marzo porta sei lune.

Avréll tinprè u n’è mai ingrèt.
Aprile temperato non è mai ingrato.
Ui è dàu zòchi int al curtìl, ònna par mèrz e ònna pr avrìl.
Ci sono dei zòcche nel cortile, una per Marzo e una per Aprile.
L’avàina d avréll l’è lèt pr al stalàtt.
L’avena di Aprile è letto per il porcile.
Avréll ogni dé un baréll.
Aprile ogni giorno un barile.
Se ad avrèll a pudèr t andarè, dimondi àcua te t bvarè.
Se ad Aprile a potare andrai, molta acqua tu berrai.
Mèrz sott, avréll bagnè, beàt chi à sumnè.
Marzo asciutto, Aprile bagnato beato chi ha seminato.

Màz sott e solegè, gràn e fruta a ban marchè.
Maggio asciutto e soleggiato, grano e frutta a buon mercato.
Par San Catèld al và fora al fradd e dànter al chèld.
Per San Cataldo va fuori il freddo ed entra il caldo.
Màz frassc e bagnè, al fa ban ala véggna e al prè.
Maggio fresco e bagnato,fa bene alla vigna e al prato.
Màz frassc e vintàus, al fa l àn frutuàus.
Maggio fresco e ventoso fa l’anno fruttuoso.
Bagnè o sott, a San Lòcca i sàmnen tott.
Bagnato o asciutto per San Luca seminano tutti.
Chi al dorma d màz al dzòuna a setàmmber.
Chi dorme di Maggio digiuna a Settembre.
Màz tott i dé un tinàz.
Maggio tutti i giorni un tino.
S’al piòv al prémm dè d màz, i fìg i fan ban viàz.
Se piove il primo di Maggio, i fichi fanno buon viaggio.

L’ àcua ed zoggn l’arvéina al munér.
L’acqua di Giugno rovina il mugnaio.
In zoggn ban o mèl, ui è sànper un tenporèl.
In Giugno bene o male c’è sempre un temporale.
S al piòv par san Zvàn, dala sàcca poc dan.
Se piove per San Giovanni dal secco pochi danni.
Canpra l’ài par San Zvàn o t srè puvràtt tott l àn.
Compra l’aglio per San Giovanni o sarai poveretto tutto l’anno.
A San Zvàn bèl tanp, gràn e vén abundànt.
A San Giovanni bel tempo grano e vino abbondanti.

Loi cun sàc e stèr, porta al gràn int al granèr.
Luglio con sacco e staio porta il grano nel granaio.
Par San Pulinèr l’ù la cmanza a culurèr.
Per Sant’Apollinare l’uva comincia a colorare.
Se a loi al fa tinpèsta, l’ù la n rinpés la zassta
Se a Luglio fa tempesta l’uva non riempie la cesta.
Loi bèl, prepàra la bàtt.
Luglio bello, prepara la botte.
Se a loi gran calùra a znèr gran giazè.
Se a Luglio gran calura, a Gennaio gran ghiacciata.
S’al piov par Sant’Ana, l’àcua la dvanta màna.
Se piove per Sant’Anna l’acqua diventa manna.
Fères unàur cun al sàul ed loi.
Farsi onore con il sole di Luglio.

Quand al piov d agàsst, al piov mél e màsst.
Quando piove d’Agosto piove mele e mosto.
Acua d agàsst, castàgn e màsst.
Acqua d’Agosto, castagne e mosto.
S t vù un ban màsst, zàpa la véggna d agàsst.
Se vuoi un buon mosto zappa la vigna d’Agosto.
Par san Bartelmì l’àcua l’è bona par lavèrs i pì.
Per San Bartolomeo l’acqua è buona per lavarsi i piedi.
Agàsst rinpéss la cuséina, setàmmber la cantéina
Agosto riempie la cucina, Settembre la cantina.

A setàmmber l’ù l’è fàta e al fìg al pannd.
A Settembre l’uva è fatta e il fico pende.
A setàmmber piòva e lòuna, i fàn di fònz la furtòuna.
A Settembre pioggia e luna fanno dei funghi la fortuna.
Quand i usì i vàulen bas, s’ t an è l’unbrèla aslonga al pas.
Quando gli uccelli volano bassi, se non hai l’ombrello allunga il passo.
Muntàn l à in vatta ala scheìna ‘na gran mastèla péina.
Scirocco ha sulla schiena una gran mastella piena.
Aria setenbréina, frassca ala sìra e frassca ala matéina.
Aria settembrina, fresca la sera e fresca la mattina.
S’al piòv par San Gregori, tott utàbber un gran demòni.
Se piove per San Gregorio tutto Ottobre un gran demonio.
S’al piòv par Santa Cràus, us fàura ògni nus.
Se piove per Santa Croce si fora ogni noce.

In utàbber smant in poggn, s t vù méder a zoggn.
In Ottobre semente in pugno se vuoi mietere a Giugno.
Chi pianta in autòn al guadàgna un àn.
Chi pianta in autunno guadagna un anno.
A utàbber al sàul dal giovedé, al fa piòver ala dmànnga.
A Ottobre il sole del giovedì fa piovere alla domenica.
A utàbber la nabbia bàsa, bèl tanp la làsa.
A Ottobre la nebbia bassa bel tempo lascia.
Par San Simòn al galàtt us fà capàn.
Per San Simone il galletto si fa cappone.

La nàiv ed nuvàmmber la fa ban ala smant.
La neve di Novembre fa bene alla semente.
A nuvàmmber trài nabbi al fàn ‘na piova.
A Novembre tre nebbie fanno una pioggia.
T’è ‘na fàza da dù d nuvàmmber.
Hai una faccia da due di Novembre.

Dizàmmber zlè, u n và disprezè.
Dicembre gelato non va disprezzato.
Nadèl cun al sàul, Pàscua cun al carbàn.
Natale con il sole, Pasqua con il carbone.
S’al piov par Santa Bibièna, al dura quarànta dé e ‘na stmèna
Se piove per Santa Bibiana dura quaranta giorni e una settimana.
S us anòvvla sàura la bréina, al nàiva prémma ed dmatéina
Se si annuvola sopra la brina nevica prima di domattina.
Tramuntèna ch’la n puléss, al piov ch’ u n faléss.
Tramontana che non pulisce piove che non fallisce.
Cun i quèrt ed lòuna al canbia al tanp e la furtòuna.
Con i quarti di luna cambia il tempo e la fortuna.

 

Estrapolazioni di proverbi e modi di dire presi dal libro di Sara Prati e Giorgio Rinaldi “Il ciclo dei mesi nella civiltà contadina”, adattamento al dialetto castellano di Marisa Marocchi
E’ possibile richiedere la versione cartacea di questi testi ( QUADERNO n° 2 ) direttamente all’Associazione Terra Storia Memoria.