ERCOLE OTTAVIO VALERIO CAVAZZA

RACCOLTO DI MEMORIE ISTORICHE di CASTEL SAN PIETRO Volume 2° Trascrizione a cura di Eolo Zuppiroli.

Prefazione

Questo secondo volume del “Raccolto” comprende due Centurie, la prima dal 1501 al 1600 e la seconda dal 1601 al 1700.
Il 1500 inizia con la presenza in Castello delle truppe del Valentino, le sue mire sono per Bologna ma al momento si limita a pretendere Castel Bolognese, avendo già ottenuto Imola e l’intera Romagna. La sua fortuna è però al termine, suo padre, il Papa Alessandro VI Borgia, muore e a breve diventa papa Giulio II della Rovere.
Questi non solo vuole riprendere saldamente nelle mani della S. Sede la Romagna ma soprattutto Bologna, sulla quale ha in teoria la sovranità ma che è al momento solo virtuale per la presenza della Signoria dei Bentivoglio.
La penisola, dalla fine del secolo precedente, è soggetta alle così dette Guerre d’Italia a cui partecipano i regni di Spagna e Francia oltre agli stati italiani, cioè il Papato, Venezia, Milano, Firenze, Savoia, signorie, ducati e marchesati vari, con alleanze che mutano continuamente e che dovrebbero servire per indebolire il più forte.
Nel 1506, approfittando dell’abbandono della Francia dei Bentivoglio, Giulio II decide di risolvere il problema bolognese. Proclama l’interdetto a Bologna, il 20 ottobre è a Imola, nel frattempo le sue truppe hanno attaccato Castello. Non sappiamo l’origine del detto che Castello è la prima chiave di Bologna, comunque Giovanni Bentivoglio il primo novembre se ne va da Bologna. L’11 novembre Giulio II è festeggiato a Castel S. Pietro nel Borgo. Il viaggio a Bologna sarà guastata dalla pioggia, ma benvenuto in città.
I Bentivoglio non rinunceranno, approfittando di un rovesciamento di alleanze del papa e di un ritorno dei favori della Francia, riprenderanno Bologna ma durerà solo un anno. Naturalmente Castello si ritroverà di nuovo in mezzo ai contendenti.
Da questo momento per Bologna cambia la sua storia, da capitale se pur piccola e di un territorio non grande diventa parte di un territorio più grande ma con un’altra capitale. Non potrà più interessarsi di politica estera ma solo di affari interni se e come glielo permetteranno i Superiori.
Intanto le guerre d’Italia continuano. Ora un certo Carlo risulta nipote del Re di Spagna, Sicilia e Napoli, oltre che un po’ di un nuovo territorio, l’America. Risulta anche nipote dell’Imperatore del Sacro Romano Impero e sovrano d’Austria. Quando questi muoiono si ritrova a comandare il sud e buona parte del nord dell’Europa e diventa Carlo V , quello che non gli tramonta mai il sole. Gli altri , Papa compreso, provano ad ostacolarlo.
Non ci riescono e le sue truppe tedesche scendono a Roma, depredando e saccheggiando. Naturalmente passa anche da Castello nel marzo del 1527. Conquistano Roma e la saccheggiano, il papa si salva richiudendosi in Castel S. Angelo. I soldati, i famigerati lanzichenecchi, sono in gran parte luterani e quindi…
Ma poi si fa la pace e Bologna e il suo contado ritornano sulla scena internazionale. Carlo è il successore dell’Imperatore, i grandi elettori tedeschi lo hanno nominato, manca ancora la consacrazione papale, non sufficiente ma assolutamente necessaria. Si tratta del capo del Sacro Romano Impero !
La cerimonia si svolge a Bologna, il papa arriva il 24 ottobre, Carlo il 5 novembre, la consacrazione il 24 febbraio. Il Cavazza ci racconta i particolari della cerimonia e dei festeggiamenti anche a Castello.
Le guerre in Italia e in Europa continuano ma ormai per fortuna il nostro territorio, facente parte dello stato della Chiesa, solo in parte è interessato o come difesa o come problemi ai confini o come passaggio di truppe destinate a scontri altrove.
Un segno della maggiore sicurezza è lo smantellamento delle rocche per la loro costosa manutenzione e per recuperare il materiale, a Castello si inizia nel 1543, poi si demoliscono anche le merlature, usando i mattoni per riparare le mura, i merli servivano per difendersi, le mura ancora per restare chiusi e riparati dal pericoli esterni come le pestilenze.
Non per questo mancheranno i problemi, uno di questi è il banditismo. Sono finiti gli scontri militari nel nostro territorio, manca quella che era una occasione di lavoro, essere assoldati nelle varie compagnie di ventura che per tutto il 1400 giravano nel nostro territorio e in quelli vicini. Certo le guerre continuano ad esserci ma sono un po’ lontane, i datori di lavoro, i capitani di ventura, sono stranieri. I banditi prima erano i fuorusciti, ora sono questi “disoccupati”.
Per fortuna un “aiuto” viene dal Turco. L’impero turco si sta espandendo in Grecia, nei Balcani, le posizioni veneziane sono in pericolo, la cristianità è in pericolo. Il papa non ha esercito ma può spingere i propri sudditi, per la difesa della cristianità, a formare compagnie per arruolarsi coi veneziani, con le truppe imperiali, austriache ed ungheresi. E il lavoro non manca, la guerra all’impero ottomano dura dalla metà del 1500 alla fine del 1600 ed oltre. Famose sono rimaste la battaglia di Lepanto del 1571 e il salvataggio di Vienna dall’assedio del 1683. Vari castellani partecipano a questi scontri e sono ricordati dal Cavazza.
Poi nel “Raccolto” ci sono gli avvenimenti della vita di tutti i giorni, ci sono i raccolti quindi la meteorologia dalla quale dipendono, la troppa pioggia , la siccità, l’abbondanza, rara, la carestia, spesso. La ricerca dei rimedi con le preghiere, le messe, le processioni, la vita religiosa, le compagnie dei fedeli, quella di S. Caterina, del Santissimo Sacramento, del Rosario e anche le loro liti per le precedenze.
Gli eventi miracolosi, i più famosi sono quelli dell’apparizione della Madonna alla vecchierella a Poggio e l’immagine salvatrice dalla pestilenza al fondo del Lato.
Uno degli eventi più drammatici fu la pestilenza del 1629-30, che uccise a Bologna ¼ dei cittadini e nel nostro territorio, secondo il Cavazza, 640 persone. Il suo racconto è molto dettagliato.
Nel 1600 al precedente convento degli Agostiniani di S. Bartolomeo si aggiungono i conventi e le chiese di S. Francesco dei Minori Osservanti e dei Frati Cappuccini. Si costruisce la Cappella della Madonna del Rosario, come ringraziamento per essere stati salvati dalla pestilenza, e si allunga la parocchiale sul retro col nuovo abside, invadendo la strada.
Una particolarità di queste “centurie” è la cura dell’autore nel riportare i nomi dei massari dei podestà e dei consiglieri che si sono succeduti in tutti questi anni, è una collezione di cognomi di castellani e bolognesi.
Non resta che l’invito a “entrare” in questo Castello di molto tempo fa senza farsi spaventare dalle difficoltà di lettura, le tante notizie interessanti ripagheranno della fatica.
Eolo Zuppiroli
Castel San Pietro Febbraio 2020

Ercole Valerio Cavazza

Raccolto di Memorie Istoriche
di Castel S. Pietro
Nella Circoscrizione di Bologna
Centuria IV
dal 1501 fino al 1600

Argomento della Centuria IV

Il Duca Valentino si impadronisce di Castel S. Pietro e lo saccheggia. Viene battuto dalli ecclesiatici. Diffeso da paesani. Preso dal Gonzaga. Accadono molti rumori. Interdetto il contado di Bologna dal Papa vi si chiudono le chiese. Tumulto perciò in Castello. Assoluto viene esentato da alquante tasse. Vi si introduce il mercato che prima svolgevasi nel Borgo. Vi si fa una nuova porta al di sopra. Sono esentati li artisti del Castello e sua giurisdizione dalla dipendenza dall’arti di Bologna. Li M.M. O.O. si introducono in Castello in Ospizio. Molti valorosi castellani vanno nella Norcia in Germania contro il Turco. Anibale Bruni loro insigne capitano e condottiere ove milita strenuamente, poi passa al soldo di Francesco II Re di Francia indi sotto Clemente VII poi sotto Carlo V indi al soldo de Veneziani e finalmente sotto Paolo P.P. III. Governo democratico in Castel S. Pietro si ridduce all’aristocratico. Torre e Roca picola donata dal Papa a Giovanni Rota di Castel S. Pietro Chierico di camera. Paolo III passa da Castel S. Pietro, lo benedice, conferma per suo Breve le esenzioni del Mercato. Alessandro Card. Farnese dichiarato arciprete di Castel S. Pietro. Rinoncia la Chiesa a Marc’Antonio Malvezzi. Madonna di Poggio appare a Antonia Bendini. Le parla e quotidianamente la mantiene provvista di pane. La Villa di Poggio tenta smembrarsi da la comune di Castel S. Pietro. Esenzione del Dazio Pesce. Ascanio Cardinale Marchesini, visitatore apostolico, viene a Castel S. Pietro e descrive le chiese del suo plebato. Compagnia della Centura, Rosario con altre sono instituite in Castel S. Pietro. Monte di Pietà proposto e decretato in Castel S. Pietro. Fonte della Fegatella in grido, viene beneficata dal Senato di Bologna. Fuorusciti alla confina di Castel S. Pietro vi pongon foco e fanno ostaggi. Si reclutano castellani per Viena contro il turco. F. Cherubino Ghirardaci, nativo di Castel S. Pietro dopo avere compillata la Storia di Bologna more nell’anno 1598. Ed altre notizie.

Centuria Quarta

Vedendo il Bentivoglio l’animo cattivo del Duca Valentino contro Bologna pensò a miglior partito, quindi spedì, con partecipazione del Senato, il dì 3 genaro 1501 Mino Rossi al Re di Francia ambasciatore affine di ottenerne la di lui protezione contro il Valentino su la promessa fattale che non sarebbero molestati qualvolta non prestassero soccorso a faentini. Ottenuta parola il Rossi dal Re, riferì il di lui buon cuore al Senato ed al Bentivoglio, ma ciò non ostante questi stette colle mani alla cinta, fece guarnire maggiormente Castel S. Pietro di genti e munizioni da bocca e da guerra e così fece delle altre frontiere del contado.
La notte delli 2 febbraro venendo alli 3 apparve la luna in cielo con un dardo che la attraversava, era rossa qual foco. La punta del dardo era rivolta alla parte di Roma cioè al levante, facendo stupore alle persone.
Il Valentino, che arrabbiava contro Faenza per non averla potuto avere nelle mani e sottometterla, novamente mosse li 23 aprile il campo contro essa ma ritrovolla ben guarnita di fosse, bastioni, terragli e ripari onde cominciò a batterla gagliardamente ma con isvantaggio.
Li faentini defatigati e privi alla fine di soccorso e di vettovaglie trattarono accordo col Duca, salva robba e persona. Pattuì il Duca ma poi mancò di fede poiché, ottenuta la città ed entrato li 25 d. in essa, giorno di domenica, prese Astorre Manfredi, Signore di quella in età di anni 16, e doppo pochi giorni lo fece indebitamente morire.
Sentito questo fatto li bolognesi si consultarono se dovevano far ressistenza al Valentino a Castel S. Pietro e alla confina oppure no, fu ressoluto il no ma, bensì assicurati essendo dal Re di Francia, risolvettero spedire ambasciatori Giovanni Marsigli ed Angiolo Ranuzzi a rallegrarsi col Duca dell’ottenuta vittoria.
Questi, che non voleva che tempo alle sue cose, spedì a Bologna un frate di Castelbolognese dell’ordine de Conventuali il quale domandò, a nome del Duca, Castel S. Pietro. Il Senato, che vedeva il mal’animo del Duca, licenziò il frate dicendole che per tal cosa auriano spedita ambasciata al Duca. A quest’effetto nella stessa sera vennero a Castel S. Pietro lo stesso Marsigli e Ranuzzi ed il frate partì tosto e riferì al Duca la risposta.
Egli, niente attendendo, lasciata guardia a Faenza, venne con Vitellozzo Vitelli suo condottiero da Imola immantinente a Castel S. Pietro. Monsù D’Allegri ,che era co’ pressidi nel nostro Castello, diede tosto avviso al Senato che il Duca era arrivato a Castel S. Pietro coll’armata esortandolo a mandar gente. Ma che il giorno 22 d. sul far del giorno, crescendo l’esercito furiosamente, fece intendere alli castellani, alli pressidi ed ambasciatori che come amico esercito voleva alloggiare nelle terre della Chiesa, salva robba e persona.
Onde, aperte le porte del Castello ed entrato, fece subito prigioni li ambasciatori ed il Castello, essendo subito abbandonato dall’Allegria. Colto anco alla sprovvista il castellano della Roca Alessandro Mazovillani e senza colpo d’armi ed indugio lo posero a sacco. Poi cominciarono li di lui soldati a predare bestiami e vittuaglie per tutto il comune senza alcuna pietà.
Li ambasciatori furono tosto menati a Casalfiumanese. Spogliato il nostro Castello di vittovaglie e di tutto, partì l’esercito et andò a Varignana, Medicina e Castel Guelfo facendo in ogni loco ove capitavano infiniti danni.
Giunta la nova a Bologna il popolo senza suono di campana si armò in N. di ventimilla uomini, oltre le genti d’arme, correndo parte alla piazza parte al palazzo Bentivoglio, nel quale, perché non vi era Giovanni che era in Regimento, dubitando di trattato, fece tosto molte provisioni e mise in ogni loco bonissime guardie.
Poi scrisse al Duca di Ferrara, ai fiorentini et al Duca di Mantova per essere soccorso ma niune le diede bada. Solo Eleonora, moglie di Giovanni Giberto Pii da Sassuolo, Lorenzo Penachi e Ramazzotto di Sandrone Ramazzotti da Scaricalasino ed altri caporali vennero con fanterie a Bologna per modo che, avendo buon corpo di soldati, il Bentivoglio le venne in animo di attaccare il Valentino che si trateneva nel nostro Castello ma egli, ciò udito per tema di sinistra ventura, mandò il dì 29 cadente aprile Paolo Orsino al Senato con pretesto di trattare accordo ed esplorare il tutto. Questi veduta la truppa e la città ben guardata nel mentre che allogiava nel palazzo Bentivoglio, maneggiato l’accordo senza conclusione, ritornò il giorno 30 a Castel S. Pietro ove era il Duca fermo.
Il Senato vi mandò poscia due ambasciatori cioè Alessandro Buttrigari Anziano e Gio. Francesco Aldrovandi del Regimento quali, concluso l’affare, stipularono il dì primo di maggio in Castel S. Pietro l’instrumento ad ore 20 per rogito di Cesare Nappi notaio et il dì 2 d. l’Orsino tornò a Bologna ove alle ore 18 alla Ringhiera delli Anziani fu bandita la pace e la confederazione fra il Duca ed il Bentivoglio in questo modo:
I – Che li bolognesi consentono al Duca Castelbolognese.
II – Che li nemici dell’una e dell’altra parte si intendono comuni nemici.
III – Che il Duca restituisca Castel S. Pietro e li prigioni colla preda fatta a Castel S. Pietro coll’altro castello occupato.
IV – Che per tre mesi auriano li bolognesi pagati al Duca cento uomini d’arme per rimettere li Medici a Firenze di dove erano stati espulsi.
Ciò fatto il Duca partì contento per la Romagna lasciando libero Castel S. Pietro ed il resto del contado.
Ma perché il Bentivoglio non si fidava del Duca attese tosto ad accomodare e provedere di novo le castella tenute dal Valentino, e molto più Castel S. Pietro, di vettovaglie e munizioni da guerra.
Castel bolognese poi che era divenuto del Duca, questi le fece il dì 29 lulio spianare le mura e Rocca e poscia pubblicò un Bando, sotto pena della forca, a chi chiamasse questo paese Castelbolognese dovendolo nominare Villa Cesarina. Spiaque un tale fatto a tutta la città e popolo di Bologna perché era bello e forte di Roca e mura, le quali poi furono rifatte dal Bentivoglio come ora si vedono.
Il Duca avuta poscia la dichiarazione di essere Duca di Romagna, essendo uomo dedito alla lascivia, trovandosi fra Rimini e Ravenna rubò una damigella della signora Elisabetta Gonzaga Duchessa d’Urbino che andava a marito con uccisione di chi l’accompagnava e, doppo averla violata, la condusse nella Roca d’Imola alle calende di settembre.
Il Senato di Venezia e molti Signori chiesero la donna ed esso la negò sempre trattandola vituperosamente per modo che questo fatto avvalorò la Lega contro di esso.
Volendo pure egli in mano Bologna, venuto ad Imola novamente, il primo di settembre fece citare a Roma per Brevi apostolici il Bentivoglio colla familia a dimettere il governo, per la qual cosa questi mandò ambasciatori al Papa ed al Valentino ramemorandoli la pace e patti seguiti a Castel S. Pietro. Il Valentino nulla curando l’ambasciata rimise senza risposta li ambasciatori.
Il Bentivoglio che vedeva il mal animo del Duca, dubitando di tradimento, rinforzò Castel S. Pietro di guardie poi, l’anno seguente 1502, spedì nova ambasciata al med. Duca invitandolo a non impegnarsi a frangere la pace non avendole dato motivo di ciò fare.
Adirato replicò il Duca volere assolutamente il Governo di Bologna, dal che, vedendo li bolognesi il di lui mal animo, si armarono. L’Orsino, Vitellozzo, Petrucci e Baglioni, che erano dell’esercito del Duca come quelli che erano intervenuti alla pace fatta in Castel S. Pietro, non vedendo occasione di frangerla, si ribellarono al Duca offerendosi a Bologna, tantopiù che il card. Paolo Orsino era venuto di lulio onde per ciò ne naque sussuro fra li soldati nemici.
Li bolognesi con questa occasione armarono ed il Bentivoglio fece molte provisioni per la città e contado di viveri e munizioni. Nel dì 11 settembre ordinò che tutti li cittadini ed altri portassero alla città e castella li formenti, robbe e si votassero le teggie e fenili, indi li 21 ottobre, fatto numeroso esercito, lo mandarono a Castel S. Pietro sotto la condotta di Annibale e Ernesto Bentivogli.
La notte delli 21 ottobre il Duca, che si era avvanzato al nostro Castello, vedendo la mala parte fuggì abbandonando l’impresa col perdere muli e bestiami.
Li confederati sudd. Orsino, Vitelozzo e Baglione, essendosi ritirati dal Duca colla sua soldatesca fino a Doccia, scorrevano quindi sull’imolese scaramucciando colli altri soldati del Duca. Questi perciò vedendo accrescersi le forze nemiche si ritirò in Imola.
Li Bentivogli, fermato l’esercito a Castel S. Pietro di mille e ducento cavalli fra uomini d’arme e cavallegieri ed altre bande di pedoni ascendenti al N. di sei milla armati con sei bocche d’artiglieria, aspettarono al nostro Castello dalli Orsini, Vitelli ed altri ribelli al Duca li ordini contro il Duca, come anco per intendere dal Papa l’animo suo, al quale avevano già spediti ambasciatori, per non essere li primi a rompere le Capitolazioni fatte l’anno scorso.
Il Duca che aveva esplorati tanti armati a Castel S. Pietro e che li confederati avevano battuti li suoi, si ritirò nella Roca d’Imola, procurò quindi raconciliarsi l’Orsini ed il Vitellozzo. Giunsero infrattanto quattrocento lancie francesi ad Imola per la via di Ferrara sotto la condotta di Ciamonte.
Infrappostosi frattanto il Legato Giovanni Orsino fra il Bentivoglio ed il Duca si accordò fra loro la pace e restituiti li muli e bestiami al Duca, furono rivocate le genti da Castel S. Pietro. Fatto inteso di ciò il Papa restò contento ed in Bologna e nel contado si fecero nel genaro 1503 grandi feste.
Avendo poscia il Papa eletto per Legato di Bologna Federico Sanseverino, inimico mortale de Bentivogli, scrissero per ciò essi nel mese di giugno al Papa di non volerlo.
Sintantochè pendevano queste differenze nel dì 18 agosto Papa Alessandro morì avvelenato inavertitamente per veleno nel vino preparato a cardinali più richi dal Duca Valentino, onde avere poi egli le entrate ecclesiastiche. Nel med. convito essendo anco stato avvelenato lo stesso Duca, prese egli tanti remedi che scansò la morte.
Entrarono XXIV cardinali italiani in Conclave e XII oltramontani, fra pochi giorni crearono Papa il cardinale di Siena Francesco Picolomini col nome di Pio III, ma il suo pontificato fu breve poiché infirmatosi per dolore di una gamba dopo pochi giorni morì per lo spasimo.
Vacò poco la S. Sede poiché adunato tosto il conclave in ottobre, li cardinali al finire del mese, radunati in N. di 45, elessero Giuliano dalla Rovere di Savona card. d’Ostia e fu chiamato Giulio secondo.
Essendo giunti nel frattempo di sede vacante 40 balestrieri del Duca di Ferrara, poco amico de bolognesi, che andavano verso la Romagna, d’ordine del Bentivoglio furono assaliti da terrazzani di Castel S. Pietro e doppo poco di ressistenza, convenendoli cedere, furono a forza svalligiati.
Il Bentivoglio a cui premeva molto li collegati che erano stati del suo partito in tempo delle violenze del Duca
Valentino e fra questi essendo stato cacciato Ottavio Riari da Imola Signore di quella città, trattò perciò di rimetterlo nella sua signoria e levar la città che si teneva a posta del Duca. Quindi il dì 13 novembre spedì Ernesto Bentivoglio di lui filio con molta gente a Castel S. Pietro con animo di quindi poi di fare una sorpresa ad Imola oppure averla a trattato, ma le riescì vano ed altro non fecesi che dare gran spesa a Castel S. Pietro e ritornarsene a Bologna con trombe in sacco.
Al principio di genaro 1504 fu mandato a Bologna governatore Giovanni Lumellino dal Papa in luogo di Cesare Naccio ove fu ricevuto con grande onore. Narra la Cron. Secondinari che, essendo già stati carcerati alquanti di Castel S. Pietro per una questione, senza indicarci la qualità, li 12 marzo furono attossicati con altri prigionieri fino al N. di XII fra quali Ser Delfino di Nicola di Munzone onde così furono puniti, a scanso di tumulto populare, per la influenza che si temevano.
Essendo in questi tempi in Imola la familia Sassatelli e Vajna molto potenti di amici, questi ordirono trattato per cacciare li Sassatelli onde, adunata molta gente e buon numero di bolognesi, entrarono al principio di maggio in città e, scorendola per ogni dove, si fecero forti. Li Sassatelli chiamarono in ajuto li forlivesi, si venne a battaglia e furono soccombenti li ausiliari delli Vajna de quali ne morirono sedici uomini ed assai feriti fra quali messer Antonio Magnani.
Allo spirar dell’anno si veddero molti segni celesti in difformi aspetti che furono araldi dell’ira di Dio, che perciò si cominciarono a sentire insoliti teremoti in tempo di inverno con tanta violenza che la terra, perduta la sua stabilità, per ogni dove faceva orrore, il timore negava la fuga, si vedevano ed udivano ora qua ora là aperture della terra da cui uscendo non più ideati mugiti sembravano aprirsi li abissi. Non si trovava loco di sicurezza nelle abitazioni, cadevano le case sopra de vivi e sotto ammassi di materie esalavano lo spirito le povere creature.
Alli 2 di genaro 1505 un’ora intera dalle ore 9 fino alle 10 continuò a scuotersi la terra, durò questa funesta vicenda quaranta giorni, come lasciarono scritto li nostri cronisti bolognesi. Li castelli di Fiagnano, Corvara, Galegata, Vidriano ed altri furono abbandonati dalli abitanti per non restare vittima delle ruine alle quali non se le fecero più riparo e restarono quei municipi inospiti ed abbandonati.
Li merli delle mura pubbliche e delle torri si rovesciarono nel nostro Castello. Le case del Beneficio di S. Biagio poco distanti dalla arcipretale divenero un guasto e molti altri edifici patirono la stessa sorte. Così addimostrò Iddio che fuori di se stesso ogni cosa è instabile.
Non bastando il terremoto venne al principio dell’anno una neve così alta che non trovossi nelli annalisti addietro segnata la eguale e durò fino a febbraro. Li fiumi però,gonfi d’aque, li torrenti e condotti, non potendo in se contenere la affluenza dell’aqua, annegarono le vicine campagne.
Non si omisero perciò in si lagrimevoli circostanze le orazioni e le penitenze, fu rinovato l’uso della Salutazione Angelica nel mezo giorno colle campane, il quale si era omesso per occasione delle guerre. Non furono bastevoli questi atti di pietà per placare l’ira divina imperciocché, rimasti inculti li terreni in gran parte e negligentati li lavori, ne seguì la fame universale nella quale non solo divenne rigoroso il prezzo delle vettovaglie ma neppure si ritrovava ove procurare il riparo, dove che prima della messe in questi tempi, che era tutto a prezzo mite, andò il valore del grano a trentaquattro e 36 pavoli la corba.
Le radici dell’erbe, che poche se ne ritrovavano, erano una lautezza a miserabili. All’avvanzarsi del freddo si sentivano oribili voci di giorno e notte che esclamavano: io mi mojo di fame, onde, fra lo stento di freddo e la mancanza di alimento, cadevano le persone estinte.
Solo Lorenzo Campeggi, nobile cittadino bolognese, soccorse al comune uopo. Procurò di lungi formenti, parte ne assegnò alla città e parte al contado col distribuirne nel territorio alle quattro principali castella cioè a S. Giovanni in Persiceto, Castel franco, Castel S. Pietro e Crevalcore.
Alle taverne e case de fornari furono poste le guardie per diffenderli dall’affamato popolo. Abbiamo, dalle memorie delli nostri agostiniani di Castel S. Pietro detti di S. Bartolomeo, che questa comunità diede loro più di seicento lire di quattrini per farne la dispensa ai poveri e le familie de Comelli, Fabbri, Ghirardacci e Dalforte soministrassero sessanta corbe di granelle, non indicandoci la loro specie, che ridotte in farina ne facevano le focaccie.
Era in allora priore Fra Adiodato Battisti e vicario suo F. Bartolomeo ambi di Castel S. Pietro li quali furono li dispensatori delle elemosine tanto a paesani che a territoriali di Castel S. Pietro.
Non si meravigli il lettore de nostri scritti se trova in un tanto emergente contemplati più li agostiniani di quello che il paroco in eseguire questa elemosina, impercioché abbiamo dalla storia bolognese che li frati eremitani d. di S. Giacomo di Bologna erano quelli che intervenivano alle assemblee e comizi civili della città e raccoglievano essi le poste ed annotavano tante cose, come rilevasi ne codici antichi, e così facevasi nel contado ad imitazione della città. In Castel S. Pietro è ciò indubitabile mentre abbiamo li catasti dal 1531 al 1546, formati per ordine della comunità sopra li terreni, fatti e scritti dal priore locale agostiniano di questo Castello.
A codesta calamità si aggiunse una epidemia ne bovini che, durando tutto lulio, agosto e settembre, recò incalcolabile danno, ed abbenché fosse il bolognese colla città flagellato dalla Mano suprema, si perpetuavano infiniti mali de fazionari Bentivoleschi.
In Castel S. Pietro Marsilio Nardi, uomo facinoroso non meno che facoltoso, avendo seguito nel paese per la molteplicità anco de parenti, unito con messer Ugo _ suo compatriota, avendo inteso che Salem ebreo, degente nel ghetto di questo castello, per timor di sacco del Duca Valentino teneva trangugiati molti danari ed oro acciò non li fossero tolti, lo presero assieme e lo uccisero, nulla temendo dalli paesani. Ma ciò non ostante sentendo titubare, si presero la fuga verso Castel Guelfo nel qual territorio, essendo alla guardia de suoi formenti Egesio Cezari, volendo sgravarsi, fu veduto dal Nardi il quale, credendo che le facesse la posta, lo assalì e segatali la gola le tagliò anco le pudende. Il Bentivoglio che amava teneramente il Nardi col suo compagno Ugo dissimulò tai fatti, anziché li compativa onde per ciò molti mali si facevano in grazia di questa protezione.
Mentre queste cose seguivano in questa provincia li Malvezzi, Marescotti ed altri nobili banditi dalla città e stato non che privati de loro beni, li quali si trovavano in Roma cari al Papa non mancarono, nell’odio delle ingiurie passate, procurarne la vendetta.
Giulio secondo, che era stato a Bologna e che aveva, nel tempo che era vescovo, sperimentato Giovanni Bentivoglio, il quale voleva a suo talento il totale governo della città, il vivere licenzioso de suoi figli a quali non poteva far fronte il Legato, cose tutte che iritavano l’animo del Papa per isvelare un tal pregiudicio, tanto più che Giovanni Lomellino Legato aveva per ciò abbandonato la legazione coll’avere sostituito Altobello Avenoldi di Brisighella per suo locotenente col consenso pontificio. Per ciò il med. Pontefice rivocò Altobello e dichiarò Legato Nicolò Lomellini parente dell’accenato Gio. Lomellino per vedere se collo spirito e maniere di questo si ponessero in sesto li Bentivogli.
Quindi giunto l’anno 1506 li 15 genaro venne a Bologna accolto umanamente da tutti eccetto che da Bentivogli (…….), onde prosseguendo questi la carriera di prima non poterono a meno di non incontrare il Legato. Esso per tanto, continuamente congiunto con Carlo Malvezzi e Sebastiano Agochia, instigarono tanto il Papa che citò a Roma Giovanni co’ suoi figli.
Eglino disprezzando la chiamata del Papa a persuasiva di Ginevra moglie del med. Giovanni, fu motivo che il Papa deliberò venire a Bologna e restituire il governo alla Chiesa. Fece perciò il Papa apparato di gente, lo stesso fece il Bentivoglio. Ma, col favore di Giorgio d’Ambrosio francese cardinale, dal di cui arbitrio dipendeva il Regno della Francia, procurò soccorso al Papa da Lodovico XXII il Re, quale subito ordinò a Carlo di Ciamonte suo locotenente in Italia che incaminar si dovesse con tutto l’esercito, che si trovava nello stato di Milano, alla volta di Bologna a piaceri del pontefice.
Ciò saputosi dal Bentivoglio fece pubblicare la grida, come il Re di Francia veniva per il Papa a danni de bolognesi per colegarsi colla truppa pontificia che venivano di Roma. Confortò il Bentivoglio tutti li ministri del governo a sostenere intrepidamente il loro ministero.
Vittorio Gessi fu deputato in Vicario di Castel S. Pietro per il secondo semestre e tostamente ne investì la carica.
Non per questo si fidò il Bentivoglio anziché mandò a tutte le castella i di lui figli ad animare li abitanti a stare forti per la libertà. A Castel S. Pietro venne Ernesto Bentivoglio in aria, accompagnato da Carlo Bianchi ove lo lasciò per commissario, quindi chiamato il popolo alla piazza parlò a paesani in simil guisa: Non vi spaventi genti di Castel S. Pietro la grandezza delle miserie fresche e delle nove calamità. Non vi perdete d’animo per li passati danni ricevuti dal nemico. Se misurate la falicità de loro sucessi colle vostre vittorie in più volte riportate, sono persuaso che in questa volta ne darete eguale prova del vostro valore. A bon conto nulla vi manca di provigione. Bologna non è lontana e se pure nulla avete perduto potrete ora rifarvi sopra un nemico facoltoso. La comune salvezza vi sia di stimolo alla vittoria, onde io sono ben certo che oltre la gloria ne riporterete dal Senato il dovuto compenso. Terminato il suo breve discorso promisero tutti stare saldi fino allo spargimento del sangue sicuri di riportarne una condegna retribuzione.
Mentre si trattavano queste cose il Senato mandò a Roma Ser Jacomo del Pambaro per intendere il sentimento del Papa verso la città. Rispose il Papa che voleva Bologna in proprie mani e voleva remediare al mal vivere di quella ancorchè fosse stato sicuro perdere mitra e Papato.
Ritrovossi l’ambasciatore mal soddisfatto e riferì il tutto al Senato ed al Bentivoglio. Questi inarito più che mai contro li aderenti della Chiesa e favoriti dal Papa, oltre fare diligenti guardie per non essere colto con trattato, cercava ogni giorno offendere quelli che aveva in sospetto in tutte le maniere.
Perciò alli 30 settembre fu preso un familio di Bernardino Gozadini affezionato al Papa dal quale era stato cumulato di privilegi infiniti e col pretesto che portasse lettere di Giovanni Gozadino al Papa contro lo stato di Bologna fu fatto ammazzare. Il Gozadino che il di lui familio preso a Castel S. Pietro era stato ammazzato per ordine bentivolesco, temendo che simil caso potesse accadere a lui volle fuggire di città. Montato a cavallo, levatosi rumore dietro le accade la sospettata disaventura, fu atterrato da cavallo, le fu segata la gola e cavati lo ochi. Furono mandati li di lui panni tagliati insanguinati in una sporta alla di lui infelice moglie.
Una tale barbarie unita alle altre che giornalmente si comettevano senza pena sollecitò il viaggio del Papa a Bologna. passata la marca e giunto a S. Arcangelo sul principio di ottobre mandò Antonio Dalmonte di Reggio d. Toscana, auditore di camera, al Senato di Bologna a farle intendere che il Papa veniva a Bologna come a casa sua perciò si disponessero a riceverlo come padrone, simile ambasciata fu passata al Bentivoglio e l’uno e l’altro risposero all’ambasciatore che se voleva venire venisse ma senza truppa. Replicò l’Auditore che tali leggi non riceveva chi comandava, poi se ne tornò a riferirlo al Papa quale, intesa la baldanza bentivolesca, avvanzò il viaggio nella Romagna ove giunto in Forlì spedì l’Interdetto al Senato, Città e contado.
Pervenuto l’Interdetto al Senato ed al Bentivoglio, fu ordinato a tutta la truppa mettersi in diffesa, molto più perché il Papa aveva fatto suo generale il Marchese di Mantova e gli aveva imposto che venisse a danni di Bologna avendo di già preso Castel bolognese e Casalfiumanese, quindi venuto ad Imola per avvanzarsi passò il dì 11 ottobre sopra Castel Guelfo, Medicina ed il dì 12 d. venne a Castel S. Pietro predando bestiami ed altro, ritirando il tutto a Imola con fintezza di non far altro per allora. Ma la notte seguente il med. Duca alle ore 4 di notte si approssimò al Castello, chiese a Carlo Bianchi comissario la resa. Negò questi francamente dargliela anzi essere prontisssimo alla diffesa della terra e perché la notte non favoriva per la sua mediocre oscurità furono accese molte fascine alli capi strada del Borgo e superiormente al Castello in guisa che si poteva vedere come a chiaro giorno. In egual maniera operavano li terazzani.
Approssimato il nemico al Castello, cominciò a battere la porta maggiore, ma bene chiusa internamente coll’avere apposti legni, terra e materiali non si potette imediatamente avere l’ingresso ma apostovi il foco, dopo avere preso il Cassare, si sforzava la truppa averne l’ingresso. La ressistenza che fecero li paesani non era valorosa coli presidi, ciò non ostante si durò per bona pezza a battere l’ingresso.
Finalmente edotosi a non potere più ressistere il comissario Bianchi cedette l’ingresso al nemico salva robba e persona. Militarono strenuamente entro il Castello per le parte bentivolesca più di ogni altro, secondo ci lasciò scritto il P. Vanti, Ercolessi Bruni, Rondone Rondoni, Eliseo Barbieri, Guidotto Zachiroli, Ferro de Fabbri, Cavazzino Cavazza, Sprone Chiari e Nanne Martelli che dalle ore 4 ½ fino alle sette della stessa notte seguì un fiero assalto.
Avuta la notizia il Senato ed il Bentivoglio che il Duca di Mantova era a Castel S. Pietro con forte esercito e che li pressidi e terrazzani diffendevano valorosamente la terra e le roche ordinò tutta la trupa e la mattina delli 13 mandò tostamente in soccorso alla volta di Castel S. Pietro sotto la condotta di Ermeste Bentivoglio trecento cavalleggieri e trecento fanti ben guarniti. Avevano questi divisa bianca e gialla con bellissimo stendardo su cui eravi ricamata la Impresa inventata dallo stesso Ermeste, cioè una vespa sopra una testudine col motto sopra: Non penetrat, ma quando fu ad Idice intese come sull’ore 7 della notte antecedente il Duca di Mantova avendo dato l’assalto a Castel S. Pietro, doppo gagliarda ressistenza era convenuto alli pressidi cedere con perdita però di soli 50 balestrieri che ritornossi alla città. Nella truppa del Duca poi vi si assoldarono alquanti di Castel S. Pietro che sarano poi dopo banditi capitali come sospetti dello stato, indi segnati nella nota de fuorusciti cioè Marsilio Nardi, Bartolomeo dei Scrigni, Ugo di messer Ugo e Cavazzino Cavazza.
Adì 20 ottobre in giovedì il Papa entrò in Imola accompagnato da XX cardinali col resto dell’esercito condotto dal Marchese Colonna di dove pubblicò la scomunica ed interdetto alle chiese della città e contado di Bologna, poscia per usare di sua benignità Carlo Ciamonte generale de francesi spedì un araldo di Lodovico Re di Francia a Bologna in compagnia di un esecutore di Camera. Arrivato l’araldo alle mura della città fece sapere al Bentivoglio per parte del suo Re come la sua corona era obbligata con giuramento alla diffesa di S. Chiesa contro chi fosse, che però non si meravigliasse se questa volta le mancava di protezione, anziché per parte del suo sovrano l’ammoniva domettere quello che con iscorno perder poteva e meglio era conservarsi nobile in patria che valicare un mare di miserie e restare a mani vote, essendo ommai l’armi superflue a sua diffesa. Ciò fattosi dall’araldo. l’esecutore affissò l’interdetto a vista de tutti e così se ne ritornarono al Papa. A tutti li castelli presi fu fatta simile affissione onde restarono interdetti li divini offici e chiuse le chiese. Ciò produsse nel popolo spavento e ramarico. Il giorno 31 il Marchese di Mantova, capitano delle genti del Papa venne a Castel S. Pietro e fu tostamente preso senza ostacolo, indi passò una banda di soldati a Liano ove, sentita la presa di Castel S. Pietro, li lianesi appersero le porte ai Papalini.
Il Bentivoglio vedendosi alle strette ed abbandonato da quella corona in cui aveva posto tutte le sue speranze, il dì primo novembre festa di ogni santi, per evitare anco una comuzione di popolo per essere privo de divini offici e chiuse le chiese, la notte seguente fra le ore 9 e 10 con tutta la sua familia e 400 cavalli uscì di Bologna lasciando al Papa il libero dominio di quella.
Pubblicatasi il dì seguente la partenza del Bentivoglio, l’umore de bolognesi che li sollecitava alla tranquillità della patria, li comosse mandare ambasciatori al Papa loro principe non solo per riconoscimento di lora sommessione ma anco per averne il perdono ed assoluzione dalle censure. Furono per ciò spediti Francesco Aldrovandi ed Angiolo Ranuzzi, cavalieri di somma confidenza del popolo, quali portatasi ad Imola al Papa li accolse con paterno amore e subito spedì a Bologna Galeotto Franciotti dalla Rovere suo nipote cardinale e Giorgio d’Ambosia da quali furono levate le censure ed assoluti e nel dì 4 novembre furono aperte le chiese della città e territorio. Liberata Bologna e territorio il dì 11 novembre sopra una sedia susseguito da molti principi e XXII cardinali fra quali eravi Gio. Stefano Ferreri vescovo della diocesi bolognese. Arrivato alla nostra confina di Castel S. Pietro ritrò ivi una turba grande de nostri villani li quali in due ale disposti tenendo rami di olivo in mano gridavano ad alta voce: Viva il Papa, Viva la S. Sede.
Pervenuto al Borgo ebbe simile incontro da due spalliere di relligiosi cioè il paroco col suo clero ed agostiniani d. di S. Bartolomeo a cui seguendo la pubblica rapresentanza genuflessa ricevette la Papale benedizione. Vi seguì un alto schiamazzo di evviva e di battimani. Giunto alla chiesa dell’Annunziata rivolgendosi colla sedia alla porta del Castello lo benedì colla mano e diede l’assoluzione dall’Interdetto, seguì a questo fatto un novo clamore di eviva. Nel Castello entrò monsign. Zabarella ove offertole le chiavi della Roca grande dal castellano, egli toccatele le restituì tostamente e se ne ritornò al Papa che prosseguiva il viaggio a Bologna.
Quando il Papa fu passata la metà del viaggio da Castel S. Pietro a Bologna, cominciò una dirotta pioggia che accompagnollo fino alla città. Fermossi alli Scalzi ed il dì 18 d. fece solennemente il suo ingresso. Ordinò che il Senato non fosse più composto di sedici, denominati Rifformatori, ma di quaranta. Esso li nominò tutti a vita e decretò che non potessero concludere cosa senza il Legato. Poi il dì successivo fu fatto giurare fedeltà in forma solenne alla città e contado. E come che il contado era composto di diverse sezioni, territori e castella per le medesime promisero, come riferisce la Cron. di Forlì, Dandolo Calderini e Nicolò Simoni. Sucessivamente, perché nella città ne luoghi principali della med. vi erano stemi ed arme gentilizie del Bentivoglio e così pure nelle principali castella, ordinò il Papa mediante editto li 3 decembre che ciascun luogo abolisse e levasse via tali arme e stemi sotto pena di scudi X d’oro per ogni e ciascuna arma..
La comunità di Castel S. Pietro che l’aveva nel prospetto inferiore della porta maggiore del Castello esternamente alla Roca picola tosto fu levata et in di lei luogo fu sostituita quella di Giulio secondo rapresentante una rovere, la quale al presente anco si vede in macigno incisa,benché corosa dal tempo.
Li 24 decembre li partitanti bentivoleschi, che per anco non se erano volsuti sottomettere furono per ciò questi d. confinati cinquanta miglia lontani di Bologna. Fra questi vi erano, al riferire del P. Vanti, Teseo Barbieri, Nane Tampolini, Sante Ghirardacci ed altri con Marsiglio Nardi che come uno de capi fu nominato nell’elenco de banditi.
Giunto l’anno 1507, a motivo che nello scorso anno non si era radunato il Governo per formare i novi officiali e ministeri dell’entrante anno, il Papa, che bramava sistemare il tutto, ordinò che si procedesse all’estrazione delli Uffici Utili della città e contado, quindi il giorno secondo di genaro alla di lui presenza si fece l’estrazione delle podestarie.
A chi sortisse la nostra di Castel S. Pietro non ci è riescito iscoprirlo a fronte di diligenza molta. Bensì sappiamo che li 16 del corrente genaro il Papa per suo Breve deputò in castellano della Roca di Castel S. Pietro Carlo Prati (arch. segr. sen. lib 13. +. N. 16). Prosseguendo li Podestà estratti lo stile delli antecessori andarono il giorno 3 genaro a prendere la bandiera del loro officio e ciascuno partì con essa alla ressidenza del suo officio.
Essendo stato eletto per Breve pontificio Carlo Prati in castellano della Roca di Castel S. Pietro il giorno 16 genaro, non comprendiamo come nel dì 19 dello stesso potesse il novo Senato per partito deputare a questo ministero lo stesso Prati qundo che dal Sovrano tre giorni prima era stato abilitato, come nel Lib. Partitor. T. V. Carati fol 167 di questo tenore: 1507. 19 Januari. Reformatores constituerunt et deputaverunt spectabilem et clarum equib. D. Carolum Pratum castellanum Roche Castri S. Petri Comitatus Bononie ad beneplacitum prout et quemadmodum potuit ipse D. Carolus et quia ipse D. Carolus propter multus et varius ocupationes ipsum Officium personaliter exercere non poterit sostituerit eius loco ad custodiam ipsius Roche, Jo. Antonium Galassi Bonon. civ. qui pro ipso D. Carolo exerceat officium castellanatus cum hoc quod fidejubeat juxta ordinationem d. roche pro quanta pecunia debeta et consueta de ipsa Rocha custodienda cum huis conditionibus et de ipsa conservanda et debito tempore restituenda.
Oltre ciò due enigmi vi sono l’uno è del petiit cioè adomandò e l’altro del rifiuto propter occupationes e finalmente della sostituzione. Quanto alla sostituzione per che fu poi sanata dal Papa novo sovrano la intendiamo, ma quanto alla petizione della carica e colazione dal Senato posteriormente alla confezione del Breve non si intende. Li monumenti su acennati sono autentici nè si può dubitare della loro realità nell’amanuense onde lasciamo al lettore lo scioglimento di questo nodo.
Li 12 genaro essendo anco il Papa in Bologna fece pubblicare alla ringhiera del Podestà un Breve come, avendo altre volte notificato a quelli che avevano seguitata la parte bentivolesca che dovessero ritornare in patria, che li saria perdonato e chi fosse stato ostinato li dichiarava ribelli di S. Chiesa e confiscazione de beni. Perciò furono nello stesso breve nominati li principali fazionari al N. di 80, fra questi eravi Marsilio Nardi di Castel S. Pietro e li filioli di Ramazzotto con altri suoi coleghi di Castel S. Pietro. Il d. Nardi, che fu micidiale al servigio bentivolesco, per le sue peripezzie fu poi confinato in Tossignano.
Prima di partire il Papa, siccome aveva eletto p. Breve castellano della roca di Castel S. Pietro Carlo Prati ed aveva questi fatto consapevole il med. Papa della sua sostituzione con Gio. Antonio Galassi, che ne prestò il suo sovrano assenso, perciò li 22 genaro il med. Galassi vicecastellano ne diede la sigurtà per esso Francesco Conti, come ne appare da pubb. Rog. di Andrea Garisendi (arch. senat. +. Lib. 33. N. 16 il secondo).
Il med Pontefice poi avendo al di lui ingresso in Bologna levati molti Dazi e fra questi quello delle moline, per cui accadevano nel contado infinite spese ed estorsioni, così lo riddusse in Contracambio delle Macine e si tassava soldi 28 per ogni bocca di quelli che compiti avevano gli anni sette e che non passavano li 70, tanto maschi che femine eccetto li gargioni, il Papa lo riddusse a soldi 21 per bocca, la qual gravezza fu poi anco abbolita e furono gravati ancora li bovi e vache a ragione di l. 6: 10 per ogni paro vache e soldi 12 ogni bocca di brazzanti, eccetto quelli che non arrivavano alli anni 10.
Vergato e Roncastaldo restarono solo esenti come si legge nel Breve che noi uniamo ad altri monumenti in data delli 17 febraro 1507.
Li 22 dello stesso febbrajo dopo avere sistemato le cose di Bologna, se ne partì alla volta di Roma accompagnato fino a Castel S. Pietro da Antonio Dalla Rovere cardinale Legato nipote del med. Papa che se ne ritornò addietro.
Bernardo e Giovanni di Carlo Muzzo comprarono terreni dalli uomini di Castel S. Pietro in vicinanza del fiume
Selaro ove vi edificarono una fabbrica di tentoraria da panni, lane e tele. Questa è la prima officina da colorar manifature che fu eretta nel nostro Castello dove li discendenti Mazza hanno sempre esercitata tall’arte fino alla fine del venturo secolo, come abbiamo da instrumenti, il qual edificio ampliato poi passò in mano di Girolamo Dalle Vache con altri aggiacenti tereni, che ora si possedono dal cittad. di Bologna Giampietro Zanoni per la eredità Vachi come a suo loco esporremo. Appare la vendita sud. al Lib. Z. fol 214 archiv. pubblico.
Secondo le memorie che tengo in casa d’onde poi, d’allora a questa parte, la mia casa viene volgarmente denominata de Cavazzini dal popolo, confondendo il cognomento dal nome di quell’ascendente, conforme trovasi anco nella prima vachetta Babtizator. in pecorina nell’archivio di questa chiesa arcipretale del 1566.
Essendo stato estratto per vicario o sia Podestà di Castel S. Pietro per l’entrante anno 1508 Claudio Achilini, attesa la di lui decrepitezza, li novi Rifformatori del governo sostituirono nell’oficio il di lui filio Giovanni, come abbiamo al T. V partitorum del cav. Carati fol. 226, nel seguente modo: 1508. 5 genaro. In luogo di Claudio Achillini estratto all’officio di Vicario di Castel S. Pietro per li primi sei mesi del 1508 li Rifformatori sostituirono Giovanni suo filio ob illius decrepitam etatem.
Sedati li tumulti in Bologna avendola lasciata il Papa in pace, non andò guari che seguitarono nove sedizioni e quindi li Marsigli ed altri suoi aderenti vedendo di mal’ochio li Marescotti, perchè aderenti al legato, fu motivo che quasti si guardassero, onde nel dì 5 fecero armata e li Marsigli, Pepoli ed altri fecero lo stesso. Ciò penetratosi dal governatore precettò l’una e l’altra parte a non partirsi di casa, ma Ercole Marescotti con due figli, lasciatine sei in Bologna partì per Roma. Erano li Marescotti li più valenti e bei uomini della città.
Per tale partenza Gio. Galeazzo e Gio. Francesco Preti uniti ai Pepoli, Felicini, Fantuzzi, Pianesi, Chiari, Bazani, Martelli e Malvasia si armarono in N. di 200 et andati a casa Marescotti vi posero il foco, non potendo avere nelle mani alcuno di quelli, rubbando tutto quello che potettero, poi andarono alla porta di S. Mamolo et ivi si fecero forti eleggendo per loro capitano Gaspare Scappi uomo animoso e valente, ad essi si arolarono molte altre familie, le quali avevano introdotto in città uomini valenti e facinorosi.
Il Governatore veduto un tale scompilio procurò ogni mezzo per che dimettessero le armi alla fine, perchè li solevati volevano cacciare li Marescotti, capitolarono col governatore e cioè: che loro fosse perdonato , che li Marescotti tutti fra tre giorni fossero mandati fuori di città e che le case loro fossero lasciate ruinare fino all’ultima pietra. Tutto fu accordato e la città si ricompose.
In questo fatto si erano mischiati Galeazzo Serpa e Giacomo Campana da Castel S. Pietro, li quali non volendosi prestare e titubando contro il Legato, furono banditi per ribelli, d’onde partiti dal bolognese si assoldarono co’ veneziani nella guerra contro li tedeschi sotto la condotta del Conte Ugo Pepoli capitano di fanteria. In seguito di che li 20 genaro furono cacciati li Marescotti ed accompagnati da 100 balestrieri del sig. Lodovico da Carpi, Alberto Castelli ed Antonio Fantuzzi fino a Castel S. Pietro ove ricevuti da questa guardia e pressidi furono accompagnati fino ad Imola.
Attesa la nova imposizione de bovi fatta da Giulio II, venne a Castel S. Pietro il dott. Giovanni Campeggi per l’esazione di l. 200 tassate. Il Papa intanto che aveva avuta nova di tale sedizione e molto più perchè dubitava volersi con essa rimettere in Bologna li Bentivogli, spedì tosto a Castel S. Pietro Ramazzotto con 400 fanti e dichiarò Legato di Bologna Francesco Alidosio imolese detto il Card. di S. Cecilia con amplissima autorità pontificia. Da questo tempo vedendosi poco sicuri in Castel S. Pietro fratelli Riniero e Nicola Ranieri figli del fu Giovanni per le fazioni che sembravano volere ripullulare, chiesero di essere fatti cittadini di Bologna.
Il novo Senato nel dì 5 giugno ne segnò il decreto come abbiamo nel Lib. V de Partiti Carati fol. 246: Creaverunt Cives Civitat. Bononie Rinierum et Nucolaum frat. et fil. olim Jo de Raineriis de Castro S. Petri, qui cum eorum familiis se contulerunt ad habitandum in civit. Bononie. Da questi fratelli venne la discendenza di Valerio Rinieri che fu scrittore accreditato dalli uomini illustri di Bologna di cui ne parla anco il Fantuzzi al suo articolo.
Il giorno 8 di questo stesso mese il novo Legato pontificio di Bologna passò da Castel S. Pietro ed andò immediatamente a Bologna al di cui ingresso fu fatto non meno onore che fosse stato il Papa. Appena giunto chiamò il Senato e li propose che si trovasse il modo di rifare la casa de Marescotti, ma perché vi furono varie opinioni niente si risolvette. Il Legato per ciò fece in appresso carcerare molti padri e fratelli de congiurati contro li Marescotti. Spiaque tal fatto a molti e però si eccitò novo desio di introdurre li Bentivogli in alcune familie nobili, ma scopertosi il trattato fuggirono alcuni de novi congiurati e perchè la Rocca di Castel S. Pietro non era stata mai ben guardata come al tempo della castellania di Carlo Prati, così li Rifformatori il giorno 10 lulio lo elessero novamente in castellano per un triennio da incominciarsi il dì primo lulio.
Li Bonfiglioli, li quali erano stati notiziati di quanto era seguito, loro fu dappoi fatto cenno di accostarsi alla città velocemente. vennero perciò li 16 agosto fra il mirandolano e il mantovano con molta gente affine di intromettersi in città ed avendo alcuni di loro passata una certa aqua, non sapendo essere stato scoperto il loro trattato, furono assaliti dal Duca della Mirandola, col quale avendo combatuto bona pezza di tempo,convenne a bentivoleschi soccombere. Il Moacino da Bologna, che era il primo capitano a piedi di tutta l’Italia, bravo pure in questa battaglia, ove valorosamente si combatette Andrea Campana da Castel S. Pietro con Tadeo Vighi da Medicina, ma la mala sorte volle che restassero prigioni entrambi con Guido Bargellini e Nicolò da Bazano, che aveva condotto più volte 500 fanti. Furono li sudd. con altri al N. di dieciotto fatti prigioni, de mirandolani molti restarono feriti.
Una tal nova fu subito riferita a Bologna su le ore 22 italiane per cui si fece gran festa, molto più perchè tutti li sud. prigioni erano li piu’ bravi che avessero li Bentivogli e forse anco in tutta l’Italia. Li 27 d. furono menati a Bologna per porta S. Felice ove fuvi tanto popolo quanto che se fosse stato il Papa. Erano l’un l’altro a cavallo legati senza sella, furono condotti poi attorno alla piazza indi alle carceri et al dì 30 fra le ore 14 e 15 italiane furono appicati ad un par di forche quadrate in piazza. Questa perdita de Bentivogli le fu di gran danno perchè perdette anco il Marchese di Mantova, che le dava 700 cavalli leggeri.
Nel giorno 2 ottobre poi Francesco Maria Dalla Rovere, Duca d’Urbino nipote del Papa, venendo a Bologna fu incontrato Castel S. Pietro da molta nobiltà e dal Legato col quale passò poi alla città.
Li 14 ottobre si spiegò una Bolla pontificia che dichiarava scomunicati Principi, Marchesi, Comunità e territori e chiunque dava ricetto a Bentivogli. Essendo poi stampata fu fatta l’affissione in Castel S. Pietro il giorno di ogni santi alla chiesa parochiale.
Fu contemporaneamente pubblicata una grida emana li 22 corente ottobre d’ordine papale che tutti li contadini del contado venivanosgravati di sgravezza dalle lire 10 in giù, vale a dire a meno. Essendo molto odiato il cardinale Legato per la sua crudeltà fu improvvisamente chiamato a Roma onde nel seguente novembre passò a Castel S. Pietro ocultamente e d’indi passò alla Romagna lasciando al governo della città Angiolo Leonini.
Li uomini della comunità di Castel S. Pietro, avendo sofferto danni e spese ne tempi addietro a motivo della guerra, ricorsero al Senato affine di averne il ristoro, ascoltò il medesimo la giusta querela e perciò, comiserando la situazione di questo popolo, decretò nel dì 4 novembre che in avvenire per il corso di X anni fosseroesentati col loro Comune delle tasse solite a pagarsi per li cavallegieri che per conto del Papa venivano spesati in Bologna e la loro tassa fosse ripartita alle altre comunità conforme fosse sembrato al Conte Ercole Bentivoglio e Cavalier Giacomo Dall’Armi con Albero Albergati, a quali pure fu concessa la facoltà di tassare le spese sofferte per avere ospitato il Legato, da distribuirsi e ripartirsi tali spese alle altre comunità sogete a Castel S. Pietro, ne appare ciò dal seguente partito estratto dal Cav. Carati: Die 4 novembris. Item cum proximis temporibus Comune et Homines Castri S. Petri Civitat. Bononie decursis oneribus gravaminibus et expensis vexati fuerint, atque ideo compatiendum liti iesdem per 26, fabas albas et tres nigras obstantum fuit quod ipsi Comune et homines sublevantur pro annis X ab onere solvent taxas equorum armigerorum S.S. D. N. et hujus Comuni sovete fuerunt distribuantur et asignentur aliis Comunibus prout videbitur spectabili Viro D. Herculi de Bentivolis, Jacobo de Armis et Alberto de Albergatis, quibus aucthoritatem omnimodum supe hoc dederunt cogendi alia Comunia in illis partibus ad conferens expens. fact. Re.mo Card. Legato in hoc suo discessu quam in ipso Castro s. petri hospitatus est, que tamen expense prius per predictos assumptes modificari et taxari debeant.
Nell’anno seguente 1509 abbiamo poco da narrare perché le cronache e carte delli archivi non soministrano a noi materia che scarsa e pure ciò che abbiamo al nostro raccolto confacente lo riferiremo.
Li 29 giugno festa di S. Pietro venne una così forte pioggia che non potendola capire li condotti allagò le vicine campagne. Il rio della Scania, quello de Ghiraldi, la via del Cariolo e via Viara nel nostro comune di Castel S. Pietro furono tutte allagate ed abbassate le sciepi di confina. Il torente Silaro gonfiando più di ogni altro sormontò le sponde e si fece presso al ponte una valle.
Li 25 agosto Bertonio filio del notaio Ser Pier Antonio dalla Muzza di Castel S. Pietro fu assoluto dal Podestà di Bologna colla paga della multa di l. 200 per ferite date a Maestro Rondone del med. Castello. Rissulta ciò dalli atti della camera in questi termini: 1509 25 agosto sabato. Per D. Potestatem Bononie Bertonium fil. Ser Petri Antoni dalla Muzza de C. S. Petri banit. in l. 200 ob duo vulnera illata in personam Magistri Rondoni, habent pacem, remiserunt T. 6 Partit. Carati fol. 21.
Li uomini ed università di Castel S. Pietro avendo patito molto ne bestiami a causa della guerra passata, ricorsero al Senato per averne un qualche ristoro, ascoltò il med. la petizione e ne segnò la grazia in questi termini per Sen. Consul.: 1509. 7 novembris, Mercuri. Attentis gravibus jacturis et damnis diversimodo suportatis temporibus retroactis per Homines et Comune Castri S. Petri et per XXVI fabas albas at tres nigras ipsos et Comune examerunt ab onere impositionis et taxe bobum et vaccarum presenti et futuro tempore sex annorum proxime futur. incohans in Kal. mensis januari prox venturi, quibus sex annis durantibus tantumodo solvere teneantur Camere Bononie ratione dicte impositionis tam pro bobus quam pro personis illam ratam, quam solvendam ceteri inexempti teneatur at obbligati sunt, contrariis non obstantibus. T. 6 Partit. Carati fol. 26.
Dalli atti giudiciali della podestaria del nostro Castello ritroviamo che fu Carlo Zambeccari estratto Podestà p sia Vicario per il primo semestre 1510, cominciò il giorno 8 genaro ad esercitare il suo ministero. Chi fosse il capo della pubblica Rappresentanza è per anco ignoto per mancanza di atti pubblici.
La compagnia di S. Cattarina che officiava nella sua Capella presso la parochia, affine di non frastornare le funzioni di questa, supplicò il Card. Giovanni Stefano Ferario vescovo onde le desse facoltò di eriggere in alcune sue case un oratorio ove recitare li divini offici e celebrare il Sagrificio. Il vescovo aderì alla instanza salvo l’assenso del paroco e diritti parochiali come ne appare da documento segnato li 16 febraro nelli atti e rog. di Ser Isidoro Cancellieri e not. vescovile. Aveva questa compagnia oltre li stabili rurali anco due ospitali nell’abitato di questo paese, cioè uno nel Borgo per li secolari viandanti e l’altro entro il Castello per li preti, come rilevasi nell’archivio della med..
Siccome poi il mercato si faceva nel Borgo di questo castello nella via romana ove alle volte accadevano tumulti ed il Castello declinava di abitatori e di fabbricati, la Comunità perciò fece instanza al Senato acciò il mercato venisse trasportato entro il Castello. A questo ricorso il Reggimento aderì prontamente e ne improntò il seguente decreto:

  1. 13 maggio. Primo justis causis nobis potissimum ut infra Castrum S. Petri conservatur et manuteneatur ac etiam augeatur per XXV fabeas albas et unam nigram concesserunt Massario Comunis et Hominibus d. castri ut Mercatum quod qualibet die Lune cujuslibet soptimane fierit solet in Burgo at via publica extra et prope d. castrum, de cetero in futuro spatio et tempore anno X proxime futurum et ulta ab Beneplacitum fiat et celebratur intra Castrum predictum cun exemptionibus, privilegiis et imunitatibus consuetis et juxta formam et tenorem eorum suplicationis, hac tamen conditione quod cum ipsum Castrum unam tantum Portam habeat, d. Homines et commune expensis coram comunitatis alteram in muris ipsius Castri et a lateri dessuper edificare et aparire debeant illamque cum clausuris et fulturis ligneis et foveis, hostiis et pontibus et aliis necessariis arbitrio boni viri fulcitam, et bene custoditam custodiis narriis mantenere et conservare teneantur ad Boneplacitum D. D. Presidentioum Regimini Civitatis Bononie.
    Ma perché non bastava questo decreto fatto dal Senato se non era approvato dal Legato in conformità delle sanzioni papali, la Comunità per sanare qualunque difetto sì di ragione che di fatto ricorse con supplica al med . Legato per la sua approvazione, onde perciò esso ne formò un Decreto in data dello stesso giorno 23 maggio 1510, che trovasi registrato nel Arch. Pub. di Bologna Lib. Paulina f. 34 per Bernardo Fasani in Not.. Nell’archivio manicipale conservasi pure l’autentica fra li altri documenti del paese. Si enunzia in esso la facoltà e si conferma il diritto comunitativo di pesare, misurare le merci che intervegono al mercato e le altre esenzioni acordate nell’anno 1411 alla università di Castel S. Pietro.
    Chi fosse il Podestà di questo secondo semestre ci manca non solo la notizia ma ancora li atti giudiciali, pensiamo però che ciò proceda per le rivolte nella città sino al 1516 in cui fu il Podestà per il P. S. Marco di Sebastiano Albergati come dalli atti giudiciali nell’archivio della Giusdicenza del paese.
    Il Papa che pure voleva cacciare d’Italia il Re di Francia, avendo assoldato nove genti e raccolto nella Romagna, ne fece ivi la massa. poi li 19 agosto passarono 400 spagnoli nel bolognese e nel passare da Castel Guelfo e Castel S. Pietro fecero non meno male che se fossero stati nemici. Indi fecero sapere a bolognesi che voleva venire a Bologna e perciò nel giorno 10 settembre mandò una Grida che ognuno polisse ed accomodasse le vie perché il Papa era a Loreto e veniva a Bologna, come di fatti accadde poiché essendo stato ad Imola il dì 21 nel seguente giorno 22 settembre passò a Castel S. Pietro ove fu incontrato da Gozadini e Ghisilieri che in nome pubblico le presentarono ossequio. Sedeva il Papa sopra una sedia bellissima col triregno in capo accompagnato da XX cardinali e VI ambasciatori delle potenze imperiali.
    Li 15 ottobre si pubblicò la morte del card. Gio. Stefano Ferrario di Vercelli vescovo di Bologna. Intanto il Papa essendo in Bologna e sentendo li Bentivogli e suoi aleati ritrovarsi a Spilimberto, chiamò a se alcune truppe che erano nella Romagna. Quindi Messer Gentile Sassatelli imolese passò tostamente al nostro Castello con 600 fanti che poi andarono a Bologna ad unirsi alli altri per rigettare li bentivoleschi che si erano innoltrati ed avevano co’ francesi aperto il contado a Castelfranco. Li 19 novembre il Duca di Armes venendo da Massimiliano in soccorso del Papa per andare nella Romagna con 400 uomini d’arme, non ostante che fosse al soldo pontificio danneggiò li contorni di Castel S. Pietro come se nemico. La vigilia di Natale di N.S.G.C. andò una grida del Papa che aveva egli dato molte esenzioni a bolognesi, suo contado e castella a petizione del Confaloniere e Massari dell’Arti che fosse perpetua, sotto diverse classi fra le altre:
    I – Che tutti li Comitatini fossero liberati da tutte quelle spese che solevano pagare a soldati.
    II – Che l’imposta de buoi a contadini fosse permutata in altre gravezze come fosse piacciuto a collegi di Bologna senza però danno della Camera.
    III – Che le cause civili e criminali si facessero da Giudici ordinari, mentre prima si facevano dal Senato, dovendosi osservare li Statuti della città.
    IV – Che li deputati alla custodia delle fortezze non durassero più che un anno, mentre per l’addietro vi stavano a piacimento, e che li custodi fossero bolognesi e non forestieri.
    Giunto l’anno 1511 al principio di genaro il Papa partì di Bologna per la volta della Mirandola ed il giorno 5 genaro venne una neve all’altezza di tre piedi per la quale, non potendo aggire le truppe pontificie, il Papa se ne ritornò ben presto a Bologna. Ciò seguito molti ricorsi e supliche andarono al med. della città e contado. Angelo David di Tossignano, ebreo banchiere, che soggiornava in Castel S. Pietro, vedendosi in cattivo aspetto e timoroso che le convenzioni seguite fra esso e la Comunità non andassero a monte, stante la mutazione de tribunali pronunciata nelle Capitolazioni su indicate, ricorse al Papa per la conferma delle sue convenzioni di dare ad usura. Il Papa ascoltò la petizione ed anuì favorevolmente al giudeo, rissulta ciò dal Regesto N. 61 di Giulio secondo fol. 13 in fine dal reges. in questi termini dato in Bologna:
    7 januari Angelo David di Tauxiniano hebreo in Castro S. Petri Confirmatio Capitolorum. super feneratione. Dat. Bonon..
    Li 11 febraro doppo esser ritornato in Bologna, il Papa partì per Roma tenendo questa strada della Romagna e, per che la neve era alta, fu menato sopra una treggia o sia ilza di legno condotta da due para di bovi ben diffeso dall’aria. Giunto a Castel S. Pietro fermossi al Borgo ove rinovatosi il foco, che tenevasi avvanti in un recipiente di ferro per evitare il gran freddo, se ne andò ad Imola. Nella med. treggia vi erano due cardinali il di cui nome non ce lo segnano le cronache.
    Li 12 d. Alessandro Cavazza fece 500 fanti per il Papa per andare al Bondenno al campo della Chiesa, ma poi andò alla Mirandola. Da quest’altra parte li Bentivogli si avvanzavano perché avevano intelligenza entro la città. Vedendosi poco sicuri li uomini di Castel S. Pietro e chiuse le strade onde avere socorso da Bologna e dal Legato,
    spedirono al Papa, che trovavasi in Ravenna, Francesco Comelli, Christoforo Rinieri, Cesare Zoppi e Chelo di Galeotto Cheli, affinchè in tanta critica circostanza prevenisse le incursioni de nemici. Accolse il Papa li sudd. ed in seguito ordinò a Guido Vajna, che colla truppa trovavasi ai danni di Lugo si portasse alla diffesa del nostro Castello. Tanto eseguì e così scrisse: Dilectis filiis Universitati Hominum Castri S. Petri bononien. Diocesis. Dilecti fili salutem et Apostolicam Benedictionem, auditis oratoribus vestris, mandemus Guido Vajna aliisque equitibus nostris qui apud Lugi castrum sunt ut statem lectis nostris litteris illinc discedant et ad vestram deffenctionem veniat. Ab oratoribus vestris intelligetis quanto Amore et Charitate vos uti filios S. R. Eclesia prosequamer. Dat. Ravenne Idibus Marti MDXI. Pontificatus nostri anno octavo. —Sigismundus.
    Infratanto Annibale Bentivoglio con 1500 cavalli ed altrettanti fanti botttinava di là da Bologna nel territorio e venne fino alle porte della città, onde per ciò venne ordine che si stesse preparati coll’armi. Avuta tale notizia nova il Papa si sdegnò e determinò ritornare a Bologna. Alessandro Aldrovandi, comissario sopra Castel S. Pietro, che era ito alla montagna, sentita la venuta del Papa iminente, calò tostamente al nostro Castello.
    Li Bentivogli non si sbigottirono punto, anzi più coraggiosi divenuti per essere la città poco provista e colla intelligenza interna si accostarono ad essa e coll’aiuto de francesi, guidati da Giangiacomo Triulcio ebbero la porta di strada S. Felice. Il Legato ciò inteso alle ore 6 di notte fuggì a Castel S. Pietro accompagnato dalle genti del Duca di Urbino, di dove convogliato di 100 cavalli fu poi da Guido Vajna, di lui cognato, trasportato ad Imola. Sentitasi la fuga del Legato da bentivoleschi si inoltrarono ed inseguirono le genti del Papa fino a Castel S. Pietro e di qui fino alla Toscanella.
    Entrarono nella città 1402 bentivoleschi fra cittadini e comitatini, nel numero de quali, secondo scrivono le Cron. Bianchi : Cron. Calt. Imol. , vi erano Cavazzino Cavazza. Il Triulcio intanto che aveva inseguito le genti della chiesa fino ai confini della Romagna si fermò a Castel S. Pietro per avere poi li ordini dal suo monarca, che furono poi di ritornarsi addietro, come fece dopo avere ruinato tutto il contado.
    Avendo intanto il Papa radunate le sue genti e spedite nella Romagna vennero ad Imola, dove fatto l’ammasso, furono queste condotte da Marc’Antonio Colonna, Gio. Paolo Baglioni, Giovanni Sassatelli e Ramazzotto vennero tutte a Castel S. Pietro di dove partendo andarono fino ad Idice predando ciò che le dava alle mani e quivi posero il campo il giorno 15 lulio, ma poco ve lo tenero aspettando ivi a battaglia l’inimico. Ma non vedendosi alcuno, ritornarono a Castel S. Pietro e la mattina seguente 16 dello stesso mese replicarono le scorrerie fino a S. Nicolò abbrucciando case, quanto fra le mani le dava, si predava. Capi di questi saccomani erano il d. Ramazzotto e Giovanni Sassatelli. Per tali cose la città andò a rumore. Li 7 agosto li Bentivogli mandarono una Grida che tutti li partitanti della Chiesa fuggiti dovessero ritornare in città sotto pena di ribellione e li 28 dello stesso furono chiamati alla Ringhiera del Podestà tutti quelli che erano andati fuori co’ partitanti della Chiesa.
    Li 4 settembre verso le 2 di notte si spiccò dalla luna un gran vapore che cadde a terra e sembrò che ardesse il mondo e fu veduto da tutto il territorio bolognese.
    Il Papa poi affine di ricuperare tutta la provincia di Bologna si collegò colla Spagna, l’Inghilterra e Veneziani ed anco per cacciare li francesi d’Italia. Per incominciare poi la ricupera di Bologna e suo contado nel mese di ottobre mandò a Faenza Giovanni Cardinale Medici, che condusse seco molti guastatori ed appanaggi per servigio della truppa. Dippoi andovvi D. Raimondo di Cordona, Vicerè di Napoli, e gente dell’esercito con Fabbrizio Colonna, generale di S. Chiesa, circa la metà di ottobre.
    Rifferisce il Tonduzzi nella sua Storia Faentina che, essendo imprigionato nella Rocca di Faenza, Ugo da Castel S. Pietro uno delli 53 collegati bentivoleschi quando furono cacciati di Bologna, doppo essere stato bravo soldato, finì li suoi giorni in quella e che li 10 decembre Ramazzotto con molti spagnoli vennero sotto Castel S. Pietro tentando l’impresa di averlo ma le fu fatto fronte in tal guisa che passò avvanti a S. Nicolò e li 13 d. scorse colla fantaria fino a Varignana, ove fece bottino per più di tremilla ducati. Ritornando poscia addietro, narra la Cron. Bianchetta, che pose il campo a Castel S. Pietro il dì seguente 14 decembre ove facendo ressistenza li paesani co’ pressidi non potette il Ramazzotti averlo che alli 19 salva robba e persona.
    Nel corso di questi cinque giorni si battevano le mura, ma era poco frutto perché le Roche e terrazzani rispondevanio egualmente. Arreso Castel S. Pietro fece lo stesso Medicina e Varignana e Liano. Avute queste castella, si riunirono le genti pontificie a Castel S. Pietro e fatto corpo di 20 milla combattenti, essendo loro conduttore Marc’Antonio Colonna, Giovanni Vitelli, Malatesta Baglioni ed altri andarono alla volta di Bologna. Per questi movimenti non si fece l’estrazione delli uffici per l’anno venturo 1512 essendo tutto in iscompiglio. Non ostante che il nostro Castello si fosse arreso alle armi pontificie, si tenne poi guardato dal Sassatelli e Ramazzotti, temendosi di una agressione bentivolesca , perché avevano scritto al Re christianissimo onde averne soccorsi, essendosi ben fortificati li Bentivogli in Bologna.
    In seguito di che il Re vi mandò Monsu Gastone Fois suo luogotenente e gran Mastro di Milano, il quale nel dì 14 febraro entrò in Bologna tanto segretamente che li spagnoli non se ne potettero accorgere. Avevano li francesi 600 lancie e 6000 fanti che era tutto l’esercito del Fois. Li spagnolo avevano penetrato che qualche gente era entrata in cità, ma che fosse stato tutto l’esercito del Fois parea loro impossibile, tanto più che non vedevano alcuna sortita di città. Stettero dunque tutti li francesi per fare serare due porte della città a tutto il 15 febraro dove avevano fatti li bastioni, ma essendo usciti fuori di città due cavalli del Fois per predare senza di lui saputo uno ne fu preso da spagnoli dal quale inteso il tutto si ritirarono subito colle artiglierie e levato l’assedio di Bologna si posero in guardia di Castel S. Pietro, Budrio e Medicina.
    Li bentivoleschi intesa la ritirata uscirono di città e li 11 febbraro Annibale Bentivoglio venne fino a Castel S. Pietro dove era il Ramazzotto e Sassatelli e quivi attaccata una battaglia coraggiosamente Anibale prese 80 carra di vittuaria da nemici e fece 40 prigioni tutti contadini romagnoli, per la qual cosa iritati li pontifici e spagnoli strinsero di novo il cordone alla città. Bartolomeo di Antonio Dalla Volta che già aveva abbandonata la Roca di Castel S. Pietro, ritirossi alla città e come che andava creditore delle sue paghe che si procrastinavano a motivo della guerra, finalmente nel dì 10 marzo ottenne li suoi mandati delle paghe di castellano.
    Infrattanto essendo convenuto all’esercito francese andare alla presa di Brescia parve opportuno al Ramazzotto cercare di iscoprire le forze dell’inimico entro la città alla quale, sicome si dava l’acesso alli introducenti viveri che non erano sospetti, propose alli altri che seco erano in Castello di spedire uno de suoi più fidi che ne avesse volsuto l’impegno, entro la città. Fu plaudita la sua proposta ed in seguito egli mandò travestito Tomaso d’Alboro di Castel S. Pietro suo primo capo squadra in città, ma isvelato fu carcerato ed il dì 13 marzo fu fatto morire.
    L’esercito Papalino si era già esteso anco nelle parti inferiori del territorio bolognese ed aveva coperto le strade di Minerbio ed il ponte polesano detto comunemente, il Bentivoglio, ma le genti pontificie poco vi stettero poiché, ritornati li francesi alla volta di Bologna, convenne alli ecclesiatici il dì 19 abbandonare li posti e ritirarsi a Budrio ed a Castel S. Pietro dove si fecero forti, ma crescendo la truppa nemica convenne abbandonare Budrio.
    Ciò vedutosi dall’esercito bentivolesco si facevano più avvanti sempre cercando di venire ad un fatto d’arme, il quale cercando evitare le genti spagnole e le pontificie non vedendovi il suo, si ritirarono a Castel S. Pietro ove avevano poi intenzionato di venire a giornata ma, avvisati delle poderose truppe nemiche che coragiosamente le venivano contro, il dì 18 d. sloggiarono pure da Castel S. Pietro ed andarono ad Imola li spagnoli malconci, ne cui alloggiamenti subentrarono imediatamente li francesi nel nostro Castello con animo di dare alla coda dell’esercito pontificio. (Tonduzzi Ist. faent., Cron. Bianch, Diar. di Biagio Bonacorsi).
    Una tale fuga diede campo ad un poeta contemporaneo comporre su ciò un canto in ottava rima del quale se ne trova una stampa in casa Pepoli in un Lib. Miscell. segnato + D.N. 37, onde qui ne trascriviamo qualche verso (stanza 34)
    Vedendo li spagnoli approssimare
    con molto impeto quella Baronia
    e cognoscendo non poter durare,
    da Budrio presto ognun partì via
    verso Castel S. Pietro s’ebbe a tirare
    appresso al fiume coll’artelleria,
    Tutti serrati stan su quel retaggio
    spettando li nemici a so’ vantaggio
    Alfonso duca quel Baron d’assai
    vedendo al fiume girar costoro
    e d’aquistarli lì non spera mai
    deliberò a far altro ristoro…
    E difatti poco stettero li francesi e bentivoleschi al nostro Castello poiché li 21 aprile, ritornati il Sassatelli e Ramazzotto dalla parte inferiore, andarono a Budrio ove ebbero ricetto. Temendo perciò li Bentivogli di essere colpiti, introdussero in Bologna li 19 maggio quattrocento cavalli leggeri francesi per mandarli poi a Castel S. Pietro a stanziare poiché si aspettava il campo della Chiesa condotto da Marc’Antonio Colonna. Dalli 19 maggio fino alli 10 giugno vi stettero in guardia ma ciò non ostante li Bentivogli vedendosi poco sicuri e di giorno in giorno crescere le forze della Chiesa partirono ancor essi di Bologna. Presero questa rissoluzione perché erano malveduti per le loro superchierie e per che di giorno in giorno crescevano li danni onde pensarono meglio il cedere che avventurarsi alla fortuna la quale essendo instabile bastava in un punto farli mutar stato.
    Drizzarono perciò il viaggio a Ferrara con mille cavalli. Francesco Fantuzzi confaloniere, spalleggiato da Castelli, Bianchi, Graffi, Volta e Bargellini, avvisarono di ciò Sigismondo Gonzaga Card. di S. Maria nova, presidente generale dell’esercito eclesiastico che si trovava ad Imola, acciò si avanzasse alla presa di Bologna. Invitato anco dalla vicinanza, affrettò la marchia e nel dì 12 si avvanzò a Castel S. Pietro che nulla opponendosi perché furono li terrazzani assicurati di non essere molestati se si arrendevano senza strepito. Passarono il giorno seguente 13 giugno il Legato col Duca di Urbino con 300 uomini d’arme e cinquemilla fanti al nostro Castello e, aquivi fermatasi la truppa per inoltrarsi poscia, ebbero la nova che la città era andata a rumore ove il popolo avendo gridato: Chiesa, Chiesa, si erano intromessi da altra parte li eclesiastici.
    Intesa il Papa la sommessione di Bologna, aperse dappoi, come scrive il Falconi nelle sue Memorie de Vescovi bolognesi, il Tesoro delle Grazie mercè l’interposizione di Achlle Graffi moderno vescovo di Bologna coll’assoluzione dell’Interdetto, la quale poco dopo fu commessa a Giovanni Medici. Acciò poi fosse di maggior profitto alle anime obligò ciascuno in iscarico proprio una singular soddisfazione a Dio, cioè che per un mese recitasse un Pater ed un Ave col digiunare a sua elezione un solo venerdì di quel mese e così fu levato l’Interdetto e assoluta la citta e contado.
    li 29 lulio poi giunse tutto l’esercito del Papa e del Re di Spagna a Castel S. Pietro governato dal Colonna e dal Cardona ed era composto di dodicimilla combattenti fra pedoni e cavalli doppo avere sedato il tumulto di Bologna. Il Duca di Urbino che si era alloggiato a Castel S. Pietro si ritirò alla montagna per darle loco. Li 25 d. il card. vescovo di Bologna Achille Graffi andò a impossessarsi del suo vescovato. Il Papa avendo poi spedito a Bologna per Vicelegato Francesco Frescobaldi fiorentino, uomo iniquo al sommo, appena giunto in Bologna cominciò a tiranneggiare li cittadini col pretesto di ribelli a S. Chiesa onde ne faceva catturare giornalmente, imponendo loro pene pecuniarie ad arbitrio per modo che accumulò per quarantamilla e ottocento novantanove ducati, come lasciò scritto il Secodinari nella sua Cronaca. Il Legato Medici, spiacendole una tale condotta, se ne partì per Firenze con diversi pretesti.
    Li 25 settembre furono chiamati alla Ringhiera del Podestà per ribelli di S. Chiesa cento quaranta persone, fra le quali eravi Ser Marchione Nardi Not. di Castel S. Pietro con Gio. Maria Sembeni ambi compatriotti e parziali bentivoleschi.
    Li 19 ottobre vennero improvisamente a Castel S. Pietro mille svizzeri che erano stati al soldo pontificio ove, lagnandosi di non avere avute le sue paghe, vi posero il campo. Poscia fecero intendere al tesoriere di Bologna che l’auriano dannificato se non le avesse date le sue paghe. Per ovviare a questo male li furono pagati mille scudi tostamente onde, questi avuti, decamparono da Castel S. Pietro e proseguirono il loro viaggio a Bologna.
    Li 2 novembre Teofilo ed altri fratelli qd. Antonio Marini di Castel S. Pietro per le sue attenzioni fatte alla truppa eclesiastica, esercenti l’arte di speciali, furono fatti cittadini di Bologna.
    Sicome poi Papa Giulio nelle sue esenzioni date alla città e contado nell’anno 1510, aveva imposto alli contadini una tassa in proporzione de bestiami che tenevano così questi, per non pagare la imposizione, ommettevano tenere li bestiami necessari e restavano incolte per ciò le terre. Fu quindi fatto ricorso al Papa in seguito del quale ridusse il dazio delle imposte e tangenti di bovi, vacche e brazzanti a questa forma cioè un certo quid sopra la seminagione ragualiata alla corba nella pianura e quanto alla montagna raguagliata alle boche delle persone, lo che fu di universale piacere. Da Capitoli dei Dazi e dalla teoria de med., che presso noi conserviamo, si rileva tutto minutamente il che ci risparmiamo riferire per essere assai prolisso il temperamento.
    Bernardino e Carlo dalla Muzza di Castel S. Pietro allo spirar di quest’anno, cioè alli 23 decembre, furono fatti cittadini di Bologna.Nell’anno seguente 1513 chi fossero capi della Comunità di Castel S. Pietro e vicariato ci è ignota la memoria.
    Il Papa che aveva in odio la condotta del Re di Francia essendosi coalizato col re di Spagna ed Imperatore contro quello, poco durò l’aleanza a motivo che il giorno terzo di febraro si infirmò mortalamente, il che venuto a notizia de Bentivogli cominciarono novamente ad armarsi. Notiziato di ciò il tesoriere e vicelegato di Bologna incontinente introdusse nella città 400 uomini d’arme e fece ancora 400 fanti che andarono alla Roca della porta di strada Maggiore. Riconosciamo da questo fatto ed epoca l’uso di introdurre alla diffesa della città li militari del contado per sede vacante e simili casi di sospetto di invasione ed agressione che durò fino al tempo di Clemente XIII Rezonico.
    Doppo una infermità di 198 giorni Papa Giulio secondo in sabato terminò la vita in età di anni 70 e dieci di Papato. Fu uomo dotto ed assai lodato per avere sempre diffeso ed accresciuto le cose della Chiesa, non ebbe altro di opposizione che fu armiggero più di quello che si conveniva. Ma che si doveva fare in questi tempi che lo Stato pontificio era più pieno di tiranetti che di leggitimi padroni ?
    Poco però vacò la S. Sede onde li 11 marzo seguente fu assunto al pontificato Giovanni Medici Cardinale, già Legato col nome di Leone X. Finché stette la Chiesa vacante, Orlando Dal Caretto Governatore di Bologna ordinò che si levassero come segni tutti li battagli alle campane onde non si potesse col suono delle med. il populo all’arme.
    Giovanni di Antonio Bernardi da Castel S. Pietro nato nel 1495, avendo fin da fanciullo cominciato dilettarsi d’intagli in legni asprissimi riescendovi colla pazienza felicemente, fu da Fazio Zecottini di lui compatriotto invitato a studiare il dissegno sotto la scuola di Giacomo Franza in Bologna ove, impossessato di questo ed appresa la scoltura del incisere da Amico Aspertino, come scrisse il P. Vanti, passò dappoi sotto la disciplina di Marc’Antonio Raimondi a travagliare ne rami con ammirazione di tutti, le di cui opere più insigni noi le indicheremo al termine de suoi giorni. Fu amico stretto di Gio. Battista Dossi pittore chiaro ferrarese col quale aveva contratta familiarità e conferiva seco sempre.
    Calmati li rumori in città li 40 Rifformatori del Regimento di Bologna providero di comissari le castella. A Castel S. Pietro deputarono per comissario Scipione Castelli dal dì 22 lulio, il quale medesimamente era vicario ancora senza alcune spesa tanto per parte della università e Comune di Castel S. Pietro che per parte della Camera di Bologna. Fu il di lui governo così placido e giusto che non abbiamo cosa da narrare in contrario.
    Nell’anno che seguì 1514 apparechiandosi Luigi Re di Francia venire novamente in Italia in ajuto de bentivoleschi ed anco per proprio interesse, sopragiunto da acuta infirmità, all’entrare dell’anno finì la vita dopo avere regnato XVII anni. Quanto fu principe valoroso altrettanto fu ostinato nelle sue opinioni. Ebbe nel suo governo moltissimi travagli e fu talora in pericolo di perdere il regno. Gli successe nel regno Francesco Duca di Angulem come il più stretto parente della casa reale di Valois, filio di Carlo di Valois e di madama Lodovica sorella di Carlo Duca di Savoja, uomo magnanimo, generoso e da fanciullo sperimentato nelle cose di guerra e però, appena incoronato, sapendo quanto doveva temere l’Imperatore procurò subito la pace e Lega con esso.
    Andrea Dalla Rosa e Domenico Battisti di Castel S. Pietro micidiali e banditi nella confiscazione de beni, furono cancellati dal Bando del dì 28 aprile , come si ha dal Libro partitor. T. 6 del Carati in precisi termini ne quali si espone il loro reato, cioè: Propter homicidium per eos tanquam milites Ecclesie comiss. in personas Bertoni et Bonifaci Dalla Muzza de d. Castro in expugnationi d. Castri quo tempore contra civitatum occupantes indictum erat bellum per SS.mum Pontificem Julium secundum de anno 1514 et ut latius in eorum suplicatione, cum hoc tamen ante quam cancellentur., solvere teneantur Camere Bononie et (…) depositario. Lib. 20 Bonon. in totum. fol. 186.
    La familia di Muzza era assai propagata nel nostro Castello e distinguevasi non meno nelle facoltà e beni di fortuna ma anco nell’armi. Fra li altri in questo tempo si distingueva Lodovico Muzzi detto volgarmente dalla Muzza di Castel S. Pietro quale, oltre essere bravo militare, aveva pochi che l’uguagliassero nel giostrare ove di esso ebbe a scrivere il Casio, dove tratta dell’arme e lettere nel suo libro di Bellona, li seguenti versi:
    De Muzzi Lodovico fu il secondo
    che assai da fare e più da dir le diede
    Perché a motivo delle guerre passate non si era potuto dar mano al lavoro della nova porta nel nostro Castello prescritta nel Decreto del card. Alidosio e nel Sen. Cons. del 1510, coì sedati li rumori di guerra si incominciò in quest’anno l’opera. Vi furono a principio fatti li morelli e ponte sopra la fossa, congiungendoli dalla strada alla mura e dappoi fu aperta la mura, in tale occasione furono anco accomodate le merlature intorno alla porta maggiore del castello.
    Il Papa, che aveva sentita la Lega del Re di Francia fatta coll’Imperatore, per ovviare ancor esso ai disturbi si collegò con quelli. Una tale coalizione diede anco speranza ai Bentivogli di rimettersi in città co’ suoi aderenti. Si cominciarono perciò nell’anno seguente 1515 e ripristinare le prepotenze e soverchierie de loro partitanti perché il Papa inclinava a graziar li Bentivogli al ritorno, onde fu in necessità il Senato opporsi.
    Il Re di Francia al quale stava a cuore impadronirsi non meno del ducato di Milano che di fare restituire le terre ai veneziani perdute nelle guerre passate, mosse a tutto potere le armi in Italia e sopragiunto nel milanese se ne impadronì doppo pochi contrasti. Di ciò ricevutane noja l’Imperatore cominciò ad alestire genti per venire ancor esso in Italia. Il Re di Francia temendo di sua venuta, fatta la aleanza con Leone X convenne abboccarsi con esso in Bologna per firmarla.
    Intanto il Papa ordinò far gente in Bologna e suo contado per mandarle in Lombardia. Ramazzotto a cui era addossata la cura fece due milla fanti e mille cavalli leggeri, de quali ne mandò 500 delli ultimi e mille e cinquecento de primi, cioè di infanteria, dirigendola nella Lombardia tenendo il resto in Bologna. In questa spedizione vi andò Annibale di Ercole Bruni di Castel S. Pietro in qualità di capo squadra o sia capitano.
    Essendo poscia venuto a Bologna Leone X per la via di Romagna, come accenano le Storie del Tonduzzi faentino e del Bonoli, Storia di Forlì , guardato da Brunoro Zampeschi di Forlimpopoli con XVIII cardinali e 62 vescovi incontrato a Castel S. Pietro all’oggetto di abboccarsi con Francesco secondo Re di Francia, li Bentivogli, ricordevoli delle promesse fattele di essere rimessi in Bologna, rinovarono le loro instanze e supliche.
    Il Papa si dispose ad accordarle il ritorno semprechè dessero una sigurtà di ottantamilla scudi. Li offerirono per ciò il Duca di Ferrara e li Orsini di Roma, ma il Papa non piacendoli l’oferta ma voleva li danari, ricusò la rimissione. Il Re di Francia, sentendo il Papa in Bologna, vi venne ancor esso li 11 decembre con seguito di dieciotto milla persone ove appena giunto seguì l’abboccamento e li 14 dello stesso mese, fatte le funzioni di sanare molti della scrofola, se ne partì.
    Il Papa poi, dopo avere fatta fare la estrazione delli uffici utili della città e contado, li 16 decembre diede a vari nobili bolognesi il titolo di Conti delle castella del bolognese. Dispiaque molto al Senato una tale disposizione, poiché riconosceva in essa la privazione del diritto sopra le castella nominate contee, fra queste creò Conte di Liano il Senatore Lodovico Gozadini la di cui signoria durò fino al 1526, come abbiamo veduto in atti giudiciali nell’Arch. del sen. Calderini. Fu poi estratto alla podesteria di Castel S. Pietro per il S.S. Mario Albergati e della comunità fu scelto per capo Benedetto Topi , come dalli atti giudiciali della podestaria rilevasi nel seguente anno 1516.
    L’apertura della nova porta superiore del nostro Castello seguì nell’aprile veniente e fu munita di tutto il bisognevole tanto più che sollecitossi questo lavoro quanto che si prevedevano movimenti di truppe nemiche in questi stati poiché Francesco Maria dalla Rovere, Duca di Urbino e nipote del defunto Papa Giulio secondo, aveva fatto armata e bravamente difendeva li suoi stati de quali lo voleva spogliarlo il Papa come difatti le avenne in modo che le convenne fuggire a Mantova presso quel Marchese suo suocero, non avendo forze bastanti per ressistere all’impeto de francesi ed altre truppe condotte da Lorenzo Medici le quali alli primi del mese di giugno, doppo avere tenuto il campo a S. Nicolò cioè presso la Quaderna, venero il giorno dello stesso mese alla volta d’Imola dannificando questa nostra contrada, consumando quanto ritrovavano non altrimenti che nemici. In occasione di tale passaggio dal nostro Castello si tennero tutta questa giornata chiuse le case e le taverne e le donne co’ fanciulli stettero sempre nelle chiese e nel prato interno di questi frati eremitani di S. Bartolomeo.
    Troviamo nelle carte di questo archivio della parochiale del nostro Castello che la Compagnia del SS.mo SS.to aveva un picolo oratorio unito alla chiesa ed in faccia all’altro oratorio e capella di S. Cattarina che di presente in Cornu evangeli forma la segrestia alla stessa parochia. Questo oratorio del SS.mo serviva anco alla Compagnia del Bongesù dove si radunavano entrambe le compagnie da quanto si riscontra da autentici documenti.
    Altro non abbiamo che ci suggeriscano le patrie memorie in quest’anno al terminare del quale nel dì 29 decembre abbiamo nel Lib. partit. del Senato che in luogo di Cesare di Ser Francesco Zani estratto vicario di Castel S. Pietro per il primo semestre 1517 fu sostituito dalli 40 Rifformatori da Ser Francesco Zani, il quale lo crearono ancora comissario senza enunciarli la ragione.
    Essendosi infrattanto impadronito l’Imperatore di Verona la diede a veneziani poscia li quali pagarono ducentomilla ducati. Nella quale città essendovi Marc’Antonio Colonna con molti spagnoli per l’Imperatore, esciti che furono si assoldarono con Francesco Maria dalla Rovere, Duca cacciato da Urbino, e perché sembrava che volesse passare per Bologna dicendo che voleva andare nel suo regno, il governatore di Bologna fece fare a Ramazzotto 2600 fanti e fece intendere a Giacoma moglie di Ermeste Bentivoglio, filia di Giulio Orsini ed alla signora Eleonora del già signore di Carpi, filia di Giovanni Bentivoglio, che il giorno seguente la mattina avessero sgombrato di Bologna. Ubidirono prontamente e non furono tosto partite che il governatore fece chiudere tutta le porte della città apponendovi 50 fanti del Ramazzotto. Ordinò lo stesso in ogni altro luogo ove abbisognava.
    Il Duca di Urbino mandò per ciò avvanti cinquemilla fanti li quali il dì 29 genaro venuti alla città il governatore non li volle introdurre per la qual cosa ne spedì avvanti il dì seguente alla volta di Castel S. Pietro, dove pernotati , andarono poscia ad Imola ed indi seguirono poi le altre truppe. Infrattanto il Duca si avvanzò ed allo spirare di
    genaro venne il Duca d’Urbino al nostro Borgo con 800 cavalli due milla fanti e settanta uomini d’arme. Aveva seco Federico da Bobbio capitano di tutte le fanterie del Re di Francia in Italia ed il capo de Stradiotti de veneziani. Altro male non fecero che rubbare bestie di ogni sorta.
    Alle metà di febbraro venero altri tre capitani del Re di Francia et andarono alla volta di Romagna e Marca contro Lorenzo Medici che era stato investito del ducato d’Urbino dal Papa il quale era presso Cesena per fare ressistenza al vero Duca d’Urbino. Li capitani erano questi: Monsu di Lotrectè, Conte di Musoccia, Sandro di Gian Giacomo Triulcio e Conte Ugo Pepoli.
    Li 16 di questo mese giunto Francesco Maria duca presso Cesena ove erano le genti di Lorenzo Medici si attaccò una ardente zuffa in cui morirono da duemilla persone e quelli del partito Medici restarono svalligiati per più di cinquantamilla scudi. A questa battaglia, essendo stato in mischia, il Medici restò ferito. Altri soldati che erano rimasti in Bologna e sparsi pel contado, avuta la nova, marciarono ancor essi per Cesena. Durante questo passaggio e permanenza di truppe non si sentì suonar campana per ovviare a tradimenti.
    Li 13 maggio li francesi in N. di seimilla ritornarono nel bolognese.
    Nella med. battaglia trovandosi nella truppa Anibale Bruni di Castel S. Pietro in qualità di conduttiero per li francesi, di dove riportò tre bandiere del nemico, passò al soldo de veneziani sotto il comando generale del d. Boltie.
    Aveva questa arcipretale di Castel S. Pietro una possessione detta il Roseleto nel Medesano la quale, per essere incomoda alla chiesa, D. Orfeo Rossi arciprete ne fece il cambio in altra possidenza rurale nel comune di Castel S. Pietro denominata la Pellegrina. Appare questo contratto da pub. instrumento rogato nel mese di lulio per Ulisse Musetti.
    Sante Ghirardacci che dal 1506 fu bandito in pena capitale per omicidio nella persona di Matteo Dalforte e fu pure bandito capitalmente l’anno 1515 dal Podestà e nella confiscazione de suoi beni e restituzione de beni tolti a motivo che con altri compagni introdusse in Castel S. Pietro li nemici e doppo essere andato a danneggiare le familie delli Muzza coll’avere ucciso Bonifacio del fu Lodovico e Bertonio del fu Ser Antonio Dalla Muzza col derubbarlo (….).
    Fatta la pace fra il Duca e il Papa venero le truppe al bolognese. Trovando Castel S. Pietro senza viveri fu sacheggiato ne effetti e robbe. Avuta la pace, fu assoluto il sud. Ghirardaccio co’ suoi compagni pagando lire cinquanta per ciascuno in Camera ( Carat. T. 6 Partit. fol. 4).
    E come che era stato acusato di mancanze nel suo ministero di giudice della comunità Antonio Comelli, così li pubblici rappresentanti le fecero un rigoroso sindacato come ne appare al Lib. 8 C. 139 in Camera.
    Astorre Volta, che aveva dato sagio della sua fedeltà verso la chiesa nella custodia delle Roche a cui era stato deputato, perciò Leone X, per suo speciale Breve, lo deputò in castellano della Rocca grande di Castel S. Pietro. Ne appare ciò nell’Arch. Segreto del Senato Lib. (…) fol. 39 lettera R. Durò il di lui ministero fino alla fine dell’anno.
    Nel 1518 l’oratorio dedicato a S. Giovanni Evangelista presso le case di Galeotto Cheli in faccia la piazza detta presentemente di S. Francesco ed in allora di Saragozza nel nostro Castello, trovandosi in cattivo stato, Chelo di Galeotto Cheli non solo lo fece ristorare ma ancora ampliare tanto che fosse comodo a celebrarvi e successivamente, avendo dato il comodo alli M.M. O.O. che di qui transitavano dalla Romagna a Bologna, loro poscia assegnò con alcuni edifici per ospicio.
    La Comunità medesimamente in quest’anno fece dipingere in asse il quadro all’altare maggiore della arcipretale per mano di Gaspare Sacchi imolese.
    Essendo stato deputato per castellano della Roca grande di Castel S. Pietro Carlo Prati, colli soliti emolumenti per il corrente anno, espose la sua obbligazione di diffenderla durante il suo officio (Arch. Sen. Let. A. Lib. 5. N. 12, Rogito di Girolamo Bargellini).
    Li 28 giugno del 1494 Pietro qd. Gio. Rondoni di Castel S. Pietro essendo stato bandito nel taglio della testa e confiscazione de beni come si disse per omicidio in persona di Vandino di Melchione Giachini fu assoluto l’anno presente 1518 col pagare in Camera lire venti (Lib. 7. Partit. Car. fol. 42).
    Il caratere del sud. pittore fu così preciso che da alcuni è stato giudicato di Lavinia Fontana. L’abbate Cesare Branchetta ne stampò su ciò un manifesto ma prese errore poiché nell’archivio della Comunità trovasi un libercolo di spese che furono pagate all’acennato autore del 1519 a salvo del suo avere l. 100 e poi nel stesso dipinto, appresso il ginocchio di S. Gerolamo si legge la seguente inscrizione: Gaspar Sachius anno 1519.
    Essendo poi stato deputato per li tre seguenti anni castellano della Roca di Castel S. Pietro Agostino Dalla Volta espose la sua obbligazione di difenderla durante il suo officio, ne appare ciò da rog. di Girolamo Bargellini fatto li 18 X.bre (Arch. Sen. Lib. 5. N. 35. 1519.)
    Seguita infrattanto la pace fra tutti li principi X.stiani, ammalatosi l’imperatore Massimiliano di una dissenteria che le sopravenne, morì li 12 genaro in Baviera di anni 60 di sua età e 25 di imperio, lasciando erede per testamento Carlo V suo nipote d’anni 19 Re di Spagna e Napoli. Fu Massimiliano principe liberalissimo, fu devoto, visse cattolicamente e tale morì.
    Per tale morte li principi dell’Impero si riddussero assieme in Francorte per eleggere il novo Imperatore. Nella elezione naque concorenza fra Carlo e Francesco secondo Re di Francia detto Valesio, il quale con danari cercava corompere li elettori, ma li tedeschi non volendo lasciare escir l’impero da mano de suoi, fu a tutto potere eletto Carlo V Imperatore.
    In questo tempo perché veniva sporcata la fonte della Fegatella dalli animali, la Comunità di Castel S. Pietro le fece costruire un picolo edificio.
    Agostino Dalla Volta, castellano di questo paese, pressentendo discordie fra principi sopra la elezione del novo imperatore, temendo che novamente per tali discordie si eccitassero anco tumulti nelle provincie d’Italia, fece bastionare novamente li capi strada che esternamente portavano alla Rocca grande del nostro Castello. La torre che era sopra il cassare della med, avendo le sponde laterali all’ingresso sfasciate, furono rissarcite. All’ingresso del cassare invece delli morelli vi fece apporre alcune spranghe facili a levarsi ad ogni oppugnazione. Fece pure sì che le mura del Castello fossero accomodate alli di cui lavori, essendosi egli prevalso delli operari del paese, spiaque molto alli artisti di Bologna li quali per l’addietro essi eseguivano onde ne naquero in seguito questioni sopra li artisti del paese e l’Arti di Bologna che furono poi oppressi nel seguente anno come diremo.
    Terminato l’anno 1519 nel susseguente 1520 dunque, avuta la nova il Papa della elezione di Carlo V e della investitura di esso nel regno di Napoli, si dolse di questa poiché l’investitura nel regno di Napoli a Carlo I Duca di Angiò fu fatta da Urbano IV a condizione che niun Re di Napoli potesse essere imperatore, ma con tutto ciò Carlo quinto fu creato imperatore e perciò ne naquero odi fra principi X.stiani che furono la ruina di Europa ed ingrandimento del turco.
    Ciò non ostante il Papa mandò Martino Caracciolo, suo Legato, e Girolamo Aleandri, uomini dottissimi, a rallegrarsi ed a pregarlo essere protettore della fede cattolica massime contro la eresia di Martino Lutero. Acettò l’Imperatore l’ambasciata colla massima premura ed in seguito, senza perder tempo, ordinò sotto rigorose pene per tutti li di lui Stati che fossero abbruciate le opere di colui, onde in Aquisgrana dall’arcivescovo di Colonia, presentato Carlo a principi X.tiani, fu li 24 febraro solennemente coronato, giorno in cui naque.
    Nello stesso giorno in Costantinopoli fu coronato gran Sultano Solimeno per la morte di Selim suo padre.
    E perché la questione delle Arti di Bologna vertiva principalmente contro li muratori di Castel S. Pietro, oltre li altri lavoranti, si unirono perciò tutti e ricorsero al Senato rappresentandole le loro prerogative di non essere mai stati soggetti a veruna obedienza né borsale né virtuale per lo che ai bisogni avevano sempre travagliato per la manutenzione de fabricati del paese, che se non avessero operato alle contingenze, il paese non solo ma tutte le fortificazioni sarebbero state distrutte nelle oppugnazioni de nemici nelle quali circostanze facevano li opportuni ripari. Ascoltò il Senato la petizione e le giuste querele e per ciò il dì 28 giugno decretò la onnimodo esenzione da qualunque legge che avesse influenza ed oggetto alle regole di Bologna. Il Senato era radunato in N. di 21 Rifformatori, il partito passò per N. 19 bianche e due nere.
    Era contenta la università di Castel S. Pietro di questo Senato Consulto. Lo volle avalorare anco da decreto del Legato il quale, non difficultando punto, lo confirmò con suo decreto il dì 28 lulio anno presente che così incomincia: Bernardus Rubens ecc, del quale ne abbiamo copia unita alli altri privilegi del paese [Vedi Appendice A]
    Giunto il secondo semestre fu nella carica di Podestà di questo Castello investito Giulio Caccianemici, ciò l’abbiamo rilevato da lapide confitta nella pub. ressidenza di questo tenore
    Julis Caccianemicus
    I. V. Professor. paro secu.
    MDXX
    Vedendo il Papa il torto che si faceva da Francesco II Re di Francia a Carlo V coll’opporsi alla di lui elezione, avendo dato mano e protezione alli popoli che contro esso si erano ribellati nella Spagna, come pure che li francesi regnassero in Italia per la occupazione de stati nella Lombardia ove dippiù il Lotrech, governatore di Milano, aveva messo mano ne benefici ecclesiatici dandoli non solo a chi le sembrava ma anco ricusando le ammonizioni papali, perciò prese il Papa occasione di abbdicarsi dalla Lega del Re francese e glie ne passò condoglianze di quanto accadeva, ma il Re facendo il sordo, fu costretto il Papa rinonciare alla Lega seco lui ed unirsi a Carlo V come di fatto seguì.
    Doppo avere accomodata la chiesa picola dedicata a S. Giovanni Evangelista, Sebastiano e Chelo Cheli di questo Castello fecero anco nell’anno seguente 1521 accomodare alcune loro case ad uso di ospizio per li M.M. O.O. onde da qui in appresso cominciarono a prendere possesso per la loro relligione.
    Nel dì 23 marzo poi il Senato concesse a Lodovica Rossi di Castel S. Pietro l’uso ed abitazione della torre posta nelle mura del castello a levante di lei vita naturale.
    Disgustatosi il Papa col Duca di Urbino, mandò nell’aprile mons. Antonio Pucci fiorentino vescovo di Pistoia con 300 svizeri nella Romagna che, tenendo la via di Castel S. Pietro, fecero non poco danno alla campagna nostra.
    Dall’altra parte tenendosi dal Re di Francia Parma, Piacenza e Milano, Carlo V per espellerlo vi mandò Federico Gonzaga Marchese di Mantova onde unito a papalini nel dì 8 settembre si diede una battaglia sotto Parma dalla parte del fiume Taro e ne presero la città li papalini. Doppo la quale prosseguendosi dalli alleati ad incalzare l’inimico lo strinsero in Milano e fra non molto lo fecero decampare d’ivi mediante altra battaglia.
    Avendo il Papa intesa la presa di Milano con suo singolare piacere, morì in Roma li 2 decembre avendo lasciata la Chiesa esausta di danaro ma però ricca di Stati. Questo pontefice fu eletto d’anni 37 e mesi 9, visse nel pontificato anni 8 e giorni 20. Fu liberale ed amante della virtù e per avere danari creò in una sol volta 31 cardinali per li quali ebbe molte migliaia di ducati.
    Le differenze che passavano fra li bolognesi e imolesi per la via divisoria di Dozza con Castel S. Pietro furono avvicinate a norma della Bolla di Sisto IV.
    Essendo stato estratto per Vicario di Castel S. Pietro nella ordinaria estrazione delli uffici utili il giorno 16 decembre Battista qd. ser Giovanni da Marzolino, del quale era fama che fosse stato giustiziato, come si riscontra nel Libro de Partiti del Senato in precise parole: quem fama est fuisse morte mulctatum, il Senato perciò elesse nel dì 20 in Vicario lo spettabile uomo nobile Lodovico Mino Rossi per li prossimi sei mesi, onde all’ingresso del 1522 prese il possesso di questa carica.
    Attesa poi la morte di Papa Leone X fu creato pontefice il card. Adriano Fiorenzo di nazione fiamingo che fu maestro di Carlo V, il quale trovavasi nella città di Vittoria in Ispagna. Appena avuta la nova di essere stato eletto Papa esclamò che Madonna Discordia l’aveva eletto, stante le discordie che erano fra Principi e Cardinali. Volle essere chiamato Adriano VI ritenendo il suo primiero nome. A tal nova l’Imperatore Carlo V si rallegrò d’assai come quelli che era stato suo discepolo e così procurò rinovare la Lega con esso per potere con più comodo mettere fine di cacciare li francesi d’Italia.
    Terminata la fabbrica dell’ospizio nelle case de Cheli, come si disse avanti, per li M.M. O.O. aderentemente al novello oratorio sotto la invocazione di S. Giovanni Evangelista M. V. e S. Francesco, ricorsero essi a monsig. Rinaldo Graziani cottignolese al presente vescovo di Bologna, sufraganeo del card. Achille Grassi, per averne il permesso di aprire tale oratorio, ivi sepellire li morti, tenere campane e fare altre cose, atteso il consenso del paroco. Ascoltò il bon Vescovo la petizione e così sotto il 26 febraro le fu concessa la facoltà richiesta mediante il seguente decreto:
    Rainaldus de Gratianis Dei et apostolice Sedis gratia Archiep. Augustianus R.mi in X.to Patris et D. Achillis de crassis miseratione divina sacrosancte Eclesie presbit. Cardinalis Tit. S. M.rie transtiberium Ep.us Bononie et Principis vulgariter noncupatus eisque Curie Episcop. Bonon. in spiritualibus Vicarius et sufraganeus Generalis.
    Dilectis nobis in X.to Fratribus Ordinis S. Francisci de Observantias salutem in D.no. justis supplicum votiis iis pre sortim per que salite animarum et divinii cultus nec non devotionis incremento opportune consulitur libenter annuimus eaque quantum possumus favorubus prossequimur opportunis. Cum itaque sicut nobis exposuis eis divinitus inspirati ad laudem et gloriam Omnipotentis Dei et eius gloriosas semper Virginis Matris Marie construi, fabbricari et erigi fecistis ac habeatis quodamque parvum Oratorium in Castro S. Petri Bononien. pro uso et habitatione vestra et presertim viatorum et itinerantium ibidem predicantium e conversantium continue nec non et in casu et casibus cujusvis necessitatis et occurentie sive infermitatis aut alterius casus cupiatis in eo oratorio et ad illius altare Missas et divina officia dicere et quantocumque celebrare et dici et celebrari facere, nec non et corpora seu cadavera morientium in d. loco in ipso Oratorio et in monumento, sive sepulcro que facere intenditis, sepellire.. et sepeliri facere pro vestro arbitrio voluntatis in eodem Oratorio ressidere et ressidentiam facere et stare, stabiliter et morari maxime tempore quadragesime per vos, vos idoneum relligiosum in d. Castro predicationes aligens et deputans. Dedique aliqualem campanelam retinere in ipso Oratorio, sive in loco eiusdem non prohbita prout necesse fuerit pulsandam. Quiod ut Nobis expositum est in iis accedit Assensus at Voluntas Rectoris parochialis Eclesie S. M.rie sit. in d. Castro. Nobis propterea humiliter supplicastis ut vobis et super premissis de opportuno remedio providere et socurrere dignaremui. Nos itaque supplicationibus vestri invlinati vobis et fratribus antedictis tam presentibus, quam futuris et vestrum cuilibet ut presentur et in casu et casibus predictis et quolibet eorum missas et divina officia et omnia alia supra expressa dicenda et celebranda ac celebrari facientes et exercentes, ressidentes, cadavera sepelientes, ibidemque ressidentes et campanellam pulsandi et alia divina officia prout vobis videbitur, diuturna pariter et nocturna dicentes ad laudem et gloriam Omnipotentis Dei et gloriose V. M. et ad utilitatem et honorem animarum vestrarum ut decet, Aucthoritate qua fungimur ordinaria et nostri Vicariatus Officio, omnibusque melioribus modo, Jure, Causa, forma et Nomine, quibus magis et melius possumus et debeamus Licentiam omnimodam facoltatem tenere presentiaum d…us, concedimus, et importimur absque tamen preiudicip parochialis Ecclesie pred. et omni suo jure semper salvo et ad hoc accedente consensu d. moderni Rectoris ut presertur, cui juri per (…) in aliquo preiudicare non intendimus tamquam eius Cua… et Parochia Oratorium ipsum consistit. Constitutionibus sinodalibus Curie episcopalisBononie et ceteri quibuscumque in contrarium facientibus nequaquam ostantibus. In quorum fidem et testimonium pro.tes nostras literas fieri per Not. nostrum inde scribi et pubblicari, sigillorum pred. Curie Episcop: Bonon. Munimine roborari. —-
    Dat. Bonon. in Episcop. Palatio die 26 mensis Febrari 1522. Hercules de Auro cives et not. Bonon. et Cancell. Episcoptis Bononie , de Mandato et rogato manu propria subscripsi. L. +. S.
    Giace questo pio luogo francescano, che è il XXV della provincia nel nostro Castello sopra li terapieni del medesimo a levante, li quali furono poi chiusi coll’assenso del Senato allorchè fu dichiarato convento nel 1618 li 28 ottobre sotto il provinciale P. Alessandro Nicolino da Brisighella come dirassi alla sua epoca.
    L’anno 1523 poi, estratto Massaro, Sebastiano Rondoni investì la carica, chi fosse il Podestà non ci è riescito saperlo per mancanza di memorie.
    Essendosi passato il primo bimestre con quiete alli primi di marzo fu scompigliata imperciochè il giorno di Lunedì 26 febraro all’occasione del mercato, naque uno scompiglio pubblico fra alcuni uomini di Liano ed alcuni altri del paese a motivo di interesse mercantile, per quanto ci annunziano li MM. SS. di D. Gianchetto Vanti, onde in seguito si venne alle alterazioni ed alle mani in modo che il paese era tutto in rumore. Sedate le altercazioni non se le dimenticarono li lianesi ma, aspettata l’occasione, trovando fuori del Castello nostri paesani e nel loro castello che per affari si erano collà portati, furono cimentati dalle familie Alberici, Dalla Costa, Prati ed altri onde furono maltratati li nostri.
    Portata la relazione alla pubblica rappresentanza di Castel S. Pietro, se ne rissenti in tal modo che la causa, di particolare che era, divenne pubblica ed una nimistà tale che degenerava in armata.
    Prima però di ciò intraprendere la Comunità volle sentire il parere della populazione quindi, sicome governavasi il paese democraticamente, fu invitato il popolo il giorno 5 marzo mediante il pubblico suono dell’aringo in seguito del quale fu posto il partito: Se la rissa dovesse attendersi per offesa pubblica o privata quindi, essendovi chi opinò per la validità dell’atto, fu fatto rogare per il not. Giacomo Burgolochi per ciò all’ogetto di non potersi poscia impugnare la rissoluzione, onde noi qui lo trascriviamo a lume del lettore:
    In X.ti N.ne Anno a nativitate eiusdem 1523, dudic.te XI, die vero V Mensis Marti Pontificatus SS.mi in X.to Patris et D. N. J. Adriani VI. In mei Not. publici testiumque inctrum ad hoc specualiter vocator et rogator ad hoc ipsum prefetes publicum presentia existentis personaliter congregati et in unum cohodunati honorabilas Homines Comunis Castri Sancti Petri comitatus Bon. in domo comunis et in sala superiori d. domus posita in Castro S. Petri p.ti iuxta viam publica a pluribus lateribus et plateam Comunis et alios confines loco solito eorum Congregationis sono campane ut moris est ad in.cta et alia negotia d. Comunis pertractans et faciendum videlicet.
    Quibus placet et videtur que lis et rixa que fuit et est contra et adversus homines Terre Castri S. Petri Comitatus Bononie per una parte et homines comunis Liani comitatus pred. partibus ex altera diebus elapsit videlicet.
    Die Lene carnis privi anni presentis sit et esse intelligatur generalis et communis ac pro generali et universali habeatur inter prefatos homines Castri S. Petri et homines terre Liani imponant fabas, quibus vero non placet quod talis rixa intelligatur comunis et generalis, i.mo intelligatur particularis imponant supinos et in qua quidem Congregatione interfuerunt in.cti Homines omnes d. Comunis Cas. S. Petri et habentes vocem in arengo videlicet Bastianus Rondonus massarius d. Comunis, Antonius de Comellis, Antonius Dominici Fabbri soci d. massari, Benedici Zopo, Christophorus de Raineriis, Tomas de Lasiis, Hieminianus de Rotis magister Magnanus de Magnanis, Chelo de Galeotto, Vincentius Dalforno, Christophorus de Guittis, Marcus Antonius Dalle Campane, Cirillo Traffalino, Cesar Tripondanus, Andreas Toparinus, Jo. de Comellis, Antonius Rondonus, Vincentius Rondonus, Simon de Guittis, Clemens de Papia, Cesar Zopo, Jo. de Gnettis, Gulielmus de Gnettis, Benedictus de Farneto, Nicolaus Toppo, Bartolomeus Gasparinus, magister Andreas murator, Nicolaus de Comellis, Dominicus Mattei Sarti, Tonius Zoppo, Sanctes Rugius, Baptista Toppo, Marchinus Murator, Bologninus de Landinellis Petronius Toppo, Dominicus Pignatarius, Baptista Gasparinus, Petrus Antonius Toppo, Joanes de Robesanus, Evangelista de Zanis, Rizo de Soversato, jo. Landinellus, Bendictus Tesei, Marco Randone, Joannes de Nicolis, Nicolaus de Soldini, Dominicus Tripondanus, Andreas de Comellis, Marcus de castello, Bastianus de Magnanus, Andreas de Giustis, Petronius Scarsella, Maghinardus de Facinis, Vincentius Falcuni, Jo. Maria de Muzolis, Gregorius Fornaxarius, Babtista Facinus, Melchion de Jachinis, Alexander Bantus, Babtista Trigondano, Jacobus della Roxa, Martinus Topo, Adreas de Pirazolis, Jacobus Foldineis, Stephanus Pirazzolus, Baronus de Baronis, Vincentius Xondus, Franciscus de Pagia, Babtista de Rolis, Achilles de Farneto, Murellus Barbarius, Dominicus Franciscus Dal Sarto, Babtista Iacobi Toppo, Gaspar Antonius de Rainerio, Nicolaus de Nicolis, Antonius de Laxiis, Ludovicus de Ricardi, Petrus de Righis, Franciscus de Fabbris, Matteus de Casella, Franciscus Bonellus, Jo.Cremoninus, Franciscus Dalforno, Galantius Scarsella, Antonius Landinellus, Bartolomeus Bagnius, Cortexius Bellinus, Jo. de Fabbretis, Laurentius Ragnerius, Jacobus Pirazzolius, Zanonus Della Cecha, Matteus Andriolus, Domenicus de Gnetis, Anibal de Brunis, Franciscus Tripondanus, Franciscus Gasparinus, Jacobus Rondonus, Ludovicus Rondunus,
    omnes Homines d. Comunis ac habentes vocem ut se et qui plorunt et sunt plusquam due partes ex tribus hominum d. Comunis Castri S. Petri et datis et recolectis fabis et lupinis per nuncium pubblicum d. comunis juxta et secundum eorum consuetum.
    Fabe fuerunt septaginta novem et Lupini quindecim, numerab. per me Not. infrascriptum una cum hominibus consilli d. Comunis et ita propter numerum fabarum et supra collectarum et enumeratur. Obtentum fuit partitum quod Rixa intelligetur communis et generalis ut supram.
    Actum in Cas. S. P.ri Comitat. Bonon. et in Domo Offici in Sala super loco Congregationis, presentibus Jo. Guasparro qd. Gabriellis de Bonzagni Bonon. Civ. Capelle S. Leonardi Taxar. Collectore ac Juliano qd. Magistri de Ravenna familiare magni Comissari D. Astorgi de Lante.
    Rogit.Ser Jacobi de Burgolochiis ( Autentico del qual monumento lo conserviamo presso di Noi)
    Avendo intanto l’Imperatore, quietato le cose di Spagna, determinò far Lega col Papa e veneziani per diffendere il Duca Francesco Sforza di Milano ove il med. Imperatore l’aveva di quel ducato adorno e cacciare d’Italia il Re francese. Il Papa che molto lo amava si collegò e così fecero gli altri principi italiani a danno de francesi.
    Ma il Re francese che ad altro non aspirava che raquistare lo stato di Milano, niente spaventato di avere perduto quasi tutte le forze e massime Genova, città di tanta importanza, assoldò un altro meraviglioso esercito di 32 milla fanti e 10 milla cavalli, fra quali vi erano molti svizzeri, a tentare la sorte in Italia. Ma giunta la state essendo il Re per andare egli stesso all’aquisto di Milano fu interrotto il suo dissegno dal sospetto che prese di Carlo Duca di Borbone il quale, per alcune differenze avute seco, era di notte tempo scampato da Parigi e tenendo la strada di Borgogna si era trasferito in Italia al servigio dell’Imperatore onde il re pensò starsene in Francia, molto più perché da compagni e parenti di Borbone si minacciavano insurezioni e così il Re mandò col sud. esercito Monsù Bufferio detto Bonivetto, uomo di sottile ingegno ed esperto nelle cose di guerra e pace.
    L’imperatore ciò inteso mise ancor esso in ordine buon esercito e dichiarò generale Prospero Colonna. Il Papa collegato co’ fiorentini e luchesi fece generale della Chiesa Federico Gonzaga. Li veneziani pure si unirono col Papa ed Imperatore e fecero loro generale Francesco Maria Duca di Urbino. Facendosi questi movimenti poscia accade la morte di Papa Adriano li 13 settembre che fu di ramarico all’Imperatore.
    Attesa la rissoluzione delli uomini della Comunità di Castel S. Pietro contro li lianesi, scorrevano li primi il vicino comune facendo imboscate alli ultimi. La terra, detta anticamente di Faciolo Cattani e poscia delli Moscatelli, posta sul labro del confine fra queste due comunità ma nel comune di Liano, serviva di un antemurale a lianesi e di qui iscoprivano li andamenti non solo de nostri sampierani ma ancora si tenevano ivi li lianesi uomini maneschi lo che dispiaceva al governo.
    Li Gozadini che erano investiti nella Contea di quel paese lo sentivano a dispiacere, onde per che non fossero battuti li lianesi alla porta del di cui castello, su cui esisteva una torre, più volte quelli di Castel S. Pietro su la scorta di Anibale Bruni, de Pirazzoli e Trapondani si erano avvanzati tentandovi la presa di quel luogo, vi mise mano Antonio Gozadini, che era il Conte investito di questo loco da Leone X, per che seguisse la pace.
    Non si prestarono molto li nostri ma chiesero una tregua per fino alla fine dell’anno tanto più che la stagione si avanzava e questa fu accordata.
    Dopo molte differenze poi fra li Cardinali, fu eletto Papa il Card. Giuliano Medici che prese il nome di Clemente Settimo. Favorendo questi pure l’Impero per cacciare d’Italia li francesi, sollecitò la mossa delle sue truppe per cacciare d’Italia li francesi come accade assoldando ne suoi stati truppa, nella quale prese il soldo anco Anibale Bruni di Castel S. Pietro in qualità di capitano dandone prova della sua prodezza.
    Terminato l’anno 1523 riassunsero li nostri castellani contro lianesi le ostilità, onde questi non arischiavano molto venire ai mercati nel sucessivo 1524 in cui non sappiamo chi fosse il Podestà locale e Massaro per mancanza di memorie.
    Pressentendo Antonio Gozadini Conte di Liano che il novo Papa voleva spoliare li nobili delle contee del bolognese di cui ne erano stati adorni da Leone X, standole a cuore la concordia fra li lianesi e li uomini del Comune di Castel S. Pietro, ne procurò la pace fra di loro, la quale seguì con comune sodisfazione ma ciò non ostante il Senato procurò lo spoglio della contea per la quale accese lite in Roma. Patì sentenza contraria il Gozadino e perdette ogni diritto sopra Liano come abbiamo riscontrato da voluminoso processo nell’archivio del senatore Calderini.
    Cacciato dal Re di Francia Carlo di Borbone e venuto in Italia si approfittò questi di impegnare l’altro in una terribile guerra quindi, sollecitato l’Imperatore e sua Lega invadere li di lui stati, non esitò punto come quelli che aveva avuti torti nella sollevazione della Spagna, impercioché doppo avere ordinati suoi generali il Marchese di Pescara e D. Ugo di Moncada volle che ambidue governassero il tutto a parere e volere di Borbone.
    Furono in questo esercito ammesse sette compagnie italiane di 300 fanti per ciascuna in una delle quali passò il nostro capitano Anibale Bruni. Le operazioni di questi italiani sono racontate dal Verdizzotti e dal Contareni nella loro Storia veneta, che noi ci risparmiamo quivi replicarla.
    Il Re di Francia vedendosi non potere far fronte in tutto e per tutto a si potente nemico pensò venire di novo in Italia come sprovista per la di lui milizie spedite nel di lui regno. Ne seguì l’effetto, venne nel milanese e si impadronì di vari luoghi, onde furono perciò necessitati li italiani richiamati venire alla diffesa di Lombardia col Duca di Borbone.
    Vedendosi il Papa in pericolo de suoi stati si collegò colla Francia ed Arigo Re d’Inghilterra e veneziani e rivolsero tutti l’arme contro Carlo V nella Lombardia per trarlo dallo stato di Milano adducendosi vari motivi, cui il principale fu per la troppa di lui grandezza, come ci avvisa la Cron. di Firenze scritta da Bernardo Segni, onde fu fatto generale della Lega pontificia il Duca Francesco di Urbino per la qual cosa Carlo di Borbone da tedeschi e cinque milla fanti spagnoli soldati vechi passò il Po nel cuore dell’inverno ed ebbe dalla Lega pontificia ora di fronte ora di coda, difficultà infinite, come ci narra l’accennato cronista.
    Giunto l’anno 1525 Papa Clemente VII, filio naturale di quel Giuliano Medici che fu ammazzato l’anno 1478 nel Duomo di Firenze da Francesco Pazzi, celebrò il giubileo per la settima volta. Sentendo li imperiali che il Re di Francia faceva grandi progressi si avvanzarono nella Lombardia e posto il campo sotto Pavia, si venne a battaglia nel dì 25 febbraro ove li svizzeri e tedeschi per la parte del Re si portarono in principio egregiamente ma, attacati dalli spagnoli, fu motivo che cominciarono a perdersi di coraggio.
    Ciò vedendo il Re entrò in battaglia vestito di sovraveste d’argento e colla sua cavallaria, come bon capitano, entrò in battaglia affrontando quelli che le venivano incontro, combattendo con sommo valore ammazò Fernando Castriota illustre capitano nel sangue delli antichi re di Macedonia, nel qual bollore fu anco ammazzato D. Ugo di Cardona, loco tenente del Marchese di Pescara. Si avvanzò la fanteria italiana ed in quel tempo furono strazziate due bandiere ed una portata via. Fu tanto il tumulto che restò vincitore l’esercito imperiale. Narrasi che le bandiere sudd. furono quelle che riportò il nostro capitano Bruni, delle quali se ne parla nella di lui Memoria onde accrebbe di riputazione.
    Siccome poi il Catasto delle Possidenze del comune di Castel S. Pietro fatto l’anno 1492 per la multiplicità de contratti dei terreni era divenuto assai confuso per le annotazioni in esso fatte a motivo di addossare le collette ai possessori mutati de terreni ed abbisognava di riffacimento, fu perciò dalla Comunità fatto rinnovare e fu scritto a mano con bellissimi caratteri e cifre da F. Nicola priore di S. Bartolomeo dell’ordine agostiniano in questo convento. Nelle lettere iniziale de possidenti nominati vi sono in molte la stema de medesimi come in quella de Rinieri, de Rondoni, de Ghirardacci.
    Le persone componenti il consilio sono le seguenti cioè Gio. Battista Fabbri Massaro, Ricardo de Ricardi compagno, Francesco Forni compagno, Matteo Comelli decano, Clemente Fiegna, Fioravante Tomba, Andrea Pirazzoli, Girolamo Cuzzani, Gaspare Gottardi, Lorenzo Dal Prà, Domenico Simbeni ed Antonio Corneta, li quali tutti sono descritti nel frontespicio ove sono dissegnati anco li protettori del paese e lo stemma della comunità nel di cui archivio si conserva in foglio Reale, l’uno e l’altro campione e le familie del paese possidenti in bon numero.
    Nella battaglia pred. fra li imperiali e francesi essendo rimasto prigioniero Francesco Secondo Re di Francia, fu convogliato sotto bona custodia e spedito nella fortezza di Madrid in Ispagna.
    Vacata la chiesa Arcipretale di Castel S. Pietro per la morte di D. Orfeo Rossi, già eletto arciprete nel 1492, fu conferita al di lui nipote Giulio Rossi, come ne appare dalle Bolle pontificie di Clemente VII, spedite nel dì 8 novembre, (Regest. 64. fol. 58. Arch. Vatic.)
    Li 19 decembre fu estratto Vicario di Castel S. Pietro Gio. Antonio del Saraceno per il primo semestre 1526 e fu anco creato dal Senato comissario con obligo di esercitare l’’ufficio personalmente e non per sostituto poiché, essendosi introdotto questo abuso di sostituire persone e vicegerenti nel ministero, accadevano molti disordini e la populazione declamava.
    Il Re di Francia , che trovavasi imprigionato a Madrid, si adoprò tanto che, lasciati li figli in ostaggio presso l’Imperatore e sotto diversi patti, fu liberato nel mese di marzo. Non si tosto fu in libertà che cominciò a machinare contro il med. facendo gente, per meglio colorare poi la sua codardia, scrisse di pugno poi all’Imperatore acciò li restituisca li figli e che lo scusasse se adunava gente poiché era così forzato fare da principi del suo regno.
    Mentre si trattavano queste cose in Francia e Spagna, Carlo V cominciò a prepararsi di gente facendo capitano generale il Duca Carlo di Borbone ribelle del Re Francesco, che in allora trovavasi in Ispagna, il quale mandò 8 milla fanti spagnoli a Napoli sotto il governo di Carlo da Lanoja vicerè.
    Poiché si diceva che il Papa voleva investire in quel regno un suo parente, per la qual cosa tutti li Principi d’Italia presero subito le armi e si rivoltarono alla Lombardia. Il Duca Carlo per tanto ancor esso mosse le sue genti per ribatterli.
    Antonio di Francesco Marescalchi alias Dalle Campane di Castel S. Pietro, funditore di metali e maestro in tal arte che trovavasi avere terreni presso la via corriera uniti alla fossa del Borgo da ponente, bramoso di estendersi ne medesimi e fabbricarsi una casa, suplicò il Senato a volerle concedere due pezzole di terra saldiva una delle quali fronteggiava la via sud. e l’altra superiormente adesivamente alla Viola del Lupo, osserendosi a fare manifatture per il Senato.
    Questi ascoltò la suplica e ne segnò la grazia, come ritroviamo esposto nel Libro de Partiti in questi termini: 1526. 29 agosto. Mastro Antonio di Francesco Marescalchi alias dalle Campane di Castel S. Pietro suplicò il Senato a donarle due pezzole di terra offerendosi dare al Comune di Bologna e formarle a pezzi o siano capi tormentorum igneorum pro armamentario, seu munitione eiusdem Comunis prout E.mus Vicelegato et Mag.f. D.D. Reformatori eos videtur et placuerit absque alla mercede magisteri sui et operum eius et adjiutorum …………………… et providetur de materia metalli et aliis necessaris.
    Quali pezze di terra sono una di meza tornatura posta in d. Borgo di Castel S. Pietro loco detto, le fosse del Borgo e l’altro pezzo di mezza tornatura in loco detto, la Viola del Lupo, che già fu parte della fossa del Borgo presso li eredi Ercolani.
    Mentre si facevano li sudd. movimenti d’armi nella Lombardia, D. Ugo de Moncada, movendosi da Napoli inconsideratamente, andò ad assaltar Roma col favore de colonesi, specialmente del card. Pompeo Colonna nimicissimo del Papa, fuoruscito che serviva l’Imperatore, ed entrati per la porta di S. Giovanni Laterano, malgrado de capitani papalini, scorse fino al palazzo apostolico saccheggiando senza ostacolo, onde il Papa confuso fuggì in Castel S. Angelo con alcuni chierici di camera fra quali eravi Giovanni di Baldiserra Rota di Castel S. Pietro che mai l’abbandonò e ne fu poi riconoscente.
    Ciò fattosi il Moncada fu chiamato dal Papa e con esso concertossi una tregua per quattro mesi con patto che li colonesi partissero di Roma ed il Papa ritirasse le genti della Lega sotto Milano di qua dal Po. L’Imperatore però pensando non doversi quietare a questo scrisse a Ferdinando suo fratello che le spedisse 10 milla tedeschi in favore del Duca Borbone suo capitano generale in Italia il quale non stette molto a mandarli, poiché giunsero alla fine dell’anno alla volta di Milano.
    Quivi, patendo molti disagi, Borbone pensò spedirli nel bolognese e così vendicarsi come nemico del Papa, tanto effettuò poiché si era protratta per altri otto mesi la tregua fra il Papa e li imperiali. Li bolognesi non vi ostarono, ma giunto Borbone nel contado con 40 milla persone fra imperiali, tedeschi e spagnoli cominciò nel seguente marzo 1527 a saccheggiare e bruggiare terre, case, chiese e fare mille mali infiniti non lasciandovi loco né sacro che egli, come eretico che era, non gustasse e contaminasse.
    Passò alla metà del mese a Castel S. Pietro, la prima cosa che egli fece piantò due bombarde contro la porta maggiore del Castello e canonandola sfasciolle la seraglia e li cancelli, ne piantò altre due contro la porta e Cassero della Rocca, ruinando li palancati e caselle, poi entrato nella terra mandò alquanti de suoi guastatori al novello Ospizio de Frati di S. Francesco e ruinò un pezzo della chiesa ed abitazione, mandò indi alla torre delle campane e ruinolla in parte col asportarsi li metalli maggiori. Spogliò li agostiniani, sforzò le persone ad abbandonare le loro abitazioni, poi passando alla campagna fece cativi alcuni villani ostinati che non vollero fuggirsi alle montagne. Incendiò fenili e ruinarono le sue truppe alquante case nel paese. Furono condotte via citelle e spogliate le chiese delli aredi più preziosi. Quanti viveri ritrovarono e munizioni da guerra furono portate via ed il castellano e comissario abbandonarono la terra per assicurarsi la vita in tanto rumore.
    Passarono indi li suoi guerieri a Liano, Casalecchio e vicini castelli a quali smantelò tutti li ingressi ed il primo saluto che dava a medesimi erano bombardate, ove ritrovava ressistenza spianava e guastava fino a fondamenti que’ luoghi in guisa che danneggiò il contado per più di duecento milla scudi.
    Passò nella vicina Romagna ma per poco di dove ritornandosi fra non molto per la parte di Bologna drizzò il viaggio a Roma valicando le alpi. Ciò sentito il Papa si ritirò in S. Angiolo co’ cardinali ed altri prelati. Burbone furibondo avvanzandosi sotto la città li diede l’assalto ma le fu funesto per cui ferito a morte nel tumulto non andò guari che terminò la vita.
    Per tale avvenimento li di lui soldati senza freno entrati in Roma la saccheggiarono e commisero infiniti mali, non la perdonando né a chiese né a reliquie e nemeno alle vergini sacre a Dio per la libidine. Il sacco fu considerato di quindici milioni di scudi. Fu assediato il Papa sucessivamente in Castel S. Angiolo, si facevano per ciò orazioni da pertutto.
    Questa vicenda lagrimevole diede occasione anco a patrioti di insolentire e farsi più audaci nelle loro iniquità. Così accadde nel nostro Castello e suo vicariato per la qual cosa Antonio Maria Gozadini, affinchè fosse assicurato il luogo, fece ricorso al Senato onde essere creato comissario del paese per così dar mano al di lui filio estratto Vicario del nostro Castello, come riscontrasi dalla seguente concessione del Senato senza indicarci il nome dello stesso Vicario in questi termini cioè: Adì 7 agosto essendo bisognoso il vicariato di Castel S. Pietro di ottima custodia, ut preserveratur a facinorosorum manibus at Antonius M.ra Gozadinus cuis filius sorte ductus fuit in vicariat. d. loci, petiit se creari in Comissarium, per tutto il presente semestre, fu accettato col peso di donare una candela di meza libra alla B. V. di Galiera.
    Il Papa, che era asediato in Castel S. Angiolo riddotto a miseria, uscì il mese di decembre travestito da prete e si ridusse ad Orvieto accompagnato da Luigi Gonzaga capitano de cavalli francesi.
    Doppo la presa di Roma non ritardò Dio a punire quelli empi soldati poiché cominciò la pestilenza a cagione del gran puzzo di morti e per la fame che affliggeva lo stato pontificio vendendosi il grano a caro prezzo onde morirono di fame le genti.
    Fra la città e il contado perirono più di 30 milla persone per la qual cosa furono raccolti molti fanciulli e fanciulle in Bologna e anco nel contado acciò non perissero di fame nelle strade. Il Senato poi impose una gravezza ad ogni fornaro e scassiero cioè che pagassero in avvenire perpetuamente per ogni corba di formenti che comprassero un bolognino d’argento il quale si chiamò il Bolognino del Morto, ciò si fece ad effetto se venisse alcun altra pestilenza vi fosse una cassa per sovenire la povertà, il qual bolognino poi viene bonificato ai fornari nello spiano del grano al calmiere.
    L’anno seguente 1528 il Lutrech sentito il Papa in sicuro di vita venne in Lombardia colli aleati ed indi a Bologna. Il Duca Lodovico Conte di Vaidimonte generale de tedeschi nella Lega eclesiatica venne a Castel S. Pietro il giorno X di genaro e non andarono giorni che venne ad unirsi seco il Lutrech nella Romagna per andare in Puglia. Mentre si facevano queste cose in Italia parve tempo opportuno a Solimano sultano della Turchia invadere li stati dell’Ungaria che era in poco diffesa, onde mosse un forte esercito e, pigliati li passi, si avanzò a Buda che in poco l’ebbe.
    Liberato il Papa e sua corte colla taglia di cinquecento milla scudi, seguì fra non molto la pace moltopiù perché Solimano si avvanzava a danni della Christianità ed approfittavasi della discordia del Christianesimo, quindi perciò seguì la firmata pace fra l’Imperatore ed il Re Francesco e nel successivo anno 1529 furono licenziate tutte le milizie che erano nel napoletano onde cominciossi a riposare dalli comuni travagli che, per il continuo passaggio di truppe e sconvolgimenti nazionali, si soffrivano. Non sapiamo perciò chi fosse il Massaro e Vicario nostro.
    In seguito l’Imperatore venne in persona in Italia per confermarsi la grazia ed amicizia de novelli amici e per ricavare la corona e ed il scetro imperiale dal Papa, che a motivo delle vicende passate non aveva per anco ricevuto dopo essere stato creato Imperatore.
    Fu stabilita perciò la città di Bologna ove celebrare la sua coronazione, cominciaronsi perciò ad assettare le strade nel bolognese.
    Li 17 marzo Antonio Campana da Castel S. Pietro, che era il bombardiere e caricatore della bombarda del Senato, chiese al med. di essere esentato dalle colette delle date pezzole di terra che le erano state concesse nella guardia del Castello, le quali erano parte della fossa del Borgo già interita, per lo che il Senato vi aderì colla condizione di servire lo Regimento gratis ai bisogni del med., la qual grazia fosse anco confirmata nel dì 16 aprile (Carat. T. 9. Part. fol. 113)
    Bartolomeo qd. Christoforo Rota di Castel S. Pietro, a contemplazione del chierico di Camera pontificia Giovanni Rota di lui congiunto, li 8 giugno in lunedì fu creato cittadino di Bologna, il med. faceva lo speciale con Bolognino di Luca Landinelli di lui genero in Castel S. Pietro.
    La Comunità di Castel S. Pietro la quale si governava ora democraticamente ed ora aristocraticamente onde nascevano delli disordini, ad ovviare per tanto a med. fu ricorso al Vicelegato Uberto Gambara quale, riconosciuta giusta la contingenza, egli nel dì 6 lulio le formò alcune leggi per il bon governo, le quali furono registrate poscia nel Registro grande delli Diversi della cancelleria del Senato e così furono acettate ed il Senato nel dì 16 dello stesso mese confirmò la rifforma del Consilio che fu ridotto al N. di 24 consilieri e poi di XVI come si rileva dalli atti e consulti comunicativi che durarono fino al 1713, come a suo loco abbiamo notato.
    Nel dì 24 ottobre poi passò dalla Romagna a Castel S. Pietro per andarsene a Bologna Clemente VII con 28 cardinali, molti vescovi, prelati e sua corte nella quale eravi il nostro chierico Giovanni Rota alla cui petizione, fermatosi il pontefice nel Borgo in faccia al Castello presso la chiesa della SS. Annunziata, diede quivi la Papale benedizione alla populazione ed al paese per la quale ne fu segnata la memoria in tre esametri nella parete di quella chiesa li quali per la lunghezza del tempo furono perduti. Conferma ci lasciò scritto il P. Vanti che erano li seguenti cioè:
    Annis millenis quingentis atque viginti
    Novem, Felsineam Clemens, hic, septimus urbem
    Dum repetit, Castrum et Burgum Benedixit et Arces
    IX Kal. Novembris
    Fu incontrato solennemente da bolognesi e chieresia. Giunto il Papa a Bologna non tardò molto a seguirlo Carlo V quale il dì 5 novembre per la parte di Lombardia arrivò in Bologna con moltitudine di Principi e Signori.
    Li 10 novembre vacò la chiesa arcipretale di Castel S. Pietro per rinoncia fatta da D. Orfeo Rossi a D. Sebastiano Scarpa al quale fu data la conferma per Bolla pontificia nel dì 29 decembre data in Roma ( Regest. 112, fol. 284. Nona Calen. Januari)
    Terminata poi la fabbrica dell’oratorio della Compagnia di S. Cattarina, bramosa la med. di potere ascoltare in essa la S. Messa, ricorse al card. Lorenzo Campeggi vescovo di Bologna acciò le concedesse la facoltà tenere un sacerdote o prete o frate per ivi celebrarvi il S. Sagrificio. Ascoltò il bon prelato la suplica e nel dì 18 genaro ne segnò il decreto per li atti di Francesco Matessilani Not. vescovile.
    1530, chi fosse Massaro e Podestà in questo anno non ci è riescito iscoprirlo.
    Essendo poi in Bologna Carlo V per essere coronato Imperatore, se ne fece la solenne funzione nel dì 24 febraro giorno per esso sempre felicissimo essendo in tale giornata nato ed ottenute sempre segnalate vittorie.
    Apparecchiate per tanto tutte le cose necessarie in questa cerimonia in S. Petronio il Papa cantò messa servita dall’Imperatore in vestito sacro all’altare.
    La funzione consistette che: Fatta orazione solenne il Papa sotto il Trono, il novello Imperatore genuflesso avanti quello ricevette il scetro d’oro col quale relligiosamente comandasse alle genti, poi la spada ignuda colla quale perseguitasse li nemici del nome X.tiano, indi il pomo d’oro per figurare il mondo, acciò con singulare e parì pietà, virtù e costanza lo reggesse. Finalmente, prendendo la imperiale corona in mano, che era divisa in due parti fornite di richissime gioje, glie la pose in capo ed egli relligiosamente inchinandosi e baciandole il piede adorò il Papa, poscia avendo indosso il manto ricco di perle e gioje fu menato alla sinistra del Papa in loco più basso a sedere non molto lungi in una sedia di broccato e fu indi chiamato Imperatore romano di anni 30.
    Erano allora nella piazza per fronte alla chiesa di S. Petronio tutte le fantarie e cavallarie di Antonio di Leiva armate, le quali attendevano che venisse fuori la voce che l’Imperatore era stato coronato, dove che tosto pubblicata si sentì gridare: Viva Carlo V invittissimo e potentissimo Imperatore e diffensore della fede.
    In tale frattempo Antonio Leiva fece sparare tutta l’artiliaria grossa, minuta e moschetteria in modo che a quel terribile strepito, colle grida, suono di tamburi e tutte le campane sembrava che il cielo cadesse e la terra fosse fuori de suoi cardini.
    Finita la messa il Papa andò a Palazzo e l’imperatore a S. Domenico. Non mancarono le castella e fortezze del territorio corrispondere a tanto giubilo col fare esse pure allegrezze e darsi foco alle bombarde nelle Roche.
    In Castel S. Pietro Baldisserra Rota, padre di Giovanni chierico di Camera, non mancò di contestarne la sua gioja colla dispensa di pane e vino alla plebe. Ercole Bruni, padre dell’egregio capitano Annibale, e Virgilio Pirazzoli, ancor esso capitano di ventura, manifestarono l’allegrezza loro col fare eseguire ai soldati del paese il suono de moschetti e mortali alle porte del castello e colle spingarde della armeria locale del Conte Ramazzotto, che passò dappoi per eredità alli Marchesi Locatelli.
    Non bastò alli sud. Bruni e Pirazzoli questa profana esaltazione che passarono a renderne grazie al Signore imperciochè, essendo entrambi confratelli della compagnia di S. Cattarina, vollero nel dì 27 febraro giorno seguente di domenica farne nel novo oratorio eseguire la prima solenne messa e dappoi intonarsi dal clero il salmo davidico 97 Jubilate in conspectu Regis al terminare del quale seguì lo sbarro di molti fucili.
    Fra non molto poi nel seguente marzo partì Carlo V da Bologna per la Lombardia e Clemente settimo se ne ritornò a Roma passando nel dì 21 marzo da Castel S. Pietro.
    Nel mentre che il Papa era a Bologna Francesco Dalbambo presentò memoriale al med. esponendole che li uomini di Castel S. Pietro occupavano molti beni sogetti ad un fideicomisso Dal Bambo al quale esso era chiamato e che essi uomini per eludere la disposizione avevano assoggettati d. beni all’emfiteusi della chiesa di S. Giacomo e Filippo al ponte del Silaro, che però si degnasse diffinire. Egli deputò per tale causa il Vicario generale di Bologna il quale rescisse favorevolmente ed alli atti di Francesco Maltessilani fu portata la causa.
    Partito il Papa da Bologna fu nella fine di giugno promosso alla podestaria di Castel S. Pietro per il S. semestre Antonio Boateri e alla massaria Camillo Dal Prato come rilevasi dalli atti giudiciali della podestaria locale e per il venturo anno poi 1531 fu estratto Massaro, a norma de novi Capitoli, Giovanni Rinieri. Intraprese egli il suo governo nel primo giorno di genaro 1531. Chi fosse Podestà non lo ritroviamo sino nell’elenco levato dall’archivio publico.
    Antonio Ghirardacci e ser Andrea Ghirardaccio padre dell’istorico F. Cherubino Ghirardaccio dell’ordine eremitano, nazionale di Castel S. Pietro, avendo ottenuta la cittadinanza di Bologna nel dì 29 lulio anno scorso partirono dal paese e stabilironsi in città di d’onde poi F. Cherubino si chiamò da Bologna ma non per questo restò Castel S. Pietro privo di altre familie dello stesso casato.
    Troviamo nei rogiti di quest’anno come dell’anno scorso di Francesco Maltessilani eravi una capellania e beneficio laicale sotto l’invocazione di S. Girolamo di cui ne era rettore D. Marc’Antonio Comelli, ma non ritroviamo l’origine. Egli è certo che era questo beneficio laicale in addietro eretto in questa parochiale all’altare maggiore, poiché nella tavola di quello stavvi dipinto per mano del Sacchi il santo tutelare, onde non sappiamo nemeno il fondatore per mancanza di carte e memorie, vero si è che in appresso dovette restare incorporato, come tanti altri benefici, nel beneficio parochiale.
    Il Campione delli estimi del territorio di Castel S. Pietro, avendo bisogno di ristoro per la mutazione delle corisposte, fu rinovato per mano di F. Nicola da Bologna priore del convento di S. Bartolomeo di questo loco, in esso con bellissimo carattere di questi tempi si riscontrano tutti li estimi reali e personali, gravezze delle possessioni, soci e bovi che si trovavano in allora.
    Erano pubblici rappresentanti li seguenti cioè Giovanni Riniero Massaro, Tomaso Lasi, Anibale Bruni, Benedetto Topi, Luca Landini, Antonio di Domenico Fabbri, Giovanni Dalla Muzza, Battista Rondoni, ser Francesco Comelli, Lodovico Ricardi, Orazio Barbieri, Domenico di Francesco Dalsarto, Matteo di Biagio Baldazzi e Matteo Andrini. Su questo esempio troviamo nell’archivio parochiale cominciarsi a segnare il nome de nascenti battezati in una picola vachetta di pergamena col titolo: Memoriale Baptizatorum, il quale prossiegue fino in agosto 1537 onde per ciò poco si rileva in esso e niuna cosa abbiamo in esso degna di memoria.
    Perché il Turco faceva grandi progressi contro il Christianesimo li 12 marzo fu pubblicata in Bologna e suo contado la crociata contro quello che moveva a danni della Ungaria, minacciando venire sotto Viena colle truppe in N. di trecento milla combattenti e trenta milla guastatori, per la qual cosa si fecero da per tutto solenni processioni di penitenza. Fu fatta in seguito una Lega fra veneziani, spagnoli, italiani ed imperiali, si assoldarono molti capitani de più bravi d’Italia e stati pontifici.
    Passò fra questi Anibale Bruni con molti di Castel S. Pietro nel regimento del Marchese Dulvasto ed andarono tutti nell’Austria a spese del Papa ed indi alle vicinanze di Belgrado ove Solimano drizzava il viaggio, per la qual cosa pensò l’Imperatore da buon principe portarsi in persona a quella impresa. Quindi, avendolo preceduto la compagnia italiana speditale in appresso da Clemente VII, arrivò a Viena ove divise le sue genti in tre campi aspettando quivi il nemico. Ma avuta la nova che li boemi da una parte e li tedeschi dall’altra facevano gran danno a turchi e che avevano preso li passi, si ritirò con una parte del suo esercito di 15 milla uomini che aveva diretto inverso Viena contro il Turco ma fu tardi. Ciò non ostante diviso in due schiere l’esercito assalendo li turchi, furono tagliati tutti a pezzi.
    A tal nova sbigotito Solimano si diede alla fuga la quale inseguendo li nostri italiani per la Norea li cacciarono a Belgrado. In questa battaglia eravi Anibale Bruni, secondo ci lasciò scritto il P. Vanti ,al quale fu affidata una valorosa brigata di papalini, erano con Anibale Nicola Fereri detto Guastamondo, Ercolesse Pirazzoli, Marc’Antonio Bandini, Francesco Comello detto il Bizarro, Domenico Zogoli detto Barbone, Tono Balduzzi, N. N. Campana e Rondone Rondoni tutti di Castel S. Pietro.
    L’imperatore vedendo che Solimano si era ritirato e non aveva volsuto far giornata, approssimandosi l’inverno, deliberò tornarsi in Italia come seguì facendo la via di Vinegia.
    Entrato poi l’anno 1532 fu eletto per Podestà del primo semestre Antonio Gozadini, fu Massaro Pietro Frassini. Le loro cariche a chi fossero conferite per il secondo semestre non ne abbiamo memoria.
    Il Papa che vedeva essere ripartite molte terre e castella del contado a diverse familie nobili bolognesi fino al tempo di Sisto V e confirmate con titolo di contee da Leone X alle med. per lo che accadeva benespesso contrasti col Senato a motivo del governo, per suo particolar Breve, segnato li 20 genaro, rivocò et abbolì tali contee che erano distribuite a queste familie cioè Castelli, Isolani, Piatesi, Caldarini, Bargellini, Felicini, Gozadini ed altre, le quali tutte vengono indicate nella Cron. di Alamanno Bianchetti e del Pasi e così alle d. familie restò il solo titolo.
    Le ore delli orologi, che per l’addietro fino a questo tempo suonavano a numero fino a 24 colpi, cominciarono in quest’anno a suonarsi a sei a sei per la città e contado.
    Clamente VII amava grandemente Giovanni Rota chierico di camera onde volendolo gratificare e con lustro prima di ritornarsene a Bologna, attesa la morte di Lodovica Rossi concessionaria vitalizia dell’uso ed abitazione della torre del nostro Castello come si scrisse nel 1521, donò la med. torre al d. Giovanni come si ha dal Breve segnato nel giorno 4 ottobre comunicatoci dal nobil uomo sig. Sen. Giuseppe Malvasia che è il seguente:
    Clemens Papa VII. Dilecto fili, salutem et apostolicam benedictionem. Volentes tibi, qui parafrenarius et familiaris contiarus noster existis et grata familiaritatis obsequia que nobis hactemos inpendisti et adhuc solliecitas inpandare non desistis, nec n. devotionem et fidem que erga Nos et fedem apostolicum gerit specialem gratia facere.
    Turim sitam juxta portam Castri nostri S. Petri bononien. diecesis cum claustro et aliis suis juribus et pertinentiis et circumstantiis universis ad Nos et Camera apostolica spectant et pertinent tibi (…), tuisque heredibus et sucessoribus quibuscumque, in perpetuum pleno jure auctoritate apostolica tenere presentium donamus, concedimus et elargimus, ita ut in illius jurium et pertinentiarum ac circumstantiarum creporalem , realem et actualem possessionem propria ahthoritate accipere possis et de cetere tu quod tui heredes et suecessores d. turrim cum juribus, , pertinentiis et circumstantiis suisdem abitare, locare illamque reparare, instaurare et redificare omniaque alia et singula que vari pleno jure de coram arbus propriis facere possunt et ea facere et tam inter vivos, qua et in ultima voluntate disponere possis libere et licite valeas. Mandatos dilectis f. Legato et Vicelegato sive Gubernator Civitatis nostris Bononie et in eadem Civitate Tesaurario nostro nec non confalonerio et quadraginta octo Regiminis eisdem Civitatis, aliisq. ad quos spectat ne eorum cuilibet ut de in d. turris et illius jurium, pertinentiarum ac circumstantiarum eius… corporalem realem et actualem possessionem auctoritate nostra immittant, immissanque manteneant et deffendant, non obstantibus constitutionibus et ordinationibus apostolicis ac d. Civitatis Statutis et consuetudinibus et juramento, confirmatione apostolica vel quavis firmitate alia roboratis privilegiis quoque, indultis et litteris apostolicis eidem Civitati et castri forsan permissa concessis, confirmatis quibus omnibus illarum, tenores presentibus pro sufficienter expressis habent illis alias in suo Robore que mansuris, hac vice dumtaxat harum serie specialit. et expresse derogamus, ceterisque contrariis quibuscumque.
    Datum Rome apud S. Petrum sub annulo Piscatoris. Die 4 Octobris 1532 Pontificatus nostri anno nono. V. Regien. Foris Dilecto filio Jo. de Roris Clerico Castri S. Petri Bononien. Diecesis Parafrenario et familiari nostro.
    In questo documento si rileva quanto abbia favoleggiato il P. Gian Lorenzo Vanti nel suo viaggio a Lisbona e luoghi santi allorchè scrisse che questa torre era stata donata dal pontefice a certa Madonna Rizza affinchè collocasse alcune sue figlie nubili onde fosse poi detta, la Torre de Madonne e Zia Rizza. Egli è ben vero che nel 1616 certa Rizza Garetti esercitava nell’affittare presso questa torre, che serviva di Roca piccola al Castello, l’arte di ostessa e magaziniera di vino come si legge in scrittura autentica presso di noi fatta nel dì 20 novembre 1616 nella quale essa si chiama debitrice a Francesco Cuzzani di lire 675 per Corbe N. 25 Vino, onde perciò crediamo che il P. Vanti ed altri che su questa torre hanno scritto abbiano confuso la pertinenza del fondo con la locazione e tanto deve bastare a chi legge e tallora compatire li scrittori che prestano fede alla tradizione delle persone, la quale ben di spesso è adombrata, mutilata ed alterata.
    Perché poi il Turco non dessisteva di offendere la X.stianità nelli confini dell’Austria, fu di mestieri che l’Imperatore concertasse più cose col Papa. A questo effetto concordarono un abboccamento a Bologna, quindi venuto Clemente VII a Faenza da Roma, mandò nel dì 6 avviso a bolognesi che stessero preparati che egli veniva a Bologna co’ XVIII cardinali ed altri prelati onde nel giorno 8, festa della Concezione, venne a Castel S. Pietro sull’ora del meridio e passò dirittivamente sopra una chinea bianca a Bologna. Non tardò molto a seguirlo Carlo V che seco aveva molti Signori e soldatesche che fece star fuori di Bologna e ciò seguì nel giorno XIII dello stesso mese.
    Naque in quest’anno Orazio Samachini in Castel S. Pietro, fu filio di Domenico di Pietro Samachini, il di lui padre prese fra non molto la cittadinanza di Bologna, ove si portò colla sua familia il che si riferirà a suo loco. Fu celebre pittore a suoi giorni le cui opere, che al pubblico si vedono e si ritrovano nel privato, lo distinguono per eccellente penello. Fu maestro nell’arte e le notizie che ci ha comunicate il cavalier Carati estratte dalli archivi della città ci riferiscono che fu matricolato nell’Arte de bombasari e pittori nell’anno 1571 e morì nel 1577 in età di anni 45. Niun pittore si matricolava se non era dall’arte dichiarato maestro, onde non poteva aprire studio.
    Nel seguente 1533 doppo avere avuti molti congressi Carlo V col Papa, alla fine fu concluso la Lega fra entrambi ed unione con tutti li altri principi di Italia per altri sei mesi, esclusi li veneziani e ciò all’oggetto che l’Imperatore attendesse alla guerra col Turco nell’Ungaria, deliberandosi assoldar gente a spese comuni secondo la vecchia convenzione, constituendo Capitano Generale di tutta l’armata d’Italia Antonio da Lera. Ciò fatto partì Carlo V all’ultimo di febraro e Clemente VII alli 3 marzo di Bologna ritornandosene alla Romagna per questa via consolare. Il Papa fece poi Generale dell’armi eclesiatiche Pier Luigi Farnese Duca di Castro.
    La Compagnia di S. Cattarina avendo edificato il suo Oratorio e chiesa a fianco della quale eravi un guasto di edifici di Matteo Ronciani, Giangiacomo Dalla Rosa, Christoforo Rondoni ove si facevano malefici e disturbavano le funzioni sacre furono comprate dalla compagnia nel giorno 11 agosto per rogito di ser Francesco Comelli e ser Battista Ballotta not. et edificandovi sopra un contorno di mura fu levata ogni occasione di disordini.
    Nell’anno poi che seguì 1534 la causa che agitavasi fra li Uomini della Comunità da una parte e Francesco Dal Bambo dall’altra alli atti di Francesco Matessilani fu spedita a favore di Francesco Dal Bambo il quale condannò la Comunità non solo nella restituzione de beni controversi, ma anco alla reintegrazione de frutti percetti dall’anno 1496 fino a questa epoca.
    Apellò la Comunità per li atti di Ercole Silvestri avvanti il Prolegato ma non andò molto che le parti si aquietarono.
    Li 25 settembre morì Papa Clemente VII e non andarono molti giorni che fu creato Papa il card. Alessandro Farnese d’anni 70 che nel dì 12 ottobre prese il nome di Paolo III. La città di Bologna per tale elezione mutò governo, poiché partendosi Francesco Guicciardini fiorentino colla moglie e figlioli , uomo erudito e scientifico, che ne era il governatore, ne venne in di lui posto Benedetto Bontempi col nome di Luogotenente il quale stette brevissimo tempo onde nel dì 12 novembre venne col nome di Vicelegato Giovan Maria Dalmonte, per che continuava la legazione ancora del card. Innocenzo Cibò. Respirò la città e contado di Bologna alla partenza del Guicciardino, che quanto era uomo letterato altrettanto era austero, rigido e per ciò malveduto. Egli fu l’unico che da pontefici fosse mandato al governo di Bologna.
    Resasi vacante questa chiesa arcipretale di Castel S. Pietro per la morte di D. Orfeo Rossi, la Comunità di Castel S. Pietro a cui spettava la presentazione del novello paroco presentò al Capitolo di Bologna D. Agostino Comelli nel dì 13 corrente novembre ma il Capitolo non attese la presentazione e nominato D. Leone Leonori fu a questo conferita la chiesa per rogito di Girolamo Cattani. La Comunità che si sentì lesa ricorse alli atti giudiciali per l’officio dello stesso notaio Cattani facendo esaminare testimoni sopra il di lei diritto, agitandosi la causa avvanti il Vicelegato Vincenzo Gambara il quale, perché la chiesa non restasse intanto sprovvista del suo capo locale, conferì la med. con autorità apostolica al di lui segretario Vincenzo Bovi colla deroga al Jus patronato per questa volta solo. Tanto abbiamo dalli atti del d. notaio alla filcia 21. divers. N. 3 Archiv. Masini ed nell’archivio della Comunità avvi ne documenti della chiesa la seguente memoria: Die 13 novembris 1534. Presentatio Parocchian. C. S. Petri coram Capitolo R. D. magist. Augustini de Comellis per mortem D. Orphei de Ribeis Capitulum contulit D. Leoni de Leonoribus at confirmatio Capituli d. D. Leonis per obitum supradicti D. de Rubeis ad presentationem parochian. ex Rog. Hieronimi de Cattaneis. De hoc anno facta fuit pro.ra et examinati sex testes qui probant Jura Comunitatis Castri S. Petri. Dicta die collatio auctoritate apostolica per Vicelegatum Bononie D. Vincentio de Bovis eius segretario cum de rogatione Juris Patronatus Parochian. pro hac vice.
    Simile annotazione si ha in un elenco de parochi nell’archivio di questa parochiale che l’hanno governata e quantunque conosciamo li errori di latinità e termini che saranno figli di un amanuense poco pratico noi li abbiamo così trascritti per non alterare né mutilare il documento lasciando al lettore il discapriccio di tutto.
    Nelle carte dell’archivio pubblico e cronache ritroviamo che fino a questo anno li Castellani dovevano rissiedere come facevano nelle respettive Roche, l’ultimo de quali fu per Castel S. Pietro Vincenzo Orsi che nel dì 4 genaro per Breve di Paolo III fu confirmato in Castellano della Roca grande (rissulta nel 1535. Arch. Segreto Senat. Lib. 26 Q fol 145. il documento).
    Ariadeno Barbarossa rinegato essendosi collegato con Solimano Turco ed avvanzatosi nei stati dell’Austria, prese Tunesi e la Goletta ed inoltratosi a danni del Christianesimo fu costretto l’Imperatore Carlo V assoldare molta gente e capitani italiani, quali avvanzatisi co’ tedeschi e collegati in quest’anno lo rupero e gli levarono Tunesi. In questa spedizione fu arrolato il nostro Anibale Bruni che fu l’ultima campagna che egli fece le di cui gesta riferiremo al fine di sua vita nel 1555.
    Volendo il Vicelegato Gio. Maria Delmonte provedere alla giudicatura delle cause civili di Bologna per li grandi assordi che vi erano, ordinò, colla approvazione del Papa, un Consilio di cinque legali forestieri che fu detto poi la Rota, susseguentemente provide al Criminale il quale fu levato di mano ai Civici bolognesi et alli Giudicenti del contado, li quali avevano facoltà anco di punire fino alla pena capitale.
    Divenuto poi paroco di questa chiesa plebana D. Vincenzo Bovi la prima cosa che egli fece fu di ordinare alla Comunità la ristaurazione di tutte quelle cellette dette comunemente maestà, che erano edificate sul suolo pubblico nelle vie maestre, come rilleviamo dai libri de mandati e spese annuali della Comunità nel di lei archivio. In queste ritroviamo la maestà della Crocetta che era quasi sul mezo della via romana poco distante dal Borgo in faccia la via cupa che porta a Poggio, la quale per servire di intoppo a viandanti è stata abbolita a nostri giorni e solo resta ai vicini terreni il nome di Crocetta. La maestà, che più non esiste e levata pure a giorni nostri, era ove esiste un picolo pilastro ben formato nell’angolo della via circondaria la fossa del Castello, nella via che porta al canale in faccia al palazzo Vachi nel Borgo. La maestà d. di Virgilio Dalforte nella via che porta a Medicina ora detta di S. Carlo, fuori del Borgo. La maestà detta della Sega, la maestà di Poggio, alla quale fra non molto fu sostituita a spesa comunitativa ed offerte la chiesa della B. V. di Poggio, come abbiamo de pubblici rogiti, che per l’apparizione luminosa ad Antonia Bandini rimarà sempre ai secoli venturi chiara. La maestà finalmente esistente nell’angolo della imboccatura della strada publica che dalla romana si dirama e porta a Castel Guelfo detta la Madonina di Carnone, dedicata a S. Maria Lauretana, fronteggiante li beni Ercolani a mattina.
    E come che la facoltà giudiciaria ed autorità del Giudice civile di Castel S. Pietro era di lieve momento e però faceva mestieri ampliare la sua giurisdizione e podestà, fu fatto ricorso al Senato onde a ciò provedesse anco per che li estratti a questo ministero venissero in loco a rendere ragione e per altri motivi onde erano forzati li poveri territoriali portare, con loro grave dispendio, le sue cause alla città in mano a legali le di cui spese assorbivano l’interesse privato delle persone. Il Senato riconosciuta la verità del fatto provide al disordine, ampliò la giurisdizione, acrebbe il salario mensile alli Podestà estratti e concesse a medesimi la facoltà di esercitare la Pretura conforme le altre del contado ed eccone il decreto estratto dal Libro de Partiti:
    1. Genaro Lunedì. Censentes Patres conscripti Castrum S. Petri quod in via Flaminia est requirere Juridictionem majoris auctoritatis et potestatis, decraverunt per omnes XXXII fabas albas in prima sortione faciendi pro primo semestri anni sequen. 1537 et reliquis duinceps omnibus in perpetuum eius administralis a Vicariatu ad Preturam et, ut vulgo dicitur Potestariam, transferantur ac ut qui forte extractus fuerit eius Opidi Pretor pro salario suo capiat mensibus singulis libras Bonon. quinquaginta eis solvens modo et ordine quo solventur etiam ceteris Pretoribus Juridictionis Bononie salaria sua, eamdem vero facultatem habeant et auctoritatem, quam ceteri territori ei jurisdictionis Bononie Preture et eius jurisdictio ceteri datur etiam ad in. cta Oppida que eidem Preture subjecta esse valuerunt et jusserunt videst Lianum, Ozanum, Varignanam et Castrum Britorum cum Villis et comunibus suis. Sortes vera a loculo renoveatur in eorum loco reponantur digniora et ad preturam eam gerendam magis idoneam persona nomina.
      Non si comprende da questo S. C. come si enunzi la elevazione della dignità di Vicario alla Pretura quandoche abbiamo da altri precedenti documenti e prove che l’estratto per Castel S. Pietro alla Giusdicenza chiamavasi anco preventivamente Podestà come si vedeva anco inciso nelle memorie confitte nelle pareti della ressidenza pubblica in queste parole: Pretor pro primis, Pretor pro secundis e non Vicarius. La sommessione poi di Liano, Ozano, Varignana e Castel de Britti, si sa che questi luoghi erano sogetti ad un estratto particolare ed erano Vicariati.
      Abbisognoso il nostro Castello di nova rifforma nel governo comunitativo fu fatto ricorso al Senato acciò provedesse ancora a questo e difatti nello stesso mese si fece una Rifforma come abbiamo nel seguente decreto:
  2. 26 Genaro, Sabbato. Cum Castri S. Pertri Consilium multis de causis constituendum et refformandum est cum vera costitutionem et refformationem per spectatos vires collegas suos Antonium M. Campeggium, Astorgium Voltajum, Co. Nicolaum Lodovisium, Julium Cesarem Guidotam, quibus id negotii nominatim dederunt faciundum curaverint in consilium adlegerint, et eis certas Leges dederint, eam electionem et legem conferiptam hoc Senat. Cons. per fabs omnes XXVIII facte conpre burunt et in pubblicos commentarios debere censfererunt, et nove legi et constitutioni et Legum omnibus Capitibus juxta modem et formam relata in XL Vires et desciptionem in libro cui maxime in qua huj.di constitutiones seu refformationes sunt descripte (Carat. T. 9 fol. 88)
    Li 15 febraro Vincenzo Fabbri ottenne la cittadinanza di Bologna.
    Avendo nimistà mortale Filippo Strozzi fiorentino con Cosimo Medici, fu cacciato il primo colli suoi aderenti e partitanti che intendevano al primato di Firenze, per la qual cosa inseguiti si venne fra l’una e l’altra parte alle armi a Monte Murlo e furono battuti li strozzeschi. Fra li partitanti di Filippo eravi domenico Bartolucci, quale vedendo la mala parte se ne fuggì colla familia nel bolognese tenendo la strada dalla parte di Sassilione ed indi si stabilì in Castel S. Pietro, di tanto ci ha fatto con documenti legali constare il dott. Anibale Bartolucci medico nazionale di questo loco, della di cui familia ne sono derivati uomini illustri che alla sua epoca riferiremo.
    Usavasi in questo tempo quando si portavano fanciulli al sacro fonte per battizarli presentarsi alla chiesa con picole porzioni di sale all’effetto di eseguire le funzioni eclesiastiche colla candela, per la qual cosa quando si portavano esposti al luogo pio le appendevano al collo un picolo sachettino di sale per denotare che il nascente non era battizato. Accadde per ciò in quest’anno che di primavera furono portati cinque neonati spuri provenienti di Romagna alla Rota ed Ospitale di S. Cattarina nel Borgo del nostro Castello, li quali in un sol punto furono ivi col d. segnale esposti, accortosi di ciò il custode di quel loco pio, dato l’avviso al Massaro si cominciò tosto a battere campana onde il popolo riconoscendo che l’uso del sachettino era romagnolo, si diedero alcuni ad inseguire li malfattori col Massaro, ma avanzatisi nella strada ritrovarono li malfattori che spettati da tre cavalli subito vi montarono e si diedero ad una fuga veloce verso Imola, nol potettero affrontarli, cosiché rimase alla compagnia di S. Cattarina il peso delli cinque esposti, ciò l’abbiamo rilevato da uno de rotoli di carte della med. su cui vi sta scritto: Inutili. L’offerta del sale praticasi tutt’ora nel Comune della Selva nel bolognese la quale offerta si ripete sino da primi giorni che nella campagna si eressero li fonti battesimali nelle pievi di scarsi rediti, simile uso che fu poi abolito nel nostro paese, lo ritroviamo notato nel Lib. Babtizat. 1570 e non più oltre.
    Li 26 agosto di questo anno 1536 ritroviamo novamente riformato il Consiglio di Castel S. Pietro dal Regimento di Bologna, ma questa rifforma non la ritroviamo nel Libro de Partiti né sapiamo sciorne l’enigma. Fu poi estratto Massaro per il primo semestre anno seguente 1537 Francesco Comelli e Podestà Andrea Angelelli, il primo lo riscontriamo nelli atti della Comunità, il secondo dalla lapide apposta nella ressidenza pubblica a capo del di lui ministero di questo tenore:
    Andreas de Angelellis
    J. V. D. Comes et E. P
    Praetor Pro P.
    MDXXXVII
    Il suo Massaro fu Francesco Comelli nazionale di questo Castello il quale, terminato il suo ufficio non vi fu aposta nella pubblica ressidenza alcun segno
    La familia Zanini di questo loco prese la cittadinanza bolognese nel dì 29 aprile come abbiamo dal Lib. Part. T. 9 fol. 69, Carati, in questi termini: 1537. 29 Aprilis. Gregorius Magistri Zanini de Castro S. Petri factus fuit civis. E’ da notare che il titolo Magister si dava ai solo Dottori e tanto sonava il Magister in latino quanto dottore in toscano.
    Passato il mese di giugno, all’entrare di lulio fu Massaro per il secondo semestre Benedetto Zoppi e Podestà Nicolò Bargellini che al terminare del suo officio seguendo il costume de suoi antecessori fece appore nella ressidenza publica il suo stema colla addecontro inscrizione cioè
    Nicolaus Bargellinus C. S. P. Potestas
    Pro secundis MDXXXVII
    Chi fossero li podestà estratti per quest’anno 1538 come pure li massari non ce ne somministrano la notizia le carte della Comunità né tampoco l’elenco de primi levato dal Libro delle estrazioni nell’archivio publico di Bologna.
    Riferiscono li annali cappucini non meno che Antonio Masina nella sua Perlustrata che trovandosi la città di Vinegia travagliata dalla pestilenza con mortalità infinita di persone per modo che li ministri del culto non si prestavano si facilmente ad assistere alli appestati, per la qual cosa Fra Angiolo da Castel S. Pietro sacerdote del novello instituto cappuccino, che fu uno de primi che vestisse quelle ruvide lane, mosso da ardente carità si portò con un di lui compagno a quella città a ministrare li sagramenti che per la fierezza del morbo pochi erano anca divenuti li ministeri de sagramenti e tanto si adoprò con vero ardore catolico che, cessato il morbo, le apparve il Redentore senza che l’uno sapesse dell’altro e loro comandò che ritornassero alla sua patria ove doppo quindici giorni avrebbero ricevuto il premio delle loro fatiche. Ritornati perciò in Bologna furono chiamati alla vita eterna e F. Angiolo finì li suoi giorni, al riferire dell’annalista, il primo giorno di genaro di questo anno 1538 in aspetto di santità, nella città di Bologna ebbe il suo sepolcro. Il luogo preciso non ce lo segna né l’uno né l’altro istorico. A questo degno sacerdote, che si vole sia della familia Cheli noi glie ne abbiamo formato un picolo elogio al quale dirigiamo l’amante lettore de nostri scritti, con tutte le altre notizie che di questo soggetto abbiamo potuto reccupezzare.
    Il necrologio cappuccino glie ne forma il seguente elogio: Die primo Jannuari Bononie P. Angelus a C. S. P. sacerdos qui este charitatis , Venetias officia charitatis peste infectis prestandi causa superiorum facultate se contulit. Cessante pestilentia Salvator D. illi fulgentissima luce perfusus apparet.. Redditum in Provinciam jubet et post quindecim dies laboris mercedem pllicetur. Amoniam reversus diligentissime in occursum Domini anima preparata, primus ex nostris in d. Civitate ad promissa premia vocatur. Memoria più precisa trovasi nelli annali cappuccini.
    Fu Podestà del P. S. Marcello Bianchini.
    Riconoscente Paolo Papa III del buon servigio militare prestatosi dal capitano Annibale Bruni di Castel S. Pietro alla S. Chiesa, tanto sotto il pontificato di Clemente settimo, quanto sotto lo stesso Paolo III il med., oltre li stipendi militari, lo dichiarò benemerito di S. Chiesa nel 6 corrente genaro mediante Breve apostolico, lo dichiarò nobile e cittadino bolognese e finalmente lo esentò dal pagamento di tutte le colette su li di lui stabili, onde per tale esenzione non patì minimo pregiudizio la Comunità e università di Castel S. Pietro, alla quale ebbe per questo sogetto il pontefice detto il riguardo, come riscontrasi anco dal Catasto delle Possidenze del comune del 1530 alla partita del d. capitano Arch. Com.
    Affrettavasi il Turco assaltare le riviere di Napoli e minaciava il veneziano quandochè l’Imperatore sollecitò col Papa la pubblicazione della Lega. Fu questa eseguita nel febraro seguente con queste condizioni cioè:
    Che l’Imperatore armasse 82 galere, altrettante li veneziani e 36 ne apparecchiasse il Papa onde formare un numero di duecento. Che il Papa vi mettesse li marinari e soldati per questa impresa. Che li conducesse per la med. 50 milla fanti. Che le città libere e Principi d’Italia dovessero contribuire a questa spesa. In codesto armamento si assoldò pure Anibale Bruni di Castel S. Pietro in qualità di capitano e passò alla diffesa di Corfù ove vi andarono 15 milla italiani.
    In questa contingenza passò pure al soldo de veneziani Lodovico Dall’Armi nobile bolognese con Alessandro Campana da Castel S. Pietro uomo di grande coraggio e fedeltà non che facinoroso.
    Resasi vacante la chiesa plebanale di Castel S. Pietro fu tosto conferita ad Ipolito Malvezzi colla deroga del Jus patronato a parochiani del nostro castello, leggesi questa memoria nell’elenco de pievani nell’Archivio comunitativo in questi termini: Hipolitus Malvitius obtinuit cum derogatione Juris Patronatus 1538.
    Avendo cominciato a miracolizare la imagine di M. V. fuori di strada Maggiore di Bologna che ora è nella chiesa delli Scalzi, fu tanto il concorso alla vista della med. delle nazioni vicine che tutte le corporazioni di pio instituto della diocesi si portarono ancor esse a visitarla. Ritroviamo nelle memorie della supressa compagnia di S. Cattarina del nostro Castello e quella di S. Bartolomeo che unite assieme nel settembre fecero ancor esse tale visita.
    Per occasione delle accennate guerre furono fatte imposte di pensioni le quali per non agravare tanto il povero ritroviamo nelli atti della nostra Comunità un riparto sopra li rediti e beni allodiali della med, che erano ben pochi a motivo dello sgravio fatto de fondi ne tempi addietro.
    Chi fosse il Massaro del P. S. e del S. S. ne siamo a nulla, bensì il Podestà di Castel S. Pietro per il primo semestre 1539 fu Paolo Poeti e del S. S. fu Alesandro Gozzadini, ce lo appresenta l’elenco che abbiamo tratto dall’archivio Publico di Bologna.
    Lo stipendio dovutosi al Castellano della Roca del nostro castello di quest’anno fu applicato a Giacomo Laudo, segretario del card. di S. Fiore poco fa Legato di Bologna. Ciò lo ripetiamo dal Lib. Partit. senat. sotto il giorno 10 aprile 1539 in questi termini: Al mag. R. Giacomo Tudertano del Card. S. Fiore poco fa Legato e di lui segretario e primo cancelliere e che per di lui raccomandazione, solvatur stipendium decret. ab ipso Legato super arce Castri S. Petri integrum pro anno 1538.
    Nel successivo lulio. entro Podestà per il secondo semestre Alessandro Gozadini. Avutasi scarsa raccolta il formento ascese a l. 15 la corba, prezzo esorbitante in questi tempi oltre che era di cattiva qualità.
    Lorenzo Campeggi vescovo di Bologna avvanzato in età, essendo in Roma per affari della S. Sede, gravato di podagra e tormentosa disenteria, passò li 19 lulio all’altra vita. Il dispiacere fu comune alla città e diocesi la quale ne testimoniò al popolo con ogni luogo pio mediante il suono di campane di cordoglio. Il Papa riconoscente de meriti del med. lo testificò nella elezione a vescovo di Bologna fatta in Alessandro Campeggi filio del defunto vescovo nato da Francesca di Lodovico Guastavillani avvanti che fosse sacerdote.
    Lodovico Dall’Armi acennato, avendo servito in qualità di ufficiale maggiore nella truppa pontificia, avendo avute parole con Matteo Bernardi gentiluomo veneziano nobilissimo e richissimo, lo fece uccidere per mano di Alessandro Campana di Castel S. Pietro suo fedelissimo scudiero in Venezia, ma non andò guari che fu preso e, condotto in città, ucciso. Il d. Dall’Armi non ha molto che, unito al valoroso Campana ed altri nobili senesi, tentò nella città di Siena farla ribellare a Carlo V e darla a francesi, ma andato in fallo il suo dissegno, essendo in Venezia dopo l’eseguito omicidio del Bernardi, fu anco egli preso e mandato a Carlo V che lo fece decapitare nel seguente anno.
    Li 30 novembre Paolo Papa III ordinò per sua Bolla che si erigesse le compagnie del SS.mo SS.to ove non erano, formando le loro Costituzioni come si legge diffusamente nella Bolla stampata nel Libro episcopale Bonon. fol. 57. in data dell’ultimo di novembre.
    Terminato il suo officio di Podestà Alessandro Gozadini seguendo lo stile de suoi antecessori appose la seguente inscrizione nella pubblica ressidenza
    Alexander fil. D.ni Gabionis Gozadini
    Eques et Pretor pro secundis
    MDXXXVIIII
    Bortolomeus Rossinus Notar
    Cesare Calzolari oste nel Borgo di Castel S. Pietro che fino a questo tempo era creditore di lire duecento per sussistenza passata ai militari pedoni per la morte di Leone X, doppo replicate instanze fu poi dalla cassa pub. di Bologna soddisfatto dove che pretendeva prima che la comune di Castel S. Pietro fosse la debitrice(T. X. Partit. Carat. fil. 121).
    Siamo pure di quest’anno privi delle notizie di chi fossero li Podestà e Massari.
    E perché il portello col levatore a fianco destro dell’ingresso della Rocca grande del nostro Castello era inutile per la sua qualità, così pur la porta serabile, fu fatta serare a spese publiche e terminato il lavoro fu tosto segnato nel giorno 15 febrato come si riscontra in memoria suscritta in calce dall’operario posta sul vertice della leva della stessa porta.
    Li 21 aprile Giovanni Tempesta da Castel S. Pietro, famoso ladro non meno che uomo facinoroso, essendo stato preso dalla Corte e condannato all’ultimo supplicio, fu condotto per la esecuzione della sentenza alle carceri di questa sua patria, esso per tanto simulando pazzia batteva tutto il giorno e notte colli piedi e colla catena il suolo della carcera per colorare il suo dissegno. Ciò credendosi dalli custodi non ne fecero caso, ma accadde che il medesimo la notte del 23 fece un foro sotteraneo nella parete divisoria della carcere secreta che corrispondeva coll’altra sotto il portico della ressidenza pubblica. Passò da quella a questa forse con animo di fuggire e le sarìa riescito se la notte fosse stata più lunga, ma la mattina seguente delli 24, accortesi di ciò le guardie, le strinsero i ferri e lo raccommandarono incatenato al muro per la qual cosa, dato avviso al card. Ferario Legato di Bologna, ordinò alla Compagnia della Morte tosto la ultimazione della condanna. Quindi portossi a Castel S. Pietro messer Gio. Antonio Casali priore della compagnia con molti altri. Pianate le forche in mezo la piazza, assistito da confortatori fu impiccato. Li di lui consanguinei per evitare il rossore, cimenti e provoche delli altri paesani emigrarono dal Castello e comune.
    Li 16 decembre fu estratto per Podestà di Castel S. Pietro per il primo semestre 1540 Romeo Foscherari che ne prese il possesso il dì primo genaro, rilevato abbiamo ciò dalla contemporanea lapide apposta nella ressidenza publica di questo tenore:
    Romeus Foscherarius
    Senator Bononie
    et Pretor pro Primis
    MDXLI
    Chi fosse il Massaro ci è ignoto né l’abbiamo saputo rinvenire. Qui riscontriamo da una picola carta nell’archivio comunitativo che furono pagate lire 10 ad Innocenzo Francucci per una Madonna, argumentiamo che fosse quella di M. V. di Poggio in asse.
    Aveva la Comunità comprato da Graziadio Forni una picola casetta per unirla alla ressidenza publica del Giusdicente e come che doveva servira al med. che presta il suo ministerio a tutte le comunità soggette alla Giusprudenza di Castel S. Pietro o sia Pretura, essendo dovere che concoressero ancor esse alla spesa, lo ricusarono. Perciò, avutosi ricorso al Senato sino dall’anno scorso colla prova fatta mediante attestato del Confaloniere di Bologna Girolamo Lodovisi sopra la determinazione del regimento, cioè che tutti li vicariati sottosposti alla Giurisdizione di Castel S. Pietro debbano contribuire alla compra della casa, fu ordinato che perciò pagassero la respettiva tangente(Arch, Senat. lib. 13 N. 18) e così fu eseguito.
    Quali fossero li vicariati sottomessi a Castel S. Pietro l’abbiamo di sopra enunziato cioè Liano, Varignana, Casalechio, Ozano e Castel de’ Britti colle sue ville e siccome nelli ristori fatti ad alcune Roche del territorio vi erano rimasti rottami ed altri materiali li quali, perché non fossero dissipati, il Senato decretò che dal ritralto della vendita di tali materiali si pagassero l. 300 al sig. Alessandro Mangioli Questore pontificio di Bologna come si acenna nel Lib. partit. T. IX. Carat. fol. 141: Ex rutis et cesis arcium nuper evversarum Comitatus Bononie.
    Nel nostro Castello furono rovesciate le mura fino al suolo della torre picola quadrata che era in mezzo la piazza del Castello della quale se ne vedono anco le vestigia e li fondamenti al paro del selciato, furono pure levate le merlature delli altri edifici che erano in pericolo e questi caddero tutti sotto la vendita.
    Nel mese di aprile fu fatta la campana maggiore del nostro comune. La fusione della med. fu fatta nell’orto delli Serpa ora Calderini, poi Ghisilieri e Pasi. L’autore fu Anchise Censore che era miglior fonditore di metalli in questo tempo.
    Estratto Podestà per il secondo semestre Alessandro Pepoli, fu sostituito ad esso Achille Bianchetti. Il medesimo, oltre avere messo in bon sistema le cose della podestaria, fece ancora ristorare il di lui officio e perché si riconoscessero li lavori fatti fare da esso fece dipingere a scachi, significanti lo stemma pepulesco, tutta quella porzione di edifici che sotto il di lui governo erano stati restaurati e perfino le carceri corrispondenti sotto il portico della ressidenza pubblica, colla sola diversità che li scacchi colorati erano gialli invece di essere bianchi, ma li altri colorati neri ed nel friso della soffitta sopra la finestra della carcere sotto il portico e passaggio pubblico, in vece di essere gialli erano rossi che furono poi dealbati nel 1760. Sotto il friso a lettere romane maiuscole in una fascia gialla vi fu inscritta la seguente memoria:
    Alexander Pepulo Comiti
    et secundi semes. Pret.
    Achilles Blanchetus Propretor
    faciundum curavit MDXLI
    Perché la setta luterana faceva grandi progressi ed erano spaleggiati anco li settari dal Turco, che pure voleva impadronirsi della Germania, stimossi bene da Carlo V Imperatore e dall’altre potenze catoliche venire ad un concilio. Fu perciò fatto inteso il Papa per ambascierie, ma perché era necessario un abbocamento fra Carlo ed il Papa questi pensò perciò venire a Bologna per effettuarlo. Venne egli pertanto per la parte di Romagna. Il giorno 25 settembre in domenica partì da Imola accompagnato da quella nobiltà, prelati, clero e magistrato imolese che fu poi congedato al nostro Borgo colla Papale benedizione. Il seguito del pontefice era di 16 cardinali, chierici di Camera, uditori di Rota e molti alabardieri.
    Arrivato al nostro ponte sopra il Silaro fu salutato collo sbaro di alquanti canoni quivi condotti dalla guardia e bombardieri bolognesi. Fu ricevuto al Borgo dalle autorità principali della città, era all’ingresso di quello un bellissimo arco fatto da ecellenti apparatori bolognesi. Tutta la contrada era ripulita e ripiene le finestre e porticato di incalcolabili persone. Tutta la montagna e collina era quivi discesa. Perché non seguisse affolamento ed imbarazzo alli transitanti della parte di borea ove non eravi alcun fabbricato, toltone la chiesa dell’Annunziata e l’ospitale de passeggeri, fu provisto mediante lunga sprangata di travicelli li quali, perché non fossero soverchiati, caminavano le sentinelle e li militari paesani sotto la condotta del capitano Ercole filio di Anibale Bruni.
    Il Papa veniva portato sopra una sedia da suoi palafrenieri ed esso precedeva il tabernacolo col SS.mo attorniato di lampioni e stavasi dal med. pontefice posteriormente al sacro Ciborio sotto baldachino. A chiunque si genufletteva dispensava la Papale benedizione. Giunto in faccia alla porta del Castello fermossi ed all’uso delli altri suoi predecessori pontifici che di qui transitarono diede al med. la Papale benedizione. In seguito della quale corisposero con allegrezza li baloardi del Castello mediante lo sbarro di alquante spingarde e scopio delli canoni bolognesi ed indi prosseguì imediatamente il suo viaggio a Bologna.
    Stette nalla città fino al dì 6 ottobre di dove partito ripassò dal nostro Borgo solennemente accompagnato dalle autorità di Bologna militari e civiche. Dalla Cronaca Cattani abbiamo che li canoni di Bologna furono dodici con due bombardieri e ventiquattro spingarde le quali artiliarie non si mossero dal Castello finché non fu ritornato il Papa nella Romagna.
    L’anno seguente 1542 venuto a Bologna Gaspare Contarini veneziano per Legato si diede a punire li malvaggi rigorosamente, tantopiù che questi stimavano poco la giustizia. Carcerato Benedetto Cortapelle da Castel S. Pietro con Francesco Baratino per avere sforzata Diamante Bicurelli, furono entrambi fatti appicare.
    Alessandro Carbonesi terminato il suo officio di Pretore in questo Castello vi fu apposta la seguente inscrizione nel consueto loco.
    Preside Alexandro Carbonesio P. P.
    MDXLII
    et Hercule Bargellinio P. S.
    MDXLII
    Guardavasi per l’addietro il palazzo del Legato da truppa tedesca, questa perciò fu licenziata per ordine pontificio ed introdotti li svizzeri che furono vestiti di uniforme rossa trinata di velluto nero. Infirmatosi il Legato Contarini morì in Bologna nel dì 24 agosto.
    Attesa la Bolla del Papa sopra le confraternite del SS.mo SS.to, non fu indolente il moderno arciprete Ipolito di Ercole Malvezzi formarne un particolare corpo in questa arcipretale. Troviamo in un picolo campioncello della med. ma informe nell’archivio della sud. un elenco di confratelli destinati al servizio delle funzioni e sono li seguenti Galeazzo della Serpa, Antonio Samachini, Bernardino Muzza, Christoforo Rinieri, Teofilo Marini, Pietro Ghirardaccio, Carlo Bertuzzi, Giacomo Muzzi, e D. Antonio Comelli. Quale fosse il loro officio e ministero non si accenna se non che sono indicati nel foglio: Confratelli del SS.mo per l’anno 1542. Deducesi quivi che vi era corporazione di Compagnia.
    Nelle carte comunitative troviamo indicato per Massaro del primo semestre anno presente 1543 Giovanni Rondoni e Podestà Giovanni Francesco Fantuzzi in luogo del senatore Carlo Antonio Fantuzzi di lui padre colla stessa autorità delli altri pretori (Lib. Partit. T. 9. Carati fol. 196).
    Avutasi notizia che il Papa ritornava a Bologna furono fatte accomodare le strade guaste per l’inverno spirante, quindi in seguito venendo ad Imola passò il giorno 17 marzo nel bolognese e su le ore 18 italiane arivò a Castel S. Pietro in sabato di Passione accompagnato da 20 cardinali. Fu ricevuto col saluto di dodici spari di canone trasferiti da Bologna al nostro Castello, in tale contingenza vi fu grande concorenza di popolo a ricevere la benedizione Papale che dispensava il med. passando per viaggio.
    Perché erano divenute inutili le spese delle fortezze del contado e manutenzione di castellani in esse il Senato fece ricorso al Papa per averne la facoltà di demolirle, il med., riconosciuto giusto l’esposto, accordò la grazia. Susseguentemente deputò il Senato l’Assunteria di Munizione all’esecuzione. Rilevasi ciò dal Lib. de Partiti T. 9. Car. fol. 143.: Cum arces agri bononien. sublatis ex benignitate S. S. D. N. Prefecti, annuis stipendiis, que sine ulla publica utilitate Erari rationes oneratant, evertandas et demoliendas censuerint et mandarint D. Carolo Bonagarti Ghisilierio Erari prefecto ut…, furono perciò deputati Carl’Antonio Fantuzzi ed il Bianchini in compagnia delli due guastatori Giovanni e Leonardo Muratori da Piacenza e visitata la roca fu dessignata la estensione, quantità e qualità del lavoro. In appresso fu convenuta nel dì 11 aprile la obbligazione de medesimi per rogito di Evangelista.
    E perché il Papa abbisognava di contanti per sostenere la guerra col Turco, perciò avendone ricevuti da varie comunità del contado e compensate col graziarle di privilegi, così questa di Castel S. Pietro per assodare maggiormente le esenzioni da ogni dazio e gabella per li giorni di mercato ricorse al Papa per la conferma de privilegi e sborsati 3 milla scudi, conforme ci lasciarono scritto li Vanti e Fabbri nelle loro memorie, racolti da paesani, furono graziati mediante Breve apostolico dato in Bologna il dì primo giugno che se ne conserva l’autentico nell’Archivio comunitativo di cui ne è copia la seguente. (ponetur)
    Pubblicatasi nel nostro Castello la grazia ottenuta dal Papa per la conferma delle esenzioni se ne fecero allegrezze particolari e fu dalli Rinieri, Fabbri e Bruni data la dimostrazione al popolo col profondere pane alla bassa populazione. Per una tale concessione molte familie de vicini paesi ed anco bolognesi si stabilirono in Castel S. Pietro non solo per il traffico ma anco per l’esercizio delle loro professioni e smercio delle manifatture. Troviamo perciò ne rogiti di Vincenzo Carboni che Paolo qd. Matteo Marini pellacano di Bologna venne con il di lui fratello ad abitare in Castel S. Pietro. Ne rogiti di Gio Battista Rinieri ,Vanduzzi ferario, ne rogiti Valoni di Dozza, la familia Serenari e così pure nelli rogiti Panzachio di Bologna.
    Dopo essersi il Papa abboccato con Carlo V in Bologna e determinato molte cose, partì da quella città e nel dì 11 giugno ripassò da Castel S. Pietro alla volta d’Imola. Li evviva e plausi che riscosse da nostri oppidani furono ecessivi per la conferma ottenuta delle esenzioni.
    Estratto Massaro Francesco Comelli per il venturo semestre, prese nel dì primo lulio il possesso di sua carica e così fece Gian Andrea Bolognini, Podestà estratto.
    Li 28 agosto essendo rimasto debitore Leonardo di Piacenza verso L’Ass.ia di Bologna della somma di l. 120 per valore di pietre ed altri materiali avuti nelle demolizione della Rocca grande di Castel S. Pietro ne espose la sua obbligazione a rog. di Annibale dall’Oro.
    Il precitato D. Antonio Comelli sacerdote bene affetto alla compagnia del SS.mo SS.to, volendo contestare ad essa la sua amorevolezza le donò l’imagine di X.sto Crocefisso agonizante di stucco, quale ricevuto dalla med. fu esposto sopra il di lei altare nel picolo oratorio, di cui già si scrisse unito all’altare di S. Biagio e Compagnia del buon Gesù, come si riscontra nell’inventario aposto in calce del campione 2° delle possidenze in archivio comunitat. e colli sucessivi fatti esposti nelli campioni della compagnia med. che di tratto in tratto seguiremo a narrare alle sue epoche per non interrompere il filo della nostra narrazione.
    Appianata la Roca che si estendeva nella piazza del Castello, fu chiesto il suolo della med. al Senato da Orazio e fratello Morelli di Castel S. Pietro. All’effetto di introdurre poscia il mercato si offersero ivi fabbricare. Il Senato perciò il dì 15 ottobre 1543 concesse il richiesto suolo alli d. Morelli, che abitavano di riscontro a quello, con facoltà di potervi fabbricare un portico lungo di piedi 60 e largo 12 per ornato di d. piazza et pro comodo mercatus come si esprime il decreto (T. 9. Patit. Car. fol.216).
    Terminato il di lui ministero di Podestà Gio. Andrea Bolognini fu aposta nella publica ressidenza la seguente memoria incisa sotto il di lui stema:
    Jo. Andreas Bologninus
    Pretor secundi Semestris
    MDXLIII
    Giunto l’anno 1544 non abbiamo alcuna notizia di quelli che coprivano le cariche di Massaro, del Podestà del primo semestre non potiamo che annotare una inscrizione la quale non decide li semestri ed è di questo tenore che la apponiamo perciò in questo principio d’anno:
    Sfortia Bargellinus
    Junior Pretor
    MDXXXXIV
    M. Albert Not.
    suponiamo quindi che ella sia aplicabile ad una sostituzione, mentre abbiamo ne libri delli atti giudiziali di questa Pretura che fu eletto dal governo per tutto l’anno Angiolo Michele Guastavilani.
    Ad ogetto di rendere più sensibile al cuore de fedeli l’amatissima rappresentazione della Passione e morte di N.S.G.C., ( fu) introdotta nella chiesa arcipretale la rappresentazione della Passione nella settimana Santa. Non sappiamo il preciso tempo ne l’autore solo che per questa funzione concorrevano il giovedì santo li vicini popoli ad onorarla ed in fine ad accompagnare al sepolcro un crocifisso deposto dalla croce dopo essere stato portato processionalmente per il Castello e Borgo dalla Compagnia di S. Cattarina sopra un cataletto.
    Accadde per tanto che nelli atteggiamenti che si facevano da una parte dal capellano parochiale e dall’altra la perorazione del predicatore sopra di un palco, alcune donniciuole di montagna vicina essendo presenti, compassionando le afflizioni di G. C. e, con voci somesse e lamentevoli, lagrimavano, furono colte di mira da Michelino Lasi e Teofilo Comelli di Castel S. Pietro, onde cominciarono a riffarsi li loro lamenti e deriderle.
    Stancata una di esse diede una guanciata a Michellino, fu tale il rossore che ne sentì esso e il dispiacere del suo colega Teofilo che per allora non fecero parola ma nel sortire di chiesa le doniciuole su la porta mediante un urto una cadde supina, ne naque rumore, onde adirati li villani che le accompagnavano vennero a parole colli sudd. e dalle parole alle minaccie. Terminata la funzione incaminandosi li villani alla volta della montagna quando arrivati furono alla rivolta che conduce a Liano furono assaliti dalli Lasi e Comelli che, avendo seco Enea Astorri e Nanne Bicurelli di questo Castello, si cominciò una baruffa di pugni, ma li villani armati di bastoni percossero li avversari. A tal rumore e rissa accorsero paesani onde convenne a quelli prendersi una veloce fuga verso la montagna e furono inseguiti fino presso Liano ed indi, abbandonati dalli insecutori, andarono alle loro abitazioni. Le donne sbigottite presero altra strada per ritornare al loro paese.
    Furono li villani nominati Benedetto Casoni e Francesco Fiorini di Sassuno, giovinastri di ardore grande e bravi di loro vita ed erano de più bravi di Sassuno. Questo luogo era un forte Castello sopra le vicine montagne, cinto di mura che a tempi addietro si manteneva guarnito da bolognesi ed in situazione tale che per la arduità del monte non si piglia da nemici per assalto. Fu questo forte edificato dalla nobile familia Sassoni di Bologna, la quale nel modo che è ruinato quel castello così è estinto il casato. Dell’una e dell’altra così ne scrisse il Casio nel suo Libro Bellona:
    Furono gli lodator cauti e modesti
    a far con lor giostrar anco Bernardo
    di Sassun dico figlio ad Anniballe
    da non voltar a nemici le spalle.
    Io dissi di Sassun, che di Sassonia
    tutti venner li antichi suoi proavi
    progenie nelle lettere o in armi idonia
    con strenui fatti e consigli gravi
    chi guardarà per tempi di Bononia
    vedrà le insegne lor sotto le chiavi
    che amici furno della Chiesa e buoni
    in lor quei fur che edificar Sassuni.
    Nel seguente 1545 fu eletto Podestà di Castel S. Pietro Tomasasso Marescotti per tutto l’anno dal governo di Bologna, come riscontrasi dal Lib. Actat. Actor Preture C.S.P. col suo not. Odoardo Pargamelli. Dal d. Libro riscontrasi nel proclama l’autorità che avevano in questi tempi li Podestà locali circa le pene afflitive e punitive delli reati.
    Vollevasi pure nel presente anno 1545 replicare la funzione accenata della rappresentazione della passione di X.to Signore nostro, ma avvisato il card. Muroni Legato di Bologna dell’accaduto l’anno scorso, fece diriggere precetto giudiciale al capellano D. Alessandro Butorini ed a F. Gregorio agostiniano predicatore di Castel S. Pietro di non rapppresentare la Passione di X.to come in addietro ma bensì quella predicare secondo la consuetudine, rissulta ciò dalli atti di (…) Zoppio Not. sotto il giorno 2 aprile 1545, l’originale autentico del quale trovasi nell’archivio della Comunità nel primo libro de Diversi, il d F. Gregorio era priore di questo convento di S. Bartolomeo ed era arciprete Ipolito Malvezzi.
    La imagine e figura di questo Cristo, colla quali facevasi dalla compagnia di S. Cattarina la processione sud., la riconosciamo in quella imagine che anco a nostri tempi conservasi nella chiesa della supressa compagnia sud. e vedasi appesa ad una grossolana croce di legno. La figura è flessibile nella giuntura delle braccia ed a mezo del corpo, la manifattura è rozza appunto di questi tempi, doveva essere così flessibile per addattarla alla bara e cataletto per effettuarne non solo la processione ma anco per la deposizione in un avello che nella settimana santa si poneva nella capella della compagnia. Abbolita la rappresentazione restò solamente vegliante la processione della Imagine che si prosseguì a fare fino al 1692, come sarà da noi accenato secondo abbiamo trovato scritto e riscontrato dalli ottagenari paesani.
    Infirmatosi nel mese di lulio gravemente il capitano egregio Annibale Bruni su la fine, terminò la sua vita in età di anni 48. Lasciò due figlioli maschi cioè Marc’Antonio ed Ercole, fece testamento e lasciò per curatrice di quelli Cornelia Comelli di lui moglie. Le di lui gesta furono lasciate in epilogo scritte dal P. Vanti. Militò in primo luogo sotto Francesco Valerio, detto in francese Valois, nella guerra d’Italia in diversi luoghi e sotto il Re di Napoli, nel regno di Cipro e Dalmazia contro il Turco sotto li veneziani. Militò sotto Carlo V nella Germania e Norea o sia Gorizia la quale così viene chiamata nel lessico geografico di Michele Ant. Bendrand. fol. 421 let. N.O. in questi termini: Nore… Goritia, teste amafeo urbs carnorum ad Isontium flumen, qui inde navigabitis est teste Strabone ab Utino 20.000 pass in Boream et Ceriam distans sub austriacis principibus Lex Geograph. Philippe Ferari Alexandrini ord. servas B. M. V. Patavi 1625. Militò sotto li pontefici Clemente VII e Paolo III nelle guerre della Chiesa. Meritò da quest’ultima la cittadinanza di Bologna per Breve. Se ne legge di tutto ciò la memoria nella chiesa de P. P. de Servi di Bologna alla sinistra dell’ingresso maggiore incisa in macigno in fronte della quale avvi lo stema del suo casato

(40d) rappresentante un leone rosso rampante in fondo torchino e sopra tre stelle, che è la seguente
D. O. M.
Annibali Bruno
qui castello Sanpetro natus
Primo sub Francisco Valesio Gallior. Rege
dum stipendia facer
signa militaria tria ex hoste
magna cum laude retulit
Inde auspiciis venetorum
(….) Clemen. VII tum Pauli III Pontif. Max.
a quo ipso Civitate Bonon. donatus est
postremo etiam Caroli V Cesaris Augusti
Ordes honestissime duxit
Annibal Comellus sororie benemeritum
et Conelia uxor viro dolcissimo
cum cultu et lacrimis P. P.
Vixit annos XLVIII
Obiit Iv calendas Sextilis
MDXLV
Li detti Marc’Antonio ed Ercole di lui figli furono ancor essi bravi militari e vissero fino al 1607.
Avendo servito tutto il corso dell’anno presente per Podestà di Castel S. Pietro il caval. Francesco Marescotti nella parete esterna della ressidenza pubblica di questo Castello vi appose la seguente inscrizione sotto il di lui stema
Petrus Franciscus Marescotus
Eques et Potestas annuus
MDXLV
Nell’elenco de rogiti spettanti a questa università abbiamo nella filcia delli inventari di Ernesto Cartari al N. 60 che Giovanni Avoli di Castel S. Pietro comprò dalla pubblica rappresentanza una porzione del Dazio di Castel S. Pietro che era per li Pesi e Misure delli mercati secondo ci acenano le carte di questa epoca.
L’anno 1546 entrò Massaro ser Francesco Comelli e Gio. Battista Bianchini Podestà entra per tutto l’anno.
Paolo Papa III che era buon governatore non meno temporale che eclesiatico, avendo singular divozione al SS.mo SS.to ordinò che ogni prima domenica di ciascun mese si dovesse fare nella città e diocesi di Bologna la processione con l’augustissimo SS.to.
La compagnia eretta nel nostro castello sotto lo stesso titolo non fu negligente ad eseguire sì bell’instituto e perciò la prima domenica di aprile fece per entro tutto il Castello tale processione l’arciprete d. Ipolito Malvezzi alla quale intervenne ancora la compagnia di S. Cattarina e li frati di S. Bartolomeo dell’ordine agostiniano il di cui priore odierno era il P. Maestro da Ravenna per nome Francesco, come riscontriamo da un pub. rogito di permuta nell’arch. di questa parochiale di ser Francesco Comelli Not.
Erano in questo tempo confratelli della compagnia, come si ripete dal secondo campioncello della med. segnato let. B, li seguenti cioè Battista Rondoni, Conte Pompeo Ramazzotti, Vincenzo Mondini, Matteo Fiegna, Giacomo Muzzi, Francesco Comelli, Battista Farnè, Francesco Cavazza detto Cavazzino, Giovanni Morelli, Francesco Gavoni, Gio. Battista Fabbri, Riniero Rinieri, Antonio Topi, Virgilio Dalforte, Gnitto Gnitti ed altri.
Il primo di lulio poi entrò Massaro per il secondo semestre Matteo Ronzani.
Infirmatosi a morte Ipolito Malvezzi arciprete dopo un mese finì li suoi giorni all’entrar di ottobre. La Comunità non fu restia alla nomina del novo paroco. Nel dì 28 ottobre presentò D. Giambattista Comelli e solamente nel giorno 10 decembre seguì la Collazione (rogito di Girolamo Catani). Ma per che le bolle toccavano a Roma, intesa una tal nomina il card. Farnesi Alessandro, nipote del regnante pontefice e cancelliere di S. Chiesa, si fece fare in testa sua la Colazione di questa chiesa non ostante tale presentazione. Si ripete questa notizia dall’elenco delli parochi nominati esistente nell’archivio comunitativo così cantante: Ill.mus et R.mus Alexander Farnesous Cardinalis nepos et cancellarius Pauli III Obtinuit non obstante presentatione parochianor. per mortem Hipoliti Malvetiis de anno 1546. Di qui ne avvenne in poi che questa chiesa fu anco nominata catedrale, come abbiamo nella Felsina pitrice alla vita di Prospero Fontana così nominata impercioché, quantunque non avesse quivi la sua ressidenza, il porporato non ostante vi si teneva alcun tempo la catedra, come abbiamo anco nell’archivio comunitativo notato nel libro delle spese al Lib. primo de mandati in XII.
Terminato l’officio di Podestà locale per tutto il corso dell’anno seguente il Conte Gio. Battista Bianchini fece appore la di lui memoria incisa collo stema nella parete della pubblica ressidenza respiciente la chiesa arcipretale di questo tenore cioè
Joannes Baptiste Blanchinio Co. et Senatori
Volt gestam integra preturam totius anni
MDXLVI
Francesco Comelli estratto Massaro per il primo semestre 1547 e Gerolamo Guidonico per tutto l’anno intero Podestà, l’uno e l’altro presero il loro possesso il giorno primo genaro alla presenza de pubblici rappresentanti che erano Battista Farnè, Mattia Ricardi, Michele Lavia, Battista Rondoni, Christoforo Rinieri, Orazio Morelli, Gaspare Pirazzoli, Sante Gnitti, Lodovico Riccardi, Carlo Balduccio, Sebastiano Cheli, Giovanni Lasi, Marc’Antonio Fabbri e Giacomo Muzzi.
Perché la pestilenza travagliava molto la città di Trento ove si teneva il Concilio Generale, ordinò il Papa che fosse trasferito in Bologna.
Defunto Antonio Campana di Castel S. Pietro, funditore chiaro a suoi giorni in Bologna di metalli e canoni, il Senato nel dì 5 marzo deputò per pubblico bombardere Palatino Pier Francesco di lui filio: (….) tormentor. bellicor. subfureor. locus eius patris deputarunt cum eodem stipendio cum expressione ut nullo modo descendere liceatur et abesse Civitate Bononie causa exercend genus artis fusarie absque licentia. Così abbiamo dal T. 11 Partitori Carat. fol. 70.
Ma perché la pestilenza dilatavasi nel trentino, perciò li padri che in Trento stavano uniti e rifformavano l’eclesiatico, sorpresi dal timore di essere contaggiati chiesero al Papa di trasportare il Concilio a Bologna il che ottennero e nell’aprile si trasferirono a questa città ove nel palazzo Campeggi già di Annibale Bentivogli in via S. Mamolo fecero alcune sessioni.
Usavasi dalli pontefici per l’avvanti concedere secondo loro piacere a vescovi ed a cardinali in beneficio le chiese parochiali ove si tenevano poi da essi capellani e vice parochi. Il Papa per ciò derogò a questo disordine inerendo alle providenze e alle riforme del Concilio la onde questa nostra arcipretale, che si era conferita come si scrisse al card. Alessandro Farnesi dal Papa fu tostamente rinonciata a Marc’Antonio Malvezzi che solo nel settembre ne prese la tenuta (archivio comunitativo) e in allora cessò la cattedra nella arcipretale.
Estratto Massaro Battista Farnè per il secondo semestre ne intraprese l’officio il primo lulio. Vertiva lite civile fra la familia Toni compadrona del Beneficio di S. Biagio eretto nella arcipretale con l’arciprete a motivo dell’incorporazione delli fondi del Beneficio con quelli della chiesa e ciò da qualche tempo, per lo chè il novo arciprete Malvezzi, desioso della pace colli suoi parochiani, venne a transazione nel dì 27 settembre a rogito di Bartolomeo Algardi che lungo sarìa quivi esporne la tela giudiciale.
Orazio Morelli divenuto facoltoso in modo da potersi stabilire in città, chiese al Senato la civiltà e le fu così accordata: Item Horatio Morelli qd. Sebastiani filium oriundum ex oppido Castri S. Petri fuit creatus civis. T. X partit. Carat F. 95 Die 19 X.bris.
Terminato l’anno con felice governo il nostro Podestà Girolamo Guidonico vi fece apporre la seguente memoria in macigno nella pubblica ressidenza:
Hieronimus Guidonicus
Pretor pro anno
MDXLVII
La nostra podestaria di Castel S. Pietro che da qualche anno veniva conferita ad un deputato dal governo per l’annuo esercizio dove che prima si estraevano li Podestà semestrativamente, fu nell’anno seguente ritornato l’uso delli Podestà semestrali, quindi estratto Lodovico Masetti per il primo semstre 1548, non potendo esso attendere al ministero, fu sostituito in dippresso dal Senato il di lui figlio, che ci tace il decreto del Senato in questi termini: 1548. 19 genaro. Ob valetudinem egreg. civis Ludovici Musetti sortis exstracto Potè di Cas. S. Pietro per il primo semstre di quest’anno, fu sostituito suo f. colle stesse autorità T. 10 Partit. Carat. lol. 97. Il di lui notaio poi all’officio fu Antonio Berti (archiv. Comunit. divers. lib. 1). Massaro fu Michele da Pavia.
Facevano cattivo aspetto e servivano anco di imbarazzo nella via maggiore del Castello della parte inferiore nel quartiere picolo due pozzi onde estrarre aqua. Il cittadino di Bologna Giacomo Adamanzia, detto poi Amaduzzi, per liberarsene e per fabbricare la di lui casa fece instanza alla Comunità di levare d. pozzo e formarne un altro a confine della casa sua e quella de Fabri co suoi pilastri, delta ed orlo. La Comunità si prestò alla domanda che espose in pub. rogito deposto li 26 aprile 1548 celebrato per il not. Nicolò Panzachia. Ciò ottenuto fece tosto il med. Adamanzio interarlo, onde il popolo di quel quartiere vedendosi privo di questo beneficio perché non si effettuava la promessa, andò a rumore cosi che assalito Adamanzio dalle donne dei Forni e dei Bendini fu maltrattato in modo che non andò guari che vi perdette la vita.
La campana dell’orologio publico nel Castello che erasi franta fu riffusa da Pier Francesco Campana funditore nazionale e accresciuta di peso alla levata di libre 300.
La chiesa delli SS. Giacomo e Filippo al Ponte Sillaro che, per la trascuratezza de proprietari, era divenuta sospesa, fu vietata al di dentro ed al di fuori.
Li rubbamenti e furti che si comettevano non solo alla campagna ma anco in Castello con voltar ad aperture ne muri delle botteghe e magazeni erano così frequenti che si temeva della arditezza de ladri anco assassini nelle persone perciò, fatta la veglia colla maggior diligenza, furono scoperti li autori che furono Giovanni Maria _ e Marino Magnani (…) accusati e presi fra non molto ne pagarono il fio. L’ultimo furto che comisero fu alla casa di Ramazzotto Ramazzotti che domiciliava quivi come si riscontra da pub. rogit. di Antonio Berti sotto li 9 ottobre. Ma perché il numero delli XXIV individui componenti il corpo comunitativo non si adunavano che di rado a motivo delle loro opinioni, de quali erano li seguenti che sempre intervenivano alli comizzi cioè Francesco Comelli Not., Battista Farnè, Mattia Ricardi, Michele Pavia, Battista Ronconi, Christoforo Rinieri, Orazio Morelli chirurgo, Gaspare Pirazzoli. Sante Gnitti, Lodovico Ricardi, Carlo Balduccio, Bastiamo Cheli, Pier Lasi, Marc’Antonio Fabbri, Giacomo Muzzi, fu perciò fatto ricorso al Governo, il quale prendendo in considerazione il disordine ampliò il corpo comunitativo fino al N. di XXX, li quali furono imborsati nella urna de massari il giorno 9 genaro non ostante che fosse stato estratto per Massaro al primo semestre 1548 Nicolò de Pavia il quale fu deposto colla imediata estrazione della nova imborsazione da cui venne estratto Sante d’Alborro e tutto ciò per ordine del Governo, conforme si accenna nel campione I delli atti comunitativi al fol. (..). Furono dunque li uomini rappresentanti l’università di Castel S. Pietro li seguenti cioè: Sante d’Alboro, Massaro, Matteo Ronzani, Nicolò da Pavia, Battista Dalforno, ser Francesco Comelli, Zoanne de Morelli, Tomaso de Boldrini, Vincenzo de Comelli, Zoanino de Fiegna Comello de Comello, Nicolò di Comello, Battista de Battisti, Batista Farnè, Sante de Gnitti, Lorenzo de Fabbri, Francesco Topo, Gaspare Pirazzoli, Andrea de Laxi, Zoanne de Cava, Zampolo de Laxi, Bastiano di Chelo, Francesco de , Bartolomeo de Fabbri, Paolo de Fabbri, Jacomo de Fabbri, Galeazzo Topo, Anton de Tagarini, Andrea de Antonio Zapo, Galiazzo Nardi, Bastiano Topo, Christofaro de Ricardi, Petronio de Fabbri, Zo. Battista de Fabbri capitano, Carlo Balduzzo, Vincenzo de Nicoli, Julio de Nicoli, Domenico Rondon, Battista Rondon, Zoane di Gaspare di Comello.
Estratto Massaro per il secondo semestre Mattia Ronciani cominciò il suo ministero il dì primo di lulio. Nello stesso dì Giovanni M. Bolognini prese il posesso della podestaria per il S. S..
Siccome aveva il Papa guerra col Turco ed abbisognava di gente per unirle alle truppe delle altre potenze coalizate, così fece battere la cassa nei suoi Stati onde assoldare militari. Ercole Bruni filio del cap. Annibale e Gio. Battista cap. Fabbri si assoldarono con 100 uomini parte di Castel S. Pietro e parte de vicini luoghi di Casale, Sassoleone, Frassineto, Fiagnano e Corvara come abbiamo veduto da un rolo presso il dott. Bartolone erede delli Fabbri, li quali andarono tosto nel veneziano e si imbarcarono per l’isola di Cipro in guarnigione.
Li due ospitali della compagnia di S. Cattarina uno nel Borgo per li pelegrini ed esposti l’altro in Castello per li preti erano divenuti presso che inabitabili e sforniti del bisognevole a motivo delle contingenze passate, furono perciò dalla compagnia rissarciti e proveduti del necessario di supeletili.
Marino Magnani e Giovanni Maria _ ¬¬¬da Castel S. Pietro sopra accenati furono in Bologna per le loro sceleratezze impicati. L’anno seguente 1549 estratto Massaro Gioamino Fiagnano dal numero delli 40 inborsati, decretò la Comunità che per tutto l’anno dovesse egli fare la esazione della coletta comunitativa. Questi fu il secondo estratto della nova imborsazione delli 40 rappresentanti, nella quale si riscontra imitata la pubblica rappresentanza nel numero eguale alli 40 senatori di Bologna, poiché dappoi fu ridotto al numero di XXIV e finalmente al N. di XVI che figurano li sedici Rifformatori antichi della Città. Li Podestà di questo anno furono come si riscontra dalli atti della pretura Gaspare Bargellini per il P. S. e per il S. S. A. Graffi. Li finanzieri della città e contado, non ostante il Breve di P.P. Paolo III regnante, mal sofrendo la onnimoda immunità dei dazi e gabelle che godeva li giorni di mercato Castel S. Pietro, andavano ora in un modo ora nell’altro perturbando il paese. Stanca la pubblica rappresentanza di quanti cavilli si inventavano li dazieri ricorse al Legato il quale tostamente per li atti di Cesare Zoppio estradò il seguente Ordine Edittale, il cui autentico è nell’ arch. della comunità cioè: Joannes Cardinalis de Monte. Bononie Legatus. Comandiamo a qualunque Giudice, ufficiale ed esecutore ed a qualunque persona di egual grado e condizione voglia essere e sia, non debba per modo alcuno turbare né molestare o far turbare il Massaro et uomini del Comune di Castel S. Pietro e qualunque altra persona, qualunque forestiero nella possessione della esenzione di qualunque Dazio e Gabella di ogni Domenica e Lunedì deputati al Mercato di quel luogo per li mag.ci Senatori del Senato di Bologna e confirmati per diversi sommi Pontefici ed ultimamente per il SS.mo Pontefice P. P. Paolo per la divina providenza Papa III, sotto le peneche si contengono in d. privilegi e di scudi cento d’oro cum clausula. Citato il Massaro et uomini di d. luogo.Dat. Bonon. Die 7 februari 1549. Jo legatis L. +. S. Cesar Zappius Not. Ciò pubblicatosi niuno più si oppose alli privilegi. Alla fine di ottobre infirmatosi gravemente Papa Paolo III finalmente li X novembre passò a miglior vita. La di lui morte spiaque a tutta la Italia perché fu savio pontefice, perché tenne le guerre fuori d’Italia e se accaduta non fosse la morte di Pier Aloisio Farnese di lui filio naturale, creato duca di Parma e Piacenza nel 1541 ed ucciso abbrobriosamente nel 1547 in Piacenza, come riferisce la Cron. Pasi, si saria potuto chiamare Papa Felice. Seguita tale morte in Legato, dovendo intervenire al Conclave di Roma, siccome era scarso di danaro, richiese a Matteo Amorini che le prestasse certa quantità di danaro, ricusò esso di ciò fare adducendo non averlo. Ciò venuto a notizia di Cornelio Malvasia, che era assai ricco e faceva andare banco a di lui nome, subito pigliò un sachetto di scudi e portati al Legato, che era in atto di partire, glie li presentò offerendole maggior somma. Il Legato prese il puro bisognevole, lo ringraziò della generosità e promesso di restituirlo se ne partì tosto per Roma. Li 27 decembre estratto Massaro per l’anno 1550 Sebastiano Cheli intraprese il suo ministero il dì primo genaro imediatamente. Furono li Podestà di quest’anno Tomaso Banchetti P. S. che prosseguì fino alla fine. Vacata la S. Sede tre mesi e giorni 4, fu nel dì 14 febraro assunto al pontificato il d. nostro Legato Giovanni de Monte vescovo sipontino col nome di Giulio III. Questi appena eletto Papa spedi per le poste a Bologna il Breve del Quarantato al Conte Cornelio Malvasia riconoscendolo così della di lui liberalità, oltre ciò lo fece tesoriere di Romagna. Il Senato riconoscente il suo dovere ne diede segni di pubblica allegrezza non solo ma spedì ancora ambasciatori al Papa per congratularsene e nello stesso tempo a chiedere la conferma delle Convenzioni e Capitoli di Nicolò V, Eugenio IV e di Leone X, li quali furono tosto approvati. Cominciò in quest’anno il Senato a tenere continuamente un ambasciatore in Roma presso il Papa, il quale doveva essere sempre del ceto senatorio. Il primo fu Giorgio di Marchione, secondo Mangioli. Nella Villa di S. Biagio di Poggio sotto Castel S. Pietro trovandosi una divota vecchiarella, per nome Antonia Bandini di quel quartiere cieca, avanti la picola celetta dedicata a M. V. e ristorata dalla Comunità nel 1535, come si scrisse a petizione di D. Vincenzo Bovi arciprete di Castel S. Pietro, d’onde addomandando quella per esser mendica elemosina a passeggeri, accadde che, nulla di sussidio avendo ella ritrovato, incaminandosi a casa li 25 marzo, calcolo che abbiamo fatto dalla inscrizione del fatto ivi accaduto scritto latinamente, le apparve M. V. in figura di nobile matrona e, rissanata la vista, le assicurò del pane che chiedeva lemosinando, il qual mai le sarebbe mancato finchè fosse ella vissuta, come di fatti accadde ritrovando quotidianamente provvisto il suo orcile di pane. La vecchiarella oltre essere di anima pura si perfezionò nella divozione a Maria, visse santamente fino alla fine del corrente anno, che appunto furono nove mesi dal giorno della apparizione. Corse la voce a Castel S. Pietro di questo luminoso fatto onde il Massaro non fu indolente a fare in guisa che quella S. Imagine nella celetta ricevesse maggiore e migliore oratorio e per ciò del fatto seguito ne fu ivi dipinto in tela, come si vede e legge in inscrizione apposta al pubblico cioè: Anno Domini MDL Octavo Kal. Marti B. Virgo Maria qua forma hic apparet Antonie frustum panis petendi se se exibuit, cui Mater SS.ma ait Domum inpredere et in arca quod petis invenies, nec dum vives amplius indigebis, Que quamdiu vixit, numquam panis in arca defecit Vixit autem novem menses, obiit kal. jannari MDLI troviamo in fronte di questa inscrizione uno sbaglio di considerazione nella parola Marti per essere contradicente alla chiusa della stessa inscrizione. Fa duopo perciò che da noi si rischiari. Leggesi dunque in fronte di quella l’epoca della apparizione segnata all’octavo Kal. Marti, che secondo il calendario latino sono otto giorni avvanti il primo giorno del mese che deve seguire, onde per ciò nel nostro caso sarebbero li 20 febraro secondo il calendario italiano. Legasi poscia la finale della inscrizione e troverassi che questo non concorda nel numero né della giornata quanto del mese, imperciochè se a parole estese dice: Vixit autem novem menses e che obiit Kalen. Januari MDLI non sarà più seguita l’apparizione li 20 febraro cioè l’Octavo Kal. Marti mentre sarebbero dieci mesi e non più nove. Ma se si cambia e sostituisce la parola Aprilis invece di Marti e dicasi VIII Kal. Aprilis allora verrà sanato l’errore e tornerà benissimo il calcolo del novimestre in cui sopravisse Antonia alla apparizione. Crediamo per ciò che questo sbaglio sia stato una svista dell’estensore della annotazione e teniamo per certo che seguisse un tale prodigio piuttosto nel dì 25 marzo di quello che in altra giornata, giornata da aversi sempre per segnalata da tutto il Christianesimo, perché in questa seguì il principio dell’umana redenzione ed è da tenersi per certo che in questo dì il Signore volesse fare spiccare più di ogni altro la gloria della sua SS. Madre e finalmente dobbiamo tenerlo per certo poiché in simili casi si attende più la specificazione del fatto in parola che nel numerico. E perché il ceto comunitativo era stato ampliato con nove sanzioni e prividenze e leggi onde ne avveniva che per la moltiplicità delli individui ne nascevano confusioni, fu perciò fatto ricorso al Governo onde averne la providenza. Fu perciò decretato che il N. de consilieri in novo fosse di sedici individui e ne fu segnato il decreto a mano di ser Bernardino Fontana cancelliere sotto il dì 24 maggio ed intimato alla Comunità, come si legge al Campione così cantante : 1550. 25 maggio. Di Comissione del Mag. Sig. Regimento di Bologna per comissione di una di S. Si.ria direttiva alli uomini del Comune di Castel S. Pietro di far ordinare al Cons. del Comune di Castel S. Pietro che l’ordinazione fatta per sua Si.ria di 16 uomini sia quella osservata. Lo che fu tosto eseguita e li uomini del consilio furono questi: Sebastiano Cheli, Francesco Comelli Not., Battista Rondoni, Carlo Ricardi, Battista Farnè, Gaspare Pirazzoli, Sante Gnitti, Giovanni Morelli, Carlo Baldazzi, Matteo Ronzani, Tomaso Boldrini, Matteo da Pavia, Giovanni Topi, Antonio Topparini, Giovanni di Rainieri, Antonio Fabbri. Posto ciò alla fine di giugno fu estratto Massaro per il secondo semestre Giovanni Rinieri. Podestà N. Sparsa la voce della apparizione di M. V. ad Antonia Bendini e della miracolosa providenza del pane giornaliero cominciarono le genti a correre a folla da ogni parte a questa S. Imagine per impetrarne grazie e ne erano consolati li afflitti. Le tabelle, li voti e le offerte in breve divennero innumerabili in modo che convenne alla Comunità porre un custode ed una guardia alla picola cella. Si pensò poscia edificarvi una chiesa capace ad essere officiata, il che seguì tantosto, mentre li sig. Banzi, quanto che nobili per la loro antica e nobile prosepia bolognese, altrettanto nobilissimi e generosi per la pietà in ogni secolo essendo posessori di terreni in questo luogo, asegnarono parte del suolo per la fabbrica di questa chiesa. Vi concorse ancora Orazio Morelli di Castel S. Pietro ed altre familie del paese che, unite alla Comunità, in brevissimo tempo fu compiuta la nuova chiesa e ne fu essa la Padrona come riscontrasi di tutto ciò non solo da libri nell’archivio della Comunità ma anco si riporta da un documento di irrefragabile prova, cioè il T. secondo della visita generale fatta da monsignor Marchesini visitatore apostolico per ordine del Papa. Nell’archivio di codesta arcipretale di Castel S. Pietro medesimamente al Lib. de decreti pastorali del 1579 sta registrata la seguente memoria: Ecclesia S. M. de Podio que est Oratorium sub parotia S. Balsi de Podio et que est oratorium Comunitatis Castri S. Petri. Nel seguente anno 1551 il dì primo genaro rese l’anima a Dio in odore di santità Antonia Bendini per la continua providenza di pane che ebbe finche visse miracolosamente da Maria Sempre Vergine. Ove fosse sepolto il di lei corpo ne siamo all’oscuro per mancanza di mortologie in questi tempi. Il Massaro di questo primo semestre le carte comunittaive non ce lo riferiscono. Chi fosse Podestà del P. S. si ignora, mancando li atti giudiciali, bensì per il S. S. abbiamo che fu Carlo Lodovisi. Altro non ci presentano che l’affluenza delle offerte fatte alla S. Imagine di Poggio per li continui miracoli e prodigi che Dio operava mediante la medesima, dove che la pubblica rappresentanza se ne prevaleva come padrona della d. chiesa nella fabbrica ed altro bisognevole. Li 14 giugno fu estratto per Massaro del secondo semestre Giovanni Morelli che il dì primo lulio intraprese il suo ministero. Lo stesso fece il Conte Carlo Lodovisi Podestà il quale perché le convenne assentarsi da Bologna per maggiori impegni nel dì 11 settembre fu sostituito nel suo piede il Conte Nicolò di lui filio, come abbiamo nel Lib. Partit. del Senato. Ciò non ostante al terminare dell’anno le fu apposta la memoria in questa pubblica ressidenza a modo delli altri sotto il di lui stema così cantante. L. +. S. Carolo Com. Lodovisio Pret. Cas. S. P.ri pro S. VI mens. MDLI Nel dì primo genaro poi 1552 entrò Massaro Carlo Balduzzi, Podestà Alessandro Bianchi, per il S. S. Podestà il Cav. aurato Lelio Vitali. Dalli atti comunitativi riscontrasi che la pub. rappresentanza in questi tempi elegeva due individui di suo ceto che si davano per compagni al Massaro ed erano chiamati Visitatori dei Danni dati ed estimatori li quali alle instanze de dannegiati peritavano il maleficio su di cui poscia giudicavasi per la reffezione del danno dato e, perché non si avessero a fare repliche sopra la loro legitimità, se ne faceva di essi una imborsazione particolare dove all’estrazione del Massaro venivano ancor essi estratti. Ripetiamo l’origine di ciò dalla Bolla di Eugenio IV in cui abilita la Comunità a tali autorità accordando alla università ed uomini del comune che: possint eligere sibi milites damnorum datorum , furono per ciò in quest’anno estratti Innocenzo Fabbri e Gaspare Pirazzoli. Costumavano questi avere uno scriba poiché in una notazione del 1548 troviamo così notato: al Massaro Nicolò da Pavia….. per suoi compagni messer Gasparre Pirazzolo e Bastian da Chele per suo nodare Bastian Toparino. Siccome abitavano in questo Borgo li ebrei in un quartiere separato dal comercio de christiani che chiamavasi, come oggi giorno, il Ghetto, ove si rinchiudevano e tenevano il loro banco feneratizio, così per non essere espulsi faceva loro duopo del consenso comunitativo ed anco per non essere molestati molto più da fanciulli la settimana santa, onde perciò capitolavano colla comunità. Rillevasi ciò da pubblici documenti e specialmente da rogito stipulato li 3 febraro fra la Comunità ed il banchiere ebreo Moisette e registrato nel Campione primo fol. 2., e sono li seguenti cioè: 1°- Che l’ebreo debba prestare a chiunque del Comune lire venticinque che li addomanderà e non possi pretendere più di cinque denari per d. lire senza pegno e col pegno. 2°- Che debba tenere il pegno _.
3°- Che sia obbligato fare li scritturini alli particolari che impegneranno della forma del danaro dell’anno e mese in lettere christiane a chi li addomanderà.
4°- Che detto Mojsette ebreo sia obbligato pagare al nostro comune l. 32 quali deve pagarsi in due termini, cioè il primo alla metà di genaro e l’altra metà a S. Giovanni di giugno e ciò per anni 15 prossimi avvenire già cominciati il dì sud. 3 febraro e da finire per tutto il 1566.
5°- Che d. Mojsette sia tenuto pagare ogni anno durante detta condotta soldi 10 per comprare tante castagne la settimana Santa per non essere molestato da ragazzi che non l’abbiano a molestare a casa sua.
6°- Che il comune di Castel S. Pietro sia tenuto reintegrarli tutti li danni patiti per le rubberie fattele dalla gente del comune.
7°- Che in tempo di guerra sia lecito all’ebreo farsi pagare denari sei per libra e che del proprio sia tenuto salvare la robba impegnata, ed altri capitoli.
Allorchè Papa Giulio III si portò colla truppa alla presa della Mirandola cresero non poche spese, le quali poi, essendo state ripartite alle Comunità del territorio né essendo state sufficienti, fu necessario fare novo riparto che fu detto taglione, alla Comunità nostra di Castel S. Pietro toccarono lire cento (somma vistosa in questi tempi). Furono tosto pagate nel Banco di messer Rinaldo dalla Viola.
Li 24 giugno fu estratto Massaro per il venturo semestre Battista Rondoni che nel dì primo lulio rivestì la carica. Fu Podestà Lelio Vitali cavaliere aurato.
Sentendosi gravati li uomini della Villa di Poggio a motivo delle colette, titubavano continuamente contro la Comunità di Castel S. Pietro, onde quallora occoreva andare in quel villaggio per affari pubblici accadevano per lo più rumori. Fra li altri Giovanni Tabellini facinoroso collonico alle Ringhiere, dovendosi esecutare per la coletta sopra li raccolti, fece ressistenza a Battista Rondoni Massaro. per la qual cosa adirati li uomini della Comunità mandarono alquanti dal Castello armati alla possessione per effettuare il sequestro. Il villano Tabellini unito con Bertone, (…) e Benedetto Bello, altri villici delli aringhieri, si unirono co’ loro familiari e vennero alle mani con li inviati del Castello. Seguì fra l’una e l’altra parte una non indiferente baruffa di bastonate e ferite d’armi, cosichè restarono socombenti li poggesi. In seguito di ciò, per che non accadessero ulteriori risse, furono ricomposti li animi e fatta solenne pace a rogito di ser Christoforo Peggi not. d’Imola.
Non si dimenticarono questo li poggesi dell’affronto ricevuto e vieppiù si misero al forte di separarsi da Castel S. Pietro, facendo fra di loro conciliaboli. Infrattanto che si pensava a questo da med., dall’altro canto la Comunità si preparava a sostenere la incorporazione e subordinazione di Poggio a Castel S. Pietro. Nella baruffa suddetta venuto mortalmente ferito Sandrone dal Gallo che ivi erasi mischiato e temendosi della di lui vita per una tagliata di capo nel occipite , si racomandò tanto alla S. Imagine di Maria di Poggio, per il cui mezo Dio operava miracoli, che ne ottenne la grazia.
Fu la vendemmia così scarsa nel nostro comune che si vendette l’uva scudi 5 la castellata. Morto il card. Crescenzi Legato di Bologna in essa il Papa fece Legato di essa Innocenzo Dal Frate congiunto di esso.
Giunto l’anno 1553 entrato Massaro Christoforo Ricardi, essendo la campana grossa del comune per il continuo suono lesa, procurò, perché non andasse rotta col continuo batterla, che si rivoltasse piuttosto che riffonderla, di fatti seguendo anco le instanze del paroco Marc’Antonio qd. Camillo Malvezzi ressidente in questa chiesa fu rivoltato il battiglio dal campanaro messer Francesco funditore Bolognese detto Dalle Campane, come rissulta de mandati in arch. comunale.
Estratto poi in Podestà per il primo semestre Gaspare Marsigli, non potendo egli attendere al ministero, rifiutò la carica ed il Senato il dì 19 genaro sostituì in sua vece Alessandro Sandri, come abbiamo dal T. X Partit. Car. fol. 3. come siegue: 1553. 19 genaro. P. C. Substituerunt in Pretorem Cast. S. P.ri Egregium Virum Alexandreum de Sandris Bonon. (..) loco nob. viri D. Gaspari De Marsiliis. Compiuto il suo ministero fece a modo delli altri suoi antecessori apporre nella pub. ressidenza la sua inscrizione così cantante:
Alexander de Sandris
pretor pro primis
MDLIII
Successe poi nella di lui carica Cornelio Albergati nel dì primo lulio e nell’officio di Massaro
.
Li uomini di Poggio continuando ad essere malcontenti della subordinazione alla Comunità di Castel S. Pietro, sollecitati dal loro capellano Francesco Mengoli e Domenico Dal Gallo vennero in sentimento di addomandare al Senato la smembrazione della loro Villa e Comunità dal comune di Castel S. Pietro. Quindi nel dì 6 agosto radunatisi nella canonica tutti li uomini componenti quel villaggio fecero solenne procura a rogito di ser Costaneo Calcina, la quale qui trascriviamo onde li lettori de nostri scritti abbiano la memoria di quelle familie:

  • Anno 1553 die sexta Augusti tempore D. N. D. Juli III Existentes personaliter Constituti Homines Ville seu Comunis Podi Guardie Castri S. Petri Comitatus Bononie in camera sesidentie Capellani ecclesie S. Blasi d. Ville quem locum pro in.cta (..) prepratione interfuerunt in.cti Homones d. Comis. seu Ville Podi qui fuerunt et sunt ulta duas partes ex tribus Hominum d. Cominis seu Ville qui rappresentar possunt et debent totum d. Comune, quorum congregator. nomina sunt in.cti Babtista qd. Petri de Tablinis colonus D. Vincenti de Banziis, Hercules qd. peregrinus de Gualandis colonus Sororum S. Petri Martiris, Nicolaus qd. Laurenti de Rivadulis colonus (…) H. de Jacchis de Lignano, Anibal d. Balino qd. Geminiano Dal Pulzo colonus D. Dominci M. Bolognetti, Dominicus qd. Francisci Dal Gallo colonus D. Floriani Banziis, Sabatinus qd. … miniani Dal Guezo colonus D. Marci Antoni de Bolognetti, Franciscus dicto Cella qd. Gasparis Lanfi de Frassineta colonus D Alexandri de Turregnis, Franciscus qd. Gasparis de Mingolis colonus H. H. D. Jo de Dessideriis suo nomine et vice, et nominibus, Bertyonis qd. cachi de Nola coloni D. Innocenti de Avengheria et Blasi qd. Mattei de Panigon coloni Galoni de Calvanela, que quibus promisit de rate. Gieronimus qd. Dominici de Tabellinis colonus D. Pompei, et frate de Lojanis, Angelus qd. Baptiste de Frascara colonus D.D. sores S. Petri Martiris, Petrus qd. Marci de Gaianis colonus D. Dominici M. re de Bolognesis, Andreas qd. Petri d etabellinis colonus D. Pompei et frate de Lojanis, Lucas qd. Marci de Venturoliis colonus D. Nicolai de Vittoriis, Jo. d., il Negro, qd. Antoni de Calvanello colonus D, Pompei et frate de Lojanis, Petrus Antoneus qd. Hieronimi de Sablone colonus D. Marci Antoni de Bolognesis, Marcus qd. Agamennonis de Graffis colonus Bomoli S. Blasi de Podio (..) Galli qd. Petri de Tabellinis D. Latanti de Arpagheria, Matteus qd.Benedicti de Bellis colonus D. colonusinventi de Bantzis, Franciscus qd. Christophoti de Scandelara colonus D.D. frates Cruiserorum, Angelenus qd. Georgi de Guasparinis Comitisse de Campegio suo nomine ac vice et no.e Blasi qd. Salvatoriis de Giusperinis coloni magnif. D. Antoni M. de Campegio pro quo de rato promisit. qui homines ut supra congregati in d. loco, tamquam loco eorum Arenghi premisso sono campane d. eclesie ut moris est, unanimiter et concorditer sponte …erunt, consituerunt, creaverunt et solemniter ordinaverunt eorum et dicte Comunis Sindicos et Provves Framiscum qd. Gasparis de mengolis et Dominicum Francisci Dal Gallo ambos de d. Comuni ibidem presentes et eorum quamlibet insolidum, ita quod primita occupanrtis conditio non fit melior nec sulsuquens deterior, sed quod unus ipsorum ceperit, alter eorum ud prossequi valeat mediare et ad affectum recedere omni meliori modospecialiter ed expresse ad ipsorum constituentium ad d. eorum comunis, seu Villa nominibus pro se ipsis et eorum in d. comuni seu volla sucessoribus petendum coram magficis D. D. de Regimine seu aliis d. in.cta potestatem habentibus divisionem d. eorum comunis seu villa, (..) universitate d. Castri S. Petri et ad petendam ipsis assignari partem suas onerum seu gravaminium ram realium quam personalium pro temporibus futuris divisus et separatus al aliis oneribus seu gravaminibus d. comunis seu universitate Castri S. Petri. Item ad se dd. nominibus obligans. et nomine d. Comunis et sucessorum promittendum etiam per ins.tra pubblica roboranda quibuscumque. Clau.lis na.riis et (..) litis de solvendo ratem ipsi assignans dd. onerum seu graca minum illi, seu illis quibus solvens erunt, et si necesse fuerit pro p.tis omnibus et singulis et quolibet est ad comparans coram quibuscunque Judicibus. Itam ad protestandum, item ad libellandum, item excipieni et opponendum, item ad litem seu lires testandum seu contestari videndum, item ad juramentum prestandum etiam modum non calundi. Item ad articulandum et ponendum et positis et articulatis opponendum. Item ad sententiam seu sententias ferri instandum. item ad impellandum et causas Apellationis prossequens cum pleno mand. cum libera (..) cum potestate substituendi.
    Dantes Rellevantes promittentes, rogantes.
    Actum in Comuni seu Villa Podi in domo eclesia S. Blasi de d. Villa, in camera residentie Capellani Eclesie p.te, presentibus ibidem F. Floriano qd.Petroni de …ciis Bonon. cive, Capelle S._ , Sancte qd. Bertoni de Zandid de comuni Casalechi comitum et Jacobo qd. Marci de Bandinis de comini Liani, qui dixerunt. (..) Rog. Ser Constanti de Calcina Bonon. Not. Servat in arch. Bonon. Si presentarono in seguito li due mandatari Francesco Mengoli e Domenico Del Gallo con supplica addomandando la separazione della loro Villa dal Comune di Castel S. Pietro al Regimento. Questi rimise con rescritto l’affare al Governo il quale sentite in seguito le ragioni dell’una e dell’altra parte rigettò l’instanza per li atti di Bernardino Fondazza cancelliere e notaio di Governo, doppo il dibattimento di ore. Giovan Marco Marini cittadino bolognese, essendo venuto a stanziare a Castel S. Pietro colla sua familia, chiese alla Comunità di potere stabilirsi in Castello, godere di tutte le prerogative del paese. La pubblica rappresentanza condiscese alla petizione. Avendo poi compiuto il suo magistero di Podestà Cornelio Albergati fece apporre la seguente memoria nella pubb. ressidenza Corn. Albergatus Senat. Bonon. Pretore secundi VI mens. MDLIII Terminarono pure il loro officio di Visitatori de danni Dati Sebastiano Cheli, Carlo Balduzzi a quali nel seguente 1554 sucesse Sante Digniti e fu confirmato il d. Sebastiano Cheli. Fu poi Massaro per tutto l’anno Giovanni Lasi, a questi stando a cuore che la gioventù del paese venisse disciplinata, procurò che la pubblica rappresentanza da qui in appresso tenesse a pubblici stipendi un maestro di scuola stabile e non volontario o venturiero. Diffatti, esposta la prossizione in Consilio e dato il pubblico concorso, fu eletto D. Gio. Battista Locatelli sacerdote bolognese, quale è il primo professore pubblico che troviamo segnato nelle carte pubbliche, nelle med. ritroviamo al campione primo, fol. 35. che la Comunità si manteneva un orologiaro coll’annuo stipendio di l. 12: 10. Estratto per Podestà alli primi sei mesi Bartolomeo Volta alle di cui incombenze suplì il Conte Filippo Pepoli come riscontrasi dal Lib ceter. Prese il possesso circa la metà di genaro e perché il di lui asegno era scarso, fatto ricorso al Senato, questi nel dì 26 febraro acrebbe il suo onorario come rilevasi dal seguente S. C.: 1554. 26 Febraro Lunedì. P. C. Concesserunt spectabilis Castri S. Petri Pretori ut ad ipsius Pretori comodo extendere possit usque ad summam scudorum XIX aurorum exigens in Comunibus Potestarie subiectis de Jure tamen conferre debens in Partimentis. Battista Pavia di Castel S. Pietro, volendo fruire de privilegi civili di Bologna addomandò al Senato la cittadinanza e nel dì 26 aprile fu graziato come si legge nel Lib. Part. T. XI. Carrati fol. 34 così: 28 Aprilis creati fuerunt cives Baptista qd. Clementis de Papiis Castri S. Petri. Terminato il suo governo di Podestà Bartolomeo Volta per il primo semestre appose la seguente nella pub. ressidenza Bart. Volta P. P. MDLIIII Chi fosse Podestà per il secondo semestre l’elenco delli estratti non ce lo indica bensì troviamo nel Lib ant. preture C. S. P. che fu Antonio Castelli. Collocatasi nella nova chiesa la miracolosa imagine di S. M. di Poggio due anni sono ove, per l’affluenza di offerte ed elemosine, essendosi fatto un cumulo di lire quattrocento, ne fu data la notizia a monsig. Giovanni Campeggi vescovo di Bologna. Questi ciò inteso scrisse al Massaro Giovanni Lasi mediante il canonico Girolamo Calderini, che voleva impiegare tale somma, che per ciò ne facesse inteso il corpo comunitativo di tale intenzione. Convocato per ciò in ottobre il Consilio che era composto delli seguenti cioè Christoforo Ricardi, Carlo Balduzzi, Andrea Fossarini, Battista Rondoni, Giovanni Morelli, Sebastiano Chele, Nicola Pavia, Matteo Rondoni, Tomaso Boldrini, Matteo Comelli e Sante Gnitti, espose loro le intenzioni del vescovo le quali in persona poi esso Calderini si rissebava esporre più chiaramente in Consilio ed erano che voleva si eleggessero XVI donzelle di Castel S. Pietro e se ne facesse una nota delle med. ed a lui si presentasse onde poi, delle sud. lire 400 e maggior somma che si accrescesse, una elemosina dotale a chi più loro paresse di d. fanciulle. Ciò intesosi dalli med. rappresentanti fu fatta immediatamente la nota e furono queste: Domenica di Pietro Andrini, Cattarina di Domenico Dignitti, Bartolomea di Pietro Righi, Laura di Francesco Rondoni, Orsolina di Gio Francesco Comesi, Domenica di Vincenzo Landi, Isabella di Gio. Barbignani, Diamante di Andrea Dig…, Francesca di Sebastiano Ruggi, Francesca di Gabriele Nicoli, Cattarina di Domenico Ruggi, Vincenza di Barolomeo Fabbri, Cornelia di Bartolomeo Modelli. Fattale la Nota fu spedita al vescovo che venendo il dì 15 ottobre dalla visita pastorale della imagine sud. di Poggio, fu incontrato al Borgo dal corpo comunitativo ed accompagnato alla arcipretale. Prese quivi l’indulgenza, dappoi cominciò in paese la sua visita pastorale nella quale ordinò primieramente che li danari di d. elemosine fossero depositati nel Monte di S. Pietro di Bologna in credito di quelle fanciulle da pagarsele allorchè seguisse il loro maritaggio ed anco a beneplacito di esso monsignore. Consta ciò non solo dalli atti comunitativi ma anco alli atti e rogiti di ser Cesare Beliosi notaio vescovile e dal decreto di visita di questo tempo: Eodem Die 15 Octobris 1554. Sup.les Ro.nus D. Jo. Campegius E.pus Bononie una cum R. D. Alphonse Dinavino eius Vicario et habitis p. Jo qd. D. Bartolomeus de Morellis de castro S. Petri Bononien. Diecesis ex capsa Oratori B. M. V. de Podio eiusdem Castri et pro fabbrica et aliis pro d. fabbrica ut in Libro me mei Not. in fine eius comoutorum subscripto vidit, invenit de d. Jo. habuisse et penes se ipsum habere Liras quigentes viginti septam, solidos septem et denarios quattuor bononen. monete currentis, ex quibus d. Jo. dixit deposuisse super banco nonullas Jo. Francisci de Barbariis Libras 522: 9: 8 Bonon. et ressiduum panes se habere prout in d. depositione dd. pecunia cum super d. bancum apparet in d. Libro cuius partite erant subscripte per me Not. inc.tum. Ordinavit d. omnes pecunias levandi ex banco q.to et deponi penes Montem Pietatis Civitatis Bononie ibidem permanendas ut infra dicetur et sucessive d. Jo. Depositarium absolvit et liberavit a d. Depositaria et a peciniis quibuscumque ad eius manus perventis in forma latissima mandavit ne cautionem per eum prestitam sub pegna lauterun 200 (..) abolderi et absolvi et liberari prout sic absolvit, liberavit i psumque presentem et acceptantem amovit a d. Depositaria_ aliamque Depositarium novum deputandi et eligendi _ of quas pecunias ordinavit stare et permanere penes d. Montem donec cum Ordine ipsius R. D. Episcopi vel eius pro tempore Vicari pro por…. abiliter convertantur et solvi debeant im.tis Domicellis cum nupserint vel relligionem …..vint. Qual Domicellas Homines Consili Castri S: Petri eidem R.mo D. Episcopo in lista porexerunt et sunt in.cte videlicet: Isabella Jo. Barbignani, Lucretia qd. Dominici Battisti, Marta qd. Andrea Gnitti, Francisca Gabriellis Nicoli, Vincentia Bartolomei Fabri, Cattarina Dominici Gnitti, Laura qd. Vencenti Rondoni, Minghina qd. Vinventi Joda., Diamantes qd. Bondii Battisti, Lucia qd. Petri Frassini, Francisca qd. Sebastiani Ruggi, Cornelia qd. Lauri Modelli. Ordinavit fieri officiales et fabricerios et depositarios novos quos ipse nominavit duraturos hinc et per totum annum 1555 presentem et successivo in principio cuiuslibet anni ex antiquis officialibus et fabbriceriis duos amoveri et in eorum loco alios duos poni per ipsumR. D. Episcoporum vel eius pro tempore Vicarium et ex his quattuor semper unum esse debere depositarium qui prestate teneatur . Cautionem erectionis Oratori et habeat et debeat deponere pecunias _ _ _ debeat unus alius ex officialitibus p.tis. In ceteri servetur Mes et Ordo per prete habitationis R. D. Hieronimo Calderini specialis ressidentie eis R. D. Episcopi et in camino inferiori, presentibus ibidem R.D. Hieronimo Calderini Canonico Bon. Claudio de Mengolis de d. Castro et aliis quampluribus personis testibus . Successivamente: R.D. Episcopus nominavit et deputavit Sanctem de Gnitto Deposit. Innocentium Fabbri pro novis et de antiquis rellaxavit Jo. de Morellis et Gasparem Pirazzoli. Casa Belliolus Not. rogatus. Riscontrasi dalli decreti di questa visita che la Comunità di Castel S. Pietro era padrona di d. chiesa ed oratorio della B. V. di Poggio, mentre li uomini della med. e non della Villa di Poggio ne amministravano li proventi. Era in questo tempo paroco di Castel S. Pietro Marc’Antonio Malvezzi in virtù di Bolla pontificia, mentre così nella d. visita trascrive: Marcus Ant. Malvezzi (…) Bullas expeditas a R.mo Legato Ferrario et vicelegato Pauli III. Eclesia erat a Cuppis. In ea adest Confraternitas Corpori X.ti frequentata, poi dopo avere descritto tutti li altari colli benefici, in quelli eretti descrive finalmente le altre chiese del Borgo e del Castello cioè: in Burgo Eclesia S. Petri Manuale Abbatie S. Stephani de Bononie, Eclesia de M.re Annuntiate, e nel Castello Eclesia S. Bartolomei ressidentia frates Heremitanor. S. Augustini. Eclesia S. Francisci in quo eremo habitatur sed celebratur . Giunto poi l’anno 1555 entrò Massaro Matteo Ronzani e stimatori de danni furono Battista Rondoni e Nicola da Pavia. Chi fossero li Podestà di quest’anno li troviamo, nel Lib. Actor. Pretura C.S.P., Girolamo Visani per il P. S. e per il S. S. Sforza Borgellini. Infirmatosi gravemente Giulio terzo nel mese di marzo il dì 3 finì li suoi giorni, radunatosi perciò il Conclave fu nel dì 8 aprile eletto in pontefice il card. Marcello Cervino Poliziano detto Cardinale di S. Croce e ritenendo il suo nome fu appellato Marcello secondo, ma durò poco il di lui pontificato poiché all’ultimo di aprile in età di anni 54, come lasciò detto Ciaccone nella sua cronologia de papi così: Marcellus secundus Politianus sedit dies XXII, vixit annos LIV. Obiit calen. Maj MDLV , lasciando per le sue rare doti e qualità universale dispiacere della di lui perdita da cui speravasi un felicissimo governo e perciò fu apposto nel suo sepolcro il seguente epitafio: Hoc tumulo situs est Urbis pater et pater Orbis Romaque cum propriis pubblica damna gemit Marcellum cecinia divini Musa Maronis Hic quoque Marcellus si licuisset erat Li cardinali pertanto radunatisi di novo elessero il 9 maggio Gio. Antonio Caraffa cardinale napoletano col nome di Paolo IV. Appena eletto Papa mando a Bologna per governatore Paolo Palavicini. Perché li ebrei poi non si distinguevano fra christiani ordinò il med. Papa che venissero contrassegnati li maschi con beretta gialla e le donne con velo dello stesso colore al collo. Morì nella seconda festa di Pentecoste in Faenza in età di anni 60 Giovanni BernardMirandolai, di cui se ne parlò avvanti, nazionale di Castel S. Pietro. Come scrisse Paolo Masini ed il P. Vanti, fu egli famoso intagliatore di camei. In principio di sua gioventù stette tre anni allo stipendio del duca di Ferrara ove fece maravigliosi lavori fra quali incise il fatto d’arme, in un cristallo, seguito fra la genti del duca e li eclesiatici nella ricuperazione della Bastia a fossa Giliola nel ferrarese. Dappoi, stimulato dal Giovio per mezo di Ipolito Medici cardinale, andò a Roma dove ritrò Clemente VII in cavo, onde si ricavarono bellissimi impronti, d’onde fu rimunerato da quel Papa col dono di una Mazza Ufficio che poi vendette per scudi ducento. Ritrò Carlo V da cui ne riportò grosso premio. Di questo sogetto, altre il P. Vanti ed il Masini, ne scrisse il Vasario colla sola diversità che quest’ultimo lo fa di Castel bolognese, noi però crediamo più alli primi due scrittori che all’ultimo. Il motivo si è che il Masini nelle altre notizie de pittori e scultori che sono bolognesi o territoriali le dessume tutte dalli libri dell’Arte de Bombasari della città dove si descrivevano li professori che erano abilitati ad aprire scuola, come a giorni nostri fa l’Accademia Clementina nell’Instituto pub. delle Scienze. Egli è poi certo che la familia Bernardi è antica di Castel S. Pietro, come si rileva dalli catasti delle possidenze che tuttora ritiene da suoi autori il nome di Bernardi, conservato anco ne libri antichi delle primizie. Intenta la Comunità a perfezionare la fabbrica della chiesa a S. Maria di Poggio, fece ella aggiungervi il portico al cui lavoro, oltre le offerte, vi aggiunse dalla cassa comunitativa lire quarantacinque, che parificate alli presenti tempi equivagliano a lire cento. Soggiornava in questo loco di quando in quando il capitano Giacomo Guicciardini con uomini d’arme per tener freno a malviventi e fuor’usciti, onde la Comunità volendolo gratificare le diede una mancia sotto titolo di quietanza che il di lei importo fu di l. 50: 19 come rilevasi al Campione primo fol. 45. Terminato l’anno 1555 entrò Massaro per tutto l’anno seguente 1556 Matteo Comelli. Abbiamo poi in quest’anno la riviscenza delle formalità antiche, finora trascurate a motivo forse delle spese, che si usavano dalli Podestà estratti. Imperciochè rissulta dalle carte comunitative e dalle memorie MM. SS. che, estratto Podestà di Castel S. Pietro per il primo semestre Nicolò Aimerico, egli volle essere riconosciuto per quella autorità che dalli Statuti e provisioni della città veniva abilitato con tutti li onori, imperciochè nel dì 12 genaro presentossi al nostro Castello ove, spiegata la bandiera pubblica di Giudice locale, fu ricevuto al Borgo dalli pubblici rappresentanti li quali erano questi: Matteo Comelli, Matteo Ronzani, Gaspare Pirazzoli, Innocenzo Fabri, Sante Degnitti, Domenico Toparini, Giovanni Lasi, Carlo Balduzzi, Sebastiano Cheli, Tomaso Boldrini, Giovanni Morelli, Cristoforo Riccardi, Battista Rondoni et Andrea Fossarini e da essi fu condotto alla sua ressidenza, lo seguirono il di lui Notaio ed il Ministrale del paese. In appresso poi fece tutti quelli atti di giusdicenza sia civile che mista, in compagnia del Massaro e di Carlo Balduzzi e Gio. Morelli Stimatori de Danni dati per il presente anno. Doppo la di lui visita pastorale avendo poi il vescovo Giovanni Campeggi raccomandato caldamente alli uomini della Comunità la fabbrica della Madonna di Poggio e infiamati a farne memoria delle grazie che per Dio med. questa S. Imagine operava a suoi devoti, non mancarono tostamente farne dipingere in tela il fatto cospicuo della apparizione ad Antonia Bendini. Questo eseguito e compiuto nella metà del corrente genaro fu in quella chiesa apposto al pubblico colla inscrizione, la quale a piedi del prodigio si vede e legge da chiunque a carateri intelegibili cioè: Questa è quella similitudine della Madonna che appare a Puozo alla Cia Antonia mogliera di Barla Bedia, la quale fa tanti miracoli, come al presente si vede a chi gli va devotamente a far Orazione e domandarle la Grazia licita et onesta e pregare Dio e Madonna S. Maria che ci scampi e guardi da ogni malattia Alli 14 Zenare 1556 Avendo guerra l’Imperatore, Francia, Spagna, Inghilterra ed altre potenze d’onde poi ne erano derivati anco tumulti in Napoli e nel fiorentino, il Papa ancor esso per diffesa de suoi sudditi aveva in arme ottomilla e più combattenti per diffesa de suoi Stati, benespesso si sofrivano danni onde, durando alquanti anni questa guerra, patì non pochi danni il nostro territorio di Castel S. Pietro dal passaggio delle truppe che però le annoveraremo alle sue epoche. Il capitano Giacomo Guiciardino per ciò di quando in quando era quivi passò per ciò nella fine di febraro e convenne alla Comunità passarvi la di lui Razione. Non tardò molto a seguirlo il Conte Alessandro Rangone co’ suoi soldati ed a questi pure convenne che la Comunità le facesse soministrare legna ed altro come rilevasi al Camp. I fol. 51. ad. 60. In tale contingenza Matteo Ronzani deputato della Comunità ebbe a mettervi la vita, imperciochè non essendo la truppa contenta della razione della legna per iscaldarsi, quasi che il Ronzani fosse dispota, fu nudato e mandato in camicia al corpo comunitativo, per lo che molti paesani, spiacendoli un tal fatto, si erano allarmati con animo di vendicarsi di tanta ingiuria per cui veniva offeso il ministro pubblico, ma fu tosto posto in quiete a mediazione del paroco di questo loco D. Marco Malvezzi che ricorse la Conte Alessandro Rangoni, nobile modenese e conduttiere di questi soldati, fece sì che furono punito severamente li temerari anco più della legge poiché fra il Malvezzi e Rangoni intercedeva qualche parentela. Fu poi questo un motivo ancora che, ripreso dal vescovo Giovanni Campeggi, il buon Malvezzi si determinò abbandonare questa chiesa col rinonciarla ad Anibale Malvezzi, il che seguì nel dì 8 dello stesso mese come cosa intesa fu conferita ad Anibale Malvezzi per li atti Beliosi e ne prese lo stesso giorno il possesso come abbiamo nell’elenco de paroci di questo loco nell’archivio comunitativo. Tanto ciò è vero quanto che abbiamo ritrovato in un pub. in.stro di Bartolomeo Algardi del 1566 che il med. Annibale è canonizzato per legittimo possessore della chiesa di S. Maria di Castel S. Pietro. Fu poi estratto Podestà per il secondo semestre dell’anno presente Annibale Marescotti. Terminato lodevolmente il suo officio Nicolò Aimerci Podestà del primo semestre fece apporre nella ressidenza pubblica il di lui stema colla seguente inscrizione: Nicolaus Aijmericus Pretor pro primis Anno MDLVI Nel dì primo lulio poi Annibale Marescotti novo Podestà non degenerò punto dall’operato del suo antecessore, fece egli la stessa figura e dalle mani dello stesso antecessore ricevette la bandiera pubblica di Giusdicenza. Provedutosi per una parte alla distinzione de giudei dalla christiani in tempo diurno rimaneva soltanto la provisione per il notturno, essendo pericolo il comercio fra l’una e l’altra relligione, che perciò ordinò il Papa che in avvenire dovessero quelli pernottare e vivere separati da christiani ed uniti fra loro e celebrare ivi le loro sinagoghe rinchiusi entro un determinato quartiere. In Bologna fu pertanto ad essi destinata la contrada detta dell’Inferno ove all’oscurar del giorno si chiudevano sino alla mattina dalli deputati. Su tale esempio si procedette nel nostro Castello ove essendo sempre spalancato in ogni tempo l’adito del ghetto nel Borgo vi furono fatte le porte ed ogni sera chiudevansi dalli due Visitatori de danni. Erano alquanti anni che dal Corpo comunitativo si estraeva un solo Console, quale serviva poi per tutto l’anno e ciò in virtù di una determinazione comunitativa, contraria alli Statuti e Capitoli fatti dal Regimento, Vicelegato. Ne fu perciò fatto ricorso al Governo sì per la devozione che si faceva alla legge sì perché una tal carica riesciva gravosa ad un solo e per un anno intero e rimanevano li altri comunisti inoperosi, che però per ovviare a tale disordine ordinarono li Pressidenti al Governo con nova sanzione che di sei in sei mesi si dovesse fare l’estrazione di un Massaro e così sempre in avvenire prosseguire, come ne appare alli atti di Bernardino Fondazza cancelliere e notaio di Governo, e sucessivamente nel dì 27 decembre fu fatta l’estrazione e sortì Massaro per il venturo primo semestre Gaspare Pirazzoli, quale riffiutando l’officio fu estratto Innocenzo Fabbri. Questi pure ricusando fu evacuata la imborsazione. Formata pertanto una nova imborsazione fu estratto Sante Dignitti il quale acettò l’officio. Terminato il suo ministero di Podestà Annibale Marescotti fece egli apporre nella pub. ressidenza il suo stema colla seguente inscrizione Anibal Marescottus Pro Secundo Semes MDLVI Chi sucedesse a questo non lo abbiamo nelle memorie incise, troviamo però Ercole Mencoli notato nelli libri della podestaria del paese nell’anno presente 1557, così pure nel secondo semestre Carlo Malvezzi. Entrato Massaro Sante Degnitti il primo genaro, perché aveva riconosciuto esservi grandi assordi nella amministrazione passata de redditi comunitativi, fece ricorso al Governo acciò si appurassero li conti arretrati, prese in considerazione la instanza, non andò guari che si procedette al conteggio. Nelli Atti della Comunità e ne Libri de mandati ritroviamo che la med. aveva ella il diritto di nominare il Predicatore quaresimale. Nominava perciò alternativamenter in Predicatore un sogetto delle due Relligioni del paese agostiniana e francescana. In quest’anno fu nominato F. Antonio della Concordia MM. OO. Disgustatosi Filippo II Re di Spagna col Papa, le mosse perciò guerra nel Regno di Napoli per la qual cosa il Papa si collegò colli francesi e li chiamò in Italia. Quindi essendo venuti, sotto la condotta de Duca di Omala luogotenente del Duca di Ghisa, con 10 milla fanti e duemilla cavalli fra francesi e svizzeri si fermarono sotto Faenza, che si era già occupata da nemici, per avere l’ingresso in quella li 26, 27, 28 febraro, secondo ci lasciò scritto D. Romualdo Magnani faentino nel libro de suoi Santi fol. 70, ma non potendola avere scorrevano le truppe fino a Castel S. Pietro con danno singulare. Ma perché la stagione era cattiva ai militari, patì molto la truppa nelle malattie e così li poveri villani nel carreggiare malati onde convenne prendere quartiere. Nell’aprile seguente poi cominciarono novamente a passare truppe. Nel dì 9 d. passò da Castel S. Pietro un regimento francese sotto la condotta del cap. Alessandro Rompsè alla volta di Romagna di dove ritornando li 26 a questo loco partì li 29 dello stesso alla volta di S. Nicolò per dare il passo a soldati guasconi incaminati per Romagna. Li 24 giugno fu estratto Massaro per il seguente secondo semestre Andrea Fossarini che ne investì la carica ed al termine del suo officio terminò anco li suoi giorni. Sotto il governo di questo pubblico rappresentante, attesa la instanza fatta dal suo antecessore al governo di Bologna per il rendiconto de massari passati, il Confaloniere Agostino Ercolani (…) la deputazione nel rendiconto l’agente di Camera il quale, riviste le partite che riguardavano più la spesa sofferta per li soldati passati che le straordinarie del paese, furono queste addebitate alla cassa pubblica. La Comunità per tale conteggio fu riconoscente mediante un’offerta di perdici, quaglie, ortolani e capponi dati al Confaloniere ad alli Assunti Conte Ercole Malvezzi, Conte Nicolò Lodovisi, Romeo Pepoli, March. Alessandro Lugari, March. Rinaldo Lugari, March. Bartolomeo Castelli deputati. In tale contingenza furono anco addebitati alla Cassa pubblica le spese sostenute per il Conte Ercole Bentivoglio con dieci persone, comissario alle truppe francesi, le quali col d. Conte alloggiarono in casa del d. Gnitti e furono anco aggiunte alle d. spese le altre sofferte per l’alloggio di Rinaldo Marsili, comissario de svizzeri. Una tale rimostranza usata dalla Comunità alli d. Signori fu un forte appoggio per conseguire dal Regimento di Bologna un ristoro e sollievo alla populazione del nostro paese imperciochè, attese le gravi jatture che si erano sofferte per le truppe, addomandò la pubblica rappresentanza al Senato un sollievo ne dazi e gabelle giachè si stavano formando li Capitoli de Dazi universali in tutto il bolognese, la onde alle calde premure delli precitati nobili fu decretato dal Senato nell’aggiunta dei Capitoli de dazi al Cap. V sotto la rubrica de pesci e fu tassato Castel S. Pietro a pagare l. 3 ogni anno al daziero e così incamerato tale dazio per l’avvenire onde il daziero non avesse a fare angustie ed estorsioni. La quale provisione, che trovasi segnata nel Libro de dazi al fol. 20 verso, è la seguente cioè: V. sia obbligato e debba il Daziaro del Pesce riscuotere ed esiggere lire 3 di bolognini ogni anno durante la sua condotta della Comunità di Castel S. Pietro per ogni lor Dazio ordinario et augmento del Pesce et altre robbe sogette a d. Dazio, che si venderanno in d. castello e Comune per qualsivoglia persona e da ogni tempo, snza gravarli in altra denunzia o pagamento attento che così il magnifico Regimento li tassa per ora a beneplacito di loro signori. Pubblicato nelli incanti dei dazi adì 23 novembre 1557. Ne seguì poscia la approvazione per la sua validità del Vicelegato e la pubblicazione giuridica la quale è la seguente cioè: Ju.gta Capitula addita aliis su.ptis Capitulis spaciali. approbata fuerunt p. R. D. Dominicum Vecelegatum et Senat. Bonon: medio legitimo partito et per eos XXIX fabas albas onbet. Die 26 9.bri 1557. Et de Jussu superior pubblicata ad arengheriam pretoriam per Ludovicum Pectinarium pibblicum Precanom. Comunis Bononie alta et intelligibili voce sono Tube premisse, presentibus quampluribus personis et testibus et signanter Luca Belvisio et Jo. M.ra De Bonzani prout retulit idem Preco. Questa immunità o per dir meglio incamerazione durò fino all’anno 1787 in cui il daziere Gallantini per li atti di Pio Diolaiti nel foro civile si allarmò fortemente e ne naque una provisione come abbiamo notato alla sua epoca. Estratto Massaro nel dì 27 decembre Matteo Ronzani prese il possesso il dì primo di genaro 1558. Chi fossero li Podestà del primo semestre non ne abbiamo notizia. L’ebreo Moisette banchiere soggiornante in questo loco, per istabilirsi ulteriore tempo, come che pagava di tributo alla Comunità lire 32 annue, credendo essere gravoso il tributo, ricorse al consilio e chiese la diminuzione quantunque convenuto nelle Capitolazioni a rogito pubblico come si scrisse, ma la Comunità rigettò la petizione, onde vedendosi così ributtato e molto più odiato dalla ciurmaglia e schernito non andò molto che abbandonò il paese. Morto Carlo Balduzzi, altro de comunisti, coprì il di lui posto Domenico Balduzzi di lui filio. Nelle memorie di D. Alessandro qd. Angelo Boldrini capellano e nazionale di Castel S. Pietro, come si riscontra da rogiti di Christoforo Placanini abbiamo la seguente memoria: Riccordo a laude di M. V. nostra Madonna come Vicenzo Zabarella di Novara muratore lavorando nel Comune di Castel Guelfo nel coperto della Serpa con altri manuali, da quali raccontandosi li prodigi che Madonna S. Maria di Poggio operava e la aparizione della med. colla provista del pane quotidiano ad Antonia Bendini, replicò Zabarella che sempre non era vero tutto quello che si narrava e che Cia Antonia doveva essere una vecchia furba come è solito delle vecchie raccontare solo per accreditare li loro detti e così farsi una bottega santochia per la qual cosa appena finito il discorso, nel mentre Zabarella voleva appostare un legno gli tolse la mano e volò col med. giù dal coperto restando ivi come morto. Ma il manovale coraggioso colli altri operari correndo cominciarono a suggerirle che invocasse di cuore la madonna, che l’aurebbe salvato, riconoscendo perciò essere la causa il castigo. Fu portato in casa a letto ove addomandando al Signore perdono fece voto che, se salvata la vita, voleva farne alla madonna la tavoletta ed una brava elemosina a quella chiesa col lavorare in quella per un mese senza paga. Essendo perciò indebolito nella vita per la caduta si cominciò ad ungere coll’olio della lampada della madonna, presto si rissanò e manifestò a tutti il gran miracolo per il quale doveva morire in aria. Questo miracolo seguì li 9 settembre 1558. Carlo V, invittissimo Re ed Imperatore il di cui nome mai perirà appresso li uomini per le sue gesta massime a favore della chiesa, finì li suoi giorni il dì 21 settembre nel monastero de monaci di S. Giusto della diocesi di Toledo. Funestò pure quell’anno la morte di Riginaldo Polo solidissimo sostegno della cattolica fede. Nel seguente 1559, al di cui principio entrò Massaro Sebastiano Cheli, si distinse Paolo Papa IV e si fece conoscere al mondo non che a tutta Roma quanto fosse grande la sua rettitudine e quanto amasse la giustizia imperciochè, venuto in chiaro che il card. Carlo Carafa suo nipote legato nostro di Bologna, aveva malamente maneggiato li affari di S. Chiesa, con discapito ed indotto con cabale a far cose pregiudiciali, chiamò il giorno 26 genaro a concilio li cardinali e doppo avere loro esagerata la miseria de grandi con intrepido cuore rivocò il Caraffa dalla Legazione di Bologna e lo privò di altre cariche. Al di lui loco venne Gerolamo Melchiorri Chierico di Camera. Appena arrivato alla città fece convocare il Senato e dappoi carcerare Tomaso Conturbio vescovo d’Atri e Penna con ordine pontificio. Furono pure carcerati Giulio Capoccio Auditore del Torrone col suo capo notaro. Per tali carcerazioni venne Pietro Donato Cesis romano commissario a farne la causa in Bologna. Tomaso Conturbio fu deposto dal vescovato e l’uditore sud. colli altri furono banditi. Un tale fatto fece massima impressione a qualunque luogo delli stati pontifici, onde li ministri di governo imparassero il loro dovere. Chi fosse Podestà di Castel S. Pietro, tanto di questo semestre primo che del secondo, l’elenco che abbiamo non ce lo indica e né tampoco le memorie, forse perite dalla lunghezza del tempo. (Abbiamo bensì li lib. dei loro atti cioè P. S. Antonio Gozadini senat., S. S. NIcolò Angelelli). Massaro poi per li secondi sei mesi fu Matteo Comelli. Nel dì 28 agosto morì Papa Paolo IV. Le passioni d’animo furono quelle che le accorciarono la vita. Vacò la Sede sino al 26 decembre in cui fu eletto pontefice il card. Gian Angiolo Medici detto il Cardinal Medichino col nome di Pio IV. Questi tosto all’anno seguente 1560 mandò Legato a Bologna Carlo Boromei di Milano nipote di una di lui sorella. Massaro fu Gio. Ranieri, familia vecchia, il quale, essendo forte per le sue qualità, abilitato alli uffici pubblici del paese ne fu in conseguenza imborsato nella borsa de massari il giugno scorso. Il Podestà del primo semestre resta ignoto per difetto di memoria e scritti. Solo abbiamo per Podestà del S. S. Carlo Banchini. La Compagnia di S. Cattarina che oltre l’ospitale per li viandanti che essi teneva in questo Borgo ne aveva pure un altro internamente nel Castello, la di cui origine le carte del di lei archivio non lo manifestano, ed era una picola casetta alla destra dell’ingresso maggiore del Castello al N. del terzo edificio, il quale era destinato per li preti ed altri sacerdoti, confinante a mezzogiorno li eredi Magnani, a borea li eredi Grappi, a matina la strada maggiore, la qual abitazione essendo ruinosa ed inabitabile la compania la fece rissarcire e sopra la porta vi fece apporre la seguente indicazione: Sacerdotorum et eclesiaticorum Nosocomium. La scuola pubblica, che per alquanto tempo era stata vacante, finalmente nel dì primo maggio fu conferita a D. Giovanni di Sebastiano Molinari. Nella proposta fatta al vescovo delle XVI donzelle, non essendole quella piaciuta, procedette egli ex officio alla elezione della altre e furono Margarita zà di Ercole Pirazzoli, Tadea zà di Battista Tisè, Elisabetta zà di Domenico Tisè e Bartolomea zà di Antonio Sandrino. Il sud. Giovanni Rinieri per la sua età, riconoscendosi inutile al maneggio delli affari pubblici, rinonciò alla carica e posto di comunista d’onde in seguito, trovandosi il Consilio in mancanza di numero, furono perciò admessi al Consilio li seguenti: Luca Dal Forni nipote di Battista morto, Domenico Balduzzi in vece di Carlo Balduzzi di lui zio morto, Gio. Paolo Lasi invece di Gio. Lasi morto, Francesco Rinieri invece di Gio. Rinieri di lui padre che rinonciò. Erano poi di loro coleghi Tomaso Boldrini, Sebastiano Cheli, Battista Rondoni, Gaspare Pirazzoli, Francesco Topparini, Innocenzo Fabbri, Christoforo Ricardi, Matteo Comelli, Matteo Ronzani, Zoanne Molelli e Sante de Gnitti. Morì Antonio Malvezzi paroco di questa arcipretale avendo esso pure rinonciata la sua carica ad Anibale Malvezzi, questi nel dì 2 giugno prese il possesso della cura per li atti di Lorenzo Cattani, come ci indica la nota delli parochi tanto nell’archivio parochiale quanto nel comunitativo senza indicarne punto l’assenso ed interpellazione alla Comunità che ne aveva il diritto di nominare onde, col tratto di tempo, tante rinoncie ridondavano in pregiudizio della med. cosichè perdette ella ogni suo diritto nelle nomine come a suo loco riferiremo. Nel dì primo lulio entrò Massaro Tomaso Boldrini e Podestà fu Carlo Bianchi il quale reso inabile coprì il suo posto il di lui fratello Bianco come abbiamo dai Partiti del Senato transuntati dal Carati T. XI fol. 197 di questo tenore: 1560. 13 Agosto nella Podestaria di Castel S. Pietro in loco del nobile Carlo Bianchi viene eletto Podestà di Castel S. Pietro per il secondo semestre, per la di lui indisposizione eletto, è sostituito Bianco suo fratello colle stesse autorità. Ma perché la elezione de sudd. comunisti non era legittima per ciò, ad effetto di sanarla secondo le leggi, ricorse la Comunità al Senato acciò fosse legittimato l’atto come già seguì nel decembre il seguente decreto: 20 X.bris 1560. Cum Masserius et Homines Castri S. Petri Comitatus Bononie exposuerint in Consilio q.to Cas. S. P.ri vacare loca quattuor, que pro expeditione occurrentium Rerum necesse esset adimplere quapropter habita informatione a p.tis Massar. et Hominobus pro politis, exhibitis iuxta formam capitulor. d. Castri, surrogaverunt in loco di Battista Dal Forno, Luca suo nipote; in loco di Carlo Balduzzi defunto Domenico suo nipote, in loco de Lasi deffunto Gio.Paolo suo fratello, in loco di Gio. Rinieri, qui senio confectus, surogaverunt Franciscum eius filium. Alle calende di genaro 1561 Christoforo Ricardi incominciò il suo officio di Massaro sotto il cui governo poco abbiamo da narrare. Dal Lib. delli Atti delle preture in questo semestre ci consta che fosse il Podestà Nicolò Aloisio Campeggi. Giacomo Muzza essendosi stabilito di abitazione fuori del Castello su la spiaggia del Silaro fra la fossa pubblica ed il canale ed avendovi formata una bella torre all’uso di questi tempi, fu terminata nell’aprile, glie ne segnò esso la memoria incisa in macigno sotto il di lui stema gentilizio in questi termini Jacomo Muccia MDLXI Aprile Questo stema fu inventato da ser Pietro Muccia detto dalla Muzza notaio di Castel S. Pietro, proavo dell’enunziato Giacomo come abbiamo osservato nelli di lui rogiti autentici del mille e quattrocento, rappresentante un braccio con mano impugnata e tre dita alzate indicanti tre gigli sopra nello scudo, la mano viene allacciata da una fascia colla parola: Tuta fides. Questa torre per essersi poco curata da sucessori Vachi è stata distrutta a miei giorni. Il cardinale Caraffa, di cui se ne parlò superiormente, nel dì 5 marzo fu fatto strangolare in Roma per ordine del Papa ed il dì seguente fu fatta la stessa giustizia col taglio della testa al Duca Poliano di lui fratello ed ambi napoletani. Un tanto fatto fece non picola impressione all’universo. Nel dì primo lulio entrò Massaro Sebastiano Cheli e Podestà fu Ettorre Dessideri. Filippo Gini abitante a principio del Borgo del nostro Castello dalla parte di ponente verso Bologna, ove era anticamente la porta di questo abitato il quale, come si scrisse, dal 1297 al 1300 fu circuito di fossa su la sponda esterna della quale vi era la strada che congiungevasi ad altra strada detta la Viola del Lupo che intercedeva li terreni del med. Gini e la d. fossa, come che erano questi daneggiati chiese alla Comunità la compra di tale strada per congiungere il di lui abitato colli med. terreni. La Comunità vi aderì e nel dì 21 lulio vendette detta strada denominata la Viola del Lupo alla condizione che il d. Gini facesse un ponte di pietra sopra lo scolo delle aque della fossa, attraversante la via pubblica come appare da rogito di Benedetto Morandi sotto li 21 lulio dal quale si riscontra che detta Viola chiusa si spiccava dalla via romana ed andava ad unirsi rettamente alla viola superiore ove scolano affluentemente le aque discendenti da cappuccini e sottopassando la via corriera sboccano poi con rivolta nella fossa inferiore del Borgo alla via S. Carlo che porta diritivamente a Medicina. Li 22 settembre morì avvelenato in un piatto di suchi Battista Rondoni, fu incolpato per ciò Bernardino Scarpelli il quale, vedendosi ormai convinto, fuggì nel mantovano ove sotto quel Duca Gonzaga prese il soldo militare e ne radicò ivi il suo casato. Vennero in quest’autunno grandissime pioggie al monte che formando precipitose le correnti non le potevano comportare li alvei de condotti e danneggiarono li aderenti. Patì in queste contingenze il ponte sopra il Silaro nelle sponde. Il primo genaro 1562 intraprese l’officio di Massaro Matteo Ronzani. Tanto del primo che del secondo semestre Podestà di questo loco ci mancano le memorie incise, abbiamo però nell’archivio setoriale del paese le seguenti in autentico Angelo Guastavillani P. S. e Filippo Orsi S. S. Assicurate la di lui vita Bernardino Scarselli nel mantovano, intimò la divisione ad Anibale ed Ipolito Scarselli qd. Pietro abitanti in questo Castello di lui consubrini, li quali a rogito di Ulisse Gerardi fu perfezionata. Abitava egli nel mantovano come dice il pubbl. in.stro in un loco, ubi dicitur Germadononio. Ho volsuto indicare questo casato perché da alcuni si vole trasferire nella città di Bologna d’onde ne sono poi derivati uomini illustri. In altro rogito di Gio. Antonio Ballotta trovo enunziato nel 1590 il d. Anibale col nome paterno di Petronio nella qual epoca forse si doveva essere composto col tribunale del Bando capitale in cui era caduto e si sa egli originario di Castel S. Pietro. Li 28 aprile Gaspare Pirazzoli uomo di Consilio finì la vita e subentrò nel di lui posto Virgilio di lui filio che fu poi capitano di truppa pontificia nel veneziano contro il Turco al tempo di S. (….). Il capitano Gio. Battista Fabbri juniore essendosi accasato con Galicella di Valerio Ceruni del colonello de sig. di Ceruno e conducendosi alla volta di questa sua patria accompagnato dalla parentela in bon numero, accadde che il Duca di Firenze avendo mandati sei milla fanti a danni di quelli de Ceruno, per le differenze che erano fra di loro a motivo massime de parte de Palleschi, Pazzeschi e Strozi, ove li soldati avevano danneggiato li Cerunesi per più di trenta milla scudi, così li sposi nel venirsene a Castel S. Pietro furono collasù assaliti da un staccamento di quei soldati che erano fuori di campo a bottinare, onde attaccata la baruffa tolsero tutte le mobiglia della sposa non solo ma peggiorarono ancora il Fabbri e suoi per più di cinquanta scudi. Nel secondo semestre di quest’anno fu Massaro Tomaso Boldrini, il quale attesa la vacanza di due posti nel Consilio fece in guisa che fossero tostamente coperti e furono Battista Dal Forno, al quale fu sostituito Antonio suo fratello e, morto Gio. Paolo Lasi, fu ad esso sostituito Antonio Lasi di lui fratello mediante Sen. Cons. ottenuto li 19 X.bre in sabbato (Lib. Partit. Carat. T. 12 fol. 20). nel dì 27 d. fu estratto Massaro Andrea Lasi per il primo semestre 1563 che intraprese il suo officio il dì primo di genaro. Morì in questo tempo mons. Giovanni Campeggi vescovo di Bologna. Li Podestà di questo tempo furono nel 1563 P.S. Alessandro Orsi e per il S. S. Sangiorgio Sangiorgi, come nelli atti giudiciali scritti dal not. Camillo Cupellini. Trovavasi la chiesa arcipretale male andata e presso che scoperta, l’arciprete Malvezzi fece tali e tante premure al Corpo comunitativo che fu fatta non solo ricoprire, ma ancora rissarcire nelle pareti a spese comunitative come si ha dal Camp. I fol. 162. Nel tempo che facevansi li lavori, non potendosi che appena officiare dal paroco per il culto di precetto, convenne perciò alla Compagnia del SS.mo sospendere le sue funzioni, le quali furono intermesse alquanti mesi onde, perché non di rafredasse l’onore di Dio totalmente, li capi della medesima chiesero all’arciprete in puro prestito un camerone congiunto alla di lui canonica in confine di Carlo Serpa a mezo giorno, a matina la canonica sud., a borea il vicolo che intermedia la chiesa e la canonica ed a sera la via maggiore del Castello con due ochi portico sotto. L’arciprete aderì alla addomanda onde tal camerone, che in oggi viene detto l’oratorio vecchio, divenne tale per decreto del Vicario generale l’anno 1601 come a suo loco riferiremo e quivi la compagnia cominciò a fare le sue funzioni senza frastorno di quelle della parochiale, né più d’ivi si partì la med. Tal camerone serve presentemente di fienile all’arciprete pro tempore e sottoposta avvi la stalla per i suoi cavalli e rimessa per il legno. Giunto il primo lulio entrò Massaro Mateo Comelli. Essendosi in Bologna cominciato ad esercitare il rito di accompagnare alla sepoltura delle compagnie li cadaveri delli loro confratelli inalberata la croce, il che mai si era fatto per l’avvanti, lo che inventò la compagnia di S. Nicolò di S. Felice di Bologna, così la Compagnia di S. Cattarina di Castel S. Pietro, come quelle che formava corporazione e vestiva cappa, imitando il rito sud. fece lo stesso di Bologna. Quindi il dì 23 decembre, morto Giulio de Grappi suo confratello, quella corporazione in forma levò il cadavere e, salmegiando il deprofundis, lo trasportò a questa sua arcipretale e fu sepolto nella sua capella doppo le esequie. Tanto abbiamo riscosso dal necrologio di quella supressa compagnia. Estratto Massaro pel primo semestre 1564 Matteo Ronciani, Podestà fu Alberto Angelini a cui sucesse nella pretura per il S. S. uno delli nobili Angellelli, mentre dalla corota inscrizione altro non si è potuto rilevare. Il Papa per diminuire la autorità d’alcuni cardinali sospese tutte le legazioni, in conseguenza fu dichiarato governatore di Bologna e suo contado Pietro Donato Cesis romano in luogo del card. Carlo Boromei fatto arcivescovo di Milano. Li 17 aprile, trovandosi infermo gravemente nell’ospitale di S. Cattarina per li viandanti certo Japale (che vuol dire Giuseppe) Valier di nazione tedesco, che ritornava dalla visita de S. Luoghi di Roma, portava seco una imagine di X.to crocefisso a cui portava ardente venerazione e davalo a bacciare a chiunque catolico che incontrava, perciò venuto a morte, assistito da D. Angelo Boldrini capellano parochiale, lasciò che si facesse conto di questa sua immagine perché da essa ne aveva riportato grandi consolazioni. Il bon capellano per ciò, seguita la morte del viandante, applicò il X.to alla chiesa della Annunziata ove fino al presente si conserva. Ripetiamo questa memoria da un rotolo di carte nell’archivio della supressa compagnia di S. Cattarina indicato nell’inventario autentico Inutili N. 2. Essendosi resa vacante la chiesa episcopale di Bologna per la morte di Giovanni Campeggi fu eletto vescovo di Bologna il card. Ranuzio Farnese, uomo di grande merito e pietà. Nel dì primo lulio entrò Massaro Matteo Comelli. Li 25 di questo mese morì in Viena Ferdinando Imperatore a cui sucesse nella monarchia Massimiliano secondo. Fu di questo secondo semestre Podestà di Castel S. Pietro il Senatore Angelelli il di cui nome si dessidera mentre nella memoria di esso nella ressidenza publica trovasi tutto perduto. Egli fece accomodare tutto il pretorio a spese delle communità soggette alla sua giurisdizione. Mantenne quivi un suo vicegerente il di cui nome e cognome si dessidera trovandosi perduto, poiché la memoria era dipinta nel muro e noi non potiamo che riportare il fragmento intero di tutto col quale chiudiamo l’anno _ Angelellus Senator et Pretor
    Castri S. Petri
    Mansiones istas superius et inferius
    Damno factos, in resturatas
    Est pubblico Comunitatum hujus Potestarie
    Subiactr. fieri ac resturari
    curavit
    (………) eius locum tenea Gubernante
    Secundo semestri anni 1564
    Preso il possesso dell’officio di Massaro per il primo semestre anno presente Priamo Baroni e Podestà fu Girolamo di Angiolo Michele Guastavillani. Al principio di quest’anno venne per Governatore di Bologna Francesco Crassi milanese il quale doppo pochi mesi, cioè alli 12 marzo dimise la carica e di novo ritornò il card. Carlo Boromei, il Santo.
    Nell’anno scorso avendo in Bologna F. Simone cappuccino instituita la Orazione delle 40 ore la settimana Santa, a così bella e pia devozione non mancarono le due nostre compagnie del Castello cioè di S. Cattarina e del SS.mo SS.to, molto più per essere funzione diretta al medesimo di fondarla in questo loco, per ciò fu questa da entrambe le d. compagnie incominciata la domenica della settimana santa e si prosseguì per tre giorni interi esclusa la notte, come ripetiamo dalle carte della d. supressa compagnia (Rot. 22 delli Inutili)
    Era troppo disdicevole ancora che nella città e contado che nei giorni santi si dovessero comettere da catolici contro li ebrei ingiurie e contumelie le quali declinavano anco in risse, fu per ciò ordinato che in tali tempi si dovessero li ebrei astenere di tenere banco aperto e così levare l’occasione di ogni male.
    Gian Giacomo Guizzardino, uomo d’arme e soldato al servigio pontificio, avendo chiesti danari a questa Comunità né avendo essa modo di corrispondere alle forti pressure e minaccie che le faceva il soldato, convenne perciò alla med. prendere ad usura danaro come di fatti prese a prestito lucroso da Abramino e Grassagato, ebrei banchieri in questo loco, scudi cento cinquanta che furono pagati sul momento a Simone Fiegna suo esatore.
    Estratto Massaro per il secondo semestre Andrea Lasi e Podestà Valerio di Giulio Saracino entrambi investirono il loro ministero il dì primo lulio. Sotto questo governo essendo bisognoso di rissarcimento il ponte sopra il Silaro nella via corriera dalla parte di ponente fu duopo aggiungere un pezzo di ala il che fu prontamente eseguito, come ne appare da rogito di Camillo Dalfanti not. (Camp. della Comunità fol. 140) e così fu riparata anco la via che veniva minacciata dalla corrente.
    Nell’entrare nel 1566 investì la carica di Massaro Sebastiano Cheli e quella di Podestà Gio. Antonio di Pietro Magnani.
    Defunto Pio IV nello scorso decembre, successe ad esso nel pontificato il card. Michele Ghiselieri nel dì 7 corente genaro col nome di Pio V che fu poi santo. Fu dell’ordine de Predicatori, al secolo aveva nome Antonio che all’entrare nella relligione lo comutò in quello di F. Michele. Vacando pure questa chiesa episcopale di Bologna fu conferita dal Papa al terminare di questo mese al card. Gabriele Paleotti colla pensione di 5 milla scudi.
    Alla fine di marzo si pubblicò una bolla contro li bestemmiatori ed altre simili persone in Roma e nel dì 20 aprile fu pubblicata in Bologna e suo territorio il sommario della med. in cui al capitolo IV comanda che tutti li giorni di domenica e feste principali di M. V. e SS. Apostoli si osservino con ogni venerazione, si frequentino le chiese e si astenghino li mercati. Nell’ Esib. titol. episcopale Bonon. del card. Paleotti più diffusamente si legono queste sanzioni stampate al fol. 202 cap. IV.
    Li 17 maggio perché li ebrei si dilettavano col loro comercio e massime le donne coll’allattare bambini, fu perciò ordinato dallo stesso Gabriele Paleotti che niuna in appresso ricevesse fanciulli dall’altre parte e che si dovessero distinguere li uomini dalla donne colli segnali prescritti nella Bolla.
    Avendo servito in qualità di Vicelegato Francesco Rossi al card. Carlo Boromei, fu rivocato il suo ministero e vi sucesse Gio. Battista Doria col nome di Governatore.
    Il teremoto che fino da Genova si era cominciato a fare sentire, replicò in questo mese galiardamente e nel territorio di Castel S. Pietro ruinarono alquante case, nel quartiere della Lama a Riva Rossa e Crocecocona et Alborro. Patì molto anco il Castel di Vedriano, Galegata e Liano.
    Siccome la Comunità aveva il diritto fino dal tempo di Eugenio IV di eleggere stimatori de danni dati il che faceva annualmente, ma ne accadeva però che li estratti invece di agire essi personalmente deputavano e sostituivano altre persone e ne ridondava danno alli daneggiati, per ciò ordinò al principio dell’anno che non più li Stimatori, a quali pagava la Comunità annue lire 100 e venivano abilitati all’officio, fossero uomini fuori del corpo comunitativo ma bensì dovessero essere del ceto di pubblica rappresentanza e dovessero andare quattro giorni di ogni settimana alla campagna ad osservare se vi erano danni, massime in tempo di vendemia e trovando delinquenti si dovessero denunziare a propri padroni. Furono perciò eletti Domenico Passerini e Giacomo Pirazzoli, li quali solo incominciarono ad agire nel presente maggio.
    Abbisognava pure il nostro comune di una rinovazione d’estimo alli terreni per la massaria, furono perciò dalla Comunità eletti quattro sogetti dal loro seno de più pratici ed antichi del comune acciò rinnovassero tale estimo e furono Domenico Passarini, Nicolò Aborro, Zoanne Righi e Sebastiano Cheli. Nel seguente lulio entrò Massaro Andrea Lasi e Podestà fu Alberto Angelelli che solo alli 6 del corrente prese il possesso ed il di lui antecessore appese le seguente inscrizione infratanto unita alle altre nell’officio
    Jo. Antonius Magnanius Potestas
    Pro P. S. MDLXVI
    Affittavasi dalla Comunità l’emporio del mercato all’incanto onde, perché dalli affittuari si comettevano angarie sopra il peso e misura, per ciò nessuno volevasi più prestare alla coletta adducendo che la riscossione era iniqua. Perciò la Comunità rinovò la tabella e rifformò la tassa sopra li capi che erano sogetti al peso e misura e, perché avesse forza maggiore obbligatoria, fu fatta comunicare ad autorizare dal moderno Podestà mediante notificazione editale di cui ne è copia in archivio.
    Perché trovavasi novamente in bisogno di ristoro la ressidenza del Podestà per cui vi conveniva spendere la somma di lire duecento, fu perciò fatto ricorso al Senato acciò ne ordinasse il comparto alle Comunità sogette alla podestaria. tanto ottenne e nel dì 2 decembre formò il seguente decreto. 1566 2. X.bris P. P. Conscripti mandaverunt fieri D. D. de Gubernio partitiruem l. 200 equabiliter exigens a Comunitatibus Prefecture Cas. S. P.ri nullis exceptis pro reparatione et restaurabione Pretori eisdem Prefecture arbitripo Pretoris. E così terminossi l’anno a capo del quale il Podestà Angelelli appose nella pubblica ressidenza la seguente incisa memoria
    Albertus Angelellus Prefectus
    et Senator MDLXVI P. S.
    Fu Massaro nel primo semestre anno 1567 Angelo Buldrini e Podestà Bartolomeo di Gianfrancesco Barbieri.
    Siccome universalmente si facevano tanto nella città quanto nel territorio in tempo di carnevale maschere ogni giorno e ciò era disdicevole massime la festa e molto più il venerdì giorno dedicato alla passione di X.to, così fino all’anno scorso essendo stato ordinato sotto rigorose pene che ognuno si dovesse astenere di mascherarsi, fu per ciò novamente nel territorio pubblicato tale Bando perché taluno poco attendeva la legge fatta sotto il governatore Francesco Craffi, come che, cessato esso di governare, dovessero anco essere cessate le di lui leggi, ma diversamente fu poiché il presente governatore sotto più rigorose pene ordinò l’osservanza di quell’editto. Nella quaresima seguente predicò con molto frutto nella parochiale il P. Giacomo Concordia o dalla Concordia
    lettore agostiniano. Predicò egli molto il culto a M. SS.ma sotto il titolo della Centura al termine delle sue fatiche, come abbiamo riscontrato nella carte di questo convento di S. Bartolomeo supresso.
    Stanco Anibale Malvezzi delle fatiche parochiali di questo loco, venne in sentimento di rinonciare questa chiesa ad un suo consanguineo e di fatti ciò eseguì con D. Lodovico Malvezzi ed al med. fu conferita nel dì 12 maggio ed il giorno 2 di giugno venne a prenderne il possesso, come ne appare alli atti di Lorenzo Cattani not. secondo l’elenco che abbiamo in questo archivio parochiale.
    Estratto Massaro Virgilio Pirazzoli per il S. S. , prese il possesso il giorno primo lulio. (…..) Marescotti fu Podestà del secondo semestre quest’anno. La di lui memoria ci manca.
    Li 15 agosto, giorno dedicato al titolare di questa arcipretale, fece la di lui prima solenne funzione il novo arciprete D. Lodovico Malvezzi alla quale vi intervennero molti nobili bolognesi ad onorarla. Non mancò il Corpo comunitativo intervenirvi il quale era composto da seguenti individui cioè: Virgilio Pirazzoli Massaro, Christoforo Riccardi, Andrea Topi detto Topparini, Matteo Ronciani, Zoanne Morelli, Innocenzio Fabbri, Antonio Balduzzi, Nicolò da Pavia, Matteo Comelli, Francesco Rinieri, Angiolo Boldrini, Domenico Rondoni, Domenico Gasparini, Chelo Cheli, Tono cioè Antonio Dalforno et Andrea Lasi. Assistirono alla funzione ancora li confratelli di S. Cattarina e del SS.mo.
    Nel mese di novembre cominciarono grandissime pioggie alla montagna massimamente , le quali per le loro escrescenze nel Silaro produssero molti danni e minacciarono ruina al ponte sopra il Silaro, onde fu necessario ricorere e ne fu in conseguenza posto un provisorio riparo. Le aque furono tanto affluenti che estirparono grosse quercie, ruinarono edifici massime quelli che erano aderenti a condotti.
    Del 1568 fu Massaro per il primo semestre Matteo Comelli. Podestà fu Giovanni Saraceni.
    Girolamo qd. Benedetto Farnè di Castel S. Pietro, avendo avute parole contro il med. Podestà ed Alessandro Santini per lite, fu carcerato, ma interpostosi poi Sebastiano Morelli qd. Giovanni di Castel S. Pietro già fatto cittadino di Bologna abitante sotto la parochia di S. Lucia in casa propria ove ora è il colegio nobili, ne seguì la pace a rogito di Gaspare Masini nel dì 28 marzo. Fu questa eseguita nella guardiola del Torrone sotto la parochia di S. Bartolomeo nel palazzo del governatore. In questo rogito il d. Farnè viene onorato col titolo di Signore, il quale si dava in questi tempi solamente a chi aveva ragguardevoli possidenze e facoltà di fortuna et alli altri di mediocre sostanza davasi il titolo di Messere.
    E comechè li mercati del territorio più solenni e le fiere facevansi nella maggior parte ne dì festivi, così il vescovo di Bologna, premuroso della santificazione delle feste di precetto, pubblicò in questo mese un bando che non si dovessero in avvenire fare tali mercati li giorni di domenica ed altre feste di precetto ma si trasferissero il giorno avvanti o all’imediato dopo.
    La Compagnia di S. Cattarina che, fino a questi tempi da che ella si era fondata, governavasi liberamente da sè e con alcune leggi e regole che si era la med. inventate, sembrando a confratelli che abbisognassero le med. di correzione per addattarle alle circostanze di questi tempi, essendo molto antiche, ed abbisognosa la compagnia di una canonica erezione, fu perciò presentata una instanza al cardinale Vescovo Gabrielle Paleotti onde ne approvasse la modificazione di tali regole. Il med. perciò colla sua autorità di superiore eclesiastico segnò il decreto di aprovazione ed erezione canonica della med. sotto il dì 14 aprile del corente anno.
    Il principale ogetto di questa compagnia fu di soccorrere alle miserie de poveri essendo ella stata ben corredata da paesani di fondi sì urbani che rurali e di sovvenire ancora li peregrini non che li paesani. Sopra di che leggesi la seguente Legge al cap. VIIII.
    Dovendosi le entrate di questa dispensare e distribuire in servigio del Sig. Iddio e suoi SS. Offici ed in soverimento de poveri di essa Compagnia e di tutto il nostro Castello ed anco de forestieri allogarli e servirli secondo il loro bisogno di alcune cose come tanti anni sono è solita di fare essa compagnia senza alcun particolare interesse perciò vogliamo ecc. .
    Dal qual capitolo si rileva la obligazione di elemosinare, prosseguendosi in esso il modo di ciò eseguire, come più diffusamente ne appare da detti Statuti de quali ne abbiamo ancora presso di noi con altri documenti.
    Nel dì 9 maggio il P. Serafino della Penna e Billi, provinciale Agostiniano, venne alla visita in Castel S. Pietro di questo convento di S. Bartolomeo. Era priore del med. il P. Lettore Agostino d’Alessandria. Ordinò quelli l’accomodo e ristoro a tutto il monastero e chiesa stante che doveva fra non molto soggiacere alla visita del Generale dell’Ordine.
    Li tre giorni delle Rogazioni poi consuete farsi in maggio, che si riconoscono inventate da Papa Leone III fino dal 815 dopo Cristo nato, denominate li tre giorni della Litania come che si facevano universalmente ne stati pontifici avvanti l’Ascensione mediante semplice processione ed in seguito poi col trasporto di qualche Santuario, così Matteo Comelli capo della Comunità ed altri individui della medesima, essendo tutti confrati della Compagnia del SS.mo del paese, ben memori delle continue grazie che Dio operava a questa popolazione mediante la S. Imagine di Poggio, propose alla pubblica Rappresentanza locale di farne con essa d. Imagine la d. processione coll’intelligenza dell’odierno arciprete ad imitazione di Bologna ed altri luoghi dello Stato eclesiastico.
    Piaque la idea e la proposta la quale, partecipata all’ottimo arciprete D. Lodovico Malvezzi, si interessò il med. che, fatto inteso il card. Paleotti vescovo di Bologna, ne segnò col massimo giubilò la grazia. In seguito di ciò propalatosi pel paese non vi era luogo né persona che non ne giubilasse. Egli perciò nel dì 16 maggio inter solemnia missae giorno di domenica invitò il popolo e tutti li eclesiastici del paese da intervenire a tanta divozione. In seguito di che li 22 giorno di sabbato si andò dalla pubblica rappresentanza coll’arciprete sud. a levare da Poggio la S. Imagine e fu portata la prima volta al calare del sole con concorso di popolo al nostro
    Borgo ed ivi deposta nella chiesa di S. Maria dell’Annunziata, oratorio de borghesani, al pubblico culto, qui stette fino alla metà della mattina della seguente domenica 23 maggio.
    Quindi levata dal clero fu accompagnata alla chiesa parochiale avvanti la quale si celebrarono li divini offici. Li tre giorni seguenti poi lunedì, martedì e mercordì che furono li 24, 25, 26 maggio fu portata processionalmente pel Castello e Borgo et il dì 27 giorno dell’Ascensione, data la benedizione al popolo, fu portata alla di lei chiesa a Poggio accompagnata da molte offerte ed elemosine colla quale si diede l’ultima mano al compimento della sua chiesa ove dappoi fu posta la seguente inscrizione, che trovasi nell’archivio parochiale di Poggio, transuntata dal notaio Giacomo Bertuzzi cioè:
    D. O. M.
    Hic innumerabilibus
    quorumcumq. Infirmorum, Opressorum
    ac surrectorum sucedentibus Miraculis
    et omnium Christifidelium Auxiliis
    Hoc Templum
    a fundamentis extructum fuit
    Anno D.ni MDLI
    Il sud. racconto lo abbiamo estratto da un picolo Campiocello della Compagnia del SS.mo segnato alla lett. B, dove si riscontra esservene altro precedente segnato colla lettera A smarito.
    Sempre più minacciando ruina la corrente dell’aque nel Silaro al ponte sopra la via corriera, moltiplicate le instanze al Senato, fu in necessità il med. di ritrovare danari a lucro per impiegare per lo meno lire mille nel riatamento onde nel dì 11 giugno fece il seguente decreto: 1568. 11 Giugno Venerdì. Cum necesse sit in promptam habere pecuniam erogandi in reparationem Pontis Castri S. Petri ruinam minantis, Auctotitatem plenissimam a quattro loro colleghi Assunti a cui fu concessa tale riparazione di trovare a frallo fino a lire 1000 e quelle ivi erogarle.
    Adì primo lulio entrò Massaro per il secondo semestre Andrea Topi alia Toparino. Podestà fu Sigismondo Bolognetti, rissulta da autentici documenti che il di lui notaio locotenente era Francesco Accarisi che aveva facoltà grandi nella giudicatura civile, mentre da documento legale presso noi esistente sotto il dì 5 agosto del corrente anno si legge che Giovanni Antonio di Gioachino Fiegna di Castel S. Pietro,essendo esule dalla patria ed abitando in Maruggio nel fiorentino, addomanda avvanti questo Podestà locale la divisione de suoi beni e robbe ad Ercole Fiegna di lui fratello carnale et ad altri de Fiegna. Fu esule dalla patria a motivo di perpetrato omicidio.
    Accomodatosi il convento di S. Bartolomeo e la chiesa venne nel dì 30 settembre il generale dell’Ordine P.re Maestro Christoforo da Parma con quindici relligiosi dell’ordine il nome de quali non ce lo manifestano né il Libro de conti di questo convento, né quello delle proposte ma soltanto il nome del generale.
    Li 16 decembre venne una neve così copiosa che coprendo esorbitantamente le case molte ne patirono la ruina. La chiesa di S. Bartolomeo minacciò ruina nel tetto sopra l’altar maggiore a motivo del soverchio peso, restò per alquanto tempo inoficiosa.
    Terminate le imborsazione de massari comunitativi, si procedette ad una nova dalla quale nel dì 22 decembre fu estratto Matteo Comelli per il prossimo semestre. Egli, acettato l’impegno, ne prese il possesso il dì primo genaro 1569. L’elenco delli Podestà si omette in quest’anno i loro nomi e cognomi. (Dalli atti giudiciali sapiamo però che furono per il P. S. Antonio Isolani e per il S. S. Girolamo Fantuzzi.).
    Li Statuti della Comunità non essendo troppo combinabili alle circostanze presenti, furono modificati dal Governo nel dì 12 genaro.
    Li 26 febraro avendo il Papa con moto proprio banditi da suoi stati tutti li ebrei, eccetto Roma ed Ancona, sotto rigorose pene, nel mese di maggio cominciarono a partire dal bolognese. Dalla città fra maschi e femine furono da 900 et andarono alla volta del ferarese. Da Castel S. Pietro ne partirono 5 familie delle quali non abbiamo dalli atti comunitativi e di altri documenti la indicazione se non di questi tre che formavano Banco da danaro nel ghetto in Borgo cioè di Grassegato, di Abramino e di Moisette. Prima però della loro emigrazione e partenza volle il Papa che riscuotessero tutti li loro crediti come seguì ( Cron. Bianch.).
    Essendo in fabbrica del loro convento questi F.F. M.M. O.O. di S. Francesco ricorsero alla Comunità ed alla Compagnia di S. Cattarina per avere sussidio e furono consolati.
    Essendo imminenti le Rogazioni di M. V. di Poggio, Matteo Comelli, come quegli che ne era stato un anno fa il promotore delle processioni colla Immagine di essa, pensò, che essendo padrona la Comunità di quella non che della sua chiesa, affidare la funzione delle Rogazioni alla Compagnia del SS.mo SS.to la quale, sebbene non aveva particolare instituto, era però fondata dalla stessa Comunità, autrice di essa, per la qual cosa, fatta la proposizione alla pubblica Rappresentanza del popolo, fu plaudita universalmente ed in conseguenza non solo affidata la funzione sud. alla compagnia, ma eziandio le fu donata la S. Imagine onde, essendo la compagnia stata onorata di si grazioso tesoro, prosseguì di bene in meglio ad onorare questo santuario, per il quale in appresso ne venero differenze legali fra la med. compagnia del SS.mo e quella di S. Cattarina.
    Di questo dono ne fa special menzione monsig. Gerolamo Colonna arcivescovo di Bologna nelli Statuti alla d. compagnia nell’anno 1639. Medesimamente Alessandro Fabbri segretario del Regimento di Bologna ne fa menzione in una sua dedicatoria stampata l’anno 1732 in fronte di un oratorio titolato S. Stefano asserto alla pub. Rappresentanza per Lellio Dalla Volpe, che conserviamo in una colettanea di altri simili oratori celebrati avvanti d. S. Immagine. La messa dedicatoria trovasi ancora ristampate nelle Pistole ed altre Prose dello stesso Fabbri in Bologna per il Dalla Volpe il di cui tenore qui riportiamo onde il lettore geniale della presente storia non abbia a mendicarlo altrove, tanto più che in essa si annoverano altre cose:
    Alli molto illustri e magnifici Signori, li Signori del Consilio di Castel S. Pietro. Li Confratelli della Compagnia del SS.mo SS.to.
    Sono tali e tanti li vincoli che legano li animi nostri e da tali e tanti benefici cresciuti per la generosa pietà delle SS. VV. Ill. che noi non crediamo bastare li perpetui privati uffici, se non aggiungiamo eziandio alcun pubblico testimonio della nostra gratitudine. Perciochè oltre l’avere la nostra Confraternita avuto da Voi cominciamento, li quali la più parte delle cure che, si numerosa ed ampla parocchia come è questa nostra dalla singulare pietà, richiedeva e che erano state fino a quel dì diligentemente per voi adempiute, dimetteste in Noi e confidaste. Né avete giammai intermessi li ajuti della vostra liberalità concorrendo a sollevarne ne bisogni ed a renderne più decorose le nostre ordinarie funzioni, e quando si volle fino dalle fondamenta eriggerre et adornare il bel tempio che abbiamo, Voi congiungeste all’opera nostra segni straordinari della vostra Munificenza. Ma dove si lascia il raro, grazioso e divino Dono di questa B. Imagine di M. SS., che è l’allegrezza in questi giorni del popol nostro lo stabil Riffugio e la Onorificenza di questa Patria ?
    Questa Imagine, poiché dalla Pietà de Devoti per opera principalmente e cura de vostri antecessori le fu alzato questo tempio, che presso la confine di questo nostro territorio si vede, a cui concorrono da ogni parte anco più lontana li tribulati e li infermi, riportano consolazione e salute. Questa Immagine io dico per l’elegante penello di quell’Innocenzo che la dipinse, famosa per le continue segnalate grazie e per la memoria della gioconda apparizione di quell’eccelsa Signora da essa rappresentata.
    Questa fu da elli vostri antecessori, come solenne Testimonio di Onore e di Beneficenza, donata alla nostra Confraternita ed alla Pietà de nostri Confratelli raccomandata, la quale in quanto pregio Noi abbiamo tenuto poi sempre. Li travagli antichi e moderni conservarci tanto tesoro animosamente sostenuti ne possono fare ampla fede e la festa che ogni anno con quella pompa maggiore che la Pietà de Devoti e le forze nostre consentono la celebriamo, assai chiaramente il dimostrano.
    Per tutte queste ragioni Noi dovemo riguardare il Corpo onorevole del vostro Consilio.
    Nel secondo semestre fu Massaro Andrea Lasi. La raccolta di quest’anno fu così scarsa che andò tostamente il prezzo del grano a l. 20 la corba. Il Circondario del cemetero parochiale trovandosi aperto in alcuni luoghi fu accomodato a spese pubbliche. Medesimamente la chiesa arcipretale fu accomodata dalla Compagnia di S. Cattarina e dalla Comunità che vi fece fare tutto il coperto di asse di abete colli suoi travicelli dove che prima era a tegole. Vi spese la Comunità lire 500 (l. 500). Tutto ciò si eseguì a premura de vescovo e di messer Lodovico Malvezzi, come scrivono li cancellieri della Comunità, Rettore e Padrino della arcipretale.
    Crescevano di giorno in giorno le miseria e la fame nella populazione, onde per li clamori che si sentivano nel paese l’arciprete D. Lodovico Malvezzi si presentò in persona al Consiglio comunitativo a perorare per il sollievo de poveri per la gran fame. Il Consiglio diferì la rissoluzione alla iminente estrazione del novo Massaro che cadde nella persona di Domenico Rondoni il quale nel dì primo genaro 1570 intraprese la sua azienda.
    Rinovò in tal giorno l’arciprete Malvezzi al Consilio in persona il bisogno della povertà in guisa che ne ottenne dal med. una elemosina di Lire cento. Il Podestà di questo semestre fu Cristoforo Savignani, per il secondo semestre fu il Senatore Mario di Andrea Casati. Abbiamo dalli atti comunitativi che il notaio attuario fu Camillo Sasatelli per ordine del quale furono pagate l. 50 ai soldati che quivi invigilavano per la tranquillità del paese.
    Li 20 gennaro Gio Battista Doria governatore di Bologna partì dalla città ed il giorno 22 venne Alessandro Sforza in qualità di legato pontificio il quale ebbe per vicelegato Alticozzo delli Alticozzi. Fu perciò mandato ad incontrare a nostri confini da cavalleggieri ed ambasciatori del Senato li nomi de quali ce le tacciano le carte del nostro archivio comunitativo, ma solo annunziano la spesa delli stallatici ed il casotto di asse ivi fatto per riceverlo. Dippoi partito per la città fu da quella ricevuto con molte solennità all’uso di questi tempi come narra il Masina fol. 220. P. 2.
    La nostra Comunità che veniva rappresentata dai seguenti soggetti cioè Domenico Rondoni Massaro, Christoforo Ricardi, Domenico Gasparini, Andrea Lasi, Matteo Comelli, Chelo Cheli, Andrea Topi, Matteo Ronzani, Angelo Boldrini, Virgilio Pirazzoli, Innocenzo Fabbri, Antonio Balduzzi, Giovanni Novelli, Antonio Farnè e Domenico Gasparini non mancò ella pure ossequiarlo all’ingresso de confini.
    Perché poi niuno delli intervenienti al mercato li giorni di lunedì voleva prestarsi ad osservare la tassa fatta sopra il peso e misura delli generi che in quello si contrattavano, la Comunità per ciò la fece di novo pubblicare a suono di aringo e di tromba per il ministrale onde tutto il popolo ne fosse inteso, modificando la vecchia tassa in que’ generi che sembravano troppo aggravati, alla quale tassa vi si aggiunse anco l’approbatur del notaio giusdicente locale e fu la seguente cioè:
    In primo il Lino paga per cento soldi ……………………………..4
    il Gargiolo soldi 2 per cento ………………………………………….2
    la Stoppa soldi 1 per cento ……………………………………………1
    le Carra delle cipolle soldi 4 per carra ……………………………4
    le Some di cavallo soldi uno per soma…………………………… 1
    li Pignatari hanno a pagare soldi 1 e danari 6 per cadauno ….1: 6:
    li Marzatelli e formento per corba danari 6 ………………….-: 6:
    l’Olio soldi 1 e danari 4 per cento ………………………………… 1: 4:
    il pesce soldi 1 e danari 4 per cento ……………………………… 1: 4:
    li polaroli soldi 1 per somma …………………………………………..1
    li Polaroli che portano in spalla per Omo danari …………….-: 6:
    li Ortolani per somma soldi 1 ……………………………………… 1
    li Merciari per Omo danari 4 ……………………………………… -: 4:
    li Capellari per Omo soldi 2 …………………………………………. 2
    li piccioni o siano arelloni soldi 4 per carro ………………….4
    li Calzolari per Omo soldi 2 …………………………………………..2
    li Pettinari per Omo danari 6 …………………………………. -: 6:
    il Bisello e mezalana per braccio denari 2 ………………. -: 2:
    le some che vanno fori dal contado soldi 1 per soma …. 1
    Camillus Sassatelli Not. locotenent.
    La carestia di vivere era cresciuta a tal segno che li mendici gridavano per la strada: mi mojo di fame e cadevano semianimi. Mosso a compassione di questa luttuosa vicenda il buon arciprete Malvezzi che spropriato ancor esso di molti viveri, si presentò novamente in Consilio e quivi perorata la causa de miserabili ottenne dalla Comunità un sussidio di Lire cinquanta le quali furono impiegate in tanta fava onde fare la minestra giornaliera a miserabili paesani la settimana santa che era imminente.
    Vendevasi la fava in questo mercato pavoli 20 la corba, prezzo a quelli giorni carissimo e fu contenta per ciò la povertà, che in paragone di oggi giorno, che scriviamo queste cose in villa per la guerra fra francesi e tedeschi da quali nazioni è occupato il nostro paese nell’agosto 1800 nel qual tempo si raccontano de mille familie urbane limosiniere, non ve ne erano in Castel S. Pietro allora poco più di 30 come si riscontra nell’archivio parochiale dello stato delle anime.
    Minacciando sempre più ogni giorno la corrente del Silaro la ruina del ponte, ordinò il Senato che si riparasse col prendere danaro la Comunità a frutto, il che seguì e diede tosto mano al lavoro, come riscontrasi da pub. Rogito celebrato li 24 lulio 1570 per Camillo Dalfante notaio.
    Ma perché questa spesa doveva incombere al beneficiato dell’Oratorio de SS. Giacomo e Filippo possessore dei beni applicati al ponte per fare la sua manutenzione e dote, si credette perciò di dovere la Comunità intimare il lavoro al beneficiato per la via giuridica, quindi per rogito di ser Francesco Comelli segretario della medesima fece mandato ad lites in testa di Sebastiano Landi. Dove e come fosse instruito il giudizio li atti comunitativi, dove ciò enunziano al Camp. 1 fol. 182. non ce lo dicono in questa seduta.
    Estratto Massaro Virgilio Pirazzoli per il secondo semestre occupò la carica tostamente. Lo stesso fece Francesco Mattuliani il quale, non solo come Podestà ma anco come commissario del Legato, venne a Castel S. Pietro a provedere alli tanti abusi che si erano introdotti. Prima di tutto fece pubblicare, per gli atti del di lui notaio Camillo Sassatelli, l’osservanza alle leggi del paese intorno al governo politico comunitativo sotto le pene pecuniarie ed afflitive in proporzione del reato da infligersi, limitatamente per esso e illimitatamente per il Legato giusta la relazione, secondariamente ordinò per sua grida che a capo di ogni settimana il giorno preventivo la domenica si dovessero nettare, pulire le strade da ruschi, concimi et imondizie che come riferisce la Grida stessa cioè: Si ordina in virtù del ministero di Officio di Ornato ed attento che la salubrità della populazione consiste nella massima dalli aliti cattivi e fetori troppo nocivi alla creature umane. Item che ognuno dal suo canto oltre il tenere purgate le strade e case debba levare e portare fori al fiume tutti li materiali, sfacimenti, cozzi che ingombrano le vie ed il libero passaggio. Item che sotto li portici non si ponghino materie, instrumenti, legnami ed altre robbe che ingombrino e così pure li lavoranti esercitino il loro officio entro le taberne sue, siano uomini che donne.
    Nello stesso giorno pure che fu il 28 lulio stabilì la paga fissa al di lui notaio da pagarsi dalle Comunità sogette alla podestaria a capo d’anno, la quale veniva contesa dalle medesime, come si legge nel lib. 1 de Diversi nell’archivio comunitativo, e fu la seguente.

Adì 28 lulio.Tassa dovuta al notaio ufficiale del Podestà di Castel S. Pietro dalle sue Comunità
Castel S. Pietro ………………………… l. 6: 14 Castel de Britti ………………… l. 1: 13: 4
Liano ………………………………………… l. 3: 2 Pizzano …………………………… l. 2: 4: 6
Casalecchio de Conti ………………… l. 1: 13: 6 Monte Armato ………………… l. 1: 2: 7
Varignana di sopra ……………………… l. 1: 2: 4 Stifonti …………………………… l. -: 16: –
Varignana di sotto ……………………… l. -: 11: 4 Ciagnano ………………………… l. -: 16: –
Ozano di sopra …………………………… l. 1: 13: 4 Monte Caldiraro ……………… l. 2: 4: 6
Ozano di sotto …………………………… l. -: 11: 4
Che sono in tutto per la patente del comissario l. 24: 3: 7
Franciscus Mattagliani
Camillus Saxatelli Not.
Agostino Topi nipote di Andrea, attesa la di lui decrepitezza, fu fatto dal Consilio pubblico rappresentante attesa la rinoncia del med. Andrea, il che disparve molto alla Comunità vedendosi privare dal Senato del Jus eligendi, onde per ciò fu sempre veduto di mal’ochio l’eletto da suoi coleghi.
Nel seguente semestre 1571 entrò Massaro Domenico Gasparini e nel dì 3 genaro prese il possesso di Podestà il Conte Ipolito Piatesi, suo notaio fu Camillo Sassatelli il quale sostituì Sebastiano Riccardi not. in suo loco.
Non ostante che fino dal 1566 Papa Pio V avesse proibito li mercati ne giorni festivi, attendendosi poco tale proibizione massime ne paesi più mercantili, vennero perciò in sentimento il card. Alessandro Sforza legato ed il card. Gabriele Paleotti vescovo di Bologna di provedere assolutamente a tanto disordine, quindi nel dì 17 corrente febbraro 1571 promulgarono un bando, soscritto da ambidue, nel quale ordinavano che tutte le domeniche dell’anno, feste di M. V. e di N. S. non si potessero fare mercati ma si trasportassero e si facessero nel giorno antecedente o posteriore. Nel med. bando fu notato Castel S. Pietro, il quale poi trasferì l’emporio al venerdì d’ogni settimana che non fosse però festivo di precetto e ciò colla intelligenza del vescovo Paleotti, fu ciò autorizzato in d. Bolla onde niun luogo patisse nelle sue prerogative. Di ciò se ne conserva fra li documenti della Comunità il seguente manifesto :
Attento che sono stati sospesi li Mercati e Fiere per sua Signoria Ill.ma Card. Legato Sforza e sua Sig. Ill.ma Card. Gabriele Paleotti Vescovo in vigore di ordini papali colla facoltà di permutarli nel giorno imediato doppo e come sarà creduto, così restano intese tutte le persone e commercianti che trovandosi festivo di precetto il Lunedì e seguente Martedì per precetto di ogni settimana il mercato solito di Castel S. Pietro viene trasferito e sostituito il venerdì della stessa colle solite sue prerogative, alle quali non si intende in verun modo pregiudicare. Ludovicus Nitius Segret. Da mandato.
Il Cassare della porta maggiore del Castello essendo ruinoso la Comunità lo fece ristorare, come fece ristorare anco la porta superiore.
Fatta cittadina di Bologna la familia Morelli di Castel S. Pietro e stabilitasi sotto la parochia di S. Lucia nella via di Cartoleria Vecchia, avendo aquistato lo Jus sepolcrale nella chiesa di S. Stefano col Jus patronato dell’altare di S. Giovanni Battista decolato, fu fatto ristorare dall’egregio Giovanni Morelli a petizione di Orazio Morelli, come si rileva da monumenti ed inscrizioni riportate da D. Celestino Petrocchi nel suo libro della Basilica di S. Stefano, che noi pure qui riportiamo per trattarsi di un soggetto illustre e chiaro per la sue poesie latine stampate per il Bonardi, il quale finchè visse volle sempre essere ammesso alle cariche maggiori di questa sua patria come abbiamo scritto e scriveremo. Nella parete adunque della capella di S. Giovanni Battista trovasi la seguente
UT HORATII MORELLI PIETATI SATISFACERENT
Joannes frater, et Lucia filia R. L. P.
MDLXXI
Nel piano della capella poi sopra la sepolcrale avvi la seguente da dove si rileva che Orazio aveva un filio il quale dovette finire senza sucessione, mentre abbiamo che tutta la eredità di un pinque stato fu dal d. Giovanni disposta a favore de gesuiti sotto diversi obblighi inademplati
Horatio Fratri
Mattheo filio
sibi
Superstitibusque fuis
Joannes Morellus
T. C.
de Morellis
Li 24 giugno fu estratto Massaro per il venturo semestre Matteo Ronzani e Podestà Bonaventura di Friano Paleotti. L’uno e l’altro coprirono la carica del loro officio il dì primo lulio. Terminato dunque avendo il suo ministero di Podestà il Conte Girolamo Piatesi fece apporre all’uso de suoi antecedenti la sua memoria nella pubblica ressidenza e fu questa.
Hierolimus Platesius Comes et Pretor
Pro Primis MDLXXI
Bramoso il Conte Pompeo Ramazzotti di liberarsi del fetore che producevano le imondizie e concimi che si ponevano in un picolo stradello che intermediava il di lui abitato ed altri suoi edifici posti nella strada di Framella, addomandò alla Comunità nel dì 19 agosto la facoltà di chiudere tale stradello che metteva a capo del teraglio del castello esternamente a levante. La Comunità aderì favorevolmente con questo che vi apponesse il Conte due porte grandi una all’ingresso in d. via ed in faccia allo stradello che va da d. via Framella porta diretivamente alla via maggiore del Castello et a piazza Liana ove è la chiesa di S. Bartolomeo. Ciò ottenuto adempì la promessa non solo ma anco fabbricovvi col tempo il palazzo suo che fu poi ampliato da Locatelli e la loggia inferiore era lo stradello divisato.
Li 3 settembre in Forlì Fra Gio. Battista Fabbri di Castel S. Pietro chierico cappuccino ornato di una purità di mente si candida, singulare umiltà, esatta disciplina, mortificazione di senso e frequenza di orazione, che da suoi commensali relligiosi era estremamente ammirato, carico di meriti rese santamente l’anima a Dio ed il tributo alla natura, lasciandosi credito singulare di santità. Di esso ne hanno scritto il Boario Annal. Cappuc. T. I, par. 2, fol. 437, an. 1571, il Bombaci: Uomini illustri per santità, il Masini Gior. indif. fol. 128 ed altri. Che per ciò il moderno Necrologio Cappuccino così ne segna la memoria sotto il mese di settembre: Die 3. 7.bris 1571 Forolivi Obiit F. Jo. Ba.sta a Cas. S. P.ri clevicus evangelica mentis et corporis puritate, vigili sensuum mortificatione et carnis castigatione custodita preditus.
Selim Turco gran signore avendo mossa guerra alla X.tianità si era avvanzato fino al veneziano onde per ogni dove si facevano orazioni ed erano invitati li valorosi cattolici ad andare all’armi a ressisterli onde perciò di Castel S. Pietro vi andarono Giambattista capitano Fabbri che seco condusse in qualità pure di capitano Pompeo Fiegna uomo animoso quanto mai e prode di sua vita. Si assoldarono entrambi sotto l’Ammiraglio Marc’Antonio Colonna et andarono alla volta di Cipro. Li attachi e battute che seguirono e per nave e per terra alle quali vi si trovarono presenti si possono osservare nella storia veneta.
Finalmente a Dio piacendo, per le grandi orazioni che si facevano e massime dal pontefice sommo Pio V, restò superato il crudele e barbaro tirano il giorno 7 ottobre di quest’anno, che fu attribuito a miracolo ottenuto per di lui intercessione avendone avuta la rivelazione nel tempo che celebrava. Seguì la formidabile giornata fra la lega X.stiana contro quella nel golfo di Lepanto nel quale restò distrutta tutta la turchesca composta di 322 navi e di alcune grosse maone e la X.tiana non ne aveva più che 216 galere e sei galeazze. Le turche prigioniere furono 180 e 90 sommerse e 30 milla parte morti dalle cannonate e parte trucidati, seimilla fatti schiavi e 15 milla christiani liberati dalla schiavitù il che più diffusamente riferiremo nella inscrizione sopra l’avello del pontefice.
Ottenuta tale vittoria rimpatriarono li nostri due capitani, Pompeo Fiegna prese tosto moglie da cui ne venne un filio per nome Lodovico che fu eguale sentimento bellicoso del padre.
La raccolta del Gualdo nel nostro territorio di Castel S. Pietro fu abbondantissima al segno che si vendette il suo seme soldi dieci lo staro, come ritroviamo annotato ne Libri de Conti del convento di S. Bartolomeo di questo loco al fol. 62 ove ne fecero quella vendita di stara cinque per cinque pavoli.
Fioriva in questa sua patria di Castel S. Pietro nella presente epoca Sebastiano Cheli nell’arte di pittore figurista che fu scolaro di Samachino, le di lui operazioni che fece fu un ritratto di S. Carlo Boromeo di meza figura, che abbiamo visto in questo convento di francescani locali. Dipinse ancora un Cristo con una madonna nell’Ospitale de peregrini in codesto Borgo, come abbiamo rilevato dalle carte della supressa Compagnia di S. Cattarina nel primo Rotolo delli Inutili. Le altre sue opere ci sono ignote come ci è ignota la di lui morte e dove seguisse.
L’anno 1572 Chelo Cheli fu Massaro per il primo semestre. Podestà fu Giulio Fabbri, suo sostituto fu Andrea Gallucci. Il secondo Podestà Alesandro Gazelli al quale poi fu sostituito Lucio Guidotti come rissulta dalli atti giudiciali.
Il terremoto si fece sentire sensibilmente onde le mura nelli castelli di Varignana e Fiagnano, ove erano meno forti, crollarono. Così accade in Castel S. Pietro alla destra dell’ingresso maggiore per il tratto di alquante pertiche le quali furono dappoi rifatte a spese comunitative e dalla podestaria nel modo che furono ristorate le mura di Varignana a spese di Monte Armato, Monte Caldiraro e Stifonti come si legge in lapide di macigno incisa in un angolo di un edificio alla destra della via maggiore presso la piazza dell’adecontro tenore:
Anno Salutis 1572 resl.
aurata sunt Varignane Menia communibus
pecuniis Hominum Varignane super
et nemoris Montis Calderari, Montis Armati et Stifontis.
Andrea de Andriolis Massario
Li fuorusciti e scapestrati si erano fatti così audaci che, non la perdonando ad alcuno e nemeno alle vergini quando le trovavano, arischiavano venire fino nel contorno del Castello e Borgo, per la qual cosa cominciarono li paesani ad andare in conventicole e dove ritrovavano più di due persone li arrestavano e conducevano alla città. Inventore di ciò fu Zachirolo Zachiroli di Castel S. Pietro, familia che la troviamo radicata in questo loco fino dal 1560 nel Libro babtizator. della parochia titolato: Memoriale quotidianum babtizatorum in pergamena e la troviamo continuata fino alla metà del venturo secolo di dove emigrò ed andossi a Castel Guelfo.
E perché nascondevansi questi malviventi nelle vicine grotte di Casalechio e nelle boscaglie e tallora si facevano forti nelli avanzi di fortificazioni e roche vicine de castelli distrutti, fu perciò motivo che furono interamente abbolite le torri di Castel di Gaggio nel nostro comune e di Vedriano.
Allo spirare di aprile morì il sommo pontefice Pio V di singulare santità ed unico sostegno presso Iddio della X.tianità, avendo avute guerre accanite contro li eretici della Francia e col Turco nell’Austria ed altrove onde al suo sepolcro le fu fatto il seguente epitafio a di lui gloria.
Selimum Turcarum Tirannum
Multis insolemtem victoriis
Capta Cipro, Christianis extrema minitantem
Federe inito cum Philipo secundo
Hispaniarum Rege, et Repub. veneta
Marco Antonio Columna
Pontificie Classis Prefecto
Ad enchinandas Insulas
Triremis centum octaginta captis
Nonaginta demergis
Hostibus triginta millibus cesis
Sex millibus captis
Christianis quindecim mille a servitide liberatis
Pius V Pontif. Max. Precibus et armis vicit
Intesa tale morte imediatamente partì di Bologna il Legato Sforza con tutto il di lui grande convoglio ed equipaggio da Principe. Radunati li cardinali in Roma elessero in pontefice Ugo Boncompagni nel dì 13 maggio, cardinale bolognese, che assunse il nome di Gregorio XIII e fu sommo di probità e scienza per la quale protesse molto i letterati. Nel tempo che trattavasi di lui creazione in pontefice, si scorsero in Bologna nell’orto di Petronio Pasi un dragone con due piedi che sibilava del quale Ulisse Aldrovandi ne T. 2 de Dragoni fol. 40 ne porta l’effige e descrizione. Questa scoperta predisse la elezione di Gregorio XIII il quale nel di lui stema gentilizio forma appunto un drago.
Estratto Massaro Agostino Topi pel secondo semestre, intraprese il suo ministero il dì primo lulio.
La Compagnia di S. Cattarina tenendo entro il Castello, come si disse, l’ospitale per preti ed altre persone religiose ed eclesiastiche viandanti, essendole di imbarazzo non che di spesa maggiore, decretò nel dì 6 lulio di unirlo all’altro di Borgo col trasportare ivi li tre letti e le altre supeletili.
Essendosi equipaggiato il card. Alessandro Sforza Legato di Bologna fino ad Imola ed incaricata la Comunità di Castel S. Pietro a tale spesa colle altre Comunità della podestaria, pagò perciò lire trecentoventisei di sua tangente al sudd. Massaro Topi che ne era colla cassa comunitativa in sborso per tanti careggi fatti per sudetto passaggio. Pagò ancora Medicina e Budrio la somma di lire quattrocentoventi e soldi quindici l. 420: 15 come rissulta al Campione 1 delli atti comunitativi fol. 188 al 195. nel rendiconto a capo dell’anno.
Nel seguente poi 1573 al primo genaro intraprese la massaria Angelo Buldrini. Per il primo semestre fu Podestà Ercole Filicini e per il secondo semestre fu Enea Marsili come si riscontra dai libri de loro atti giudiciali, il loro notaio fu Lellio Berti, come ci indicano le carte dell’archivio comunitativo.
Dichiarato dal Papa governatore di Bologna Latanzio Latanzi da Orvieto, se ne venne alla volta di questo suo governo per la via di Romagna e li 23 maggio partì d’Imola e fu incontrato a Castel S. Pietro da cavalleggieri e nobili, come ci acenna una miscellanea di spese nell’archivio comunitativo, senza individuarci li nomi e cognomi di questi.
Matteo Comelli di ser Francesco il dì primo lulio investì la carica di Massaro. Il Podestà neppure l’abbiamo trovato nell’elenco.
Intento Gregorio XIII a propagare il culto divino non che a contestare a Dio il ringraziamento della vittoria ottenuta contro l’ottomano, ma anco a perpetuarne la memoria, decretò che ovunque fossero chiese consacrate alla B. V. del Rosario si dovessero solennizare la di lei gloria la prima domenica del mese di ottobre di ogni anno la quale dovevasi chiamare la Domenica del Rosario da cattolici e ciò in memoria della segnalata vittoria ottenuta l’anno scorso contro l’ottomano e così seguì in ogni dove.
Medesimamente lo stesso pontefice ad effetto di avere una esatta descrizione di tutte le chiese, benefici lajcali e semplici delli di lui stati, ordinò una visita generale delle medesime ed a questo effetto deputò visitatore generale apostolico mons. Ascanio Marchesini vescovo di Majorica che in nome pontificio, munito di breve papale tostamente si portò per tutto lo Stato eclesiastico.
Circa la metà di ottobre venne a quella Villa di S. Biagio di Poggio ove, dopo avere visitato quella parochiale, passò alla visita della chiesa della Madonna della quale ne fece la seguente descrizione come si rileva alla pag. 442 ove canoniza la proprietà di quella spettare alla nostra Comunità di Castel S. Pietro ne seguenti termini: Ecclesia S. Marie de Podio, que est Oratorium Cammunitatis Castri S. Petri est satis pulcra cum domo canonicali, degitibi guidam Presbiter satis bone fame, habet necessaria ad celebrandum, tamen Ara sacra est minus parva, ideo preigitur fieri aliam majorem et ne celebretur Missa in aliis Altaribus donec unaquaque includatur Ara sacra.
Indi il giorno 27 ottobre venne a Castel S. Pietro in giorno di sabbato come ne rissulta dalla descrizione della med. la quale qui per esteso noi trasportiamo l’estratto: 1573. Visitatie per R. D. Ascanium Marchesini Episcopum Majorensem delegatum in Visitatorem a Gregori XIII P. M. prout in T. I Visitationum pag. 255.
Die Sabbati 17 octobris R. D. Visitator prossequendi Visitationem Diocesis accessit ad Cas. S. Petri et supervenienti nocte distulit Visitationem ad sequentem diem.
Die Domenica VIII Octobris in festa S. Luce. R.mus D. visitabit de mane parochiellem Eclesiam S. Marie, fuit in porta acceptus a multam R. D. Ludovico Malvetie eiusd. eclesia Rectore, qui habet Literas a capitulo Bononie post Concilium, cum dicatum Beneficium Juris Patronatus sue familie (non si comprende come possa dirsi Giuspatronato di sua familia poiché consta da Rogiti che il Jus Patronato era della Comunità) poi siegue: et celebrata Missa pred. Remus habuit sermonem ad Populum, applicando visistationem ordinavit Processionem, que statim fuit facta generalis per d. Castrum, ipso R. D. deferente SS.mo. Parotia abet animas 960 habiles ad Comunionem. (ed ora ne ha circa tremilla).
Indi siegue alla descrizione delli altari colle erezioni de Benefici a quelli cioè: 1° Altare no Jus adest Icona. 2° Altare S. Blasi, sive Beni Jesus de Jure patronatus illorum de Magnanis annui Reditus scut. 10 ( questi sono incorporati nelli altri rediti della chiesa). 3° Altare S. Bernardino. 4° Altare S. Crucis illorum de Bologninis, Anibal Cimellos est beneficiatus. 5° Altare S. Jacobi ex Devotione illorum de Muzza erach… (questo altare ha mutato dedica doppoichè passò in dominio di Girolamo Dalle Vacche ed è additto a S. Vincenzo Ferrario e SS.ma Trinità). 6° Altare S. Stephani habet Capellaniam Juris Patronatus illorum de Serpis (questo altare passò poi in eredità alla casa Senatoria Caldarini che ne fece poi la Rinoncia all’arte de Gargiolari nel (…) il Conte Nicolò come a suo loco diremo, presso a questo altare al fianco destro della porta maggiore della chiesa eravi il fonte battesimale). 7° Altare S. Micaellis Juris patronatus illorum de Rotis annui reditus scut. 10.
Si averte che questo distrutto fu riportato alla Capella ed Altare del Rosario, come dalle sucessive notizie rilevarà il Lettore de nostri scritti, il di cui quadro è del egregio penello di Orazio Samachini. Questo Beneficio esiste ancora e si gode dall’arciprete D. Bartolomeo Calistri, che prima di divenire arciprete l’aveva a parte come chierico, a titolo del qual beneficio fu promosso alli ordini clericali. La familia Rota è chiara se non per altro che per il Chierico di Camera Giovanni Rota e familiare di Clemente settimo.
8° Altare di S. Agata_____ . 9° Altare S. Andree ex Dovotione illorum de Comellis. (Quest’Altare trasferito nell’interno della capella del Rosario ora si gode dall’arciprete Calistri con una pingue eredità lasciatale da Nicolò Comelli come acceneremo nel secolo venturo alla sua epoca). 10° Altare S. Laurenti habent Capellaniam, ejus rector est Annibal Comelus, Juris patronatus illorum de Brunis, redditus scut.4: 80. Questo altare è abolito ed ora avvi l’altare di S. Cattarina V. e M. 11° Altare S. Lucia ex devotione illorum de Morellis. (Era questo altare alla sinistra dell’altar maggiore in cornu Evangeli, che fu poi distrutto da Gesuiti doppo il 1700 al quale essendovi molti obblighi come si scriverà a suo loco, furono fatti opprimere da gesuiti di Bologna eredi dell’asse pingue Morelli). 12° Altare S. Cattarine est societatis quod mandavit fieri ornatum. (il che fu eseguito nel 1579). Questo altare era in capella grande ove officiavano li confratelli ed ora serve di sagrestia alla parochia, poi soggiunge il Visitatore: Et cum sodales faciant celebrare bis in hebdomata et peragrant festa anniversaria, aget ornamentis, ideo mandavit Capellam illustravi in Imaginibus et Cancello ligneo claudi, ab dessuper umbrellam apponi at tabulis dipictis ex tela, quod tamen fiat sine prejudicio Jurium, si que habet Rector d. eclesie, que plurimum indiget d. Capella pro nova sagrestia construenda et sodales voluerint concedere. Ideo hoc tantum mopolium cum egeat majori oportunitate temporis, et eclesia plurimum egeat Sagristia, nec sit locus comodus in quo construi possit, relinquitur arbitrio Ill.mi D. Episcopi.
In sequela di tali disposizioni la Compagnia fece fare il quadro della disputa della Santa all’egregio penello di Prospero Fontana, che nemeno sembra suo alla maestria con cui è stato fatto. Fu lavorato in questa guisa per impegno ed emulazione di Lodovico Carazzi che ne doveva esso farlo, come accenna il Malvasia nella sua Felsina pittrice. Rillevasi dal testo di questo decreto che la divisata capella era a coppi all’uso di questi tempi, onde per ciò il Visitatore ordinò il baldachino sopra l’altare, il che era di stile in simile chiesa e santuari. Soggiunge ancora la visita che questa compagnia possiede stabili, li quali furonli lasciati per erigere e sostenere un ospitale nel Borgo onde albergare pelegrini e curare infermi: Institutum Hospitalis est nodum excipere peregrinos sed etiam curare infirmos.
E perché la chiesa parochiale era a coppi, cioè a tegole e tavoloni, ordinò il Visitatore che fossevi posto il tasello il che si eseguì fra non molto spendendovi la Comunità scudi 100 in tanto abete.
Visitata la parochia passò il visitatore alla chiesa della med. compagnia dedicata a d. Santa, ove rinovando a que confratelli l’obbligo dell’ospitale così si espresse: Eclesia et oratorius S. Cattarine adest et est visitatus Liber Rationum Reditus sc. 80 et maxime quia Bona eiusdem fuerunt relecta per erigendo et substendendo Hospitale, quod fuit visitatum in Burgo extra Castrum.
Doppo ciò passò alla chiesa di S. Bartolomeo. Pervenit etiam ad Capellam Societatis S. Bartolomei que est in eclesia eiusdem tituli Frat. Ord. S. Augustini, in qua sodales diebus festivi recitant divina officia et se exerceant in operibus piis, nulla Bona stabilia possidunt et cum fuerint inventi non habet aliqua capitala, fuit ordinatus Patribus d. Conventus ut aliqua Capitula faciant, que ipsos sodales dirigant et confirmari possiat per ill.mum D. Episcopum. quibus ex peditis. L’origine di questa compagnia canonicamente eretta non si ritrova, la quale al nostro pensare crediamo fosse piuttosto una semplice unione, mentre che non avendo leggi, come indica il Visitatore, è da credere che ella fosse un corpo acidentale, tanto più in ciò si conferma la opinione poiché non ne vediamo della med. alcuna abolizione giuridica né alcuna carta nell’archivio di questi agostiniani che di essa finora ne parli. O fosse che li Capitoli e leggi fatte dai frati non piacessero alli componenti quella o che li frati stessi non ne facessero alcuna, vero si è che la compagnia la troviamo perduta.
Si vole dalla tradizione de paesani che questa compagnia di moto proprio si incorporasse con quella di S. Cattarina poiché in questa trovasi il quadro antico di una figura sola, grande al vero, di bona mano di questi tempi esprimente S. Bartolomeo che doveva servire da paliola a quella oppure di protettore della compagnia medesima emigrata dal convento e chiesa delli agostiniani, aggiungendosi in prova che dalla confraternita di S. Cattarina alla ricorrenza della festa di questo apostolo ne solennizava ancor essa il giorno, il che si è sempre effettuato finchè è esistita la compagnia di S. Cattarina ed è probabile che così sia, mentre nelle carte di questa ultima nel copioso suo archivio nulla ritroviamo di positivo e nemeno fra li rotoli denominati Inutili. Troviamo nell’archivio di questa parochiale un libercolo antico di visite pastorali col millesimo in fronte mutilato e colli soli primi numeri cioè 15 …. La giornata poi precisata così: 18 Octobris, ma non vi è indicato il visitatore.
Giudichiamo perciò che possi essere un fragmento della su esposta di mons. Marchesini poiché è scritta colle stesse parole e iniziata nella stessa forma. Solo ci fa impressione che in questo libercolo vi sono decreti che sono omessi nella esposta del Marchesini e sono intorno alla chiesa di S. Giacomo e Filippo al ponte Silaro cioè: Sup.tus D. pervenit ad simplicem eclesiam SS. Jacobi et Philippi unitam S. Sigismundo parochiali Bononie, cujus rector est D. Jacobus de Termaninis. Eclesia ipsa est decorata et dealbata, jussite imagines SS. Jacobi et Philippi pingi, crecem ferream poni in culmine eclesie, domum non habet canonicalem. Redditus scut. 10 aut 12 D. Sebastianus Rolandinus alias De Calova, est informatos de usurpatione Bonor. d. eclesia et de Bonis que erant pro reaptatione pontis dicti del Selaro.
Dopo questa descrizione passa il Visitatore al Borgo del nostro Castello e così si esprime solamente intorno alla chiesa di S. Pietro. Eclesia S. Petri reditus scut. 15 et corb. 7 tritici …… senza più dire altro e passando alla chiesa dll’Annunziata così scrive: Sup.tus D. visitavit quoddam Sacellum sive Orat. S. Marie Annuntiate noncupat site in Burgo Castri S. Petri jamdudam erecta per Homines Burgi ….. né altro più trovasi scritto, onde egli è un enigma, la cui dissoluzione lasciamo a chi ha più di noi ozio.
Avendo il regnante pontefice Gregorio XIII fissato un Breve nel decorso lulio sopra il modo di fare le inghiarazioni per il contado di Bologna ad effetto di togliere li disordini che accadevano fra li villani e ministri pubblici e dovendosi in questo mese effettuare nel nostro comune di Castel S. Pietro, li villani di Poggio, sempre torbiti né volendo essere subordinati al nostro Castello, quando si fu all’atto pratico della inghiarazione nella via maestra consolare, che fino al cadente ottobre avevano con cavilli dilazionata, perentorialmente invitati dal moderno Massaro Matteo Comelli, vennero costoro che ne erano finora stati ripugnanti e, senza punto prestarsi alla direzione del Massaro, cominciarono a loro talento ghiarare la strada consolare. Ne naquero altercazioni e dalle parole, uno di quella villa della familia Paoli per nome Pippone cioè Filippone, passò ai fatti e percosse il Comelli malamente.
Andò la voce al Castello, sortirono molti paesani con armi e legni e quivi cominciossi una ardente baruffa di bastonate fra l’uno e l’altro partito, ma essendo cresciuto il numero de paesani convenne alli uomini di Poggio darsi alla fuga, lasciando le bestie et ordegni nella pubblica strada, li quali dappoi furono da altri di quel villaggio più decisi mandati a prendere. Ma perché il rumore declinava in una seria processura, interposta la padronanza di quei villani, furono tutti pacificati né il tribunale potè procedere.
L’anno seguente poi 1574 entrò Massaro Matteo Ronzani, Podestà furono Ercole Bandini per il P. S. e per il S. S. Alessandro Volta. Il loro locotenente fu il notaio Giulio Cupellini.
In questi tempi cominciarono li estratti Podestà ad omettere la ressidenza personale nel paese, che fu poi motivo di perdersi la loro autorità e che le persone vivevano a suo talento non avendo tema di superiore autorevole.
Perché poi poco si attendeva all’osservanza delle feste e novamente si introduceva l’uso del mercato già abolito, fu di novo rinovato e più strettamente proibiti li mercati. Venivano pure contese le colette del mercato nel nostro Castello e Borgo onde contemporaneamente venne pubblicata la tariffa ed ordinato il pagamento a norma di quella, per gli atti del d. Sassatelli Not. del Giusdicente, come riscontriamo nel Libro delle spese. Riscontriamo ancora che li uomini della Comunità abilitavano li Cuzzoni o siano Sensali ad esercitare la sensaria.
Il cap. Pompeo Fiegna che fu alla guerra contro il Turco, avuto un filio maschio a cui fu imposto il nome di Lodovico in quest’anno, ne diede alla populazione mendìca segni del suo giubilo mediante una copiosa elemosina di pane e danaro.
Terminato il primo semestre intraprese il governo di Massaro per il secondo semestre Chelo Cheli il primo giorno di lulio.
Stanco di governare questa chiesa D. Lodovico Malvezzi ne fece la rinoncia a D. Sabatino Meneganti al quale fu conferita doppoi li 27 agosto per indulto apostolico come riscontrasi nelli atti di Cesare Beliosi nel vescovado di Bologna. In questo stesso mese il P.re Maestro Ambrogio di Bologna provinciale agostiniano venne alla visita di codesto convento e chiesa di S. Bartolomeo e fra le ordinazioni che fece nella chiesa fu che si facessero dipingere nelle pareti della med. li miracoli più cospicui di S. Nicola. Si spesero lire cento come risulta dai libri de conti del convento, ma non si acenna l’autore della pittura e di fatto se ne vedono fragmenti sotto le ancone delli altari laterali della Annunziata e di S. Giambattista decolato.
Soleva la Comunità fare un collettore delle gravezze comunitative che serviva per tutto l’anno, onde comeche riesciva il peso gravoso al primo Massaro, decretò la Comunità che da qui in appresso si facessero due colettori, cioè uno per ogni semestre e fossero questi li respettivi massari estratti. Per li primi sei mesi adunque dell’anno seguente fu 1575 Matteo Comelli. L’offizio di Podestà fu coperto in questo semestre dal capitano Filippo Malvezzi, il notaio giusdicente fu Camillo Sassatelli.
Dichiarato Pressidente della Romagna il governatore di Bologna Latanzio Latanzi protonot. apostolico partì dalla città il dì 31 genaro e fu accompagnato da Senatori li nomi de quali ce lo tacciono li documenti pubblici. A Castel S. Pietro dove fu ospitato nella publica ressidenza e ivi congedato, come ci annotano li partiti senatori di Bologna in questa forma: 1575. 31 Genaro. R. D. Lactantius de Lactantiis Protonot. apostolicus ex hac urbe et Gubernio discendens ad officium predestinatus Romandiole ad quam electus fuit, ossociatus ad castrum S. Petri Hospicio pubblico receptum est. (T. XIII Partit. Carat. fol. 130.) Seguita la di lui partenza venne immediatamente al Governo Fabbio Mirti.
In Venezia scopertasi la pestilenza nelli uomini, onde li cappuccini che di recente erano stati instituiti si adoprarono di assai e loro fu perciò consegnata la chiesa del Redentore, fece quella un largo campo a scapestrati, a ladri e malandrini che si sparsero in ogni dove e massime nel territorio bolognese ove, uniti con altri del contado, depredavano, assalivano ed uccidevano persone, onde conveniva stare sempre all’arme et ad ognora chiamare popolo per la qual cosa fu così soverchio il battimento della campana maggiore del Castello che si ruppe.
Le stragi, aggressioni ed assasini erano al sommo che si inoltravano i perfidi sino entro li luoghi picoli di sobborghi e terre che perciò andarono ricorsi al Papa per averne una providenza moltopiù che Alfonso Picolomini, nobile fiorentino fuoruscito di Firenze, teneva co’ suoi aderenti in continuo travaglio la Toscana che erano molti. Ascoltò il papa le instanze e fra non molto mandò Giacomo Boncompagni di lui filio naturale con truppe alla volta di Bologna.
In questo mentre la nostra Comunità fece rifondere la campana già rotta. Si pose questa nell’orto delli Serpa divenuto poi Caldarini indi Ghisilieri ora Pasi. L’autore fu Anchise Censi famoso fonditore di metalli che fuse ancora la statua di Gregorio XIII sopra la porta del palazzo pubblico di Bologna. Costò la fattura della campana lire settecento di q.ni (l. 700) e pesò libre tremilla , come abbiamo nelle carte comunitative. Si legono perciò nella campana le seguenti memorie. superiormente in due linee:
Ave Maria gratia plena, Dominustecum
Benedicta tu in mulieribus MDLXXV
Più abbasso:
Mattheo D. Comelli Massario ed all’opposto Anchises F.
Riniero Rinieri per evitare la pestilenza si edificò in questo tempo un bellissimo Casino nel comune del nostro Castello nel quartiere della Lama che ritiene il nome tutt’ora del suo autore cioè Riniera ove dappoi in marmo vi fece apporre il seguente monumento.
Riniero Rinieri de Cas. S. P.ri
extruit Jussit anno Jubileis
MDLXXV
Crassante esto per orbem
Questo monumento, poi levato dal suo posto, l’abbiamo trascritto in casa Vachi familia del paese emigrata ed estinta in Madalena di Giuseppe Vachi, moglie del cittadino Giampietro Zanoni di Bologna. Servì questa villeggiatura di abitazione per la prima volta a Giovanni di Vincenzo Rinieri alla nozze con Leona di Anibale Scarselli e susseguentemente per simile occasione farvi l’ospizio per le nozze di Francesca Mondini sposa di Evangelista dall’Oppio.
Il Padre Maestro Giulio di Bologna agostiniano avendo servito quest’anno di predicatore quaresimale, atteso il di lui singulare fervore evangelico, ritornò sul finire di maggio a predicare per tre giorni nelle presenti circostanze di pestilenza e giubileo.
Giunto il dì primo lulio entrò Massaro Angiolo Buldrini. Podestà fu Gio. Battista Bolognini e suo notaio Camillo Sassatelli.
Essendo venuto a Bologna Giacomo Boncompagni commissionato dal Papa per reprimere li malandrini, fu accompagnato da soldatesca onde la Comunità spese perciò lire centonovantadue per l’equipaggio.
Li 15 settembre la compagnia del Corpo di X.to di S. Pietro di Bologna, portandosi a Roma alla visita de luoghi santi in un numeroso drapello di nobili e cittadini fra quali Bartolomeo Castelli Senatore, Alessandro Volta, Marc’Antonio Calderini, canonico di S. Pietro, e Gaspare di lui nipote, Marchino Bentivoglio e preti assai del contado e città, partirono in forma di processione per ricevere il S. Giubileo portando avvanti uno stendardo cremesino coll’arma del Papa tenendo questa via di Romagna.
Ad ogni luogo murato si fermarono a rinfrescarsi. La prima fermata fu a Castel S. Pietro ove dappoi dirittivamente andarono a Imola. Il loro ritorno fu alla fine di ottobre. Giunti a Roma presentarono al Papa lo stendardo in ricompensa del quale ne riportarono uno di broccato d’argento del valore di scudi 500. Questo stendardo nel ritorno alla città era portato da Giovanni Calderini, erano in tutti N. 160, avevano cavalli, cariaggi e 16 musici seco che arrivando ai luoghi murati ed alle città cantavano e suonavano onde si comoveva ogni popolazione. Vi seguirono di Castel S. Pietro Pompeo Fiegna, Matteo Comelli, Conte (….) e Battista Fabbri. Nel loro ritorno, che fu il 25 ottobre, prima di entrare nel nostro abitato di Castel S. Pietro furono incontrati al ponte da molta nobiltà bolognese che, fra lo strepito delli instrumenti musicali ed il rimbombo di molti fucili e mortaletti, riescì l’accoglimento de nostri paesani assai fastoso.
Alla fine dell’anno partì da Bologna il Governatore Fabio Mirti.
Compiuto il suo officio di Podestà locale Gio. Battista Bolognini fece apporre in questa pubblica ressidenza il suo stemma colla seguente inscrizione colla quale chiudiamo ancor noi l’anno.
Jo. Baptista Bolognini
Olim Jo. Pret. sec. sem.
Anno MDLXXV
Venne poi governatore a Bologna l’anno successivo 1576 Ottavio Mirti Frangipane napoletano. Massaro del primo semestre fu Agostino Topi. Podestà Anibale Marescotti.
Propagandosi in frattanto la pestilenza nel ferrarese si misero le guardie alla confina non solo dello stato ma ancora li rastelli alli passi ed ingressi delli abitati. Al nostro Borgo, sia da levante che da ponente, si fecero due casoni di asse e vi si apposero le sentinelle. Fu incaricato il Massaro a pressiedere al bon ordine. Il capitano Biagio Sgarzi nazionale ebbe l’impegno della milizia paesana, la quale aveva sempre ambulanti due patuglie oltre le sentinelle. Fu serrata la via di Medicina detta di S. Carlo, la via che porta al Silaro, detta del Canale, coll’altre opposte circondarie il paese furono tagliate e baricate e le persone erano fra loro sospettose nel conversare.
Fu l’inverno più nebbioso che aquoso e nevicoso onde la salute umana era vieppiù in pericolo. Al terminare di febbraro si sciolsero le nebbie in copiose aque, per le quali, venendo battuto il nostro ponte sopra il Silaro fortemente, fu necessaria l’imediata riparazione dalla parte di ponente.
Cominciò la mortalità nelle parti della bassa pianura del Bolognese e li medici ebbero molto da operare, onde molti andarono al sepolcro, cosiché li bechini erano in maggiori facende delli altri professori, ma comechè non bastano le diffese delli uomini se non vengono roborate dall’ajuto supremo, così il card. Paleotti vescovo di Bologna ricorse ed impetrò dal Papa un amplissimo Giubileo di penitenza, come si legge nel suo Episcopale Bonon. fol. 202, ove avvertisce con lettera pastorale che Dio non manda castighi se non per li peccati. Ordinò quindi processioni di penitenza e prescrisse alla diocesi li giorni di mercordì, venerdì e sabato di ogni settimana a ricevere il S. Giubileo. La Compagnia del SS.mo, che veniva spiritualmente governata da D. Alfonso Cuzzani suo capellano, era in continuo moto per il ministero della S. Eucarestia.
Non ostante queste tribulazioni Marco Genovesi ed Alessandro _ di Castel S. Pietro, uomini micidiali, comettevano qualunque iniquità senza rossore e tema di giustizia. Avendo per ciò ucciso proditoriamente Gaspare Geti con archibuggiate, furono presi ed in Bologna impicati. Nel dì primo di lulio intraprese l’officio di Massaro Francesco Ricardi. Podestà fu Giulio Felicini. Per il riparo alle minacciate ruine del ponte essendosi spese lire settecento, ordinò il Senato il riparto della med. nel Libro di Massaria, come si rileva dalla seguente Memoria T. XIII Partit. Carat.: Adi 14 lulio 1576. Parimentum l. 700 erogan. in partitione Pontis Castri S. Petri. In questo mese, stante le emergenze presenti di pestilenza facendosi universalmente diligenze e riviste ai luoghi anco regolari, venne a Castel S. Pietro alla visita del convento di S. Bartolomeo il provinciale delli agostiniani Padre Maestro Gian Stefano dalla Penna e Billi. In queste circostanze furono infinite le grazie che si ebbero dalle persone mediante la Imagine di M. V. di Poggio che ad annoverarle converebbe farne un opuscolo a parte di quante abbiamo rilevato da una raccolta di tavolette fatte e descritte dal P. Barbieri dell’ordine dell’Oratorio di Bologna. Cessato il timore della pestilenza e le precauzioni di guardia, avendo la Comunità spese l. 123 per li casetti e rastelli, fu fatto il comparto con decreto dell’Assonteria a tutte le Comunità soggette a questa podestaria. Morì in quest’anno Massimiliano Imperatore al quale sucesse Ridolfo II d’Austria. Fu anco in questo tempo richiamato dal Governo di Bologna Ottavio Mirti al quale sucesse nell’anno veniente 1577 Gio. Battista Castagna che fu ricevuto con tutti li onori al Borgo di questo nostro Castello da deputati Senatori che ci si taciono li nomi e cognomi. Fu Massaro del primo semestre adunque 1577 Innocenzo Fabbri, le carte comunitative ci tacciono il nome de Senatori che complimentarono il novo governatore. Per il P. S. fu Ercole Catani il Podestà locale. Nel mese di marzo, come riferisce la Cron. Carradori di Budrio, apparve in cielo una stella crinita dalla parte del levante co’ raggi volti a mattina, durando molto a farsi vedere. Terminata la volta reale alla capella di S. Cattarina, unita alla chiesa parochiale, vi furono fatte in sequela due sepolcreti per le quali pagò la compagnia al paroco lire cento. Divenuta la nobiltà di Bologna coraggiosa al segno, a motivo di avere nel suo ceto Boncompagno Boncompagni fratello del Papa già Senatore ed ex confaloniere, vedendo il governatore Gio. Battista Castagna non potere reggere la nobiltà come si conveniva, si levò dal Governo e così assicurò le sue convenienze. Estratto Massaro per il secondo semestre Chelo Cheli, prese il dì primo lulio possesso del suo officio e così fece Alessandro Gozadini Senatore mandando ad esercitare il di lui notaio Giulio Morganini che fecero ristaurare la loro ressidenza apponendovi a capo d’anno la seguente lapide: Restaurata fuit ad eodem D. Alex. Goggiadino equit. et senat. Bonon. Pretor pro secund. MDLXXVII Iulius Morganinus Not. Eletto poi Governatore di Bologna dal Papa Francesco Sangiorgio Casalasco protonot. venne alla sua ressidenza in genaro l’anno 1578 ricevuto a Castel S. Pietro da due Senatori come accena la seduta Senatoria in questi termini: 1578. 14 Genaro Martedì. R.dus D. Franciscus Sangiorgius deputatus Bononie Gubernator, die super.. a Castro S. Petri duobus Senatoriis Viris publice exceptus fuit. Si spesero per ciò l. 50: 13: 8 come al T. XIII Partit. Carr. fol. 216. Entrato Massaro Matteo Comelli per questo primo semestre, non mancò al passaggio di tale superiore presentarsi e manifestarle le angustie in cui ponevasi questa populazione per li fuorusciti e malandrini che infestavano queste parti. Ascoltò egli le instanze e ne diede fra breve il provedimento, imperciocchè mandò al nostro Castello sbirraglia e soldati a cavallo di nazione corsi. Albergarono questi nella ressidenza del Podestà Alessandro Barbazza al quale lasciarono per le udienze una picola cameruccia corrispondente sotto il portico della casa e palazzo comunitativo. Cominciarono tosto a battersi e sbaragliarli tanto che di giorno assicurarono la via corriera da un canto all’altro del nostro abitato. Li sbirri agivano fino alla Cliterna e li corsi fino al confine della Romagna. Trovavasi una unione di persone dell’uno e dell’altro sesso che, in figura di compagnia larga, offerivano a M. V. sotto il titolo della Centura annualmente olocasti e divozioni e comunemente chiamavasi compagnia di S. Monaca ed Agostino, onde faceva alcun’altro officio a diversità dall’altra compagnia detta di S. Bartolomeo della quale se ne scrisse sotto il 1573. Onde questa unione della Centura, bramosa di fruire delle indulgenze che da sommi pontefici sono concesse a Centurati, essendo in questo anno predicatore quaresimale nel paese il P. Lettore Romano di Bologna agostiniano si interpose acciò la med. unione venisse aggregata alla compagnia della Centura di Bologna e di fatti tanto ne avvenne perché radunati tutti li devoti fecero suplica al Capo e Custode della Centura suacennata et addomandarono la agregazione mediante solenne procura fatta in testa del P. M.ro Lodovico Lusitano di Bologna, il quale tostamente fatta la dovute petizione ne riportò il seguente chirografo che in pergamena a figura di Bolla noi conserviamo in data delli 22 marzo anno presente il di cui tenore qui riportiamo cioè. In nomine Do.ni N.ri J. X.ti ac Deipare Semper Virginis gloriose Matris Dei Marie. Amen. Nos Humilis Dei servus Frater Simplicianus Bononiensis Relligionis Eremitarum S. Augustini culto Capelle gloriose Virginis Marie Consollationis in Eclesia Monasteri S. Jacobi de Bononia et ad quam uti custodem p.tam facultas ad infrascripta deveniend. et dub plumbo more Romane Curie expeditarum suo dat.Rome apud S. Petrum anno Incarnationis Domine MDLXXVI. Idus Augusti spectati et conegatit omnibus presentes testimonibus litteras visuris, lecturis seu legis audituria salutem in D.no seppiternum. Notam facimus et in verbis veritatis attestamus quod cum nuper Rev. Pater Theologie, Magister Ludovicus Lusitanus Regens Bononie S. Jacobi Ordinis p.ti (..) Augustini Procurator devotorum Nominum Cent. Societatis S. Patris Augustini at S. Matris Monice Castri S. Petri marinia sele grave cupiditate cooptare aggregari in consortium et Confraternitatem Congregationis B. M. V. de Consolatione canonice instirate in d. eclesia B. Jacobi da Bononie perpetuo unite alteri Confraternitali Centuratorum B. Augustini et Monice in ipsamet ecclesia S. Jacobi erecte. Nos matura super inde deliberatione prehabita omnibus melioribus modo, via , jure causa et forma quibus potuimus et voluimus perfato R. P.ra Magistro Ludovico de Lusitania procuratorio Nomine predictoJustante et petente, et acceptante dictos honotabiles et catolicos Confratres atiusque Sexus pessate ven. Confraternitati SS. Augustini et Monice de Castro S. Petri eorumque in ipse Societate sucessores ac totam Confraternitatem ipsam in Consortium et societas d. R. Confrater. B. M. V. de Consolatione et uniterum in d. E.cle S. Jacobi de Bononia instituti recegimus, asmisimus et eidem apropavimus quinibus d. Confrat. S. Marie de Consolatione de Bononia se regere, gubernare et ea omnia observare et ab eis non recedere nec ea mutare, variare et abiurare, bnec circa ea aliquid inovare absque Licentia spetiali eriar in scriptis custos qui pro tempore erit d. Confraternit. de Consolatione de Bononia, nec non d. Confraternit. SS. Augustini et Monice de castro S. Petri et illius confratribus, ministris, personis utriusque sexus tam presentibus, qua futuris et aliis eam concurrens omnia et singula ac quecumque privilegia, facultates, indulta, libeantes, prerogativas, alias universas gratias spirituales et temporales d. Confraternitatem gloriose V. M. de Consolatione et Unitor prefator illiusque confratribus, ministris et personis ac alias eeas cocurrentibus quomodolibet comessa et concessas comunicavimus et aggregamus in perpetuum ex nunc, prout ex tunc et contra. Volumus autem quod cum fratres d. Confraternitati S. Marie de Consolatione de Bononia in segnum Recognitionis singulis annis in perpetuum in die Festivitatis Epiphenie in Forties tres Cere albe ponderis librarem trium in totum hic Bononie traddere et consignare. Nec liceat eidem Confraternitati de castro S. Petri nec Confratribus eidem in alique futuro tempore pubblicate aliquas Indulgentias dicte nostre Confraternitatis de Consolatione concessis ea in futurum quomodolibet concedas vel eorum partem aliquam, nec etiam imprinibur seu imprimi facere privilegia aliqua, aut Concessiones, Indulgentias et Gratias d. Confraternitati de Consolatione et Unitotum quomodolibet cocessa et concessas aut in futurum concedebdas veriusque Privilegia concessiones et gratias huiusmodi alicui altera Confraternitati seu Congregationis. Comunicare absque nostri Custodeis vel sucessorum nostrorum pred. Speciali in scriptis Licentia. In quorum omnium et singularum premossorum fidem preventtes nostre pred. Confraternitatis de Consolatione Notariam fieri et subscibi ac sigilli eiusdem Confraternit. appensione muniri mandavimus. Dat Bononie in Monasterio E.R, Frat. S. Jacobi sub anno a Nativitate D. N. J. C. MDLXXVIII. Indictione sexta die vero vigesima secunda Mennsis Marti. Tempore Pontificatus SS.mi in X.to Patris et D. N. Gregori divina providentia Papa XIII, anno eius sexto. F. Simplicianus de Turonis Custos Alexander Blonchetus Not. et Secretarius d. Societatis Mand. L. + S. appensi. Abbiamo voluto riportare questo documento nella presente serie di memorie acciò se nello sconvolgimento dell’indeciso governo e persecuzione della Chiesa 1800 da X anni a questa parte, andasse per avventura smarrito nell’archivio di Bologna della Centura, se ne abbia almeno quivi un estratto. Perché li affittuari del dazio plateale del nostro Castello si facevano lecito alterare le riscossioni impostale nei capitoli della Comunità, decretò la med. che quallora si trasgredisse la metà dai Daziari si dovesse da med. pagare la penale di lire venti per ciascuna trasgressione e ciò tante volte quante fossero le frodi, da aplicarsi la condanna alla Compagnia del SS.mo SS.to del paese. Non cessando li malandrini di infestare le campagne ed assassinare le familie a fronte delle providenze prese, abbandonò il Governo di Bologna doppo avere fatte molte provisioni per estirparli. Essendo gravemente infermo nel convento delle monache di Lojano, suor Maria da Veggio per pleuritide con flusso di sangue per modo che, abbandonata dal medico, si attendeva la morte, fece ella per ciò nel giorno VI della sua malattia voto a M. V. di Poggio che se rissanava voleva digiunare per di lei amore quindici sabbati in pane ed aqua, imediatamente ricevuta che avesse la grazia. Confidò questa sua intenzione alle altre monache e fu plaudita. Appena ciò ebbe essa asserito si sentì migliorare ed il dì seguente VII fu liberata di febbre onde nel maggio stesso, doppo le Rogazioni, cominciò le sue orazioni e digiunare, ciò si riscontra da memorie MM. SS. in tavoletta. Venuto il secondo semestre Agostino Topi e Podestà Antonio Legnani, l’uno e l’altro intrapresero il loro officio. Gregorio XIII felicemente regnante aveva nelli anni addietro, mediante suo decreto papale, ordinato che in ogni luogo dello Stato eclesiastico, in memoria della celebre vittoria ottenutasi contro il Turco da X.tiani, si dovesse fare la festa di M. V. sotto il titolo del Rosario in ogni anno la prima domenica di ottobre, non solo ma che erigessero Unioni di fedeli, Congregazioni, Compagnie ed altari sotto la invocazione del Rosario. Per la qual cosa la pietà de catolici boni di Castel S. Pietro cominciò questa con pia unione ad onorare M.V. sotto tal titolo e si elesse per suo altare, onde fare le sue funzioni, l’altare dedicato a S. Biagio nella parochiale (riscontrasi ciò dal suo documento che in appresso riporteremo), altare che tanto per l’avvanti quanto in questi tempi era il prediletto della populazione. Ma perché la medesima unione aveva veduto che li devoti di M. V. della Centura, per fruire delli beni spirituali della relligione agostiniana e delle indulgenze additte alla Compagnia della Centura di Bologna, si erano fatti aggregare li devoti centurali alla Confraternita di Bologna, così questi novi uniti e devoti del Rosario pensarono nello stesso modo di erigersi in una maniera di Compagnia quindi infraposero la Contessa Ginevra Ramazzotti e D. Gian Tomaso Lambertini, nobili bolognesi, onde le procurassero la fondazione canonica a norma del Chirografo pontificio. La interposizione fu più che ottima e ne ricorsero questi al Pro.re Generale de domenicani in Roma Padre Sisto Fabbri il quale tostamente, come quegli che a ciò era delegato, ne estradò la Bolla di erezione sotto il giorno 8 agosto di quest’anno la quale così incomincia: In Nom. SS. et individue Trinitatis P. et F. et Ap. S. ad laudem, et Gloria Bonam Virginis et Divi Dominici S. Rosari auctoritis, atque Institutoris Nos F. Sixtus Fabbri S. T. Professor et totius Ordinis predictorum in R. Curia Pror. ac Re.mi P. Generalis Vicarius. Quemadmodum X.tiane perfectionis summa in unitate fidelium ad X.tum veluti member ad Caput, omnium Perfectionum fontem, nec non in unione X.tianorum ad invicem confistare credimus, ita al illam adigiscendam optimum esse Orationis mediam Ratione et experientia pie edocemur. Poi siegue a descrivere il modo come orare e a meditare la vita di X.to nei quindici misteri, soggiungendo che, essendo stata eretta di breve questa Unione nel nostro Castello mediante la predicazione di un domenicano perciò a preghiere della lodata Ginevra Contessa Ramazotti e nobile Gian Tomaso Lambertini, erigeva in vera Compagnia del Rosario la Unione predetta così: Cupientesque Justitutio nem , ordinationem et fundationem huiusmodi a Nobis approbari et nostris patentibus litteris confirmari per intercessionem Ill.mi Comitisse Ginevre Ramazzatti Nob. Bonon. et p. interpositam persona Rev. D. Jo. Thomas Lambertini civis Bononie et suprad. Confraternitetem recipere. _ diprorremur cum Gratiis et favoribus opportunis, Nos igitur vestris votis et piis petitionibus inclinati d. Confraternitatem sicut prefertur in d. eclesia Castri S. Petri pred. sul d. titulo R. Maria de Rosario institut. Auctoritate ap.lica Nobis in hac parte concessa renova present. recipimus. et quatenus opus fit de novo eriginus per presentes, dumodo alia similis Confraternitas in eodem Castro S. Petri instituta non fuerit___ admonentes huius modi festam SS. Rosari prima Domenica Octobris singulis annis in d. eclesia celelebrari debere juxta SS.mi D. N. Gregori XIII Pape Decretum et Institutum in gratiarum actione preterite ac memorande Victoria contro Turcos (…) facietatis Confratrum fusis precibus eadem die, auxilio SS. Virginis D.na nostra impetrata ac ostentes ……..
Finalmente nella stessa Bolla si ordina la pittura delli XV misteri e di S. Domenico che riceve da M. V. le corone: Volemus autem et omnino observare jubemus quod in venerabile Icona pro prefata Capella quindecim nostre reddephonis S. Misteria pingantur nec non pro hujus ea concessionis consentanea Recognitione in cadem Icona Divi patris nostri Dominici eiusde sacri Rosari primari Auctoris Imago veneranda flexis penibus de manu Deipare Virginis par onulas orarias accipientes similiter pingetur quod si secus presentes nostre minime suffragentur (…) sint roboris et valoris Chiudesi poi la Bolla, che nel caso si ottenesse da Domenicani o nel Castello o nel Borgo o in altro luogo per due millia di distanza una qualche chiesa si debba in questa trasferire la Compagnia accennata: Decernimus et declaramus postremo quam quandocunque contigerit fratres nostros intus vel extra d. Castrum S. petri in eius teritorio per due milliaria eclesiam obinere, ipso fare, ipsoque facto ex nunc pro (…)absque nova Declaratione, sed presentium tenore presetam societatem et omnes Indulgentias et privilegia eidem concessi oblat. esse a d. Capella et penitus atque totaliter ad d. nostram ecclesiam, quoad spiritualia tantum translata. In nomine Patris et Fili et Spititus S. An. Quibuscunque. Dat Rome in Conventu nostro S. Maria supra Minerva Die octava Augusti 1578 F. Sixte Fabbri Lucensis qui supra, manu propria da mand. R.mi D. N. Prioris at Vicari Gener. Andreas Raimondus C. R.
Questo documento amplissimo trovasi nell’archivio della compagnia come pure nel vescovato di Bologna prodotto nella lite della capella come a suo loco enunziaremo nel venturo secolo.
L’abitazione del Podestà e suo locotenente era divenuta inabitabile a motivo di essersi ivi fatto il quartiere de capitani e delli corsi contro li fuorusciti, perciò la Comunità decretò che fosse ristorata come seguì e furono ancora accomodate le carceri essendo stato commissionato Matteo Comelli, come si riscontra alli atti comunitativi. Terminato il suo officio di Podestà il Conte Antonio Lignani fece apporre al sua inscrizione al confronto della altre, il tenore della quale è il seguente cioè
Antonius Lignanus
Pro Sec. Sem. Pretor
MDLXXVIII
Fu poi Massaro del primo semestre 1579 Matteo Ronzani e Podestà Cesare Bianchetti.
Fra le molte superstizioni che regnavano nel bolognese alla campagna, fra le quali usavano li contadini, allorchè avevano un infermo gravemente oppresso, di portare il giogo delle loro bestie sopra il letto e l’agonizante, intendendo così operando facilitare la morte al paziente e dappoi seguita la di lui morte scoprire il tetto della casa pensando che altramente non uscisse quell’anima da quell’abitazione e non potesse volare al cielo, tenendo altresì per fermo che la abitazione sua ultima fosse il carcere del di lei purgatorio. Ponevano altresì sotto al capo dell’agonizante duo o tre pietre allorchè avesse il medesimo accusato di avere rimossi e variati li termini e confini de terreni da esso lavorati. Seguita poi la morte le si accendeva un lume appresso il cadavere il quale non si doveva estinguere se non dal più vecchio della casa, coll’opinione che questi dovesse essere il primo, come più vecchio, a morire. Ed altre cose usavano che più diffusamente si leggono nell’Episcopale Bononie del card. Paleotti per la qual cosa questi le estirpò nella massima parte mediante pastorali ordinazioni.
Richiamato dal Governo di Bologna Francesco Sangiorgi nel dì 26 giugno fu accompagnato da due Senatori per ordine del Regimento, li nomi de quali ce lo taciono li cronisti contemporanei ed anco il Libro de partiti, il quale così descrive il suo discesso fino al nostro Castello: 1579. 26 giugno, venerdi. Reunius Franciscus Sangiorgi redit Romam versus associatus ad Cast. S. Petri ( T. XIII Partit. Car. fol. 249). Alla fine del corrente giugno venne in di lui vece Monte Valente protonot. apostolico.
Terminato il suo officio di Podestà Cesare Bianchetti lasciò la seguente memoria incisa all’altre nella pubbl. ressidenza nell’esterno.
Cesar Blanchetu S.S at
P. P. P. MDLXXIX
Appena giunto nella città il novo governatore fece molte belle provisioni per liberare il territorio dalli assassini e forusciti. A queste provisioni unì anco il di lui operato, imperciochè colla persona andava ai luoghi più necessitosi di diffesa. Si portò a Budrio, ove in que folti caneppari si ascondevano li ladri a buttinare, venne pure a Castel S. Pietro nel dì 17 lulio ove stette fino al 21 ma non di continuo poiché andava e ritornava dalla città. Il motivo che ciò fece fu perché nella folta boscaglia del Machione, Casteletto, Alborro e vicini luoghi fino a Monte del Re stavano imboscati, onde per ciò coll’ajuto de villani, che al suono della campana pubblica correvano al luogo ove si facevano baruffe, furono da queste parti sloggiati.
Nel secondo semestre fu Massaro Sebastiano Rondoni. Podestà Gio. Romolo Barbazza.
Sull’esempio di Alfonso Picolomini nello stato eclesiastico, essendosi divise le familie in partiti così che alcune parzializavano per il Papa ed altre per l’Impero, nascerono sconcerti, inconvenienti, risse e baruffe. Molto più nella città di Bologna ove le familie nobili, fra di loro puntiliose, avevano perduta la bona armonia e ne seguirono perciò duelli ed armamenti, che venivano spalleggiati da territoriali e da siccari.
Il Papa, premendole sommamente la quiete della città, che la prevedeva dispersa ad un tale scompiglio col territorio, spedì a Bologna Giacomo Boncompagni di lui filio naturale con ample facoltà di concordare le familie sollevate e porre ogni temperamento ai luoghi di bisogno nel che vi riescì felicemente.
L’officio della podestaria di questo luogo a motivo di avere servito di quartiere ad alloggio di cavalli per ressistere alli banditi, divenuto inservibile, fu ristorato a spese della podestaria le quali ascesero alla somma di l. 189: 14.
Mancavano poi nel Consilio alquanti comunisti, parte perché alcuni erano deffunti ed alcuni per la loro età non intervenivano alle congregazioni onde, non facendosi mai legittima seduta, fu fatta instanza al Senato per il provedimento. Intanto finito l’anno 1579, avendo la Compagnia di S. Cattarina perfezionata la di lei Capella congiunta alla parochiale, Virgilio Pirazzoli priore di quella fece esporre il quadro dell’indicato Prospero Fontana dipinto in età di anni 72 con un contorno di macigno lavorato a meandri greci e dorati colla seguente inscrizione
Dive Catharine
Tabulam Pietatis ergo
Confraternitas
Virgilio Pirazolio Priore
dicavit
MDLXXVIIII
sottoposta al med. ornato Il quale, all’occasione di convertire la Capella in sagrestia doppo la supressione della compagnia, D. Mauro Calisti fratello dell’arciprete, più da livore che da ignoranza condotto, la fece ruinare e perdersi malamente fra rottami ed altri materiali nella chiesa della Compagnia stessa supressa.
Chelo Cheli all’entrar di genaro 1580 investì la carica di Massaro per il primo semestre e così fece Eliseo Mattuliani, Podestà estratto, come rilevasi da lapide incisa di questo tenore appostavi a capo del suo officio
Heliseus Mattulianus
Pro Primis MDLXXX
D. Sabatino Meneganti avendo servito fino a questo punto da paroco nella arcipretale di questo Castello ne fece la rinoncia a D. Latanzio Campana. La colazione seguì per decreto del Vicario come per li atti e rescritti di Silvestro Zuchini. Ripetiamo questa memoria dall’elenco delle nomine autentico nell’archivio della Comunità che ne seguenti termini ce le segna: 14 Januari 1580 Adi D. Sabatini de Manegantis Renuntiatio et permutatio cum D. Lactantio Camoana Rectore alle Tombe de Magnani et altaris S. Sigismundi in Eclesia S. Thome de Brajna ex Rog. Silvestri Zuchini.
Premurosa la Comunità di soccorso per quanto poteva al bene della populazione, molto più pro di impiegare paesani in offici utili, come quello che componeva la compagnia del SS.mo, pensò di erigere un Monte di Pietà ove riceversi al bisogno pegni tantopiù che, essendo sloggiati li giudei dal paese che ricevevano pegni e sovenivano banche usurariamente ai bisogni della povertà, la quale, volendosi prevalere del Monte di Pietà di Bologna, conveniva perdere la giornata in portarsi a questa e spendere più del valore del pegno, ricorse al Senato e chiese al med. il locale del tronco della torre della rocca già demolita nella pubblica piazza del Castello. Il Senato, veduta giusta la domanda, aderì favorevolmente e fece il seguente decreto come abbiamo al Lib. de Partiti : 1580 2 febraro. Hominibus societatis SS. lli Castri S. Petri humiliter id petentibus concesserunt per suffragia omnia XXVIIII pro instituendo Monte Pietatis in quo deponenda sunt pignora causa impostarum Bolum ac Officialium et Massar nec non imponsa pauperum et etiam jactura et perditione ipsorum pignorum ad urbem depositari cogentur, restaurari possint quamdam mediam Turrim et foveam sive Casserum adherentem magnibus d. Castri propriis sumptibus ipsius societatis d. locum fabbricare et accomodare volentes ad usum et servitium pred. Montis Pietatis. Contrariis.
Rivocato dal Governo di Bologna Monti Valenti, venne a Bologna Pietro Donato Cesis Card. il med. appena giunto rinovò tutti li bandi ed in ispezie quello della delazione dell’armi, onde la nobiltà la sentì di mal animo. In seguito fece processare molti indistintamente, onde si procacciò abborimento.
Perché vertivano differenze fra bolognesi ed il Duca di Ferara per le aque, non essendosi potute accomodare le parti, ognuno faceva progetti. Fra li miliori fu Andrea Ambrosini eccellente Idrostatico, il quale doppo avere livellato queste terre fino al Cesenatico, propose al Senato di Bologna un porto navile dalla parte di strada maggiore venendo alla volta di Romagna, onde così dal bolognese condurre le aque al mare e con navi per via di sostegni condurre le merci a Bologna. Fu plaudito ma non fu adottata la proposta per la contrarietà delli altri Idrostatici nazionali.
Nel seguente marzo Alessandro Serpio della Serpa di Castel S. Pietro, uomo valoroso in armi avendo servito in qualità di scudiero il Duca d’Urbino, doppo essere rimpatriato, accasatosi con Lena Comelli ebbe un filio maschio quale, perché godeva la protezione di grandi principi, fu levato al S. Fonte in Bologna a nome della Duchessa da Giacomo Boncompagni, come si accenano le Memorie nel Lib. Baptizator di d. Latanzio Campana arciprete di Castel S. Pietro.
Li 6 maggio avendo il card. Gabriele Paleotti instituito ed ordinato per tutta la di lui diocesi che al primo colpo dell’ora di notte si dessero da tutte le parochie per tre volte nove tocchi alla campana maggiore delle med. onde ogni catolico recitasse il salmo Deprofundis in suffragio delle anime del purgatorio oppure Pater noster. Si cominciò per tanto a dar esecuzione a quest’opera pia nel nostro Castello il giorno 11 dello stesso mese, come abbiamo dalla mem. Vanti.
Nel dì primo lulio entrò Massaro Matteo Comelli, Podestà Aldovrandino Malvezzi come abbiamo dall’elenco, la sua memoria trovasi perduta.
La nobiltà di Bologna, trovandosi poco contenta del Legato Cesis a motivo che continuamente si facevano processi criminali, furono perciò la notte delli 19 venendo alli 20 ottobre schiodati tre scabelli nel Torrone e portate via tutte le scritture e processi e, così accadde al notaio della Grascia e cancelliere del Legato, col sigillo del med. Legato, che con un filo fu poi appeso alla ringhiera del palazzo del Podestà ove si appiccavano li ladri. Col d. sigillo si bollavano dal notaio Gio. Maria Monaldini cancell. le licenze della delazione delle armi e furono rubbati ancora li registri. Parte di d. Libri, scritture e processi si videro la mattina tuffati nell’alveo della fontana del Gigante e parte abbruciati dietro la chiesa di S. Pietro. Si pose perciò la taglia di scudi 200 a chi accusasse il reo. Fu fatto sospetto in Giovanni di Gaspare Dall’Armi ed Alessandro Dall’Armi suo parente, onde furono banditi molti, vari dei Pepoli, fra quali Giulio e Girolamo, credendosi poco sicuri nel loro feudo di Castilione andarono a Venezia con Basotto Fantuzzi.
Il Legato che ancor esso si vedeva poco sicuro acrebbe la guardia de suoi svizzeri e pose anco guardia alle sue stanze. In seguito furono molti altri nobili catturati. Il Conte Girolamo Pepoli chiamato si costituì ed indi carcerato fu poi spedito nella Rocca d’Imola sotto la guardia di Gentile Sassatelli.
Ciò non ostante divenne maggiore il fermento contro il Legato e si acrebero li malcontenti più nel contado che nella città li quali, prendendosi un volontario esilio, altri si unirono a banditi ed altri facendo conventicole alle confina comettevano ogni sorta di malefici.
Frattanto giunto l’anno 1581 intrapresero il loro ministero Sebastiano Rondoni e Giulio Cesare Barbazza il primo di Massaro ed il secondo di Podestà del nostro Castello e territorio.
Crescendo vieppiù li malefici de fuorusciti furono in necessità li terrieri di venire alle opportunità alle mani, onde stancavano le querele l’orechio del Legato Cesis. Per riparare per ciò a tanti mali si rissolvette il Legato di porvi un freno, quindi mandò fuori nel dì 7 marzo un rigoroso bando ,che presso noi conserviamo, sopra le delazione dell’armi in cui vennero abolite tutte le licenze a chiunque. Poi procurò la pace fra li nobili contumaci, li accomodò e li riamise in patria il primo di aprile. Furono in seguito non accomodati li loro sicari. Li Battisti e Zoppi e li Rinieri colli Gavoni

(79s) di Castel S. Pietro, Bernardi e Bogni furono assoluti e pacificati in patria. Li Ricardi e Bertuzzi si pacificarono pure e per consolidare la pace loro unirono in matrimonio Gentile Ricardi con Carlo qd. Domenico Bertuzzi nel dì 16 aprile.
Li 28, 29, 30 maggio si destarono venti ecessivi che svolsero dalle radici arbori ed atterarono edifici, vi si unì ancora il terremoto, d’onde a Varignana caddero dalla parte di ponente un bastione e parte delle mura del castello e patì molto la torre sopra la porta di quello.
Nel comune di Castel S. Pietro nel quartiere della Lama cadde la torre della familia Valloni di Dozza al Machione, fondo di me Ercole Cavazza scrivente le presenti memorie, che è denominata la Palazzina d’onde si ritrovano in faccia al Machioncello già de Manaresi rottami.
Era questa torre stata edificata , dalle carte che abbiamo nella nostra familia, da certo Pietro Valloni e Vallone Valloni di Doccia nella pianura sopra la via di confine fra il bolognese e la Romagna che guardava a borea la Toscanella, a mattina la colina di Doccia e superiormente la collina Bolognese verso il Casteletto, faceva di frontiera alla casa della familia Manaresi acenate di Doccia, gente tutta manesca, dove pure essi avevano erette torri et in esse bombardiere come tuttora si riscontra.
Nel casale di Alborro caddè un tronco di torre antica dalla parte di meridio, nell’apice finalmente della colina vicina, detta la Ghisiola, furono rovesciati li avvanzi delle antiche mura di quelli sacri edifici. tanto ci lasciò scritto il P. Vanti nelle sue patrie memorie.
Alfonso Picolomini, bandito capitale di Firenze, avendo ristaurata la sua brigata di fuorusciti unito con molti bravi soldati suoi amici al N. di 200 con alcuni bravi capitani (….) e volontari di diversi paesi, li quali avevano seco moschetti ed artiglieria e ciò che loro bisognava alla guerra, infestando questi nostri contorni di Castel S. Pietro e Romagna, il Papa per distruggerlo vi mandò Filippo Orsini capitano con due milla eclesiastici, come riferiscono li Annali di Alamanno Bianchetti, ed attaccata al nostro confino una baruffa ardente il Picolomini si difese valorosamente quantunque di numero inferiore e batette l’Orsini che oltre essere stato ferito vi perdette 231 persone e fu necessitato ritirarsi nella Romagna. Fattosi più coraggioso il Picolomini per questa impresa, scorse le superiori nostre colline e passando per la via montana il bolognese se ne andò alla confina di Lombardia di dove travagliava in quelle parti il bolognese.
Il Papa mal sofrendo ciò e viepiù adirato impose la taglia di 40 milla scudi contro il Picolomini, tanto accadde nel primo semestre di quel anno ed al principio del secondo entrò Massaro Mattia Ronciani, Podestà fu Napulione Malvasia.
Il 2 lulio essendosi sposata Ipolita di Benincontro Marchese Dal Monte con Battista Bentivoglio e Virginia Dal Monte con Andalò Bentivoglio ambi fratelli e fili del Sig. Costanzo Bentivoglio, furono entrambe le due sorelle spose accompagnate a Bologna dalla sorella di Guido Ubaldo Duca di Urbino loro garante. All’arrivare nel bolognese, conforme scrivono li annali Bianchetti, introdotti in Castello nella casa di Alessandro Sergi, compare del Duca per il battesimo del di lui filio come si è scritto, furono lautamente tutti banchettati. La di lui casa era quella che passò in retagio alla familia senatoria Caldarini dappoi al Marchese Francesco Ghisilieri, che non ha molto ne fece la vendita a D. Gioachino e fratelli Pasi di Medicina.
Fattasi in quest’anno una mediocre raccolta di grano il Legato, non meno per provedere la città, onde non nascessero tumulti quest’anno perché le soldatesche pontificie, che vegliavano qua e là per la provincia e foraggiavano, ed ora in un paese ed ora nell’altro si fermavano a motivo di ressistere alle scorerie del Picolomini, mandò Gio. Maria Monaldini di lui notaio della Grascia e cancelliere a Castel S. Pietro et altri luoghi del contado ad incettare quantità di formento a lire 6 per corba da chiunque, volendone la introduzione nella città con dispiacere de respettivi padroni. Indi lo fece condurre alla città da poveri villani senza paga, poi tale grano lo distribuì a fornari della città facendoselo pagare lire nove, dove che non lo volevano pagare ai particolari che lire sette. Fu perciò non poco clamore nella città e contado per tale soverchiaria ed ingiustizia.
Lorenzo e fratelli Baroncini di Castel S. Pietro, avendo dato mano alle compre sud., il cardinal Legato li dichiarò cittadini di Bologna il dì 29 agosto, escludendo il Senato dal diritto di concedere esso privativamente la cittadinanza. Qualunque cosa se le presentasse onde contrariare la nobiltà e tenerla umiliata non le isfuggiva di mano.
Alfonso Picolomini che era disceso nella Lombardia, pressentendo queste angustie del Legato della città e populazione intera del bolognese, quantunque avesse la taglia di 40 milla scudi, inteso il sussuro di Bologna prese novo coraggio e ritornò nel bolognese, ben sicuro che da terrieri non aurebbe ricevuto una sola azione per servire il Legato, indi venuto a Castel S. Pietro non incontrò alcuna ostilità, bensì fuggirono dal paese li partitanti del Legato. Dappoi andossi alla Romagna dove ebbe seguito di forusciti e passò poscia francamente nella Marca ove imponeva taglioni e faceva sempre gente.
Il Papa adirato ordinò a Giacomo Boncompagni far gente e provisioni. Fu perciò guarnito Castel S. Pietro di munizioni di ogni sorta e consegnato alla custodia del capitano Ramazzotto ed altri officiali del paese. Mentre si facevano queste cose il Picolomini si ritirò a Pitigliano e suoi contorni.
Per li ecessivi caldi che sopravennero in questa stagione naque una influenza mortifera nel bolognese che detta: Mal maltr…, onde molti andarono al sepolcro.
Facendosi per ordine del vescovo Paleotti visite pastorali in questi luoghi, si portò il di lui Visitatore nel settembre nella Villa di Poggio onde la Comunità di Castel S. Pietro, come quella che era padrona della chiesa della Madonna, vi spedì Matteo Comelli e Mattia Ronzani, moderno Massaro, unitamente a Sebastiano Rondoni per sentire li decreti quindi, essendo stato riferito al vescovo che presso la Comunità trovavansi danari di ragione di quella S. Imagine, fece per ciò il Visitatore il seguente decreto da (….…) essere anco stato accusato da usurpatore il capellano e custode della med. (…) dalla Comunità: Die 26 Octobris 1581. Visitata fuit eclesia S. Marie de Podio que est pulcra et ut fertur al aliquibus non modicas elemosinas remansisse penes Homines de Castro S. Petri, nec unquam expensas . Fertur etiam capellanum ibi existens non modicas solitum esse accipere elemosinas tum ex tritico, tum (..) vino, ex circumstantibus et nulla prorsus habitam fuisse rationem d. Eclesia, sed ..antum sui ipsius, teneatur Capellanus penultimus tradere tantam partem elemosinarum, quantam requiret temporis quo abfuit a d. Eclesia quod est duor. mensium.
Tali instanze oppiù tosto accuse furono imputate al paroco di Poggio come quello, che non solo era avido avere in dominio tali offerte, ma anco per essere stato subordinato alla plebania di Castel S. Pietro la di lui cura, dove che prima era sottoposta a Medicina, mentre rileviamo dallo stesso libro di visite al fol. 618 la seguente memoria: Parochus interest Congregationi Casuum Plebis Castri S. Petri.
Stante la mancanza di non pochi consilieri nel Corpo comunitativo e per loro morte e per l’età senile, come si scrisse nel 1579, fu confirmato nell’officio di Massaro Matteo Ronciani per l’entrante semestre 1582 così che in meno di due anni questo sogetto esercitò la carica di massariato. Podestà fu il capitano Filippo Marescotti.
Li 17 genaro Orsola qd. Gio. Francesco Comelli di Castel S. Pietro sposò Domenico Passarotti bolognese fratello del celebre Bartolomeo Passarotti e Tiburzio Passarotti pittori di grido bolognesi. Abitava d. Domenico a Vedriano in un picolo casino a motivo di evitare li partiti che tenevano la città di Bologna in iscompiglio. Per tale matrimonio si fecero da congiunti della sposa non indiferenti baccanali che vengono riferiti dal P. Vanti nelle sue mem. MM. SS., li quali omettiamo per essere come crediamo apocrifi. Le familie però furono di Sebastiano di Gio. Battista Masitelli, di Nicolò Sega, delli Ricardi e Buldrini.
Venivano di quanto in quanto molestati li Dazieri del Peso e Misura del mercato e piazza di Castel S. Pietro dall’autorità suburbane di Bologna e a questo pregiudizio si aggiungeva l’altro delli Artieri di Bologna che inquietavano e catturare facevano li Artisti ambulanti nel territorio e giurisdizione di Castel S. Pietro ed esercitavano nelle familie il loro mestiere, massime li sartori, ciabattini, muratori, capeletti, concirami e simili manifature, pretendendo li Artieri di Bologna che le esenzione dalle Obedienze fosse ristretta al solo abitato del Castello e Borgo e non al territorio del med, onde, fatto ricorso alla Comunità, la medesima preparò suplica al Senato per la conferma e schiarimento del privilegio facendolo constare il Bon Jus che aveva addomandandone legale provisione. Il Senato per ciò nel dì 29 marzo fece il seguente decreto, del quale ne portiamo il ristretto:
Congregatis Magnificis DD. XXXX Reformat. Status Libertatis ei Populi Comunis Bononie in Camera eorum splite Congregationes et Ressidentie et et viso per eosdem Libello seu petitione exhibita pro parte universitatis et Hominum Caminitatis Castri S. Petri Comitatus Bonon. in qua adest expositam corumdem universitat. et Homines prefatos nedum indefessos sollecitudines constante animo posses esse, verum etiam varie et diversimode urtas in non modica quantitate pecuniarum summas usque ad Lirarum millenarum ut ulta sumas liberaliter erogasse, possimque pro bono comuni ministrasse tam tempore quo S. R. E. quam quorumcunque atiorum oxemertumq _non hac (..) fere tempora_______in hisce partibus permanserunt et transierunt, multaque permanendo in robas at personis susuebisse damna (……..) Cumque eadem supplicatio sadjagebat d. universitat. et J + H Anno 1520 die 19 Aprilis. Sibi concessa fuisse concessendi liberam licentiam faciandi Diebus Dominicis et diebus Lune, Mercatum absque solutione alicujus Dati et Gabelle ex concessione MM. DD. Antian Anni 1411 de mense Juli predictasque Concessiones nulla patiantur exceptionem, tamen humiliter suplicantes istiterunt easdem Concess. item confirmari. M.M. D.D.Refformat. per suffragio 27 confirmarunt.
Adì 11 giugno mediante pubblica grida fu levata la taglia al Picolomini e così si repirò un poco di pace. Li 16 detto stesso mese venne a Castel S. Pietro una compagnia di cavaleggieri condotta dal Duca di Gravina di Casa Corsini che andavano alla guerra di Fiandra per il Re catolico. Spese per tale passaggio la comunità l. 62: 9.
Abbisognosa la fonte della Fegatella di ristoro fu ordinato dal governo di Bologna che fosse accomodata a spese della Camera come riscontriamo dal Lib. de mandati T. 14. fil. 144 Carrati: 1582. 28 giugno. Solvi mandarunt de pecuniis Camere per accomodationem Fontis Castri S. Petri l. 200.
Stanti le replicate instanze fatte al Senato per il riempimento delli posti vacanti in Consilio il giorno primo lulio elesse li seguenti sogetti in consilieri cioè: Angiolo di Matteo Bonciani decrepito, Domenico Fabbri per il padre vecchio, Ricardo Ricardi per Francesco suo padre vecchio e Francesco Forni in loco del fu Ausonio suo padre, Clemente Fiegna, Fioravante Frati, Lorenzo del Prato, Gaspare Gottardi, Francesco ___
e Antonio da Corneto, quali accettata la elezione furono tosto imbustati colli altri consilieri anziani cioè Virgilio Pirazzoli, Antonio Comelli, Angiolo Boldrini, Sebastiano Rondoni, Cesare Balduini ed Agostino Topi. Dopo tale imbustazione fu decretato dalla Comunità l’aumento dell’onorario a ciascun Massaro sino ad un zechino al mese, non compreso l’utile delle riscossioni camerali. Fu pure decretato che ognuno de consilieri che venisse estratto in Massaro dovesse personalmente esercitare il suo officio dove che per l’addietro si rinonciava e si faceva l’acrescimento dell’emolumento a chi avesse assunta la carica di Massaro Tuttociò disposto si procedette all’estrazione di un novo Massaro per il secondo semestre e fu Domenico Fabbri, che intraprese tostamente la carica, come fece il novo Podestà estratto Canzio Ghisilieri.
Il Duca d’Angiò generale dell’armi francesi li 5 agosto venne a Castel S. Pietro per la Romagna. Venuto il card. Beltramino in Bologna il Senato, volendole dare un divertimento all’uso di questi tempi, ordinò una giostra nella via di S. Mamolo invitando li migliori giostratori che avesse la città. Si venne allo spettacolo nel quale rissultò uno dei migliori giostranti Alessandro Serpi da Castel S. Pietro alias dalla Serpa, riscosse egli, oltre il plauso comune del popolo, anco dal cardinale segni di sincera congratulazione.
Li 14 settembre naque Girolamo Bertuzzi da Maria Bianconcini e Sabbatino di Girolamo qd. Sabatino qd. Girolamo Bertuzzi, che fu poi prelato come riferiremo alle sue respettive epoche. Questa familia originaria di Castel S. Pietro abitava la maggior parte dell’anno nelle vicinanze del nostro Castello. In questa occasione si era ritirata alla villa presso S. Martino di Petriolo vilaggio e cura sogetta al nostro Castello a motivo non meno di evitare li tumulti populari non che li insulti delle truppe del Picolomini e le vicende militari che ultimamente se prevedevano coll’avere guarnito il nostro Castello. Altra familia del paese fecero lo stesso e furono li Gini, li Rinieri che andarono alla loro nova villegiatura edificata da Christoforo Riniero Rinieri nel quartiere della Lama detta la Riniera.
Il Papa, quantunque inquietato dalla populazione sua universale, non mancando mai il di lui governo et ad estirpare li abusi e formare equilità alla cose, riformò l’anno levando per questa sol volta dieci giorni dal mese di ottobre, ordinando che invece di scrivere alli 5 si dovesse scrivere alli 15. La qual rifforma non si era fatta da Giulio Cesare imperatore fino ad ora, circa 45 anni avanti X.to nato. In questo anno pure diede il titolo di arcivescovata alla chiesa di Bologna e fu nel giorno 10 decembre assegnandole per sufraganea le chiese di Modena, Reggio, Parma, Piacenza, Imola e Crema.
L’anno seguente 1583 fu Podestà del primo semestre Alessandro Manzoli Barbazza come riscontriamo da lapide del seguente tenore:
Alexander Manzolius Barbatia
Pro primis MDLXXXIII
Entrò Massaro Sebastiano Rondoni. Nel dì tre genaro fu addottorato in Medicina Vincenzo Mondini di Castel S. Pietro .
L’estimo in questo tempo della populazione di Castel S. Pietro e suo territorio ascendeva in corpo il terratico alla somma di l. 486: 6, raguagliato a ragione di soldi 24 per lira di prezzo, dippiù pagava l. 119: 10 per N. 119 para di bovi da lavoro in questo comune tassati soldi 20 il paro. Per teste N 949 alla campagna pagava il comune di Castel S. Pietro soldi 6 per testa che formavano in tutto l. 102 onde tutta la paga che andava a Bologna era di l. 407: 16. Riscontrasi questa imposizione al Camp. 1 nell’arch. della comunità al fol. 252.
Era stata così maltratata la fonte della Fegatella da malviventi e scapestrati che non bastando l’assegno fatto delle l. 200 come si scrisse fu in necessità la Comunità ricorrere novamente al Senato, come difatti fece, ed in seguito fu spedito fuori un capo mastro muratore che le carte comunitative non ce lo precisano di nome e cognome.
Nella Villa di Poggio accadde nel dì 2 maggio che Carlo Filippo Mengoni della Fantuzza, accompagnando una di lui parente sposa alla casa di Antonio Frascari sparando archibugiate per allegrezza, le crepò in mano la pistolla troppo caricata, le portò via per ciò il police della mano ed un pezzo di incassatura di legno si conficcò nella mandibola sinistra alla sposa per modo che naque un non picolo disturbo e si venne alle mani fra parenti, ma calmato il rumore mediante il culto della Madonna che non era molto distante, insinuò li feriti ungersi imediatamente coll’olio della lampada accesa avvanti la S. Imagine. Secondarono tutti la devota insinuazione ed in meno di pochi giorni tutti guarirono perfettamente e ne esposero il voto a M. SS.
Nel dì primo di lulio entrato Massaro Lorenzo Dal Prà e Podestà fu Rinaldazzo Mario Bosi. Non essendo contento di questa cura D. Lattanzio Campana arciprete, retrocesse dal contratto di permuta con D. Sabatino Meneganti, se il vero ci annunzia un elenco di nomine che abbiamo nell’arch. comunitativo, vero si è che molti atti troviamo nell’archivio parochiale tanto dell’uno che dell’altro, onde non si può discernere il vero.
Cesare Balducci di Castel S. Pietro capitano unitamente ad altri paesani, essendosi portato ad una festa che facevasi nel giorno di S. Bartolomeo al Trebbo di Bologna, accadde che il med. deridendo quella contadinalia, alcuni individui della med. si rissentirono onde, venuti ad aspre parole, si passò all’armi. Il Balduccio finchè potette si difese colle minaccie, ma non volendo questo fu in necessità dar foco all’armi, ferì uno di quei villani, onde li altri più accaniti ricorsero ancor essi al foco, ma il bravo Balducci, montato il cavallo ed accompagnato dalli altri suoi coleghi, convenne rivolgersi alla fuga. Furono perciò inseguiti lungo pezzo di strada da alquanti e, da altri parenti del ferito, si venne corragiosamente fino entro il nostro Castello avendo seco alquanti sicari, quindi, presi li passi, fu in necessità la Comunità far battere la campana per farli retrocedere al tintinito della quale si assentarono tosto dal paese che tutto erasi posto all’arme. Ma perché si temeva che costoro avessero simulata la fuga ma fossero poco lungi imboscati, la Comunità unita col Balducci pose la guardia per alquanti giorni alla porta del Castello onde assicurarsi da una aggressione. Spese la Comunità in questo fatto per sua tangente di dieci giorni l. 5 ed il Balducci per il doppio.
In questo tempo pure Giacobbe Mingarelli e Silvestro Tomasi, fuorusciti di Forlì, venuti a rissa fra di loro nel confine di Medicina, Castel Guelfo e Castel S. Pietro, fecero foco fra di loro senza però colpirsi alcuno. Finalmente il giorno delli 8 settembre, facendosi la caccia uno con l’altro si ritrovarono alla chiesa della madonna di Poggio, quindi cominciò una ardente baruffa di archibugiate, ma per miracolo di Maria niuno restò offeso. Finalmente consiliato Silvestro Tomasi fu fatto fuggire al luogo detto Il Monte, in poca distanza, ma il temerario Mingarelli tagliandoli la strada presso d. luogo, si appiccò nova baruffa nella quale il Tomasi restò ferito nel braccio sinistro ed il Mingarelli in una coscia mortalmente.
Il primo se ne fuggì quando vide atterato il nemico, ma l’infelice temerario Mingarelli non lo potete e solo ottenne di potere farsi portare sotto il portico della Madonna ove stette fino al dì 11 dello stesso mese. Quivi raccomandandosi a Maria Vergine ebbe tanto di grazia che li suoi congiunti di notte tempo lo trasportarono nell’Osservanza di Imola ove curato e pacificatosi coll’inimico offensore, fra entrambi si portarono a Poggio e riconoscenti della grazia avuta mediante quella S. Imagine gliene appesero la tavoletta del fatto seguito e loro liberazione.
In seguito della instanza fatta dalla Comunità al Senato per il ristoro della fontana della Fegatella, come fondo spettante universalmente al pubblico, decretò al cadente ottobre un riparto di l. 400. In questo decreto si enunzia la virtù dell’aqua, la sua situazione e la proprietà della med. del che ne siamo tenuti all’immortale Conte Baldassarre Carati che infaticabilmente travaglia per la storia patria accumulando monumenti e memorie rarissime.
Eccone l’estratto dal T. XIV della Coletanea de partiti Senatori fol. 122:
MDLXXXIII. XXIX Octobris. Item P.P. Conscripti partimentum fieri mandarunt per Suffragia XXV l. 200 exigendar. a Communibus Potestarie Cas. S. P.ri pro medietati expense reparationis sive accomodatemis fontis aque medicinalis saluberrime Jecinorosis site extra portam meridionalem Castri ad Jactum sagittum. Nam pro reliqua medietata deliberatum fuit ut de Pecuniis Camere dissolvantur l. 200, contrariis non obstantibus.
Fu detta perciò questa fonte della Fegatella, poiché Jecinorosus secondo Plinio è addietivo dedotto dalla parola Jecur, che verso in toscano dicesi fegato. Tanto è ciò vero quanto che li latini declinano il nome di genere neutro coll’incremento nel genitivo singulare da cui formasi l’adietivo cioè Jecur, nominat. Jecineris, come gentes, generis.
Di questa fonte ne ha fatto la storia ed analisi il dottor Antonio Maria Fracassi medico condotto di Castel S. Pietro, che trovasi per anco inedita, di suo pugno presso di noi fino al presente punto. Salvata dall’orrido saccheggio delli insorgenti dato a Castel S. Pietro nello spirar del giugno 1799, che fu piuttosto assassinio.
Nell’anno 1584 poi entrò Massaro Antonio da Corneta e Podestà Andrea Paleotti entrambi per il primo semestre. Nelli atti della Compagnia del SS.mo di questo Castello trovasi segnato come la medesima nel mese di marzo incominciò a fare le orazioni delle 40 ore instituita già da Fra Simone cappuccino non ha molto. La med. Compagnia come divozione di suo instituto la cominciò la domenica sera delle Palme all’altare maggiore di questa parochiale, ove era stata eretta, e dove dalla med. si manteneva illuminato il SS.mo ed ivi faceva le sue funzioni tutte, il che durò fino al 1740. La funzione delle 40 ore si riconosce inventata per la prima volta in Bologna li 19 marzo 1564 dal lodato F. Simone cappuccino uomo di singulare probità e zelo.
Accresciutosi novamente il N. dei banditi bolognesi infestavano questi il territorio ne vi era male che nol comettessero. Le persone però di ogni sesso andavano a truppe, poveri villani non si potevano salvare nei prodotti e nelle robbe. Li furti, li assassini, li stupri, le violazioni erano per quelli un particolare mestiere e spasso e quantunque nel nostro circondario il capitano Marc’Antonio Bruni, fratello del chiaro Annibale, Gio. Battista Tesei e Nicola Fabbri, tutti bravi militari di Castel S. Pietro, si fossero fra essi ripartito il nostro comune in guardia cioè: il quartiere della Lama fosse tocato al Bruni, quello di Granara a Nicola Fabri e quello del Dozzo fosse toccato a Battista e fratelli Tesei, gente manesca nata alle fazioni, avevano molto da operare e tenere purgate le superiori colline a motivo delle boscaglie. Si fece perciò una nova nota di tutte le teste del nostro territorio la quale non solo dovesse servire per la coletta comunitativa ma anco per riconoscere quanti fossero abili all’arme. Rissultò il N. di 336, come rissulta ne consulti comunitativi riscontratasi al Camp. 1 fol. 255. La tassa fu di soldi 6 per testa all’(……) appresso.
Sentendo il Papa i grandi mali che comettevansi dalli fuorusciti ed essere divenuto il bolognese un bosco di malandrini ad estirpare li quali si sarebbero perdute molte anime, promulgò un Chirografo di Motu proprio che li graziava tutti purchè fra loro si pacificassero. Fu ciò una salutevole medicina ma non fu totalmente salubre poiché fra non molto ripullularono più temerariamente.
All’occasione che si erano fatte le Rogazioni di M. SS. di Poggio nel maggio decorso, accadde nel tempo che quella S. Imagine fu trasportata alla sua ressidenza, vi si portò ivi una giovinetta della Pieve di Budrio per nome Aurelia Giuliani la quale per essere sfornita di forze e di vista appannata fu in una sedia trasportata da due persone. Essa pertanto al giungere della S. Imagine tanto fu il fervore che aveva e la speranza di essere graziata cominciando a gridare: Maria, Maria, Salus Infirmatorum, ajutemis, liberame da questo male, fammi la grazia altrimenti da qui non mi parto se non me la concedi. Poi piangendo dirottamente a guisa che sembravano li di lei ochi due sorgenti, cominciò novamente a gridare: Non basta, non basta Maria che ora chiaramente ti veda, non basta. Fammi la grazia che genuflessa ancora avvanti questo tuo S. Ritratto possa colle mie forze naturali ringraziarti ancora. Quindi facendo ogni sforzo, ajutata dal sacerdote custode della S. Imagine, alzatasi dalla sedia e prostratasi all’altare dopo avere salutata la B. V. colle litanie, si sentì tutta rinovarsi le forze naturali onde alzatasi mostrò al popolo ivi quanto era valida la protezione di M. SS. ed in quanto pregio dovevasi tenere questo santuario. Pernottò la graziata fino al dì seguente nella abitazione di quel custode, ove la mattina del venerdì posteriore all’Ascensa, fatte le sue divozioni se ne ritornò salva alla propria casa.
Estratto Podestà Marc’Antonio Dalpino e Massaro Clemente Fiegna per il secondo semestre, l’uno e l’altro intrapresero il loro officio il dì primo lulio.
In quest’anno fu raccolta ubertosissima di gualdo nel comune nostro al segno che si vendette soldi quindici la corba la semente come si riscontra nei Libri delle Rendite della supressa Compagnia di S. Cattarina.
La famiglia di Giacomo Muzza vedendosi poco sicura in Castel S. Pietro da fuorusciti graziati che titubavano e macchinavano occasioni di risse, abbandonò il paese ritirandosi a Bologna. Seguirono quest’esempio li Forni e li Landinelli con altri.
Nel seguente genaro 1586 entrò Massaro Gaspare Gottardi e Podestà Cesare Gozadini come si è riscontrato da memoria dipinta nell’officio vechio di questo tenore:
Cesar Gogiadinus
Pretor pro primis
MDLXXXV

Essendo nata una bambina a codesto Conte Ramazzotto di Castel S. Pietro dalla di lui moglie Lucrezia Quatrini, fu nel dì 16 marzo levata a questo S. Fonte di Castel S. Pietro colla maggiore pompa possibile dal Conte Gio. Battista Bolognini e le fu imposto il nome di Pamfilia, molta nobiltà concorse a questo comparatico oltre le primarie familie del paese.
Il Conte Romeo Pepoli, avendo avuto precetto dal Legato di portarsi a Roma dal Papa per diffendersi dalle accuse datele, prese seco Alessandro Cavazza uomo di acuto ingegno e manesco, ma non furono si giunti a Roma che essendosi mortalmente infirmato il Papa nel dì 10 aprile finì li suoi giorni ed il Pepoli prese respiro. Era in questo tempo Confaloniere di Bologna Boncompagno Boncompagni fratello del med. Papa che intesa la di lui morte se ne partì tostamente e lasciò viceconfaloniere Galeazzo Poeti.
Li 14 d. Giovanno Calderini maritò Tadea sua sorella con Alessandro Serpa vedovo di una sorella di Opizzo qd. Nicola Alidosio di Castel del Rio.
Vacò poco la S. Sede poiché li 24 dello stesso aprile fu assunto al pontificato il cardinale Felice Peretti dell’ordine de Conventuali di S. Francesco e si fece chiamare Sisto V. Questo Papa appena creato, trovandosi cresciuto il numero de banditi non ostante la grazia fattale da Gregorio XIII di essere stati tutti assolti, che invece di andare per la via buona erano imperversati nel contado di Bologna e divenuti oltremodo insolenti, perfidi e potenti per essere fomentati da chi poteva, assassinavano, ammazzavano a più potere e nelle ville e castella men popolate scacciavano le familie con obbrobri, violenze, stupri, andavano nelle chiese, alle feste ed a mercati e cometevano que mali che loro venivano in capo.
Onde il card. Paleotti, il Legato ed il Senato scrissero al Papa un tanto disordine. Questi imediatamente levò la franchigia di feste e le fiere. Fu ciò pubblicato nel dì 16 giugno giorno del Corpus D.ni.
Susseguentemente nel dì 17 d. si pubblicò una Bolla papale in cui veniva accordato a tutti fermare li banditi col dare all’arma per pigliarli e darli alla Corte, concedendo la delazione di ogni arma per diffesa ed in seno concesse di essere lecito a banditi uccidersi fra di loro, colla assoluzione del loro reato semprechè portassero le teste a Bologna delli uccisi. Fu questa una medicina saluberrima, onde in breve furono distrutti poiché ogni giorno si vedevano teste con epitafi di nome e cognome suttopostovi.
Fu nel secondo semestre Podestà Emilio Bolognini e Massaro Agostino Topi.
Siccome in tempo di sede vacante ultimamente, per impedire vieppiù le insolenze e malefici de banditi, fu spedito a Castel S. Pietro il capitano Bernardo Moreschi con altri ufficiali per disporre e ricevere le truppe d’Ascoli, essendosi dalla Comunità spesi danari, fu fatto ricorso dalla med. al Senato affinchè venisse ristorato il Massaro Gaspare Gottardi che ne era in disborso, avendone ricevuto l’abbono dal med. capitano. Il Senato perciò nel dì 2 agosto fece il seguente decreto: 1585. 2 Agosto . Solvantur Capitaneo Bernardo Moreschi et Bordino Tabellaria expensa facta in Opido Cas. S. P.ri pro acceptandis militibus Ascolani tempore sedis vacantis l. 58: 8. 2 , il che fu tostamente eseguito.
Li 29 ottobre poi venne a Castel S. Pietro la visita pastorale del canonico Antonio Bachini deputato Visitatore generale del novo arcivescovo Paleotti. Da questa visita niente degno di particolar menzione ritroviamo senochè era arciprete pievano D. Sabatino Menegari e che il corporale della parochia era composto di N. mille e duecento anime.
Abbisognose le carceri della podestaria nostra di Castel S. Pietro di ristoro non meno che la ressidenza del pretore, decretò pure un riparto di lire settanta circa sopra le comunità sogette alla podestaria nel dì 26 novembre come da decreto del seguente tenore: 1585. 26 Novembre. Partitionem fieri mandarunt circiter l.70 super Comunibus Preture castri S. P.ri expendenderum in Restauratione seu ressarcitione Carcerum et ressidentia Pretoris d. Castri.
All’incominciare dell’anni 1586 entrò Massaro Matteo Canelli. Podestà fu Evangelista Dall’Armi, suo notaio Andrea Ballotta.
Perché le canape del territorio si mandavano fuori provincia greggie e poche se ne manifatturavano, onde l’arte languiva massime in Budrio, Castel S. Pietro e Molinella, si unirono pertanto queste tre populazioni e facendone constare il pregiudizio non meno loro che della provincia, ne fu prevenuto il Papa di tanto disordine, il medesimo pertanto vi provide e con suo Chirografo segnato li 14 marzo vietò tali estrazioni.
In questo proposito narra Pavolo Masini nella sua Perlustrata al fol. 79. sesto mobili, che nella città si contavano 120 botteghe di gargiolo e canape e che quest’arte teneva impiegate infinite persone nelle ben popolate terre di Budrio, Medicina e Castel S. Pietro e di fatti nel nostro Castello come in quello di Budrio, ove travagliavano ancor le donne, quest’arte dà la manutenzione di molte familie.
Nata una fanciulla al Conte Pompeo e Lucrezia Fabbri Ramazotti di questo loco, fu levata al S. Fonte da Ercole filio dell’egregio capitano Anibale Bruni, la pompa non fu dissimile dall’altra che si usò ultimamente nel battesimo della altra fanciulla Ramazzotti di cui se ne scrisse avvanti.
Corradino di Bartolomeo de Simone da Labante il quale, come uno de siccari di casa Pepoli, era stato mandato a Livorno per la causa famosa del filio Girolamo, stanco di stare collasù temerariamente se ne venne alla confina del fiorentino e bolognese a Piancaldoli quivi, unitosi colli contrabandieri di Casalfiumanese e di quei contorni, benespesso veniva ai mercati di Castel S. Pietro. Accadde perciò che, essendosi domesticato molto, la guardia criminale di Bologna le fece un imboscata travestita da villani nei castagneti del Casteletto fora il nostro Castello, Accortosi egli con li pochi suoi compagni dell’aguato si appigliò ad un castagno e così fecero li altri suoi coleghi. Si incominciò da una parte e l’altra a far foco deffendendosi bravamente. Non potendo far frutto li bravi chiesero ajuto al Massaro di Castel S. Pietro acciò facessere battere la campana all’armi per trattarsi di banditi capitali. Tanto si eseguì onde vedendoso circondato Coradino e i suoi compagni ed impossibilitati a diffendersi, si diedero alla fuga doppo avere ferito alcuni sbirri, ma essendo ancor esso egli stato colpito le convenne cedere alla forza. Fu preso e condotto alle carceri della città. Questo fatto seguì il giorno 5 maggio. Morirono due birri e furono feriti ancora vari villani, che erano accorsi al foco. Fra non molto fu condannato alla gallera.
Li 22 maggio come raccontano li Annali Bianchetti fu pubblicato il Chirografo pontificio dell’assolutoria alli banditi. Era Legato di Bologna Antonio Maria Salviati romano il quale partì poi nel venturo lulio. In questo tempo il card. Paleotti fece per la prima volta il suo Sinodo provinciale.
Il dì primo lulio entrò Massaro Ricardo Ricardi. Podestà Marc’Antonio Marsili. Li 20 lulio ritornò in Castel S. Pietro il canonico Antonio Bachini per la controvisita pastorale.
Seguì in quest’anno copiosa la raccolta di canapa, lino e gualdo come si riscontra dai libri della compagnia supressa di S,. Cattarina.
Li uomini della nova Compagnia del Rosario, eretta già all’altare di S. Biagio coalizati con Giulio Cesare Rota, riconoscendo non potersi adempiere totalmente le loro orazioni conforme il dessiderio, proposero trasferirsi all’altare del med. Rosario dedicato a S.Michele, si per essere meno imbarazzante di posizione, si per essere in mezzo alla chiesa. Fu piaciuta l’idea ed a questo esito fu fatta fare l’ancona del Rosario a comuni spese al chiaro professore Orazio Samachini colli XV misteri secondo la Bolla di erezione, ma perché questo quadro non fu di tutta soddisfazione delli Rota, a motivo di essere stato dipinto con alla sinistra S. Michele ed alla destra S. Domenico, ne naquero durezze fra le parti, tanto più che l’altare era juspatronato delli Rota, onde per ciò si stettero tre anni avvanti che fosse collocato al destinato loco, aggiungevasi dippiù che il quadro non era in conformità della Bolla, dovechè S. Domenico secondo la disposizione della med. doveva essere genuflesso e ricevere le coronelle del Rosario. Onde fu portata la differenza avvanti l’Inquisitore di Bologna che poi la disciolse l’anno 1589, come si legerà in sua providenza, senza punto emergere né contro l’una, né contro l’altra parte.
Dal libro de matrimoni al fol. 63 abbiamo in quest’anno il matrimonio fra Maria di Annibale Scarselli ed Antonio Battisti ambi di Castel S. Pietro. Vedasi da questo libro come pure dal memor. batipzator. nell’arch. parochiale, che non poche sono le familie oppidane che al presente sono nobilitate in Bologna. La familia Tedeschi, Sega, Scarselli, Muzza, Serpa ed altre che lungo sarìa chi ne volesse fare la genealogia. Fabbri, Marescotti alias Mattarelli, Rinieri, Rondoni onde, non essendo questo il nostro scopo, ne tralasciamo l’impresa a chi lo voglia di mischiarsi nelle convenienze familiari.
Le inscrizioni delli Podestà accenati non le riportiamo perché o sono state omesse da chi aveva diritto oppure levate all’occasione di fabbriche nella ressidenza pretoriale.
Nel dì primo genaro 1587 entrò Massaro Fioravante Tomba e Podestà Tomaso Cospi. Tomaso Boldrini e Giacomo fratelli e Pietro Rondoni da Castel S. Pietro furono fatti cittadini di Bologna co’ loro discendenti. Da questa familia ne venne Gio. Battista Rondoni che fu vescovo di Assisi nel 1732 e morì nel 1733 di cui ne ha scritto il Fantuzzi. Dalle memorie di Gaetano Rondoni e del fu Giacomo di lui fratello abbiamo riscontrato che si riconoscevano per consanguinei del d. vescovo. Questa familia Rondoni antica nel nostro Castello si è estinta nelli d. due secoli dopo il 1757.
Virgiio Pirazzoli fu medesimamente fatto cittadino di Bologna ma abitava continuamente in Castel S. Pietro. Nel dì 11 di questo mese di marzo il Massaro Fioravante Tomba colli uomini del Consilio, bramosi di accrescere questa loro patria, li ministri del culto diedero memoriale al Senato per la facoltà di eriggere un ospicio alla nova relligione de cappuccini nel sito altra volta destinato per il Monte di Pietà, di cui se ne scrisse avvanti, non avendo avuto questo il suo effetto e cioè nel tronco e nel fondo della Rocca distrutta. Per completare il N. di ausiliari, mancavano tre sogetti. onde fatta la proposta al Senato furono eletti Giovanni Fabbri, Domenico Simbeni e Girolamo Cuzzani.
La Comunità che aveva in proprietà l’esazione delle colette comunitative e camerali del suo territorio, doppo avere divisa la colletteria in due libri semestrali e assegnati a ciascun Massaro, le assegnò per loro salario a ciascuno lire quarantacinque.
Maffeo Maffei da Cesena e Carlotta Rieti sua moglie, il primo idropico da 4 anni e l’altra arretratta per sciatica da due anni. essendosi protestati di venire ogni anno in visita della B. V. di Poggio che era in tanto grido se guarivano de loro malori. Partitisi per tanto nel dì primo maggio alla visita della miracolosa imagine furono nel spirito talmente consolati che tennero per indubitata la grazia e difatti rimpatriati cominciarono a sentire la preparazione alla grazia. Il primo cominciò a sciogliersi in abbondanti orine e l’altra ad usare soltanto una crocciola, finalmente in breve tempo furono liberati e ne portarono alla S. Imagine il testimonio della tavoletta e crociole.
Nel giorno 9 giugno il sig. Galeazzo Gini bolognese, ma oriundo di Castel S. Pietro nel di cui Borgo abitava in casa propria, sposò,con licenza del Vicario generale Domenico Gualandi ,D. Bartolomea Orlandini sua servente in presenza del paroco, del Rev.mo F. Francesco comissario nell’ospizio di questi P.P. M.O. di Castel S. Pietro, di F. Guglielmo Fiorentini da Castel S. Pietro baciliere dell’ordine agostiniano in questo convento di S. Bartolomeo. Ciò seguì senza solenità e publicazioni nella capellina del med. Gini.
Al primo di lulio entrò Massaro Andrea Pirazzoli, il Podestà l’elenco ce lo omette, abbiamo solo dalli atti comunitativi che il di lui vicegerente fu Camillo Sassatelli Notaio.
In questo stesso giorno vennero a Castel S. Pietro 400 fanti parte romagnoli e parte marchiani, che poi andarono il dì seguente alla volta di Milano per unirsi con altre truppe ed ivi far sosta per passare in Francia a favore di questo Re, che guereggiava col re di Navarra.
Per tenere in regola tutta le Comunità del suo regno il Papa nel mese di settembre deputò cinque chierici di Camera per comissari con ordine di rivedere le rendite e conti alle med. siano eclesiatiche che laicali, onde per Bologna e suo teritorio fu deputato Fabbio Pergola perugino quale li 3 ottobre arrivò a Bologna e si pubblicò l’editto, tanto per la città che per il contado che fra tre giorni dovessero le comunità sotto pena di scudi cinquecento portare le ragioni e documenti delle loro respettive possidenze ed ognuna obbedì prontamente (Annal. Bianch. T. 4 fol. 37)
La nostra Comunità di Castel S. Pietro oltre avere presentato li documenti dell’emporio del mercato sopra li rediti del Peso e misura, come quella che aveva il Jus padronato della parochiale, produsse ancora l’inventario e nota delli redditi della med. che erano di l. 396 con diversi obblighi come si ripete nell’archivio comunitativo al Lib. 1 de Diversi fol. 2 e seg.. Così segnato a caratere di quell’arciprete D. Alfonzo Cuazani:
La Chiesa arcipretale ha la rendita da Anibale e Jeronimo Gnitti per censo l. 340
dal sig. Giovanni Morelli l. 16: 5
Dal sig. Ermete Muzza l. 11: 10
Da Vincenzo Jacomelli di Medicina l. 12
Da Marino Marini di Castel S. Pietro l. 6: 5
che in tutto sono l. 396
Obblighi al sig. Vincenzo Salinbeni scudi 16 d’oro, in oro sono lire 70: 10. A sig. Giovanni di Natale per pensione al rettore del beneficio di S. Biagio eretto nella arcipretale al suo altare per essere li beni incorporati con quelli della chiesa scudi 10 sono l. 50.
Al seminario di S. Pietro ogni anno libre due di pepe, l. 6
La chiesa non ha di suo spanna di terreno e la primizia è di corbe 18 ma non è ben fondata.
Simile inventario trovasi nell’archivio della parochiale fattonell’inventario del d. arciprete li 18 settembre anno presente.
Trovavasi in questo tempo l’altare della familia Rota dedicato a S. Michele Arcangelo in cattivo stato e quasi che sospeso, perciò fu fatto ristorare da compadroni ed in seguito Cesare di Baldassarre Rota vi fece apporre la seguente memoria che noi abbiamo estratta da un voluminoso processo esistente nell’archivio parochiale alli atti Barbadori
D. O. M.
Altare hoc S. Micaelis arcangeli
a Baldassare de Rotis anno D. 1494
Fundati ac dotati ex pub. Tab. Nicolaj Fasanini Not.
Jus. Cesar fil. Baldassar Junior de Rotis hujus Gentibiti
Ju.. patronat. D. Rector. presentavit Anno humane saluti
1583 ex Rog. Ser Franciscus Barbadori Not. ex illud instauravet
Anno D.ni MDLXXXVII
Nel primo genaro 1588 entrò Massaro Gerolamo Cuzzani chi fosse Podestà l’elenco che abbiamo ce lo tralascia, dalli giudiciali è nominato Pompeo Mattuliani. Alessandro di Marc’Antonio Morandi nobile bolognese maritò sua filia Anna in Francesco Muzza da Castel S. Pietro, come riferisce Pompeo Dolfi nella sua genealogia de Nobili Bolognesi al fol. 555. Questo matrimonio per ciò fu il motivo che la familia Muzza da Castel S. Pietro spatriò e si stabilì in Bologna. La sua abitazione era fuori del Castello nel Borgo verso il Silaro ora della familia Vachi che si estingue in due femine ed un maschio per nome Battista e le femine Madalena maritata in Gian Pietro Zanoni e Teresa nubile.
Aveva fino all’anno scorso il Conte Guido Pepoli, chierico di Camera pontificia, aquistato dalla med. il Tesorierato di Bologna per 72 milla scudi, che mai più a tanto prezzo si era incantato, come riferiscono li annali Bianchetti, fu perciò motivo che il med. prelato veniva spesso a Bologna. Accadde per ciò che, essendo la strada corriera guasta nella parte occidentale del nostro Borgo presso il ponte sopra il rio della Scania che attraversa la med strada, precipitarono li di lui conduttieri. Fece perciò instanza al Senato che non solo in questo loco fosse accomodata ma anco per tutto il tratto di strada che dalla Romagna si passa a Bologna. A queste instanze si unirono ancora quella del vicelegato Anselmo Dandini, quantunque fosse rivocato dalla sua autorità e passase alla sua patria di Cesena, per il cui passaggio fu accompagnato fino a Castel S. Pietro dove fu banchettato e trattato a spesa pubblica che amontarono a l. 203, come si rileva dal Lib. de partiti del Senato ove così sta segnato l’atto: 1588. 12 marzo. pagheranno l. 203 per altretanti spesi in Castel S. Pietro per la partenza del vicelegato ivi trattato a spese pubbliche.
Dilazionatasi l’accomodo della via corriera il Papa ordinò nel mese di maggio che si appianasse fino a Bologna e si rimettessero li selciati ove erano guasti il che fu tostamente eseguito, tanto più che si vociferava che il med. Papa fosse per venire a Bologna.
E perché le mura della città come quelle de castelli erano adorne di merli, la cui manutenzione era gravosa, oltre il pericolo che facevano alle genti, ordinò il Senato che fossero tutti levati e colli materiali de medesimi fossero rissarcite le mura ove abbisognavano e le roche. Tanto seguì e nel nostro castello però rimasero soltanto le merlature alla Roca picola ed alla torre e baloardi.
Il capitano Gio. Battista Fabbri juniore fece costruire nella chiesa di S. Bartolomeo di Castel S. Pietro un altare alla destra dell’ingresso maggiore e dedicollo al protomartire S. Stefano.
Nel dì primo lulio entrò Massaro Matteo di ser Francesco Comelli, il Podestà fu Camillo Ghisilieri come riscontriamo dalli atti della pretura locale. Alamanno Bianchetti scrive ne suoi annali bolognesi alcune providenze intorno al Podestà fatto dal Senato e correzione di abusi sopra li emolumenti loro che si alteravano, scrive che intorno del nostro fu fissata la provisione al med. di l. 165 a quello del primo semestre ed al secondo officiale l. 150.
Abbiamo poi dalle memorie nell’archivio di questa parochiale che avendo già in addietro convenuto la permuta e rinoncia di questa arcipretale fatta da D. Sabatino Meneganti con D. Alfonso Cazzani di Castel S. Pietro, paroco di S. Lorenzo di Comacchio e beneficiato ancora dell’altare acennato di S. Biagio, come il med., attesa la legale rinoncia fatta nel dì 21 agosto, seguisse la collazione nella di lui persona dell’arcivescovo a rogito di Silvestro Zuchini.
Stabilitosi in patria il med. D. Alfonso. bramando che le funzioni eclesiastiche nella sua chiesa fossero fatte col maggior decoro possibile, fece instanza alla Comunità acciò, come compadrona della arcipretale, la adornasse di un organo. Acettò la med. l’invito ed a questo effetto elesse quattro del consilio a farne fare l’instrumento. Furono questi Matteo Comelli, Francesco Farnè, Ricardo Ricardi e Lorenzo Dal Prato che assunsero l’impegno. Fu tostamente fatto fare in Imola da certo Properzio Lasagna detto dalli Organi e costò l. 236, come rissulta dalli atti comunitativi e da mandati. Questo fu il primo organo che si sentì nel paese suonare.
Fu in quest’anno scarsissima raccolta. Giunto l’anno 1589, fattasi la nova imborsazione de massari e sortito da quella novamente Matteo Comelli, intraprese il suo ministero il dì primo genaro, sebbene siamo mancanti della notizia di chi fosse Podestà in questo primo semestre. Sforza Bargellini di lui notaio giudicente fu sostituito da Gregorio Mondini nazionale di Castel S. Pietro, come riscontriamo dalle carte comunitative.
Attesa la carestia di viveri, mancando la città di sessanta milla corbe di grano, diede il governo la libertà a chiunque di introdurre pane e beato chi ne introduceva. A queste calamità si aggiunsero le inquietudini di banditi. perlochè Passalaqua di Barbiana, capo di 20 e Francesco Zampioni di Castelbolognese capo di altri 35 banditi, infestavano qua e là la Romagna e benespesso facevano scorrerie ne nostri contorni di Castel S. Pietro, Castel Guelfo, Medicina e Casalfiumanese né lasciavano neppure lavorare, non che caminare le genti. Accrebbe poi più il travaglio Alfonso Picolomini acennato quale, avendo di novo contratta nimistà col Duca a motivo di averlo confiscati li suoi beni per una rendita di quindici milla scudi, fece novamente numero di genti e cominciò a scorere la Toscana, facendo scaramuzze, ecetto nello stato papale e ferrarese, ma però, discendendo nella Romagna dalla parte di Castel del Rio ad Imola, convenne a Bologna per assicurarsi mandar le guardie e cavallegieri a Castel S. Pietro, ma il Picolomini mai fece male ed il Duca lo bandì per 20 milla scudi.
Sino all’anno 1586 la Compagnia del Rosario, eretto all’altare di S. Biagio, essendosi trasferito a quello di S. Michele arcangelo, juspatronato delli Rota ove esisteva la pittura fatta da Orazio Samachini, con animo di fabbricarvi poi più decente capella quindi transferendosi la d. pittura ora qua ora là a motivo de puntili, fu perciò fatta instanza al provinciale de domenicani affinchè ponesse sesto a tanto inconveniente. Il med. per ciò usando della sua autorità come capo della Compagnia del Rosario formò il seguente decreto che esiste nell’archivio della arcipretale e della compagnia.
Nos frater Vincentius de Monte Sancto S. Theologie magister et Provincialis, utriusque LombardieOrdinis Predicatorum. Cum superioribus annis p. R. P. lectorem frate gregorium mutunensem Ordinis Prdicator. hunc Vicar. SS.ma Inquisitionis Bononie de Licentia Suorum superior. ttanslata fuerit Societas SS.mi Rosari de altare S. Blasi ad altare S. Micaelis arcangeli posit in Parochiali eclesia S. Marie Castri S. Patri Comitatus Bononie et d. Altare S. Micaelis arcangeli a tempore d. translationis citra, usque in presens tempus destinat. fuerit pro uso et devota fideliam relligione d. Societatis Rosari pro majori devotionis Augmento facta fuerit ab Hominibusd. Societatis Tabula Picture SS.mi Rosari insimul cum figura S. Micaelis Arcangeli et insuper fuerit dedicata pred. altari S. Micaelis et que tabula in d. altari non ressidet sed quidem in preventiarum alio loco minus apto et cognito reperitur ea tamen. Intentione cursu temporis, ut dicitur, pred. tabulam trafferendi in quamdam capella exttouendam in d. eclesia, cuius Capelle nulla adhuc extznt vestigia et Nostri frequentiam Devotionis d. Societatis rosarri et ad sedanndas quescumque contro versiasque forsam in futurum orire possent. Proptera omnibus X.fidelibus notum facimus et attestamur quakiter animus et voluntas nostra est quod d. Tabula non amoveatur de docto loco transferaturque et ponatur in, et super d. altare S. Micaelis Arcangeli, ibidem permansura donec d. capella ut prefertur noviter construenda fabbrica et perfecta fuerit et ita in verdatem S. Nobedentie precimus et mandamus fieri debere, non onstantibus quacunq. alia Dispositione forsan in contrariumsueta, aliis quibuscumq. In quorum fidem. Dat. Bononie in Edibus Divi Dominici Relligionisnostre. Anno a Nativitate D. N. J. C. MDLXXXIX. Die IV Aprilis L. +. S.
In questo mese il Papa aumentò il numero de Senatori in Bologna e di 40 li acrebbe al N. di 50. Domenica di Matteo Dalzano congiunta di suor Felice Dalzano terziaria de Servi, di cui a suo loco descriveremo l’elogio, non fu meno dotata di spirito di pietà della med. Felice, riscontriamo la di lei nascita nel Libro Babtizator.
Nel dì primo lulio investì la carica di Massaro Antonio da Corneta e quella di Podestà Alessandro di Lippo Ghisilieri.
Vedendo il Vicelegato Camillo Borghesi crescere il numero delli banditi e temendo di una qualche sollevazione dalla parte di Romagna per il partito che avevano di scapestrati, oltre le già spedite milizie, munizione e archibugioni da posta o siano spingarde ed artigliarie, ne spedì a Castel S. Pietro altre armi per servigio del popolo, acciochè dalle pattuglie, dalla corte e da altri fossero rinserati in palazzi, torre e case li banditi, prevalendosi al bisogno delle armi sudd.
Alla raccolta dell’anno scorso miserabile se le aggiunse ancora quest’anno più carestioso onde nel raccolto medesimo si vendette il grano di trista qualità fino a lire venti la corba. Li marzatelli ancor essi furono scarsissimi onde, per la miseria patita nello scorso inverno, morirono nel seguente agosto di quest’anno molte persone in Bologna, nel contado similmente ma furono più li fanciulli e li giovani che li vechi.
Riferisce la Cron. di Francesco Galliani, che di giorno in giorno crescendo il N. de morti, fu attribuito che li contrabandieri di Romagna avevano condotti a Castel S. Pietro grani cattivi, ove erano spaleggiati da Giacomo dalla Serra bandito capitale. Ciò si seppe per mezo di Battistino Piazzi di Castel S. Pietro il quale, accusato a Giacomo Galli capo de banditi, fu preso da med. mediante Marc’Antonio Lelli del med. Castello detto volgarmente il Bravo, ancor esso nel numero delli fuorusciti capitali, onde in seguito fu ammazzato il d. Piazzi da questi masnadieri che oltre ciò, al riferire dall’annalista, li svalligiarono la casa sua nel Castello. Li tolsero per il valore di lire 7 milla poi li abbruciarono la med. casa pel motivo della scoperta frode. Il conflitto di questo fatto è innarabile per l’aggressione fatta da coloro, onde convenne al pressidio del paese darsi alla fuga, tanto fu l’ammutinamente anco delli paesani contro li aderenti di Battistino.
Usavasi in questi tempi che accadendo la morte di un prete intestato, la Camera di Roma si imposessava de suoi effetti, onde nascevano molti scompigli. All’effetto di evitare questi per l’avvenire il Papa concordò col vescovato di Bologna che questi in perpetuo pagasse ottocento scudi annui perpetui per il sussidio delle galere, che si mandano a Roma. Urbano VIII poi nel 1639 concordò con Bologna che li curati, parochi ed arcipreti per l’avvenire pagassero l. 2 e li beneficiati semplici l. 1 e ciò per isgravarsi dal giogo dello spolio che faceva la camera di Roma alla morte de preti.
Nel dì primo genaro 1590 entrò Massaro Agostino Topi. Il Podestà, nelli atti della pretura locale, fu Protesilao Sabiniani col titolo di Strenuo Capitano e fu il suo notaio giusdicente Filoteo Sarti nazionale di Castel S. Pietro.
Per la gran carestia de viveri che continuava, le granelle erano andate ad un eccessivo prezzo, come narrano le cron. Gulliane, Caradori di Budrio, Annali Bianchetti, la fava vendevasi l. 35 la corba, il grano l. 50 ed andò fino a l. 100 onde per ciò le genti si cibavano di ghiande, erbe ed alcuni macinavano le fascine di vite tritare in piccoli pezzetti inpastando la loro polvere con poco di farina e componevano focacce e pezzi di pagnotte, onde morivano le genti per la strada di fame. Li banditi di Romagna scorrevano più che mai nel nostro territorio ed altrove per il contado e non si sentivano altro che ladronecci e stragi e massacri che, oltre il numero de morti nel contado per fame come riferisce il Masini al N. 30 milla, se ne accrebbero altri di ucisi. Per queste strane vicende poco si attendeva al culto di Dio e le genti stavano tutte affacendate per la vita amara, onde nulla su ciò abbiamo da narrare.
Nel dì primo lulio entrò Podestà per il secondo semestre Francesco Piatesi, suo notaio giudicente fu Cambio Vassalli bolognese. Massaro fu Francesco Farnè.
Scrive Serafino Pasolini ne suoi Lustri Ravennati che li banditi si erano fatti così coraggiosi che entrarono perfino in Bologna, Rimino, Cesena, Forlì, Imola uccidendo que nobili che le facevano contro. Noi però di Bologna nelle nostre cronache non lo troviamo scritto. Sacheggiarono Bagnacavallo, quel Monte di Pietà ed entrati in Faenza volevano impiccare quel governatore se lo trovavano per avere egli fatto morire col laccio la mattina antecedente molti loro compagni.
Oltre queste disaventure l’intemperie della staggione minacciava aumentare la carestia e la mortalità essendo eccessiva pioggia. In ogni loco per ciò si cominciarono orazioni di penitenza.
In questo mezo li 27 agosto morì Sisto V.
Li presidi che si erano mantenuti a Castel S. Pietro a cagione del Picolomini, benchè inutilmente avendo il Senato spese l. 400 furono queste nel dì 29 agosto approvate dal Senato per partito e pagate, come riscontriamo dal Lib. Partit. T. 15 Carat. gol. 154: L. 400 pro stipendi Milit. qui ad custodiam Castri S. Petri missi fuerunt causa bannitor. et Picolomini.
Li 15 settembre poi fu assunto al pontificato il card. Gio. Battista Castagna col nome di Urbano VII, che pochi giorni governò la chiesa, mentre, morto li 27 dello stesso settembre, fu nel giorno quinto di decembre creato Papa il card. Nicolò Sfondrati col nome di Gregorio XIV che mandò poi a Bologna per Legato Paolo Emilio Sfondrati di lui nipote. Furono pure pagate altre lire tremilla per lo stipendio a soldati che avevano soggiornato nella scorsa
stagione in Medicina, e Castel S. Pietro, riscontrasi ciò dal T. XV Partit. Carat. fol. 165 in questo tenore col quale chiudiamo l’anno presente cioè: 1590. 20 X.bre Pro expensa et stipendio Militum Medicine et castri S. Petri causa banitor. L. 3000.
L’anno poi veniente 1591 chi fosse il Podestà di questo tempo non lo abbiamo scritto in alcun luogo neppure le memorie sue né il suo notaro giusdicente. Massaro in questo primo semestre fu Clemente Fiegna.
Nel corente genaro il Papa mandò un Giubileo universale per la città e contado di Bologna affine di placare l’ira divina.
Nel giorno 24 morì Cecchina di Riniero Rinieri bellissima giovane per affronto fattole da fuorusciti. Le citelle un poco avvenenti non erano sicure, molte villanelle furono violate ed alcune ucise che avevano volsuto farle ressistenza, altre stupravano e poi le battevano.
Nel dì 14 febraro fu raggiunto Paolo Pagnoni, che andava alla sua villa detta: la Pagnona in questo comune, da banditi imboscati e quantunque facesse forte diffesa fu ucciso nella stessa sua villa Pagnona. La compagnia numerosa di questi scelerati era retta da Jacomo Dal Gallo villano ladro e dall’altro suo compagno detto Bastiano dalla Serra. Costoro, secondo scrive Francesco Galliani diarista di questi tempi nella sua Cron. di Bologna, riferisce che di due compagnie che erano questi perversi uomini ne formarono una sola ai confini di Castel S. Pietro . L’abboccamento fra di loro, secondo riferisce il P. Vanti, presso la via romana nel luogo detto l’Alta ed al rio Rosso, dove si ascondevano e facevano d’ogni sorta assassini, robbavano, foraggiavano nel nostro contorno, spogliavano, ucidevano, squartavano le persone morte, le scorticavano, pigliavano e mettevano taglia piacevole per il riscatto entro prefisso termine altrimenti si uccidevano. Li scrittori di questi giorni ed il tribunale ne ha incalcolabili li riporti. Si incatenavano figli di famiglia, mogli, bestiami. Li padri per riscattare li figli, i mariti le mogli, impegnavano tutto.
Fra li altri li 18 febbraro andando in Romagna il sig. Gianpaolo Canobbio bolognese fu preso da costoro al nostro confine prima di giungere alla Toscanella. Vi posero la taglia di 500 scudi da pagarsi fra due giorni altrimenti pena la morte. Fece ciò sapere alli suoi, li quali le mandarono per espresso solo 50 scudi. Fu preso l’inviato col danaro, poi fra loro fatto imediato consilio, diedero al povero latore delli sc. 50 altrettante bastonate poi, per li 500 che avevano addomandato, misero sul cavallo dell’inviato il povero Canobbio e rivoltandolo verso Bologna le diedero cinque archibugiate valutandole cento scudi per ciascuna.
Li 5 marzo venne a Bologna per la via di Romagna il novo Legato Paolo Emilio Sfondrati. Fu incontrato a confini colli cavallegieri per motivo massime delli assassini ed introdotto in Castel S. Pietro da Piero Malvezzi ed Alessandro Bolognetti inviati dal Senato. Scrive Alamanno Bianchetti ne suoi Annal. di Bologna che questi fu il primo Legato che ricevesse tale incontro. Arrivato in Castello fu banchettato in casa Ramazzotti ora palazzo Locatelli.
Preso _ Calvana de Castel S. Pietro da banditi fu nel dì 7 marzo uciso per non averle potuto dare l. 40 che li avevano chieste per taglia mentre andava a Imola. Il fatto seguì al rio del Cerè detto rio Rosso ancora. Adì 17 d. furono pure ucisi due de Scanello sopra la chiusa del nostro Castello appresso la fonte della Fegatella che venivano al Castello, dopo avere lungamente essi contrastato colli banditi e fatto foco nel mentre che fuggivano. Scrive l’accenato Pasolini che in questo mese di marzo comparvero due soli nel cielo che diffondendo tanta luce nel cielo riconoscevano meglio li fuorusciti li lor vantaggi e vieppiù recavano li danni. Il Conte Ercole Cavazza secondo scrive Gian Giacomo Brochi fu infeudato da Gregorio XIV nel vilaggio di Castel S. Polo, nel tempo addietro sogetto a Castel S. Pietro. Crescevano di giorno in giorno le barberie de fuorusciti, come cresceva il numero di loro de malviventi scelerati che secoloro si associavano e la giustizia poco sufragava e le pattuglie non erano valenti a farle fronte. Lì 6 aprile morì il castellano del nostro Borgo che essendo in patuglia fu con altri ferito. Li 15 d. Gabriello Caprara , 24 d. Zovanne Zanini, 26 d. il Maranga, tutti ammazzati da fuorusciti con altri molti che si riscontrano nel Lib. Mortuor. di questa parochiale indicati. Il Papa perciò ad effetto di distruggere questa peste di gente si unì col Duca di Ferrara e di Firenze poi dichiarò per Legato di Bologna il card. Francesco Sforza romano all’effetto solo di estirpare colla milizia questa perfida unione di assassini. Venne egli per ciò con milizie nella vicina Romagna. Li bolognesi le mandarono due milla soldati del contado e così colli altri soldati eclesiatici condotti dallo Sforza presero li passi perché non fuggissero. Li 30 aprile Bologna li mandò quattro pezzi di artigliaria con carra di palle, spiedi, scale ed altri atrezi militari che furono acompagnati a Castel S. Pietro dalli battaglioni fino a mille uomini. Avendo infrattanto il card. Sforza fatto un esercito circa cinquemilla uomini per opprimere li banditi, alli 2 maggio andò al palazzo dell’abbate Riari nella villa del Giardino fra Imola e Castel S. Pietro ove era il nido di un capo de ladri, cioè Gallo. Quivi arrivato il card. da una parte e le truppe del Duca di Ferrara dall’altra, cominciò il card. coll’artigliaria a battere il palazzo di nottetempo, ma avendo li banditi intelligenza con una familia ivi vicina detti li Jachini, che era situata da un canto del palazzo colla abitazione, furono li ladri avvisati, come il Duca di Ferrara Alfonso d’Este aveva le sue genti dalla parte di sotto, ove attendevano li med. ladri e dalla parte di sopra vi erano li sforzeschi col cardinale. Per la qual cosa, affine di non rimanere sotto le ruine, Giacomo dal Gallo tentò la fuga co’ suoi compagni e mettendosi egli alla testa seguì scaramuccia co’ soldati eclesiatici nella quale vi restarono uccisi da ambo le parti. Finalmente le riescì fuggire fra li due fochi e si nascosero in un bosco presso Castel Guelfo, dove stettero alli 9 per la pioggia, ma mancandole poi il vivere sortirono e si appiccò una baruffa colli cavalleggieri di Bologna, durò bon pezzo ma non potendo ressistere si diedero alla fuga, onde raggiunto il Gallo da un cavallegiero fu ucciso, la sua compagnia era di 150 bravi. Bastiano Serra si ritirò a Montecaduni. Nella compagnia di Gallo eravi un frate fuggitivo dalla relligione di S. Francesco per nome F. Valerio il di cui instituto e patria ce lo tacciono li scrittori. In questo contratempo essendo stato preso dalle pattuglie un giovinastro di Casio, esploratore di Marc’Antonio Lelli di Castel S. Pietro detto il Bravo, che si era associato colli d. fuorusciti, fu interrogato ove si era nascosto il med. Bravo ma, non volendolo accusare colli altri suoi compagni, fu poi nel giorno 30 di questo mese appiccato in Castel S. Pietro d’ordine del Legato Spondrati. All’occasione della d. baruffa Giulio Fasanini filio di Pomponio nobile di Bologna, Stefano Cavina, il Rizzo di Varignana sbandati delli d. forusciti si riffuggiarono a Monte Caldiraro, ma per la fame, essendo calati sopra Castel S. Pietro nella posssessione della Colina lontana un tiro di saetta, furono avvisati li soldati da Carlo Ricci di Castel S. Pietro che solleva portare loro del pane la onde furono bloccati da soldati paesani. Vedendosi alle strette quelli attaccarono baruffa per fugirsene, ma fu vano poiché nella fazione fu uciso il Cavina, che era di Monte Caldiraro,il Fasanini fu preso dal Ricci che le portava il pane con un laccio alla gola. Non potette fuggire alcuno. La pattuglia era composta dalli seguenti cioè: Rafaele di Cesare Martelli, Ercole Freschi, Francesco Tassoni, Francesco Busta ed altri tutti abitanti nel Borgo del nostro Castello, uomini bravi di sua vita ed atti alle fazioni. Condussero imediatamente il Fasanini a Bologna, il quale quantunque li pregasse ad ammazzarlo per non avere il rossore di entrare in città, non lo vollero mai ascoltare. Fra non molto fu decapitato in quella per essere nobile. Non erano però estirpati totalmente questi malandrini, poiché ve ne erano ancora delle conventicole, le quali vivevano imboscate nelle nostre vicinanze alla colina nel quartiere della Lama e facevano aggressioni alle persone. Fra costoro eravi Marc’Antonio Lelli, il Bravo, e Francesco Gavoni con Christoforo e Giovanni Granzi di Castel S. Pietro che avevano per capo Pietro Passatempi. Fu di novo comesso alle nostre patuglie di Castel S. Pietro e milizia di invigilare ne nostri confini acciò non si inoltrassero e comettessero mali. Avutasi notizia mediante il Gavoni ed il Bravo che si nascondevano nei boschi del Valesino e Machione sul labro del confine di Dozza, si presero li posti da nostri soldati acciò non potessero sortire que malandrini anziché averli nelle mani. Di ciò accortisi tentarono tutti la fuga mediante una scaramuzza di fucili, nel sortire furono feriti li fratelli Granzi col loro capo Passatempi. Il Bravo col Gavoni secondo l’accordo fuggirono al monte, tanto che fra non molto si accomodarono col tribunale non avendo machia di latrocini. Li due fratelli Granzi furono condotti a Bologna ed il Passatempi fu imediatamente fatto impicare. Per queste vicende era divenuto così domestico l’omicidio che pochi erano quelli che non ne comettessero non facendole alcun ribrezzo per la morte. Si sentivano perciò risse ed ucisioni continuamente nel paese. li 25 aprile anco corrente essendosi conjugata Flaminia di Battista Fabbri col Conte Pompeo del Conte Ramazzotto Ramazzotti, tutti di Castel S. Pietro, si solennizarono solamente nel corrente maggio le nozze, alle quali concorsero molti nobili di Bologna il giorno 22 e 24. Fu però funestato il paese da un caso pensato da Francesco Gavoni. Questi essendo già fra banditi, essendole riferito che la di lui moglie Cornelia il di cui cognome si tace il Lib. Mortuor. della arcipretale, che ella avesse confidato con altre sue amiche che il med. Francesco di lei marito avesse avuto interessenza nelle frodi fatte nei grani di cui se ne parlò avvanti, il med. Gavoni, certificato delle circostanze, se ne venne la notte del 22 corente alla casa e nell’alta notte, avendo dissimulato colla moglie sapere il tutto, la strozzò miseramente e la mattina del giorno seguente 23 maggio se ne partì e tornò al campo de fuorusciti. Sul tardi della giornata scopertosi il misfatto reccò non poco dispiacere alli paesani e molto più a di lei congiunti, che si vole dal P. Vanti che fosse del casato di Inocenzo Fabbri, per la qual cosa li Tesei, come lasciò scritto il med. Vanti, corsero armata mano con molto popolo al segno di sentire campana a martello alla casa del Gavoni con animo di vendicare l’offesa, ma non trovandolo unitamente colli Fabbri di Innocenzo diedero il guasto alla casa e ruinarono questa casa. Fu poi nel venturo secolo redificata dallo stesso Gavoni come a suo loco riferiremo ed è quella che a canto dell’ostaria della Corona dalla parte di ponente guarda di facciata alla via che porta a Medicina d. di S. Carlo ove avvi una inscrizione in macigno che alla sua epoca sarà riportata. Li 17 giugno nel convento della Annunziata di Bologna morì, colmo di meriti, il P.re Tiburzio Battisti M.M. O.O. di questo paese avendo sostenute molte incombenze nella relligione in sistemare li conventi di Cottignola e di Lojano con sua lode. Il dì primo lulio entrò Massaro Sebastiano Rondoni, Podestà Carlo Ruini e suo notaio fu il d. Fiorentini. Abbisognando il ponte maestro sopra il Silero nella via corriera di ristoro a motivo delle correnti minacciato nell’ala a levante, fu dato l’avviso al Governo che prontamente con palificate vi provide. Essendosi poi fatta una abbondante racolta, si mise il prezzo del grano a pavoli 10 la corba. Non ostante la cacciata de fuorusciti dalle truppe pontificie, come si scrisse, non furono perciò estirpati. Convenne per ciò la Legazione imporre taglie e premi novamente a chi li dava vivi o morti nelle mani della giustizia. Addescati da ciò molti fra di loro si tramarono la morte e seguirono in conseguenza ucisioni. Tanto accadde in Sebastiano dalla Serra uno dei capi, quale ucciso da Marc’Antonio Lelli di Castel S. Pietro detto il Bravo, come altri furono nel corente lulio portate le loro teste a Bologna. Il Bravo fu spallegiato da Francesco Gavoni e da altri suoi compagni paesani. Ne riportò non solo esso co’ suoi colleghi l’assolutoria de loro reati ma ancora il promesso premio di taglia ed in questa guisa rimpatriarono li contumaci. Vedendosi costoro scemare il loro numero per le taglie imposte fecero per ciò, secondo scrive il Pasolini ne suoi Lustri Ravennati, la loro rassegna e si ritrovarono ascendere al N. di mille e ottocento. Il loro capo già si scrisse essere stato Giacomo del Gallo il quale si faceva chiamare il Papa de banditi e dispensava patenti con sigilli. La loro radunanza si fece ne beni de Santerna di Gio. Battista Pasolini, doppo avere sacheggiato quel palazzo orribilmente, que manigoldi si divisero quindi in tre squadre, una si portò sul territorio d’Imola, la seconda nelle valli di Fusignano e la terza occupò il castello di Montemaggiore. Novamente si unirono le milizie. Li soldati del Legato di Ravenna uniti con 500 bolognesi tagliarono a pezzi la seconda sull’imolese. Liberate queste parti da malviventi, seguirono altri guai poiché su la fine di lulio fino alli 28 agosto si sentirono grandissimi terremoti. Allo spirare di questo mese furono in Bologna impicati e poscia abbruciati Christoforo e Giovanni Granzi di Castel S. Pietro per li gravi misfatti di stupri, violazioni di cose sagre, omicidi e crudeltà quando erano fra banditi. Fabbricandosi in questo tempo il Convento de Francescani nel nostro Castello della cui fabbrica era comissario il P. Angiolo da Ghiacena, quantunque non vi fossero gran sacerdoti, egli non di meno supliva colla massima pietà alle loro veci, predicava continuamente la penitenza per li castighi de terremoti d’onde ne erano prodotte ruine a molte creature. Fece non solo profitto nell’anime ma anco per il suo convento d’onde racolse affluenti elemosine. Lì 15 ottobre morì Gregorio XIV a cui sucesse nel pontificato Gian Antonio Fachinetti, nobile bolognese, li 29 ottobre col nome di Innocenzo IX. Resse la chiesa breve tempo poiché al finire di decembre finì ancor esso li suoi giorni. Riferisce Alamanno Bianchetti ne suoi annali che morirono in quest’anno a motivo della fame patita trentamilla contadini. In questa contingenza si fece anco il calcolo di tutti li morti sotto la parochia di Castel S. Pietro. Gli uomini furono 98 le donne 85, li putti 107 e le putte 59 che in tutti furono 349 come si riscontra dal Lib. Mortor. della parochia. In quest’anno Giulia del cap. Gio. Battista Fabbri e di Gallicella Ceruni del tronco de Conti di Ceruno, fanciulla di somma pietà, prese l’abito monacale in S. Domenico d’Imola, che non se disparì del P. Angelo Fabbri cappucino, comendato dalli scrittori. Nell’officio vecchio della Podestaria di questo loco, avendo terminato il suo ministero Carlo Ruini, ritroviamo la di lui memoria nella quale non si indica il semestre così cantante. 1591 Carolus Ruini Pretor Nel seguente anno 1592 sucesse poi in questo ministero di Podestà pel primo quadrimestre Antonio di Alessandro Dal Lino senatore, Massaro Gaspare Gottardi. Vacata la S. Sede per un mese, fu nel 30 genaro eletto Papa il card. Ipolito Aldobrandini col nome di Clemente VIII, il quale al successivo febraro mandò un giubileo a tutto il contado di Bologna. Li 15 di questo mese morì il Conte Ramazzotto Ramazzotti in Castel S. Pietro e fu sepolto in parochia in avello separato colla seguente inscrizione: Comes Ramazzottus Ramazzotti hic ressurectionem expectat. Infiammatosi a morte Marc’Antonio Lelli detto il Bravo, in questa sua patria memore della sua pessima condotta, affine di ottenere da Dio misericordia fece nel dì 20 marzo testamento a rogito di Morando Morandi e lasciò erede di tutto il suo la Compagnia di S. Cattarina di questa sua patria ove finì la vita. Perché poi non erano totalmente distrutti li banditi, ma se ne ritrovavano qua e là sbandati, così non cessava il cardinale Sforza di inseguirli, perciò notiziato che facevano imboscate ne contorni di Castel S. Pietro e che si ascondessero nella Rocca di Dozza, mandò al nostro castello soldatesca e sbirraglia, indi nel dì 12 maggio in martedì venne esso in persona ed immediatamente passò a Dozza, contea de Campeggi, che si teneva guardata da Vincenzo Benini castellano di quella Rocca e, domandando di volere entrare per quelle porte che si tenevano chiuse a motivo delli banditi, ricusò il castellano lasciarlo entrare dicendole che non lo conosceva per nulla ma bensì li Campeggi. Il cardinale adirato, ammassata non poca gente, prese a forza la Rocca ed il castellano e subito lo fece impicare ivi alla porta della Rocca. Il motivo fu più poi perché ivi si ricoveravano banditi. Il Conte Alessandro Campeggi colli altri di suo casato ciò inteso andarono tostamente dal Legato a scolparsi dicendoli che loro erano inscienti di tutte queste cose, ma il card. Sforza li fece imprigionare e tosto li spedì alla Rocca d’Imola e fra non molto poi le restituì la Roca e Doccia di cui se ne era esso impossessato, tenedovi pressidio con sicurtà di diecimilla scudi. Stettero prigioni fino alli 23 maggio. Annibale Mazza di Castel S. Pietro avendo comessi omicidi in questa sua patria di Castel S. Pietro con altri suoi amici fu in giugno imprigionato. La raccolta di quest’anno fu misera. Terminato il suo ministero di Massaro Gaspare Gottardi, subentrò in suo luogo pel secondo semestre Ricardo Ricardi. Podestà N. N.. Attesa la racolta de generi per cui si prevedeva un esclamo grande, pensò il card. Legato provedere alla populazione e massime de contadini, laonde fece fare ne luoghi di più importanza quattro magazeni per le grane nel contado, con intelligenza del Senato sotto diverse cautele. Li luoghi furono Castel S. Pietro, Molinella, S. Agostino e S. Giovanni, al quale effetto promulgò nel dì 18 agosto il seguente proclama: Perché l’Ill.mo Sig. Paolo Card. Sfondrato di Bologna e suo Contado, Territorio e distretto, Legato a Latere coll’istesso paterno amore e carità che porta a quelli della Città, dessidera anco socorere alli Contadini, acciochè con più comodità possano sostentarsi e lavorare, ha sua Sig.ia Ill.ma rissoluto col Consenso de Sig. Anziani che si facciano in Contado quattro Magazeni e cioè a Castel S. Pietro, Molinella, S. Agostino e S. Giovanni, ordinando ed acconsentendo che li Marzanelli del raccolto del presente anno si possano lasciare in Contado e vendere alli sudd. magazeni, ordinando che dalli contadini non possino provedersi più che per bisogno d’un mese in mese. Tanto fu eseguito e ne riportò non solo lode ma plauso ancora. Il grano valse l. 35 la corba. Annibale Mazza imprigionato come sopra fu sentenziato a morte e ne portò la pena il di 27 settembre in Bologna. Li 12 novembre Madalena Dalfeo nata senza la destra e mostruosa morì in questa sua patria li 12 novembre. Li morti di quest’anno nella parochia di Castel S. Pietro sono stati N. 47 come riscontrasi del Lib. Mortuor. paroch. Il novo Podestà di questo semestre 1593 fu Lippo Ghiselieri così lo annunzia no le carte comunitative, mancaci la memoria, sappiamo bensì che il notaio giusdicente fu Canobbio Vassalli e Massaro Fioravente Tomba. La carestia de viveri era cresciuta a tal segno che cibandosi li miserabili di carni di cavalli morti, di sorci e bestie imonde, che per loro erano cibi preziosi, temendosi di una pestilenza, si facevano in ogni loco orazioni. Il Papa riconoscendo ancor egli che tanti malori provenivano da peccati determinò di assolvere tutti quelli che avevano rubbato, dato ricetto ai banditi ed incorsi in qualsivoglia censura, laonde promulgò un Giubileo universale con facoltà a confessori e vescovi di assolvere anco li banditi incorsi in censure papali. Li 27 febraro Francesco di Marc’ Antonio Gavoni, che fu quegli che strangolò la moglie, si accasò con Elena di Paolo Fabbri. Dalli 2 aprile fino alli 9 furono grandi pioggie, li fiumi fecero non poche escrescenze e danneggiarono le vicine campagne. Attesa la pubblicazione del Giubileo papale seguita nel dì 12 maggio, Alfonso Paletto arcivescovo di Coriato e coadiutore dell’arcivescovo di Bologna, doppo avere fatta la processione di penitenza alle 4 croci in Bologna, andò pontificalmente alla ringhiera del Palazzo pubblico co’ magistrati e quivi diede la benedizione papale al numeroso popolo asolvendo ogni uno ancorché scomunicato. Nello stesso giorno, ora e momento fecero lo stesso tutti li parochi della diocesi. Nello stesso instante che si diede la benedizione assolutoria si alzò un vento per aria, con tuoni e saette, che parve ruinasse tutto il mondo, questo temporale non oltrepassò il circuito della città. Li frati agostiniani del nostro convento di S. Bartolomeo di Castel S. Pietro, bramosi di ridurre la loro chiesa a miglior essere perché era a coppi, chiesero alla comunità ajuto. La med. le pagò in elemosina l. 100 e le fu fatto un bellissimo tassello all’uso di questi tempi tutto di abete. Al primo lulio entrò Massaro per il secondo semestre Andrea Pirazzoli, Podestà Ascanio Bonfilioli, suo notaio giusdicente Filoteo Santi nazionale di Castel S. Pietro. Li 2 lulio morirono in casa propria Gabriele dal Vetro nel Borgo, li 6 d. Camilla sua filia e li 7 d. Diana altra sua filia con pugnalata né si potette scoprire l’autore. In decembre morirono Stefano e Jacomino Balduzzi ancor essi in questa sua patria in una accanita baruffa avuta colli Pignatarini per la quale andò quasi tutto il paese a rumore per le parentele dell’una e dell’altra parte. Fu Podestà nel primo semestre poi 1594 Ulisse Ghetti nobile, suo notaio giusdicente Pompeo Mengoli, Massaro Lorenzo Dalprato. Avutasi notizia che il contaggio nelli uomini travagliava il Malamoco, si incominciarono ad usare li riguardi nelle malattie. Ceccone Ruggi, doppo essere stato molti anni al soldo della repubblica veneta col capitano Gian Battista Fabbri, primo sergente sotto il capitano Erizo, ritornato in Castel S. Pietro sua patria con ben servito e bandiera, morì li 13 aprile in casa propria. Questo Cecone, come lasciò scritto il P. Vanti, fu quegli a cui bastò solo l’animo d’avere vivo nelle mani e pigliare messer Alfonso Masanello famoso bandito e gran bravo che fu poi decapitato in Bologna nel dì 2 novembre anno presente. Dal primo di febraro fino al presente giorno 14 aprile poco o molto piovuto, si mutò la intemperie e nevicò tutto il giorno e notte dimodochè essendo venuta alta la neve, non potendosi travagliare la terra fu di gran svantagio. Li arbori che avevano le fronde furono schiantati, li ucelli si prendevano colle mani e quelli che nidificavano andarono a male. Ne seguì poi nel dì 16 una grossissima pioggia che col scirocco fece liquefare la neve e ne seguirono non pochi danni per le escrescenze delle aque. Temendosi per ciò di carestia si fecero da per tutto orazioni. Li 17 giugno Christoforo Rinieri morì in questa sua villa della Riniera fabbricatale dal di lui padre l’anno 1575. Domenico Cavazza di Castel S. Pietro, bravo tagliapietre che aveva la sua caviera in Casalecchio de Conti diede in quest’anno prova della sua virtù nelle manifature e capitelli dell’ornato al palazzo Zani in Bologna nella via di S. Stefano, che servono di ammirazione alle genti non che di scuola alli tagliapietre. Adì primo lulio entrò Massaro Domenico Simbeni, il Podestà fu Fulvio Leoni. Essendo poi stato attaccato nell’Ungheria Ridolfo Imperatore dal Turco per la relligione, ricorse al Papa, questi vi spedì Gianpietro Aldobrandini suo nipote con 12 milla fanti e mille cavalli per Generale di S. Chiesa. Li bolognesi pure non furono indolenti a mandarvi ancor essi gente, fecero per ciò molti capitani fra quali il Conte Ricardo Pepoli con 250 bravi archibugieri. Nel numero di questi vi andarono Pompeo Fereri detto Guastamondo, di Castel S. Pietro in qualità di tenente capitano, Ercole Pirazzoli, Marc’Antonio Bruni, Francesco Comelli detto il Bizarro, tutti quattro coetanei di età non che di patria, l’uno migliore dell’altro, capaci di ogni rischio e trassero seco molti altri che erano contumaci di giustizia, come ci lasciò scritto il vanti, li M.M. S.S. Fabbri ed altri memorialisti paesani di questi tempi. Il Papa mandò poi un Giubileo per tutta la X.tianità onde ogni luogo faceva divozioni. F. Antonio Fiegna agostiniano pubblico precettore in questa sua patria, facendosi processioni di penitenza, fece mostra della sua scolaresca unendola al suo ceto in processione. Morto Christoforo Riniero ultimo del suo colonello, doppo aver fatto testamento a rogito di Gaspare qd. Floriano Fiorentini not., coll’avere lasciato erede la unica sua filia Cornelia pupilla, sostituì ad essa Giovanni ed Antonio Rinieri fratelli li quali, fra pochi anni defunta la med., andarono in posseso della pingue eredità e la si divisero a rogito di Anibale qd. Domenico Fabbri not. nel 1600. Ottennero in quest’anno la cittadinanza di Bologna Giacomo Rondoni ed Innocenzo e Battista fratelli Fabbri come si riscontra nell’Arch. del Senato al Lib. C 3 e 4 N. 28 e 29, e così terminiamo l’anno senza avere ulteriori patrie notizie. L’anno poi 1595 di nostra redenzione fu giudicante Giulio Cesare Fanti notaio e Ercole Marsili Podestà estratto. Massaro fu il cap. Gio Battista Fabbri. Li 25 febraro il Senato assieme con partecipazione del Vicelegato Ottavio Bandini per sistemare li affari della Comunità di Castel S. Pietro, di Budrio e Medicina che per le vicende massime passate de banditi erano scomposti, deputò il Senatore Girolamo Boncompagni per visitatore assieme con Alessandro Volta, li quali fra non molto venero personalmente e rividdero tali conti e ritrovarono in debito le comunità di l. 200 le quali per una terza parte furono messe in comparto al nostro comune e per il resto a tutto il contado come rissulta dal Lib. de partit. T. XV carat. fol. 30 in questa forma: 1595. Aprile 28. Ad es Alienum disadventur annis preteritis bannitor. contract. per partitionem l. 200 qui ementarunt, pro tertia parte comunis Cas. S. P.ri et reliquis universo comitatu. Crescendo nell’Ungaria li progressi del Turco, il Papa che vedeva poco suffragare le armi delli uomini, ricorse alle spirituali, quindi ordinò un Giubileo universale e lo intimò a tutta la X.stianità per ottenere da Dio misericordia. La pubblica fonte della Fegatella abbisognando di rissarcimento, fu incaricato il depositario cap. Gio. Battista Fabbri a farle fare l’opportuno ristoro, come di fatti fece e vi spese poco, come si ha dal suo libro di depositeria presso li suoi eredi. Li frati pure di S. Bartolomeo volendo ultimare il lavoro del tassello di abete nella loro chiesa ricorsero novamente alla Comunità che le soministrò la lieve carità di l. 16. Non così fece colli frati di S. Francesco MM. OO. che stavano fabbricando il loro convento, li quali chieste suppliche, la Comunità le diede l. 116 quattrini. Alla metà di questo mese venne una dirottissima pioggia ed improvisa che gonfiando li vicini condotti al nostro Castello allagarono non solo le strade ma anco li vicini campi. Il riolo della Samachina che poi si imbocca nel rio della Scania posteriormente al convento di questi cappuccini gonfiossi in tal modo che, sopravanzando le sponde e, fatta chiusa nella Viola del Lupo presso il campo della Rocazza, passò nella vicina fossa del Castello che l’aveva riempita per la metà e sottopassando il Cassare avvanti la porta maggiore del Castello montò la fossa opposta, onde si spesero l. 100 per levare li interimenti. Contemporaneamente fu accomodato il Cassero e la porta maggiore del Castello ove si tenevano le guardie di giorno e notte a motivo de banditi che si erano novamente fatti più arditi e in maggior numero per cui si spesero lire novantatre (l. 93), secondo l’ordine avuto e segnato dal segretario Campanazzi. il Turco vieppiù avvanzandosi nell’Ungaria, l’Imperatore chiese reclute al Papa. In vista di ciò li bolognesi ordinarono novamente al Conte Rizzardo Pepoli , ad Alberto Albergati, Antonio Fantuzzi, Alessandro Orsi e Fra Silvio Pasi, cavaliere di Malta, il far gente, il che eseguirono prontamente e fecero nel contado, come riferiscono li Annali Bianchetti, 1050 uomini che andarono poi a Vienna nel venturo lulio e mastro di campo fecero Alessandro Legnani. Di Castel S. Pietro, dalle note che abbiamo, vi andarono questi: Alessandro Bindini, Jacomo Dalzano, Giulio e Marco Andrini, Luca Dal Forno Pietro Tedeschi, Lazaro Trochi, Gabriele dalla Figna, Zorzo de Zorzi, Pantaleone Brusca, Guido Zogoli, Poluce Laxi, Mariolo Santandrea, Bastiano dalla Serpa, Rasone , Ambrogio Fontana, Marsilio Bonetti, Lazaro Ronchi, Sabatino dalla Pietra et altri al N. di trenta.
Interita la fontana (Fegatella) per ogni caduta a motivo dell’escrescenza dell’aqua passata, onde aveva perduto il suo felice scolo nel Silaro, la Comunità vi fece fare la fossa scolatizia come si rileva dai mandati.
Li 24 giugno fu estratto Massaro Antonio da Corneta, perché esercitava l’officio di scrivano le convenne rinonciarlo, non potendo coprire l’uno e l’altro posto onde fece le sue veci il cap. Gio. Battista Fabbri, che ne intraprese il ministero il dì primo lulio, nel qual giorno investì la carica di Podestà Camillo di Pietro Boldi.
Nel rio vicino della Scania fu ritrovato un uomo forestiero impicato che si pensò un tal misfatto opera de banditi assassini.
In questo mese chiamato a Roma Ottavio Bandini Vicelegato, occupò il suo posto Marcello Aquaviva. In questo mese passando molti soldati del Gran Duca di Toscana dal nostro Castello, la Comunità, volendo contrassegnarle il piacere che aveva perchè andavano ad unirsi ai nostri contro il Turco, li fece abbeverare mediante le nostre guardie del paese. Spese la Comunità l. 51 nel vino che costava lire 5 la corba e per che veniva questa truppa condotta dal Generale Gianfrancesco Aldobrandini, al passare del med. fece per segno di allegrezza la Comunità stessa fare un copioso sbaro di mortaletti che fu molto gradito.
Continuandosi le orazioni e preghiere a Dio per la umiliazione delli nemici di S. Chiesa, Domenico Maria Fabbri priore della Compagnia del SS.mo fece fare ancor esso una solenne processione di penitenza col suo X.to andando le tre feste di precetto alla visita del SS.mo alle tre chiese cioè: parochia, S. Francesco e S. Bartolomeo nel giorno dell’Assunta, la domenica sucessiva ed il giorno di S. Bartolomeo. A questa funzione vi intervenero li uomini del comune, come abbiamo dal campioncello B della Compagnia e furono Gio. Battista Fabbri Massaro, Ricardo Ricardi, Francesco Fabbri, Matteo Comelli, Clemente Fiegna, Fioravante Tomba, Andrea Pirazzoli, Girolami Cuzzani ed Antonio Maria da Corneda
Essendosi fatto un riparto camerale per le milizia del contado, fu tassata la Comunità di Castel S. Pietro in l.87: 16 che furono pagate all’Imposta come abbiamo dal Lib. del Depositario Fabbri.
Marcello Aquaviva Vicelegato dopo pochi mesi, chiamato a Roma abbandonò questo suo officio nel quale vi sucesse Annibale Rucellai fiorentino che nel dì 31 agosto venne a Bologna a governarla e vi stette fino alla fine dell’anno. Papa Clemente VIII in quest’anno acrebbe l’Imposta di Bologna ed aumentò questo dazio la duodecima parte dippiù di quello pagavano le respettive comunità del contado. Questo aumento fu introdotto per servire a pagare porzione delli scudi sei milla che si pagano alla Camera apostolica per le galere.
Li 18 novembre morì il capitano Gio Battista Fabbri e fu sepolto con distinzione nella chiesa di S. Bartolomeo nell’avello di sua familia fabbricatosi l’anno 1591. Fin qui abbiamo le memorie de morti ed ucisi nell’archivio parochiale e fino all’anno 1600 non ne abbiamo poiché manca l’archivio di questo codice.
Nel dì primo genaro 1596 entrò Podestà Bartolomeo Dolceni ed il suo giusdicente fu Gregorio Mellini. Massaro fu Andrea Pirazzoli.
Nel dì 30 genaro il novo Vicelegato Antonio Gianotti premuroso della quiete di Castel S. Pietro, pressentendo che li fuorusciti e banditi danneggiavano coll’intelligenza di alcuni contumaci del Castello e Borgo, li poveri contadini e si facevano lecito farsi dare vitto da med. massime in quest’anno in cui pure la raccolta era stata miserabile, mandò quivi una cavalcata di birri con un notaio all’effetto di catturare e processare prontamente li scapestrati onde, impoveriti, li malandrini si ritirarono nella Romagna.
Infiamatosi a morte il Vicelegato, finì li suoi giorni in Bologna nel dì 9 marzo dispiaciuto da tutti e fu onorevolmente sepolto in S. Petronio, la cui pompa si può leggere nel Vizani Storia di Bologna e nel Masini.
Essendo stati graziati del perdono dal Re di Spagna li banditi che infestavano il napoletano alla condizione che prendessero l’armi contro il Turco, vennero a Castel S. Pietro nel dì 23 marzo N. 300 de medesimi, erano di facia nera e tinti dall’aria del sole simili alli zingari. Costoro erano stati fra le campagne di Roma e Napoli facendo ivi assasini, omicidi ed ogni sorta di male. Erano tutti a cavallo, armati di pistolle, archibuggietti corti, di sciable. La maggior parte di loro portavano in capo beretto di veluto nero crespato. Dappoi partiti per Bologna, ove stettero tre giorni, partirono poi per la guerra di Fiandra. Il Papa medesimamente li aveva graziati dal bando, purchè guerreggiassero col Turco, poiché la Chiesa trovavasi assai travagliata dal medesimo.
Si prosseguivano per tanto le orazioni in ogni loco avvanti li santuari più insigni. Troviamo nel picolo Campione della Compagnia del SS.mo SS.to del nostro Castello marcato colla lettera B che l’imagine del X.to di quella fu portato all’altar maggiore nella arcipretale nella venerazione del popolo e con esso si diede la benedizione al popolo l’ultimo giorno di venerdì di marzo, non indicandoci la data né numero mensile.
Nel dì 4 giugno, in virtù di licenza di mons. Luigi Baldoni Vicario generale di Bologna, il nostro arciprete sposò Madonna Lucia del qd. messer Simone da Mantova, parochia di S. Biagio, con messer Anselmo Carlili nobile fiamingo venuto dalla guerra col turco.
Giunto al termine del suo offico di Podestà Bartolomeo Dolcini fece apporre la seguente nella pubblica ressidenza incisa in macigno col suo stema gentilizio
Bartolomeus Dolcinus
Pretor in Primis
MDXCVI
Entrò in suo posto pel secondo semestre Scipione Graffi e suo notaio Giustiniano fu Girolamo Mondini e Massaro fu Ricardo Ricardi. E perché stante le penurie passate ne grani e vituaglie si introduceva pane da chiunque forestiero nella città, terre e castelli e nel resto del contado senza incorso di pena, così essendosi in questo anno fatta bona raccolta, scrive Francesco Galliani nella sua Cronaca, che fu perciò proibita la introduzione di pane nella città e contado dal mese di lulio ma questa abbondanza durò poco.
La Compagnia di S. Cattarina poi all’ogetto di accrescere a Dio e suoi santi il culto nella sua nuova chiesa ed oratorio procurò di insignire l’uno e l’altro di non poche segnalate Reliquie onde ricorse al P.re Maestro F. Cherubino Ghirardacio, confratello della med. compagnia. Questi condiscese alla brama, le regalò per ciò di molte fra le quali il Legno della S. Croce e della loro santa protettrice Cattarina vergine e martire coll’autentica del vescovo Paleotti in data delli 25 scaduto giugno.
Ciò stante, radunati li confratelli nel dì 7 lulio nel loro oratorio, decretarono poscia di formare una imborsazione di otto citelle native di Castel S. Pietro, di padre e madre nativi pure del med. Castello, delle più povere e miserabili, di onesta vita ed assegnare a due di esse estratte una dote di lire cinquanta per ciascuna pagabili all’atto del loro matrimonio.
Fecero per ciò tre Assunti del loro ceto e furono Giovanni dalla Tesea (donde riportò questa familia facinorosa il cognome de Tesei), Gaspare Gottardi e Nicola Fabbri con peso a medesimi che della loro scelta ne dovesse apparire da foglio da recondursi nella cassa delle imborsazione sottoscritta da essi, chiusa con chiave da stare presso li med. assunti da non aprirsi se non a congregazione legittima ed in presenza della med e, caso premorisse alla estrazione una delle citelle imborsate senza potere effettuare il matrimonio, si dovesse estrarne una altra per le l. 50 ed infine della imborsazione se ne dovessero rimpiazzare tante quante fossero premorte.
Tale imborsazione ed asegno fu decretato ancora che dovesse durare solo per anni quattro e che la estrazione si dovesse fare ogni anno il giorno di S. Cattarina, 25 novembre, dopo il vespro solenne cantato nella di lei chiesa in presenza del Popolo ivi adunato e doppo, seguita la processione colle reliquie di d. Santa fino alla parocchiale ove letto il sud. decreto e cantato il Veni Creator, si procedesse alla estrazione delle due donzelle. Fece pure la compagnia med. rissarcire il suo ospitale nel Borgo collo spendere l. 80 ed altrettante ne spese per li viandanti ospitati, tutto ciò si ripete dalli atti della med. compagnia.
Quantunque poi si fosse fatta un ottima raccolta di formento, lasciò scritto nel suo diario Francesco Galliani vivente in questo tempo, per cui trovasi una provisione nella Munizione ossia Monte annona di più di dodicimilla Corbe Grano, fu ciò non ostante proibito che si facesse pane di formento novo e fu proibito il poterne macinare, ponendo li birri alle porte della città ancora onde non fosse introdotta farina nova e pane per modo che il popolo si vedeva essere divenuto un altro Tantalo col cibo alla bocca e non poterlo mangiare.
Il grano si vendeva in città l. 22 la corba ma nelle castella di S. Giovanni in Persiceto, Crevalcore e Castel S. Pietro fu cresciuto il peso del pane del quale se ne davano oncie 4 al bolognino, fu messo ad oncie undici onde in ciascuno di questi castelli, al riferire dello stesso cronista, si faceva molte e grandi allegrezze.
Il giorno 20 d. fu pubblicato in Bologna un altro Giubileo per la guerra contro il Turco. In questo tempo si cominciò a vedere nel cielo una stella cometa che aveva la coda rivolta a levante e il capo a sera, appariva tra le due e le ore tre di notte.
Aveva la Compagnia di S. Cattarina decretato, come si scrisse , nel dì 7 lulio scorso la dotazione di due cittelle paesane povere le quali estratte dovessero portarsi processionalmente colla compagnia all’arcipretale nella funzione della reliquia di d. Santa che trovavasi presso la med. compagnia in sua chiesa. Essendo perciò nati alcuni dubbi per parte dell’arciprete sopra la realità della med. reliquia con le altre ricevute in dono dal Ghirardaccio, il priore per ciò della compagnia ricorse al donatore per la giustificazione e legittimazione delle reliquie, che però di proprio pugno testificò l’estrazione di quelle ed avvalorò l’attestato con la firma e bollo del vescovo Paleotti a confusione delli oppositori, conservasi questo documento in forma di Bolla col sigillo appeso nell’archivio di quella supressa compagnia scritto a mano dal Ghirardaccio sottto il giorno 25 corr. giugno. Contemporaneamente il med. Ghirardaccio di propria mano scrisse alla compagnia di cui era fratello in questi termini:
Nel soprascritto. Alli Devoti Confrati della Comp. di S. Cattarina di Cas S. P.ro.
internamente poi: Devoti e Spirituali Confrati di S. Catta. di C. S. Pietro, Dessideroso sempre fui di compiacere la carità vostra nelle mie azioni, benchè deboli, ma assai più mi sono sempre inclinato a servirvi nelle cose spirituali, poiché da quelle ne nasce ogni bene nostro, et è via di inalzarsi al Cielo. Avendomi dunque le Carità vostre richiesto per mezo del nostro molto magnif. sig. Morello

(99d) Morelli che volessi farvi dono di alcune reliquie per la Chiesa vostra e nostro Oratorio, volentieri mi sono piegato alle vostre S. Domande e se ho fatto al presente dono delle infrascritte reliquie cioè: Del Legno della Croce, di S. Catta. V. e M., di S. Barbara, di S. Natalio, di S. Emerinziana, di S. Ignazio, di S. Ercolano, di S. Christoforo, di S. Anselmo, di S. Antonio Abate, di S. Pancrazio, di S. M. Madalena, di S. Isidoro, di S. Lodovico Re, di S. Macario, di S. Gio. X.mo, di S. Cipriano, di S. Illario, di S. Cattarina da Siena, di S. Brigida, di S. Tecla, di S. Petronilla, di S. Elisabetta, di S. Anna, di S. Maria Egiziaca, di S. Digna, di S. Eufemia e di S. Susanna.
Le quali tutte reliquie ne ho avuta licenza dall’Ill.mo e R.mo Monsig. Alfonso Arcivescovo di Coriato e coadiutore dell’Ill.mo Card. Paleotti primo arcivescovo di Bologna, come appare una fede mia sottoscritta propria mano dal d. Arcivescovo in carta caprina col sigillo di sua Ill.ma e Re.ma Signoria e Cordon rosso e da me sottoscritta.
Le Carità vostre dunque le accettino in Donazione et Amore mio verso tutti li Confratelli e le conservino in loco onorato in d. Loro Oratorio e Chiesa a salute e prosperità di tutti voi e di tutto il popolo honorato di Castello S. Pietro, al quale sono della vita propria obbligatissimo e si degnino in loro Offici e S. Orazioni di pregare Iddio per me infelice peccatore. Iddio benedetto vi doni la sua Grazia e Benedizione.
Di Bologna 23 9.bre 1596. Di Vostre Signorie Affe.mo fratello F. Cherubino Ghirardaccio.
Da questo documento ancora riscontri ognuno essere prova irrefragabile tanto della realità di dette reliquie, quanto della persona del Ghirardaccio autore della Storia di Bologna, essere questi originario del nostro Castello, ma fatto figlio del convento di S. Giacomo di Bologna da cui ne trasse il nome di F. Cherubino Ghirard. da Bologna. Egli è certissimo che la sua ascendenza antica è sempre stata abitata nel nostro Castello fino all’epoca che il di lui padre ser Andrea notaio ne addomandò e ne ottenne dal Senato, come si scrisse, la cittadinanza di quella città.
In seguito delle premesse cose, li 25 novembre si fece la solenne processione di d. S. Reliquie come accennano li atti di quella compagnia. Spicossi questa dalla chiesa ed oratorio di d. Compagnia doppo li vespri solennemente cantati e con bon numero di lumi, portate quelle nella chiesa parocchiale, fu quindi intonato l’inno Veni Creator, quale terminato, si lesse la Determinazione della Compagnia fatta nello scaduto lulio sopra la Dotazione ed estrazione delle due citelle, si procedette indi all’effetuazione e furono estratte Cattarina di Ercole Modelli e Peregrina olim Pietro Gattia alle quali fu conferita la dote di l. 50 per ciascuna. Poscia, datasi la benedizione colla S. reliquia, fu intonato il Tedeum riportandosi la med nell’Oratorio e chiesa della Compagnia processionalmente. Al pagamento poi di tali doti furono deputati li magnif. Ercole Muzza e Morello Morelli confrati.
Nel dì primo genaro poi entrò Massaro Gaspare Gottardi estratto dalla nova imbursazione per il primo semestre 1597, Podestà fu Ottavio di Francesco Ercolani.
La Compagnia poi sotto l’invocazione del Nome di Gesù, eretta all’altare di S. Biagio in questa parochiale, come che per lo più faceva le sue funzioni unitamente colla Compagnia del SS.mo, li di cui confratelli erano quelli che nella massima parte componevano quella, vedendo di potere senza incomodo dell’altra effettuare le sue orazioni, fu pensato incorporarsi della prima nella seconda del SS.mo e farsi copulativamente tutti li confratelli le loro funzioni. Quindi perciò nel dì primo di questo mese, avendo preso il posesso di priore della compagnia del SS.mo SS.to Fioravante Tomba, in nome di Gio. Battista Musitelli propose al corporale della med., con ordine dell’arciprete D. Alfonso Cuzzani, di unire la compagnia del Bon Gesù a questa sua del SS.mo e così di due corpi formarono uno solo col doversi fare però comunemente la loro feste di consueto. Fatta la proposizione al corporale del SS.mo ne seguì favorevole la rissoluzione e così di due corporazioni ne fu fatta una sola, colla condizione però che, in memoria di ciò, si cantasse, la seconda domenica di ogni mese il doppo pranzo processionalmente dalla compagnia incorporante colla incorporata doppo il vespro, l’inno Jesu Dulcis Memoria, girando dall’Oratorio fino alla porta maggiore del Castello. Ciò si è eseguito puntualmente fino a tutto il tempo che ha governato questa chiesa l’arciprete dottore D. Giambattista Balduzzi, amantissimo dell’onore a Dio e suoi santi. Questo rito e devozione è rimasta abolita dall’opressore D. Bartolomeo Calistri nel 1776.
Li 5 febrato venne una grossa tempesta mista a tuoni e lampi che per la stagione corrente fece orrore alle genti. Continuandosi la guerra col Turco nell’Ungaria, volendo il Papa mandare novo socorso a X.stiani ordinò nello stato eclesiatico molti soldati a piedi ed a cavallo. Li Bolognesi perciò vi mandarono cinque compagnie condotte da Marco Fantuzzi e Tomaso Giambecari composte di 200 fanti per ciascuna, secondo li annali di Bologna, e Francesco Galliani nel suo diario soggiunge che vi andò ancora Giovanni Campeggi con altri 200 fanti. Nelle memorie MM. SS. che abbiamo di Dozza ritroviamo che in questa spedizione vi furono la massima parte villani reclutati dal Campeggi nel dozzese di lui feudo a cui si aggiunsero ancora molti di Castel S. Pietro. Di Dozza vi fu un Alessandro Dorelli, Lelio Lelli, Nanne Manaresi, come ufficiali bassi di Castel S. Pietro Prospero Paderna, Federico Zogoli e Natalio D’Alborro.
Facendosi il Capitolo provinciale delli Agostiniani nel prossimo maggio in questo convento di S. Bartolomeo di Castel S. Pietro, ritroviamo nell’archivio del Senato come il P. Gianbattista Fiorini agostiniano Lettore di S. Teologia publico in Bologna addomandò nel dì 21 aprile alla Reggenza la facoltà di potere stare assente dalla città per otto giorni a causa di d. capitolo provinciale, fu compiaciuto ed assistette alla elezione che seguì nella persona del P. M.ro _.
Intanto cominciarono ad arrivare al nostro Castello le truppe di Romagna che andavano alla guerra contro il Turco. Li 19 maggio, nel mentre che arrivavano quelle, partirono li nostri per Bologna unitamente a quelli di Dozza e li 21 giugno partirono per Ferrara .
Scipione Graffi Podestà dell’ultimo semestre, avendo finora differita l’apposizione della di lui memoria, fu ordinato alla Comunità che nell’officio vi fosse dipinta onde perciò si eseguì l’ordine provenuto dal Governo e fu la seguente sotto il di lui stema.
Scipio Graffius Pretor
MDXCVI
P. S.
Il Podestà poi del seguente semestre fu Giulio Riario il quale ancor esso fece segnare la sua memoria, trovasi mancante della notizia del semestre onde, se non avessimo l’elenco, si incorerebbero dubbi se egli fosse stato il primo, crediamo però che fosse l’esercente il secondo semestre mentre così canta:
Julis Riarius 1597
Come cantano li libri delli atti giudiciali della pretura locale in cui fu suo notaio Filetio Sarti.
Attesa poi la incorporazione della sudd. Compagnia del Bon Gesù in quella del SS.mo, essendo accresciuto il numero di questa seconda, fu proposto in una radunanza stabilire per l’avvenire la loro ressidenza nel camerone congiunto alla canonica, datole a comodo dall’arciprete come si scrisse nel 1563, coll’addomandarne al moderno paroco la concessione. Fu plaudito il pensiero, ed in seguito si ottenne la concessione legale ed infrattanto quell’ambiente fu riddotto ed abbellito ad uso della casa di Dio, ma in oggi è profanato né altro avvi di vestigio che lo scalone per cui ascendeva al med. e la nichia ove stava riposto il miracoloso X.to. L’altro oratorio poi ove officiava la compagnia del Bon Gesù e quella del SS.mo era a fianco dell’altare maggiore dell’arcipretale nel presbitero in Cornu Epistole e dirimpetto alla Capella della Compagnia de S. Cattarina che ora serve di sagrestia. Altro monumento di antichità non abbiamo di quest’oratorio se non la picola capellina dove è l’altare della B. V. del Bongesù fattovi adornare per divozione del marchese Pier Luigi Locatelli col trasporto della miracolosa imagine che esisteva sotto la finestra come a suo loco abbiamo scritto.
Nel dì primo lulio entrò Massaro Fioravante Tomba e Podestà fu per questo semestre l’anzidetto Giulio Riari. Nel giorno 22 di questo mese finì la vita in Roma il card. Gabriele Paleotti arcivescovo nostro di Bologna e sucesse in suo loco Alfonso Paleotti di cui era coadiutore. Intanto il Papa dichiarò legato di Bologna il card. Pietro Aldobrandini.
Adì primo agosto per la scarsa raccolta di grano amontò il prezzo della corba a scudi 4. Il Senato per soccorrere la povertà fece provvisione di grani e spese 10 milla scudi.
Accaduta la morte di Alfonso secondo d’Este duca di Ferrara, sapendo Clemente VIII che quel ducato era ricaduto alla S. Sede contro il Principe Cesare che pretendeva sucedere al defunto e che dippiù il medesimo Cesare si fece coronare per duca, il Papa tosto lo scomunicò di anatema, ribelle e maledetto ed incorso nel delitto di lesa maestà se fra 15 giorni non rendeva il ducato feudo di S. Chiesa, poi in meno di 20 giorni per sostenere il suo diritto il Papa armò 24 milla fanti e 4 milla cavalli, facendo sette colonelli in questa armata per farle guerra in caso di ostinazione e furono: 1- Mario Colonna Duca, 2- il Duca Caetano, 3- Antonio Orsino, 4- Lattanzio de Conti Duca di S. Polo, 5- Mario Farnese Duca, 6- Marchese Pireo Malvezzi, 7- Mario Rasponi, ed oltre questi soggetti fece altri officiali per conto di guerra, mons. Malvasia fu dichiarato comissario e provveditore del campo. Li 12 novembre si cominciò a battere cassa per arrolare altre genti. Li 25 novembre inerendo la Compagnia di S. Cattarina al decreto delle Dotazioni, doppo aver fatto la solita sua processione, ne estrasse dalla borsa Diamante di Stefano Rambaldi e Diamante di Roco Fornasari. Il Papa a cui stava a cuore l’impresa di Ferrara pensò venire egli in persona in questi suoi stati per animare vieppiù li combattenti quindi, scrive il Tondizzi nella sua storia di Faenza, che dopo avere pernotato in quella città dal dì 26 novembre se ne andò ad Imola di dove il dì primo decembre passò a Castel S. Pietro e di qui rettamente andossi a Bologna. Li 22 decembre fu pubblicata nelli stati della Chiesa la scomunica contro il Duca di Ferrara e li 30 dello stesso mese fu affissa e pubblicata in Ferrara mediante D. Gioseffo Vivoli ravennate portuense che ne fece l’affissione, come scrive il Pasolini ne’ suoi Lustri ravennati, avendola colò portata in una canna sotto abito di contadino, fingendo di condurre in quella città quantità di porci. Ciò non ostante, essendo pertinace il Duca, cominciarono li soldati papeschi della Romagna ad arrivare a Castel S. Pietro ed indi passare a Bologna dove doveva farsi la massa dell’esercito e furono dispensati cinque milla per ogni Castello di confina, andandosene settemilla a Bologna, come lasciò scritto il Galliani. Al nostro Castello vi stette Antonio Orsino ed albergò in casa Ramazzotti come abbiamo dalle carte comunitative del paese. Stante la penuria di viveri la nostra comunità per favorire li paesani poveri spese in tanta fava colta l. 91: 18 che si vendeva 30 paoli la corba. La Compagnia pure di S. Cattarina fece lo stesso alli viandanti che si fermavano al suo Ospitale per li quali ancor essa in tanta fava colta spese l. 92: 12 come si riscontra nel libro del suo depositario. Per il seguente semestre primo 1598 fu estratto Podestà il cap. Filippo Felicini e Massaro Girolamo Cuzzani. Adì 5 genaro essendo priore della Compagnia della Morte di Bologna Gaspare Chiari, fu in Castel S. Pietro appicato Angiolello di nazione lichese in giorno di domenica per assassinamenti proditori comessi in questi nostri contorni tanto nelle case che per le strade e per le altre sue enormità infinite. Per questa contingenza venne la Scuola di Confortaria, capellano, sagristano, ed invitatore nel paese e si fecero le solite orazioni. Seguì questo fatto d’ordine del card. Legato Aldobrandini per imporre timore al principio di sua legazione ai scelerati che infestavano queste parti non che a scapestrati del paese fuorusciti. Fu egli appiccato alle finestre della ressidenza pubblica che guardava nella pubblica piazza del Castello, ove di presente sono due ringhiere nella sala della Municipalità nazionale, perché in quei tempi non si usavano ancora le forche. Li 17 genaro Girolamo Lelli, detto ancor esso del Bravo a motivo della congiunzione di sangue con il famoso Marc’Antonio Bravo, fece il suo testamento a rogito di Sebastiano Ricardi e lasciò medesimamente ancor esso, erede la Compagnia di S. Cattarina di tutto il suo stato onde, nata lite fra la compagnia erede ed Agostino Lelli, fu questa composta a rogito del sud. Ricardi come al Protocollo N fol. 35. Il punto che si contese fu sopra la validità del testamento e dappoi per la divisione. Essendo nato un filio al Conte Pompeo Ramazzotti dalla di lui sposa Flaminia Fabbri, fu portato al S. Fonte con molta pompa e per trattarsi di rinovazione dell’aqua battesimale fu offerto un capretto con una torcia all’arciprete il quale, oltre il solito, usò solennemente de riti di S. Chiesa il giorno 22 marzo. Nel seguente aprile seguì il matrimonio fra Gio. Battista Balduzzi e Cornelia Riccardi a mediazione di Christoforo Stuvoli e Marino Marini e di Carlo Muzza di Castel S. Pietro, per il qual matrimonio furono sopite tante amarezze che vertivano fra le due familie imparentate, le quali avevano più volte corso il pericolo di omicidi. Il Duca Cesare d’Este avendo sentita su confini l’armata pontificia e guarnite le castella di maggior importanza, si procurò l’accordo col Papa ed in seguito, rinonciato il ferrarese al med. e composte le differenze mediante Capitolazioni, furono richiamate le truppe fra non molto. Sopragiunto infrattanto il secondo semestre entrò Massaro Lorenzo Dal Prato e Podestà estratto Vianese Albergati nobile, come canta il Lib. acto. jud. Perché era mancato il Consiglio di alquanti individui furono perciò ammessi nel medesimo Giovanni Martelli, N. Ferraresi, Lorenzo Sgargi, Nicola Topi e Sante Santoni. La raccolta che si credeva ubertosa fu piuttosto scarsa che abbondante onde il grano valse l. 14 la corba. Stante l’accordo fatto fra il Papa ed il Duca di Ferrara il card. Pietro Aldobrandini, nostro Legato, andò a nome della Chiesa a prendere possesso di quella città e stato colla scorta di 18 milla fanti e 10 milla cavalli, con quantità di prelati e molti nobili bolognesi, ed il simile volle fare il Papa in settembre avendo seco 13 cardinali e molti prelati, conforme riferisce Gian Giacomo Brochi nella sua Cron. delli Uomini illustri di Bologna, ove stette fino al novembre. Alli 12 di questo mese, conforme riferisce il Masina nella sua Pelustrata parte prima, giorni, mesi, fol. 304, morì in Bologna F. Cherubino Ghirardacci in età d’anni 74, fu dell’ordine Eremitano di S. Agostino, nel quale fu maestro di S. Teologia e scrisse la Storia di Bologna diffusamente più di ogni altro scrittore della quale ne sono alle stampe solo due tomi. Fu uomo erudito, scientifico ed eccellente in fare lettere majuscule dorate e miniate che a suoi giorni non aveva l’eguale in ogni sorta di carta e portava li ochiali continuamente, fu di bel personale e di una idea piacevole, come abbiamo veduto ne suoi ritratti stampati. Fu amicissimo di Alamanno Bianchetti nobile bolognese, che contemporaneamente scrisse li Annali di Bologna, li quali si conservano in casa Pepoli di dove, mercè la confidenza che noi abbiamo avuto col Marchese Lucrezio, abbiamo anco ricavato infinite le notizie del nostro Castello. Non comprendiamo poi come il citato Galassi apponga nella sua Cronaca essere accaduta la morte del Ghirardaccio nel 1599 sotto il giorno decimo di genaro onde questo articolo lo lasciamo descrivere da chi aurà più fedeli riscontri, mentre dal necrologio del convento di S. Giacomo di Bologna, che si è smarito nella rivoluzione del Governo italiano, non abbiamo potuto farne sicura la scoperta. Li 25 novembre seguì secondo il metodo passato la estrazione delle due cittelle dotate dalla Compagnia di S. Cattarina e furono Cattarina di Antonio Rinieri e Barbara di Alessandro Bartolotti. Ritornato in Bologna il Papa da Ferara e riposatosi alquanti giorni all’entrare di decembre partì da quella per Roma tenendo la via della Romagna sul far del giorno, doppo celebrata la S. Messa. Giunse a Castel S. Pietro su le ore 16 italiane, accompagnato dalla sua corte, molti nobili romani, prelati e bolognesi e quivi si congedò dalli ultimi colla apostolica benedizione, che loro diede in mezo del nostro Borgo ove era immenso popolo. Andava egli in letica e lentamente con palafrenieri a canto e soldatesca di contorno, senza contare l’avvanguardia e retroguardia. La giornata fu limpida e bella a motivo del gran freddo il quale nell’avvanzarsi della stagione accrebbe al segno che molti arbori perirono e si gelò per fino il vino. Nel primo genaro poi del 1599 entrò Massaro Matteo Comelli e Podestà fu Vincenzo Albergati. Secondo l’elenco delli estratti ne il Lib. Actor. porta Galeazzo Galeotti (la ragione è nelle tenebre). Nel giorno XXII di questo mese morì Alamanni Bianchetti nobile bolognese che oltre avere scritto una voluminosa Cronaca della città, scrisse fino a questo tempo l’annali della med. diffusamente. Perché li villani si approffittavano della gelida stagione per far danaro all’accorciare le fascine da foco e diminuirle anco nella grossezza, il card. Legato colli tribuni ordinarono per Bando nel dì 5 febraro che li villani del contado dovessero in avvenire fare li fassi di accavezzatura di lunghezza di piedi 5 e grossezza uno e mezzo in circolo ben stretti, come leggesi al Lib. rosso in Magistrato fol. 424. Ridotto ad uso sacro il camerone su accennato per comodo delle due compagnie del Bongesù e del SS.mo, che erano divenute una sola , furono in quest’anno solennizate con maggior pompa le Rogazioni di M. S. di Poggio che caddero li 11, 12, e 13 maggio. Ed in quest’epoca ritroviamo la prima funzione musicale in parochia con canto figurato ad onore de S. Imagine, che per l’avvanti non si era costumato. Orazio Spinola genovese doppo il passaggio del Papa, lasciato quivi per Vicelegato del card. Pietro Aldobrandini, temendo di un’annata pure carestiosa come la passata e che per tale motivo seguivano infiniti ladronegi in queste parti, li quali comessi dalli affamati e da malviventi si riffugiavano nella vicina Romagna, mandò quivi per guardia alquanti Corsi li quali patugliavano di giorno e notte la campagna. Posero il loro quartiere nel Borgo all’Ospedale de viandanti ed era il loro capo nomato Lorenzo Miselli. Estratto Massaro Domenico Simbeni investì la carica il dì primo lulio. Chi fosse il Podestà del secondo semestre l’elenco lo omette ( il Lib. Actor. porta Esposito Malvezzi nobile). Ritroviamo bensì nel Lib. de matrimoni di questa arcipretale nel mese di agosto al fol. N. 100 che li ufficiali abitanti in Castel S. Pietro erano l’E.mo Giovanni Bolognini e Girolamo Paladini cittadini bolognesi, ma non indica il preciso loro ufficio che esercitassero. Sapiamo bene da altre carte che il notaio giusdicente locale fu Sebastiano Ricardi. Essendo stata intimata all’arciprete Cuzzani la visita pastorale dell’arcivescovo fino dal principio di questo semestre ne venne in seguito il dì 23 corrente in di lui vece il canonico collegiato di S. M. Maggiore di Bologna D. Fabbio Fabbri per Visitatore generale già deputato per la diocesi. Fra li altri decreti ordinò che dalla Comunità come conpadrona di questa arcipretale si facesse al Fonte battesimale la piscina di cui ne era mancante. Ordinò pure che si rinovassero le imagini sopra le porte delle chiese a cui erano dedicate. Da questa visita si rileva quante fossero le chiese sogette al plebanato di Castel S. Pietro e perciò ne trasciviamo quivi l’elenco trascritto dalla med. visita: Sub ista Plebe sunt inc.te Eclesia Parochiales vide licet Parochialis S. Georgi de Varignana Monacorum Camadolensium, Paroch. S. Marie de Varignana Rev. D. Gabriel Marchetus. Parochialis S. Laureti de Varignana Rector D. Baltasar de Comastris. Parochialis S. Marie de Capella R. D. Simon de Lorencinis. Parochialis s. Micaelis de Casalechio Comitum Rector D. Thomas Polas. Parochialis S. Mametis de Liano Rector D. Jo. Batta. Zacconius. Parochialis S. Blasi de Podio R.D. joseph Tonellus. Eclesia sine cura et Monasteria: Monasterium S. Bartholomei Frat. Heremitanor. Monasterium S. Francisci de Observantia. Eclesia S. Nicolai de Strada Rect D. Alexan. Ferarius. Eclesia s. Antoni de Gajana de Lignanis. Eclesia S. Jo. Batta. de Boschis, Nicolaus Merigus rector. Eclesia S. Petri unita Parochiali de Casalechio Comitum. Eclesia S. Maria de Farneto R. D. Nicolaus Merigus. Eclesia S. Jacobi de Fasano Illustrissimi et R.mi cardinalis Adobrandini. Eclesia S. Silvesti sotto la stanga rector illis et ad mod. R. D. Albos de Sancto Petro. Eclesia S. Jo Batta della Masone. Eclesia S. Nicolai de Liano. Dopo tale descrizione passa alla enumerazione delli Ospitali come siegue. Hospitalia: Hospitale S. Cattarine Castri S. Petri. Hospitale S. Georgi de Stella, Augustinus Sabbatinus Administratore. Hospitale S. Bartolomei de Varignana, Seminari Bononie. Hospitale Liani. Siegue a descrivere li Oratori. Oratoria: Oratorium S. Cattarine de Castro S. Petri. Oratorium Societatis Corpori X.ti dicti castri. Oratorium Annuntionis B. V. M. Oratorium S. Marie in Via Romana de Lignani. Oratorium de Malvaticeis. Oratorium de Christianis. Oratorium S. Marie de Podio. Oltre questi Oratori publici vi erano ancora molte Maestà nelle vie pubbliche, massime ne crociali delle strade, le quali non annovera la moltitudine ma solo ordina il ristoro. Precegit postea Majestates in hac cura positas restaurari a Patronis intus dealbari rubras fieri et claudi sub pena scuror 25. Dopo questa descrizione passò alla visita delli oratori interni del Castello e così prescrisse. Postmodam visitavit oratorium Societatis SS.mi Corporis X.ti quod habet altare in quo celebratur Missa et cum lapide sacrato egeat (..) mandavit. adsunt sedilia in d. Or. et ibi diebus festivis recitatur offivium B. V. M. juxta ordinationem ill.mi D. Archiep. et utuntur Capis albis et suat XXXX. Rillevasi quindi che la Compagnia del SS.mo aveva la sua ressidenza e formava corporazione col distintivo delle Cappe bianche ed officiava nel novo oratorio ove aveva tutto il bisognevole. Oltre questa compagnia cappata ne esisteva l’altra non cappata detta vulgarmente: Compagnia larga, che non aveva né Statuti né distintivo né Numerazione, aveva però il peso di mantenere alcune supeletili e robbe per servigio della chiesa come lo stesso visitatore riferisce in questi termini: adest eat Societas ut dicitur: Larga, hominum et mulierum habens baldachinum, palcum, vexiluum et alia omnia prout in Ordinatione ill.mi Archiep. mandavit nullos certos reditua habet sed sunt collecte que postea in pios usus comentuntur. Doppo ciò passò nello stesso giorno alla chiesa di S. Cattarina et in presenza del priore ed officiali annotò quanto alla med. spettava ed era di sua incombenza e così per non renderci prolissi trascriviamo al lettore la visita stessa: His peractis eadem Die prefectus Oratorium sive Eclesiam S. Cattarine et in presentia Priorie et nonullor. Hominum d. Societatis vidit altare, postea vidit oratorium ubi diebus festivis confratres recitant officium B. M. V. et habent Statuta ab Ordinario subscripti sunt in N. _
. Reditus ipsius Societatis est annualim Livarum monete 500 que impedunt in Hospitalitate, in maritandis puellis d. Loci, in distribuendis elemosinis pauperibus, temporibus solemnitatum at in subveniandis continue infermos et computa quotannis reduntur R. D. Alphonso Vicario foraneo jussu ill.mi D. Archiepiscopi.
Sucessive visitavit Hospitale S. Catharine, vidit et tetigit undecim Cubilia existens in quatturo mansionibus videlicet. Mansio una cum duobus cubilibus pero R. R. Sacerdotibus, altera mansio cum tribus lectis pro peregrinos. tertia con duobus stratis lectis pro mulieribus et quarta mansio pro viatoribus cum quattuor lectis. Videt Rotam ibi existant pro pueris expositis, qui a Custode eiusdem Hospitalis poeratntur Bononiam ad Hospitale expositorum, adest Caminum ad quod pauperes calesiunt se levantur pedes.
Doppo questa descrizione e visita passò all’oratorio o sia chiesa della SS. Annunziata nella quale canoniza la spettanza della medesima alla popolazione di questo Borgo come siegue: Pretera visitat Hospitale S. Cattharine accessit al Oratorium Annuntiationis B. V. M. Hominum Burgi Castri S. Petri.
Finalmente descrive l’esistenza in questo loco delli conventi de regolari e poi chiude la visita:
Estat in d. Castro S. Petri Monasterium S. Bartolomei F. F. Hermitanor. qui celebrant (…)die, confessiones audiunt et populo concionem habent. Adest alterum monasterium FF. S. Francisci de Observantia qui scilicet singulis diebus sacra agunt, confessiones audiunt et conciones habent.
Da quest’atto rilevasi stabilita la famiglia e convento de Francescani che dal 1579 a questa parte, non abbiamo potuta precisare l’epoca del loro stabilimento di familia in Regola. Aggiunge perfino lo stesso visitatore la esistenza della chiesa di S. Pietro in questo Borgo spettante alla Abbazia di S. Stefano di Bologna: Reperitur etiam sub ista plebe eclesia S. Petri unita Abbatia S. Stephani de Bononie est ill.mi et R.mi Card. Montalti.
Annovera il med. Visitatore il numero delle anime ascendente a 1613, ciò fatto passò a Poggio alla visita della Madonna di cui ne era il custode D. Carlo Landini e quindi, per non aveva altro di memoria degno in questa visita, passeremo a narrare come essendo venuto il tempo della vendemia li villani, nel careggiare che facevano le uve a Bologna, non v’era notte, né giorno che non comettessero insolenze e risse colli altri viaggiatori ed in conseguenza ne accadevano baruffe ed assieme anco uccisioni ne vetturali, per la qual cosa andò ricorso al Governo e quindi fu rinovato il bando su ciò emanato il 10 settembre 1591 essendo Confaloniere Alessandro Volta e se il lettore de nostri scritti brama averne sotto l’ochio la provisione lo rimettiamo al T. 2 delli Statuti di Bologna colla annotazione dell’avvocato Sachi.
La Compagnia di S. Cattarina inerendo alle determinazioni fatte sopra la dotazione de due cittelle paesane, il giorno 15 novembre, doppo la solita sua funzione, fece la estrazione di quelle e sortirono Lucia di Girolamo Fornaciari e Tomasina di Simone Cattani. Oltre questa dotazione dispensò a poveri in elemosine l. 63: 17 q.
Nel dì 27 decembre fu estratto Massaro Gio. Battista Musitelli che nel primo giorno di genaro 1600 investì la carica, Podestà fu Rinaldo Dulioli. Fu nello stesso giorno, giusto il costume di S. Chiesa, aperto l’erario delle beneficenze spirituali e pubblicato il S. Giubileo, ogni catolico ed ogni ceto christiano ne contestò al datore di ogni bene colla divozione il giubilo.
In questa arcipretale si pubblicarono le indulgenze che si dispensavano a visitatori de luoghi Santi in Roma. Li ministri del Castello e le corporazioni del paese cioè Agostiniani, Compagnia del SS.mo e di S. Cattarina ne diedero pubbliche rimostranze colle elemosine alla povertà del paese il che fece eziandio la pubblica rappresentanza colla dispensa di libre cento farina in tanto biscotto alla povertà locale.
Li 23 di questo mese Rinaldo Dolioli entrato Podestà di Castel S. Pietro venne in loco a farsi riconoscere per tale col suo notaio Gio. Andrea Balotta a cui concesse la sua vicegerenza.
Li 17 febraro Barbara Bartolotti con Cattarina di Antonio Rinieri estratte in concorso di Lucia di Alessandro Tesei, di Francesca di Giovanni Calanchi ed altre citelle li 25 novembre 1598 dalla compagnia di S. Cattarina, giusto il decreto del corporale fatto li 7 lulio 1596, avendo quelle riportata la sua dote di l. 50, espose la sua rinoncia per rogito di ser Anibale Fabbri. In questo instrumento si enunzia come tale dote sono effetti della compagnia ed Ospitale il cui governo spetta ab antiquo alla med. Le citelle dovevano essere povere ma native di Castel S. Pietro ed onesta vita. Nell’aprile seguente Francesco Gavoni a cui era stata demolita e guastata la sua casa nel Borgo a motivo di avere strangolato la moglie come si scrisse in addietro, cominciò a rifabbricarla attesa la pace seguita colli Fabbri.
Nella metà del successivo maggio si facero le Rogazioni di M. V. di Poggio nella quale contingenza, per la grande affluenza di popolo concorso alla benedizione, restarono calpestati due fanciulli della familia Camaggi di Fiagnano onde ne seguirono in seguito nimicizie fra questa familia e quella de Verondi di Castel S. Pietro, cosichè, sfidate entrambe queste familie alle archibugiate, si portarono li capi della prima Antonio e Nanino a Sassolione nel dì 17 dello stesso mese e della seconda familia Balino e Pippo dalla Barnarda, armati collasù ove, fatto bona pezza baruffa, restò colpito di pistoletata Balino, onde infrapostisi li Michelini e li Poli della Morea cessò il rumore e fra non molto si pacificarono. Rissulta ciò da pub. instr. di pace rogato dal not. Christoforo Ravaglia nel di 29 dello stesso mese.
Essendo priore della Compagnia del SS.mo SS.to Lorenzo Dalprato e riconoscendo l’angustia del locale ove si facevano lo offici della compagnia, propose nel giorno 11 giugno al corporale di fare un oratorio novo per li confratelli che officiavano. Fu per ciò determinato di costruire questo novo edificio vicino alla canonica della parochiale e nell’angolo della casa congiunta e confinante la via maggiore del Castello. Furono in seguito eletti otto confratelli per Assunti di questa impresa cioè: Fioravante Tomba, Valerio Fabbri, Ercole Comelli, Rondone Rondoni, Gio. Battista Musitelli, Gaspare Antonelli, Gio. Battista Bagni e Francesco Simbeni e così seguì comprandosi il fondo dall’arciprete sopra una parte della canonica, ove il moderno arciprete D. Bartolomeo Calistri vi ha formato un fenile e sottoposta una stalla da cavalli fronteggiante detta strada maggiore, essendo l’ambiente in oggi profanato ritiene però il nome di Oratorio vecchio.
Li 24 giugno fu estratto Massaro Fioravente Tomba a cui fu dato il possesso il giorno primo lulio. Il Conte Romeo del Conte Romeo Pepoli, Podestà estratto per il secondo semestre, venne in loco a farsi riconoscere per tale nel dì 9 d.. Non mancò egli di rinovare la subordinazione a questa giusdicenza delle seguenti comunità colle respettive loro corisposte di salario al suo vicario mediante il seguente cattalogo che conservasi nell’archivio comunitativo cioè:
Elenco delle Comunità soggette al Podestà e Vicario di Castel S. Pietro coll’emolumento respettivo di Regaglia donato al med. ogni anno.
Casalechio de Conti di sopra per sigurtà a Castel S. Pietro ….l. 8
Casalechio di sotto per sigurtà a Castel S. Pietro ….l. 8
Castel S. Pietro per pasto al Podestà ….. l. 14
Liano di Sopra per sigurtà a Castel S. Pietro …. l. 8
d. per il pasto al Vicario …. l. 1: 4
Monte Armato per sigurtà a Castel S. Pietro …. l. 8
Monte Caldiraro per sigurtà a Castel S. Pietro …. l. 8
Ozano di Sopra per il pasto al Vicario …. l. 2
d. per sigurtà a Castel S. Pietro …. l. 12
Ozano di Sotto per sigurtà a Castel S. Pietro …. l. 9
Pizzano per sigurtà a Castel S. Pietro …. l. 8
Settefonti per sigurtà a Castel S. Pietro …. l. 12
S. Christoforo per il pasto al Vicario di Castel S. Pietro …. l. 1: 5
Vignale per sigurtà a Castel S. Pietro …. l. 8
Varignana di Sopra per sigurtà a Castel S. Pietro …. l. 16
d. per il pasto al Vicario suddetto …. l. 4
Varignana di sotto per sigurtà a Castel S. Pietro …. l. 8
d. per il pasto al Vicario suddetto …. l. 1: 4
Frassineto per sigurtà a Castel S. Pietro …. l. 9
Ziagnano per sigurtà a Castel S. Pietro …. l. 8

Adì 19 agosto Gio. Battista Villa di Castel S. Pietro il seniore fu fatto cittadino di Bologna in forma comune.
Doppo avere la compagnia del SS.mo aquistato dall’arciprete il locale per il novo Oratorio, trovandosi scarsa di danaro per fabricarlo, ricorse la med. nel dì 2 novembre alla pubblica rappresentanza per averne ajuto. La medesima le decretò l. 150 q.ni da pagarsele in quattro porzioni e sotto il governo di quattro massari avvenire, come rissulta dalli atti comunitativi.
Contemporaneamente la familia Cuzzani retta da Antonio avendo un guasto di casamento presso a suoi beni abbandonato alla discrezione del popolo nella via di Saragozza di sopra entro il Castello, lo chiese alla Comunità con facoltà ancora di attorniarlo di muro. Aderì la Comunità alla petizione anco in vista della permuta di D. Alfonso Cuzzani, moderno arciprete in questo tempo, tanto che questo guasto era presso l’arcipretale in cui si frastornavano li divini offici. Era questo locale ove ora è l’orto del Ritiro, da quanto di rileva da tale rogito di Annibale Fabbri.
Nelle MM. SS. della familia di Valerio Fabbri nel più volte menzionato libro Gallicella presso il dott. Bartolucci erede, trovasi che in quest’anno D. Francesco Fabbri di tal casato fu fatto curato di S. Maria Labarum Caeli di Bologna detta vulgarmente della …aroncella. Quali siano stati li fatti di questo sogetto degni di menzione nel nostro racconto non ce lo segna il manoscritto, altro non riscontriamo che in questa contingenza si fecero in codesta sua patria universali allegrezze e che la familia, oltre la dispensa di pane e vino alla povertade, vestirono quattro fanciulli di sesso diverso con giubba e vestito di lana bianca fino a piedi e che, nel ringraziamento che fecesi a Dio per tale elezione, andarono con lume acceso all’adorazione del SS.mo nella Chiesa de Francescani, che ancor essi pure furono sovenuti di pane e vino.
Nel dì XVI decembre fu estratto per Podestà di Castel S. Pietro Pompeo Renzi e nel giorno 22 decembre fu estratto Massaro per il veniente primo semestre Giovanni Annessi.

Raccolto di Memorie Istoriche
di
Castel S. Pietro
Nella Giurisdizione di Bologna
Libro V

Centuria quinta
o sia libro V ed ultimo
Dall’anno 1601 all’anno 1701

Argomento

Si narrano le origini dell’oratorio di S. Maria della Neve detto della Scania. L’origine del Beneficio lajcale di S. M. di Poggio, chiesa fabbricata dalla comunità di Castel S. Pietro. Nascita e morte di alcune persone in aspetto di santità. La munizione di vettivaglia stabilita in Castel S. Pietro per la penuria di viveri nel contado, con quali providenze. La pestilenza ne corpi umani. La distruzione totale della Roca grande, sua dimensione, data in emfiteusi. Truppe papaline per la guerra di Mantova fanno campo a Castel S. Pietro. Muore il Duca di Gravina in Castel S. Pietro, ivi sepolto poi disumato e trasportato a Roma. Li frati MM. OO. terminano il loro convento. Si incomincia quello de Cappuccini fuori del Castello. Nascono dissapori fra le corporazioni cappate. Li Ramazzotti nobili restano estinti. Raccontasi le origini di portare il Crocefisso non velato in processione la Domenica di Passione. Si destinano le Scuole Pie in Castel S. Pietro poi sospese. Si descrive la serie ed ubicazione di molte Cellette per il Comune. La fondazione della Capella del Rosario. Odoardo Farnese Duca di Parma viene con tre milla cavalli a Castel S. Pietro, vi si ferma ed il perché. Antonio Barbarini nepote del Papa viene festeggiato in Castel S. Pietro e da chi nasce un tumulto popolare contro li gesuiti per le sovvenzioni sospese. La Comunità fa voto a S. Bernardino da Siena per la pestilenza, sua vita ed erezione di un altare nella chiesa di S. Francesco. Si ordina il turno alle tre relligioni regolari del paese per la predicazione dell’Avvento e della quaresima. Si instituisce una Congregazione di Preti nella chiesa di S. Pietro nel Borgo, si trasporta nella chiesa dell’Annunziata. Si forma un Campione delle strade del Comune. Si raccontano diverse baruffe. Rumore di zingari accaduto poi quietato. Principi di Parma in Castel S. Pietro suo perché. Si instituisce una Accademia Litteraria col titolo di Immaturi. Capitoli provinciali nel Convento delli Agostiniani d. di S. Bartolomeo. Suffragio del Purgatorio eretto nella loro chiesa. Si reclutano volontari contro il Turco. Fuorusciti di diverse patrie infestano il territorio di Castel S. Pietro. Sono dissipati dai paesani. Si raccontano vari matrimoni nobili con famiglie del paese. Principi Pichi della Mirandola fuggiaschi dal loro ducato si domiciliano in Castel S. Pietro. Soldati di Castel S. Pietro vanno in guarnigione a Bologna per sede vacante. Rumore da essi eccitato nella città per un loro paesano carcerato e lo liberano impunemente. Fazioni ed uccisioni fra le familie Fabbri, Pagani e Villa, loro esito. Si narra il suicidio dell’arciprete Scarlatini chiarissimo per le sue opere, la cagione ed altre memorabili cose.

Raccolto di Memorie Istoriche
di
Castel S. Pietro
Nella giurisdizione di Bologna

Compiuto l’anno benedetto dal Giubileo senza avere più ritrovata cosa degna di particolare memoria entrò nel primo di genaro 1601 Massaro Giovanni Annessi per il primo semestre e Podestà fu Pompeo Banzi che deputò per suo locotenente Gio. Andrea Ballotta notaio.
Li 14 febbraro Lorenzo e Bartolomeo Ricardi di Castel S. Pietro chiesero di ottenere dal Senato di Bologna la cittadinanza. L’arciprete D. Alfonso Cuzzani, filio di Antonio Cuzzani nativo di questo loco, amante del culto divino non meno che de suoi parochiani, procurò che Antonio filio del cap. Gio. Battista Fabbri dasse l’ultima mano alla chiesa o sia oratorio della B. V. ad Nives, detta volgarmente la Madonina della Scania per essere edificata sul labbro del rio Scania. Egli di fatto operò tosto. L’oggetto dell’arciprete fu che si fermassero quivi li cadaveri de villani morti, che di quel quartiere si portavano e levavano dalla casa del defunto ed immediatamente senza croce venivano trasferiti al Castello. In appresso pertanto cominciossi quivi sotto il novo portico a deporsi di dove poi un sacerdote colla croce inalzata li levavano e trasportavano come a giorni nostri alla chiesa arcipretale, il che prima non era in uso. Questo oratorio e questo rito lo troviamo per la prima volta segnato in questo anno nel Lib. Mortuor. della arcipretale di Castel S. Pietro.
Nelle memorie della familia del capitano Valerio Fabbri come pure nelle memorie manoscritte del P. Gian Lorenzo Vanti, abbiamo come in quest’anno nella metà di febraro venne una neve altissima la quale fece che molti luoghi della collina nostra alcune casette basse restassero sepolte a motivo della congerie della neve che il vento impetuoso le aveva chiuse le porte delle abitazioni, fra queste annovera la casa rurale detta della Paniga nel comune nostro sotto il Castelletto d’onde que poveri villani non poterono sortire se non alterata la porta, così pure accadde alla casa del Dozzo. La via di Viara restò così ripiena che convenne alle genti superiori che venivano al Castello formarsi una strada sull’eminenza aderente al campo. Durò in terra molti giorni e le persone erano molto affacendate per sortire nella campagna dalle loro abitazioni. Finalmente sciolta vennero nei condotti orribili piene, morirono per ciò anco creature alla montagna.
Trovavasi nella abitazione ampia del Castelletto fabbricata ad uso di villeggiatura in questo nostro comune una bella libreria di codici legali, ivi stabiliti dal cardinale Giovanni Poggi onde i di lui discendenti potessero divertirsi e studiare le leggi con quiete, la quale fino al 1765 si è sempre conservata, ma poi dissipata dai figli del cap. Antonio Mansani di Dozza, affituario ed agente de Marchesi Poggi Dal Gallo di Pistoja, sucessori mediati nella eredità del d. cardinale per via di fedecomesso.
Per la qual cosa, dovendosi questa pure purgare per le vicende epidemiche passate, fu posta all’aria fuori sotto il porticato interno della casa per profumarla. In tale contingenza capitò ivi un romagnolo di Brisighella detto Boccafrusto quale, venendo inseguito come bandito capitale per esser fuggito dal Lazzaretto faentino, si appiattò fra quei volumi ajutato dal custode del palazzo onde per ciò, non essendosi ritrovato dalli inseguitori fu così salvato. Ma la sorte avversa volle che, contaggiato, ne partecipò la infezione alla familia di quel loco detta delli Marelli onde per ciò tutti patirono e fu in conseguenza chiusa per molto tempo quella abitazione, ( Memor. MM. SS. della Parochiale).
Sotto li 20 febraro anno presente trovasi segnato nell’Archiv. della Comunità l’assoluzione del Comune a Gio. Maria Monaldini per li suoi averi de notaio (Lib. 318 in Canc. cioè Archivio Pubb. di Bologna).
Li 16 marzo morì una bambina per nome Lucrezia al Conte Ramazzotto e con onore fu sepolta da sua pari in parochia. Li 10 aprile morì Carlo Musitelli unico fanciullo di Gio. Battista Musitelli, detto Bassone invece di Battistone, per essere uomo assai piccolo e di struttura pingue e grossa al pari di un Bacco, che abitava in casa propria in Borgo nella via maestra.
Li 24 giugno fu estratto Massaro per seguente secondo semestre Matteo Canelli, che per essere settuagenario non acettò la carica ed in conferenza fu estratto Sante Santoni che prese il possesso il dì primo lulio unitamente al novo Podestà estratto che fu il Senatore Conte Marc’Antonio Bianchetti che confirmò per suo not. il d. Balotta.
Le familie che in questo tempo figuravano nelle sostanze e nelle fazioni in paese onde erano rispettabili nell’armi, furono Cesare e Lodovico qd. Michele Gnitti, li Bindini, li Cattani, Fabbri Inocenzo di Borgo, Francesco Gavoni, li Comelli e Girolamo Tardini tutti di gran seguito.
Li 18 novembre la Compagnia di S. Cattarina, all’effetto di rendersi cospicua maggiormente nelle funzioni pubbliche, imitò la cappa di S. Sebastiano di Bologna alla di cui Arciconfraternita si fece aggregare come appare da rogito di Domenico Rovasini. Preventivamente usava il sacco bianco senza capuccio.
Annibale Malvezzi arciprete di Castel S. Pietro avendo accordato alla Compagnia del SS.mo l’ambiente grande presso la sua canonica per formarvi l’oratorio, come si scrisse nell’anno scorso, in confine di Carlo Antonio Serpa a mezogiorno, a sera la via maggiore del Castello, la med. Compagnia avendolo comprato, ottenne nel dì 24 novembre per gli atti di Annibale Ostesani decreto da mons. Isidoro Masconio Vic. Gen.le di potere ivi officiare.
Ottenuta la Compagnia di S. Cattarina la agregazione a S. Sebastiano, vestì tosto la cappa nova tutta bianca crispata ad uso di cappa striata marina e li 25 d. fece, nel giorno titolare di sua compagnia, solenne festa e poscia procedette alla estrazione delle citelle per la dote di lire cinquanta l. 50 così prosseguendo all’anno 1639 come si ha dalli atti di d. Compagnia. In tale occasione si fecero anco copiose elemosine non solo ai di lei due Ospitali ma anco ai poveri del paese e confratelli di quella.
Morirono in quest’anno nella parochia di Castel S. Pietro N. 57 persone adulte, questa enumerazione fu ordinata dal Governo per timori di influenza. Non si meravigli il lettore di questo scarso numero poiché la parochia in questi tempi era rimasta poco populata d’anime da quanto si raccoglie nell’archivio parochiale.
Avendo finalmente Francesco Gavoni terminata la reidificazione della sua casa nel Borgo di rimpetto alla via di Medicina, d. anco la via di S. Carlo, distruttale come si disse in addietro, e conservando tuttavia interamente l’odio verso li suoi avversari, fece, per contrapunto a med., apporre nella facciata di d. casa la seguente inscrizione in macigno presso l’osteria della Corona la quale è un enigma per chi ignora il fatto
Quel favor di grande affare
fabbricò mia casa allegramente
per non veder li miei stentare.
Ora assai abbondantemente
mi trovo a dispetto di coloro
che non vorebbero in me fosse niente.
Estratto Massaro li 27 decembre Nicola Topi per l’anno prossimo 1602 nel primo semestre, entrò in officio il primo genaro. Li 8 dello stesso mese Vitale Bonfilioli Vicario o sia Podestà di Castel S. Pietro venne personalmente a farsi riconoscere per tale, deputò suo notaio Filoteo Sarti e con esso portò alle visite delli comestibili ed altro nelle botteghe del Castello e Borgo. Il d. Sarti era nazionale di Castel S. Pietro ed abitava nella via maggiore ove aveva lo stema di suo casato esposto al pubblico figurante uno squadro, nel modo che si osserva ne suoi rogiti autentici.
Le rogazioni di Maria Vergine di Poggio, perché non era ancor compito l’ornamento del novo oratorio dalla Compagnia del SS.mo SS.to , si fecero nella chiesa parochiale. In questa occasione trovasi nelle memorie MM. SS. attinenti alla d. compagnia che fu aggregata alla Arciconfraternita de S. M. del Baracano di Bologna.
D. Tomaso di Gio Battista Boldrini nato nel Borgo di Castel S. Pietro al luogo detto La Boldrina, nella via coriera presso il ponte del Silaro, fu laureato in Teologia, come lasciò scritto l’Alidosio ne suoi Dottori, che poi nel 1605 18 febraro fu del Colegio e d’inde passò arciprete alla chiesa di Minerbio, fu bravissimo oratore ed ha in stampa una bella orazione funerea per la morte di monsig. Daniele Meloni Vic. Gen.le delle Grazie, di esso ne parla il Fantuzzi ne suoi Scrittori bolognesi ed anco il Belzi scrittore di alcuni Ricordi di Minerbio.
Essendo poi compiuta la fabbrica del novo Oratorio della Compagnia del SS.mo SS.to nel su acennato loco, la compagnia med. vestita di sacco bianco il giorno 6 giugno, spicatasi formalmente dalla parochiale in processione colla Compagnia di S. Cattarina e Corpo della Comunità, portossi al novo Oratorio e prese il solenne possesso secondo li riti di S. Chiesa col miracoloso crocefisso inalberato e portato dall’arciprete moderno al novo Oratorio.
Si cominciò l’officio della Madonna indi si cantò in musica la prima messa dallo stesso arciprete D. Alfonso Cuzzani. Terminato l’officio della Madonna da ambidue li corporali delle Compagnie di S. Cattarina e del SS.mo SS.to, stando alla destra li officiali e corporali di S. Cattarina ed alla sinistra quelli del SS.mo, vi assistirono alla funzione li regolari e Comunità in forma. Terminata la messa l’arciprete fece un bellissimo sermone sopra il SS.mo SS.to e per la dedicazione colla festa del Corpo di Christo, poscia comunicò ivi 186 anime.
Terminata questa così devota funzione si spiccò d’ivi la solenne processione col SS.mo ed andò per tutto il Castello e Borgo poi, ritornando la solenne pompa, si fermò nella chiesa parochiale ove si diede la S. Benedizione al popolo. E perché era morto il priore della compagnia suplì alle sue veci Luca Simbeni, tutto ciò rilevasi dal Camp. secondo delli atti della Compagnia del SS.mo.
Li 10 giugno Nicola di Gio. Battista cap. Fabbri di Castel S. Pietro si addottorò nella Sapienza di Roma in utroque jure, ciò riscontrasi dal Lib. Gallicella, MM. SS. Fabbri, e poi morì in Roma li 23 novembre e fu sepolto nella chiesa della Madonna del Pianto, conforme lasciò scritto l’Alidosio ne suoi Dott. T. 1 fol. 128, come riferiremo a suo loco.
Li 24 d. fu estratto Massaro per il secondo semestre Andrea Pirazzoli e, terminato in questo mese il suo officio di Podestà, Vitale Bonfilioli fece apporre nella ressidenza pubblica la seguente inscrizione collo stema inciso in macigno
Vitalis Bonfiliolus
Castri S. Petri Pretore
Pro primo semestri
MDCII
Al pred. Bonfilioli sucesse nella podestaria Achille Bianchetti.
E perché le mura del Castello nostro abbisognavano di ristoro atteso che anco in parte ne era caduto un tratto dalla porta maggiore alla destra, nel modo che era accaduto a Castel bolognese, fu perciò fatta instanza al Senato di Bologna onde si riparasse al male. Il Senato nel dì 19 agosto conferì piena autorità a Girolamo Boncompagni di rilevare il tutto, riscontrasi ciò dal Lib. partit. del Conte Carrati T. 17 fol. 22 ne seguenti termini estratti dalli originali del Senato: Hieronimo Boncompagni contelerunt invisendi menia Castri Bononiensis ac Castri S. P.ri agendique ac consulendi quidquid pro illorum ressectione et expedians visum fuerit, atque necesse, omnesque gradiaturum ratimes ineundi ac comprobandi et earum debitores ad effectualem solutionem compredi quidquid p. eos erogatum. Fu in appresso accomodata per ciò la mura.
Adì 30 agosto il R. D. Fabbio Fabbri di Bologna, canonico della Collegiata di S. Maria maggiore di Bologna, essendo stato deputato per visitatore generale della diocesi di Bologna, venne a Castel S. Pietro ove fatto il di lui officio a tutte queste chiese, senza ordinare cose di rimarco se ne tornò alla città (Lib. visit. past. Archiv. paroch. di C. S. P.ro).
Trovansi nella Comunità alcuni disordini, rapporto al Governo della med., perciò essendo stato avvanzati notizie alla Assonteria, fu per ciò spedita al nostro Castello li 23 settembre il senatore Girolamo Boncompagni col not. Valerio Panzachia segretario. Si presentò il med. in Consilio, appurò alcune differenze interne nel Consilio poi il rendiconto, e perché in ordine al maneggio delle entrate comunitative non eravi alcun depositario stabile, così il med. Comissario fece la seguente legge registrata al fol. 22 del Campione secondo delli atti comunitativi .
Provisione ed ordine fatto sopra il salvare li Conti de Massari di Castel S. Pietro.
Avendo veduto l’Ill.mo Sig. Girolamo Buoncompagni Senatore di Bologna e visitatore di questa comunità di Castel S. Pietro come per patenti registrate in cancelleria, quanto disordine ed estorsione causi sopra la Comunità il non saldare a suo loco e tempo li Conti delli Massari e volendo provedere alli inconvenienti che intorno a ciò ogni anno si vedono corere, ordina e per via di decreto comanda che per l’avvenire ciascun Massaro ad otto giorni al più, al più quindici dopo che sarà finita la sua Massaria debba saldare ed in d. termine con effetto avere saldato li conti della sua Massaria nel Consilio di essa Comunità, overo in presenza de deputati di quella sopra ciò e, visti e saldati che saranno, debba esso Massaro in termine di altri otto giorni seguenti a d. quindici venire a Bologna e portare li d. suoi conti avvanti alli ill.mi Sig. Assonti del Governo, acciò da loro sig. li siano confirmati mediante le loro soscrizioni assieme con quelle de Ministri delle Imposte e tutto ciò sotto pena a ciascun Massaro che contraverrà di scudi 100 d’oro da applicarsi ad arbitrio de sig. de regimento o suoi assunti, comandando in oltre a tutti li massari, quali per l’avvenire saranno stati estratti che sotto la medesima pena non debbano in modo alcuno accettare ne pigliare il libro della sua Massaria se prima non saranno salvati li conti del Massaro suo antecessore. In quorum. Dat. Castri S. Petri Die 23 mensis septembris 1602. Hieronimus Boncompagnus visitat. et Comiss. Valerius panzacchius d. Ill.mi d. Comissari Cancellarius.
Sucessivamente siccome vi mancavano tre soggetti a compiere il N. de consilieri, così furono proposti al Regimento li seguenti cioè: Ercole Comelli in luogo di Matteo Comelli, Ventura Ricardi in luogo di Messer Ricardi suo zio e Matteo Fiegna per Clemente Fiegna suo padre.
In quest’anno morirono uomini 95, donne 63 e fanciulle e fanciulli 56 (Lib. Mortuor. della parochia).
Girolamo Cuzzani estratto Massaro per il primo semestre anno presente 1603 prese il possesso della sua carica il dì primo genaro e li 2 dello stesso mese fece il simile il novo Podestà Conte Cesare Bianchetti.
Adì 12 febraro morì in Forlì il P. Cherubino da Castel S. Pietro, sacedote capuccino fratello del cap. Gio. Battista Fabbri e di F. Gio. Battista Fabbri cappuccino, menorato dal Masina nel 1577 sotto li 18 maggio, di questo ne parlano diffusamente li Annali cappuccini T. 1 parte 2. fol. 383 ed il mortologio capuccino lo pone sotto il giorno 17 febbraro in questi termini: 1603, 17 februari. Pater Cherubin a castro S. Petri evangelica simplicitate a pueritia ornatus prophetie dono et descritione spiritum, quibus furura predixit et occulta Cordium penetravit a Deo insignitas , gratia sanitatum et operatione virtutum in vita, et post mortem clarus. La illibatezza de suoi costumi lo fecero meritare più volte la aparizione di Gesù bambino, operò molti miracoli e consumato dalle penitenze alle quali era indefesso, morì in concetto di Santità.
Gaspare Bombacci nel suo Libro delli uomini illustri per santità, Part. 2 fol. 66 al fol. 67, glie ne formò un elogio. Sbagliò solo lo scrittore nel nome del sacerdote che lo cognominò Serafino invece di Cherubino, anzi nell’indice di questa sua opera stampata in Bologna per il Monti, lo pone nel N. de venerabili. Noi nella raccolta che abbiamo composta delli Elogi alli Uomini e Donne illustri per santità di costumi di Castel S. Pietro, glie ne abbiamo formato pure un elogio a parte, onde quivi ci risparmiamo la fatica di enunziare le sue virtù e rimettiamo il lettor amante de nostri scritti a quell’opuscolo.
D. Antonio Galeazzo filio di Alfonso Graffi di Castel S. Pietro fatto paroco di Rignano risturò quella chiesa e canonica lodevolmente in questo tempo. Finito il suo officio di Podestà Cesare Bianchetti appose nella ressidenza pubblica la sua inscrizione come li altri suoi antecessori come siegue:
Co. Cesar Blanchetus Senator
Castri S. Petri anno MDCIII Pretor
P. S.
Si raccoglie da alcune MM. SS. spettanti alla Compagnia del SS.mo SS.to di questo Castello che ella era aggregata alla arciconfraternita di S. Maria del Baraccano di Bologna senza indicarci l’epoca precisa dell’aggregazione.
Nel dì primo lulio entrò Massaro Gaspare Gottardi e Podestà fu Albero Castelli. Li 15 lulio Anna filia del cap. Giambattista Fabbri si maritò nel nobiluomo Sig. Gian Maria Fioravanti di Bologna. Trovasi ancora in quest’anno il matrimonio di Andrea Comelli con Faustina Fabbri e Lucia Dal Selaro con Michele Gardenghi tutti e tre matrimoni illustri per le familie.
Li 3 novembre morì in Roma il dott. Nicola Fabbri addottorato in quella Sapienza e città. Fu giovane di grande aspettazione ed amato grandemente per le sue rare virtù e prerogative da monsig. Floro Cenzi nella di cui casa finì li suoi giorni. Fu sepolto onorevolmente nella chiesa di S. Maria del Pianto di piazza giudea in un sepolcro con sua memoria che glie la fece fare Bartolomeo di Paolo Fabbri da Castel S. Pietro suo cugino. Il dott. Anibale Bartolucci erede Fabbri presso cui stanno tutti li documenti di quella illustre familia, tiene il diploma del dottorato del med. Nicola colla inscrizione sepolcrale registrata nel Libro delle Memorie Fabbri detto Gallicella. ed è del seguente tenore trascritta
Nicolaus Fabbrio de Castro S. Petri
Bononien. Ditionis
J. V. D. maxime expectationes
Bartolomeus Fabbrius Consubrinus
M. P. Anno MDCIII
Ij questo mese fu dal Senato di Bologna eletto Colonello della truppa pedestre di Castel S. Pietro Antonio Fregnano come rilevasi dal T. 17 Partitor. Caval. Carati : In Prefectum cohortis Militum Castri S. Petri Antonius Fregnano elegerunt ad eius beneplacitum cum onere in arte militari illos exercendi et quatiescumque mandat super cum milititus q.ti fuerit requisit alacriter parare teneantur.
Li 21 decembre giorno di S. Tomaso la Compagnia del SS.mo prese il possesso del novo Oratorio come si disse, fu in questo giorno fatta la formale dedica all’apostolo S. Tomaso. Era la compagnia governata al presente da Gaspare Antonelli, messer Vincenzo Mondini, messer Domenico Zanini ,suoi consilieri, messer Valerio Fabbri depositario. Poscia in questo giorno si cantò una solenne messa, invitato tutto il Corporale della Compagnia di S. Cattarina e Comunità del Castello, dove con gaudio di tutto il paese si visitò tutto quel giorno d. Oratorio. Fu indi stabilito ed ordinato che in simile giorno ogni anno in memoria della dedicazione a tale santo si facesse la di lui festa e si chiamasse protetore dell’Oratorio come seguì.
In quest’anno morirono fra maschi e femine, fanciulli e vechi N. 88. Adì 27 d. fu estratto Massaro avvenire Lorenzo Sgargi che prese il governo nel dì primo genaro 1604. Accadde il giorno 23, festa dello sposalizio di M. V., un grande incendio alli edifici della possessione Collina in questo comune di Castel S. Pietro nel quartiere del Dozzo di ragione di casa Pepoli ove, essendovi accorso quasi tutto il paese con artefici e muratori per ismorzarlo, non vi fu modo se non che doppo consumati li tetti.
In tanta vicenda essendosi adoperato valorosamente Giacomo Galvani muratore del paese, pensando egli discendere da un muro maestro su di cui si era posto a tagliare li legni maestri, nel ruinarne uno che urtò ove egli se ne stava le convenne precipitare col muro stesso che lo sosteneva e rimanere coperto e sepolto per la ruina, quindi credendolo ognuno morto, si cominciò dalli operari il modo di levare il di lui cadavere. Ma chè? nel travagliare che facevano le persone sentirono ad alta voce il meschino chiamare S. Maria di Poggio ajutami. A tale voce accorsavi tutta la gente fu liberato. Si riconobbe quivi di M. V. il miracolo, alla quale Imagine ne portò poi la tavoletta nella sua chiesa come abbiamo veduto, sottoposta a S. Biagio di Poggio, sogetta a Castel S. Pietro della quale ne parla ampiamente D. Agostino Salarini nella sua descrizione della chiesa dedicata a monsig. Alfonso Paleotti.
Nel dì 22 d., essendosi fatto riconoscere per Podestà di Castel S. Pietro Cesare di Alberto Rata, ordinò per sua grida la polizia delle strade del Castello e Borgo, rissulta ciò da MM. SS. del P. Gian Lorenzo Vanti.
Adì primo maggio, essendo consuetudine porsi alla porta del Castello sopra di un alto tavolino in una sedia una fanciulla bene adorna ad uso di regina sul trono, che comunemente si chiamava poi Contessa, e così facevasi anco sotto il portico della ressidenza comunitativa del Castello ove, attorniata da altre ragazze, fermavano poscia queste li passeggeri invitandoli a corteggiare, riverire e regalare la fanciulla sedente quindi, cantandosi qualche stroffa poetica e rimata in lode di uno o più passeggeri secondo le opportunità, questi talora regalavano fettuccie, bracciatelle, fiori, denari ancora nel baccino. Accadde perciò che, essendo Contessa una fanciulla della famiglia Ruggi che era presso la porta di sopra del Castello, detta Portamontanara, fu cantata da una sua compagna con invito a regalare la Contessa la seguente strofa diretta ad un giovinetto della familia Scappi di Liano.
Quel giovinin de Scappi da Liano
favorite vi prego a larga mano
la mia vezzosa alta Regina
che è bella come rosa mattutina
che fu non da te alcuna Cortesia
a lei, e ve ne andate via
gridarem tutte, che Scappi vi chiamate
è perché ingrato siete, via scappate.
Mosse una tale stroffa ad alti evviva li villani che eran con lo Scappi a segno che sdegnato degenerò questi in improperi e contumelie alla cantatrice della stroffa e, dalli improperi sdegnati, alcuni paesani presero le parti della insultata non solo con parole ma si venne alle mani, onde perciò seguì non poco rumore. Pronti fuggirono li villani che da un luogo che dall’altro poiché, chiusa la porta del Castello, era ecitata una meza solevazione fra li parenti ed amici della ragazza con tutti li villani che erano in Castello accorsi al rumore, il quale poi coll’opera delli Alberici e Fabbri castellani fu tutto calmato e pacificato.
L’uso di queste Contesse o siano Regine, cessò nel paese l’anno 1708 per il passaggio delle truppe alamane, ma ritornò poscia in vigore e prosseguì fino alli anni 1740. Questo baccanale delle Contesse era molto antico, che per eseguirlo in ogni luogo si scieglievano le più belle ragazze e mettevansi a sedere in alto alla porta della città e castelli, come nella sua Bologna Perlustrata ci racconta anco il Masini, chiamandosi anca Regine. Stavano ancora sotto li portici ove era il più frequente pasaggio delle persone per essere regalate da giovinotti ed altre genti a cui cantavano in lode alcune stroffe e versi.
Usavasi ancora il primo giorno di questo mese piantare il Maglio che altro non era che una verde frasca od arboscello di fresco fiorito, il quale si poneva in quei luoghi che erano di piacere a quelli che lo piantavano. Ebbe origine questo rito dalle feste che facevano li romani in onore di Flora, nelle quali si ballava, cantavasi e facevano simili cose onde furono poi queste dette Ludi floreales, come si rilleva nel Fasti di Ovidio.
Quindi li giovani e giovanette andando per le ville festeggiavano ed intrecciavano carole e contradanze assieme e ritornando poi alla città e castelli portavano in mano processionalmente rami di pioppo e di altre piante
che avessero ritrovate già fiorite e poi le fermavano e piantavano avvanti e nelle porte di chi più amavano. Arcadio ed Onorio permisero questi spettacoli ma però onesti come si ha nel codice: De Majuma, Lib. II.
Adì 10 maggio, giorno di lunedì, una compagnia di uomini ferraresi chiamata di S. Spirito, vestita di tela azurra con mantelletta simile, avendo due bandiere seco, che andavano a Loreto, arrivarono al nostro Castello. Furono ricevuti dalla Compagnia di S. Cattarina e poi la sera partirono per Imola.
Alli 11 d. essendo in villa in questo comune nel quartiere della Lama al Castelletto Giovanni e Christoforo Poggi nobili di Bologna ed avendo d. Christoforo comprato un cavallo, nell’andare a pagarlo, Giovanni si nascose nel rio della Paniga e le diede una archibugiata e, perché non morì subito, tosto li corse adosso e con una pugnalata li segò la gola, li tolse il cavallo, li danari ed una picola chiave, poi tornato al palazzo del Castelletto ove abitavano, aperti certi armadi portò via tutti la danari, li anelli ed altre cose di valore e se ne fuggì in Toscana ove piantò casa in Pistoia.
Li 12 d. li uomini della Compagnia della Regina de Cieli di Bologna che stavano nella Nosadella, cappati di tela berettina con loro insegna e bordoni e capelli tutti guarniti d’argento, con due stendardelli vennero a Castel S. Pietro incontrati dalla Compagnia del SS.mo, uno de quali stendardelli lasciarono a Loreto et andarono la sera ad Imola poi ritornarono li 22 d. riportando a casa l’altro stendardello.
Adì 24 d. giorno di domenica antecedente alle Rogazioni fu portata la Madonna di Poggio nel nuovo Oratorio del SS,mo per solennizare le Rogazioni in quello per la prima volta.
Adì primo lulio entrò Massaro Domenico Simbeni e Podestà Alessandro di Giacomo Magli nel di cui tempo rogava in questo loco ed agiva da giusdicente Francesco Celli notaio bolognese.
Essendo nata inimicizia fra li Fabbri, Pignatarini e Tesei famiglie di Castel S. Pietro, facinorose e famose per le armi, a motivo di avere le due ultime familie insultato il Ramazzotti marito di Flaminia Fabbri discendente del Cap. Gio. Battista, questa, per riparare alle insidie de nemici, fece dare oppiato per mano di Alfonso Graffi ad Andrea Tesei in una merenda che si fece nell’orto Calderini onde, essendosi addormentato nella vicina piazza, fu trasportato nell’orto medesimo ove uciso con pugnalate, le fu poi reciso il capo e presentato a Carlo Zachiroli come fazionario de Ramazzotti per il qual motivo spatriò poi questa familia che andò a Castel Guelfo.
Li Benini di Doccia e Ramazzotti inseguirono Andrea Tesei ma indarno. Il capo del Pignatarini fu fatto poi sepelire col cadavere poi li Ramazzotti fecero abbruciarlo nascostamente. Fu gran rumore perciò nel paese per cui li Tesei e suoi congiunti più la perdonarono a Ramazzotti e si rifecero dell’onta fra non molti anni coll’omicidio del Conte Pompeo Ramazzotti come diremo a suo loco. Il Pignatarini se ne andò poi di patria e fra non molto pacificossi co’ Fabbri e Ramazzotti ma fu simulata la pace.
Li 23 lulio il sig. Flavio (…) di Bologna sposò la sig. Lucrezia filia del sig. Angiolo Berti di Castel S. Pietro con ordine del Vicario, ciò riscontrasi dal Lib. Matrim. della parochiale. Similmente Vincenzo di Galeazzo Bombaseri , familia che fra non molto si stabilì in Bologna, sposò Cattarina Morrelli tutti di Castel S. Pietro familie facoltose.
Li 29 d. seguì una tempesta grande che, cominciando da Bologna venendo a queste parti ed estendendosi nel Medesano, daneggiò per un tratto di quaranta miglia de paese, rompendo anco in alcuni luoghi li tetti ancora alle case, arbori e cagionò freddo.
Li 17 ottobre il card. Alfonso Paleotti arcivescovo di Bologna, avendo intimato una Congregazione a tutti li Pievani della diocesi all’effetto di provedere a molti assordi nella med., fra le molte cose determinò l’osservanza delle feste e la dottrina cristiana perché troppo era rilassato il vivere. Ciò pubblicò poi mediante bando segnato il dì 14 detto.
Avendo il Papa dato principio a tagliare il Po, per liberare le sue provincie dall’aque stagnanti, per lo che essendovi occorse spese deliberò creare un Monte di trecento milla scudi col volerli dalle tre provincie di Bologna, Ferrara e Romagna. Intimò per tanto al Senato di Bologna che dovesse far provisioni. Radunata per tanto il dì 23 novembre in giovedì la assemblea senatoria si lesse il Motu proprio pontificio che, sotto pena di ribellione, dovesse eseguire lo Monte pontificio e che niuno osasse opporsi. Perciò alla porta della Ressidenza del Regimento vi fu posta la guardia svizera e li sbirri, che vi stettero fino alle ore 5 di notte, senza concludere cosa alcuna. Furono per ciò licenziati li senatori col patto di congregarsi la mattina seguente di novo come seguì ma senza conclusione onde si spedì a Roma al Papa facendole sapere che sarebbero stati ubedienti al med. ed alla Chiesa ma che tanta somma non si voleva prendere a lucro, onde il Papa per ciò soprasedette nelle determinazioni supreme.
Infrattanto essendo giunta la fine dell’anno con bonissimo tempo, che erano passati tre mesi sempre con serenità, polvere per le strade ed aridità ne campi, non si poteva per ciò macinare e li farinotti temevano assai di tumulti onde si raddoppiarono le sbirraglie.
Morirono in quest’anno, solamente nella parochia di Castel S. Pietro 49 creature secondo il calcolo descritto nel Lib. Mortuor.
Al termine della sua Pretura Alessandro Mogli ci pose la seguente
Alexander Molius
Pretor pro secundi
MDCIV
L’anno poi che seguì 1605 il dì primo genaro in sabato entrò Massaro Gio. Battista Balduzzi e li 3 d. giorno di lunedì Napolione Malvasia estratto Podestà per il primo semestre venne a Castel S. Pietro a farsi riconoscere per Giusdicente.
Stante la domanda esorbitante di danaro che faceva il Papa a Bologna, non essendosi per anco rimosso dal suo volere, il Senato inviò al Papa Francesco Cospi senatore con il procuratore Secadinari.
Il tempo che era stato fino a questo tempo senza pioggia con gravissimo danno de molini et edifici da aqua, finalmente nel dì 25 genaro cominciò una grossa neve che durò alquanti giorni.
Su la fine del mese morì il Papa, ma la morte non fu pubblicata che alli 6 marzo e li 3 aprile fu eletto il cardinale Alessandro Medici creatura di Gregorio XIII e si chiamò Leone XI. La morte del Papa cagionò a bolognesi piacere vedendosi in qualche modo esentati dal pagamento dell’addomandato danaro e colla lusinga di evitare totalmente un tanto aggravio.
Su la fine di febbraro li tre fratelli Francesco, Giacomo e Giuseppe qd. Sabadone Conti da una parte ed Antonio Maria qd. Domenico Marabini , tutti di Castel S. Pietro, vennero fra di loro a rissa in guisa che andarono varie archibugiate e furono feriti due dei primi. Ma Antonio M. Marabini, spaleggiato da Fabbri fu costretto fuggire per che se le opposero li Pignatarini, ciò seguì coerentemente al fatto del Tesei.
La chiesa della Madonna di Poggio che finora era stata semplice Oratorio, stante la affluenza delle elemosine ed il bisogno di avere un custode sacerdote ivi aderente di abitazione e le instanze che ne facevano li poggiesi col loro paroco, l’arcivescovo Paleotti mosso da tali ragioni e supliche non meno che dal suo zelo, eresse la chiesa e oratorio di d. S. Imagine in beneficio, come si ha dalli atti di Cesare Montecalvi nel vescovato e nel Libro dlle Orazioni sotto il giorno undecimo di marzo anno presente. Eccone l’estratto unito. [Vedi Appendice B]
Il primo beneficiato fu D. Cesare Giulio Vassellari a cui successe poi D. Gio. Battista Mondini indi D. Giulio Alberici.
Li 26 aprile venne nova che era morto il Papa in età d’anni 72 non senza sospetto di veleno e con dispiacere della Christianità, compromettendo molto della medesima. Ebbe solo 12 giorni di pontificato.
Li cappuccini, che per anco non avevano fondato il loro convento in questo paese, venirono ospitati dalla Compagnia di S. Cattarina nella casa presso l’oratorio e chiesa di essa. Rilevasi ciò dalle carte dell’archivio della med., simile memoria trovasi ancora segnata nell’archivio della Comunità nel Libro primo de Diversi segnata di mano di D. Pietro Fontana, pubblico maestro della Comunità e capellano di d. compagnia.
Seguirono in questo tempo li sponsali fra la nobile Signora Francesca del sig. Bernardo Ceroni d’Imola col Sig. Valerio Fabbri. Medesimamente Maria Cantini, filia di Matteo sposò Alessandro del fu Battista Tesei, gente tutta facoltosa ed armigera.
Li 19 maggio fu pubblicata la elezione del novo Papa nella persona del cardinale Camillo Borghesi col nome di Paolo V, uomo di anni 52.
Essendo ormai tre mesi che non era caduta pioggia onde la campagna scarseggiava e li formenti e le biade pativano molto perciò, essendosi portata la miracolosa Imagine di M. V. di Poggio a Castel S. Pietro li 22 d. il sabato preventivo alle rogazioni, appena il dì seguente domenica che fu deposta nel novo oratorio cominciò una dirotta pioggia che inaffiò le nostre campagne e prosseguì interpolatamente fino dopo il Corpus Domini.
In Bologna li 3 giugno fu laureato in utroque Girolamo Beruzzi, uno delli ascendenti di questi nostri Beruzzi di Castel S. Pietro, che fu poi prelato come a suo loco riferiremo. Seguitando la pioggia, non potendosi restituire la S. Imagine di Poggio alla sua ressidenza colla solita pompa, fu collocata in un legno coperto con il sacerdote capellano della compagnia ed il priore della med. Ciò si fece per dar luogo alla funzione del Corpus D.ni oggetto primario della compagnia che seguì il dì 9 giugno.
Fatta la nova imborsazione de massari fu nel giorno 24 giugno estratto in Massaro Girolamo Cuzzani che incominciò il suo officio il dì primo lulio unitamente col novo Podestà Flaminio di Lodovico Felicini.
Nel giorno 10 lulio fu pubblicato il Giubileo del Papa con facoltà amplissime di assolvere ogni peccato eccettuata l’apostasia e li voti solenni di castità, con obbligo di fare due processioni di penitenza alle chiese destinate. A Castel S. Pietro furono assegnate la chiesa di S. Bartolomeo e S. Francesco dovendosi spiccare la processione dalla parochia. Contemporaneamente l’ex Podestà Malvasia fece apporre ancor esso la sua memoria nella ressidenza pubblica del seguente tenore.
Neapoleo C. F. A. Serre Malvasia
Co. Juris C. pro primo semestri
MDCV pretor
Li 24 agosto facendosi in Bologna la solita festa popolare della porchetta e gettandosi dal Vicelegato Alessandro Sangrio napoletano ucellami, polli, pavoni ed oche accadde che, trovandosi a tale spettacolo Stefano Pignattarini di Castel S. Pietro giovinastro grande, conforme narra la Cronaca Fabbri, ed altrettanto bravo di sua vita al quale, passandoli sopra il capo un’oca, allungò le braccia in alto e presala la pose sotto la giubba, ma di ciò accortosi uno della plebaglia della città andò per levargliela di sotto, il che vedendosi il Pignattarini cominciò a pugnarlo in tal guisa in faccia che grondava sangue dal naso. Vi accorsero altri birrichini per fermarlo e a chiunque se li affacciava con soli pugni faceva pioverli sangue dal naso, dal volto e li atterrava come un Sansone senza armi. Li birri che videro tale attrupamento di persone e baruffa, ve ne accorse uno di essi per metterle le mani adosso, egli le diede tal pugno su la tempia che lo rovesciò a terra. Accorse il secondo ed il terzo sbirro a loro accadde simile sorte, quindi affolandosi la guardia contro esso, vedendo non potere fare ressistenza al numero si diede alla fuga per la via di S. Mamolo, non altrimenti che uno delli Orazi romani inseguito da Curiazi albani. Ma al popolo piacendo la costui bravura cominciò a gridare contro la sbirraglia: Lascia, lascia, grazia, grazia. Il Vicelegato che era alla ringhiera di palazzo colli Anziani, vedendo il caso, alzò la mano ignuda e così terminato il tumulto, graziato il Pignattarini e li birri tornarono svergognati alla piazza accompagnati da fischiate e dalli evviva diretti al Vicelegato, tanto ci indicò nella sua Cron. di Bologna MM. Alessandro Fava.
Essendosi ammoliti li animi delle due familie fazionarie Marabini e Conti sudd. di Castel S. Pietro a mediazione delli Conti Malvasia per il fatto su enunziato, ne seguì perciò la solenne pace coll’abbracciarsi vicendevolmente nella sala del Conte. Nella prima fazione vi fu Francesco, Giacomo e Giuseppe qd. Sabatone Conti spallegiati dal Malvasia e per la seconda Andrea ed Antonio M. qd. Domenico Marabini erano spallegiati da Valerio, Inocenzo ed Ottavio Fabbri, come riscontrasi dalle memorie MM. SS. nel Lib. Galicella presso il dott. Bartolucci. E così terminossi l’anno senza aver ritrovato altre memorie degne di speziale menzione e convenevoli a questa nostra scrivenda.
Estratto Massaro per il successivo anno 1606 Gaspare Gottardi intraprese egli il suo ministero il dì primo genaro ed il giorno settimo fece lo stesso Alessandro Bolognetti Podestà per questo primo semestre.
Non essendosi per l’addietro manifestata in questo loco alcuna Meta alla vendita de grani attese le immunità ed esenzioni omnimodo del paese, per ciò il Legato di Bologna, doppo avere confirmata la Meta solita del calmiere che già serviva di regola a fornari per formare il proporzionale peso del pane e farina, fu pubblicata tostamente in Castel S. Pietro. Questo calmiere venne regolato dalla introduzione di grano nella città diviso in due classi cioè teriere e forastiero. Essendosi per l’addietro sempre introdotto pane venale e di ogni altra sorte in Bologna dalli forestieri e lagnandosi di ciò li fornari della città, il card. Durazzo, quantunque fosse l’anno carestioso, emanò nel giorno 17 febraro Bando che proibiva la introduzione non solo in città del grano forestiero ma anco nel teritorio.
A Castel S. Pietro a cui venivano li imolesi ed altri popoli, massime quelli di Casalfiumanese e Castelbolognese la sentirono male, onde naque non poco rumore quindi, volendosi dalli birri fare ostacolo a tale introduzione nel nostro Castello, nel dì 2 maggio in lunedì giorno di mercato e primo delle Rogazioni di M. V. quelli panettieri di Castelbolognese e Casale uniti assieme fecero alto contro la sbirraglia. Li primi avevano preso tutti li posti del Borgo, li secondi quelli del Castello. Furono sparate molte archibugiate e circuirono li birri in guisa che domandarono la vita in dono, ma quelli di Castel bolognese gridando altamente: Forte, forte Casalfiumanese, che non ha paura Castel Bolognese, furono fatte deporre le armi alla sbirraglia e poscia, bastonata fieramente, fu minacciata della vita onde, vedendosi a mal partito, dandosi campana a martello per le archibuggiate che andarono, si infraposero li Fabbri e la Comunità.
Cosichè in breve fu pre sedato tutto il tumulto a questi patti che, volendo in progresso venire li d. sbirri co’ loro caporali, per eseguire ordini contro li malfattori, venissero in paese, ma li giorni di lunedì senza armi e preventivamente mandassero l’avviso dalla locanda della Masone, diversamente, facendo e volendo molestare li introducenti granelle, farine e pane, si sarebbe proceduto con la forza. Tanto fu acettato e li birri se ne tornarono alla città senza frutto. Convenne poscia al Legato lasciare proseguirsi nel nostro Castello e Borgo le introduzioni sucessive senza dazio e gabelle e così proseguissi fino al 1700 come a suo loco riferiremo, portandosi francamente pane e farine dalle popolazioni sud. ai mercati del paese. Il rumore fu tanto grande che la processione di M. V. non si fece che entro la piazza del Castello.
Li 25 maggio giorno del Corpus D. terminata la solenne processione si alzò un temporale che per il grande impeto del vento convenne alle persone sdrajarsi a terra per non essere abbatuta e levata in aria. Il campanile de P.P. di S. Francesco M.M. O.O. di questo luogo, essendo armato di asse per la di lui fabbrica, fu levato per aria a volo e fu miracolo che non offendessero alcuno e cadessero nell’ampiezza del fiume e nella campagna vicina. Ciò ci viene riferito da MM. S.S. Vanti.
Li 2 giugno doppo eccessivo caldo cadde grossa tempesta che durò in terra quattro giorni con freddo.
Li 24 d. fu estratto Massaro per il venturo semestre Gio. Battista Fabbri che prese il suo governo il dì primo lulio come fece il novo Podestà sig. Bernardino Marescotti.
Nel contratempo che accadde il turbine sud. delli 25 maggio, essendo accadute altrove anco disgrazie, troviamo scritto nelle memorie MM. SS. di D. Giulio Alberici, custode della Madonna di Poggio, che a quella chiesa comparve Luca da Cesignolo di Monte Caldiraro con le crocciole, liberato da M. V. per frazione della coscia sinistra sofferta pel trasporto giù da un balzo colle bestie ed aratro dall’acennato turbine, e Giuseppe Poggi di Corvara d’Imola che fu, da uno de ponti di quel comune, trasportato in aria fino al luogo detto de Beladelli, con istupore di tutti ed offeso mortalmente nel capo, il quale, essendosi dappoi raccomandato a questa S. Imagine, fu tosto rissanato.
Prosseguendo la carestia di pane e viveri il nostro Gio. Battista Fabbri moderno Massaro, capo della populazione, spogliato della avarizia, impiegò li suoi emolumenti nella compra di tanta fava la quale, avendola fatta cuocere, ne fece la dispensa a tutti li poveri del paese il giorno secondo di novembre anniversario de morti e così fece la vigilia di Natale di N. S. G. e, perché non accadesse confusione, li fece tutti rinchiudere nel cortile grande del palazzo Locatelli allora Ramazzotti poi, facendoli sortire ad uno per uno, diede ad essi quella misura che credeva convenire loro e sua familia. L’uso di dispensare la fava nelle contingenze de morti fu introdotto per imitazione de gentili li quali nelle esequie da loro trapassati usavano tal rito sembrando a med. che questo prodotto avesse più di coerenza alla mestizia di quello che qualunque altro legume, imperciochè su le foglie de fiori della fava ci sono certi segni che imitando carateri e figura di lettere greche, figurano la lagrima.
Li ateniesi ancor essi costumavano cuocere ne giorni delle esequie legumi di più sorti offerendone alle loro deità profane. Lo stesso fece Tomaso Tomba eletto recentemente, in loco di Antonio Fiegna, capitano delle milizia urbane attesa la difficile guarigione del Fiegna da lungo tempo infermo ed inutile a se ed alla truppa.
L’anno seguente 1607 entrò Massaro Fioravante Tomba per il primo semestre e così seguì di Prospero Policini estratto Podestà come ce lo contesta la di lui inscrizione in macigno apposta nella parete della publica ressidenza:
Prosper Pulicinis Pretor
Primi semestris MDCVII
Non ostante le grandi premure che facevano li fornari e farinotti per la esclusione de venditori forestieri di pane nella città e contado, attesa la carestia che prosseguiva per cui si davano solo sei oncie di pane al bajocco vendendosi il grano l. 17 la corba, fu costretto il card. Giustiniani Legato tollerare la introduzione del pane forestiero nel contado e molto più in Castel S. Pietro atteso il rumore accaduto come si disse, onde li imolesi, Castel bolognese prosseguirono maggiormente le loro introduzioni ne giorni di mercato, al quale affluentemente concorrevano le populazioni vicine.
Li 27 aprile essendo morta Flaminia Fabbri moglie del Conte Ramazzotto di Castel S. Pietro fu di qui trasportata a Bologna nel dì 29 a S. Michele in Bosco nella sepolcrale delli Ramazzotti di Bologna, congiunti e consanguinei dei Ramazzotti di Castel S. Pietro.
Li 3 maggio giorno di lunedì cominciarono le Rogazioni di M. V. di Poggio, le quali furono accompagnate dalla maggiore divozione del popolo che fu possibile attesa la penuria di viveri e la campagna che era in brutto aspetto.
Codesta chiesa di S. Pietro nel Borgo spettante alla Comenda di S. Stefano di Bologna, essendo mal ridotta, si cominciò a ristorare dal cardinale camendatario Alessandro Montalti. Era scoperta ne tetti, ruinata nel selciato e sdruscita nelle pareti, inabile ad essere officiata e molto più che le porte, essendo frante dalla lunghezza del tempo, vi si entrava ed usciva francamente da chiunque e talora serviva da nascondilio a taluni del paese e forestieri.
Andrea Cechinelli notaro del Podestà locale, essendo in visita alle botteghe ed al mercato nel paese il giorno 18 corrente maggio, pretese caturare certo Cavina di Castel bolognese e levarle il pane perché non arrivava al peso di Bologna e difatti, insaccato il pane, lo fece portare in officio. Era in questa contingenza venuto in Castel S. Pietro lo stesso Podestà Prospero di Francesco Dulcini ed alloggiato nel palazzo Malvasia, per la qual cosa molti contrabandieri di Castel bolognese, che erano secondo il consueto venuti al mercato di Castel S. Pietro, si portarono armati dal med. Podestà col sud. Cavina onde, essendovi presente il Cechinelli, naque non poco diverbio e convenne al med. restituire il pane per essere robba forestiera e non sogetta alla legge di Bologna. Fuggì poscia il Cechinelli dalla parte opposta del palazzo Malvasia e ritirossi in S. Francesco presso li frati MM. OO. per assicurarsi della vita, ove dappoi fra due giorni partì vestito da frate né più si vide in Castello per timore de contrabandieri.
Li 14 giugno giorno del Corpus D., facendosi la consueta processione del SS.mo per il Castello e Borgo, la Compagnia di S. Cattarina, padrona dell’Ospitale de viandanti nel med. Borgo situato, fece formare un altare ed ivi, a consolazione di alcuni infermi viandanti, fu loro data la benedizione col SS.mo cosa che riescì di ammirazione a tutti per che irregolare.
Il dì primo lulio entrò Massaro Gaspare Gottardi, fu Podestà Annibale di Bartolomeo Rossi. In questo tempo seguì il matrimonio con grandi allegrezze fra la sig. Anna qd. Alessandro Gottardi ed il sig. Aurelio Comelli, ambe familie illustri del paese.
Compiuto il ristoro e rissarcimento alla chiesa di S. Pietro per ordine del cardinale Montalto comendatario della Abbazia di S. Stefano, vi fu apposta sopra la porta maggiore, come si vede, la seguente memoria collo stema del medesimo incisa in macigno ed in appresso fu officiata e reso il dovuto culto al principe delli apostoli et a Dio:
Alexander Cardinalis
Montaltus S. R. Eclesie
Vicecancellar. Abbas.
S. Stephani de Bononie
et Unitor
Commendatarius
restauravit Anno D.ni
MDCVII
Li morti della parochia di Castel S. Pietro in quest’anno furono N. 100.
Entrò Massaro l’anno seguente 1608 per il primo semestre Domenico Sinbeni e Podestà fu il Conte Girolamo Buschetti.
Li 3 genaro cominciò una neve grossa che durò a cadere otto giorni continui. Li 18 d. replicò e durò fino alli 23 continuamente e di giorno e di notte, venne tant’alta che le persone da un portico all’altro non si vedevano né si poteva passare la strada da un canto all’altro, onde convenne farvi li ponti sotto la neve. Le case erano gravatissime ne tetti onde convenne a molti puntellarle e chi fu negligente patì molto e cadero coperti alle case della famiglia Forni nella via maggiore, delli Bombasari presso S. Cattarina, nel borgo quella de Mondini, la casa tutta in via di Saragozza di sotto de Locatelli, Fabri e Comelli, le stalle de Morelli ed altre casette, alla campagna la possessione Oretti, detta la Fossa, alla Peschiera il fenile, a Fossalovara, al Morteccio ed altri luoghi perirono ancora li bestiami sotto le ruine. Durò la neve in terra fino all’aprile.
Per queste circostanze il Legato mise fuori molte provisioni per le strade perché né cavalli né legni di sorte alcuna potevano girare, le comunità del contado ebbero per ciò ancor esse molto da operare.
Li 17 marzo morì Riniero Rinieri di familia illustre e fondatore del casino Riniera. Delli uomini di questa ascendenza se ne è parlato alle sue contingenze.
Adì 10 maggio in sabbato fu portata la Madonna di Poggio a Castel S. Pietro per le Rogazioni. Nel corso delle med. fu condotto alla S. Imagine Matteo Fantini di Sassoleone ossesso ed il lunedì dopopranzo prima delle funzioni strepitò molto, la sera poi alle ore 13, essendo esorcisato dall’arciprete avvanti la S. Imagine ad oratorio chiuso, fu liberato dandone lo spirito infernale, come ci lasciò scritto D. Giulio Alberici, segni della di lui partenza col frangere le vetriate dello scalone dell’oratorio med..
Riportatasi la S. Imagine a casa il giorno della Ascensione, accadde che venero a rissa alcuni bravi di Medicina cioè Mamolo Zanelli con Stefano Anessi di Castel S. Pietro, quindi sparate archibugiate di pistolla niuno restò ferito, solamente crepparono nelle mani di entrambi le pistolle che furono poi appese alla chiesa della Madonna.
Li 5 giugno giorno del Corpus D. si fece col SS.mo la solenne processione anco per il Borgo, ove que borghesani vollero nella chiesa di S. Pietro, novamente ristorata, contestare la loro venerazione al Signore in N. di 30 persone, imperciochè fu tutta apparata di damaschi cremisini ed alla porta maggiore, divisi in due spalliere con torcie, lo introdussero nella chiesa ove, cantato il Tantum Ergo doppo in musica, fu di novo ripresa la processione. Furono capi di essa Innocenzo Fabbri, Rocco Andrini, Matteo Dalforte e Carlo Calanchi. Partita la processione seguì una cospicua salva di mortaletti che crepitandone alquanti una povera contadina restò mortalmente offesa funestando così la S. Funzione.
Li 24 d. fu estratto Massaro Fioravante Tomba che intraprese il suo governo il dì primo lulio e così fece il novo Podestà Marco Giulio Bandini. Fu suo notaro Antonio Maria Beliosi sotto il cui governo volle il card. Legato che la Comunità rendesse al med. li conti di sua amministrazione, come ne risulta dalli atti comunitativi Camp. secondo.
Nel mese di settembre d’ordine del card. Legato si fece in Castel S. Pietro la Munizione del formento. Rissulta dal d. Campione al fol. 353 che, essendo guasta la via romana nella imboccatura del ponte sopra il Silaro dalla parte di ponente, vi fu riparato mediante una aggiunta di muro come si vede presentemente e si spese l. 675: 5: 10, essendo pressidente a questo lavoro il Conte Ercole Malvasia.
Trovandosi una fanciulla della famiglia Frascari di Poggio in compagnia di altre fanciulle sue eguali di anni otto a pascolare e sciaquare li majali nel canale vicino alla madonna di Poggio ed essendo cresciuta l’aqua per una botte del molinaro, volle la fanciulla Frascari ridurre colla verga alla riva li majali ma sdrucciolando nell’aqua convenne alla med. tuffarsi nella corrente. Le altre sue compagne gridando ad alta voce ajuto, accorsero li vicini cultori e doppo lungo tratto di strada le venne fatto di fermare il corpo della pericolata, che galleggiava sopra l’aqua. Al qual fatto essendo accorsi ancora li parenti, presa la fanciulla per nome Biagia fu con gran cordoglio portata e riposata alla vicina chiesa della Madonna senza dar segno di vita. Piaque alli Frascari presentarla alla B. V. fra lagrime ed amarissimi singulti e disposta sopra una banca fra poco tempo avvenne che la med. in un punto, rigettata molta aqua dalle narici e bocca, riebbe la vita con stupore di tutti. Ne fu fatta la memoria in tavoletta, come ci lasciò scritto l’acenato D. Alberici.
Morirono in quest’anno nella parochia di Castel S. Pietro 49 creature. Essendosi riparato novamente il ponte di Castel S. Pietro sopra il Silaro, il Senato fece il seguente decreto che noi abbiamo estratto dal T. 17 Patitor. del cav. Carati come siegue: 1608. 18. 9.bre. A riparare il Ponte di Cas. S. P.ro che menaciava ruina dalla parte di ponente il Senato ordinò un riparto di lire mille, l. 1000, per la metà a Cas. S. Pietro e per l’altra metà elle circonvicine comunità.
Estratto Girolamo Cuzzani Massaro intraprese il suo ministero per il primo semestre anno 1609 il dì primo genaro e nel dì 9 d. Lauro di Francesco Bolognini estratto Podestà fece lo stesso.
Sotto il governo di questi sogetti accadero le incluse cose. Nel dì 24 genaro in sabbato il Legato fece impicare in Bologna due villani pubblici ladri da Castel S. Pietro, l’uno detto Calvanella e l’altro non ce lo indicò nella sua Cronaca Emilio Aldrovandi, forse per convenienti rispetti. Li 9 marzo morì in Castel S. Pietro la sig. Alessandra Rigace (credo dovesse scriversi Rigucci) e fu sepolta con grande onore nella parochia. Li 12 maggio si fecero le solite Rogazioni di M. V. di Poggio che non andarono esenti da pioggie. Li 12 giugno morì un filio al Conte Ramazzotto il di cui nome ci tace il Lib. Mortuor. della parochia e fu portato a S. Michele in Bosco in Bologna.
Essendosi preparata una sufficiente raccolta di grano non potette felicemente compiersi, attesa le continue pioggie e gragnuole, per modo che il grano nasceva nelle spiche. Si fecero perciò, come racconta Paolo Emilio Aldrovandi nella sua Cron., non poche orazioni nella città e contado. Abbiamo da MM. SS. del P. Vanti che in Castel S. Pietro si fecero processioni di penitenza nelle quali si distinsero li frati del di lui ordine in questo loco, caminando con funi al collo e piedi nudi alle chiese del paese per tre giornate. A tale esempio fece lo stesso il clero secolare colle compagnie di S. Cattarina e del SS.mo per tre sabbati cantando poscia li salmi penitenziali ne loro rispettivi oratori.
Estratto Massaro il dì 24 giugno Sante Santoni prese il possesso della sua carica il dì primo lulio e così fece il novo Podestà Mario di Cesare Bargellini.
Li 25 agosto stante la abbondante raccolta, essendosi finora venduto il pane venale cinque oncie al bajocco, ordinò il Legato a tutti li fornari che dovessero crescere il pane fino ad oncie nove e mezo per ogni bajocco e perché li fornari in molti luoghi intendevano ciò di malavoglia, così tennero serrati vari giorni li loro forni onde il Legato mandò fuori precetti stampati e li fece affissare alla porta di ogni fornaro sotto gravissime pene a contravenienti e così accadde nel nostro Castello.
Li 17 settembre morì la sig. Contessa Gina in questo Borgo in di lei casa che è quella la quale oggigiorno si chiama vulgarmente de Riguzzi presso al ghetto, fu sepolta in parochia con grandissimo onore.
Li 20 d. morì Ercole Bruni in casa di messer Carlo Bruni, discendenti del chiaro capitano Annibale Bruni. Fino a quel tempo si trova radicata nel nostro Castello e conservata la familia illustra de Bruni derivata dal citato Annibale. Trovo anco in questa epoca stabilita di novo la familia di Matteo Tomba originario de Castenaso che prima chiamavasi de Pizzati, fu facinorosa di gran lunga da cui ne vennero diverse persone armiggere fra le quali ne annovera una ne rogiti di Paolo Abelli not. di Bologna sotto li 4 decembre anno presente d’onde ne riportò per le sue fazioni il nome di Brau, cioè Bravo.
Essendo stata interamente demolita la Rocca maggiore di Castel S. Pietro, che corrispondeva nella piazza maggiore del Castello, Sebastiano e Morello Morelli di Castel S. Pietro ottenero dal Senato di Bologna li 22 decembre per Senato Consulto la investitura in emfiteusi del suolo di quella. Rissulta ciò dal Lib. de Partiti, rogatosi Carlo Barbieri prosegretario del Senato sotto diversi patti, che si addurranno l’anno 1616 in cui fu celebrato l’instrumento. Così terminossi l’anno 1609 in cui morirono sotto questa parochiale N. 51 creature ( Lib. Mort.)
Nel dì primo genaro 1610 entrò Massaro Flaminio Comelli. Chi fosse Podestà per questo semestre le note che abbiamo dell’archivio pubblico non ce lo additano bensì si annunzia nelle altre de la pretura locale che fu il Conte Scipione Zambeccari. Poche ancora sono le notizie che abbiamo in quest’anno.
Volendo l’arcivescovo Paleotti prosseguire la intrapresa fabbrica di S. Pietro in Bologna, mandò una lettera circolare e pastorale a tutti li pievani della diocesi nel dì 25 febraro esortandoli a concorrere alla spesa. Li 16 maggio cominciarono le solite Rogazioni di M. V. di Poggio le quali non andavano esenti da tumulti e risse nella contingenza della benedizione il giorno dell’Ascensione per cui, feriti mortalmente due facinorosi cioè Andrea Giganti della Molinella e Matteo Lorenzetti da Budrio fra di loro, ebbero la grazia di M. V. di non restare morti sul punto delle ferite. Fu pure graziata della vita Camilla Anessi di Castel S. Pietro che, essendo quattro giorni sul parto né potendo figliare, si raccomandò tanto alla S. Imagine, nel tempo che processionalmente portavasi per via Framella ove abitava, raccomandandosi di cuore alla med. nel recitare che faceva l’Angelica Salutazione, diede alla luce una fanciulla che appena nata finì li suoi giorni e per il parto duplicato pel quale doveva morire fu liberata.
Estratto Massaro Nicolò Topi prese il possesso il dì primo lulio e Gualando Ghisilieri investì la carica di Podestà. L’Ospitale di S. Cattarina nel Borgo trovandosi bisognoso di rissarcimenti fu ristorato e così si diede anco il comodo di ricevere malati forestieri, come riscontrasi dai libri de mandati della compagnia, il che si era sospeso per la sua inabilità di fabbrica.
Li 18 ottobre morì in Bologna l’arcivescovo Paleotti a cui vi sucesse li 25 dello stesso mese Scipione Borghesi nipote di Paolo quinto. Li 15 novembre appicatosi il foco nell’osteria antica detta del Montone in faccia al Ghetto durò molte ore e solo perirono in esso alcuni bestiami. Fu attribuito l’incendio a due di Crevalcore per essere stati ivi maltrattati.
La chiesa di S. Giacomo e Filippo di là dal ponte fu ristorata che minacciava ruina dalla parte di levante, terminossi questo anno colla morte di 72 parochiani.
L’anno seguente 1611 fu Massaro per il primo semestre Domenico Simbeni. Il Podestà ci viene indicato nelli atti giudiciali col nome di Marc’Antonio Brunelli.
In alcune memorie MM. SS. della Compagnia del SS. trovasi che in questo anno cominciò la Comunità, per rogito di Girolamo Crescinbeni, a somministrare lire cinquanta alla med. compagnia per le Rogazioni di M. V., lo che vedesi anco posto nelle Tavole de Libri comunitari.
Il novo arcivescovo Scipione Borghesi avendo in vista li bagordi e crapole carnevalesche per le quali si oltrepassavano l’ultima notte di carnevale a cibarsi di vivande di grasso e si contraveniva al precetto del digiuno e vigilia, ordinò per suo bando che alla scadenza della mezanotte dell’ultima sera di carnevale si dessero cento martellate alle campane delle chiese parochiali per che finissero li ridotti ed ognuno si astenesse, all’ultimo colpo accompagnato dal doppio delle campane, di mangiar carne per il digiuno seguente e più non si portassero la maschera sotto gravissime pene il che fu osservato prontamente da ognuno.
Adì primo lulio investì la carica di Massaro per il secondo semestre Gottardi fratello di D. Alessandro Gottardi paroco di S. Donato di Bologna, Podestà fu Carl’Antonio di Francesco Sampieri, suo notaro fu Girolamo Panzachia del quale non si trovano che pochi atti giudiciari. Rogava anco in questi tempi Annibale Fabbri nazionale di Castel S. Pietro.
Li 13 d. venne una tempesta così smisurata con un vento impetuoso talmente che in alcuni luoghi della parte di levante rovesciò molti merli alle mura del Castello. Nel vicino Castello di Fiagnano e Corvara caddero alcune case de Peggi e dei Gallanti.
Il numero de morti in quest’anno non fu segnato nel Lib. Mortuor. a motivo delle carte in alcuni luoghi erose. Adì primo genaro 1612 Fioravente Tomba entrò Massaro e nel dì nono Gaspare di Alberto Pasi fu assunto alla podestaria di Castel S. Pietro.
Innocenzo Fabbri abitante nella propria casa in questo Borgo, ove nell’anno 1350 vi si tenne lo Studio pubblico, avendolo nella massima parte reidificato, vi fece apporre nel proprio cortile il di lui stema gentilizio figurante un leone rampante in campo rosso come le arme de suoi congiunti Fabbri del Castello, sotto il qual stema incisa in macigno vi si legge la seguente inscrizione
Domum hanc
ubi anno MCCCXXXVIII Bononia
interdicta, Liceum publicum habuit
Innocentius Fabbrius
restruxit Anno
MDCXII
Contemporaneamente si pubblicò la Rinoncia del vescovato di Bologna del card. Borghesi fatta a mons. Alessandro Lodovisi.
Li 27 maggio si fecero le solite rogazioni di M. V. di Poggio solo in Castello. La ragione non ce la scrisse il P. Gio. Lorenzo Vanti.
Li 21 giugno, secondo scrive Paolo Emilio Adrovandi nella sua Cro. di Bologna, mandò il Papa a Bologna la sua benedizione papale al card. Maffeo Barberini Legato dando piena autorità al med. di dispensarla al popolo, alle terre ad ai frutti di esse e ciò fece per la inequalità delli tempi che da 20 anni a questa parte predicevano carestie per tutta la Italia e per li gravi peccati e scomuniche, censure ed omicidi ed assassinamenti, comettendo ai preti e regolari ample facoltà di assolvere come nelli ampli Giubilei.
Il Legato, in seguito di tanta autorità, li 24 giugno sopra un alto palco, in figura di pontefice nella pubblica piazza di Bologna, conforme si fece li 9 maggio 1593, eseguì la sua comissione doppo li vespri, dando la benedizione col sono delle campane alzate, acciò tutti li assenti potessero in tal punto godere di tanto bene. Così si eseguì in tutte le parochie della diocesi e ne castelli si fece come in Bologna nelle pubbliche piazze una simile funzione. Data la benedizione in un istante si turbò l’aria e diluviando aqua dal cielo con oscurità simile alla notte durò con ispavento universale mista ad impetuoso vento
Adì primo lulio entrò Massaro Sante Santoni e Podestà Gian Giacomo di Evangelista Vitali. Il Consilio comunitativo, che era ridotto a pochi rappresentanti per le morti accadute nelli individui, furono i loro posti riempiti colli seguenti cioè Vincenzo Mondini, Domenico Gianini, Benedetto Mengoli, Gaspare Antonelli, Alessandro Ruggi e Roco Andrini.
Era il paese in questo tempo fornito di più capitani originari del paese, come nelle memorie ritroviamo scritto, li quali avevano le piazze respettive. Fra questi il cap. Gian Battista Fabbri , Biagio Sgarzi, Biagione Tomba, che fu al soldo de veneziani, e Fabbio Naldi che fu al servigio delli Duca Farnesi e meglio per lui sarebbe stato se fosse stato a Parma di quello che rimpatriare poiché, avendo contratto nimicizie, in giorno di domenica li 21 lulio fu ammazzato da sei uomini alla Toscanella. La familia Tesei molto facinorosa abitante in Saragozza di sotto in questo Castello fu presa in sospetto pel tale omicidio.
Li 18 settembre Paolo V per Breve suo apostolico concesse indulgenza plenaria alle Compagnie del Bongesù le quali la seconda domenica di ogni mese facessero la processione sotto il titolo del Bon Gesù. La Compagnia del SS.mo di Castel S. Pietro la quale aveva incorporata seco, come si disse, la Compagnia del Bongesù, si infervorò vieppiù in tale divozione onde la processione anunziata nel d. Breve si faceva il dopo pranzo doppo li vespri e durò fino alla metà del secolo venturo. Il d. Breve fu confirmato alli Domenicani dall’anno 1613 seguente per che tali compagnie le avevano essi nelle lor chiese ed erano essi li fondatori delle med.
Li confratelli del SS.mo spiccavano la processione dal loro oratorio e cantavano l’inno Jesu Dulcis Memoria, andavano fino alla porta maggiore del Castello colla croce inalberata poi ritornavasi al loro oratorio. Dall’arciprete D. Bartolomeo Calistri (di cui si può cantare Castri tristis memoria) fu sospesa l’anno 1773 con minaccie a confratelli. La Compagnia, che niun documento aveva ma il solo possesso, per non impegnarsi in una lite con un uomo prepotente e troppo favorito dal vescovato e Legazione del card. Boncompagni, suo gran protettore, pensò per il meglio chinare il capo e prendersela perduta.
Si ha per tradizione che questa Compagnia del Bon Gesù in Castel S. Pietro fosse fondata fino dalli primi anni della origine di Castel S. Pietro dal B. Giovanni Schiò Domenicano allorchè quivi predicò alla populazione e non già avesse origine da S. Bernardino da Siena tanto devoto del Nome di Gesù e che instituì ancor egli alcune compagnie nel bolognese sotto il titolo del Nome di Gesù. Noi perciò opponiamo a questa opinione ultima poiché altre sono le compagnie del Buon Gesù ed altre quelle del Nome di Gesù, le quali certamente furono instituite da S. Bernardino da Siena, poi la fondazione della med. spetterebbe a Franciscani e non a Domenicani a quali venne diretto il Breve.
Li 12 novembre furono riparati li morelli e sponde al ponte del Silaro in questa via romana per cui si spesero lire ducento quindici conforme al Lib. Partitor. del cav. Carati T. 17 fol. 203.
Vengono notate N. 90 persone morte in questo anno sotto la parochia di Castel S. Pietro nel Lib. Mortuor.
Il dì primo genaro 1613 entrò nell’officio di Massaro e capo della Comunità Domenico Simbeni per il primo semestre e Podestà Giulio di Lodovico Felicini. Nelli atti della supressa compagnia di S. Cattarina trovasi che in questi tempi ella faceva a sue spese l’Orazione delle 40 ore la settimana Santa, nella qual divozione continuò fino alla fine del presente secolo.
Nel dì 16 aprile D. Alessandro Gottardi di Castel S. Pietro, moderno paroco di S. Donato di Bologna, volendo contestare il suo affetto alla patria, notificò alla Comunità la sua intenzione di beneficare il paese mediante la fondazione di un beneficio lajcale per un povero chierico del paese, lasciandone poscia la nomina alla med. Comunità. Così eseguì nel giorno 20 di questo mese ed anno per li atti de rogiti di Vittorio Barbadori nel vescovato di Bologna. Lo fondò nella chiesa di S. Donato all’altare della Visitazione di M. V.. Si risservò la nomina finché fosse estinta la di lui agnazione e fu assegnato un credito fruttifero imposto sopra una casa posta in Castel S. Pietro nella via di Saragozza di sopra. Il chierico doveva essere nato da onesti parenti del paese, come più diffusamente rillevasi dall’instrumento di fondazione che presso noi si conserva nella filcia de documenti del paese.
A motivo della guerra che facevasi dal card. Gonzaga di Mantova, al che si opponeva il Duca di Savoja, perciò assoldata truppa dal Papa in Romagna fu diritivamente decretato andare al confine. Venne quantità di soldati papalini a Castel S. Pietro il giorno 5 giugno vigilia del Corpus D.ni ed il giorno seguente andarono a Bologna. Era questa truppa composta di fanteria armata di lancie ed archibugi al N. di quattromilla combattenti e più di mille cavalli. Da Bologna andò in guarnigione ai confini dello stato eclesiatico dove doppo quattro giorni furono licenziati e mal soddisfatti, principalmente quelli di Brisighella, onde il loro capitano altercando col generale fu carcerato e patì molto. Tanto ci lasciò scritto Emilio Aldrovandi nella sua Cronica di Bologna.
Essendosi riparato il ponte grande sopra il Silaro dalla parte di ponente il Senato di Bologna ordinò che si mettesse in comparto la spesa alle comunità soggette alla podestaria del nostro Castello. la spesa amontò a L.290 (Carat. T. 17. partit. fol. 261 sotto il dì 28 giugno).
Nel dì primo lulio entrò Massaro Nicolò Topi e Podestà Gozadino di Tomaso Gozadini. Li 21 agosto in casa del Conte Ramazzotto morì il Sig. Tadeo Principe di Gravina il quale era quivi venuto a villeggiare. Fu trasportato in questa arcipretale con quelli onori che si convenivano alla di lui proseppia principesca. La sua sepoltura fu a parte nella capella della B. V. del Bongesù ove era eretta la Compagnia di questo nome. Fu sopra il suo sepolcro apposta la seguente inscrizione in marmo cioè
Tadei de Principatus Gravine
Sepulcrum
Racconta Polo Emilio nella sua Cro. che il giorno 12 ottobre in sabato alle ore 3 di notte fu sparata proditoriamente in Bologna una archibugiata nella schiena a messer Nicolò Fiegna di Castel S. Pietro mercante assai comodo e subito cadde morto. Abitava egli in Brochindosso nella cui strada fu comesso il delitto nel mentre che si andava a casa con un picolo suo figliolo. Per un tal fatto la città si mise in ispavento che in questa vi fossero sicari che insidiassero la via anco ad altri galantuomini.
Per avere non meno il micidiale che per iscoprire altre persone sospette, le porte della città stettero serrate sei giorni e furono fatti prigioni molti più sospetti. L’autore fu Orazio Caprara di Castel S. Pietro il quale fu scortato da Paolo Freddi da Vedrana che era seco quando commise il delitto e le diede ajuto a farlo fuggire e calare con corda le mura della città. Il Caprara se ne fuggì ma il Fredi fu preso.
Morirono in quest’anno in Castel S. Pietro e suo comune 121 creature secondo la enumerazione che abbiamo nel Lib. Mortuor. parochial.
Nel dì primo genaro 1614 entrò Massaro per il primo semestre Domenico Gianini. Chi fosse Podestà non l’abbiamo dalle note dell’archivio bensì nelli atti della giudicatura locale, Bernardino Marescotti.
LI 4 genaro Giovanni di Lodovico Comelli di Castel S. Pietro fu addotorato in medicina a Bologna. Li 31 genaro naque Ottaviano Cavazza, proavo di me Ercole Cavazza scrivente le presenti memorie, furonle genitori Orsola Cantini e Francesco Cavazza. Galicella de Signori di Ceruno, moglie del cap. Gio. Battista Fabbri seniore, morì apopletica e decrepita nel mese di Marzo.
Giovanni del Poggio da Castel S. Pietro, ladro famoso, avendo rubbato formento della munizione pubblica che si teneva in questo loco, fu nel dì 19 aprile in sabbato impicato in Bologna. Costui, secondo scrive il citato Aldrovandi, fu il primo che fosse appiccato alle forche mentrechè per l’addietro fino al 1604 si appiccavano li malfattori ne fenestroni della Ringhiera del Podestà in faccia a S. Petronio. Questa Ringhiera chiamavasi popolarmente l’Orto della Lazarina moglie di un carnefice poiché teneva nella med. ringhiera li suoi fiori.
Nella possessione del Gaggio della familia Tartaglia di Castel S. Pietro, nel Casino, li 15 aprile morì il dott. medico Domenico Bindini del med. Castello come si ha dal Lib. Mortuor. paroch.
Le Rogazioni di M. V. di Poggio che cominciarono li 4 maggio in lunedì non andarono esenti da tumulti imperciochè li Brizzi di Corvara e Ravaglia di Casale da una parte vennero a rissa con li Suzzi di Castel del Rio e Ridolfi di Tossignano, fecero fra di loro alle archibugiate entro il Castello. Durò la baruffa per un’ora continua, onde essendo il paese in iscompiglio, si infraposero li paesani di Castel S. Pietro e per ciò, colla interposizione delli Fabbri, furono assicurati nel Convento di S. Francesco li Suzzi, li quali dappoi il sabato seguente che fu li 9 maggio furono scortati fino ad Imola e d’ivi incaminati per Castel bolognese. Per evitare la strada di Casale salirono le montagne opposte fino a Tossignano. In questo conflitto niuno rimase ferito, quantunque le parti fossero sitibonde di sangue, fu attribuito a singular grazia di M. V. di Poggio.
Nel dì primo lulio entrò Massaro per il secondo semestre Gaspare Antonelli e Podestà il caval. Fabbio di Giovanni Agodiia, il suo not. fu Alberto Rosa.
Li 12 settembre partì di Bologna il card. Legato Barberini e li 17 d. arrivò il novo Legato card. Luigi Caponi fiorentino. Li 25 settembre il card. Alesandro Lodovisi arcivescovo di Bologna fece la sua visita pastorale a Castel S. Pietro in persona. Aveva per suo segretario visitatore gent.mo Lodovico Gozadini. Niente di particolare decretò in questo loco se non che la chiesa dell’Annunziata in questo Borgo e l’Ospitale de Pelegrini fossero esternamente nelle pareti tinti di color rosso per distinguerle dalle altre fabbriche.
Riferisce il citato Emilio Aldrovandi che al principio di ottobre si cominciarono a sentire truppe di banditi, di malviventi e fuorusciti per il contado onde in varie terre furono stabilite le guardie militari. In conseguenza di ciò ritroviamo nelli atti e mandati della Comunità la esistenza in questo Castello di un picolo corpo di Corsi alla guardia del paese e contorni.
In quest’anno solo ottantasette persone morte ritroviamo nel Lib. Mortuor.
Entrò poi Massaro l’anno seguente 1615 per il primo semestre Alessandro Ruggi, il Podestà lo ignoriamo.
Di questo mese Nicola qd. Andrea Nicoli sposò Francesca di Giovanni Castellari, che furono genitori dell’insigne R.mo Nicoli M.M. O.O.
Le Rogazioni di M. V. di Poggio che caddero nel dì 24 maggio in lunedì furono disturbate per cagione del mercato mentre accadde una fierissima baruffa fra li fratelli Morara di Casalfiumanese, colli Agnoli di Tossignano a motivo della bracciatella quivi trasportata per la vendita, ma niuno restò offeso essendosi infraposta la guardia de Corsi che dissiparono il tumulto.
Li 18 giugno giorno del Corpus D. alzatosi impetuoso vento con turbini atterò alcuni merli della torre presso la porta maggiore del Castello, onde alcune persone rimasero colpite ma senza pericolo.
Il dì primo lulio entrò Massaro Domenico Simbeni, chi fosse Podestà non l’abbiamo potuto rinvenire nelle note dell’arch. pubb. bensì dalli atti della giudicatura locale che furono nel P.S. Conte Francescotto Manzoli e per il S. S. Fabbio Gozadini.
Margarita di Valerio Fabbri giovane esemplarissima passò dal secolo alla relligione domenicana in Imola col nome di Virginia. Spiccò molto nella modestia in quel convento non alzando mai li ochi inverso qualunque oggetto se le presentava anco de genitori, onde da quelle monache riportò il sopranome di Suor Modesta. Visse relligiosamente che fu lo specchio di esemplarità alle sue coetanee.
Il Senatore Giovanni Angelelli dichiarato dal Regimento di Bologna ambasciatore al Papa, li 15 novembre partì per Roma e pernottò in questo loco in casa Malvasia, la mattina delli 16 partì convogliato ed accompagnato fino ad Imola.
Le persone morte in questa parochiale per tutto l’anno cadente furono solo 67 come abbiamo dall’elenco nel Lib. Mortuor.
Per le molte pioggie accadute nella parte montana avendo patito il nostro ponte sopra il Silaro ne fu data la conveniente relazione al Governo il quale vi riparò l’anno seguente 1616 con una non indiferente spesa.
Fu Massaro per il primo semestre Domenico Giannini, li nomi e cognomi delli Podestà mancano nell’elenco dell’archivio pubblico bensì notiamo quelli che nei libri della giudicatura locale abbiamo cioè 1616 P. S. Conte Alessandro Barbazza, S. S. Gian Giacomo Bolognini
Pretendeva l’arciprete Cuzzani che li uomini della Comunità alla ocasione di intervenire alle predicazioni si di Quaresima che di Avvento dovessero tenere il loro banco nella arcipretale più basso del solito senza supedaneo e che dovesse accompagnare li altri banchi comuni alla populazione. Ricorse pertanto la Comunità all’arcivescovo per essere mantenuta nella consuetudine. Il Cardinale li 26 genaro ordinò che si osservasse il solito che era quello di essere nel supedaneo il banco comunitativo eguale a quello dell’arciprete.
Replicò l’arciprete non essere convenevole alla di lui dignità. Naquerò per cio amarezze. Fatto di novo constare al cardinale la picca dell’arciprete, il med. cardinale ordinò che si provedesse in modo che la chiesa non patisse ne suoi diritti. In seguito fu concordato che il banco comunitativo si tenesse pari nel postergale alla cattedra dell’arciprete ma quanto al supedaneo fosse minore di quello dell’arciprete ma però più alto delli supedanei delle altre banche della populazione, come si rileva in documento dell’Arch. parroch.
Essendosi poi riparato il ponte sopra il Silaro coll’essersi spese l. 910, il Senato decretò il 28 giugno che tale spesa fosse ripartita alle comunità soggette a Castel S. Pietro come al Lib. Partit. Carati T. 18 fol. 32.
Fu anco in questo tempo accomodata la scuola pubblica di Gramatica ed Umanità come risulta dallo stesso libro Partit. 18. Adì primo lulio entrò Massaro per il secondo semestre Roco Andrini.
Avendo Sebastiano e Morello Morelli juniore ottenuto dal Senato l’anno 1609 per se e suoi sucessori l’investitura emfiteutica del suolo ove era la Rocca grande del Castello a fronte della piazza maggiore, come per decreto delli 22 decembre Rog. di Carlo Barbieri prosegretario del Senato, fu per ciò nel dì 30 decembre anno cadente 1616 a rogito di Valerio Panzachia stipulato il solenne instr.o di concessione sotto diverse condizioni cioè:
1° – Che si pagassero annualmente l. 5 dalli Morelli o suoi sucessori alla Cassa pubblica in Camera del Regimento.
2° – Che di 29 in 29 anni si rinovasse.
3° – Che rimanesse libero al pubblico a diffesa dello Stato occorendo alterare le fabbriche erette sul med. suolo, rimanendo alli Morelli o suoi succ. li materiali.
E finalmente mancando di pagare per anni tre il convenuto canone non incorressero li emfiteuti la caducità della locazione, ma invece di quella duplicassero il pagamento de canoni arretrati.
Il suolo vacuo e terreno dentro le mura del Castello per cui fu fatta la concessione ove era la Rocca e fossa di contorno era di piedi 149: 1/2 in lunghezza, cioè centoquantanove e mezo, ed in larghezza piedi sessantatre, misura di Bologna. Rissulta ciò da documento nell’arch. segreto del Senato segnato lettera D Lib. 12 N. 72.
E’ d’avertire che in questa concessione di suolo non vi fu compresa la torre che era nel prospetto interno della piazza li di cui fondamenti si vedono congiunti al d. fabricato de Morelli e nella superficie del siliciato, come pure non vi entrò la torre ed il baloardo rottondo che sporge in fuori dalla mura del Castello dalla parte di ponente ove la Comunità vi ha fatto un comodo per un inquilino.

  1. Furono li Podestà P. S. Camillo Bonfilioli, S. S. Lucio Beccadelli (atti della Pretura). Massaro novamente Alessandro Ruggi.
    Siccome poi per l’addietro si ritrovavano fanciulli esposti nelle strade e tallora anco semivivi onde poi si portavano alla ruota dell’Ospitale nel Borgo perché non si trovavano li malfattori onde punirli e farse pagare le spese, onde si pretendeva che fosse la Comunità che pagasse, perciò ritrovasi in seguito nelle carte della med. che fu addossata questa spesa alla Compagnia dell’Ospitale di S. Cattarina e di fatti, nell’archivio della med., ritroviamo esservi in quest’anno un mandato che ordina al priore di quella il pagamento in esecuzione dicesi di un decreto dell’ordinario. Le cavalcate per ciò che si facevano dal tribunale egli è ben vero che pagavansi dalla Comunità, che furono poi levate da Benedetto XIV di S. Memoria.
    Li 28 aprile, sabbato avvanti le Rogazioni di M. V. di Poggio, non ostante la dirottissima pioggia fu portata in Castello. Li 30 dello stesso si cominciarono le Rogazioni e processioni che furono fatte colla maggiore divozione possibile stanti li torbidi che nella Lombardia esistevano, poiché il duca di Savoja contro il Duca Gonzaga di Mantova, colegato col Duca di Modena, avevano fra di loro grossissima discordia per il Monferrato, come si disse, a segno di avere impegnato anche le Corone fuori d’Italia, mentre la Savoja aveva per se obbligata la Spagna e Napoli e il Duca di Mantova aveva per protettore il Re di Francia onde si attendevano soldatesche come difatti accadde. Perciò ad oggetto di ovviare alli scompigli il giorno 3 maggio, festa della Ascensione di bon mattina, data la benedizione al popolo colla S. Imagine, fu tostamente e con somma prescia portata alla sua ressidenza. Appena partita, cominciarono ad arrivare cavalleria e fanti provenienti da Napoli spediti dalla Spagna al Duca savojardo in N. di tre milla combattenti tutti bene armati di fucili ed armi da taglio.
    Il Papa perciò, che vedeva in pericolo li suoi Stati non meno che l’Italia tutta, mandò fuori un amplissimo Giubileo eguale alli Giubilei delli Anni Santi per impetrare da Dio la pace.
    Li 3 agosto naque D. Francesco Fabri filio di Valerio Fabbri e di Francesca Ceruni, essendo Massaro Nicolò Topi. Nello stesso mese di agosto Domenico di Marc’Antonio Molinari, che poi passò militare sotto l’armi imperiali a Trieste in qualità di sergente capitano, sposò Antonia di Paolo Garalti e li 15 ottobre Battista di Annibale Cavazza di Castel S. Pietro sposò Perpetua di Battista Avoni. Questi, essendo uomo consumato nella professione di idrostatico, passò nel ferrarese ed indi nel veneziano l’anno 1620 al servigio de signori Pepoli nel qual ministero alla Palata diede prove del suo talento.
    Li 23 agosto partì di Bologna il Vicelegato Girolamo Besio milanese a motivo delle presenti guerre. Li 5 settembre morì messer Pietro Magitelli di Castel S. Pietro in questa sua patria, famiglia che contava cinque secoli circa di domicilio in codesto loco. Fece testamento e lasciò alla Compagnia del SS.mo SS.to lire duecento di q.ni (l. 200) con obligo di una messa ebdomadaria.
    Il deposito del sig. Tadeo Orsini Principe di Gravina, che fino a questa epoca era stato conservato nella capella della B. V. del Bongesù nella parochiale, fu levato e disumate le ossa furono entro una cassa portati alla volta di Roma. Questa disumazione fu fatta con ordine pontificio come si rileva dalla ricevuta fatta all’arciprete nell’archivio di questa parochiale.
    Avendo li Morelli terminata la fabbrica della casa nella piazza publica sopra il suolo ove era la rocca, per rendere maggiormente abbellito lo fecero colorare di rosso e dipingere li contorni alle finestre all’uso di questi tempi e successivamente nel mezo alla facciata vi furono poste le armi del pontefice, del card. Legato, del Senato e Vicelegato colla sottoposta seguente inscrizione che poi maliziosamente fu levata dalli gesuiti perché non restasse a notizia de posteri il diritto del pubblico sopra questo suolo.
    Aedes has extenuatas
    A Sebastiano et Morello de Morellis
    in arcis magne hujus Castri solo
    ex Sen. Cons. Bon.
    In Emfiteasim concesso, rursus tamen
    Excitande Arcis sibi Jure servato
    In Comunis subsidium si opus fuerit
    Esto Posteritati Monum. hoc consultu……
    MDCXVII
    Le persone morte in quest’anno in Castel S. Pietro furono N. sessanta.
    Giunto l’anno 1618 entro Massaro capo della Comunità Gaspare Antonelli. li Podestà furono P. S. Conte Zambeccaio Zambeccari, S. S. Pretore Giovanni Benini.
    Essendo stati condannati alla morte sei banditi capitali che andavano alle case ad assassinare sotto nome della Corte, legando, incatenando le persone e battendole inumanamente e tallora le toglievano la vita, poi li levavano la robba, furono giustiziati il giorno 28 aprile in Bologna. Fra questi eravi Lodovico Dalmonte alias de Rossi con altro suo compagno di Castel S. Pietro, il loro patibulo fu di appicarli alle finestre del palazzo pubblico.
    Per onorare maggiormente le Rogazioni di M. V. che cadero li 21 maggio la Comunità di Castel S. Pietro confermò la determinazione fatta di dare alla Compagnia del SS.mo l. 50 in perpetuo, al qual effetto le pose nel riparto delle gravezze comunali. Oltre ciò decretò che in avvenire si facesse fare nella pubblica piazza del Castello un alto palco ove la S. Imagine, vista da tutta la populazione, le desse in quella eminenza la S. benedizione pagando all’artefice annualmente uno scudo romano.
    Petronio di Nicolò Zoppi di Castel S. Pietro fu fatto in questi tempi capitano di truppe di linea pontificie e, secondo ci lasciò scritto Gio. Giacomo Brochi nella sua Cro. delli Uomini Illustri del bolognese, passò in questo anno per capitano de veneziani nella Dalmazia, poi passò al servizio de lucchesi nelle loro attuali guerre. Racconta lo stesso autore che di quest’anno de ottobre furono creati li Cappuccini in Castel S. Pietro, volle forse dire l’ospizio poiché abbiamo altri documenti in contrario.
    Nel principio del secondo semestre di quest’anno entrò capo della Comunità Alessandro Ruggi per la prima volta ed ultima. Il calmiere del grano fu fissato a lire otto per la mediocre raccolta.
    La Compagnia di S. Sigismondo di Bologna in N. di 50 confratelli venne a Castel S. Pietro pomposamente con musica ed instrumenti da viaggio portandosi ad Imola a visitare il corpo del loro santo protettore, ciò fu li 11 settembre, la mattina del 12 andarono ad Imola. Il loro ritorno fu li 13 d. ed entrarono in Castel S. Pietro col loro inalberato stendardo essendo stati prima incontrati alla chiesa di S. Giacomo al ponte sopra il Silaro dalla Compagnia di S. Cattarina che col clero ed arciprete, cantando salmi, furono introdotti nella arcipretale alla visita del SS.mo e dappoi andarono a riposarsi alla chiesa di S. Cattarina, ove cantossi da loro musici il Tedeum, quale terminato seguì una copiosa sparata di mortaletti.
    Li 29 d. giorno di S. Michele morì Mattia padre di Vincenzo Mondini, uomo chiaro nelle lettere.
    Li 28ottobre sotto il provincialato di P. Macolino di Brisighella, detto da Faenza, in una congregazione provinciale (essendo Pressidente apostolico il P. Ottaviano d’Ancisa P. dell’ordine), tenutasi nel convento dell’Annunziata di Bologna, fu dichiarato Convento questo ospizio di Castel S. Pietro col mantenervi dodici religiosi. Sotto il ministero del qual Pressidente apostolico furono eretti anco in Conventi contestualmente li ospizzi di Fiorenzuola e Galtieri. Serve questo nostro convento di Castel S. Pietro molto al comodo de passeggeri.
    In questo anno il N. de morti nella parochia di Castel S. Pietro ascende al N. di 105.
    L’anno 1619 entrò Massaro Nicolò Zoppi per il primo semestre. Podestà P. S. Ercole Amorini.
    Li 26 maggio facendosi il lunedì mattina la processione delle rogazioni colla B. V. di Poggio per il Castello ed essendo ammonito Pietro Cavalazzi di Castel bolognese a sgombrate la strada onde passasse colla processione la S. Imagine, ricusò costui. Avvenne pertanto che, ingiuriando chi l’ammoniva, quando fu appresso la S. Imagine alla Rivazza a cui era attaccato il suo, in guisa che si diede alla fuga. Volendolo fermare il Cavalazzi precipitò sotto al cavallo e birozza e si fermò sotto la porta del Castello strascinando seco e lasciandolo semivivo il vetturale.
    Restò esso offeso mortalmente e quello che si riconobbe in questo caso si fu che niun’altra persona restò offesa. Ravedutosi il disaventurato della sua poca venerazione, essendo portato nella locanda vicina del Moro per essere curato, chiese con tal fervore perdono a M. V. la quale, nel partire dal Castello il dì 9 maggio giorno della Ascensione, egli, forzandosi di vedere la S. Imagine, corse alla finestra e fra calde lagrime raccomandandosi alla med. in poche giornate ritornò sano al suo paese.Ogni anno perciò finchè visse venne alla S. Imagine sempre il lunedì delle rogazioni a visitarla ed accompagnarla processionalmente con lume ad edificazione di chi l’osservava.
    Li 4 giugno la Contessa Elena, filia del Conte Giacomo Pepoli e della sig. Smeralda Querciola consorti bolognesi, nata alla villeggiatura Gajana, detta ora Palazzo Coccapani, fu batezzata con grande onore in questa arcipretale di Castel S. Pietro. Fu levata al S. Fonte dal sig. Girolamo Merighi imolese e Cattarina Broselli come si ha dal Lib. Babtisat..
    Domenico Simbeni il primo lulio entrò Massaro. Podestà fu Lorenzo Melara cavaliere, il quale al termine dell’anno vi pose la seguente inscrizione in macigno sotto il di lui stema nella Casa del Consilio
    Laurentius de Vasse Petramellarius Pretor
    Secundi Semest. Anno MDCXIX
    Li 17 agosto morì Giulio Orsolini medico condotto di Castel S. Pietro. Questi essendosi, per la sua dottrina, beni di fortuna e nascita civile ed ottima educazione, reso talmente affetto a chiunque, che stabilì li suoi discendenti nel paese. Si fece una comoda abitazione nella piazza di S. Francesco, detta anco piazza di Saragozza in faccia alla chiesa e convento, formando angolo nella rivolta che porta alli palazzi Locatelli e Malvasia ove alli primi anni doppo il 1700 il principe Galeotto Pichi, fuggiasco dalla Mirandola, si fabbricò poscia la sua abitazione. Passò tal casa per di lui testamento ai P. Gesuiti di Bologna indi alli fratelli Antonio, Alessandro e Pietro Sarti, Lorenzo e Mariano Sarti e finalmente al not. ser Francesco Conti, come ne miei rogiti.
    Che il dott. Giulio Orsolini piantasse quivi il suo casato lo rileviamo da un pubblico rogito di ser Anibale qd. Domenico Fabbri notaro del paese celebrato l’anno 1616 colla seguente descrizione. Ex.mus Artis et Medicine Doctor D. Julis qd. Vincenti Orsolini oriundus de terra Tauxiniani Jurisdictionis Ex.mi D. Ducis de Altemps. Longevies habitat. in Castro S. Petri.
    Li 19 agosto morì pure il dott. medico Giovanni di Lodovico Comelli di Castel S. Pietro in Bologna e fu sepolto in S. Vitale.
    Di questi giorni viveva Domenico Gavoni, uomo assai temuto per essere manesco con tutti a cui il popolo le pose il nome di Manesco, delle sue azioni ne sono pieni li criminali di ogni luogo che noi li omettiamo per essere scandalosi.
    Li due fratelli Marc’Antonio e Flaminio Campana oriundi di Castel S. Pietro, discendenti del famoso Alessandro Campana e da Vespasiano Campana, li 24 settembre, essendo sempre vissuti senza moglie, fecero venire a Bologna da Cremona a sue spese quattro monache e loro assegnarono la abitazione per convento una casa in strada S. Stefano comprata li 21 ottobre. E perché si vestissero citelle donarono al convento una entrata di scudi 200 annui. La chiesa fu dedicata a S. Gabriele Arcangelo, nella med. chiesa avvi la memoria.
    Li 20 ottobre fu fatto il calmiere al grano di l. 9 la corba.
    Li 19 novembre fu impicato a Bologna Francesco Lasi de Castel S. Pietro e Michele Angiolo Montanari imolese. Il primo non si potette mai comunicare non ostante che desiderasse di farlo e pregasse il sacerdote il quale qualvolta si appressava la particola alla bocca se le inchiodavano li denti e così ne fu ragionato che ciò accadesse poiché avendo rubbate pissidi col SS.mo egli le avesse ogni volta sagrilegamente ingoiate, tanto ci riferisce Emil. Adrovandi nella sua Cron.
    Siccome poi nel Consilio di Castel S. Pietro vi mancavano alcuni consilieri così nel dì 27 decembre furono eletti Bartolomeo Cuzzani, Innocenzo Fabbri, Gaspare Pirazzoli e Gio Battista Baldazzi, onde li uomini che componevano la Comunità erano li seguenti secondo la loro anzianità.
    Giovanni Annesi, Domenico Simbeni, Fioravante Tomba, Flaminio Comelli, Rocco Andrini, Sante Santoni, Benedetto Mengoli, Nicolò Topi, Vincenzo Mondini, Domenico Gianioni, Alessandro Ruggi, Gustavo Antonelli, Bartolomeo Cuzzani, Innocenzo Fabbri, Gaspare Pirazzoli e Gio. Battista Balduzzi.
    In quest’anno Matteo di Francesco Maria Mondini fu addottorato in Legge in Bologna, per la sua dottrina poi fu eletto ajutante della publica Segreteria della stessa Città li 22 genajo 1658 e pubblicò colle stampe un libro intitolato: Informazioni politiche morali, o siano assetti civili per chi da Genio è piegato alla Corte. Ne abbiamo la stampa fatta in Bologna per il Barbieri in 12. In fine del quale libro vi sono 50 epistole dirette alli 50 Senatori di Bologna. Oltre questi opuscoli si ritrovano altre composizioni stampate in carte volanti ed in Raccolte di poesie latine e toscane. Ebbe il med. fra gli altri figli un filio naturale che fu uomo ancor esso di dotrina, laureato in filosofia e medicina nella Università di Bologna, andò questi nel grande ospitale di Firenze dove, con singulare onore, fece l’officio di Astante molto tempo e portò la palma di ecelentissimo fra gli altri suoi coleghi. Tornò in patria chiamato dalla Comunità dove morì, dispiaciuto da tutti, l’anno 1717 in età cadente.
    Fu poi Podestà, come dalli atti giudiciali, per il P. S. Filippo Caldarini. L’anno seguente 1620 entro capo della Comunità Alessandro Ruggi. Nel corrente genaro il sig. Gio Antonio Salavoli della parochia di S. Giuliano di Bologna sposò la sig. Olimpia di Benedetto Mengoli di Castel S. Pietro e fu mediatore il Conte Francesco Ramazzotti (Lib. Matr. Paroch.).
    Li 2 febraro, giorno della Purificazione di M. V., fu pubblicato un Giubileo per due settimane intere ordinando il Papa processioni di penitenza per ottenere da Dio misericordia nelle presenti contingenze di guerre ed epidemia.
    Nel mese di marzo il sig. Antonio di Domenico Tita di Bologna sposò la sig. Bianca di Francesco Gavoni di Castel S. Pietro in questa parochiale.
    Fatte le Rogazioni di M. V. di Poggio cominciate li 25 maggio, dovendosi portare la S. Imagine alla sua ressidenza, il giorno della Ascensione sopragiunse una dirotta pioggia che incessantemente durò fino alli 31 giorno di domenica in cui solamente la sera fu portata via. Nel tempo che quivi stette fu molta l’affluenza de cattolici a visitarla di mattina e sera, accadde per ciò che il venerdì antecedente alla sua partenza, dopo essere cantate le sue laudi nell’oratorio del SS.mo, discendendo lo scalone del medesimo due fanciulli correndo rotolarono nella parte di Costanza Astorri così che la medesima balzò tutta la scala, doveva morire sul colpo ma, invocata M. V., si slossò solo la spalla sinistra, la mano destra e franse il capo. Riconoscendo la pericolata essere stato un miracolo della B.V. non usò altro remedio che l’unzione delle parti offese ( rimesse la lossazioni al suo posto) coll’olio ardente avvanti la S. Imagine, poi fece voto andare tre sabbati scalza se perfettamente guariva alla visita di quella a Poggio. Tutto le riescì perciò felicemente e guarì in meno di un mese.
    Adì primo lulio entrò Capo della Comunità Gaspare Antonelli, Podestà fu Giacomo Prati e suo not. Gio. Battista Cesari bolognese.
    La raccolta fu scarsa ed andò il calmiere a l. 10.
    Tostamente li 19 ottobre l’arcivescovo Lodovisi rinovò la sua visita pastorale in Castel S. Pietro mediante il canonico Lodovico Bonfilioli che aveva seco per Visitatore, ordinò che li conti li quali si tenevano da borghesani dell’oratorio o sia chiesa dell’Annunziata si dovessero rendere all’arciprete. Fu ristorato in quest’anno pure l’altare di S. Michele, ove ora è la capella del Rosario in questa arcipretale, e vi sta dipinto con M. V. e S. Domenico, opera dell’egregio Orazio Samachini. Quest’altare era jus patronato della familia Rota di Castel S. Pietro, in esso vi fu eretto un beneficio lajcale della d. familia come si scrisse, rilevasi ciò da inventario di Gio. Battista Rota che ha un fondo di lire mille di Bologna, il d. Rota fu presentato dal sig. Giulio Cesare Rota detto comunemente Dalle Rode. Tal beneficio divenne in questo tempo jus del signor Cesare Gnitti, altra familia originaria ed antica di Castel S. Pietro che poi stabilissi in Bologna. Più memorie di questo beneficio, che ora si gode dall’arciprete D. Bartolomeo Calistri, si possono avere nel vescovato di Bologna al Lib. Instituzion. per cui vi sono state molte liti.
    In quest’anno fu laureato in utroque Domenico di Lodovico Comelli di Castel S. Pietro. Fu il med. del Colegio de Giudici ed avvocato in Bologna, fondò il Colegio Comelli l’anno 1663 come da inscrizione sopra la porta del med. Colegio in strada Maggiore di Bologna. La di lui abitazione in Castel S. Pietro era quella che al presente, come per il passato, esiste presso l’imboccatura del chiavicotto maestro che riceve dalla via maggiore le aque pluviali del Castello e posteriormente confina con altra casa del fu sig. Nicolò Comelli di lui congiunto e che al presente spetta all’altare di S. Andrea e Crocifisso nella parochiale alla capella del Rosario.
    Il sig. Sebastiano Morelli, zio di Giovanni, morì in quest’anno in Bologna. Avevano li detti Morelli la loro sepoltura nella chiesa di S. Stefano come riferisce il testamento del d. Giovanni, rogito di Gregorio Vecchi pubblicato in maggio del 1634. Questo sepolcro fu assegnato dall’Abbate e monaci di S. Stefano all’altare di S. Nicola coll’obligo della celebrazione della festa al d. santo solennemente ed una messa ebdomadaria come per rogito di Angiolo Michele Barbieri rogato li 16 marzo 1571.
    Estratto per capo della Comunità Benedetto Mengoli per l’anno 1621, prese il possesso il dì primo genaro e li 9 d. Ercole Bonfilioli Podestà estratto per il presente semestre, fece lo stesso.
    Su la fine di questo mese fu sospesa la maschera per la grave infermità di Paolo V Papa, il quale all’entrar di febraro finì la vita, andarono perciò li cardinali a Roma, Legato ed arcivescovo. Li 11 febraro giunse la nova della elezione del nostro arcivescovo Lodovisi in sommo pontefice che si chiamò Gregorio XV.
    Appena giunta la nova la plebe della città saccheggiò la casa del Bargello del Torrone e suo caporale, detto Sfregino, a quali fu tutto levato per fino le porte ed usci e finestre indi spianate le loro case. Il motivo si fu che, gridando per la piazza: Viva Casa Lodovisi, si volle opporre il Bargello col d. Sfrigino caporale e sbirri onde furono respinti e si appiattarono nel vicino palazzo del Podestà. A tal rumore affacciossi alle finestre il Vicelegato mons. Francesco Nappi e gridando che si andassero a casa li sollevati, intese per ciò il popolo che si andasse alla casa del Bargello , così seguì, vi andò la gleba e ne accadde perciò il saccheggio e la ruina.
    A tal nova si fecero da per tutto allegrezze. A Castel S. Pietro li Fabbri, Ramazzotti, Scasilioni e Comelli fecero gettito di pane e danari alla plebe del paese e la sera del 28, facendosi fallò nella piazza, si levò gran vento che trasportando faville di foco si appiccò foco alla vicina casa de Morelli ma fu tosto dal popolo la mattina seguente spento.
    In quest’anno trovo per la prima volta che la Compagnia del SS.mo fece la Prioressa per le funzioni e fu in allora la Priora, che diede per elemosine lire cinque, la signora Francesca Fabbri Simoni.
    Secondo il costume, come si disse, di fare il baccanale delle Contesse il primo giorno di maggio, avendo li Ricardi in questo anno e Cristoforo Ulivieri una fanciulla di anni sei sotto il portico della Comunità per contessa da una parte ed Angiolo Michele Comelli dall’altra parte, sotto il portico de Fabbri in faccia alla piazza una fanciulla di otto anni circa filia di Aurelia Fabbri di lui consorte e, cantandosi vicendevolmente da una parte all’altra stroffe e cantilene, vennero le cantatrici assistenti a provoche così che gareggiando fra di loro si passò alle contumelie onde, rissentendosi li Olivieri, Ricardi e Mondini passarono essi alle offese contro li Fabbri e Comelli, furono perciò prostrati li palchi delle fanciulle. Tanto fu il rumore che la metà del paese venne in insurezione ma fu per necessità calmato col beneficio della notte onde, benchè le persone fossero armate, nulla accadde.
    Egnazio Grassi di Castel S. Pietro di anni cinque attaccato dal vajolo gravemente, avendole data la fantesca che lo guardava varie monete di rame, egli trastullandosi con esse ne ingojò una, quale fermatasi nel gozzo perdette la voce. Chiamati li professori di medicina per socorrere il fanciullo, non si potette estrarre che però, essendo disperati li genitori e ritrovandosi nel paese il giorno 17 maggio per le consuete Rogazioni la miracolosa Imagine di Poggio, ricorsero fiduciosamente a questa, presentarono il fanciullo alla med. e fecero il voto ad essa che se gli liberava il fanciullo l’aurebbero visitata per sei sabati alla sua ressidenza colla celebrazione ogni volta di un sagrificio, e fu tanta la confidenza in Maria, alla quale il fanciullo inalzando li ochi ad indicazione della madre verso la S. Imagine, che cominciò a starnutire cosichè, data ad una frequenza di starnuti, in uno di essi impetuosamente e consecutivamente ad altri due preventivi vomitò la ingojata moneta. Riconosciutasi la grazia ed il miracolo di M. V. portarono il voto alla med. e compirono la loro obbligazione. Questa grazia come le altre sucessive, che nararemo per le più cospicue fra le altre lasciateci scritte da D. Giulio Alberici custode della S. Imagine a Poggio, le riporteremo alle sue epoche massime quelle accadute a Castel S. Pietro.
    Fattasi scarsa la raccolta fu elevato tosto il calmiere alla somma di l. 12: 10 per corba il grano. Il dì primo lulio entrò Capo della Comunità Nicolò Topi e per Podestà Andrea Ghissardi.
    Francesco Maria Graffi del colonello di Alfonso maritò sua filia Polissena in Sante di Sebastiano Sassatelli oriondo imolese e di ceppo spurio de Conti Sassatelli. Abitavano li d. Sassatelli nel Borgo di questo Castello ed erano di sufficienti sostanze.
    Memori li frati Eremitani dell’ordine di S. Agostino degenti nel convento di S. Bartolomeo delle beneficenze avute dalla familia Marini e particolarmente di Marino Marini di questo Castello, il quale ultimamente le aveva fatto ornare l’altare maggiore di questa sua chiesa con un quadro dipinto in tela da Giacomo Cavedoni, eccelente pittore bolognese, come si vede rappresentante S. Agostino, S. Monaca e M.V. in gloria e sottoposti l’angiolo Michele che preme il demonio ed a fianchi S. Marino Diacono e S. Bartolomeo Apostolo, le diedero le dovute rimostranze col apporvi nel loro coro una condegna memoria incisa in macigno nella quale si espongono le obbligazioni ancora che tiene questo convento a beneficio spirituale e temporale della nostra populazione il di cui tenore si riporta come siegue cioè:
    D. O. M.
    Patris S. Bartolomei in hoc sacello sumptibus
    Eorum ornato, quotidie una Missam
    Et quotanis anniversaria quinque celebran.
    Certamque panis et pecuniarum summam
    Statutis Diebus in anno Pauperibus
    erogare tenentur pro anima magnifici
    Marini de Marinis ex fructibus
    Ejus Hereditatis ut in ultimo eius Codicillo
    Per D. Jo. Bab.tam Chiochius rogat
    Anno D.ni MDCCXII cal. Jul.
    PP. A. MDCXXI
    Fecero essi padri però a spese del convento l’ornato al med. quadro di legno profilato d’oro ed intagliato spendendo lire duecento di Bologna.
    Morirono in quest’anno nella parochia di Castel S. Pietro 99 creature (Lib. Mort. Par.)
    L’anno seguente 1622 entrò capo della Comunità Flaminio Comelli per il primo semestre. Furono Podestà del 1622 P. S. Giovanni Angelelli, S. S. Camillo Gessi.
    Era così onorevole la carica di prioressa della Compagnia del SS.mo in questo Castello a motivo delle Rogazioni e del bene spirituale che in esse facevasi onde per fino le dame ed altre persone nobili bolognesi ambivano investire tal carica. Fu perciò in quest’anno prescielta la nobil Donna signora Cattarina Malvasia di Bologna dello stipite senatorio, sua compagna prima la signora Leona del Conte Ramazzotto di Castel S. Pietro, seconda compagna signora Lucia Ricardi ambe di Castel S. Pietro.
    Perché questo paese poi è il luogo più ameno del bolognese e situato in mezo la Provincia delli Agostiniani, detta volgarmente Provincia di Lombardia, così dalla Relligione fu fatto il dì 15 aprile 1622 il Capitolo Provinciale in questo convento di S. Bartolomeo, essendo in esso priore il P. Baciliere Marino Marini nazionale, fu eletto per ciò Provinciale il R. P. Paolo da Bologna Lettore, essendo Generale dell’Ordine il P.re M.ro F. Fulgenzio da Monte Giorgio, poi per pieni voti segreti del Diffinitorio fu confirmato priore di codesto convento il d. P. Marini anco in grazia di essere egli e la sua familia benemerita della Relligione.
    Questo è il primo Capitolo provinciale delli agostiniani di d. Provincia che ritroviamo nelli atti esistenti in S. Giacomo di Bologna, fatto nel nostro convento di S. Bartolomeo di Castel S. Pietro.
    Li 13 maggio la signora Taddea Caldarini nobile di Bologna, moglie di Alessandro Serpa di Castel S. Pietro, prese possesso de beni ereditari e specialmente della casa esistente presso la canonica di questa arcipretale dove, nella faciata superiormente presso la stilicidia, vedesi lo stema Serpa inciso in macigno rappresentante un biscione. Questa familia illustre di Castel S. Pietro antica e ricca restò totalmente estinta. Dalli atti di Paolo Monari in questa epoca si ritrova prodotto un inventario di tutti li beni che passarono dappoi in casa della senatoria familia Caldarini.
    Stante le continue lordure che si facevano in Bologna alle Imagini di M. V. e di X.to ed altri Santi unitamente alli improperi che vi si scrivevano sotto e molto altro e diverse iniquità di eretici, che per il corso di sei anni a questa parte non si erano potuti scoprire, anco mediante taglie e premi alli accusatori, ordinò il Vescovo che anco per il contado e diocesi si facessero orazioni per iscoprire li malfattori.
    Quindi in Castel S. Pietro si fecero processioni di penitenza da Battuti di S. Cattarina, Compagnia del SS.mo e francescani colla esposizione del SS.mo nella parochiale per tre sere continue alle quali vi intervennero le d. corporazioni.
    Racconta il P. Gian Lorenzo Vanti nelle sue memorie MM. SS. che per questà iniquità propagate nel contado e per il poco rispetto a Dio e suoi santi certo Petronio Scarabella del Medesano, calzolaro di ventura ed ambulante
    pel territorio, detto per sopranome Scaramuzzo, e famoso giocatore, doppo di avere perduto tutto il danaro in Castel S. Pietro in una bettola andando verso la di lui patria disperato sull’imbrunire del giorno li 5 aprile, tenendo la via della Madonna di Poggio, quando fu verso la chiesa della B. V. sull’ora di notte un uomo grande, presolo per la gola, tentò di soffocarlo, ma gridando ajuto Maria, ajuto sparì l’assalitore lasciando all’infelice lividure.
    Essendo carestia grande di pane convenne in questo tempo fare il pane misturato di fava e mistoche di miglio. Si vendeva il pane di fava due quattrini l’oncia e così un bajocco ogni pane che era di tre oncie ed il calmiere non si attendeva per nulla.
    Li 22 giugno tutto il giorno si sentì scuotere la terra, nella Romagna si fece sentire più di ogni altro luogo il teremoto.
    Il dì primo lulio entrò capo della Comunità col nome di Massaro Domenico Gianini, il Podestà chi fosse ce lo omettono le carte dell’archivio.
    Li 23 d. Carlino Varani da Lojano, Sabatino Quartieri da Castel S. Pietro, Giovanni Paolo da Casalechio de Conti della familia Nardi e Nicolò Montanari, assassini di strada li quali nelle nostre vicinanze e nelle larghe di Maggio comettevano crassazioni col stare nascosti poi nelle grotte di Casalechio e Varignana ed in altri luoghi della nostra colina, furono appicati e squartati e mandati li quarti ai luoghi de comessi delitti.
    Furono contemporaneamente scoperti li malvaggi che sporcavano le madonne e le fu data la condegna pena come si può leggere nella mia Cronaca di Bologna ed in altra cronaca di Giacomo Bolzi di Minerbio che conserviamo con altri opuscoli ne MM.
    Li 28 lulio suor Orelia Ronzani di Castel S. Pietro terziaria di S. Francesco morì in questa sua patria in ottimo aspetto di relligione. Finì li suoi giorni santamente nella casa messer Batista Forni e fu sepolto in S. Francesco.
    In Bologna morì parimenti nelle Monache di S. Maria nova suor Marina Amorati conversa orionda di Castel S. Pietro che fu bona serva di Dio e di grande orazione. Le sue ginochie erano incalite come quelle di un camello. Di essa ne scrisse il Masina fol. 30 facendola bolognese come ha fatto F. Bernardino Domenicali del quale ne scriviamo a parte il di lui elogio.
    Li 21 settembre morì pure in Castel S. Pietro Vincenza Calcina terziaria di S. Francesco de Minori Oss.ti, abitava nel Borgo, fu sepolta in questa chiesa di S. Francesco. Si vede da questa memoria che abbiamo estratta dal Lib. Mortuor. della parocchia che in questo paese esistevano monache francescane terziarie le quali erano coltivate da questi P.P. M.M. O.O.
    Li 6 ottobre il sig. Morello Morelli nazionale di Castel S. Pietro, che fabbricò la casa nella piazza maggiore, come si scrisse, morì quivi in casa propria ma poi fu portato il suo corpo a Bologna per sepellirlo nell’avello de Morelli in S. Stefano.
    Li 9 d. Antonio Poggi di Corvara, giovine di anni dieciotto, fu ucciso con archibugiate in Castello. Li 13 d. Francesco Calanchi detto Sparaviere, uomo vechio ma torbulento, nazionale del paese morì alla Boldrina fuori del Borgo con morte acceleratali in bevanda da suoi figli.
    Rogava in questi tempi in Castello Gio. Lodovico Zanettini not. che faceva le veci anco di criminalista.
    Li 23 novembre messer Matteo Tomba fu amazzato nel Borgo con archibugiata dal Paniga bravo e fu sepolto in parochia. Era not. officiale delle cause civili in questo loco Calisto Fiorentini, che alle sue mancanze supliva il sud. Zanettini. Abitava il d. Fiorentini colla sua familia in Castello ove in quest’anno le morì un filio.
    Li morti di quest’anno furono N. 124 come nel Lib. Mort.
    Giunto l’anno 1623 entrò Massaro per il primo semestre Benedetto Mengoli. Manchiamo pure nel d. elenco ancor quest’anno della nomina del Podestà, dalli atti però delle podestarie abbiamo per i P. S. Luigi Rossi, S.S. Bartolomeo Lambertini.
    Lucia Sega filia di Mariano si conjugò con Domenico Corolupi, la prima era di una famiglia antica del paese, da cui riportarono li nominalia li fondi che possedevano, ed erano due possessioni una nel quartiere della Lama detta la Sega, in confine della possessione della Santa, come rilevasi dal Campione delle Primizie, l’altra possessione era pure denominata la Sega nel quartiere del Gaggio lungo la via che va a Medicina e si possiedono da Conte Gini, finalmente un altro fondo nel quartiere sudetto Lama denominato la Casetta dei Sega. La Famiglia Corolupi poi è antica del paese sebbene il d. Domenico fra non molto andò nel Medesano, dal quale mediatamente ne venne poi Sante Coroluppi, che fu uditore del Card. Banchieri a Ferara, ed ultimamente Vicario generale nel vescovato di Bologna.
    Perché in questo tempo trovavasi afflitta la città e contrada di Bologna per la carestia di viveri, infermità ed altri mali che si comettevano, dal suffraganeo di Bologna fu fatta supplica al Papa onde si degnasse di una assoluzione generale e benedizione apostolica. Aderì il Papa con amplissima indulgenza, ed il tutto fu concesso a suffraganeo Mons. Angelo Gozadini bolognese. Questi il 26 febraro ordinò tanto alla Città che al contado su la ora 24 e mezo, sentito lo sbaro del canone e suono di campane, ogni catolico dovesse inchinarsi e riceverla dal med. che aquistava la indulgenza plenaria purchè confessato e comunicato, il che fu eseguito prontamente.
    Li 19 Marzo il teramoto si fece sentire spaventevolmente in questo Castello e Borgo senza però danno delli edifici e persone.
    Ma perché la benedizione passata si diede in Bologna nel Duomo, fu perciò questa eseguita nel nostro Castello nella pubblica piazza, luogo opportuno per la popolazione, dove il Parroco, doppo breve e fervorosa esortazione, in nome del papa benedì tutti li individui accorsi e le altre persone menorate nel chirografo apostolico.
    Il giorno primo maggio, seguendo lo stile antico di piantare il Maglio la mattina sul far del giorno, li Tesei accompagnati da altri suoi amici piantarono avvanti la porta di Francesco Gattia il Maglio per farle lo scherzo più sensibile, che fu poi motivo che si perdette l’armonia e bona amicizia fra queste due familie donde ne vennero poi funeste conseguenze. Questo Maglio consisteva in un grosso fascio di rami di sambuco e pioppo, e le fu intrecciato avanti la porta in modo che volendosi partire di casa convenne prendere persone per sviluparne l’intreccio.
    Li 22 maggio giorno di lunedì primo delle rogazioni cominciò dirotta pioggia, che prosseguì tutto il tempo delle rogazioni, non si potettero effettuare le consuete processioni e inserenossi il tempo solamente il giorno della Ascensione, tanto che si diede la benedizione alla B. V. ed il sabato seguente solo fu trasportata a Poggio.
    Il giorno primo luglio entrò Massaro Alessandro Ruggi e Podestà Bartolomeo Lambertini, fu il suo not. il nomato Fiorentini.
    Avevano li frati francescani in questo Castello un piccolo vicolo alla sinistra della loro chiesa, che intermediava la med. e l’orto Rondoni e metteva capo fuori dal Castello come ora si vede quindi, per riparare al poco rispetto, che ne veniva alla chiesa, e per formare clausura, diedero supplica alla Comunità onde chiudere tal vico. Aderì la Comunità, fu portata l’istanza ad assenso al Senato, ed il med. fece il seguente decreto : Die 29 Augusti 1623. Congregatis Ill.mis et Exl.is Viris D.D. Refformatoribus Status Libertatis Civitatis Bononie in Camera. E.mi et R.mi D. Cardinalis Legati in N. XXVIII in eius presentia ac de ipsius Consensu et Voluntate inde Partitum inter ipsos positum et dotentum fuit. Vid. Patres conscripti per suffragia XXV affiremativa facultatem tribuerunt (…) R. R. Patribus Frat. in Cenobio S. Francisci Castri S. Petri degen. claudendi viculum eorum eclesia coherentem quique ducit ad muros castri inc.tis tamen sub conditionibus vulgari idiomate exprimens et quarum Inplemens iidem fratres cum hominibus Camunitatis eisdem Cast. parte se obstrenxerunt, consensunque. clausure p.ti vinculi ab iisdem sunt craseunti videlicet. Che li padri facino un ochio uniforme alli altri del portico della loro chiesa, e facciano un Portone nel collochio, che chiuda attaccato allo spigolo della chiesa, e tirino la muraglia rimpetto alla colonna del portico unito a quello dell’orto Rondoni, e che si ristorino, e rissarciscano le mura del Castello principiando dalla porta di presente serrata di esso Castello per quanto dura il loro sito, itachè però servando d. mura in quella parte per clausura del loro convento, non si aquistino mai jus né possesso alcuno, ma restino sempre del pubblico, ed a tale significato debbano edificarvi l’arma del pubblico in macigno dentro e fuori delle mura, e colla espressa proibizione di non potere mai in alcun tempo aprire tale porte serata nella d. mura né farvi alcuna apertura senza espressa licenza del Senato. Contrariis (…) obstantibus quibuscumque. Detta porta fu fatta nel 1447 e poi chiusa nella fine del secolo.
    Essendosi malato in Bologna D. Alfonso Cuzzani emigrato in casa di Madonna Lucrezia Forni di lui sorella, maritata sotto la parochia di S. Lucia, finì li suoi giorni li 15 ottobre e fu sepolto in d. Parochia.
    Attesa tale morte da la Comunità li 18 ottobre a rogito di Calisto Fiorentini fece Procura in N. a potere presentare D. Alessandro Gottardi. Ne seguirono in appresso atti giudiziali nel vescovato di Bologna all’officio di Agostino Albani, dove si vede la facoltà attribuita alla Comunità del Jus nominandi.
    Il calmiere del grano fu fissato a sc. 11: 10 la corba.
    Quindi poscia la Provincia bolognese de Capuccini dall’anno della sua fondazione che fu del 1553, essendo cresciuta fino al N. di 46 conventi fra di qua e di là da Bologna, pensarono li med. alla fondazione del 47° convento presso C. S. Pietro a cagione del continuo passaggio di frati da Imola a Bologna, onde avere un qualche comodo almeno di riposarsi in mezo alla lunghezza di questo viaggio. Comunicato ciò alle primarie familie del Paese, cioè Fabbri e Ramazzotti, gradirono queste al somma tal pensiero, per lo chè il Conte Pompeo Ramazzotti offerse tre tornature di terra fuori porta Montanara di Castello, all’imboccamento della via Viara, detta ne codici antichi Via Viarum e Via Cupa che porta a Firenze.
    Gradì la Religione una tale generosa elemosina. Chiesta pertanto la licenza al Card. Lodovico Lodovisi, arcivescovo di Bologna ed ottenuta, fu con grande solennità e concorso di popolo dal P. Feliciano Lampugnani piantata in detto loco una croce grande di legno accompagnando la funzione con fervorosa e divotissima predica, egli era allora Provinciale. Ma perché il terreno era poco per il convento ed orto, si sospese la fabbrica. Questo in memoria lo ripetiamo da MM. SS. del P. Zaccaria Capuccino scrittore fasc. 8 pg 193, Ughelli Italia S. Tom. 2, pag. 67. Che è quello che abbiamo di memorabile in questo anno.
    Il giorno primo genaro poi 1624 entrò capo della Comunità Rocco Andrini, e Podestà Bartolomeo Lugari.
    Essendo rimasto vacante quello arcipretale di paroco fino dall’anno scorso per le differenze dedotte alli atti Albani ed essendosi composto il tutto sucessivamente, fu fatta la nomina dalla Comunità nella persona del dott. D. Lorenzo Abè bolognese, quale prese p. ciò il possesso della Chiesa il dì 2 marzo come ne appare dagli atti di Alessandro Pozzi nel d. Vescovato.
    Li 24 marzo fu le due di notte si sentì notabilmente il teremoto per cui caddero molti caminaroli e le persone fuggirono dalle case.
    All’occasione che si fecero le rogazioni della Madonna di Poggio li 13 maggio pretese la Compagnia di S. Caterina, come la più anziana del Paese, levare ella la Santa Imagine dalla Chiesa della Annunziata in questo Borgo al che, opponendosi la Compagnia del SS. SS.to come quella che era Padrona della S. Imagine e funzione, cominciarono quindi le amarezze fra queste due congregazioni.
    Ma portata la S. Imagine nell’oratorio del SS.mo rimase quivi, né si potettero fare le consuete processioni dalla Compagnia per la qual cosa, temendosi disordini, il novo arciprete Abè le fece fare col solo clero secolare e regolare, tenendo poscia la B.V. nella Parochia per ogni riguardo.
    Le Rogazioni furono universalmente ordinate da Leone Papa 3° nell’ 815 dopo X.to nato, terminate le funzioni sudd. fu dal clero secolare restituita la S. Imagine a Poggio e chiunque volle accompagnarla della Compagnia del SS.mo fu consolato ma senza uniforme.
    Li 3 giugno venne una grandine assai grossa, che schiantò arbori e viti, il grano nelle nostre largure del quartiere di Granara restò sepolto per due giorni e fu perciò tagliato per strame alle bestie, ne successe indi non poco freddo, cosichè convenne usare il mantello.
    Il giorno primo luglio investì la carica di Massaro Alessandro Ruggi e Podestà fu Antonio Livi.
    Si cominciò a temere di una pestilenza nelli uomini. Li 31 lulio in giorno di mercoledì Giacomo di Gaspare Carrà di Dozza essendo in Castel S. Pietro, volendolo fermare li Birri nel Borgo travestiti, si difese gravemente con uno stilo e ne ucise uno, ma fermato dalli altri fu condotto a Bologna dove per la sua scelleratezza fu impiccato li 3 agosto.
    In questo mese Flaminia di Valerio Fabbri si fece monaca domenicana in Imola, ed assunse li nomi di Suor Maria Teresa, ivi restò molti anni e fu lo specchio di umiltà ed esemplare alle sue coetanee nelle orazioni, che la dicevano la santarella.
    Nel mese di settembre poi Matteo di Camillo Gardenghi sposò Lucia Costa. Questa famiglia Gardenghi, essendosi diramata in vari colonelli, uno di questi si portò in Roma, dove stabilitosi, Angiolo Michele fece tale fortuna che divenne banchiere. Ebbe altresì ivi un prete p. nome Petronio, che fu canonico e fece nel suo ultimo testamento diversi legati a favore delle femine e dei maschi della sua agnazione, rilevasi ciò dal testamento che unito ad altri monumenti del Paese abbiamo ove le citelle Gardenghi sono anche contemplate.
    Seguirono altresì due altri matrimoni chiari nel paese cioè Elisabetta fu Vincenzo Mondini con Bonifacio Magnani, ed Ipolita del c6ap.no Gio. Battista Tomba con Andrea di Ercole Comelli. Questo capitano Tomba fu al soldo in Corsica a S. Fiorenza in qualità di “lanza spezzata” e capitano, poi passò al servizio degli mantovani nelle ultime guerre.
    Stante le notizie funeste di pestilenza si cominciò a fare la guardia ne confini nostri con la Romagna.
    Stavasi in Castel S. Pietro in comune aspettazione di vedersi incominciare la fabbrica del convento dei Cappuccini che per la parvità del suolo veniva ritardata, quando inspirato da Dio Francesco Ferraresi del med. Castello si offerse vendere al Conte Ramazzotti un di lui campo vicino alle anunziate tre tornature di terra ma non accordandosi nel prezzo il Conte Antonio Galeazzo Malvasia, che continuamente soggiornava nel paese, esibì una pezza di terra di la dal rio della Scania. Questa pure non accettandosi per la sua distanza, benchè poca, dal paese, Ottone Fabbri nazionale ne offerse egli un altro pezzo di terra più vicino al Castello ed aderente alla Cella della Madonna detta della Scania sul lato del rio. Osservata pure la dimensione di questo terreno e rilevato non essere sufficiente, accorso alla necessità il Senatore Francesco Bolognetti donò gratis un pezzo di terreno unito al sud. di Fabbri, che prima era delli Rondoni, cosichè uniti li terreni Fabbri e Bolognetti divenne il sito bastevole.
    Fatto il dissegno, ed approvato dal provinciale, e diffinitori P. Antonio Montecucoli modenese, Francesco di Manfredi da Reggio, Andrea Poggi di Castelbolognese, Bartolomeo Vechi da Bologna e Giovanni Prò da Ferrara, tutti sacerdoti cappuccini, fu deputato per fabbriciere il P. Bonfini per nome Bernardino da S. Felice; ma nemeno per questo si venne alla impresa, come accennano li annali capucini T.3 1630 N. 78. pag. 56, onde andò in lungo per qualche tempo l’affare.
    Si passò quindi all’anno 1625 in cui il primo giorno di genaro entrò nel posto di capo del Paese Bartolomeo Cuzzani e Podestà fu il Conte Prospero del Conte Andalò Bentivoglio.
    Crescendo li timori della pestilenza che si propagava nelli uomini si facevano per ciò in ogni dove divozioni, orazioni ed atti di penitenza. In Castel S. Pietro non mancarono le Compagnie di S. Caterina e del SS.mo di fare tali processioni, li P.P. francescani diedero maggiori esempi colle discipline e predicazioni nella loro piccola chiesa.
    Il capitano Tomba fu destinato a fare la guardia con alquanti soldati nazionali alli confini della nostra collina verso S. Martino.
    Nell’archivio di questa Comunità al Lib. primo dei Diversi trovasi al folio secondo senza data di mese una pagina titolata:
    Avvertimenti per accrescere la rendita della Comunità di Castel S. Pietro. Primo: affittare li terragli del Castello o siano terrapieni. 2: piantar mori intorno alla fossa. 3: che tutti li carra che entraranno in Castello cariche debbano pagare soldi 2 ciascuno, e li birozzi soldi 1 p. ciascuno; così le bestie da soma soldi uno. 4: che si fabbrichi un muro alla fonte della Fegatella, acciò niuno abbia aqua senza chiave. 5: che la rendita della Compagnia di S. Caterina si lasciano per una metà alla med. e l’altra metà si faccia un cumulo in far fondi per un monastero di citelle. VI: che si procuri un luogo per la fondazione di un convento a cappuccini.
    Delli sudd. avvertimenti, e progetti non si vide la esecuzione se non nel primo , nel secondo, nel quarto e nell’ultimo, come a suo loco ne farò menzione.
    Il primo che fu però adempito fu quello della fontana, la quale tostamente fu circondata di muro e vi si spesero lire trecento settantadue e soldi sei come risulta dal libro al fol. sesto.
    L’oratorio della Compagnia del SS.mo il quale veniva frequentato dalla popolazione e li giorni festivi vi si cantava la mattina l’off. di M. V. ed il doppo pranzo il vespro, essendo sprovvisto di genuflessori e sedili, usandosi soltanto le banche, fu in questo tempo guarnito di spalliere, genuflessori di noce lateralmente ed in faccia alla altare, fra li due fenestroni corispondenti nella via maggiore, vi faceva la ressidenza p. li ufficiali maggiori della compagnia, che fu detta Obedienza. Le spalliere furono di noce come tutti li altri lavori, li quali furono poi trasportati nella nova chiesa nella piazza pubblica, come ora si vedono. Superiormente nei laterali alle d. spalliere furono nel muro dipinte ad olio per mano di Domenico Dalfoco alcuni simboli ed emblemi relativi al Sacramento ed in alcuni luoghi ed intercapedini vi dipinse ancora Miracoli del SS.mo, de quali dipinti se ne vedono fragmenti tuttora nelle pareti che servono di fenile all’arciprete Calistri.
    Medesimamente in questa epoca crebbero le nimicizie mortali fra li Ramazzotti, i Fabri ed altri da una parte e dall’altra con Giovanni Andrea Anessi, il quale finì funestamente li suoi giorni, coll’essere ammazzato da Fabri, che incorsero dappoi la bannigione della vita.
    La Relligione cappuccina che era stata invitata da questa popolazione ed acclamata, riconoscendo che se stabilivasi in questo loco, non poteva che scarsamente vivere se, secondo le Costituzioni apostoliche, Canoni e Sinodi, si formava una famiglia di dodici individui per locale. Ricorse perciò alla Congregazione de vescovi e regolari esponendole la necessità di fondare quivi un convento ove che non si potevano mantenere che dieci individui per la sua situazione e perciò ne imploravano la grazia privilegiata di starvi in solo n. dieci religiosi. Prese le oportune informazioni ne segnò poscia con Grazia nel venturo anno, che a suo loco riporteremo.
    Adì primo luglio entrò Massaro Benedetto Mengoli, e Podestà il Conte Ulisse Bentivoglio.
    Attesa la scarsa raccolta nel dì 6 agosto fu formato il calmiere al grano in L.13 la corba.
    Di questo mese il sig. Lucio Malvezzi della parocchia di S. Nicolò delli Albari di Bologna sposò la signora Antonia figlia del capitano Giovan Battista Fabbri di Castel S. Pietro, come al libro matrimoniale. Nel detto libro ritroviamo per la prima volta menzionate due familie che si sapeva chiare in questo loco. La prima è di Giovan Battista Ronchi coniugato con Giacoma Marzochi, donde ne derivarono alla fine del secolo sacerdoti cospicui, l’altra familia è delli Villa stabilita quivi, il primo individuo della quale fu Carlo Antonio detto dalla Villa, avo paterno del chiaro teologo Carlo Antonio Villa che fu anco canonico di S. Maria Maggiore di Bologna, fondata la sua casa in Castel S. Pietro non andò molto che, imparentato con le migliori famiglie del paese, fur anco li suoi discendenti ammessi alle pubbliche cariche del Governo.
    Il sudd. Capitano Battista figlio di Valerio Fabbri, avendo prestato il suo servizio lungamente al Gran Duca di Toscana in guerra viva, in qualità di “lanza spezata” sotto il comandante Francesco Sensi perugino, cavaliere della Religione di S. Stefano coll’avere il med. Fabbri il comando di 200 fanti. Richiamato a quel servigio, dopo essersi presentato, non potendo più suplire all’impegno militare per i suoi affari, chiese ed ottenne dal detto Sensi il seguente certificato che gentilmente ci ha comunicato il dott. Anibale Bartolucci erede della familia Fabri: Avendo Gio. Battista di Valerio Fabbri di Castel S. Pietro servito q. Lanza Spezata nella mia compagnia, ed essendosi portato nelle occasioni appresentate onorevolmente si nel servizio del Principe, che in altro, perciò l’acconpagnamo. Dato in Livorno li 22 settembre 1625, Francesco Sensi L.+.S.
    Al termine dell’anno caddero nevi grosse, che danneggiarono molto l’arboratura.
    Li 25 dicembre fu estratto Massaro e Capo della Comunità per il venturo prossimo semestre 1626 Fioravante Tomba, il quale rifiutò tostamente di servire stante le turbolenze del paese e le circostanze di epidemia. Su di questo esempio fecero lo stesso li altri comunisti, onde il Corpo Comunitativo si ritrovava senza Capo. Venuto ciò a conoscenza del Governo il medesimo nel giorno 30 genaro, mediante atto giudiziale spicato dall’officio del Notaio Valerio Panzacchia attuario di Governo, intimossi a tutto il Consilio che si si procedesse ad una nova Imborsazione ed estrazione e quello che non avesse o non volesse accettare ne avrebbe reso presto conto. In vista di ciò fu adempiuto l’ordine ed estratto Innocenzo Fabbri accettò il carico. Podestà fu Christoforo di Girolamo Dissegni.
    Stanti le nimicizie mortali che in paese vertivano fra il Conte Ramazzotto Ramazzotti, Gio. Battista Fabbri, Christoforo Tesei e Teseo Tesei da una parte, banditi capitali e per l’altra parte Stefano Anessi e li eredi di Gio. Andrea Annessi per la morte seguita nella persona del d. Andrea, tutti di Castel S. Pietro, il Card. Legato Roberto Ubaldini fiorentino, prevedendo maggiori disordini stante che tutto il paese era divenuto diviso in due partiti, concesse licenza nel dì 11 febraro a Valerio Fabbri ed Andrea Beccari di d. Castello a potere trattare ed ultimare la pace fra le persone contumaci ed interessate nella causa dell’omicidio (Lib expedizion. fol 59).
    In seguito di ciò Valerio Fabbri da una parte e Stefano ed altri delli Annessi dall’altra si disposero al accomodamento onde, infraposti cavalieri e altresì potenti di Bologna cioè Marchese Luigi Zambecari per la parte di Fabri e per la parte degli Anessi il Conte Vincenzo Legnani, furono chiamati alla città le parti nemiche, le quali tostamente si portarono nel palazzo pubblico di Bologna e nella gran sala, detta la Sala d’Ercole, le parti fazionarie toccatasi la mano l’una con l’altra fu tutto composto e si stipulò l’Ins.to di pace per rogito di Calisto Fiorentini not..
    Li Fabbri e Ramazzotti erano spaleggiati e scortati dalli Pirazzoli, li Anessi erano scortati dalli Pignatarini ed altri paesani, tutta gente manesca. Li sudd. nobili avevano anco essi li loro siccari e servitù armata. Così avendo concesso il Legato tanto ci riferiscono la memorie Fabbri nel Libro Gallinella, ad altri.
    Li 5 marzo morì Lucia di Francesco Cavazza, e li 17 d. morì Sante Fabbri Notaio e fu sepolto in S. Bartolomeo.
    In questo tempo si incominciò a fabbricare la chiesa, che ora si vede de frati di S. Francesco MM. OO. dove eravi una piccola chiesa della familia Cheli dedicata a S. Giovanni Evangelista.
    Il giorno primo maggio in questo convento di S. Bartolomeo si tenne Congregazione Capitolare provinciaria delli Agostiniani, e fu dichiarato e riconosciuto per futuro provinciale il molto R. P. Maestro F. Ipolito Monti dal Finale di Modena, già stato eletto nel Capitolo generale celebrato in Roma l’anno scorso.
    Era priore di questo convento di Castel S. Pietro il Padre Cesare. Non ostante che fosse terminata la Congregazione sud. il med. Provinciale volle rimanere in questo paese ed addomandò la B. V. di Poggio nelle prossime rogazioni che incominciavano li 18 corrente maggio, fu consolato e, ricevuta la S. Imagine nella chiesa diS. Bartolomeo il martedì seguente giorno secondo delle rogazioni, esso la fece presentare di un mazzo di cera senza gravare il convento, ma del proprio.
    Li 24 giugno estratto Massaro Gabriele Pirazzoli prese il possesso della sua carica il primo giorno di lulio, e così fece il nuovo Podestà il Cavaliere Cesare di Pompeo Sega.
    Li 24 di questo mese Pietro __ da Belvedere, avuta rissa alli contrabandieri di Castelbolognese, fu ucciso entro il Castello e sepolto in parochia.
    Gio. Domenico Graffi sposò la Sign. Camilla figlia di Sante Fabbri Notaio.
    Essendosi dato principio alla fortezza nel comune di Panzano in loco detto Castel Leone mezo miglio lontano da Castel Franco per ordine del Papa, vi furono spediti molti contadini di comando a lavorare al N. di mille colla paga di soldi dodici al giorno facendo levare li carichi di terra da vicini prati per formare la prima guscia e fu nominato poi Forturbano, dal nome del Papa che ne aveva ordinato la edificazione. De villani di Castel S. Pietro ve ne andavano ventisei secondo la tappa fatta.
    Adì 9 novembre naque Alessandro figlio di Vincenzo Fabbri e Vittoria Comelli di Castel S. Pietro, fu uomo dotto in ogni scienza e belle lettere, non fu però questi quell’Alessandro Fabbri che fu segretario del pubblico di Bologna, chiaro poeta ed oratore, quantunque ancor questo fosse figlio di una Vittoria Comelli, ma il di lui padre fu Giovan Paolo, come a suo loco abbiamo già scritto.
    Essendo entrato in consiglio Alfonso Graffi, fu tosto imborsato nella Borsa de Massari senza effetuargli la evacuazione di questa, che tale era la consuetudine.
    Li 27 dicembre morì Ottaviano Bandini e fu sepolto in parochia all’uso della familie possidenti del paese e fu onoratissimo e di sigolare prudenza nelle fazioni che regnavano fra li congiunti, li Andrini di Riniero, Bogni ed altri.
    Estratto contemporaneamente Massaro Flaminio Comelli, il medesimo adì primo genaro 1627 prese il possesso del suo Ministero. Fu Podestà Antonio Galeazzo di Sforza Bargellini.
    La pestilenza nelli uomini cominciò ad inoltrarsi nel bolognese, si fecero perciò vigilanza sopra li malati. Li 3 febbraro Lucrezia e Biagio di Aurelio Comelli morirono. Stanti li molti tumulti di guerra accesa fra li francesi, imperiali e spagnoli, fra quali seguirono battaglie sanguinose nel mantovano, ed accrescendosi il sospetto della peste, che da confini di Italia si estendeva universalmente ne stati pontifici, si raddoppiarono perciò le guardie alla città e nel contado nel mese di febraro tanto più che, essendo venute fanterie di soldati dalla Valtelina a Bologna, furono perciò ne contorni del teritorio sbandati lasciandovi lì le armi. Temendo quindi il Papa di qualche inconveniente, fece soldati, arolando persone sotto il comando di Carlo Barberini generale di S. Chiesa. Gio. Battista Fabbri fu adunato li 19 aprile per ciò prese il soldo di “corazza sottomessa” sotto la condotta del cap.no Ciro Pantaleoni d’Imola.
    Essendo stato richiamato dalla Legazione di Bologna il Card. Ubaldini fu sostituito in suo posto il Card. Bernardino Spada.
    Li Cappuccini, li quali per anco non avevano edificato il loro convento in questo paese, nel loro transito si fermavano ora in una casa ora nell’altra, ma il più delle volte nell’Ospitale de’ Pelegrini nel Borgo che era di ragione della compagnia di s. Caterina, venero per ciò invitati da questa a stabilire il loro oficio nella casa presso la chiesa ed oratorio di essa compagnia entro il Castello finchè avessero edificato il loro convento per la dimora, giacchè nel decorso dicembre, sotto il giorno 26, avevano ottenuto in Roma il decreto della fondazione ed il privilegio di albergare e permanere in esso soltanto dieci religiosi, il qual decreto riporteremo all’epoca in cui fu terminato il convento.
    Infrattanto, dichiarato dalla Religione per sopraintendente alla fabbrica il P. Bernardino Bonfini da S. Felice, sacerdote di ferma probità e santità di vita, con un laico seco per nome F. Felice da Bologna. Il Primo della d. Compagnia, che in allora era Flaminio Comelli e copriva anco la carica di Capo della popolazione di Castel S. Pietro, procurò che la Compagnia ne accordasse l’offizio in detta casa e l’ottenne, come rilevasi al Campione dei di lui atti segnato 1600, al fol. 5.
    Sebbene si avanzasse la pestilenza si fecero le rogazioni di M. V. di Poggio che caddero li 10 maggio e furono vie più solennizate colla maggior divozione possibile, né si ebbe riguardo al comercio e concorso delle persone. Dopo le rogazioni cominciò a crescere la mortalità nel paese.
    Li 16 maggio morirono Nicolò e Girolamo di Battista Magnani. In Bologna li 15 giugno suor Felice Dalzano di Castel S. Pietro, terziaria dell’ordine de Servi in età di anni 60, terminò li suoi giorni santamente, portò l’abito relligioso su la nuda carne andando vestita di ruvidissimo panno come li cappuccini, de’ quali fu sempre rigorosissima imitatrice, oltre un duplicato cilicio che di continuo tenne per il corso di 33 anni facendo ciò in memoria delli 33 anni che Cristo patì per noi. Di essa ne abbiamo scritto più diffusamente. Il suo elogio, tratto dalli annali de Serviti, dal Mafini Bologna perlustrata e da altri autori, onde ci risparmiamo quivi replicare la sua prerogativa. Fu sepolta nella chiesa de Servi di Bologna presso l’altare di S. Giuseppe delli Ferri vicino alla porta picola. Dopo la di lei morte alcuni infermi pieni di fede toccandosi e segnandosi colla di lei cintola furono rissanati.
    Estratto li 24 giugno Massaro per il venturo semestre Domenico Simbeni, prese il possesso il giorno primo luglio, ed il Podestà fu Carlo Felicini.
    Attesa lo scarso raccolto su la fine del mese fu fatto il calmiere a L. 12 la corba.
    Li 16 di agosto la Compagnia di S. Caterina cedette il di lei orto vicino alla Chiesa ed Oratorio in Castello alli P.P. Capuccini con facoltà ancora di officiare l’una e l’altra fino che fosse edificata la sua col convento.
    Costanzo figlio di Gio. Morelli, chiaro poeta latino come si scrisse nel secolo decorso, prese la laurea dottorale in Roma nella Sapienza. Era prima not. ed abitava nel Borgo di questo Castello, come ne appare da suoi rogiti, servendo onorevolmente la familia Ramazzotti, del che ve ne sono autentici nell’archivio di codesta parocchiale.
    Li 8 ottobre fu ammazzato Michele Tanara da Battista Galli ed Eligio Tesei, sicari del conte Galeazzo Malvasia, nel mentre che veniva dalla possessione collina, ciò fu eseguito per ordine del d. cavaliere ben che fosse di lui fattore a Castel S. Pietro, che per ciò si prese la fuga.
    Lì 31 ottobre partì il Card. Ubaldini Legato ed il giorno 10 dicembre giunse a Castel S. Pietro il novo Legato Bernardino Spada dopo essere stato a visitare il di lui vecchio padre Paolo Spada a Brisighella di cui ne era nativo. Fu incontrato da nobili del nostro Castello e fu banchettato in casa Malvasia, chi fossero li deputati non ce lo lasciò scritto il P. Vanti, che tanto scrisse.
    Li 19 decembre, crescendo sempre più il contagio dalle parti di Lombardia, il novo Legato pubblicò un Bando sospensivo il comercio di robbe ed animali e merci provenienti dalle parti di Lorena, Baviera e Francia e conseguentemente furono dalli senatori Assunti alla Sanità di Bologna ordinate le guardie a principali castelli del contado, cioè Castelfranco, Castel S. Pietro, Scaricalasino ed altri luoghi posti nelle strade maestre.
    Li 22 d. fu estratto Massaro per il venturo primo semestre Alfonso Graffi, il quale il di primo genaro 1628 prese il possesso della sua carica per la prima volta. Podestà fu Agamennone di Flaminio Marescotti.
    La Compagnia di S. Caterina che era solita passare ogni anno un sussidio dotale alle citelle, figlie de suoi confratelli, ed anco talora ad altre del paese in vigore di sanzione fatta dal Corporale nel 1596 e confermata nel 1625, abolì questo decreto li giorno 6 febraro e permutollo in una elemosina arbitraria da stribuire a confratelli poveri del paese.
    In questo tempo li frati MM. OO. di S. Francesco, terminato il campanile, fecero il portico avvanti la chiesa e loro convento con le colonne di macigno come si vede alla fortezza nova Urbana, si fecero contemporaneamente le mura, conforme acenna la Cro. Cavadori di Budrio.
    Non potevano li sudd. frati edificare il portico sud. stante che venivano ad occupare parte della strada pubblica, che però essendosi portati ottimamente al servizio della popolazione, ricorsero al Senato ed addimandarono ancora la facoltà di unirsi col loro convento alla mura del Castello, la quale era divastata e serviva di un postribulo alle persone oziose, onde il Senato ciò accordette, come si riscontra nel T. 18 Partitor. fol. 203. estratti autentici del caval. Baldassarre Carati, il di cui tenore è il seguente:
  2. sexta Februari. Fratibus S. Francisci M.M. O.O. in Cas. S. P.ri habitantibus gratificari volentes licentiam tribuerunt utendi pub. pariete d. Castrum circumeunte seve devastato pro suscimento areas super viam pubblicam ab ipsorum Cenobio a superiori parte ampliando, protrahendo ita tamen elevandi ut nullum Curibus quoque modo qui cum Feni onustis illuc transituris inseratur impedimentum; hac insuper Conditione adjucta ut in d. Pariete propriis ipsorum imponsis restaurando insignia Senatus in lapide sculpta ab iisdem Patres ab utraque parte interna et externa infingatur. E così fu eseguito.
    Li 12 d. fu pubblicato un bando sopra l’introduzione delle persone e merci provenienti da Svizzera, atteso il contagio dilatato nelle città di Sursi e Reiden, sotto pena della morte a chi contraveniva e nel di 14 venne fuori altra notificazione di doversi introdurre l’uso delle fedi di sanità per le persone e robbe e di porre la guardia alle porte della città dopo il dì 24, tantopiù che li fiorentini alli 20 corrente poranno un comissario al passo di Pietramala.
    Li 13 marzo il sud. Partito del Senato a favore di questi franciscani per la sicurezza dell’osservanza fu riportato nell’archivio segreto al Lib. 37. Let. D. N. 31, come abbiamo dalla nota del d. Carati.
    Li 7 maggio Monsign. Girolamo qd. Sabatino qd. Girolamo Bertuzzi della familia di questi nostri Bertuzzi di Castel S. Pietro, con breve speciale di Urbano VIII, fu fatto Presidente alle abbreviature de Brevi come risulta da chirografo autentico presso questi due fratelli Giuseppe ed Antonio Bertuzzi, li quali conservano ancora il di lui ritratto e noi ne abbiamo copia disegnata dall’egregio giovine Ercole Petroni pittore bolognese e nostro cugino.
    Li 29 d. le rogazioni di M. V. di Poggio furono fatte con molta precauzione stanti le contingenze presenti del contagio.
    Quantunque Dio così castigasse le persone non dimeno si sentivano malviventi, iniquità ed enormità in ogni loco. In questo loco fra le altre fu attossicato D. Andrea Nanni con un suo nipote in una festa in occasione di farvi un rinfresco, furono indiziati per autori Carlo Bagni, Teseo e Stefano Pignatarini di questo Castello a motivo che li d. Nanni furono sospettati li sudd. avellenati di voler dare per tradimento nelle mani della Curia Onorato Golo ed Antonio Barbieri ambo di Castel S. Pietro.
    Li 24 Giugno fu estratto Massaro Benedetto Mengoli, il quale il dì primo lulio intraprese il suo Governo, e così fece il nuovo Podestà Astorre di Giulio Cesare Bargellini, per il quale Sebastiano Riccardi Notaro locale esercitò la giusdicenza.
    Finalmente, dopo vari consili e riflessioni avutesi fra li benefattori de cappuccini sopra la costruzione del loro convento e situazione, fu concluso di edificare al primo sito offerto dal Conte Ramazzotto, sopra del quale nel 1623 fu piantata la croce, e si prese possesso come si scrisse. E perché non era sufficiente il terreno dato dal Ramazzotti, il Conte Galeazzo Malvasia avendo offerto in altro luogo, come scrivessimo, terreno, fu perciò fatta la permuta di quello in altrettanto congiunto al terreno accennato Ramazzotti, che spettava in porzione alli Agostiniani di S. Bartolomeo ed in parte all’arciprete del Castello nostro. Questo contratto fu sanato colla debita licenza del Card. Antonio Barberini Legato apostolico di tutto lo Stato eclesiastico, per trattarsi di fondi appartenenti a Chiesa, come mi appare da chirografo nell’archivio de cappucini nostri nazionali.
    Quindi unite le tre tornature di terreno de Ramazzotti alle altre tre Malvasia, formato un proporzionato quadro bastevole giusto il dissegno del convento, si procedette tostamente li 27 lulio alla fabbrica, del che se ne legge in marmo la seguente iscrizione nell’andito inferiore sopra la porta che guarda il primo cortile e forma chiostro.
    La prima pietra fu posta nel fondamento dal Conte Pompeo Ramazzotto come principale benefattore e così fecero sucessivamente li altri benefattori che concorsero alla edificazione di questo luogo pio. La Iscrizione è la adecontro
    Monasterium
    Istad sue fundationis
    Primordia habuit
    Anno MDCXXVIII
    Mense Juli Munificentia
    Co. Pompei Ramazzotti
    Qui ipsum primum lapidem
    firmavit.
    Li 23 aprile essendo morta la prima fanciulla al sig. Lucio Malvezzi, natale dalla sign. Antonia Fabbri all’occasione che villeggiavano entrambi in questo loco in casa del padre Gio. Battista Fabbri, fu la med. fanciulla nobilmente portata al sepolcro nell’avello Fabbri in questa chiesa de P.P. di S. Bartolomeo.
    Avendo li spagnoli nel Piemonte assediato Casale e facendosi rumori nella Italia, il Papa fece battere cassa ed assoldò molta gente la quale inviò poscia alle confine a diffesa dello Stato eclesiatico.
    Il card. Antonio Barberini, nipote pontificio, venne p.ciò dichiarato Legato di Romagna, Bologna e Ferrara. Il capitano Lodovico Pani di Faenza con ordine pontificio condusse da Ravenna artigliaria e la scortò fino a Castel S. Pietro.
    Facendosi sentire vieppiù il contagio, furono replicate le ordinazioni del Governo e le fedi senza delle quali niuno si ametteva, tanto più che le morti si erano fatte frequenti.
  3. Nel dì primo genaro entrò Massaro Vincenzo Mondini e Podestà Cesare Bianchetti.
    Li 10 genaro morì Camillo Gardenghi con sospetto di contagione, ma perché questa faceva de grandi progressi dalla parte di Milano e crescevano li infermi e pochi si alzavano, ma li più andavano al sepolcro, si cominciò a pensare di fare lazaretti e collocarvi quelli che si riconoscevano minacciati dalla pestilenza.
    Quelli che erano attaccati si riconoscevano da una palpitazione di cuore, in diverse parti del corpo bogni, buboni, carboni, ghiandole con tumori nelle anguinalie, sotto le braccia, nell’emuntorio del cervello e sotto le orechie, che apportavano doglie di testa, febbre, siccità grande, delirio, sonno, vomito, tremore nelle membra, ammarezza di bocca, inapetenza e calor grande nelle parti estreme. Li buboni e ghiandole che venivano a soporazione, coll’aiuto de remedi, guarivano l’infermo. Quando mancava la febbre non occoreva che venisse a soporazione il bubone o ghiandola, che per lo più seguiva nelle donne.
    In queste lacrimevoli circostanze Mons. Antonio Albergati, sufraganeo del Card. Lodovisio arcivescovo, non mancava con esortazioni ed orazioni animare il popolo a placare l’ira di Dio, facendosi perciò orazioni nella città, Castelli , e molti atti di penitenza, non ostante il demonio faceva la sua parte nelli omicidi, ladronicidi ed altre iniquità.
    Vedendosi crescere ecessivamente il contagio di giorno in giorno, il Card. Legato li 17 genaro rinovò il Bando sopra la introduzione delle robbe, merci, animali, lettere e fagotti che venissero di Lombardia, essendovi di 120 luoghi fra città, provincie e terre infette latamente enunziati in d. Bando.
    Per questo flagello li 18 marzo si pubblicò indulgenza papale in forma di Giubileo, ed in seguito si facevano per ciò in ogni dove processioni di penitenza. Le compagnie del contado portavano processionalmente le loro Imagini, santuari, e reliquie de suoi Santi tutelari.
    Adì primo aprile la Compagnia di S. Cattarina, bene affetta e protetrice del novello instituto capucino in questo loco, decretò pagarle l. 210 per la fabbrica del loro convento e chiesa. In questa stessa giornata si fece una divotissima processione di penitenza per il Castello e Borgo da tutte le corporazioni di culto per acquistare il Giubileo.
    La d. compagnia di S. Cattarina unita a quella del SS.mo colla sua divisa ed uniforme si portarono alla visita della chiesa di S. Pietro nel Borgo. Aveva la prima la reliquia della sua santa tutelare, la seconda aveva il suo crocefisso fornito di olivo e, quantunque in questi giorni siano dalle Rubriche proibite le processioni e tenersi le Imagini de santi scoperte, non essere giorni di Quaresima distinti, non ostante, aderendosi al proclama di fare le processioni, non si attesero le Rubriche. Li individui della Compagnia di S. Cattarina portavano un flagello di funi
    o disciplina su la sinistra e caminavano col capo coperto, l’altra compagnia col capo coperto portava la fune al collo ed il piede nudo, cosa che commoveva li cuori più induriti alla tenerezza, così ci lasciò scritto il P. Vanti più volte citato. Si cantava a voce dimessa il Miserere, alternativamente ad ogni versetto rispondevasi: Miserere nostri Domine. Questa è la prima Domenica di Passione che abbiamo ritrovato portarsi il crocefisso dalla Compagnia del SS.mo non velato per il paese.
    Non è meraviglia se ciò seguisse in questa contingenza, poiché era tolerato ogni catolico instituto fare quelle funzioni che più credeva convenire per indurre i cattolici alla penitenza e placare così l’ira divina.
    Quantunque spirasse ogni angolo mestizia non ostante si sentivano malefici. In Castel S. Pietro li 26 corente aprile fu ucciso Antonio Scaglia da Fiagnano da alcuni forestieri.
    Li Capuccini quantunque pochi, che avevano incominciato quivi il loro domicilio sotto la direzione del d. P. Bernardino Bonfini e che erano accorsi ad ajutare li altri sacerdoti per l’epidemia, aplicavano indefessamente alli malati che perivano, ma più di ognuno il P. Bernardino.
    Intanto compiuta la chiesa loro atta ad essere officiata, la munificenza del Conte Antonio Galeazza Malvasia le donò la campana che esisteva nella torre del Castello di sua proprietà colla quale anticamente si chiamavano dalle sentinelle, quando si vedevano nemici da lungi, all’arme li paesani.
    E perché era di mediocre mole esso vi accrebbe metallo e la fece rifondere imponendovi il suo nome come si legge nel contorno della med. così: Antonius Galeatius Malvasia fecit condere A. D.ni MDCXXIX,. Il funditore fu Carlo Landi Imolese, mentre nella stessa campana leggesi: Carolus Landi imolenses fecit hoc opus.
    Li 17 maggio poi in benevolenza delle elemosine fattesi dalla Compagnia di S. Cattarina alli cappuccini finora, il P. Feliciano da Piacenza, ministro provinciale dell’ordine donò a quella e suoi sucessori in perpetuo fratelli e sorelle, la filiolanza, copartecipazione di tutto il Bene cappuccino, come leggesi in chirografo nell’archivio di d. compagnia.
    Non ostante che si fosse in mezo a tanta tristezza, si accrebbero in Castel S. Pietro le angustie alla populazione poiché si aggiunse una rabbiosa lite fra la Comunità e dazieri di Bologna per oprimere totalmente le imunità di dazi e gabelle, a questo si aggiunsero le truppe germane e papali che non lasciavano li animi quieti.
    Cesare Bianchetti senatore e Podestà di Castel S. Pietro in queste circostanze venne in paese avvanti di terminare il suo ministero d’ordine del Legato onde prendere li opportuni temperamenti e riferire per il contaggio che quivi dominava, ciò eseguito nel dì 31 maggio se ne partì per la città, doppo avere dati alcuni ordini al suo notaro per le fedi di sanità. Terminato il suo officio le fu posta nella ressidenza pubblica la sua memoria incisa in macigno del tenore addecontro
    Caesar Blanchetus
    Eques et Senator pro P. S.
    Pretor
    MDCXXIX
    Il primo giorno di lulio entrò Massaro Sante Santoni e Podestà Marc’Antonio di Giulio Cesare Marescotti.
    Oltre il contagio si aggiunse una scarsa raccolta per cui fu fissato il calmiere al grano in l. 13 la corba, ma non se ne trovava onde amontò il prezzo a l. 15 e più.
    Il giorno primo agosto morì Ercole di Aurelio Comelli di pestilenza, che fu l’unico filio di questo colonello e li 17 settembre morì il Conte Pompeo Ramazotti ed il giorno seguente fu portato alla chiesa nova de cappuccini ove le fu data sepoltura dietro la parete interna della chiesa sotto il pulpito ove stette il di lui cadavere fino all’anno 17__ e fu collocato avvanti il S. Santorum nella platea della chiesa con inscrizione sopra in marmo, la quale noi abbiamo riportata alla sua epoca. Dall’ossadura si rilevò essere stato uomo di alta statura e di pelo rosso perché sopra il di lui teschio si ritrovò intera la capiliatura con treccia fermata all’occipite con spilla grande.
    E sicome egli fu il primo che donò il terreno alla relligione cappuccina per edificarvi il convento e chiesa, come abbiamo narrato, così fu anco il primo a porre la pietra fondamentale ed il primo ad essere sepolto in questa chiesa.
    La di lui abitazione era ove presentemente esiste la bella mole del palazzo Locatelli di lui sucessori in faccia allo stradello che porta alla via Framella diritivamente alla chiesa di S. Bartolomeo. Lasciò un filio maschio per nome Ramazzotto Ramazzotti.
    Li18 novembre morirono attaccati dalla peste Vincenzo di Bartolomeo Tesei, gran fazionario, e messer Aurelio Comelli con molti altri che parte furono sepolti nel Lazaretto e parti in chiesa fino al N. di 117 come riscontrasi dal Libro Mortuor. della arcipretale
    Avendo Domenico Dazani nel suo testamento, rogato Lionardo Carati di Bologna not., instituita erede del suo avere questa Compagnia del SS.mo, fu tal testamento impugnato da di lui congiunti ed anihilato per gli atti Medici nel vescovato di Bologna.
    Giunto l’anno 1630 il primo giorno di genaro entrò Massaro Francesco M. Riccardi e Podestà il caval. Gio. Battista di Giacomo Angelelli. In quest’anno e circostanze fu dichiarato di novo Legato di Bologna il card. Bernardino Spada.
    Il dazio del mercato di Peso e Misura, stante il contagio, non fu incantato anziché sospeso ogni ridotto e lo stesso mercato, come abbiamo dalli atti della Comunità Camp. 2° fol. 75. L’oratorio della B. V ad Nives, detta la Madonna della Scania posto sul labro de Rio dove dovevasi fare il convento de capppuccini, si cominciò quest’anno a fabbricarlo da Ottavio di Gio. Battista Fabbri seniore, come abbiamo dalle memorie Fabbri nel Libro Gallicella. Seguirono pure contemporaneamente li sponsali fra la signora Bartolomea Andrini di Castel S. Pietro col Conte Gaspare di Ottaviano Biancoli di Cotignola.
    Le rogazioni consuete di M. V. di Poggio che caddero li 6 maggio non si fecero a motivo della pestilenza e stette nella sua chiesa di Poggio. Il P. Bernardino capuccino, che pressiedeva alla fabbrica di questo convento novo, chiese alla Compagnia di S. Cattarina di essere ascritto fra il N. delli altri confratelli, fu perciò compiaciuto ed annoverato al catalogo di quelli.
    Essendosi compiuto il novo ornato della tavola di S. Cattarina col porfilato d’oro, il quale dalla d. chiesa fu poi trasportato nella arcipretale ed addattato al bellissimo quadro della disputa dipinto da Prospero Fontana in concorso di Lodovico Caracci, come indica la Felsina Pittrice del Malvasia, vi fu apposta la seguente inscrizione delli due priori della med. compagnia cioè Giambattista Balduzzi priore del 1629 e di Girolamo Santoni priore di quest’anno il di cui tenore è il seguente sul cartello sottopostovi e dorato
    Aureum hoc Ornatum
    Aero dive Catharine proprio
    Societas eisdem Pietatis ergo
    extruxit anno Salutis
    MDCXXX
    Prioribus Jo. Bab.ta Baldutio
    Nec non Hieronimo Sanctono
    Sucessore
    Trovandosi malmessa la casa della ressidenza pubblica ed officio del Podestà, fu fatto ricorso al Senato per il riattamento, il med. pertanto, ordinata la riparazione, si diede tosto mano all’opera nella quale si spesero l. 190 che furono poste a conparto essendo il partito ottenuto li 27 aprile anno corente (Lib. Partit. fol.235).
    Ma perché cresceva di giorno in giorno il contagio ne potevano totalmente attendere tutti li religiosi francescani, capuccini ed agostiniani e preti, fu necessario chiamare altre persone e ministri del culto.
    Oltre queste calamità che inondavano li Stati pontifici ed esteri crescevano vieppiù le vicende della guerra e l’Imperatore teneva assaltata Mantova, onde il Papa per mettersi in qualche sicurezza contro i med. mandò truppe nel bolognese facendo comissario generale delle med. Gio. Battista Grimaldi.
    Li Assunti di Sanità di Bologna, senatori Bargellini, Bovio, Magnani, Zambecari e Gaffi ordinarono per bando che tutti quelli che erano attaccati dal male fossero sequestrati nelle case colla cura di uno, che in questa emergenza faceva la quarantena. Ordinò poi il Legato che si pulissero le strade da lettami, fango ed immondizie e che non si vendessero panni vechi e che neppure li Monti li ricevessero in pegno. Ordinò che si profumassero le lettere da pertutto. Li medici erano tutti impiegati nel suo officio. Ipolito di Trajano di Silvio Scassilioni nativo di Castel S. Pietro e medico condotto si portava eggregiamente e la durò fino alla fine della tragedia.
    Li 17 maggio si serrarono tutti la passi del contado, restò interdetto il comercio da luogo a luogo benchè di provincia e legazione stessa. Si tennero in tal contingenza chiuse le porte del Castello e solo dalla porta maggiore si ricevevano le persone abbisognose entrare ove erano le sentinelle che, tanto nel luogo murato che fuori, vietavano le comunicazioni. Così si durò nel Castello e territorio nostro, nella qual contingenza stavano quivi le milizie papali sotto il capitano Pazzi da Cesena. Di questi militari destinati per li confini dal Gen. Gio. Battista Grimaldi ne morirono molti ammorbati. Livio Accursi, not. giusdicente del Podestà Angelelli in questo loco, faceva giornalmente il riporto all’Assunteria di Sanità di quanto accadeva e le veniva denunziato.
    Francesco Cavazza, lettor pubblico medico giovane unico per la Consulta oriundo di Castel S. Pietro, avendo fatto ressistenza alla Corte, come sogliono li giovani massime ne tempi sconvolti, fu preso ed arrestato. Liberato dalle carceri fu condannato a servire al Lazzaretto di Bologna. Questi non ostante che vedesse in principio che l’emissioni di sangue a talluno pregiudicavano, faceva di novo aprire la vena e li sanava. Doppo cinque giorni di cura nel Lazaretto si infirmò di pestilenza ed, escito fuori di se per il furore del male, si rinchiuse in camera e, senza ricevere medicamenti, visite ed esortazioni di amici , se ne morì. Perdette Bologna come riferisce il Muratti nel suo raccolto della Peste, un medico di gran valore e facondia, nel consultare non aveva pari.
    In questo tempo essendo accaduto che molti parochi del contado erano morti e si infirmavano senza che alcuno si pigliasse di loro cura e della chiesa, d’onde erano poi derubate, fu ordinato che il sacerdote più vicino a quella chiesa del defunto facesse le veci parochiali.
    Mons. Antonio Albergati suffraganeo per assicurare che ognuno liberamente caminasse per le strade , chiese e case fece con solennità l’aqua benedetta gregoriana e ne dispensò a tutti li parochi della città e diocesi affine che ciascuno benedisse la sua parochia, temendo che colla permissione divina il demonio non avesse in queste calamità la sua mano, e così ogni paroco eseguì solennemente tanto ne luoghi murati che nelle case di campagna. Il Legato intendendo pure che si comettevano mancamenti nella cura delli infermi e comercio de sospetti, ordinò che in tutte le terre del contado si facessero quattro assunti per la esecuzione de seguenti ordini:
    Primo che in ogni comune si facessero lazaretti e capanne atte alli infermi in quelli.
    Che tutti, tanto sani che malati, si facessero rassegnare al Massaro.
    Che quelli che avessero serviti gli appestati dovessero fare la quarantena chiusi e terminata non potessero sortire se non visitati dal Massaro o deputati.
    Che non si sepelissero morti vicino alla chiesa. ma senza cassa fossero portati ne sacrati dei lazaretti destinati e benedetti secondo il rito di S. Chiesa e sepolti almeno cinque piedi sotterra con calce sopra e non avendo loco pe’ cimiteri il Legato ne aurìa esso assegnati li fondi senza pregiudizio de proprietari.
    Che si facessero a spese comunitative soccorsi.
    Che niuno potesse sortire dal suo comune senza licenza in iscritto del curato con facoltà per questo alli massari di fare rastelli e passi delli loro comuni e mettervi guardie a chiudere li vicoli non frequentati.
    Che tutti li massari dessero nota delli vagabondi, poveri e gente oziosa affine di farli lavorare in far fosse e sepellire morti e servire a lazaretti.
    Ciò tutto sotto pene pecuniarie ed afflittive sino alla forca conforme il caso.
    In seguito di ciò fatto il Lazaretto nel comune di Castel S. Pietro nel salotto di sotto al ponte del Silaro dalla parte di ponente, come si riscontra dal Lib. Mortuor. e dalli atti della Comunità, il qual fondo ora è di ragione della casa Ercolani. Fu benedetto dall’arciprete e vi piantò una croce, si celebrava poi nel vicino oratorio dedicato alli apostoli SS. Giacomo e Filippo di là dal ponte e di quivi si levava il viatico per soministrarlo alli malati.
    In appresso, essendo mancati molti sacerdoti nella città, il superiore de Carmelitani Scalzi presentossi mosso da zelo ed ardente carità al card. Legato per essere ammesso co’ suoi religiosi a ministrare li sagramenti e secorire li infermi. Era egli il P. Frà Bartolomeo da S. Filippo milanese, gradì molto il Legato la cortese esibizione ed in seguito di essa, come riferisce il Fantuzzi nel T.1 de Scrittori bolognesi fol. 324, mandò a Castel S. Pietro, dove faceva maggior bisogno, il P. Baldassarre da S. Cattarina da Siena dell’ordine suo de Scalzi e fratello gemello del P. Claudio da S. Luca dello stesso instituto alla assistenza delli amorbati. Operò questi indefessamente talmente che li 23 giugno vi lasciò la vita, con dispiacere universale, la sua sepoltura per quanto si riscontra dalle carte della parochiale fu nella chiesa sud. di S. Giacomo e Filippo in un angolo di essa.
    Non ostante queste vicende di 25 giugno venne a Castel S. Pietro il Quartier Mastro con ajutanti di campo della truppa pontificia poi li 29 giugno partirono due furieri di quivi et andarono alla volta di Budrio per ivi formare quartieri a due compagnie e mezo di fanteria d’ordine di Papa Urbano per occasione della guerra accennata di Mantua assediata dalli imperiali.
    Terminato il suo ministero di Podestà il Conte Angelelli fece apporre il suo stema all’uso de suoi antecessori colla inscrizione nella pubblica ressidenza dell’addecontro tenore cioè
    Joannes Babtista
    Angelellus, Comes, Eques
    Ac Pretor primi semes.
    MDCXXX
    Il primo lulio entrò Massaro Gabrielle Cuzzani e Podestà fu il nobil uomo Ciro Marescotti. Li 6 lulio partirono da Castel S. Pietro le due compagnie condotte dalli cavalieri cap. Bartolomeo Aterni e Pazzi da Cesena con Pietro Rotati da Roccacontrada.
    Li 20 lulio fu pubblicato Bando del Legato che ognuno dovesse dal suo canto e parte tenere polite le strade dai ruschi ed imondizie e di mondare li cani, gatti ed altri animali trovati morti e che fossero per le strade li dovessero portare alle aque correnti e così continuamente seguire. Fu pubblicata poscia una indulgenza in figura di Giubileo per tre mesi affine di placare l’ira divina.
    Ogni giorno tanto nella città che nel contado si visitavano le case e trovati li infetti si portavano ai lazaretti da due vestiti di bianco a quali precedeva un altro vestito pure di bianco tre pertiche distante con un campanello in mano che lo suonava, affinchè ognuno fuggisse l’alito cattivo. Questo uso di procedere li campanelli avvanti tanto nelle funzioni e processioni che di altra simile pompa che funesta che fosse o di letizia fu dedotto dal rito de romani che così usavano per li Flaminidiali.
    Ad effetto poi che ognuno fuggisse le case infette vi si apponeva una croce grande avvanti visibile a tutti anco di lontano. Ma perché li cani e gatti pigliavano facilmente il male, con infettare le persone e case come si era osservato, ordinò il Legato che ognuno, che potesse ammazzare quelli che si trovavano vaganti per la città e castelli, li amazzasse e guadagnasse l’ucisore scudi 3 per ogni capo, semprechè la bestia fosse d’altri e non dell’ucisore. Ordinò pure che in tutte le chiese si levassero li banchi e sgabelli ed aqua benedetta per la tema che vi era di infettamento e di baronate.
    Furono anco interdette le adunanze, le scuole, le prediche, sermoni e li altri concorsi di popolo per la molteplicità delli aliti e fiati e si fecero altre providenze che lungo sarebbe il raccontarle e se il lettore de nostri scritti desiderasse tanto lo invitiamo a leggere il Raconto di Pietro Morelli e li Bandi giornalieri dalli anni 1628 al 1631, raccolti da Girolamo Donini e stampati in Bologna l’anno 1631.
    Crebbe la mortalità in Castel S. Pietro in questo mese al segno massime nella via di Saragozza di sotto e via di piazza Liana, che convenne porvi le sentinelle a capo delle med. strade né da esse lasciare sortire alcuno ed acciò, potessero li sani individui di quelle fare del bene, ne crociali delle med. strade, cioè da S. Bartolomeo, farvi un altare posticcio in mezo la strada e, quanto all’altra di Saragozza, fu posto simile altare nel crociale inferiore. In questi altari si celebrava il uopo di consagrare per fare viatici.
    In questo lugubre travaglio si distinse più di tutti il P. Bernardino Bonsini cappuccino, pressidente alla fabbrica di questo convento che, nulla perdonando alla sua salute, ministrava il viatico a questi infermi mediante una lunga moletta che aveva li capi d’argento dorati soministratole dalla Comunità per questo effetto a bisogni del Lazaretto. Terminata la epidemica lue, fu converita con altri argenti dati dalla Comunità in una pisside per la chiesa del novo convento.
    La maggior parte delli infetti, rinchiusi nelle strade sudd., fu nella via di Saragozza sud. andarono a soccombere. Fu incolpata per ciò la strettezza della contrada, li portici bassi e la poca polizia della med., onde ventilandovi poco l’aria, a diversità di piazza Liana dove ne scamparono molti, fu cagione della loro infezione e morte. Quelli che scamparono dappoi andarono vestiti di bianco sacco fino alli piedi con cinta e croce rossa in petto per due mesi continui, oltre ciò portavano seco un certificato del medico che li aveva curati dal bubone, onde potere caminare impunemente ed avevano anco la fede della Comunità.
    Le familie attacate e che scamparono furono queste cioè: Pietro ed Antonio Cardinali, Domenico Dalfoco, Cesari, Trapondani, Francesco Astorri di piazza Liana, di Saragozza: Antonio Topi, Luigi Nanni, Nicola Pirazzolli, onde per ciò li sud. crocesignati aquistarono il nome di Bianchi e, sicome potevano andare francamente da pertutto, così questi andavano liberamente nel Lazaretto alli casoni di asse fatte ivi per tale contingenza a visitare li suoi amici e congiunti ed anco suffragare li defunti ed indi a passare alla visita della B. V. detta del Cozzo ed all’oratorio di S. Giacomo sud.
    Di più cominciossi ad andare a quella S. Imagine dalle due compagnie cappate di S. Cattarina e del SS.mo SS.to e la prima volta che vi andarono fu il giorno 20 aprile festa di Pasqua grande del 1631.
    Le dette compagnie intrapresero questa visita perché li sudd. Bianchi erano tutti fratelli delle d. compagnie, senza però alzare croce.
    Morivano perciò da dieci a undici persone al giorno in questo tempo cosiché giunsero al N. di 640 nella grossa mortalità che seguì in lulio, agosto e settembre, ma la maggior parte fu in agosto, alla metà del quale, cioè alli 15, secondo il Lib. Mortuor. dell’arcipretale, cessò di vivere il P. Bernardino cappuccino e fu sepolto nel Lazaretto, ma poi, credendosi da paesani inconvenevole una tale sepoltura ad un tanto relligioso che per essi aveva operato, fu disumato e sepolto nella d. chiesina di S. Giacomo ove pure erano stati sepolti il d. Padre Baldazzarre Scalzo, Battista Toni, Camilla Quartieri, madonna Ginevra Musitelli, Cattarina Gardi ed altri.
    Adi 20 agosto morì Antonio Sega di Castel S. Pietro e si estinse in esso la sua familia e cognome.
    Calmatosi il male in questo mese le parochie della città e contado fecero diversi voti. Nel settembre morì il sig. Lucio Malvezzi in casa di Valerio Fabbri e fu sepolto con Domenico Balduzzi, ultimo di sua chiara familia e furono entrambi sepolti nel Lazaretto, il quale veniva guardato dal cap. Pazzi di Cesena che era di guarnigione colla sua truppa in questo loco.
    Ella è pure dura condizione di chi scrive fatti storici quando si incontrano contradicenze e varietà nelle epoche. Noi in questo proposito ne incontriamo una da non trascurarsi, lasciando però al leggitore di questi scritti opinare come più le piace.
    Narrossi essere morto di pestilenza li 15 agosto il P. Bernardino Bonfini, secondo sta notato nel Libro Mortuor. di questa arcipretale, ma legendosi li Annali Capuccini viene segnata la di lui morte sotto il giorno sette di settembre col ristretto di sua vita, che ci piace qui trascrivere come in esso. Anno 1630. Furente morbo pestifero in Castro S. Petri, Bernardinus qui tunc ibi struebatur, vise clade quam pestis in eodem Opido edebat, suam oper….. infirmis ac toto loco Opena tulit. Cum namque plures sacerdotea contagio vulnerati sadis cessissent, profecto salus omniam ibi in discrimen …tebatur. Quippe vix ullus inveniebatur qui sacra administrando posset …gris et sanis consulare. Huius periculi conscius effectus Bernardinus, ultro fabbrice in quam incumbebat, opus derelequit ut animas structure apparet domus eterne, nihili faciens proprie vite jacturam ut proximos Christo D.no suaventur. Itaque Dei Glorie atque animarum salutis (..) incensus die ac noscte male habentus visitabat ac omnia pietatis obsequia que egris propetari soleret sedulus exhibebat. Omnes cum ut hominem (..) satum suspiciebant, quemcunque animo locum imprederetur, illac etiam multa bona e Celo delagam advehabat. Dum animose vitam
    hanc fugacem exponerat ut eprotantibus vitam eternam procuravit eum (…) attrox corriguit et mindo eriguit ut Celis insereret Die 6. 7.bris anno 1630. Anali Capuc. P. Marcellini de Pis. T. III pag. 806.
    Le Memorie MM. SS. di questo convento locale aggiungono che essendo egli stato sepolto nel campo delli apestati, dopo il corso di otto giorni fu disumato, a motivo che sembrando a capi del paese inconvenevole ad esso una tale sepoltura per essersi egli tanto adoperato in simile calamità e per avere dati segni di santità e perciò accinti all’opera si ritrovarono il corpo intatto e palpabile, spirando odore di paradiso, sichè confusi li disumatori fu, a petizione di Vincenzo Mondini proprietario della chiesa di S. Giacomo , in quella collocato nel mezzo avvanti l’altare. Fu poi osservato che doppo questo fatto cominciò a scemare il furore del male finchè in poco dissipossi affatto. Fu ciò attribuito alle preghiere e meriti di questo ottimo e pio sacerdote.
    Cessato il contagio dopo alcuni anni tornarono li paesani a disumarlo a chiesa serrata e ritrovatolo intatto come prima fu riposto entro una cassa di rovere e le furono fatte le esequie in essa chiesa, per che li cappuccini non avevano per anco edificato il loro sepolcro. In quella rimase il suo corpo fino al 1737 dove li 11, con licenza dell’arcivescovo Lambertini che fu Benedetto XIV, disumato fu portato in una cassetta di rovere poi alla sua chiesa con memoria in un tubo di piombo.
    Ci assicurano li più vechi del paese che tutto il tempo che stette ivi sepolto vi si vedevano nel mese di agosto una luce risplendere attorno la chiesina di S. Giacomo. Il custode di questa Giovanni Conti esaminato su ciò ce lo confirmava, aggiungeva di più che sopra il selciato della sepoltura vi si vedeva in tempo di più rigido verno una erbetta fresca che sradicata da esso non ostante rissorgeva in primavera con fioretti bianchi e che tanto aveva deposto per attestato giurato spedito al vescovato di Bologna per ottenerne più facilmente la licenza del trasporto acenato.
    Le compagnie cappate di Castel S. Pietro non furono sorde alle pie insinuazioni pastorali dell’Ordinario moderno e sull’esempio della città ed altri luoghi del contado fecero diversi voti. La Compagnia di S. Cattarina nel dì 6 ottobre in una sua congregazione determinò di andare per voto tre anni continui nella chiesa di S. Pietro in questo Borgo a recitare l’officio di M. V. nella festa del SS. Rosario. Sucessivamente la Compagnia del SS.mo SS.to ancor esso determinò per tale tempo portarsi per anni tre processionalmente tutte le domeniche dell’anno alla visita di d. chiesa per averne la totale cessazione del contagio. Essendo poi spirato il trimestre dell’indulgenza pontificia, fu prorogata per altri tre mesi a petizione de principi e porporati. proseguissi per ciò fino a tutto decembre.
    La Comunità stessa ad imitazione delle altre comunità fece voto per anni cento alli SS. Pietro e Bernardino da Siena, al primo per essere questo paese insignito del nome dell’apostolo, al secondo per avere sempre a memoria il nome dell’acennato P. Bernardino Bonfini tanto benemerito alla populazione, dalla quale finchè visse fu sempre reputato per uomo santo.
    Per l’esecuzione poi di questo voto la Comunità decretò portarsi alla chiesa di questi PP. MM. OO. di S. Francesco e visitarla e fare la festa al santo colla offerta di una annua elemosina di lire ventisei. Le prime lire date furono poste in comparto ne libri comunitativi camerali, le seconde nella tabella delle spese sopra li beni allodiali della med. come a suo loco ripeterassi nel 1645.
    In questo mese di ottobre morì in Castel S. Pietro il cavaliere e capitano Pazzi con molti soldati e furono sepolti in Lazaretto. venne in posto di questo capitano Pietro Rotati da Rocacontrada. Vincenzo Boccacci da Fano sergente del d. cap. Pazzi morì ancor esso e fu sepolto a canto del sud. suo capitano.
    Avendo il Legato ne primi giorni di questo mese di ottobre condannati molti al servizio del Lazaretto fori di porta S. Mamolo alla Nunziata li quali si trovavano nelle carceri per la loro malvagità ed essendo fra questi Bernardo Torri da Castel S. Pietro, alias detto Castellano, abitante però nel comune delle Budrie nel quartier di S. Giovanni in Persiceto e con esso Cinto Cinti, furono questi condannati alla catena al piede come schiavi al servigio delli appestati compensando così colla gallera che le era stata decretata. Una notte per ciò riescì a questi levarsi li ceppi e fuggire dal Lazaretto onde, avvisati li ufficiali, cominciarono a suonare la stormida ma ciò non ostante Bernardo coll’ajuto suoi amici fuggì. Il Legato per ciò nel dì 21 ottobre mise fuori la taglia di l. 100 per chi li mazzava o dava prigioni senza incorso di pena, ma non le riescì tostamente, solo che doppo qualche tempo si intese che era stato mazzato verso Monzuno.
    Calmossi infrattanto il male e colla grazia suprema, provate a dosi le persone de medicinali, molti scamparono e per che sia a notizia de posteri la medicatura che fu in allora emanata ne trascriviamo quivi la ricetta estratta dal Ricettario in allora stampato cioè: Medicamento esterno usavasi mirra, incenso, mastice, bacche di lauro, bacche di ginepro t..ca e facevasi un composto. Quando erano maturi i buboni si tagliavano poi si medicavano con digestivo. La songia di porco usavasi da poveri. Il profumo era di antimonio polverizato, zolfo, salnitro e pece greca mischiati. La medicatura fisica era miele rosato solutivo, siropo di pollepodia solutivo, mucaro rosato, diacatolicone, eletuario rosato di nafro, trifava persico, diagone semplice e tutto si dissolveva in cordiale solutivo e davasi all’infermo.
    Terminato l’anno 1630 sembrò quasi spoliato il paese e ciascuno evitava l’assumere cariche, ma erano le persone forzate dalle autorità supreme per la qual cosa giunto l’anno 1631 entrò Massaro Gio. Battista Anessi e Podestà il Conte Cornelio Malvasia.
    Cessata la epidemia nella città e contado si apersero di nuovo le scuole, si cominciarono li mercati ed a conversare come prima.
    Terminata la fabbrica della loro chiesa questi P.P. di S. Francesco cercandovi il comodo di una bona sagrestia, diedero nel dì 24 genaro supplica al Senato di Bologna per avere la facoltà di occupare il terraglio pubblico che esisteva fra le mura del Castello e la mura del coro della chiesa (Arch. Senat. Lib. 24 N. 26) Il Senato scrisse alla Comunità per l’informazione e voto ed ella corrispose alle brame de frati.
    Il sommo Pontefice poi per rendere grazie a Dio del cessato flagello prorogò il Giubileo per altri tre mesi nel qual tempo in ogni loco si fecero processioni nove.
    Li 4 febraro il Conte Francesco Ramazzotti, avendo fatte molte spese come sopraintendente alli infetti di mal contaggioso in Castel S. Pietro per la somma di l. 1084: 5, ne diede memoriale al Senato per essere soddisfatto dalla cassa pubblica, poiché quanto alle altre molte spese occorse pel Lazaretto, formato come steccato d’asse, furono pagate dalla cassa particolare della Comunità in l. 250 a chi portava li appestati (Lib. Mandat. della Comunità in arch.).
    La Compagnia di S. Cattarina assieme a quella del SS.mo, prosseguendo l’adempimento de suoi voti colla visita alla chiesa di S. Pietro ed all’altre ancora, portarono entrambe le loro cappe, le quali erano state sospese a cagione delli aliti cativi ed infezione passata che si era estesa anco nel vestiario. Cominciarono esse la loro funzione intraprendendola dalla arcipretale colla visita prima al SS.mo poscia, benedetto dall’arciprete coll’aqua gregoriana fattole dal vescovo, si incaminarono ordinatamente alla chiesa divisata, portando la prima il suo pallione colla Santa e la seconda il suo Crocefisso, non avendo altra insegna e distintivo, cosichè il dì 5 aprile giorno della domenica di Passione, proseguendo il rito delli anni pestilenziali di portarlo non velato, invalse l’uso di sempre per l’avvenire così scoperto portarlo in tale giornata.
    Nel progresso della processione cantavano lo cappati il salmo: Misericordie D.ni quia non sumus consumpti, ed il popolo rispondeva Miserere nostri, e quantunque la Compagnia di S. Cattarina e l’arciprete dappoi abbiano avuto differenze assieme colla compagnia del SS.mo, niuno ebbe d’allora in poi il coraggio opporsi a tanta solenne funzione quantunque proibita dalla rubriche.
    Fu poi ordinato dall’arcivescovo ai parochi della diocesi e curati un aniversario per tutti li morti della diocesi e respettive parochiali. In oltre ordinò il calcolo di quanti morti erano stati nello scorso giugno a tutto decembre per il contagio. Furono nella città 13.398 e nel contado 16.300 che furono in tutto 30.879.
    Luca Giacomelli notaro ufficiale di Castel S. Pietro morì ancor esso in questo mese di aprile e, quantunque fosse cessata la contaggione, non ostante fu sepolto al Lazaretto.
    Compiuta come si disse la fabbrica della chiesa de frati di S. Francesco ed atteso il voto fatto dalla Comunità per anni 100 a S. Bernardino, concessero li med. frati a questa il comodo di fabbricarvi un altare onde porvi le imagini di d. Santi ed ivi solennizare la loro festa. Fu ciò fra non molto eseguito per l’egregio scultore Gio. Battista Rieti di nazione milanese ed il quadro fu dappoi dipinto da Domenico Dalforo. In segno della concessione del Jus patronato alla Comunità vi apposero li frati sopra l’altare la seguente memoria: Communitati favent.
    Nella contingenza della epidemica lue essendosi nel comune di Monte Caldiraro scoperta una imagine di M. V. di creta cotta in un arboro ed avendo cominciato a miracolizare furono le offerte de divoti tali che vi edificarono una chiesa in un fondo detto il Lato. Molte persone di Castel S. Pietro furono graziate, la prima fu la sig. Madalena __ moglie del sig. Antonio Villa che fu liberata dal bubbone, se ne legge la relazione in un libro in folio esistente nell’archivio di Monte Caldiraro ove sono tante altre grazie fatte dal Signore per mezo di questa S. Imagine, le quali noi riferiremo secondo la opportunità.
    Nel mese di agosto morì Alessandro Fabbri in Castel S. Pietro e fu sepolto nell’arca de Fabbri avvanti l’altare di S. Stefano nella chiesa di questi P. P. di S. Bartolomeo. Questi fu il primo che si sepelì in chiesa ed in Castello doppo il contagio. Seguì in questo tempo il matrimonio fra Angiola di Guidone Riari con Vincenzo Dalforte ambe familie originarie ed antiche del paese la prima delle quali, nobilitata da Sisto V e congiunta ai Riari di Bologna, aveva la sua abitazione in Castello alla sinistra della via maggiore al numero della quarta porta, la quale ora è delli sig. fratelli Conti.
    In seguito della suplica data da questi frati di S. Francesco per ocupare il terreno posteriormente alla loro chiesa ed ivi formarvi la loro sagrestia, avendo fino sorto li 10 scorso aprile ottenuto dal Senato di Bologna il seguente rescritto e decreto cioè: R.R. P.P. M. O. Anuntiate Castri S. P.ri degentibus gratificari volentes, tribuerunt facultatem occupandi in d. Castro quoddam Xistum pubblicum inter ipsorum Eclesiam ac menia ibidem existens ad usum sacrari eclesia d. inserviturum(… 19 Partit. Carat. fol. 4), diedero tosto mano alla fabbrica e chiusero lo stradello morto.
    Li 24 maggio morì il Conte Pompeo del Conte Ramazzotto Ramazzotti e fu sepolto nella nova chiesa di S. Francesco. Li 26 detto si fecero le Rogazioni di M. V. di Poggio, la di cui imagine era rimasta nella sua ressidenza fino ad ora per la pestilenza passata.
    La contessa Cattarina Luchini moglie del Conte Galeazzo Malvasia lasciato per testamento che si edificasse un altare nella nova chiesa di d. P.P. francescani, fu puntualissimo il cavaliere ad eseguirlo e fecevi dipingere la tela da Giacomo Cavedoni, rappresentante l’addolorata colla deposizione di G. X.to come si vede alla destra dell’altar maggiore e vi si legge la seguente memoria
    A. M. D. G.
    Sacellum Hec, et Ara
    Lacrymis B. V. M. sacrum
    ut Catharine Luchine eius uxoris
    exsolverat legatum
    Antonius Galeatuus Malvasia Co. Falcini
    extruxit
    Anno D.ni MDCXXXI
    Adi primo lulio entrò Massaro Gio. Battista Balduzzi e Podestà Sinibaldo Chiari.
    Sabatina Astorri di Castel S. Pietro avendo una filia inferma per grave male d’ochi con pericolo di perdere la vista, ricorse alla Madonna del Lato e fu liberata, portò il voto in argento nel mese di agosto.
    Li 3 detto partì il card. Bernardino Spada Legato e li 5 d. venne il novo card. Antonio S. Croce romano.
    Antonio Maria Conti, detto dal Dozzo, avendo una gamba incancrenita fece voto alla d. Imagine visitarla per tre sabati se guariva, tanto le avenne ed esso compì il voto.
    Attesa la instanza fatta per il Conte Ramazzotto di essere soddisfatto delle spese per il contagio come si disse, il Senato ne decretò nel dì 23 decembre il comparto nelli libri camerali così: 1631. 23 X.bris Partitionem l. 1084: 5 fieri mandaverunt sup. Comunitate C. S. P.ri, juxta relationem.
    Terminato l’officio di Podestà Sinibaldo Chiari, seguendo il costume de suoi antecessori appose la seguente nella ressidenza pibblica e così terminò l’anno
    Sinibaldus de Claris
    Pretor secundi semestri
    MDCXXXI

Nella fine del cadente X.bre D. Alessandro Gottardi paroco di S. Donato di Bologna finì li suoi giorni, compianto da quei parochiani per la sua sollecitudine e premura alli infermi massime nella contingenza del passato contagio, dove non risparmiò nè vita né robba. Il giorno preciso della di lui morte non si è potuto rissapere dall’archivio di quella parochiale per essere mancante del Libro de morti di questa passata deplorabile contingenza. Si deduce però dal libro de matrimoni la di lui esistenza evendo esso di sua propria mano segnato l’ultimo matrimonio nel dì 29 novembre anno presente e così sottoscritto l’altro matrimonio seguente dal novo paroco li 29 decembre 1631.
Resse la chiesa anni ventidue poiché fu a quella chiamato dalli parochiani nell’anno 1609 come rilevasi dal d. libro de matrimoni. Quello che c’è da notare egli è che nelle sue firme al principio del suo governo si trascriveva rettore ed in seguito paroco e finalmente rettore, né si comprende la cagione. Sappiamo però che nel suo ministero fece accomodare la chiesa che trovavasi in cattiva positura. La canonica non meno era defformata ed abbisognava di ristoro onde egli ben tosto la fece accomodare decentemente. La spesa necessaria si dovessero fare da parochiani, per questa spesa e molte altre si guadagnò l’amore e benevolenza comune di tutti finchè visse.
E perché, nel tempo chi viveva, eresse, come si scrisse sotto l’anno 1613, un beneficio lajcale a favore di un povero chierico di Castel S. Pietro che volesse incaminarsi nella via eclesiatica, sotto la invocazione della Visitazione di M. V. all’altare dedicato alla med. nella di lui chiesa, così essendo egli morto non fu dimentichevole la Comunità di Castel S. Pietro contrassegnarne la pubblica riconoscenza, quindi in questa sua patria nella arcipretale le fece fare solenni esequie con invito generale a chiunque sacerdote a celebrare la S. Messa. Questa notizia la ripetiamo dalli manoscritti del sacerdote D. Giambattista Vanti raccoglitore delle memorie patrie di questo loco.
Anziché il med., oltre averci soministrata copia della fondazione dell’accenato beneficio, ci diede ancora copia della inscrizione che fu fatta in occasione di tal funerale che fu apposta sopra la porta della parochiale la quale qui trascriviamo:
Singulari Munificentie
Alexandri Gottardi
de Cas. S. Petri
Rectoris S. Donati Bononie
Qui XII al. Mais Salutis Anno
MDCXIII
Massario et Hominibus Comunitatis
eiusdem Castri
Pauperem Clericum honestis Parentibus
In eodem Castro sive suburbio olrlum
Ad Lajcale beneficium in eclesia Paroch.
S. Donati Bononie
Ad Aram Visitationis B. V. M. erectum
Jus presentandi Largitus fuerit
ut ex tabulis Victori Barbadori Notar
Presides pubblici C. S. P.
Grati animi ergo, Exequias
Benefactori optimo
Persolverunt.
In qual precisa giornata ed epoca non ce lo annunziano le memorie accennate che si eseguisse queste pubbliche esequie.
Cessato il contagio fu ordinato dal novo cardinale Legato che per maggiore cautela della populazione bolognese si espurgassero tutte le case, domicili ed abitazioni dove erano stati li contaggiati per assicurarsi della comune salute. La Comunità non fu indolente in questa prudente determinazione e providenza, deputò quindi quattro de suoi rappresentanti che ne facessero le visite a quelle abitazioni che erano state abitate da contaggiati. Adenpirono il loro incombenzato e si portarono in loco delle med.
Furono le case nel Castello N. 23 cioè in Saragozza di sopra sette, in Saragozza di sotto otto, nella via de Pistrini tre ed in via Maestra cinque, nel Borgo poi furono solamente otto. In alcune, come quelle che erano più sfasciate nelle pareti, fu ordinato ai proprietari ristabilirle con la calce e quelle che erano di buone pareti solamente furono sfrattonate al riferire delli artefici. La nota di queste case, col nome de proprietari trovasi nell’archivio comunitativo e furono parte delli Rondoni, parte delli Gherobini nella via de Pistrini e de Bergami. Nella via di Saragozza di sopra furono delli Costa e Chersoni e Gini, in Saragozza di sotto parte delli Ricardi e parte de Pirazzoli ed altri, nella via Maggiore de Forni, Arighi, Fabbri e Comelli che erano tutte abitate da inquilini. Nel Borgo furono delli Boldrini, delli Fabri, Morelli Pasanelli, Bogni, Dalmonte, Calanchi e Gini massime nel ghetto et Andrini e Dalforte.
Non bastò quello alla Comunità la quale, vigilante per un si importante affare, fece anco espurgare li pozzi di pubblica spettanza, de quali come superflui ne fece interire due solamente e furono uno nello stradello che intermedia l’abitato delli Caldarini e Graffi e l’altro nello stradello che intermedia l’abitato delli Fiegna e Poggipollini, de questi se ne vede anco oggi giorno la loro circonferenza alla superficie del suolo adesivamente alli edifici Graffi e Fiegna.
Li altri cinque che rimasero al pubblico beneficio, che si vedono tutti di un egual fabbricato, misura e struttura cioè dietro le mura a ponente contro la Roca il primo, il secondo in piazza Liana presso li frati di S. Bartolomeo, il terzo appresso il palazzo Malvasia nella pubblica strada detta Framella, il quarto posteriormente al pubblico cemetero nell’angolo della casa già delli Orsolini, che poi fabricata dal serenissimo Principe Galeotto Pichi nella piazza detta di Saragozza ora di S. Francesco, che ora non si vede poiché il Principe sud., con partecipazione della Comunità, come a suo loco dirassi, fu levato per evitare li chiassi feminili che si facevano nel cavar aqua e fu sostituito inferiormente nel colochio della casa Serantoni e Dall’Osso. E finalmente il quinto, che trovasi coperto nell’angolo inferiore di questa isoletta a fianco della casa ora de fratelli Parazza che fu prima delle monache di S. Maria Egiziaca e che, alle opportunità, si appre al ben pubblico non avendo che una lapide sopra. Furono tutti evacuati dall’aqua, imondizie e così assicurarsi a spese pubbliche la salute comune.
Il zolfo con pece greca, bache di ginepro furono nelle case già state contagiate, non solo dalla epidemica lue ma anco da altri mali, in questa contingenza tutte profumate. Furono ancora abbruciati al fiume Silaro le barelle ed altri legnami che servirono per li apesati. Molte altre cose e precauzioni furono usate che per essere minutezza ci risparmiamo annotarle ed individuarle. Il foco in questa contingenza operò molto per fino nelle imagini de santi e nei crocefissi picoli massimamente per li baci e contatti avuti nelle case de poveri limosinieri a quali fu proibito rigorosamente approfittarsi di ciò che era sospetto e destinato al foco.
Li Capuccini, che fin ora per le vicende funeste non avevano per anco formata quivi la familia loro, cominciarono in questo tempo ad abitare il loro novo convento con sei relligiosi sacerdoti e due conversi, né per anco compirono il numero prefisso accordatole con decreto della congregazione de vescovi e regolari allo spirare del decembre 1626 inerentemente alla loro petizione che quivi noi trascriviamo estratto dal Bullario Cappuccino T. 2 fol. 233. cioè:
Ordine Sanctissimo per epistolam S. Congregationis Episcoporum et Regolarium sufragando Bononie intimato.
Domum in loco Castri S. Petri erigi indulgetur dumodo decem saltem fratres ibi sussistant.
Ill.mi et Rev.mi Domini
Fratres Cappuccini Provincie Bononiensis tam ob itineris de loco uno ad alium quam ob eorum paupertatem sumogere indigent Conventu in hoc loco Castri S. P.ri juxta via m regiam Imolam inter et Bononiam edificando. Cumque situe jam jam cum magna Comunitatis satisfactione, nec non ad mod. R. P. Generalis Licentia fuerit selectus et Crux solemniter plantata antequam foret emanatum S. Congregationis Decretum prohibens ne erigerentur Conventus in quibus Conventus in quibus ad minus duodecem fratres non possent subsistere, alis Ordinariorum Jurisdictionis deberunt esse subiecti. Ideo ulterius ii non sunt progressi.
Immo vero Patres d. Provincie insimul congregati illustrissimis Dominationibus Vestris humilime supplicant qiodemus prefato Decreto pro hac vice tantum derogare dignentur ad effectum d. Conventum ibi construendi quia ordinariis si subjectis, et ob Concessam Gratiam pro illustrissimis D.D. V.V. prosperitatem Deum exorrare non definent.
Perillustris ac Adi Ri Domine uti frater.
Ill.mus D. Noster pro F.F. Cappucinor. illius Provincie comoditate indulget ut amplitudo sua erectionem Conventus in loco castri S. Petri illius Diocesis permitat non obstante quod ibi 12 religiosi non possint subsistere, domodo tamen illorum dcem saltem manuteneri queunt. Quod amplitudo tua Auctoritate, que eidem vigore presentium conceditur exequi poterit. servata de cetera exacte predictarum constitutionum dispositione, et Deus eam preservat. Rome 18 Decembris 1626. Amplitudini Tue. Uti frater. Laudivius Cardinalis S. Sixti. P. Fagnanus. Ex Regest. Secret. Congregationis mensis et anni predicti.
Nell’anno seguente 1632 al primo genaro entrò Massaro Innocenzo Fabbri e Podestà fu Achille Volta. Li 2 d. fu ucciso Ipolito Ravaglia di Casalfiumanese da siccari forestieri. Li 4 del med. mese si pubblicò un novo giubileo per li presenti travagli di guerra. Si fecero perciò orazioni ed esposizioni del SS.mo per tre sere consecutive cioè li 12, 13, e 14 del corrente colla benedizione al popolo.
Li 24 febraro, ultimo di carnevale, per li fallò che si fecero universalmente alla campagna si incendiarono in alcuni luoghi fenili e case a motivo di un vento improvisamente alzatosi. Al fondo Piombarolo restarono consunti dal foco bestiami e soffocati nella stalla due fanciulli, lo stesso seguì al Valesino fondo rurale nel quartiere della Lama. Durò il foco per tutto il giorno 25 d. e prima di Quaresima.
E perché la compagnia del SS.mo eretta all’altar maggiore della parochiale, che mantenevasi di tutto punto da quella, perciò alle opportunità ivi trasportava li suoi santuari e faceva tutte le funzioni che erano di suo instituto, onde, prosseguendo il voto fatto della visita alle chiese del Castello e Borgo, li 28 marzo, domenica di Passione, espose il suo crocefisso ivi al culto pubblico senza velo ed il doppo pranzo, fatta la processione e cantato il Te deum, fu data la benedizione al popolo colla S. Imagine. Tanto ci lasciò scritto il P. Vanti nelle sue patrie memorie.
Li 29 marzo giorno di lunedì seguente si fece il mercato de bovini nella via pubblica del Borgo che finora era stato per il contagio sospeso.
La porta detta montanara del Castello, che finora era stata chiusa, fu aperta al pubblico comodo e senza guardia.
Li 7 aprile mercoledì fu ucciso Pietro Romani di Sassoleone per ferite ricevute il lunedì antecedente nel mercato. Li 11 d giorno di Pasqua si cominciò dalle compagnie ad andare il doppo pranzo alla visita della Madonna del Cozzo ad imitazione delli scampati della peste detti li Bianchi, senza punto alzar croce recitando in voce dimessa il rosario. Giunte le compagnie alla Madonna si recitarono le litanie poi nel ritorno al Castello, quando al Silaro sul ponte in faccia al Lazaretto, si intonò a voce alta il Deprofundis in suffragio de sepolti ivi, ciò praticossi susseguentemente sempre fino al 1771.
Li 17 maggio si incominciarono le Rogazioni della B. V. di Poggio.
Trovasi indisposta per alta febbre Angela Riari moglie di Vincenzo Dalferro di Castel S. Pietro incinta ed abbandonata dal medico Scasilioni in mano de sacerdoti. Nel passare che fece la processione di M. V. avvanti la sua casa in via Framella, animata da quelli raccomandarsi alla S. Imagine, fece il di lei marito voto che se ritornava in salute l’aurebbe con esso condotta per tre sabbati a piedi scalzi a visitarla alla sua chiesa. Ascoltò la B. V. il voto e, data la moglie in sudore universale, restò libera in poche giornate e nel successivo giugno adempì la promessa col marito.
Dovevasi in questo tempo dalla Compagnia del SS.mo indorare l’ornato de fianchi intorno alla nicchia del suo Crocefisso nell’oratorio da Battista Armaroli bolognese quindi il med., arischiando il piede sul ponte d’asse, lo si levò di sotto l’asse su cui poggiava e senza potere rimettersi cadde sopra la mensa dell’altare avvanti il crocefisso, ricadendole addosso alcuni materiali ed instrumenti. Cosichè fu creduto morto ma, appena riavutosi e solecitato raccomandarsi alla S. Imagine, apperse di novo li ochi e, vedutosi ciò da chi era corso per soccorrerlo, fu levato dalla mensa ove era caduto, portato nella vicina sagristia dove, raccomandandosi al Sig. e ringraziandolo di non essere rimasto sul colpo, si fece portare alla sua abitazione. La mattina seguente sentendosi imune dalla percossa patita nelle braccia, capo e gambe si fece accompagnare novamente al suo travaglio che poi terminò colla maggior devozione possibile, fece dipingere la tavoletta e la appose al santuario. Un miracolo di questa sorte comosse la populazione al culto di questa S. Imagine.
Cresceva vieppiù in questi giorni la fama delle grazie che Dio dispensava mediante la S. Imagine del Lato, onde ogni afflito ricorreva alla med. per essere consolato e ne aveva l’intento. Perciò Lucia Gardini di Castel S. Pietro, avendo ossidrato un braccio per doglia iremediabile, a lei ricorse e fu liberata. Lo stesso accade a Battista Chersoni del med. Castello che, travagliato da doglie ecesive di capo, vaneggiava talmente che tallora diveniva furente, fece lo stesso voto e fu liberato. Andarono entrambi alla visita poscia li d. graziati dalla S. Imagine. Peregrina Ruggi per carboni e glandole ridotta a termine di morte in tempo di contagio si raccomandò alla S. Imagine e fu liberata. Gentile Loreta caduta giù di un moro e ruinata con pericolo di morte si raccomandò alla d. S. Imagine e fu graziata (Lib. Graz. fol. 29, 31, 34.)
Il primo lulio entrò Massaro Giovanni Annessi e Podestà il Conte Gualengo Ghisilieri. Li 19 lulio morì il card. arcivescovo di Bologna.
Li 25 agosto fu uciso il Conte Ramazzotto Ramazzotti filio del Conte Pompeo e fu sepolto in Castel S. Pietro in questa sua parochiale. Raccontasi essere ciò seguito da Gio. Battista Dall’Oppio primo siccario unito a Carlo Bogni ed altri facinorosi, come ne rissulta da suplica dello stesso Dall’Oppio presentata al Legato nel 1640 che noi col rescritto conserviamo originalmente con altri documenti del paese. Il Conte Ramazzotto avendo dunque avuto diverse treche con alcuni del paese, le fu fatto l’aguato nella casa della torre del Castello, che oggi viene occupato dal publico transito. Da una fenestrella che guarda il Borgo le fu data una archibugiata nel mentre che d. Conte andava al Borgo, fu ferito in tal modo che cadde e fu trasportato a casa sua.
Rizza Garetti che esercitava l’ostessa in d. casa ad uso di bettola, di cui ne fu favoleggiato essere ella la padrona di d. casa donatole colla torre da Clemente settimo per maritare cinque filie, fu distenuta in carcere per averne essa occultato l’autore dell’omicidio onde altro non si legge di preciso ma fu punita.
Appassionossi talmente il Conte Pompeo per la morte di questo suo filio che infirmatosi gravemente morì li 17 novembre e fu sepolto nella nova chiesa di S. Francesco. Il detto Conte Pompeo fu filio di Ramazzotto Ramazzotti e di Angelica Fabbri di Castel S. Pietro. La familia Ramazzotti si riscontra nel Lib. Babtizat. di questo Castello essere radicata nel secolo decorso da una memoria di Ginevra del Conte Ramazzotti, altra posteriore del 1586 di certa Pamfilia Ramazzotti e finalmente altra del 1579 sotto li 24 giugno così cantante: Naque un putto al Conte Ramazzotti a cui fu posto il nome di Giuseppe. Il su acennato Ramazzotto sepolto in S. Francesco è l’ultimo di questa chiara familia che ritroviamo segnato nel Lib. Mortuor.
Furono tanto bellicosi ne tempi andati questi Ramazzotti cosichè per fino entro il casato ne naquero domestiche baruffe fra la quali, venuti una volta a parole due fratelli figli del cap. Ramazzotti, passarono indi ai fatti e restarono entrambi segnati cioè uno guercio e l’altro zoppo donde, pacificati poscia ed andavano assieme, furono messi in derisione e favole cosiché quando in appresso si vedevano caminare persone acompagnate e che erano mutilate dicevasi comunemente: Ecco la compagnia de Ramazzotti, posciachè l’uno e guercio e l’altro è zoppo.
Barolomeo Bochini nelle sue Pazzie de Savi scherzò ancor esso su questo fatto al Can. 3, ottava 32.
Spinazzo Chiari e il forte Ramazzotto
che fu poi capitan de guerci e zoppi.
Volendosi in questo tempo dalla Compagnia di S. Cattarina mostrare essere grata alli frati di S. Francesco egualmente che alli Cappuccini novelli passò a quelli l. 30 per elemosine nel dì 5 decembre affinchè facessero orazioni e ringraziamento al Signore per il cessato contagio onde li med. nel giorno ottavo dello stesso mese facendo la festa alla Immacolata cantarono il Tedeum doppo la benedizione del SS.mo. A questa funzione assistette la compagnia in forma.
Essendosi fatte spese dalli 10 lulio fino alli 8 settembre nell’anno corente per la somma di l. 92: 6 per la guardia al transito di Castel S. Pietro, il Senato ordinò il comparto alla podestaria del med. Castello (Carat. T. 19 fol.19)
Nel giorno primo genaro poi 1633 entrò Massaro Gabrielle Cuzzani e Podestà il Conte Vincenzo di Benedetto Vittori.
Li 6 d. cominciò una neve così strepitosa che si alzò fino alla gamba ma durò poco poiché mosso un vento siroccale si sciolsce prestissimo, onde li fiumi gonfiando danneggiarono le campagne aderenti.
Nel mese di marzo nella Villa di Poggio, travagliandosi terreno in una pezza di terra detta Trifolco ove era l’antico Castello Triforce ove sono anco rottami di quelli edifici, certo Tomaso Bendino nell’escavare uno scolo d’aqua incappò in un bullicame di serpentelli che sortendo da quei rottami se li avvittichiarono alle gambe. Per quanto si adoperasse per svilugarsi da se non lo potette. Corse imediatamente alla abitazione più vicina, che era quella del custode della B. V. di Poggio, gridando ajuto, sortì il custode e veduto il grave impegno del povero uomo lo esortò a raccomandarsi alla B. V. che sarebbe assicurato della vita, tanto egli fece di vero cuore ed il sacerdote con pannilino afferrando quelle bestiole, liberò quel povero uomo e le gambe si videro immuni dalle offese. Grazia che fu singulare ed il graziato ne fece poi apporre la tavoletta..
Medesimamente Giovanni de Frascari, accavezzando in quel quartiere un arbore, levavasi di sotto la scala poggiata all’arbore, cadde e, coll’arma da taglio che teneva nelle mani, nel cadere si ruinò un’ascella con pericolo di morte, ricorse alla d. S. Imagine e guarì in breve.
Essendo l’ultimo anno votivo di andare le compagnie alla chiesa di S. Pietro a recitare il Rosario per la liberazione dal contagio, portando insieme il suo santuario processionalmente.
Li 13 marzo Domenica di passione volle l’arciprete intervenire alla funzione, tanto fece e, nel ritorno che facevano le compagnie alle loro chiese, doppo che furono alla parochia col popolo unito, diede esso la benedizione col med. Crocefisso della Compagnia del SS.mo che teneva nelle mani. Tutto in un tempo si sentì gridare: Grazia, grazia, Miracolo, miracolo. Il motivo fu che essendovi intervenuto a questa funzione certo Giacomo Calvani muratore che da qualche tempo caminava colle crocciole per caduta sofferta, né poteva rimettersi, offrendosi esso col massimo fervore alla S. Imagine, nel tempo che l’arciprete dava la S. Benedizione con quella, si sentì improvisamente invigorito come se mai avesse avuto alcun male onde, cacciate le stampelle, alzando le braccia al Signore glie ne rese le dovute grazie.
L’arciprete, che tanto aveva sentito, corse al liberato uomo e, conducendolo all’altare, fece dappoi al popolo radunato un fervoroso sermone, col prendere il testo scritturale che usò S. Pietro quando liberò il zoppo, col dirle: In nomine Jesu surge et ambula, accoppiando nel discorso la divozione fatta a S. Pietro ed a Christo crocefisso ivi portato processionalmente. Crebbe talmente la divozione a questa S. Imagine che d’allora in poi si prosseguì sempre a coltivare la festa solenne e processione nella Domenica di Passione, tanto ci lasciò scritto il P. Gian Lorenzo Vanti nelle sue memorie patrie.
Seguirono nell’aprile successivo lo sponsali fra Paolo del fu Giovanni Fantaguzzi da Fano con Cornelia Calanchi da Castel S. Pietro che fu motivo si stabilisse quivi la familia Fantaguzzi. Il d. Giovanni era sergente militare sotto la condotta del sig. Gio. Francesco Casio ufficiale delle truppe papaline per la guerra contro li imperiali e morì nella contaggione cessata.
Li 3 aprile, essendo priore della Compagnia di S. Cattarina Gio. Battista di Alessandro Fabbri, la med. compagnia stabilì andare quest’anno a Bologna in cappa alle sette chiese di quella città come di fatti vi si portò solennemente li 16 maggio seconda festa di Pentecoste.
Li 8 giugno morì il sig. Francesco Casio ufficiale sud. doppo una lunga malattia e fu sepolto in parochia con onori militari.
Affinchè poi venisse instrutta la gioventù del paese nelle scienze non mancò la Comunità, unita al sig. Giovanni Morelli compatriotto, avanzare calde premure al P. Giuseppe Calazzanzio fondatore delle Scuole Pie, offerendosi il Morelli darle nelle proprie case il quartiere. Riscontrasi ciò dalla vita di d. fondatore, il quale fu poi santificato, scritta dal P. Vincenzo Talenti stampate in Roma l’anno 1667 per Gio. Zampel. in cui trovasi la seguente memoria al Lib. 4 Cap. 1 N. 5. Cart. 1323. cioè: Nel seguente giugno fu molto pressato il Santo per Castel S. Pietro vicino a Bologna, onde alli 6 di lulio 1633 rispondendo al P. Graziano che vi aderiva: quanto al Castel S. Pietro in caso che avessimo dodici sogetti per mandarvi, dove hanno da stare? Dobbiamo tener conto che li nostri P.P. abiano nella abitazione comodità siacchè l’Instituto è tanto faticoso.
La Relligione delli P.P. della Scuola Pia fu fondata dal d. P. Giuseppe Aragonese, detto “della Madre di Dio”, al secolo chiamavasi Calassanzio al tempo di Clemente VIII. Fu approvata la Relligione da Paolo V nel 1617 e confirmata da Gregorio XV nel 1620. Morì in Roma d’anni 92 li 25 agosto nel 1648.
E perché il d. Morelli non potette avere il suo intento in allora, non mancò per altro nel suo testamento, rogato li 11 febraro 1634 Notaro Gregorio Vechi, di rammentarsi questa sua patria per beneficio alla gioventù lasciando per legato Lire cinque milla a d. P.P. della Scuola di Dio da impiegarsi nella fabbrica della loro chiesa in Castel S. Pietro, quallora avessero ferma abitazione in esso, raccomandando ciò a Vincenzo Mondini e Giacomo Sgarzi.
Adì primo lulio entrò Massaro Vincenzo Mondini e Podestà fu Pavolo di Giacomo Dondini, rogava in quei tempi Sante Fabbri not. paesano e che tuttora serviva da Giusdicante. Nel Borgo nel mese di agosto morì in casa propria Giacomo Fabbri, detto il Castellano, per avere egli avuta la carica di Castellano molto tempo in Dozza vicino Castello.
Li 18 settembre il canonico Gio. Battista Pietramellari di Bologna, visitatore generale della Chiesa della diocesi deputato dal card. Girolamo Colonna arcivescovo, che di quivi passò incognitamente et andò li 27 maggio scorso a Bologna, si portò in questo Castello ad eseguire le commissioni del novo pastore. Esso canonico visitò prima tutte le chiese del Castello e Borgo poi passò alli oratori, prima del Castello poi fuori del med.. Eccettuò S. Giacomo al ponte Silaro a motivo delli apestati ivi sepolti.
Visitò la chiesina della Madonna della Scania di recente fabbricata da Ottavio Fabbri e, siccome non vi era per anco alcuna imagine, fece perciò il seguente decreto: Visitavit Ecl.am S. Maria ad Nives nuper a D. Octavio Fabbri extructa et decrevit provideri de Jcone et necessaria ad sacrum facien. (Lib. Visit in Arch. paroch).
Rilevasi poi da d. libro che in questa visita sono annoverati li altari esistenti nella d. chiesa arcipretale che erano 12, cioè cinque alla destra dell’ingresso maggiore e sei all’opposto, li quali piace quivi riferirli.
Subito a fianco della porta maggiore alla destra esisteva il fonte battesimale, seguiva il primo altare dedicato a S. Stefano, il secondo a S. Giacomo, il terzo a S. Croce, il quarto a S. Nicolò da Bari ed il quinto dedicati a SS. Biagio e Petronio, B. V. del Bongesù che esisteva sotto la finestra che riceve il lume dalla via di Saragozza.
Dalla parte opposta, cominciandosi dalla d. porta maggiore alla fiancata dell’ingresso per accompagnare la semetria della chiesa che era di fabbricato gotico ma col tassello ad asse di abete, eravi il primo altare dedicato a S. Antonio Abbate, il secondo dedicato a S. Lorenzo, jus patronato delli Serpa, il terzo a S. Michele, juspatronato delli Rota, ove eravi fondato il beneficio di S. Michele Arcangelo ed ora vi è la capella del Rosario, il quarto dedicato a S. Andrea, juspatronato delli Comelli, il quinto dedicato a S. Cattarina V. e M., il sesto dedicato a S. Lucia ed Apollonia, juspatronato delli Morelli, ed era sotto l’altra finestra laterale all’altar maggiore, che riceve il lume dalla via di Saragozza sud., finalmente l’ultimo altare nel mezo come al presente di ragione della parochiale dedicato a S. Maria maggiore, ove esisteva il quadro dipinto in asse colli apostoli ed altri santi, opera del Sacchi come già si scrisse.
Li 8 novembre il sig. Lorenzo Pagnoni venendo dal suo casino, detto la Pagnona, nel quartier della Lama alla volta di Castel S. Pietro fu ucciso da Vincenzo Magnani di d. Castello perché, avendo il Magnani ammazzati colombi della colombaja del d. Pagnoni l’aveva questi fatto trattenere quattro mesi in carcere. Il fatto lo comise nell’angolo della fornace de Mondini ove il Magnani si era posto in aguato per darle una archibugiata come fece da una sciepe, fu a vista carcerato e li 15 decembre pagò il fio su la forca.
Si erano sparsi in questi contorni molti zingari, li quali rubbavano ciò che potevano perfino nelle chiese onde, essendovi nascosto un loro fanciullo nella chiesa di S. Bartolomeo, quando si fu ad alta notte aperse una porta della stessa chiesa ed introdusse li uomini di sua nazione li quali, nel volere passare alla sagrestia per levare forse li vasi sacri, inciamparono in un campanello da messa quale rissuonando fece alzare il vicino portinajo che, accortosi dei ladri, corse alla campana del convento onde, svegliatisi li frati ed il vicinato a tanta novità, sortirono dalle abitazioni ed inseguirono li ladri che si smarirono nelle vicine boscaglie et andarono alle grotte di Casalechio che, per averli nelle mani, furono affumicati e, poscia presi, dato il condegno castigo.
La neve era cresciuta in modo alla fine di quest’anno che caddero molti tetti alle case deboli. La chiesa della Annunziata in questo Borgo patì molto a segno che li 29 decembre anno cadente ruinò il coperto dietro all’altar maggiore e restò così guasto per alquanto tempo, onde li Fabbri, vicini di casa, ripararono poscia del proprio alla ruina.
L’anno seguente 1634 entrò Massaro per il primo semestre Francesco Ricordi e Podestà Andrea di Bartolomeo Barbazza Manzoli.
Replicò la neve nel genaro e crebbe all’altezza di quattro piedi. L’esempio della ruina parziale del tetto dell’Annunziata insegnò alli paesani assicurarsi con puntali nelle abitazioni.
Essendo stata eletta in Bologna protetrice della città e contado la B. V. del Rosario, attesa la liberazione dal contagio in cui fu fatto voto solenne di ogni anno festeggiarsi un giorno per la di lei gloria, molti paesi del contado aderirono alle determinazioni pubbliche della città, quantunque avessero fatti dei voti particolari e così fece Castel S. Pietro, come rilevasi dal Camp. delli Atti della Comunità al car. 80, ove avvi dissegnata a penna la S. Imagine colla indicazione del not. Sante Fabbri, che in allora serviva in Consilio in qualità di cancelliere segretario coll’annuo emolumento di l. 80, e ciò fecesi in addizione alli due protetori SS. Pietro e Bernardino.
Li 11 febraro Giovanni Morelli, nazionale di Castel S. Pietro domiciliato a Bologna sotto la parochia di S. Giovanni in Monte, fece il suo testamento segreto a rogito del not. ser Gregorio Vecchi bolognese, che poi morì li 27 maggio e li 28 fu pubblicato.
Li 3 maggio essendosi solennemente incoronata in Bologna l’Imagine del SS.mo Rosario fu in appresso pubblicata l’indulgenza amplissima per chi recitava ogni sera il rosario. Si cominciò pertanto universalmente dalle familie in memoria di tanta grazia a recitare la Corona, lo che prima non si faceva,
Morto adunque il lodato Morelli e pubblicato il suo testamento, in quello contemplata generosamente questa sua patria con molti legati, ma la esecuzione poi non fu col progresso del tempo effettuata dalli potenti suoi eredi P.P. Gesuiti. Quale fosse la sua pingue eredità riscontravasi dalli atti del not. Monari nel foro vescovile di Bologna, ove esiste tutto lo spechio delli asse e testamento, di che tutto noi ne abbiamo la copia.
Aveva egli tre sorelle monache due in S. Vitale e l’altra in S. Margherita di Bologna e, perché si sappiano le beneficenze ordinate per Castel S. Pietro, ne facciamo la estrazione in questo loco per che il lettore de nostri scritti ne sia a giorno.
Cioè lasciò alla Compagnia del SS.mo SS.to di questo Castello la di lui capella nella parochiale col peso di tre messe da farsi celebrare per li di lui eredi P.P. Gesuiti il lunedì, venerdì e sabbato in perpetuo e dippiù fare tre feste l’anno in perpetuo cioè di S. Lucia, di S. Ignazio e S. Francesco Xavero.
Item un anniversario in perpetuo il giorno di sua morte in d. Castello con tutte le messe che si potessero avere per la di lui anima, imponendo alli eredi però in d. capella una lapide indicante tutte queste disposizioni. Lasciò pure una messa in perpetuo ogni venerdì dell’anno al di lui altare del X.to nella chiesa della Madonna di Poggio.
Item che si facesse ancora tre volte l’anno una Missione in Castel S. Pietro secondo l’instituto de P.P. Gesuiti suoi eredi per quindici giorni, cioè nel tempo delle Rogazioni di M. V. per otto giorni verso la fine di carnevale e la terza missione la rimetteva all’arbitrio del P. Provinciale gesuita di S. Lucia.
Queste missioni dovevansi fare ogni tre anni e, nel caso che li arcipreti pro tempore non volessero nella sua chiesa questi incomodi, ordinò a d. P.P. di S. Lucia che si facessero una chiesa ed oratorio in d. Castello in una parte della di lui casa, che è quella dell’ospizio ora de Barnabiti ove avvi un gran camerone aderente alla piazza del Castello e corispondente nella med. presso la torre che forma angolo.
Ordinò pure che in d. tempo delle missioni si desse per elemosina corbe quattro grano ridotte in pane ai poveri del Castello e circonvicini.
Alli Francescani lasciò una ancona grande rappresentante S. Antonio da Padova. Alli P.P. delle Scuole Pie, allorchè si fossero stabiliti in Castel S. Pietro, lasciò vari quadri di pittura nel d. Castello esistenti in di lui casa. Al dott. Ipolito Scasilioni, medico del med., lasciò pure quadri di buona mano. L’asse ereditario ascendeva a lire novantacinque e quattrocento cinquantacinque milla lire (l. 95.455).
Le d. missioni ed elemosine furono eseguite fino all’anno 1696 le quali, volendosi tralasciare colli altri pii legati, la Compagnia sudd. del SS.mo SS.to le intimò la lite quale esecutrice testamentaria per li atti Monari nel vescovato di Bologna il cui esito si racconterà a suo loco.
Li 22 di maggio si fecero le Rogazioni della Madonna di Poggio e, perché il tempo fu piovoso, non si potette trasportarla alla sua ressidenza se non alli 28 d. mese. Ogni giorno che stette quivi se le cantò avvanti mattina e sera l’officio e vespro da confratelli della compagnia.
Essendo partito il Legato card. Santa Croce, entrò in Bologna il dì 30 maggio il novo Legato card. Benedetto Ubaldo de Baldesco perugino.
Li 17 giugno venne un temporale orribile con vento e si vide la bisciabora ne prati del Cerè ove, essendovi un filio di Domenico Lega colono del sud. defunto Morelli dietro alle sue bestie, fu levato in aria e trasportato ne campi della vicina possessione di questa parochiale, detta le Querzole, senza offenderlo. Il d. Lega attribuì la grazia al miracoloso crocefisso della compagnia sud. di cui ne era divoto e vi appose la tavoletta.
Infrattanto terminò il di lui officio di Podestà il Conte Barbazza che seguendo lo stile de suoi predecessori fece apporre nella ressidenza pubblica la di lui memoria del seguente tenore che qui apponiamo
Andreas Barbatia Mangiolus
Co. et Eques Pret. Pri. Sem.
MDCXXXIV
Entrò poi novo Podestà altro nobile dello stesso casato, cioè Giacinto di Giulio Cesare Barbazza Manzoli. Il Massaro fu Sante Simbeni. Componevano il Corpo comunitativo li seguenti: Sante Simbeni,Francesco Ricardi, Vincenzo Mondini, Sante Santoni, Alfonso Graffi, Innocenzo Fabbri, Gabriele Corniani, Francesco Poeti, Orazio Venturoli, Christoforo Olivieri, Gio. Battista Musitelli, Pietro Andrini, Pietro Dalmonte, Gio. Maria Simbeni, Ottaviano Baroncini, Sante Fabbri, Lodovico Rondoni ed Angiolo Comelli.
Li sud. Mondini e Ricardi parenti, per essere eglino stati li primi a prendere li Dazi contro il paese furono marcati per traditori della patria poiché per loro cagione si animavano le liti col novo daziere Zaniboni di Bologna.
Marc’Antonio del fu Camillo Gardenghi sposò Domenica di Andrea Raffanini nel mese di settembre alla quale ocasione, facendosi aplausi con lo sbarro di archibugi, naquero non poche risse e tumulti fra li parenti dell’uno e dell’altra onde si insidiavano la vita ma, infraposti li Fabbri del Borgo, si pacificarono ed il paese tornò in calma.
Li 10 ottobre il card. Girolamo Colonna venne in persona a Castel S. Pietro e tenne la sua visita pastorale nella quale ordinò al dottore d’ambo le leggi D. Lorenzo d’Alà arciprete demolire l’altare delli Muzza, d’onde poi ne patì egli molte vessazioni al segno di rinunciare la chiesa . Andò poscia alla visita del novo convento e chiesa de capucini, li quali per anco non erano nel N. destinato. Comendò molto la pietà de paesani e lo stesso fece alla nova chiesa di S. Francesco della quale se ne compiaque il di cui dissegno è di Francesco Martini architetto bolognese. Allogiò il porporato in casa Malvasia.
Il 25 ottobre morì suor Lena Lippi terziaria di S. Francesco e fu sepolta nella nova chiesa de francescani, di queste terziarie ve ne erano alquante nel paese e tutte si radunavano da quanto si riscontra in una casa di Inocenzo de Fabbri nel Borgo in via di S. Pietro.
Domenico Aloissi da Linaro fu ucciso da contrabandieri di Castelbolognese. Lì 5 decembre Gio. Battista Marcolini del med. Castello in una baruffa con altri bravi del suo paese restò ucciso e così accadde li 30 decembre nella persona di Bartolomeo Matti, tutti intervenuti al mercato nel Borgo.
Al principio dell’anno seguente 1635 entrò Podestà Alessandro di Francesco Rochio e Massaro Gio. Battista Balduzzi. lì 20 febbraro il sig. Gio Battista Giangrandi di Faenza sposò la sig. Angelica filia di Innocenzo Fabbri discendente da Bittino de Fabbri . Fu sposata nella chiesa dell’Annunziata in Borgo perché la familia de Fabbri acennata era sempre stata in addietro la custode della chiesa.
Siccome si era introdotto l’abuso di sottoscrivere li memoriali delli comunisti fuori della ressidenza perloche accadevano disordini, così li 11 marzo decretò il Consilio che per l’avenire non si dovessero fare tali soscrizioni se non in pubblico Consilio.
Agnese di Virgilio Pirazzoli esendo lungamente obbligata a letto per una scabbia, detta foco sacro, con piaghe che non aveva mai riposo ed era pressochè disperata, le fu suggerito che si raccomandasse al miracoloso crocefisso della Compagnia del SS.mo e si obbligasse a digiunare in pane e vino tutti li venerdì di marzo per una sola mesata se otteneva la liberazione. Si approfittò della devota insinuazione anziché ella prevenne la grazia col digiuno antecipato. Cominciò il digiuno li 16 marzo e cominciò indi a migliorare, per la qual cosa digiunato il secondo venerdì preventivo alla domenica di passione, la scabbia le cadde tostamente la med. domenica come se fosse stata tanta semola, vedendosi così liberata la med., che fu la stessa domenica che fu li 25 marzo si portò alla parochiale, ove era esposto il X.to scoperto secondo la consuetudine, glie ne rese le dovute grazie. Le piaghe poi si dileguarono ancor esse dappoi e furono cecatrizate coll’ungerle solamente col’olio che ardeva avvanti la S. Imagine. Nell’anno successivo compì il promesso digiuno e ne presentò la tavoletta al santuario.
Li 15 aprile fu ucciso Matteo Casetti e messer Nicolò Gallanti nel mercato di Borgo. Li 17 maggio Vincenzo Mondini, possessore di poche pertiche di terra nella via maggiore del Borgo che porta al Castello, diede memoriale alla Comunità per occupare un poco di d. via onde formarvi il portico a due di lui case che era in pronto di fabbricare e la Comunità rescrisse favorevolmente. Le case sono quelle che congiunte assieme hanno il portico isolato in faccia alla via di S. Pietro alla destra dello stradello morto (Camp. 2. fol. 182). In questo tempo entrò nel numero de comunisti Angelo Michele Comelli.
Li veneziani, che in questa epoca avevano rotta la pace col Papa, intenti alle ostilità, occuparono la torre di Primaro ma furono in breve scacciati. A questa impresa intervennero l’alfiere Battista Fabbri e suo capitano Biagio Sgarzi di Castel S. Pietro con molti altri paesani e soldati e d’indi passarono al veneziano ove stettero fino alla pace.
Li 14 maggio, giorno di lunedì, stante la fama di continui miracoli che Dio operava mediante la S. Imagine della sua cara Madre Maria di Poggio, facendosi la processione prima delle Rogazioni fu condotta una bellissima giovane della familia Garavina di Castelbolognese oppressa da spirito diabolico, stante averle ubidita il di lui padre alla visita di questa S. Imagine miracolosa per liberarla. Diffatti il dopo pranzo avvanti il vespro introdotta nell’oratorio ove era la B. V. l’arciprete Alà la condusse avvanti questa e doppo breve fervore precettò in nome di Gesù lo spirito cattivo che l’ocupava a dovere abbandonare quel corpo da esso indebitamente investito e ciò in virtù de meriti di M. V. Santissima e strepitò per poco, ma la giovane, datasi ad una oppressione di forze e mancanza di lena doppo un alto grido, restò liberata con istupore di quelli che vi erano presenti. Così abbiamo riscosso dalle memorie MM. di D. Giulio Alberici che fu custode a Poggio della S. Imagine. La giovane poi finchè visse venne a Castel S. Pietro per il corso di anni 16 alla visita della sua liberatrice offerendole sempre cera.
Attesa la siccità e mancanza dell’aque necessarie alla campagna li seminati languivano e molti non pullulavano essendo molto tempo che non era piovuto. Furono ordinate Orazioni dall’Ordinario per la qual cosa, oltre le esposizioni del SS.mo e le processioni, si diceva anco la Coletta pro pluvia colla messa. Finalmente Dio mosso a pietà nel giorno 17 maggio, festa della Ascensione, doppo essersi data in Castel S. Pietro la benedizione alla B. V. di Poggio, venne una dirottissima pioggia che inaffiò le nostre campagne, prosseguì il venerdì e sabbato e solo si potette riportare alla sua ressidenza la S. Imagine la domenica seguente la sera dopo la replicata benedizione.
Li 17 giugno morì Alberto Di Francesco Cavazza, chirurgo nazionale che era stato molti anni nel grande ospitale di Firenze. La sua morte fu cagionata dalle laboriose sue operazioni e perdette Castel S. Pietro un giovine di grande aspettazione (veniva chiamato il Dottore).
Il dì primo lulio entrò Massaro Ottaviano Baroncini e Podestà Gaspare di Rafaele Feliciani.
La Comunità che aveva fori della porta maggiore del Castello, nell’angolo ove è il lungo fabbricato delli Conti Stella che si dirigge al fiume, poche pertiche di terreno con una picola celetta dedicata a M. V., furono vendute a Paolo Manzi di Bologna come si riscontra nelli atti comunitativi Camp. 2° fol. 82 per lire 70.
Questa compra fu fatta all’effetto, come seguì, di costruirvi una miglior cella per M. V. di S. Luca per la grazia particolare che aveva ricevuto il d. Manzi all’ocasione che nell’aprile scorso fu scampato dalle archibugiate in mezo le quali si ritrovò quando furono ucisi il Casetti e Gallanti.
Di queste celle dedicate a Maria se ne contavano molte nel nostro territorio di Castel S. Pietro le quali tutte erano poste nei crociali delle strade, erano capaci di tenere all’interno quattro o sei persone ed avevano un altarino e nel prospetto una grata, altre di ferro ed altre di legno. Se ne raccontano in questa epoca che noi scriviamo le seguenti cioè: Madonna del Cozzo nella via romana che porta ad Imola, al fondo Sega nella via che porta a Medicina, nella med. via fori dal Borgo quella di S. Carlo d’inde anco questa strada riportò il nome della via di S. Carlo, alla Riniera che ora è dedicata a S. M. Madalena divenuta oratorio atto alla celebrazione del S. Sacrificio, nella via che porta a Castel Guelfo fronteggiante la via romana dedicata a S. Maria Lauretana detta la Madonna di Carnone, perché ivi vicino vi abitava un pingue villano che mai non voleva travagliare, altra in fondo al Borgo verso Bologna congiunta al fabbricato Gini di cui vi si vede da una fenestrella rotonda la B. V. con altri santi e questa era nel crociale della strada che circondava la fossa antica del Borgo, altra ve ne era più oltre andando verso Bologna alla destra contro la via che discende e porta a Poggio ed era detta della Crocetta, distrutta in questi giorni per levarvi le occasioni di ripararvisi dentro malfattori, Altra simile eravi in faccia al palazzo Vacchi che porta al fiume dietro la fossa del Castello, ove pure facendosi nascondili di gente cattiva li Vachi li distrussero e vi edificarono in sua vece un pilastro coll’imagine di M. SS. come ora si vede. Queste cellette venivano anco dinominate: Le Maestà, le quali poi per distinguerle l’una dall’altra riportavano il nome e cognome del loro possessore.
Il d. Manzi adunque fatto l’aquisto dalla Comunità del terreno sudd. e celetta ne edificò una più bella e grande dedicandola a M. SS. di S. Luca, dalla gente non era gran divolto e col tempo vi si celebrava ancora. Ora è profanata e ridotta dalli Conti Stella ad uso di bottega, ove si vedono ancora li ornati di rilievo che il gentil uomo Tadeo Riguzzi, sucessore del Manzi, vi aveva fatto fare per maggior onore della S. Imagine.
Compiuta la fabbrica della chiesa di S. Francesco sul dissegno dell’architetto Francesco Martini e fecendosi internamente da compadroni delle cappelle li respettivi altari, la Comunità fece ancor essa fare il suo altare ed ornato di scoltura da Gio. Battista Rieti da Novara che era il miglior scultore di questi tempi. Spese la Comunità in questa manifattura lire cento nell’artefice, li materiali non li computarono in questa spesa.
La lunghezza del tempo avendo difformata la torre di questo Castello di ragione della Casa Malvasia ed in alcuni luoghi sfasciata massime nella facciata che guarda il Borgo, il Conte Antonio Malvasia la fece ristorare e come padrone glie ne appose la sua memoria nella facciata interna del Castello, sostituendola alla memoria della edificazione del Castello trasportando questa nel suo giardino conforme si è già scritto
Turrim hanc
Diuturnitate temporis ex parte
Dirutam ac deformatam
Antonius Galeatius Malvasia
Aule Cesaree et Castri Fulcini Comes
restituit ac reformavit
Anno D.ni MDCXXXV
Li 7 novembre fondò una capellania di l. 120 annue all’altare di S. Carlo nel Borgo di questo Castello nella chiesa della SS. Annunziata a rogito di Alberto Rabbi col peso di N. cinquanta messe annue per dote. Le assegnò poi otto tornature di terra nel comune di d. Castello in loco detto la Balduzza.
Bramoso il Conte Anton Galeazzo Malvasia di occupare un pezzo di suolo pubblico dietro le mura del Castello, delle quali ne era ruinata bona parte fino al convento de frati di S. Francesco dalla confina de Locatelli, diede al Senato di Bologna memoriale il dì 3 decembre chiedendovi anco la facoltà di edificarvi sopra. Fu scritto alla Comunità per l’informazione e voto. Rispose favorevolmente e qui terminò l’anno e nel seguente 1636 al primo di genaro entrò Massaro Gabriello Cuzzani e Podestà fu Ipolito di Astorre Bargellini.
Nella Sapienza di Roma fu addottorato in jure Nicolò Comelli fratello dell’arciprete D. Alessandro. In quella dominante esercitò con lode la Curia, riscontrasi ciò da documenti e lettere missive nell’archivio dell’arciprete sudetto scritte a d. D. Alessandro Comelli suo fratello arciprete nominato.
Non bastava alla populazione di Castel S. Pietro la lite sopra la essenzione dei Dazi e gabelle per li giorni di mercato che ne insorse altra più rabbiosa in Bologna contro li artisti del paese alli atti delle Rifforme. Li primi che furono chiamati in giudizio furono li gargiolari e salaroli, pretendendosi sogetti alle leggi ed obedienza dell’arti di Bologna.
Contemporaneamente cod. P.P. agostiniani in questo loco avevano sempre tenute due campanelle sopra un muro, avendo veduto che li frati di S. Francesco si erano fabbricati un bel campanile si mossero ancor quelli ad emularli quindi nel dì 4 febraro accordarono con mastro Angiolo Astorri la fabbrica del loro campanile in l. 930 come si vede e come ne appare da pubblico Instrumento rogato da not. Silvio Accorsi ufficiale di Castel S. Pietro
di che ne abbiamo la copia autentica.
In seguito del memoriale dato dal Conte Malvasia li 3 decembre scorso, come si scrisse, il Senato nel giorno 13 febraro accordò al gentil uomo la facoltà addomandata di occupare il suolo pubblico dietro le ruinate mura del Castello per tutta la dimensione delli suoi edifici fronteggianti la ruina per fabbricarvi sopra, come al Lib. Partit. Carati T. 19 fol. 64. Sucessivamente vi fabbricò da un canto una torre ad uso di colombara respiciente il Silaro e dall’altro canto una abitazione adesiva al convento de Francescani ed in mezzo vi fece il giardino come si vede ora.
Compiuta la fabbrica della chiesa di S. Francesco, essendo guardiano in questo tempo del convento il P. Orazio Fabbri, fece egli fare il grandioso ed ottimo organo per il celebre organista Giuseppe Bresciani.
Li 9 marzo, domenica di Passione, si portò il crocefisso dall’oratorio del SS.mo scoperto nella arcipretale e così col med. si fece la processione per il Borgo e Castello per il timore di novo contagio.
Lì 14 agosto morì Gio. Battista Balduzzi e li seguenti giorni 28, 29, 30 si fecero le Rogazioni solamente nell’Oratorio e parochiale a motivo delle continue pioggie. Il giorno primo maggio, festa delli S.S. Giacomo e Filippo, Vincenzo Mondini proprietario della chiesa dedicata alli med. santi fece ad essi una solenne festa che più in addietro erasi mai così fatta.
Adì primo lulio entrò Massaro Francesco Prati e Podestà Ottaviano Zambecari. Tanta fu la scarsezza della raccolta che nel prossimo agosto fu fissato il calmiere al grani in l. 15 la corba. Seguì in questo tempo il matrimonio fra Alfonso Graffi ed Agnese di Orazio Caprara.
Essendo stata proferita la sentenza nel Tribunale della Grascia di Bologna contro la Comunità di Castel S. Pietro nella lite delle esenzioni per li giorni di mercato, alli atti di Pietro dal Bono, apellò la Comunità avvanti la A. C. per li atti del not. Pilla nel foro civile di Bologna.
Finì li suoi giorni in quest’anno il sig. Bartolomeo Gnitti, ultimo di questo casato antico di Castel S. Pietro, e lasciò eredi del suo pingue stato le Monache di S. Bernardino di Bologna a rogito del not. Benvenuti. La di lui casa era quella che forma angolo nel crociale ultimo della via di Saragozza inferiore ove, appresso il med. angolo, eravi un pozzo pubblico che al presente è coperto con lapide. Passò dappoi questa casa in potere di Aurelia Romagnoli come ne rissulta da rogiti di Calisto Fiorentini notaro in quest’anno all’officio della podestaria di questo Castello.
Il giorno primo genaro poi anno 1637 entrò Massaro Lorenzo del fu Francesco Prati per la prima volta. Podestà il Conte Filippo Caldarini.
Attesa la domanda fatta al Senato dal marchese Gio. Locatelli di potere occupare il terraglio dalla parte superiore del Castello, ove nell’angolo della mura a pallizate eravi un rotondo baloardo, per potere fare un orto, il Senato glie lo accordò purchè non offendesse la fossa, colla condizione che, abbisognando al pubblico il suolo, si levassero li lavori e fabbriche e li materiali fossero del Locatelli. Non andò perciò molto che nel detto baloardo si fabbricò il bellissimo torreggiotto rotondo come a suo loco dirassi.
Cesare Rinaldi, figliolo dello speciale Domenico che piantò in questo Castello il suo casato, ebbe non piccoli affari con Bartolo Bindini dello stesso Castello onde, dopo contumelie reciproche, il Rinaldi Cesare prese un vaso di vetro e lanciollo in faccia al Bindini onde, grondando di sangue, corse imediatamente all’armi per la qual cosa di ciò accortosi il Rinaldi chiuse il negozio onde il Bindini, avendo una picola accetta vedendo chiusa la bottega del Rinaldi, sfasciò la porta ed entrato in quella, credendo ritrovarsi ivi il giovinotto, sentendosi inganato, scompigliò tutto, ruinando disperatamente ciò che potette con grave danno delli Rinaldi. Ebbe tanto di spavento il giovinotto Rinaldi che fugendo si gettò nel pozzo ma preso tostamente non perì sul momento ma fra poco se ne morì ( Lib Mort. fol 163).
Li 29 marzo domenica di Passione esposto il crocefisso della compagnia del SS.mo all’altare maggiore della parochiale per fare la consueta processione, non si potette questa effettuare a motivo della pioggia accompagnata da neve.
Li 12 aprile giorno di Pasqua andarono le compagnie del paese al Lazaretto vechio a suffragare, secondo il pio uso introdotto, le anime de sepolti nel Lazaretto per il contagio.
Li 17 maggio si cominciarono le Rogazioni di M. V. di PoggioIn tale ocasione Sante di Gioseffo Gallanti di Fiagnano essendo da vari anni obbligato al letto con febbri ostinate, né potendo rimettersi, si fece portare a Castel S. Pietro avvanti la S. Imagine e quivi caldamente raccomandandosi alla Madonna, terminate le Rogazioni rimase per di lei mezo perfettamente liberato.
Li 10 giugno messer Nicolò Gallanti di Corvara fu ucciso da sicari e fu sepolto in parochia.
Trovavasi le mura del Castello in così pessimo stato ed in alcuni luoghi aperta cosiché di giorno e di notte entravano e sortivano le persone facinorose e di ogni altra condizione e massime li ladri in tempo notturno. Pensò la Comunità riparare ad un tanto disordine anziché da una providenza perpetua ricavarne frutto. Quindi li 15 giugno, congregati li pubblici rappresentanti nella loro ressidenza, avuto maturo discorso sopra le necessità ancora comunitative e per provedere alla quiete del Castello, non meno che provedere alle mura affinchè rendessero ornamento e diffesa alli abitanti ed alle persone facoltose le quali, per timore di assalti, andavano altrove, perciò, essendo povera la Comunità, onde ricavare danaro per accomodare le mura publiche, non avendo altra entrata che la fossa del Castello e li terreni di dentro e fuori aderenti alle d. mura, determinarono li uomini formare un emfiteusi tanto de terragli interni che esterni. Perciò deliberarono creare la emfiteusi con Gio. Battista di Alessandro Fabbri in perpetuo sotto l’annuo corisposto di lire trentadue per canone con patto che il med. Fabbri per tutto il circuito del Castello dovesse mantenere la mura per diffori alta piedi undici da terra alla sua sommità col suo capello ed eguagliarla da pertutto alla altezza sud. e gettare terra fuori della mura nella fossa del Castello, semprechè il Senato di Bologna accordasse con patto ancora che la Comunità imponesse li custodi alle porte, che le porte med. fossero entro due anni fatte e che li custodi delle med. si ponessero dal d. Fabbri ed altri patti che non furono piaciuti. In conseguenza di ciò se ne fece pubblico rogito a mano di Sante Fabbri not. (Camp. 2° fol. 87 ed 88.).
Benchè in appresso tale deliberazione fosse accettata dal Fabbri sotto il giorno 16 giugno, a rogito del d. Sante fol. 89, non dimeno ebbe il suo effetto poiché suscitarono questioni ed articoli legali, onde fu fatto giudizio alli atti delle Rifforme in Bologna, nella qual causa vi si introdusse anco il Senato.
Adì primo lulio entrò Podestà il Conte Alberto Prati, chi fosse Massaro non ce lo adducono le carte dell’archivio comunitativo.
Lì 18 lulio Ottavio di Gio. Battista Fabbri di Castel S. Pietro fece il suo ultimo testamento a rogito di ser Pietro Scarselli notaro bolognese. Il med. Fabbri ordinò un fedecomesso discendentale nella linea maschile di sua familia, maschio per maschio di Valerio Graffi cosichè, estinta la linea maschile, sostituì la Compagnia capata del SS.mo SS.to di Castel S. Pietro coll’obbligo di dotare tante donzelle del paese, di bona fama e parentado, ogni anno dandole l. 200 per dote a ciascuna e più l. 50 per li apparati da ricavarsi dalli rediti della sua eredità, come più diffusamente ne risulta da testamento che conserviamo con altri documenti di questa familia. Neppure questa disposizione viene adempita quantunque estinta la linea maschile del d. testatore essendo stato l’ultimo maschio il cap. Valerio juniore a Ginevra di lui filia, come a suo loco si scriverà nel venturo secolo l’anno 1770, alla quale sucesse il dottor medico Annibale Bartolucci per testamento della med. rogato ser. Giovanni Ventura Bertuzzi di cui pure ne abbiamo copia.
Di quest’anno morì Ferdinando secondo d’Austria Imperatore nella di cui corona sucesse Ferdinando terzo.
Doppo finalmente il corso di tre anni che fu pubblicato il testamento di Giovanni Morelli, li gesuiti cominciarono ad eseguire alcune delle di lui disposizioni in Castel S. Pietro e cioè il giorno 13 decembre, la festa di S. Lucia, venne in questo loco il Padre Giacomo Ballarini ed il giorno seguente alla d. festa fece la elemosina del pane prescritta nel testamento e perché la folla della povertà si era molto avvanzata, convenne perciò al dispensiere del pane lasciarlo in abbandono al furore di quella. Onde evitare simile disordine nelli anni avvenire fece cuocere tanti polizini con il nome di Gesù da una parte e dall’opposta un sigillo con lettere iniziali che siegue cioè: A. M. D. C. e così terminossi l’anno.
L’anno poi seguente 1638 entrò Massaro Ottaviano Baroncini per il primo semestre e Podestà il Conte Stefano di Matteo Pepoli. Sotto il governo di questo Podestà, essendo in cattivo stato la prigione pubblica, corrispondente sotto il portico della ressidenza pubblica, che esisteva ove ora è surogato l’officio del pubblico Esecutore, egli la fece riattare internamente ed esternamente poi la fece dipingere a scacchi neri e gialli e bianchi conforme allo stema pepolesco il tutto a proprie spese e sopra il fregio del dipinto eravi a lettere majuscole la seguente inscrizione:
Stephanus Pepoli
Pretor P. S. Aere proprio
MDCXXXVIII
Li 6 genaro morì il dottor Silvio Gioseffo Antonio filio del dott. Scasilioni e fu sepolto in questa sua patria e parochiale.
Li 23 genaro si appiccò il foco alla casa della Comenda vicina al cemetero pubblico, daneggiò tutto l’edificio. Eravi quivi un tronco di torre che aveva al primo piano una corona di merli che anco a giorni nostri se ne erano conservati alquanti, fu questa atterata per opprimere il foco, che anticamente era la torre de Feliciani. In tale contingenza ruinò tutto il voltone di petra che congiungevasi ad un alto muro che serviva di recinto al cemetero parochiale né più si rifece e così restò aperta la veduta della chiesa de francescani il che fu di piacere alla populazione. A diversità dell’operato del moderno arciprete Calistri che, per far contrapunto a que’ poveri frati ed al notaro Francesco Conti, ha accresciuta la casa del suo campanaro sopra il cemetero fino alla confina di d. muro della Comenda onde la chiesa e piazza avvanti li frati rimane occulta, di questo lavoro ne scriveremo alla sua epoca.
Li gesuiti di Bologna che, secondo il testamento indicato del Morelli, avevano l’obbligo di fare le Missioni in questo loco per quindici giorni in tempo di carnevale, mandarono il P. Alvaro Testi modenese il primo di febraro a predicare con due compagni. Durò la missione solo otto giorni (Archivio Parochiale).
3 giugno la Comunità, che fino a questo, giorno festa del Corpus D.ni, aveva cessato di andare alla processione del venerabile in tale festa, a motivo del contagio, con lumi precedendo il clero doppo avere ricevuto sotto il baldachino il SS.mo ed accompagnato per tutta la lunghezza della piazza, ripristinò il suo accompagnamento.
Li 6 giugno in Bologna da S. Salvatore fu ucciso Trojlo Carnevali capitano delle milizie di Budrio a mezora di notte con due archibugiate, questo omicidio fu comesso da Polidoro Romagnolo servitore delli Zachiroli, Francesco Caldaroni, Matteo Gnitti da Castel S. Pietro e Stefano Pignatarini non ostante che fosse seguita la pace fra d. Trojlo e Pignatarini, per altre tiche avute in Budrio.
Questo delitto fu fatto commettere dal d. Stefano alli primi due sicari che erano di Castel bolognese in giorno di sabato proditoriamente onde fu bandito capitalmente colli altri.
Al dì primo lulio entrò Massaro Innocenzo Fabbri , Podestà fu D. Gio. Battista filio dell’Ec.mo sig. Gregorio Duca di Sora Senatore Boncompagni, che fu l’ultimo anno di sua vita poiché li 22 agosto anno veniente 1639 morì in età di anni 21 in Bologna e fu sepolto in S. Martino Maggiore nella sua capella.
Il dott. D. Lorenzo Alà arciprete di questo Castello stanco di tenere questa chiesa e per altri motivi contrapunti, come si accennò in addietro, temendo di sua vita, rinonciolla a D. Alessandro Comelli senza intelligenza della pubblica rappresentanza con pensione di l. 250 annue da pagarsi a Nicolò Alà di lui nipote.
Finalmente, doppo lungo litigio, li artisti di Castel S. Pietro colle Arti di Bologna riportarono li primi la sentenza favorevole avvanti il Confaloniere Francesco Maria Bentivoglio ed Anziani sotto il giorno 30 agosto anno presente 1638 per li atti di Vittorio Poggi not. delle Rifformazioni per il secondo semestre. La Comunità concorse alle spese e pagò l. 40, come si riscontra alli atti della med. (Camp. 2° fol. 90).
Perché tale sentenza non andasse dispersa li artisti di Castel S. Pietro la fecero stampare nell’anno 1715 in Bologna per il Benazzi impressore camerale, tanto in latino come fu promulgata quanto in toscano per intelligenza di chi non possiede la lingua latina. Non solo nell’archivio comunitativo se ne ha la stampa ma ancor noi ne abbiamo colli altri documeti del paese. Questa sentenza non solo è esclusiva alla obedienza di prove di tributo pecuniario alle Arti di Bologna ma anco all’osservanza delle leggi , statuti e bandi che hanno per oggetto le Arti e Lavori di Bologna.
Li 4 settembre Stefano Topi fu ammazzato in Bologna, scannato e squartato per omicidio proditorio commesso nella persona di Margherita Fabbri di Castel S. Pietro coll’averli levata robba e li danari.
Chiedeva l’appalto del pan bianco di questo Castello privativamente dalla legazione Orazio Morandi ma, per che aveva altri competitori, entrò in campo la Comunità e scrisse al Legato Giulio Sacheti implorando da esso la deliberazione. Il Legato nel dì 21 settembre accordò l’appalto al Morandi colla condizione che se il pane non fosse della qualità promessa di peso e bontà, giachè la Comunità non voleva ascendere alla corrisposta annua nel quantitativo del Morandi, fosse lecito al Massaro solo vendere all’incanto (Camp. 2° fol. 91 Arch. Com.).
Stefano Pignatarini, uomo iniquo e micidiario, dessiderando veder morto Ottaviano Baroncini da Castel S. Pietro, ebbe trattato con Carlo Simbeni detto Paletta, Livio Occursio e Francesco Morandi tutti di Castel S. Pietro che si armarono di archibugio per questo effetto onde porsi in aguato all’osteria di Battista Briganti nel Borgo. Concertarono che tutti li sparassero un’archibugiata il giorno 26 decembre allorchè passasse avanti d. osteria, ma non ebbe effetto poiché, avvisato, il Baroncini si nascose onde il Pignatarini fu colmo di reati, de quali se ne legge l’elenco de più massici nella supplica da esso data al Legato unita ad altra supplica conforme data al med. da Carlo Bogni complice de suoi misfatti, che lungo sarìa quivi il riportali e noi ne abbiamo l’originale col lectam del cardinale med.
L’anno poi seguente 1639 entrò Massaro Gabriele Cuzzani e Podestà il Conte Lodovico del Conte Costanzo Bentivoglio e per il 2° semestre il Conte Francesco Barbadori.
La Compagnia del SS.mo SS.to, che si regolava secondo la plenipotenza e capricio dell’arciprete circa il contegno delle sue funzioni pubbliche massime nelle Rogazioni di M. V. di Poggio, malcontenta delli assordi nati e che si vedeva un adito aperto ad altri con pericolo di persone ancora, avendo avute questioni colla compagnia di S. Cattarina in ordine alla convenienza e preminenza, ricorse all’arcivescovo per averne una providenza colle leggi e particolari statuti. Non fu sordo il card. Colonna e comise al suo vicario Mons. Domenico Odofredi quale, chiamato a se Vincenzo Mondini priore, le impose ricevere li Capitoli e Statuti per il governo della sua compagnia.
Egli tosto ricevute le leggi, che furono formate sotto il giorno 15 febraro, tostamente chiamò a congregazione tutti li confratelli componenti il Corporale della compagnia quali, adunati nel loro oratorio, fatta la solenne lettura de med. capitoli mediante il notaro Accursi, ordinò la piena osservanza in nome del Vicario ed arcivescovo alli medesimi presente l’arciprete.
Nel mese di marzo morì Giovanni Balduzzi di anni 55.
Lì 10 aprile domenica di passione non si potette fare la processione del X.to scoperto per il paese per la continua pioggia, ma si fece però entro la chiesa parochiale di dove, data la benedizione al popolo, fu trasportato così scoperto nel suo oratorio.
Li 28 aprile fu ucciso messer Orazio Zanchi in giorno di mercato da Salasiti. Doppo questo fatto volendo Carlo Bogni di Castel S. Pietro maritare Margarita Fanti di lui favorita ed incinta con Pietro Spisi del med. Castello povero uomo e così mettere in sicuro la donna, si portò esso Bogni con cinque armati alla casa del med. Spisi e minaciollo di morte se non le dava parola di sposare la donna. Avvilito il Spisi di tanta prepotenza le diede parola, ma non prestandosi fede ad essa, si unì il d. Bogni con il grande siccario Tifeo Pignatorini di lui compare ed entrambi ritrovato il poveri Spisi lo condussero ne boschi vicini della Gozadina ove, essendovi la donna collasù preparata, fecero replicarsi la promessa e darsi la mano fra entrambi li due conjugandi, ove fu prefisso anco il termine allo sposalizio sotto pena della morte minacciata. Non andò molto che seguì il matrimonio non ostante ne andassero relazioni al Governo.
E perché la stagione era andata molto buona e li raccolti erano bellissimi , si videro nel maggio le spighe molto piene per la qual cosa, correndo le Rogazioni di M. V. nel giorno 30 d., Vincenzo Mondini priore della Congregazione del SS.mo fece una compagnia di fanciulli tutti vestiti di bianco e con corone di rose, viole e spiche, si presentarono alla B. V. di Poggio nel tempo che passava avvanti la di lui casa in strada maggiore del Castello. Quattro di tali fanciulli avevano le corone, quattro un cestino per ciascuno ed altri quattro portavano lumi e così fu condecorata la funzione.
E sicome nella parochiale all’altare di S. Michele, juspatronato dalla familia Rota ove avevasi eretto il beneficio sotto l’invocazione del med, di cui se ne scrisse avvanti, vi si trovava pure a questo altare eretta anco la compagnia del Rosario o sia Unione di fedeli devoti, al quale facevansi molte divozioni ed orazioni, così, essendo questa unione o sia Compagnia larga composta nella maggior parte delli uomini del corpo comunitativo e dalli ottimati del paese e di altre persone della compagnia del SS.mo e di S. Cattarina, fu promosso da Innocenzo Fabbri, uomo di autorità ed abitante nel Borgo, da Vincenzo Mondini, da Stefano Annessi, da Christoforo Fabbri detto il Filosofo, da cui ne discesero Flaminio ed Alessandro di lui nipoti ex f. dal quale Christoforo poi, per distinguersi questa sua familia dalle altre de Fabbri venivano detti Fabbri de Filossi invece di dire del Filosofo, e progettato da essi di edificare una capella grande che si estendesse sopra il cemeterio ad onore di M. V. sotto la invocazione del Rosario, molto più che da questa quasi tutta la populazione del Castello e Borgo ripeteva la liberazione dal contagio. Quindi, comunicato da essi tale pensiero all’arciprete et a Giovanni Jussi che ne era il priore e capo di questa unione, fu plaudita la proposta e insiemamente accettata. Furono perciò in appresso dichiarati per assunti alla costruzione del lavoro messer Domenico Rinaldo e li sudd. della Unione e confratelli acciò facessero questua e tasse nel paese.
Intanto fu fatto fare il dissegno al valente Francesco Martini di Bologna architetto. Ottenuta ancora la approvazione della Comunità, per avere il permesso do occupare parte del cemeterio, fu creduto ancora doversi dar parte al superiore de domenicani come quelli a quali spetta per costituzioni apostoliche la fondazione della Compagnia del Rosario secondo il loro Instituto, la direzione di essa compagnia ed altari dedicati al SS.mo Rosario.
Si ricorse per ciò al P.re Giacinto Gianinelli, uno delli inquisitori domenicani di Bologna, affinché le procurasse in Roma l’approvazione del R.mo P. Francesco Gallassino Priore generale de domenicani per la Capella e confirmasse la Compagnia del Rosario in questa. Ciò seguì e si ottenne nel dì 12 maggio anno presente 1640 il decreto.
Distinguendosi colle sue rare virtù e prerogative di relligione il P. Agostino Dalla Valle nazionale di Castel S. Pietro, prozio di questo nostro Giambattista Dalla Valle not. e marito di Ginevra Fabbri ultima di suo casato, fu egli nel dì primo marzo, dopo avere coperto altre cariche nell’ordine suo de Servi, eletto Confessore del Palazzo apostolico in Roma. Li annali della religione lo fanno bolognese per avere in S. M. de Servi presa la figliolanza (T. 3. Annal.). Altro di particolare non abbiamo in questo primo semestre.
Nel dì primo lulio poi entrò Massaro Francesco Prati e Podestà il conte Lodovico del Conte Costanzo Bentivoglio, secondo la nota dataci dall’Arch. pubblico ma se attendiamo la inscrizione apposta in macigno nella ressidenza pubblica fu Francesco Barbadori ed in questo bivio non comprendiamo come possa combinarsi il fatto descrivendoci l’ultimo per Podestà del secondo semestre in queste parole:
Franciscus Barbadorius
J. U. D. Coleg. et Co.
Pretor 2.di semestr.
MDCXXXIX
Quello che è da notarsi in questa lapide egli è che in vece della parola Secundi avvi un numero mercantile.
Rosa, moglie di Francesco Cavazza, morì in questo giorno primo lulio, fu prima monaca domenicana d’Imola in protezione, ma non potendo professare per le promesse di matrimonio, convenne abbandonare il chiostro.
Li 10 agosto Andrea di Ottaviano Baroncini fu ucciso nel di cui omicidio vi ebbe la sua gran mano, come diremo a suo loco.
In questa epoca pretendeva il novo arciprete Comelli asiggere da poveri del paese la mercede per il suono delle campane quando morivano, come pure per la morte de comunisti, li quali mai in addietro avevano alli suoi antecessori pagato cosa alcuna, per la qual cosa la povertà fece ricorso alla Comunità onde riclamasse avvanti il superiore eclesiastico. La med. perciò eseguì quanto le veniva suggerito in seguito di chè il V. G. per li atti del not. Monari, inesivamente al decreto di visita pastorale, fece estradare ed eseguire il seguente Precetto: Dominicus Odofredus S. T. et J. U. D. colegiatus Bononie Comissar. In spiritualibus et temporalibus Vic. Generalis Comandiamo a Voi sig. D. Alessandro Comelli arciprete della Comunità di Castel S. Pietro non dobbiate riscuotere cosa alcuna per suonare le campane per li poveri morti sotto pena di scudi l. 500 e ciò stante i decreto dell’iill.mo sig. Gio. Battista Pietramellara del quale in Ach.s Die 20 Augusti 1639. Monarius Not.
Stante la vacanza di alcuni posti nel consilio, furono per ciò aggregati al med. Trajano Scafilioni, Filippo Bettini, Giovanni Farnè e Givanni Bonetti. Nel settembre seguente furono messi in posto.
E morì Antonio Rinieri d’anni 95, ultimo di sua antica proseppia di questo loco che, quantunque diramata e stabiliti alcuni individui in Bologna, non dimeno se ne conservò, dalli primi anni che fu edificato il paese sempre fino a questi tempi, un rampollo.
Giovan Battista Dall’Oppio, Carlo Bogni, Teseo e Stefano Pignatorini, tutti di Castel S. Pietro, temendo aggressioni dalla Corte, si associarono con altri banditi capitali e forestieri fra quali Nicolò ed Antonio Barbieri di Castel bolognese, Giulio e Cesare Zanotti con Carlo Piletti che formarono una truppa di quindici armati di pistolle, archibugi ed altre arme che perciò caminavano francamente per il Castello e Borgo ne mercati e dove loro piaceva, vindicandosi colle battiture e colli ammazzamenti di quelli che li facevano o avevano fatto torto.
Che però in questa contingenza d. Carlo Bogni fece bastonare Andrea Battilana da Tomaso Zamplone a motivo di essersi esso Battilana esaminato contro quello per l’omicidio del Conte Ramazzotti. Oltre questo reato fece altri misfatti il detto Bogni, cioè bastonare malamente Giuseppe Mazza sbirro per avere pignorato un suo amico nel Borgo. Spalleggiò Lorenzo Graffi di Castel S. Pietro mentre diede bastonate a Carlo Lodovico Rognone dello stesso Castello, diede coll’archibugio sponsonate a Marco di Gabriele Corniani, parimenti in compagnia di Battista Dall’Oppio ebbe parte nelle archibugiate sparate contro Matteo e Filippo Carnevali in Budrio ove quest’ultimo restò colpito in un braccio, per il qual effetto ebbe, con Battista Dall’Oppio, da Gio. Battista Pelloni e Domenico Sarti scudi 200.
Diede pure mediante Teseo e Stefano Pignatarini il veleno a D. Andrea Nanni con un suo nipote coll’averle avvelenata una torta per sospetto che li d. Nanni avessero trattato colla Corte di dare in mano alla med. Onorato Gola ed Antonio Barbieri banditi capitali ed altri delitti di stupri e prepotenze delle quali ne è pieno il tribunale.
L’anno seguente 1640 entrò Massaro per il primo semestre Angiolo Michele Comelli e Podestà Claudio Anibale Gozadini, il suo notaro fu Domenico Ugolotti alle di cui mancanze supliva Livio Accursi. Il med. Ugolotti servì ancora la Comunità come cancelliere e segretario.
Sante Alboresi, detto d’Alboro, li 19 febraro in età di 90 anni morì dopo una caduta sospetta giù dalla di lui scala in casa propria.
Li frati di S. Bartolomeo professi dell’ordine agostiniano che abitavano in questo suo convento erano al solo N. di quattro professi cioè P. Ottavio Ricci da Castel S. Pietro priore e depositario, P. Pompeo da Cervia, P. Francesco Dal Finale e P. Alfonso da Castel Novo e però, tenendo per conversi altri due frati romagnoli, vennero questi a morire entrambi in una stessa giornata ed ora che fu alli 26 d. senza avere avuto male preventivo. Si fece loro la sezione del cadavero e se le ritrovò tutto il fegato scoriato. Fu incolpato Stefano Pignotarini di averli avvelenati a motivo che non avevano volsuto ricoverare un di lui nipote contumace di giustizia.
Li 15 marzo, domenica di Passione si fece la funzione del crocefisso dell’oratorio scoperto. Fu portato processionalmente ad ambe le porte del Castello e si diede con esso la benedizione alla campagna per essere cessata la pioggia continua che dalli ultimi febbraio aveva continuata fino a questo giorno.
Li 10 aprile morì Bernardo di Matteo Bindini, di questa famila in meno di un mese ne morirono quattro onde ne naque sospetto ressorsa di contaggio, si chiuse perciò la loro abitazione, così chiusa stette per il corso di 40 giorni. Le persone perciò vivevano con grande circospezione anco nelli cibi.
In seguito delle petizioni fatte a Roma per la capella dessignata del Rosario dall’inquisitore e priore Generale de Domenicani, fu confirmata per Bolla la Compagnia del Rosario in questa parochiale di Castel S. Pietro con tutte le indulgenze. Era Inquisitore il R.mo Francesco Galafini, come si riscontra dalla Raccolta stampate delle Grazie e Privilegi stampati per il dalla Volpe in Bologna, spettanti a d. Compagnia.
Li 30 maggio morì Alfonso di Francesco Maria Graffi e fu sepolto nella chiesa di questi P.P. francescani avvanti l’altare di S. Antonio Abbate al quale vi è eretto un beneficio lajcale juspatronato del d. Graffi.
Li 12 giugno venne il novo Legato a Bologna Stefano card. Durazzi genovese, suo Vicelegato fu Cesare Racagni di Brisighella. L’uno e l’altro furono severi esecutori di giustizia e tostamente fra quattro giorni cioè nel dì 16 giugno, rivisto il processo fatto a Giacomo Cavina di Castel S. Pietro per avere comessi molti assassini, fu apiccato e squartato in Bologna, poscia li quarti furono posti nelle larghe di Maggio dietro la via maestra ove aveva perpetrato li delitti ed a Castel S. Pietro di lui patria nel primo ingresso del Borgo a mattina presso l’osteria del Portone. Li di lui congiunti per tale sfregio abbandonarono il paese ed andarono nel vicino territorio di Dozza.
Il giorno primo lulio entrò Massaro Innocenzo Fabbri abitante nel Borgo, Podestà fu il dott. Sebastiano di Filippo Alò. Gio. Battista Fabbri, che sino ad ora era stato al servigio di “lanza spezzata” di cavalleria per la repubblica veneta sotto il proveditore generale Almoro Zane, si restituì in patria. Nelle azioni diverse sotto S. Fosca si portò valorosamente contro li corsari e nella Dalmazia contro li Turchi, fu accompagnato per ciò del seguente Bonservito comunicatoci dal dott. Annibale Bartolucci erede di questa distinta familia: Gio. Battista Fabbri di Castel S. Pietro di Bologna Lanza Spezzata nella nostra cavallaria in Dalmazia in più occorrenze ha dato saggio della sua Prodezza e Devozione verso sua Serenità con sua gran lode e merito e soddisfazione nostra, mentre non ci ha lasciato di vantaggio che dessiderare della virtù ed opera sua. Di Zara li 17 lulio 1640. Almoro Zane L. +. S.
Teseo Lombardi di Castel S. Pietro avendo comesso riguardevole furto di notte nella bottega di Bernardo Bernardi tingitore da panni e tele in d. Castello, ne pagò la pena nella forca il dì 4 settembre.
Compiuta la fabbrica della loro chiesa questi P. P. Cappuccini rimaneva la sola dedicazione e titolo della med., onde, sicome all’altare maggiore serviva provisoriamente una ancona grande ove era dipinta la B. V. col bambino in braccio di figura gigantesca, la quale al presente trovasi nel coro di d. chiesa ed è opera di Prospero Fontana fatta a spese di Vespasiano Campana familia antica di questo luogo, così li Marchesi Banzi di Bologna, che la maggior parte dell’anno villeggiavano in questi contorni nella Villa di Poggio sotto Castel S. Pietro, providero, colla solita loro pietà, a questo scopo.
Fecero perciò dipingere all’eccelente Lucio Massari la tavola che esiste all’altare maggiore, una delle più belle opere che uscisse dal penello di questo autore, rapresentante la B. V. col putino che benedice S. Francesco in gloria e S. Giuliana Banzi genuflessa indicante il paradiso e M. V. Fu perciò dedicata alla d. Santa. Non contenti questi signori di ciò ne murarono con molte loro spese la solenne consagrazione nella chiesa, fu mandata per ciò ad effetto la sagra. Venne in paese Monsig. Girolamo Binago vescovo di Laodicea sufraganeo del card. Colonna come si legge nella addecontro inscrizione
Dive Juliane Banci Nob. Bonon.
Templum hoc
A Hierminio Binago Episcopo
Hieronimi Columne Sufraganeo
Prid. Kal. Oct. MDCXXXX
Solem. Confec. dicat.
L’ultimo giorno di settembre fece pomposamente la funzione a cui concorse infinito popolo. La sera si fecero da paesani fuochi di gioja, fu condecorata la pompa dalle famiglie nobili Malvasia, Caldarini, Banzi. Chi in questo tempo guardiano del convento fosse non ce ne soministra la notizia l’elenco de guardiani locali. Doppo la morte del P. Bonfini, se non nel 1646, ritroviamo il P. Paolo Fantuzzi.
Questa chiesa si cominciò a fabbricare nel 1628 sotto il titolo di S. Antonio da Padova e Giuliana Banzi, onde omesso il titolo di S. Antonio è rimasto solamentequello della Santa.
Nel giorno anniversario della consagrazione fu concessa la indulgenza di 100 giorni qualunque visitasse la d. chiesa. In tale contingenza vi si pose la memoria nel coro di questo tenore, come rileviamo dalle carte conferitici, che fu dappoi levata e comutata nell’antescritta
D. O. M.
D.D. Antonio Patavino et Juliane
De Bancis Nobil. Bonon.
Templum hoc
A Rev. D.D. Hieronimo Binago
Laodicee Episcopo
ac R. D. E. Car. Hieronimi Columne
Bonon. Archiep. Sufraganeo
Pridie Kal Octob. MDCXXXX
Deipare partu dicat. ac sacrat fuisse
Piissime memorare lector
Ipsum eius in anniversaria ad III Cal. Septemo
Retrotacta Solennissime pie visitantibus
Centonis in Evum elargitur diebus
Li 8 ottobre furono pubblicamente dichiarati banditi capitali con confiscazione de beni Gio. Battista Dall’Oppio e Carlo Bogni e Battista per avere tese insidie a Pier Maria Alberighi con Stefano Pignatarini, li quali con quattro archibugiate li ammazzarono in questo Borgo alla fine di quest’anno, doppo la consagrazione della sud. chiesa de cappuccini.
Cominciarono essi ad abitare al numero di dieci nel convento e così diedero esecuzione al decreto papale da noi riportato nel 1626 di abitarvi al solo numero acennato, quantunque le costituzioni voglino che siano al N. di dodici fra sacerdoti e lajci. Quali fossero li loro nomi e patria ne siamo all’oscuro.
Giunto l’anno 1641 investì il posto di Massaro Gabriele Cuzzani, Podestà fu il Conte Alessandro Campeggi. Avendo ottenuta la sentenza favorevole li gargiolari di Castel S. Pietro sopra la esenzione dall’obedienza sia virtuale che pecuniaria e dipendenza dall’Arti di Bologna, pensarono eleggersi un santo protettore quindi, fatta tra essi una Unione, ottenero nella chiesa parochiale alla destra dell’ingresso maggiore l’altare che era dedicato a S. Stefano dal Conte Nicolò Calderini, il quale ne fece per atto pubblico la rinuncia a quelli. Quivi vi apposero il titolo di S. Vincenzo martire spagnolo.
Fu l’inventore Sante Santoni, in appresso vi collocarono un quadro rappresentante il martirio del med. opera di Benedetto Possenti. il Conte Nicolò Calderini Senatore, che molto assistette colla protezione sua li gargiolari sud. come quegli che abitava in questo loco la maggior parte dell’anno, doppo averle fatto fare un ornato ben inteso di ordine jonico e di legno lo fece dorare a tutte sue spese conforme abbiamo nelle Memorie MM. SS. Vanti.
Il med. ornato e quadro all’occasione che si è modernata la parochiale colli altari fu dato al celebre pittore Giuseppe Marchesi bolognese detto Sansone in contratto della nova tavola che ora vi si osserva di suo penello esprimente il d. Santo in Martirio.
Nel seguente febraro morì Sante Albruni e li 30 aprile morì Tomaso di lui filio, il dì primo maggio fece lo stesso Alessandra sua moglie, cosichè in poco di tempo restò questa familia estinta con sospetto di contagio.
Infrattanto che si pensava alla fabbrica della capella del Rosario, si eccitò dall’arciprete Comelli una lite civile, alli atti di Bartolomeo Gulielmini nel vescovato di Bologna, contro la Comunità per l’accesso al campanile di ragione pubblica aderente alla parochiale circa l’entrare nel med, pretendendo l’arciprete che vi si ascendesse per altra parte fori che per mezzo della vicina sagrestia. In seguito colla mediazione del Superiore eclesiatico restò convenuto che la Comunità e suoi agenti ascendessero il campanile per mezo del vicino cemeterio mediante scala esterna dell’abitato della chiesa.
D. Tadeo Barberini, generale dell’armi di S. Chiesa, essendo venuto a Bologna fece chiamare tutte le soldatesche per la rassegna e formò un casone grande di asse per il corpo di guardia nella pubblica piazza di Bologna in faccia al palazzo pubblico.
In questo tempo seguirono li sponsali fra il sig. Paolo di Pietro Andrini colla sig. Giulia di Antonio Marescotti, vulgarmente chiamati Mattarelli, d’onde ne è venuta la familia moderna Marescotti da D. Angiolo e Donna Marescotti che prese questo cognome per che abitavano alla Marescotta nella via corriera che da Castel S. Pietro porta a Bologna. La familia Mattarelli è antica del territorio e paese di Castel S. Pietro come lo è la sud. Andrini abitante nel Borgo e proprietaria dell’osteria della Corona.
Li 16 marzo, domenica della Passione, si fece la consueta funzione del X.to non velato della Comp. del SS.mo internamente nella sua ressidenza a motivo che si fabbricava la nova capella del Rosario. Nel dì 9 maggio, giorno della Ascensione prima di dare la benedizione colla S. Imagine, essendo tutto il popolo genuflesso, si alzarono in un momento due siccari di Montecatone, detti li Piancastelli, contro altri di Casalfiumanese, denominati li Morara, e quindi con archibugi alla faccia si minacciarono archibugiate vicendevolmente, ma il rumore del popolo e la fuga delle persone più pavide fecero si che niuna archibugiata andasse. Li preti che avevano sulle spalle la S. Imagine si racomandarono ma con poco frutto. Durò l’attacco di minaccie bon pezzo di tempo, d’onde non si poteva distinguere chi fugisse per timore oppure per dar mano a rissanti, li quali già ineriti cominciarono a gridare: chi non ha parte nelle nostre vicende, abbasso, abbasso, a terra, a terra, onde si abbassarono tutte le persone e si sdraiarono come morti.
Vedendo la mala parte il Massaro Gabriele Cuzzani ordinò il tocco alla campana pubblica dalla quale sbigottiti li rissanti si abbandonarono e vi si infraposero molti paesani, cosiché si riportò la S. Imagine nella parochiale, la quale solamente il venerdì mattina fu portata via alla sua ressidenza quietamente.
Il dì primo lulio entrò Massaro Francesco Riccardi.
La celetta che esisteva in mezzo la via corriera che porta a Bologna detta la Crocetta, dedicata alli S.S. Pietro e Paolo, trovandosi in cattivi stato, la Comunità la fece risarcire e rinovare le piture a Domenico Dalfoco. Fu Podestà il Conte Andrea di Luigi Ghisilieri.
Nel dì primo genaro 1642 entrò Massaro Sante Santoni. Podestà fu Cesare del Conte Girolamo Boschetti.
Il Duca Odoardo Farnesi di Parma feudatario di S. Chiesa essendo debitore di grossa somma alla Camera di Roma, il Papa, doppo avergliene fatte amorevoli premure per il pagamento ma infruttuosamente, fu necessitato citarlo perché comparisse in Roma. Ricusò le ammonizioni e dalle chiamate fu costretto il Papa, per obligo del suo ministero, procedere per via di censure. Quindi, essendo contumace, facendosi il processo per poi venire alla consumazione delli decreti fu motivo che infraposero molti potentati di Europa, cioè la Francia, Polonia, Spagna, Austria, il Duca di Toscana e di Modena, Napoli e Venezia acciò il Farnese si prestasse a limiti di ragione, ma sempre fu negativo il Duca.
Infrattanto il Papa passò dall’armi spirituali alle militari, prese Castro e li suoi stati pertinenti al Duca Farnese. Questi amareggiato per un tal fatto, armò ancor esso genti e ne diede il governo delle medesime al Maresciallo Elvè francese, che aveva la carica di locotenente generale. Dal canto pontificio era generale D. Taddeo Barberino, quale fu tosto spedito alle confina del modenese a Piumazzo per ciò si fece forte in guisa di fare fronte a qualunque aggressione.
Quantunque si sentissero queste torbulenze si stava in allegria e si faceva il carnevale, nel quale accadendo nimicizie in Bologna partorirono funesti effetti fra le familie Pepoli e Marescotti per cui ne restò morto il Senatore Girolamo Pepoli. Per tale motivo si fecero tre giorni di guardia alle mura della città e si sospesero tutti li divertimenti. Indi si misero le guardie alli passi del contado temendosi un rumore universale, tanto più che la stessa sera fu ucciso uno delli Ercolani con pugnalate. Fu in appresso fatto prigione il Conte Ciro Marescotti, onde si mise la facenda in calma, furono quindi ritirate le guardie.
Li 6 aprile, domenica di Passione, a motivo delle truppe che passavano non si fece la processione del Christo.
Li 2 maggio Gio. Paolo Pirazzoli, che militò in qualità di capitano sotto il colonello Conte Minoli francese nella passata guerra di Francia, fu uciso in questa sua patria e sepolto in parochia. Lì 16 d. il sig. Carlo Piganti Farcenna ferrarese fu ancor esso ucciso e sepolto in questa parochia.
Li 26 d. si fecero le solite rogazioni di M. V. nel qual tempo, essendosi compita la fabbrica della chiesa di S. Francesco de Minori Osservanti, si cominciò a portare l’imagine della med. per turno alle chiese de regolari e di S. Cattarina alternativamente. Inventori di questo stile furono Francesco Ricardi, Valerio Fabbri, il P. Orazio Fabbri min. oss. in questo Castello e Sante Santoni uno dei capi della Compagnia di S. Cattarina.
Il card. Legato, vedendo la facilità delle risse ed omicidi che accadevano nella città e contado originati dalla dilazione dell’armi cioè pistolle corte, stili, daghetti ed altri simili, vietò con suo rigoroso bando li 6 giugno tale dilazione per fino alli ministri del Torrone, suoi soldati, guardia, birri ed a qualunque altra persona privilegiata.
Ordinò pure per altro Bando, in conformità del bando emanato dal card. Giustiniani l’anno 1606, che li trecoli, pollaroli e simili persone non potessero comprate ne mercati del contado se non doppo levati li pubblici segni alle ore destinate, dichiarò pure che stanti li abusi nel vendersi la legna grossa, il quarto med. dovesse essere di lunghezza piedi sei, altezza piedi 3 e similmente piedi 3 larghezza. Epilogò ancora in un libro tutti li altri Bandi fatti da suoi antecessori Legati e li ridusse ad un sol bando per maggior comodo di tutta la Provincia acciò fossero osservati.
Terminato il mese di giugno entrò Massaro nel dì primo lulio Orazio Venturoli e Podestà Gio. Battista di Giacomo Angelelli.
Per le differenze poi col Duca di Parma e Piacenza col Papa essendosi appostato D. Taddeo Barberini Generale di S. Chiesa a S. Giovanni in Persiceto di dove poteva comodamente andare ove lo chiamasse il bisogno, lasciò due compagnie a Piumazzo luogo esposto alle prime aggressioni che potesse fare il Duca Farnese, pensando che questi non si fosse mosso ad intraprendere un animoso tentativo senza essere spalleggiato dall’armi collegate o facendo diversamente fosse inevitabile la sua ruina, perché lo metteva fra il Forte Urbano e Bologna.
Ma l’esercito di S. Chiesa si addormentò in maniera che il Duca alli 11 settembre in giovedì, lasciata la fortezza e Castelfranco a mano sinistra, andò sulla destra della collina con tremilla cavalli e, doppo aver caminato circa quattro miglia, rientrò nella strada maestra che conduce a Bologna. Arrivato al ponte del Reno al tramontar del giorno luogo molto pericoloso. Se li papalini avessero avuto coraggio, per essere in mezo a quattro quartieri cioè Cento, S. Giovanni, Crevalcore e Forturbano e Bologna, potevano distruggere tutta l’armata.
Quivi alloggiò un mezo giorno ed una notte la sua gente senza bagaglio di canoni, poi mandò il dì 13 venerdì un trombetta al Legato di Bologna ed al Senato facendole sapere che per l’affetto che aveva sempre portato a questa città e divozione alla S. Sede non veniva per oltraggiare alcuno ma soltanto per passare alla conquista de suoi stati di Castro. Accolse il Senato ed il card. Durazzo con cordialità tali sentimenti. Dappoi girata la città per il diffori se ne venne alla volta di Castel Sampiero il dì 14 settembre. Non corrispose il detto alla promessa, poiché d’onde passava dava il guasto e predava. Giunto a questo Castello vi stette la sera d’alloggio e vi furono somministrati li viveri e foraggi alle bestie ed alle persone, la mattina seguente il Duca, che aveva pernotato in casa Malvasia, se ne partì per Imola.
Tutte queste cose accadute impensatamente diedero motivo al Legato di dare in mano l’armi a ciascuna villa, comune e castello del contado et ad ognuna di queste populazioni fu dato un cittadino con facoltà di concedere a villani e castellani sotto il di lui comando di portare ogni sorta d’armi. Fu anco ordinato che doppo le 24 ore del giorno non si suonassero più campane. Il cavalier destinato a Caste S. Pietro fu il Conte Paris Maria Graffi che per suo alloggio fu destinata la casa Calderini.
La Repubblica veneta che ancor essa era impegnata nelle aleanze colli altri principi d’Italia, sospettando che questi volessero impegnarla ad invadere li Stati pontifici, perciò, abborrendo grandemente le guerre col Papa, prese espediente di non impegnarsi totalmente ma di contentare in parte li suoi coalizati, quindi assoldò gente e spedì Alfonso Antonini comissario generale della cavallaria con 300 cavalli e tremilla fanti sul mantovano.
In questa contingenza Gio. Battista Fabbri di Castel S. Pietro, che altre volte aveva servito la repubblica, ritornò a quel soldo in qualità di capitano, come riscontrasi da documento in bolla plumbea comunicatoci dal più volte nominato dott. Anibale Bartolucci, sucessore nella eredità Fabbri, spedito da Francesco Erizzo Doge di Venezia il dì 23 ottobre anno corrente. Di questi accidenti militari ne parla diffusamente Girolamo Brusoni nel Lib. 10 delle sue Storie, onde ci risparmiamo la replica.
Intanto il Papa pensò mutare il Legato a Bologna, elesse perciò il di lui nipote Antonio Barberini per l’incontro del quale a Castel S. Pietro furono destinati il Senatore Conte Ottaviano Zambeccari e marchese Nicolò Tanari che lo introdussero da nostri confini nel Castello entro il palazzo Locatelli accompagnato dalli cavalleggieri e molta nobiltà. Fu quivi lautamente banchettato, come riscontrasi dal libro titolato Economia del Tanara stampato In Bologna da cui ne abbiamo fatto il seguente estratto:
“Cena da magro e grassi preparata a Castel S. Pietro agli Ill.mi Sig. Senatori Conte Ottaviano Zambeccari e Marchese Giovanni Nicolò Ambasciatori dell’Ill.mo Senato di Bologna destinati ad incontrare e ricevere l’E.mo Card. Antonio Barberini, nipote di papa Urbano VIII nel primo ingresso di sua Legazione l’anno 1642 decembre. Le vivande de magro furono ventinove e le de grasso ed altra sorte furono 66. Doppo le quali vivande da magro fu dalli SS. Ambasciatori con molta prudenza considerato che, sicome era straordinaria ed insolita la Legazione di un nipote del Papa, così era dovere che si abbondasse in magnificenza più del solito per quanto comportava la qualità del luogo e la stagione e però fu ornata la trionfal tavola a cinque piatti per trenta comensali. Fra le altre vivande furono portate Torta di pistachi una per piatto reale con statuetta di zucaro ed amito in mezo rappresentante due api che conducono un aratro ed una fa l’ufficio di bifolco col moto: Supremum regimen, impresa che si vede nel libro de poemi di S. V. d. Canditi sopra salviette con fiori con una bandieruola a fiamma con l’arma del d. porporato. Statua di pasta di marzapane, due abbracciati insieme rappresentanti la Giustizia e la Pace che si bacciano assieme col moto nel piedistallo: Et osculate sunt. Statua di Sansone di pasta di marzapane che dimostra meraviglia per veder dal Leone già vechio uscir tre api, nella cui mano alza uno stendardino di taffettà con arma del Papa e del Legato sudd. Doppo molte altre vivande si presentò a sua Em.za ed a ciaschedun comensale un bellissimo mazzo di fiori di seta al naturale con l’incluso sonetto stampato in taffettà cioè:
Dal triplicato Regno, onde va grave
il tuo gran Zio più di saper, che d’Anni
spieghi ver noi con trino impero i Vanni,
grand’Ape or che di Guerra Italia pave
e con la spada acuta e l’aurea Chiave
aprì i tesori ai Giusti e i Rei condanni
non temi né l’infausto cielo i danni
che non offende il Ciel celeste Nave.
Or vieni APE benigna alla tua sede,
ferma sul piciol Ren, che è più fedele
e più d’ogni altro cimento la Fede.
Se ne gran passi tuoi si gusta il male
tu non puoi meglio riposar il piede
che dentro città che è senza Fele
V. F. “
Terminato l’anno 1642 in questa forma entrò nel successivo 1643 Massaro Innocenzo Fabbri e Podestà Achille di Gio. Battista Angelelli.
Per assicurare poi lo Stato di Bologna dalle scorrerie del Duca di Parma, che andò all’aquisto di Castro e suoi stati che li erano stati occupati dalli eclesiastici, furono premunite tutte le castella del territorio di Bologna, così pure la città la quale introdusse soldatesche. Per l’allogio delle med. furono dati li comiati a tutti li inquilini delle contrade del Pradello o sia Pietralata, S. Croce, Borgonovo ed altre per il bisogno ed imediatamente sloggiarono li inquilini.
La Comunità di Castel S. Pietro, ad imitazione di Bologna, intimò il comiato e lo sloggio de respettivi quartieri a tutti li inquilini abitanti nelle case Morelli su la pubblica piazza, lì edificate sul suolo della Rocca e così fecero in altre simili contingenze li pubblici rappresentanti.
Li 10 marzo, essendo quivi aquartierata la truppa del Conte Paris Maria Graffi, morì contemporaneamente messer Antonio Pallavicino, piemontese ufficiale da Turrino. Li 22 marzo fu fatto Comissario dell’esercito eclesiatico Gio. Girolamo Lumellini, nel qual impiego durò fino alli 26 decembre a cui sucesse Alfonso Litta milanese. Stante le presenti militari circostanze la domenica di Passione, che cadde li 22 marzo, temendosi di qualche tumulto, non si fece la processione del X.to scoperto.
Li 27 aprile fu ucciso Girolamo Sansone da Castel bolognese. Li 4 maggiò morì Vincenzo Rinieri e fu sepolto nella chiesa di S. Bartolomeo. Vivevano in questo tempo Paolo e Marc’Antonio Gardenghi in questo loco, li quali poi in qualità di Sergenti passarono alla milizia papalina a Crevalcore sotto il comando del cap. Giacomo Sgarzi di questo Castello, atteso il bisogno che si sentiva per una imminente battaglia col duca di Parma.
Le Rogazioni che si dovevano fare li 11, 12, 13 maggio colla S. Imagine di Poggio, per li stessi movimenti di guerra, non si fecero in Castello bensì la Compagnia del SS.mo andò alla visita di quella di Poggio come sua singulare protettrice, ove il dì 14 giorno della Ascensione, trasportata dalla compagnia alla chiesa parochiale di S. Biagio di quel villagio, diede ivi la benedizione al popolo concorsovi.
Li 14 giugno ad ore 12 in domenica si diede la battaglia sotto Crevalcore fra li papalini e parmeggiani. Durò la battaglia 4 ore e rimasero vincitori li eclesiastici che, oltre essersi impadroniti del campo nemico, fecero molti prigionieri e bottino.
Il primo lulio entrò Massaro Pietro Andrini e Podestà fu Lodovico di Giulio Felicini.
Quantunque si fosse ottenuta la vittoria contro i parmeggiani il Legato mandò fuori un ordine a tutte le chiese di città e campagna il giorno 3 agosto di non suonare sorta alcuna di campane dall’Avemaria della sera fino a giorno alto per tanti sospetti sotto rigorose pene.
Li 15 settembre morì messer Lodovico Villa qd. Gio. Battista e fu sepolto in parochia. Li 8 novembre morì pure in questo loco il sig. Gio. Battista Casali da Solarolo per li patimenti fatti nella passata guerra ed era capitano della sua nazione, fu sepolto alla parochiale con tutti li onori militari.
Medesimamente finì li suoi giorni in questo tempo il cap. Giacomo Sgarzi nostro nazionale il quale pure si trovò nella giornata delli 14 caduto giugno sotto Crevalcore in compagnia delli guastadori, che fecero le spianate sotto S. Cesareo con molti de nostri villani contro il Duca di Modena coalizato con Parma, e fu sepolto con grandi onori nella chiesa nova de cappuccini fori del Castello, non solo per essere stato bravo capitano al foco vivo, ma anco per le sue facoltà e beni di fortuna.
L’anno seguente 1644 entrò Massaro per il primo semestre Gabriele Cuzzani e Podestà fu il Conte Dollabella del Conte Camillo Ghiselieri.
Li 15 marzo domenica di Passione la Compagnia del SS.mo, trasportato il suo miracoloso X.to nella parochiale scoperto, fece il solenne ringraziamento per l’ottenuta vittoria contro il Duca di Parma e per il progresso della felicità nell’armi pontificie. Fatta la pace poi il card. Legato segnò il Proclama li 28 aprile ed il giorno primo maggio a suono di tromba e tamburo fu pubblicato. Seguirono poscia allegrezze per tutto il contado. La Compagnia del SS.mo, profittandosi delle Rogazioni alla Madonna di Poggio che caddero li giorni 2, 3, 4, le fecero più brillanti del solito co’ fochi artificiali ogni sera.
Il giorno 9 d. nevicò grandemente, la notte seguente venne una grandissima brina che ghiacciò, che recò gran ruina nel bolognese. Le viti ed arbori patirono assai.
Essendo morto Francesco Cavazza li 25 decorso aprile, che era confratello della Compagnia del SS.mo, messer Fabbricio Cavazza, di lui consubrino, le fece fare un solenne officio li 13 corrente maggio nella chiesa di questi francescani, intervenendoci li confratelli del SS.mo tutti in cappa per dare una condegna addimostrazione alli d. due Cavazza suoi confratelli. Alla med. Compagnia fu somministrata la candela di cera al pari de frati, alli individui poveri le fu dato un pavolo per ciascuno e riescì la funzione non che decorosa ma ancor bella per li Riti usati ed utile alli meschini.
Il giorno primo lulio poi entrò Massaro Francesco Prati e Podestà Bartolomeo del Conte Cesare Bolognini. Seguì in questo tempo il matrimonio fra l’E.mo dott. Francesco qd. Felice Laurenti di Porto della città di Fermo, che piantò poscia quivi il suo casato , colla filia del fu cap. Giacomo Sgarzi per nome Cattarina Giulia.
Li 29 di questo mese morì Urbano VIII doppo avere regnato 21 anni.
Li 15 agosto fu ucciso in questa sua patria Bartolomeo Benetti.
Vacata la S. Sede 27 giorni, fu eletto Papa Giovan Battista Panfili cardinale romano col nome di Innocenzo X.
Li 18 ottobre morì Agostino filio del cap. Nicola Fabbri.
Richiamato dalla Legazione il card. Gio. Battista Panfili, fu sostituito il card. Lellio Falconieri quale venne a Bologna per la via di Loreto li 17 novembre. Fu perciò incontrato a Castel S. Pietro dalli Senatori deputati Conte Marc’Antonio Ranuzzi e Paolo Guidotti accompagnati dalla guardia de cavallegieri. Si pubblicò contemporaneamente il Giubileo per la elezione seguita del novo Pontefice. Si fecero perciò processioni da pertutta la diocesi.
Li 13 decembre, giorno di S. Lucia, li gesuiti non avendo fatto il pane per la solita elemosina ordinata dal Morelli in questo loco, naque in Castel S. Pietro un tumulto tale che la povertà andò alle porte, tanto d’avvanti nella via maggiore, quanto posteriormente nella via de’ Pistrini della abitazione ed ospizio de med. gesuiti e quindi, con sassi e legni contro le serraglie, avevano cominciato la breccia li insorgenti, capo de quali fu Bartolomeo Zanella.
Nel furore del tumulto affacciossi alla finestra d’avvanti un frate lajco e dalla parte posteriore un villano servente i med. ed entrambi, gettando fuori pane e danaro, pregarono il popolo amutinato, che disponevasi ad un sacchegio, che il dì seguente aurebbero avuro la consueta elemosina. Perché poi il frate non illudesse colla fuga il popolo, misero le guardie li insorgenti alle porte dell’ospizio onde vedendosi il frate a mal partito il dì seguente adempì la promessa.
Questo fatto accadde sull’esempio della famosa sollevazione di Tomaso Anelli in Napoli, chiamato volgarmente Masaniello, giovine animoso d’anni 24 ammogliato, uomo di statura mezana, di ochio nero, zazzaretta, mustachietti biondi, piuttosto magro che grasso, di talento faceto e fino. Andava scalzo in camicia e calzoni di tela e berettino da marinaro. La di lui professione era di pescivendolo pescando pesci colla canna ed amo.
Cominciò la sollevazione li 7 lulio e durò dieci giorni. Si vide un corpo di centoquattordici milla persone in bon ordine di milizia. La cagione fu di crescere alla farina un novo dazio e a frutti. Per tale solevazione furono levate tutte le gabelle. Fu tale l’obedienza che si prestò da sollevati e dal popolo che non si legge in alcuna storia essere ciò mai seguito in alcun capitano per bravo che sia stato. Di questa sollevazione se ne ritrova una descrizione ampla stampata da un ferarese che trovossi a tutto presente ed in questo opuscolo si leggono bellissime capitolazioni e providenze.
Nell’anno 1645 che seguì entrò Massaro Trajano Scasilioni e Podestà il Conte Francesco Maria alias Rafaele Riari. Avendo rinonciato il card. Girolamo Colonna il vescovato di Bologna a mons. Ugo Albergati li 6 febraro fu dichiarato arcivescovo di Bologna e si cantò solenne Tedeum e li 10 marzo fu fatto cardinale.
Li 28 del med. mese morì il cap. Giovanni Tomba di questo Castello e fu sepolto nella chiesa di questi agostiniani di S. Bartolomeo. Morì pure Giovanna di Ottaviano Dalzano donna di singular pietà congiunta di suor Felice Dal Zano di cui ne parlano li annali de P.P. Serviti.
Pressentendosi che il Turco faceva movimenti contro la Chiesa, furono in questo mese chiamati a Malta tutti li cavalieri e comendatori. Si fecero per ciò orazioni per tutto lo Stato eclesiastico.
Siccome la Comunità aveva fatto voto a S. Bernardino per cento anni a motivo del contaggio, fu proposto nel Consilio essere cosa ottima che il Corpo della med. andasse ogni anno a visitare il Santo alla chiesa di S. Francesco. Ne fu fatto perciò il decreto, segnato nelli atti della stessa a mano di Lodovico Ugolotti not. e segretario (Camp. 2° fol. 99).
Essendo morti alquanti comunisti e restando il loro posto vacante, furono perciò eletti li seguenti sogetti cioè: Domenico Cuzzani in luogo di suo padre, Lodovico Comelli in loco di suo padre, Lorenzo Alberici in loco di Vincenzo Mondini, Bartolomeo Bretta in loco di Gio. Maria Simbeni, Nicola Rondoni in loco di Lodovico suo padre, Francesco Fabbri in loco di Inocenzo suo padre.
Nel di 27 giugno Alfonso Graffi fondò il beneficio di S. Antonio Abbate nella chiesa di S. Francesco di questo luogo con obligo di tre messe annue a rogito not. Alberto Rabbi e di Alessio Barbarini. La sua dote è di una casa posta nella via di S. Vitale di Bologna di annua rendita l. 150. il primo Rettore fu D. Antonio Graffi fratello del fondatore che fu poi paroco di Frassineto.
Terminato il suo oficio di Podestà il Conte Riario lodevolmente, fece apporre la di lui memoria collo stema inciso in macigno giusto il consueto de suoi antecessori del seguente tenore cioè:
Co. Franciscus M.ra Riarius Patrit. Bonon.
Pretor Primi semes. MDCXLV
Nel dì primo lulio entrò Massaro Orazio Venturoli e Podestà fu il Marchese Girolamo Albergati.
In questo stesso giorno Ugo Albergati che era stato fatto cardinale, che poi si fece chiamare Nicolò Lodovisi essendo stato dichiarato arcivescovo di Bologna, venendo di Roma per la via di Romagna, quando fu a Castel S. Pietro fu incontrato dalli Senatori Cornelio Malvasia che albergollo sontuosamente in questo suo palazzo, e dal marchese Paolo Magnani seniore.
Li 29 d. morì il Marchese Giovanni Locatelli seniore, padre di Girolamo e fu sepolto a Cappuccini di questo loco. Alfonso Graffi sposò Giulia Ricardi. Li 17 settembre il Marchese Michele Angiolo Sgreti di Ravenna che quivi era venuto a passar l’aqua della Fegatella in casa Locatelli, infirmatosi gravemente morì e fu sepolto in parochia.
E per che stava a cuore all’arciprete la fabbrica della capella del Rosario che, per mancanza di danaro, non si poteva effettuare, fra tanti confratelli di quella compagnia si offerse solamente Bartolomeo qd. Arcangelo Dalfiume soministrare lire ottocento q.ni semprechè per sicurezza si obbligasse qualcuno per la restituzione di d. somma. Si disposero per ciò l’arciprete D. Alessandro Comelli e Flaminio di lui fratello li quali vincolarono una loro pezza di terra detta al Cerè, nel comune di Castel S. Pietro, formandosene pub. rogito li 9 ottobre anno presente 1645.
Li confratelli poi della compagnia si obbligarono indennizzare l’arciprete e suo fratello tanto del pagamento di d. l. 800 al sud Dalfiume quanto delli frutti, come da instrumento celebrato per il notaro Lodovico Ugolotti che era officiale sostituito dal Podestà.
E perché pure in questo tempo erano irregolari e scomposte le offerte di primizie di Castel S. Pietro all’arciprete, fatte e tassate dalla Comunità ne tempi andati, come si riscontra da catasti comunitativi e dal Lib. primo de Diversi dell’archivio della med. allorchè ella faceva la nomina, così ad oggetto di evitare le questioni che si facevano da proprietari de terreni affetti alla primizia e da villani che malvolentieri si prestavano a ciò, fatto ricorso per il quieto vivere al vescovato, li 10 ottobre venne a Castel S. Pietro D. Pier Antonio Garofali commissionato dall’arcivescovo e formò colla partecipazione della Comunità il Libro e Riparto di tali primizie, sulla disposizione della quale così procedevasi ancora a giorni nostri. Furono poi consolidate l’anno 1650 dall’Ordinario.
L’anno veniente 1646 prese il primo giorno di genaro il possesso della carica di Massaro Stefano Annessi e Podestà fu il Conte Carlo Francesco del Conte Ipolito Marsili.
Militando in questo tempo per la repubblica di Vinegia Pier Battista Fabbri di Castel S. Pietro in qualità di capitano in Palma, Legnago e Zara, il med., per avere ufficiali fedeli sotto il suo comando, procurò che fosse chiamato al soldo sotto la sua compagnia il suo fratello Carlo Fabbri in qualità di tenente e ne ebbe l’intento, ricontrasi questo dalle memorie Fabbri nel libro Gallicella M. SS. della familia.
Siccome poi erano nati dispareri ed in seguito differenze fra l’arciprete e li regolari di questo loco che riescivano scandalose per non vedersi intervenire socialmente alle pubbliche funzioni per la preminenza e posti di onore in chiesa nelle pubbliche funzioni, per modo che si era cessato dalle fraterie concordemente l’intervento anco alle processioni, alle prediche ed altre funzioni, quindi perciò li 18 marzo, domenica di Passione, si fece la processione col X.to dell’oratorio del SS.mo scoperto senza l’intervento di quelle, andandovi solamente la Compagnia di S. Cattarina e loro secolari.
La questione primaria fu che l’arciprete pretendeva non solo nella propria parochiale soprafare li capi di Religione e posporli alli altri preti senza differenza alcuna ma ancora pretendeva nelle loro chiese fare lo stesso, onde si vedevano benespesso contrapunti. Avvisato l’arcivescovo di questo disordine, fece riconoscere all’arciprete la mancanza del suo dovere onde dopo diverse conferenze compose le parti mediante li instituiti Capitoli. Erano allora capi di Religione cioè S. Bartolomeo priore P. Girolamo _, baciliere da Castel S. Pietro, guardiano di S. Francesco M. Oss. P. Sebastiano _ da Castel S. Pietro, guardiano de Cappuccini P. Girolamo Fantuzzi da Bologna in Castel S. Pietro.
Tutto ciò si perfezionò, colla mediazione dell’Ill.mo sig. Francesco Tedeschi protonot. apostolico commissionato dall’arcivescovo, nel giorno di domenica preventiva alle Rogazioni, in casa dell’arciprete ed il successivo lunedì che fu li 7 maggio, primo giorno delle rogazioni intervennero tutte e tre le Relligioni alla processione coll’ordine prescritto nella convenzione. Di ciò ne diede tosto il P. Fantuzzi l’avviso al card. arcivescovo, il quale in allora era ritornato a Roma colla spedizione della scrittura di questo tenore:

  1. Alli 6 di maggio nel nome del Signore. Acciochè fra li sig. Arciprete Alessandro Comelli di Castel S. Pietro ed il P. Priore di S.Bartolomeo e P. Guardiano di S. Francesco regni sempre una S. Pace, Concordia ed Amore e resti Dio benedetto glorificato, l’E.mo Sig. Card. Lodovico Arcivescovo, consolato e soddisfatto in questo tenendo particolare premura al popolo di Castel S. Pietro edificato, si è risservato fare li presenti Capitoli da inviolabilmente osservare da ambo le parti, siccome a tale effetto di propria mano sottoscrivano questa scrittura.
    1° – Il sig. Arciprete con onore riceverà nella sua Chiesa li P. P. d’ambo le Relligioni e quando vi saranno li P.P. Priore di S. Bartolomeo e P. Guardiano di S. Francesco, porrà il P. Priore a mano dritta ed il P. Guardiano a mano sinistra, esso in mezo poi di mano in mano li altri precedendo Preti alli Regolari non Prelati, dichiarando però che quando di loro vi fosse qualche arciprete od altra persona in dignità constituita in questo caso il P. Guardiano di S. Francesco cederà il luogo et abderà a mano diritta sotto il P. Priore di S. Bartolomeo.
    2° – Il sig. Arciprete chiamerà li sudd. Relligiosi alli offici né impedirà ad alcuno benefattore, che voglia chiamarli a d. Offici, siccome professo avere fatto per il passato e si faceva al tempo già di altri arcipreti.
    3° – Non proibirà anzi aurà cura che venghino o siano mandati a celebrare messe votive ed altre nella sua Chiesa. Nel dare le Elemosine delle messe aurà l’ochio il sig. Arciprete che tanto a P.P. Regolari quanto a Preti secolari, anco venendo di fuori, sia data eguale elemosina per quanto dipenderà da lui, perché se i preti forestieri non volessero stare a quella elemosina esso allora rimetti a Benefattori ed occorrendo altro il sig. Arciprete si dichiara volere sempre caminare con ogni bon termine e cortesia con d. P.P. dichiarando però che li P.P. regolari non intendono pretendere elemosina doppia quando che vi sia concorso di Preti, Sacerdoti di molta lontananza e fuori della sua giurisdizione.
    Per la Parte di d. P.P. di S. Bartolomeo e di S. Francesco, quali volendo scambievolmente corrispondere al sig. Arciprete di Cortesia ed incontrare ogni piacere del sig. Arcivescovo promettono:
    1°- Che alle Rogazioni venendo la Madonna di Poggio nelle loro Chiese preparino in luogo onorevole una sedia o Cadrega per il sig. Arciprete e due banzole una a mano dritta e l’altra a mano stanca per due assistenti al sig. Arciprete siano chi si vogliano purchè il sig. Arciprete dichiari che sono suoi assistenti sacerdoti ed ogni volta che verrà nelle loro Chiese per Offici od altro lo poranno sempre nel primo luogo, cioè in mezo ad ambi quando vi saranno.
    2°- Saranno sempre pronti a fare ogni cortesia al sig. Arciprete secondo che esso si lasciarà intendere, volendo in questo soprabondare di amorevolezza come quelli che hanno a cuore l’onore di Dio e bon esempio al popolo et al dare ogni soddisfazione al sig. Arciprete cioè alle sepolture per li Capellani quando non levaranno le cotte agli Offici, Messe e Vespri.
    Io Alessandro Comelli Arciprete di Castel S. Pietro approvo e confermo tutto quanto sta registrato in questo foglio, sottoscritto per mano del molto R. P. Fantuzzi Guardiano de R.R. P.ri Capuccini di Castel S. Pietro, promettendo inviolabilmente osservarlo.
    Io F. Sabastiano di Castel S. Pietro, guardiano di S. Francesco approvo e confermo tutto quello che sta registrato in questo foglio scritto per mano del molto R. P. Fantuzzi Guardiano delli R.R. P.P. Cappuccini di Castel S. Pietro aff. avere di mia mano formata q.ta Sc.ra ed essere stato p.nte quando il sig. Arciprete e P.re Priore di S. Agostino e p. Guardiano di S. Francesco l’hanno soscritto. Quel Sc.ra è stata fatta con ogni ponderazione a parere dell’ill.mo Sig. Francesco Tedeschi Protonot. apostolico per servire et obedire l’E.mo sig. Card. Lodovisi Arcivescovo di Bologna e però degnissima d’essere osservata dalle parti, mentre l’Em.za sua altro non comanda. In fede.
    Fu spedita tosto copia a Roma. all’arcivescovo per sua approvazione.
    Li 17 maggio (morì) F. Bernardino Domenicali, chierico cappuccino di Castel S. Pietro, fu uomo di grandissima ed intensa devozione tale verso M. V. e S. Francesco che meritò l’apparizione de medesimi. Fra le altre apparizioni una volta le disse S. Francesco: Consolati Bernardino che il giorno delle mie stimate sarai meco in paradiso. Tanto fu vero che doppo 44 giorni di febbre terzana doppia morì nel med. giorno in Ferrara d’anni 23 in quest’anno senza agonia, rimanendo il suo corpo palpabile come angiolo.
    Doppo morto apparve ad un suo compagno relligioso e l’avvisò che nella bocca del di lui teschio, per aver lodato tanto M. V., le api le dovevano fare il miele. Come seguì, entrando le api per una fenestra che guarda il cemetero, e vi fecero un favo di miele con istupore di chi vi andò a vedere l’operazione di Dio per la sua gran madre. Tutto ciò l’abbiamo riscontrato dalle carte comunicateci dall’Archivio di questi P.P. Cappuccini di sua patria. Il Masini poi nella sua Bologna perlustrata lo descrive da Bologna sotto il dì 18 maggio f. 320, perché era stato a Bologna allo Studio ove frequentò a suoi giorni le Scuole Pie con edificazione de suoi coleghi. Vero si è che egli sortì li suoi natali in questo loco da onesti parenti come abbiamo scritto e concludentemente provato nei nostri Elogi alla vita delli uomini e donne illustri di Castel S. Pietro.
    Restò poi talmente contento il cardinale nostro arcivescovo Lodovisi della concordia seguita, come abbiamo riferito, fra l’arciprete e questi regolari che di Roma scrisse al P. Fantuzzi lettera di ringraziamento e, per contestarne il suo gradimento, concesse alle sudd. tre Relligioni il turno della predica in questo pulpito di Castel S. Pietro tanto per l’Avento che per la Quaresima alternativamente fra di loro. Ciò l’ordinò per sua lettera segnata li 23 maggio diretta al suo Vicario Sante Domenico Odofredi, imponendole che tutto ciò avvalorasse mediante decreto giuridico per la piena osservanza.
    Il giorno primo lulio entrò Massaro Filippo Bettini e Podestà il Conte Gio. Battista del Conte Annibale de Bianchi.
    Li 10 d. alla possessione Peschiera de Mario Locatelli in questo comune naque ad Alessandro Castellari un vitello da una delle lui vache con due teste e sei gambe, due d’avvanti e quattro posteriori. Morì la madre nel figliare e così doppo pochi giorni fece il vitello che fu spedito a Bologna per imbalsamarlo.
    Li 12 lulio monsig. Odofredi fece un suo decreto inesivamente colli ordini del arcivescovo intorno alle dissensioni e turno della predica di questo tenore:
    Die 12 Juli 1646. R.mus D. Vicarius Curie Archip.lis Bononie ad plenam informationem de Dissensionibus alias secutis inter ad modum Rd. Archipres. Paroctis SS.me Assumptionis Cas. S. P.ri ex una et almod. R.R. P.P. Regularis d. castri ex altera et de inordinato moto in preteritum servato circa Distributionem Predicatorum et illorum assignationem singulis dd. Regularium at cognoscens (…) expediat semper in obbus prescriptes ordo, qui est anima rerum, propterea innerendo etiam de mandati p. Em et R.em D. Card. Archiep. per eius litteras sub data Rome die 23 maj p.ntis anni, quos mandavit in actis registrari, statuit atque decrevit de cetere munas predicandi et concionandi p. tres Relligiones Augustinian. Minor O.O. S. Francisci e P.P. Capucias prestari per turnum secundam ordinem ac modum et formam dectos et adnobactos in foleo subcripto p. D. Archipreobiterum et subtas Relligiones sub die 8 juli p.ntis anni, quod mihi Abt. Cancell. in.cto tradidit. mandavitque in actis vero in Libro ad id deputato registrari, et ita imposterum inviolabiliti observari prout in ea continetur et p.ta donea et prout quoque prefato E.mo et R.mo D. Card. Archie.pi et omni meliori modum.
    Dominicus Odofredus V. G. Piriteus Belirsus Not. er scriba in Curia Archiep. Bon. L + S.
    Unito a questo decreto abiamo anco la lettera del cardinale accenato che omettiamo per brevità della presente scrivenda conservandola con li altri documenti patrii.
    Il daziere di tutti li dazi di Bologna e suo territorio Marsilio Zaniboni, intendendo opprimere affatto li privilegi di Castel S. Pietro, moltiplicava le angustie a questa populazione onde la Comunità ricorse al Papa e ne ottenne dal medesimo, vive vocis oraculo, special monitorio sotto il giorno 5 settembre per li atti Ricci in Roma, onde, ciò ottenuto, la Comunità e paesani si armarono di un massimo coraggio, quindi, chiamato Consilio li 12 settembre, si fece proposta di procedere a coletta, come seguì, ed il Zaniboni sospese poscia li atti giudiciali.
    Non si aquietò per questo la Comunità, ricorse al Senato di Bologna facendole, con supplica informativa, al suo consultore Filicori constare la provenienza de Privilegi del paese per causa onorevole e per indulti sucessivi papali. Il tenore del qual Monitorio è l’unito. [Vedi Appendice C]
    Li P.P. di S. Bartolomeo abbisognosi di dilatare il loro orto superiormente posto al convento chiesero alla Comunità un picolo pezzolo di terra verso le mura del Castello in piazza Liana stante che quell’angolo di terreno serviva di ridotto alle persone oziose per trastullarsi e giocare. La Comunità prontamente condiscese alla petizione e tostamente li frati fecero chiudere con un muro quest’angolo come si vede presentemente. Li 15 novembre Flaminio Comelli diede ancor esso memoriale alla Comunità per la facoltà di fare le prove della sua abitazione in Bologna per essere liberato dall’estimo ed ottenne il rescritto favorevole dal Senato ( Arch. Segret. senat. Lib. 28, let. E N. 34).
    Entrò poi Massaro per il primo semestre 1647 Francesco Ricardi e fu Podestà Camillo Paleotti. Nel mese di marzo, terminato il campanile di questi P.P. di S. Bartolomeo, furono tosto fatte riffondere le campane in Imola al fonditore Landi le quali solamente nelle solennità passate si sentirono per la prima volta. Avevano li d. P.P. in questa loro chiesa una Compagnia o sia Unione di persone divote sotto il titolo di S. Bartolomeo, la cui origine non ci è riescito scoprire a fronte di indagini e diligenze, la quale regolavasi a discrezione, che però facendo le sue funzioni al piacere di quei relligiosi accadevano spesso male intesi onde per ovviare ai disordini fu fatto ricorso al vescovato e le questioni furono rimesse al provinciale.
    Il card. arcivescovo in questo mese ricordevole della Passione e morte di N. S. G. C. instituì la divozione delli Paternoster per l’agonia imponendo alli parochi, arcipreti e pievani della diocesi darne ogni venerdì alle ore 21 segno con diversi colpi alle campane maggiori delle respettive chiese onde il popolo li recitasse e ne fosse partecipe delle indulgenze.
    Si erano scoperti alquanti lupi, che infestando li ovili delle vicine colline e montagne di Fiagnano, Frassineto, Montecaldiraro, talvolta discendevano fino presso il nostro Castello e divoravano li cani ancora, perciò non mancarono alcuni del paese rintracciare le loro cove, ne furono alquanti amazzati e Francesco Vanti e Sandro Ruggi di Castel S. Pietro ne allaciarono due cioè maschio e femina nel bosco del …lasino, che bene ammagliati furono condotti a Bologna e furono premiati.
    Doppo avere fabbricato il loro palazzo in questo loco li Marchesi Locatelli, avendo posteriormente al med. dalla parte di levante un gran cortile, che servì poi da giardino aderente alle mura del Castello, vi formarono una ucelliera e boschetto per lepri, conigli, salane ed altri animaletti. Fu coperta di una grande ramata in parte per li volatili, onde fu di bella delicia, formaronvi ancora una peschiera ove inchiusare pesci nostrani e, superiormente al Castello ove fa angolo il Castello, vi fecero fare giochi d’aqua, se ne vedono tuttora li condotti sul suolo e le nichie per le statue nella parete che serve di mura al Castello. Onde questi signori si erano resi cospicui presso la nobiltà di Bologna ed altre nazioni vicine, che passando da questo loco, venivano a visitare e compiacersi di queste delizie.
    Li 10 maggio fu fatto il Capitolo Provinciale de P.P. Agostiniani d. di S. Bartolimeo in questo Castello nel tempo che era priore il P. Bacilere Giovanni Girolamo . Fu in questo comizio eletto Provinciale il R. P. M. Francesco Agostino da Ravenna. Fu indi eletto priore di questo convento di S. Bartolomeo il P. Bacciliere Amadio di Bologna per anni due. Li 20 giugno seguì una grandine grossa che abbatette nel nostro comune nel quartiere di Granara la messe matura. Si sparse voce ancora che vedevasi di notte tempo una bestia mostruosa in questo contorno, onde le persone stavano assai guardinghe. Il dì primo lulio entrò Podestà Vitale de Bovi e Massaro Pietro Andrini. Il notaro giusdicente sostituto del Podestà fu Battista Vignola questi, venendo a rissiedere in paese, chiese alla Comunità una cucina, cantina, granaro ed orto alla Comunità. Questa vi aderì solamente per il tempo del di lui oficio. Stante la raccolta scarsa de grani fu fatto il calmiere nel mese di settembre a l. 11: 10 alla corba di grano, ma nessuno vi stette a questa meta. L’uva fu medesimamente scarsa pagandosi scudi nove la castellata. Li 15 settembre si cominciarono le Missioni de gesuiti in questo loco giusto il disposto Morelli, le quali si dovevano fare nello scorso carnevale. Capo delle med. fu il P. Muzio Viteleschi. Durarono quindici giorni ed in termine delle med. fece fare una solenne processione col SS.mo per tutto il Borgo e Castello ed in fine diede la Nel dì primo genaro 1648 entrò Massaro Giovanni Farnè per il primo semestre, Podestà il Conte Marc’Antonio Ranuzzi, suo not. giusdicente sostituito, troviamo nelle carte della Comunità, essere stato Giovanni Masi. In questo mese si cominciò a vociferare l’epidemia ne bovini onde in seguito furono posti li opportuni ripari, guardie e la prescrizione de medicamenti, ciò non di meno si stette ne bagordi carnevaleschi. Li 29 marzo, domenica di Passione, si portò il crocefisso scoperto della Compagnia nell’altare maggiore della parochiale secondo il consueto per farne la processione, la quale poi non seguì per le continue pioggie fino al sabato Santo. Abbiamo ancora nelle memorie del P. Vanti, per la prima volta memorato da esso, il X.to della Compagnia di S. Cattarina, col quale usava la med. fare il venerdì Santo la processione nel Castello e Borgo sopra di un cataletto, deposto dalla croce, che fu parimente festa. Questa solenne processione, per l’accennato motivo di pioggia omessa, fu motivo di non poche amarezze fra l’arciprete e la compagnia accennata sebbene inveterata, come abbiamo scritto , fino dal 1545, le quali non furono calmate per si poco. Li 18, 19, 20 maggio si fecero le Rogazioni della Madonna di Poggio alle quali la Compagnia di S. Cattarina, per dissapori nati di preminenza colla Compagnia del SS.mo e per altre coll’arciprete, non vi intervenne come a suo loco riferiremo. A cagione delle lunghe pioggie e freddo si fece una miserabile raccolta di tutto onde fu gran carestia e si pose tostamente il calmiere al grano di Lire sedici la corba sul finire di giugno. Il dì primo lulio poi entrò Massaro Giovanni Benetti, Podestà __ , suo notaro sostituito fu Carlo Zanetti Azzoguidi.
    Essendo ormai tre anni che il card. Legato Falconieri era in Bologna si sparse la nova della di lui partenza, parve questa l’occasione ed opportunità alli primi facinorosi e sicari di Castel S. Pietro ricorrere al med. per averne il perdono, quali fossero le loro enormità si legono nei loro respettivi ricorsi che conserviamo con altri documenti del paese, ma furono esclusi dalla grazia.
    Stante poi la raccolta carestiosa di ogni genere fu fatto tostamente il calmiere a l. 20 dove prima era a l. 16 ma non vi stettero li venditori a questa meta. Il miglio valeva l. 30 la corba, la fava l. 22 ed il formentone (..) cattivo l. 17 la corba. Per sovvenire il territorio si fece a Castel S. Pietro la Masso delle Biade da contrabandieri che la portavano di Romagna. Di lulio si cominciò a fare il pane di miglio dandone oncie 10 per due bajochi. Il pane per cinque bajochi ne davano oncie 15 essendo questa carestia universale.
    Li 8 settembre partì di Bologna il card. Falconieri Legato e fu accompagnato fino a Castel S. Pietro dalli Senatori Achille Volta e Matteo Fibbia che si trattenero in questo palazzo Malvasia fino alli 10 ove incontrarono il novo Legato Card. Fabbrizio Savelli e lo accompagnaronoa Bologna, contemporaneamente giunse monsig. Marcello S. Croce Vicelegato.
    Li 19 ottobre venne a Castel S. Pietro la visita pastorale del canonico Gabrielle Patrizi deputato dal E.mo Lodovisi arcivescovo di Bologna. Visitò tutte le chiese. Ne suoi decreti trovasi li seguenti: Visitavi Oratorio SS. SS.ti Divo Thome dicatum ubi. Questo oratorio ebbe la dedica a S. Tomaso, perché al principio del corrente secolo, come abbiamo narrato, fu trasferita la compagnia in tal giorno dall’arciprete solennemente nel med. oratorio fatto di novo, alzato processionalmente il miracoloso X.to di essa compagnia. Soggiunge ancora. Visitavi O.rium Annuntiationis in Burgo et mandavi elemosinas que sunt in capsa, nisi interventu Archipresbiteri extrahi ab Hominibus Burgi non possint. Questo decreto fu fatto in vista che li borghesani come padroni di d. chiesa intendevano dispoticamente disporre delle elemosine raccolte nella med.
    E perché vertivano differenze fra l’arciprete e la Compagnia di S. Cattarina a motivo delle funzioni, delle estrazioni delli ufficiali e dipendenza al paroco, così portatosi il Visitatore nella chiesa di questa compagnia, ove era il corporale adunato intervenendovi l’arciprete, furono proposte le reciproche pretensioni. Ne naquero perciò altercazioni tali che il Visitatore, vedendosi impossibilitato conporle non che calmarle, si risserbò presentarle al Vicario generale come lo attesta nella sua visita restando tutto ineffettuato.: Visitavi eclesiam S. Cattharine eiusdem castri. Hic pariter multe surrecte fuerunt altercationes inter homines et Archipresbiterum, quos tollere omnino conatus 8..9, et ne majores fierent cum alicuius scandali periculo, sic offendiantibus partibus O. R. V. P. omnes referre judicavi.
    Cresceva talmente la fame che le persone non potevano ressistere, per sostentarsi andavano alla campagna a raccorre le ghiande, poscia brustolite le mangiavano. Il Legato avendo alzato il calmiere per alettare le genti a vendere grano, non fu bastante questa provisione, cosiché convenne al med. lasciare la piena libertà alli venditori di venderlo a quel prezzo che le fosse piacciuto ed andò il prezzo del grano fino a l. 50 la corba e la povertà lo mangiò da fornari a ragione di l. 54. Le ghiande seche si macinavano ed era ottimo pasto alli uomini. La fame, il fredo e stenti produssero mortalità poiché, non cibandosi di pane li poveri, chiedevano limosina e poi cadevano semivivi per il pane di ghianda e focaccie di qualunque mistura di grane e robba. In alcuni luoghi si macinavano stechi di vite sechi e tritati che misturati con poca farina di biade facevano focaccie e miche e simili.
    Sicome poi nell’anno 1645 fu fatta nova elezione di comunisti dalla Comunità li quali, per non essere stati approvati dal Senato, fu perciò ordinato dal med. una nova elezione la quale fu la seguente. Nicola Rondoni in vece di suo padre morto, Paolo Matteucci, Lorenzo Albani, Francesco Fabbri in loco di Innocenzo suo padre, Gio. Battista Villa, Francesco Fiegna e Giacomo Fornasari ed in seguito il Senato ordinò che nella imborsazione de Massari si ponessero tostamente, come di fatti si fece, ed il N. de pubblici rappresentanti era il seguente, cioè: Francesco di Innocenzo Fabri, Giacomo Fornasari, Lorenzo Albruni, Stefano Anessi, Nicola Rondoni, Gio. Battista Villa, Bartolomeo Beretta, Paolo Mattioli, Francesco Fiegna, Giovanni Benetti, Giovanni Farnè, Filippo Bettini,
    Orazio Venturoli, Trajano Scasilioni, Pietro Andrini, Francesco Maria Riccardi che in tutto erano sedici.
    Arrivato il novo Legato in Bologna li accennati sicari Bogni, Dall’Oppio e Pignatarini replicarono le loro suppliche per comporsi col Tribunale, ma incontrarono la sorte di prima, li originali di tali supliche li conserviamo fra li altri documenti del paese.
    Infrattanto si giunse all’anno 1649 in cui il primo genaro entrò Massaro Francesco Maria Riccardi, ma il Podestà chi fosse non l’abbiamo nella nota.
    La eccessiva miseria di viveri era divenuta tale che li contadini avevano determinato abbandonare li poderi, onde essendosi li 21, domenica di Passione, ammutinati in bon numero nel comune di Castel S. Pietro fecero intendere a Francesco Maria Riccardi Massaro che non solo erano in determinazione di abbandonare li poderi da essi lavorati ma di stabilirsi nel paese e distribuirsi nelle case e familie per alimentarsi nel Castello e Borgo, lasciando li fondi respettivi colle bestie a discrezione di chi li avesse volute.
    Il Riccardi a vista chiamò Consilio e doppo lungo dibattimento fra li adunati, anco per ovviare ad una sollevazione plebea del paese, fu rissoluto riccorrere al Governo di Bologna. Quindi fu mandato Trajano Scasilioni e Nicola Rondoni a Bologna alli Assunti di Munizione onde provedessero al disordine, molto più che li villani si erano impossessati del Castello e cresceva ad ogni ora la turba, avendo lasciato a casa soltanto le persone imbelli. Presentata l’instanza, fu rissoluto che mandasse la Comunità a Bologna a prendere generi dalla Munizione. Fu tutto ciò eseguito ed avuto grano fu dispensato a respiro e tempo ai lavoratori da pagarsi colla sigurtà de padroni alla veniente raccolta, rissulta ciò dal Campione de Consulti comunitativi f. 105.
    Per questi accidenti, essendo sossopra il paese, fu sospesa la processione del X.to dell’oratorio del SS.mo. A queste miserie si aggiungeva ancora una nova turbolenza eccitata da Ranuccio Farnese Duca di Parma che, seguendo ancor esso le orme paterne di Odoardo di lui padre di non volere pagare alla S. Sede li dovuti decorsi ed essendo ammonito da Innocenzo X Papa, cominciò a fare scorrere nello Stato eclesiastico in modo che convenne al pontefice novamente armare.
    Sebbene si era in questi travagli universali non si raffreddarono punto li nostri paesani nella ideata fabbrica della capella del Rosario. Ricorsero quindi coll’arciprete al Vicario Gen. di Bologna per averne la licenza e come che questa non bastava, per doversi fabbricare in un suolo spettante a tutta la populazione per la sepoltura de paesani nel cemetero che doveva in parte occuparsi per tale fabbrica, fu necessario riportarne dalla pubblica rappresentanza l’assenso di occupare il suolo, affinchè tutto fosse fatto in regola.
    Pertanto si giunse alle Rogazioni di M. V. di Poggio, che incominciarono il lunedì giorno 10 di maggio. In queste Giovanni Filardi da Argenta falegname travagliando intorno ad un calesse finchè passava la processione della S. Imagine, nell’adoprare l’acetta, diede un colpo falso cosiché una scheggia di legno le balzò in mezo la fronte come se fosse stato un chiodo. Cadde tramortito, rinvenuto da poco conobbe il suo poco rispetto a M. V., se ne pentì e fece alla med. voto che se salvava la vita l’auria visitata la sua miracolosa imagine tre sabbati consecutivi a piedi scalzi a Poggio. Cominciò ad ungersi il capo coll’olio che le ardeva avvanti ed in breve fu cecatrizata la ferita e svanita ogni enfiagione fattasi al capo in modo che non vedeva lume e così compì poscia il suo voto.
    In questo mese fu determinato il prezzo nelle farine venali cioè: farina formentone q.ni 17 la libra, farina di fava q.ni 26 la libra, farina di segala q.ni 18 la libra, farina di miglio q.ni 16 la libra, formento pillato q.ni 30 la libra, il pane venale oncie 14 per quattro bajocchi.
    Premeva molto all’arciprete il sistemare l’interesse della nova Cappella del Rosario che però, avendo avuto il disegno fatto dall’architetto Martini colle offerte de muratori concorrenti alla costruzione dell’edificio, si portò dal Vicario Gen. assieme con Livio Accursi uno delli Assunti commissionali per averne la di lui approvazione e decreto e, come che mancava l’assenso della Comunità in iscritto per la occupazione di parte del cemetero, così il Vicario fece il suo decreto limitato per li atti di Paolo Monari nel dì 8 giugno colla precisione: dumodo Homines d. Nobis seu major pars illorum consentiat. Sia questo a notizia e regola de posteri per riconoscere la proprietà loro sopra il cemetero e non delli arcipreti venturi che in questo povero paese hanno sempre ricercato opprimere la populazione, soverchiarla e farsi padroni di ciò che non hanno se non il puro uso. Il decreto è il seguente cioè:
    Die 8 Juni 1649. Ill.mus et R.mus D. Dominicus Odofredus S. Pagine et F. U. D. collegiatus Protonot. Ap.licus Ecl.e Bononie, Canon. et Curie Archiep. Bonon. in spiritualibus et temporalibus Vicar. Gener.
    Audito admodo R. D. Alexandro de Comellis Archipresbit. Eclesia Plebis S. M. Cas. S. P.ri bononoens. Diecessis et magist. D. Livio de Accursis unoex assumptis inc.te fabbrice, etiam nomine alius D. D. Assumpt. de quibus in Vachetta SS. Rosari d. electionis apparet exponear ipsum et Homines d. Plebissunoperi cupere ad Honorem et Gloria Omnipotentis D.ni ac B. M. V. de Rosario fabbricare seu fabbricari facere una capellam en d. Eclesia et pro ea costruenda necesse esse occupare seu Capella p.ta extendere in Cemeterio eiusd. Ecl.e per duos Peritos et forsat. ultra, et propterea vestra et petem, cum id. tendat in Augmentum Cultus divini et in Honorem B. M. V. et d. Cemeterium sit sufficens et capax pro d. Cominitate, licet sup. ea parte construatur d. Capella intra Dissignum p.te Rome Domi…., ostans. Auditis presentis. ea on.ia et sucessiva viso d. Dissigno, et illo bene considerato, et cum id ..endat in honorem B. M. V., licentiam et facultatem juxta petita concessit et impartitus est, dumodo homines d. Plebis, seu major pars illorum consentiant, et (..)non obtantibus quibuscumque in contrarium facie.. et omni meliori modo.D. Odofredus V. G. (….) admod. Rev. D. Alexand. et mag.fo D. Licio et p.ta acceptans et gratiaz agentibus, ac etiam preventibus R. D. Andrea Bedinello (…) Bonie et D. Alexui de Breberinis cive et not. Bonon. Testibus. …ulus Monarius C. Archiep. Bon. Not et scriba de p.tis sui rogatus in quorum.
    In seguito di ciò la Comunità vi assentì formalmente e concorse alla funzione della collocazione delle prime pietre fondamentali che si eseguì nel dì 29 giugno anno presente, alla quale vi intervenero li seguenti sogetti cioè: l’arciprete pose la prima dalla parte di borea, dalla parte di levante vi pose la seconda Francesco Maria Riccardi Massaro della Comunità, nell’angolo a ponente ve ne pose un’altra Filippo Berettini Priore del Rosario, nell’angolo opposto ve ne pose un’altra Lorenzo Albruni Priore di S. Cattarina e nell’altro angolo ve ne pose un’altra Nicola Rondoni priore della Compagnia del SS,mo. Fatta questa funzione colli soliti riti di S. Chiesa fu cantato il Tedeum. Fu la fabbrica passata poscia al capo mastro muratore Bernardo Bellotti che costò la somma di l. 3939: 14, come ne rissulta alli atti del not. Peregrini, nel vescovato di Bologna ove fu controverso il pagamento. Erano Assunti frabbricieri Giovanni Jussi, Livio Accursi e Lorenzo Albruni. Depositari furono Cristoforo Olivieri e Francesco Maria Ricardi.
    Il dì primo lulio entrò Massaro Orazio Venturoli e Podestà fu Saulo di Fabbio Guidotti. Attese poi le scorrerie che faceva il Duca Ranuccio di Parma nello stato eclesiastico dalla parte di Lombardia, Ordinò il papa che si mettessero in ordine le truppe e si facessero novi oficiali, in Bologna perciò fu eletto il Conte Andrea Ghiselieri per capo. Arrolò egli fra li altri Raffaele Zachiroli di Castel S. Pietro col titolo di capitano quale si portò valorosamente colla sua compagnia. In appresso ritornò il Duca Savelli generale di S. Chiesa con esercito a danni del ducato di Castro e Roncilione spettanti al Farnese.
    Il Duca, adirato più che mai facendo soldati, rinovò con scorrerie le pedate del padre nelli stati del Papa, onde fu motivo che questi fortificasse vieppiù le frontiere verso Modena, le quali poi furono attaccate dal marchese Giacomo Bonfioli generale del Duca. Sentendo il papa queste nove e che le armi del duca volevano inoltrarsi verso Castro, passando per le provincie pontificie e per amore o per forza, cercò opporsi validamente, ciò non ostante, volendo nel mese di agosto li parmeggiani entrare nel bolognese dalle parti di S. Pier in Casale e luoghi vicini se le opposero li papalini e, venuti alle mani il giorno 11 dello stesso mese alla ora prima di notte, si batterono fino alle ore sette italiane fieramente.
    Né potendosi riconoscere in sei ore di battaglia per chi pendesse la vittoria, così si resto fino al giorno 13 scaramuzzandosi da una parte e dall’altra ma poi il generale Bonfioli novamente con un corpo di quattromilla cavalli presso S. Pier in Casale attaccati li papalini col maggior ardore bellicoso, restaro battuti li farnesiani dalli eclesiatici con perdita di tutto il loro bagaglio e molti prigioni che furono poi condotti a Bologna, ritornandosene il Duca con poco esercito a casa.
    Il Papa adirato per questi fatti fece distruggere Castro, che costò la distruzione venticinque milla scudi per levarsi la pietra dello scandalo. La sede episcopale di Castro fu trasferita ad Aquapendente, che in tale occasione fu dichiarata città e li poveri cittadini di Castro andarono chi qua chi là ad abitare.
    Fatta mediocre raccolta li 24 agosto fu posto il grano a l. 16 la corba.
    Li 29 ottobre Violante di Antonio Vandini e Giovanna di lei figlia entrambe si infirmarono, in uno stesso giorno furono munite di sagramenti e nel med. giorno morirono ancora in questo loco non senza sospetto di veleno perché entrambe erano belle e non volevano tresca.
    Il primo novembre, avendo ottenuta la condotta medica di questo Castello e Comune, il dott. Alessandro Sarti bolognese venne ad abitare quivi con massima aspettazione.
    Per li disagi patiti in quest’anno dalla fame vi fu molta mortalità che degenerò in una epidemia universale.
    Francesco Mondini, essendo malvisto nel paese a motivo della lite delle esenzioni perdute, addomandò la cittadinanza di Bologna la quale nel dì 3 novembre il Senato glie la concesse. (Arch. segret. Senat. Lib. 94 E N. 90).
    Nel primo genaro poi 1650, chiamato l’anno del Giubileo, entrò Massaro Nicolò Ronconi e Podestà fu per il primo semestre Paris Maria di Gabriele Graffi.
    Li 4 febraro nel colmo di Carnevale fu ucciso Antonio di messer Giacomo Fornasari di Castel S. Pietro in patria.
    Li 15 aprile. venerdì Santo, troviamo nelle carte parochiali che la Compagnia di S. Cattarina. ad onta delle amarezze coll’arciprete, fece in questo giorno la processione del suo X.to deposto dalla croce sopra la barra, levandosi tal processione dalla stessa parochiale e capella di d. compagnia, che ora serve da sagrestia grande, alla qual processione intervennero li agostiniani e cappuccini locali del paese, perché questi ultimi riconoscevano dalla Compagnia la loro prima esistenza e ricovero avuto da quella in qualità di ospizio, così fecero ancora sempre per l’avvanti.
    Il giorno primo maggio si incominciarono le missioni ordinate dal testamento Morelli a gesuiti di lui eredi. Capo delle Missioni fu il P. Giacomo Ortensi gesuita, uomo di considerazione nella sua relligione.
    Li 15 d. essendo cinque mesi che non era caduta pioggia e perciò li terreni adusti fortemente, quindi temendosi di nuova carestia, furono ordinate dall’arcivescovo processioni di penitenza. In ogni loco della diocesi si eseguirono. In Castel S. Pietro si eseguirono tostamente il giorno del venerdì seguente preventivo alle Rogazioni che il dì 20 maggio si fece una processione universale di ambi li cleri, e congregazione del SS.mo, col suo X.to. Li giorni poi 23, 24, 25 dello stesso maggio si fecero le Rogazioni di M. V. di Poggio ed il dì 26 cominciò una discreta pioggia non ostante la quale fu portata la sera doppo la S. Benedizione alla sua ressidenza a Poggio.
    Riferisce il P. Flaminio da Parma M.M. O.O. nella sua Notizie istoriche delli Conventi della Provincia di Bologna che, trovandosi presso che abbandonato nelli anni addietro questo convento di S. Francesco a motivo di non tenersi in esso il N. prefisso di relligiosi ed essendo in oggi stato accresciuto di abitazioni e comodi, divenne formale convento ove per la sua deliziosa situazione, per il vago prospetto de colli, l’amenità dell’aria, cominciarono a starvi dodici relligiosi e tutto ciò per opera dell’instancabile P. F. Lorenzo da Brisighella M.M. O.O. e guardiano del loco.
    Perché da campanari ed altre persone addette alle pievi e parochie si pretendeva la riscossione delle Primizie, delle quali se ne scrisse addietro l’anno 1645, furono perciò consolidate l’anno presente 1650 mediante bando dell’arcivescovo che ordinò portarsi da tutte le comunità, chiese e rettorati alli atti del not. Belliosi la nota onde formarne un cattasto come seguì. Sucessivamente il nostro arciprete Comelli andò alla Villa di S. Biagio di Poggio sotto questo Castello e formò ivi il Campione delle Primizie di quella parochia, ove si paga grano ed uva, di che ne abbiamo ne nostri documenti la copia tolta dall’originale.
    Terminato il primo semestre, entrò Massaro per il secondo Stefano Anessi e Podestà fu il sig. Duca Sforza del già sig. Duca Sora Boncompagni.
    Avendo sofferta una gravissima malaria il dott. Alessandro Sarti medico condotto, si rese per ciò vacante la Condotta, venne in conseguenza il dott. Paolo Seda in suo piede, mentre trovavasi una epidemia nel paese, ma per che il dott. Paolo Seda era Lettore pubblico di Bologna né poteva continuamente stare quivi per ciò il Consilio deputò tre Assunti, cioè Trajano Scasilioni, Lorenzo Albruni e Giovanni Bonetti a concordare il modo di conciliare la Lettura colla permanenza quivi ed il governo di Bologna si infrapose e si prestò alle premure delli inviati in questo modo cioè che potesse andare 40 volte a fare le sue lezioni in diverse volte e diverse settimane.
    Alla metà del successivo agosto fu pubblicato il Giubileo per l’indulgenza dell’anno santo.
    Li 26 settembre morì Sebastiano del cap. Anibale Bruni e fu sepolto in parochia.
    Abisognoso di riparo alla ruina che minacciava la corrente del Sillaro alla sponda del ponte verso ponente, ricorse la Comunità al Governo per la providenza al disordine che minacciava la via romana onde in appresso vi fu proveduto con saldo muro nell’anno veniente 1651 in cui, il giorno primo genaro, entrò Massaro Giacomo Fornasari e Podestà Matteo Giuseppe di Giovanni Buralti.
    La fossa del Castello che fino a questa epoca si era sempre conservata erbosa ed in governo della Comunità, il Senato di Bologna concesse a quella la facoltà di poterla assestare e coltivare per l’annua somma di scudi 25 e di prevalersi di questa somma per le spese straordinarie (Carrati T. 20 partit. Sen. fol. 62).
    Concesse pure il Senato al Marchese Girolamo Locatelli, che per la massima parte dell’anno soggiornava in questo loco, la facoltà di demolire il bastione che faceva angolo nella mura pubblica contro il di lui giardino e che li materiali servissero per la fabbrica del ristoro sudd. del ponte. Questo bastione era di figura ovale, se ne vede in tempo di verno ed anco di estate la circonferenza nel suolo ove mai l’erba rinasce e nel muro med. all’altezza di otto piedi nell’angolo vi si vede anco presentemente un pezzetto di cordone o sia colarino del med. bastione, fatto di mattoni cotti.
    Stabilito quivi il lettore pubblico Seda filio del fu Antonio Seda medico nel mese di genaro sposò Elisabetta di Paolo Matteucci di Castel S. Pietro. Seguirono altresì li sponsali fra Anna Maria filia del cap. Rafaele Zacchiroli ed Alessandro di Aurelio Comelli ambo familie originarie di questo loco ove contano tre secoli di patriotismo, come riscontrasi dal Lib Babtizat., Matrimon. e Mortuor. nell’archivio parochiale
    Terminato il convento e la Chiesa di S. Francesco de M.M. O.O. col porticato avvanti, non indolente il P. Lorenzo di Brisighella guardiano nel procurare che le lunette del portico fossero abellite secondo l’uso di questi tempi, quindi procurò che fossero dipinti di bona mano alquanti miracoli di S. Antonio da Padova, ritrovò li benefattori e furono queste familie: Marchesi Locatelli, Conte Malvasia, Farnè, Annessi, Andrini, Scassilioni, Zachiroli, Tomba. Matteucci ed altre. Il pittore fu lo spiritoso Giovanni Pietro Possenti bolognese che travagliò al gusto della scola veneziana come si vede. Fece anco dipingere internamente la loggia inferiore in alcune lunette altri simili miracoli a fresco che poi furono per ignoranza, di chi non conobbe la graziosità del penello, fatti coprire di bianco. Tanto nelli esterni quanto nelli interni vi era nome e cognome delli benefattori col suo stema respettivo, In alcuni luoghi si vedono le incisioni del contorno de stemi impressi nella parete.
    Adì primo lulio entrò Massaro Orazio Venturoli e Podestà il caval. Ciro Marescotti. Avevano li uomini della Compagnia di S. Cattarina incominciato un novo oratorio presso la loro chiesa volendo demolire il vechio senza che l’arciprete prestasse il suo assenso, dove che si era protestato volerli fare processare stante le nimicizie che fra esso e la compagnia vertevano onde li med. confratelli per evitare tutto ricorsero al Vicario che loro concesse la seguente licenza:
    Dominus Godofredus S. Pagine et J. V. D. colleg. Protonot. Ap.licus, Eclesie Bonon. Canonicus, Curie Archip.lis Bon. Vic. Gen. Concediamo Licenza al sig. priore ed uomini della Confrat. di S. Catt.a di Cas. S. P.ro doecesi di Bologna de demolire l’Oratorio vechio di D. Confraternita e seguitare la fabrica dell’Oratorio novo e finirla per servizio de Confratelli di D. Compagnia senza Incorso. Dat. Bonon. die 18 Juli 1651 D. V. G. L. +. S. Periteus Belliosus.
    Languivano le arti della seta, lana, merciaria e canapa nella città e contado di Bologna onde non prendendosi cura alcuna il Governo si vedevano tante familie mendicare e scioperate che si sarebbero potute impiegare e ciò a motivo dell’introduzione di generi forestieri e la estrazione delle nostrali, fu perciò data supplica al Senato ed ad ogni Senatore per averne una providenza. In essa supplica, che si legge stampata non solo nella Bologna Pelustrata del Masini sotto il Governo del card. Caraffa, ma anco in un opuscolo a parte li raccoglie, che l’arte della canapa era il mantenimento di questo nostro Castello come esprimasi al S. V. in questi termini:
    Quest’Arte era (parlasi della canapa) la manutenzione delle tre ben popolate Terre di Medicina, Budrio e Castel S. Pietro, che per non avere coltivato questo Lavoro, tante familie sono spatriate e spiantate, ma non per questo si vide alcuna providenza, perché il Senato alletato dal piacere che collava nella Cassa per li Dazi che pagavansi, pospose il bene universale all’interesse camerale.
    Nella classe terza N. XII delle Descrizioni di Bologna, Stampata in Roma in 4° ritroviamo la seguente inscizione attinente a questo nostro Castello esposta in S. M. Campitelli
    D. O. M.
    Octavianus Poggius
    Bononiensis
    Mortis memor sibi et
    Dominice a Castro S. Petri
    Uxori amantissime
    que obiit anno Salutis
    MDCLI
    Die octava septembris posuit
    Chi fosse questa Domenica da Castel S. Pietro come pure chi fosse questo Poggi non ci è riescito iscoprirlo a fronte di non poche diligenze. Egli è però credibile che non fosse né l’uno né l’altra di vulgar casato e di sostanze, oppure di dottrina poiché il mantenersi in una dominante di questa sorte e formare un deposito a parte, benchè nel suolo come scrive l’istoriografo cioè (..) Humi in S. Maria Campitelli è forza congetturare che fosse facoltoso il d. Poggi, supponiamo però noi che la d. Domenica fosse della familia Sampieri di Bologna ed il Poggi fosse delli Poggi padroni del Castelletto.
    Il novo card. legato Pietro Caraffa che per anco non era venuto alla sua ressidenza, venne a Bologna per la via di Loreto e Romagna, fu perciò incontrato a Castel S. Pietro dal marchese Tomaso Campeggi e Ferdinando Cospi ambi Senatori, colli soliti onori e quivi posteggiato in casa Locatelli.
    Fu in quest’anno grandissima carestia di sale nella città e contado perché non se ne poteva avere da Cervia, onde dalli 24 ottobre fino alli 10 novembre resto chiusa la Salara e dove si vendeva prima soldi 10 il quartirolo calcolato a lib. 10 si vendette fino a soldi 20. Il cardinale Savelli, Legato antecedente al card. Caraffa, partito dalla città fu accompagnato fino a Castel S. Pietro dal Conte Alberto Graffi ed Achille Volta Senatori e quivi congedato.
    Li 11 decembre il card. arcivescovo Nicolò Lodovisi con facoltà del pontefice rinonciò la chiesa episcopale a Girolamo Boncompagni de Duci di Sora pronipote di Gregorio XIII, era prelato e fu tostamente fatto arcivescovo di Bologna.
    Perché si occupavano da alcuni paesani terrapieni del Castello senza il dovuto assenso della Comunità la med. fece fare in quest’anno la pianta del med. Castello. mura pubbliche e strade a Camillo Sacenti pubblico perito di Bologna, acciò constasse a posteri ancora ciò che era di pubblica ragione. Copia di questa pianta esiste nell’archivio comunitativo estratta dall’originale nell’archivio pubblico di Bologna.
    Riparate le ruine che minacciavano la corrente del Silaro al ponte sopra la strada corriera dalle parti di ponente, si spesero lire trecento q.ni l. 300, le quali dovendosi rimborsare a chi le aveva spese, fu fatta instanza dalla Comunità al Senato per un comparto sopra li terreni del comune come pure fece instanza di un comparto simile di altre lire cento contro un riatamento fatto alla casa dell’officio del Podestà, il che si ottenne nel seguente genaro 1652 come rilevasi dal T. 20 Partit. del Carrati fol. 73. Nel principio del quale anno entrò Massaro per il primo semestre Giovanni Farnè e Podestà il Conte Agostino Marsigli.
    Essendo priore della Compagnia del SS.mo SS.to in quest’anno Gio. Andrea Manfredi, condotto dalla pietà, propose al corporale della sua compagnia che ogni sera di quaresima si recitasse li sette salmi penitenziali ed ogni venerdì di marzo si scoprisse il suo crocefisso e si facesse la Disciplina col recitare il Miserere, il che si ottenne e per lungo tempo si eseguì la Disciplina.
    Prosseguiva di quando in quando a farsi vedere nella massima oscurità della notte la Bestia di cui se ne diede addietro sentore, lungo il Silaro con spavento delle persone che accidentalmente loro accadeva vederla. Per la qual cosa volendosi pure iscoprire ove si intannava ed aveva la cova, si tenne da alcuni dietro la traccia del di lei andamento ove serpeggiava.
    Si riscontrò che piu’ oltre del Lazareto deli sepolti appestati presso il ponte del Silaro superiormente da ponente non si vedevano altri serpeggiamenti, orme o traccie di quella. Si ritrovarono altre notizie del terreno ed ossa disumate nello stesso Lazareto ed alcune volte entro il Castello. Temendosi pertanto di un disordine per non potersi penetrare precisamente la tana si usarono magiori diligenze cautelate.
    Finalmente fu inteso ed osservato che a certe notti fermavasi una civetta sopra li tetti del palazzo Locatelli attorno il loro giardino e che prima di terminare il canto consueto, sciamazzava fortemente con strepito spaventoso onde, postevi ascolto e veglie, finalmente si scoperse che il nascondiglio di questo mostro esisteva poco lungi al sito ove fermavasi la civetta che, abborendo quel mostro, strepitava fortemente quando lo vedeva.
    Si entrò per ciò pertanto in sospetto che si nascondesse entro le infime bombardiere del demolito bastione nell’angolo del giardino delli stessi Locatelli e difatti se ne avverò il dubbio mentre riconosciuto il serpeggiamento sul vicino suolo posteriormente al palazzo di quelli.
    Si mise il pensiero il Marchese Gianfrancesco di fare escavare quanto mai si potesse sino ai fondamenti l’interno del demolito bastione. Si accinse all’opera facendovi travagliare molte persone. Poco profondossi che ritrovato l’andamento della tana, si presentò questa bestia alla sortita onde si diedero a precipitosa fuga li operari.
    Pensarono al remedio di averla in qualche modo e per ciò ricorsero al foco ponendovi alla bocca della tana materia combustibile ed atta a far fumo col lasciarvi al d’intorno una sciepe di foco. Fu accesa la materia, fu affumicata la tana e convenne al mostro presentarsi alla sortita dove venuto sbuffando ed urlando le furono sparate atchibugiate senza che essa si arendesse, ma il Marchese Gianfrancesco Locatelli facendosi a fianco della bombardiera le diede alquanti colpo di spiedo per modo che restò scannata. L’impegno fu grande e maravigliosamente fu eseguito.
    Tratto fori dalla tana se la fece riportare entro il suo giardino. La testa era a guisa di lucerta, la dentatura porcina, la corteccia giall’oro, la metà del corpo era cristato dalla parte della coda, la grossezza era come un corpo di mastino, la lunghezza di piedi otto circa, le zampe come leonine, brevi come quelle di testudine e faceva spavento il rimmirarla ancor morta.
    Ad un tal fatto vennero molti forestieri a rimirare quella bestia la quale fatta sventrare la fece il Marchese imbalsamare e dappoi riempita di capechio la ripose nella sua armeria per trofeo del di lui corraggioso valore, partecipava della natura non di corcodillo ma piuttosto di lucertolone.
    Matteo Mondini, che fu segretario del Senato su questo fatto vi fece un epigrama latino che a suo loco trascriveremo quando fu appesa alla volta della sala inferiore di questo palazzo Locatelli.
    Li 25 aprile venne a Bologna mons. Girolamo Boncompagni per arcivescovo, fu incontrato in Castel S. Pietro a nome del Senato Berlingiero Graffi e Filippo Carlo Medici. Fra non molto vennero doppo le Rogazioni di maggio le missioni del P.re Pietro Malaspina gesuita in esecuzione del testamento Morelli.
    Il giorno primo lulio entrò Massaro Pietro Andrini. Il Podestà fu cesare Bianchini.
    Il card. Caraffa che gloriosamente sosteneva questa legazione, non conferendole l’aria bolognese per cui stava di continuo in letto, a consilio de medici, rinonciò al ministero in mano del Papa e li 10 ottobre partì per Roma accompagnato fino a Castel S. Pietro dalli Senatori Alessio Orsi e Giovanni Lupari. Li 14 dello stesso mese venne il novo Legato Gio. Girolamo Lumellini genovese, che fu incontrato a confini di questo nostro Castello e poi in esso introdotto nel palazzo Malvasia dalli Senatori Conte Carlo Francesco Caprara e Marc’Antonio Gozadini.
    Prima di terminare l’anno, il 22 decembre si vide una stella cometa che aveva la coda presso il carro celeste e rivoltava al greco levante, che collo splendore illuminava la terra, durò a vedersi per quindici giorni.
    All’entrare del novo anno 1653 prese il possesso di Massaro Paolo Matteucci e così fece il novo Podestà Conte Filippo del Conte Prospero Bentivogli.
    Fabbrizio Cavazza, priore novo della Compagnia del SS.mo, vedendo che profittava molto nella sua compagnia la pietà per la recita de sette salmi e si accresceva il culto di Dio, fece in modo che il corporale confirmasse per decreto il prosseguimento di questa divozione.
    Il 18 maggio furono uccisi messer Alessandro e messer Pietro Comelli, motivo per cui spatriò il resto della familia e ritirossi alla Poretta d’onde ne è poi venuto il chiaro sig. Francesco Comelli ingeniere del pubblico di Bologna nell’epoca del 1770, conforme esso ci ha certificato con documenti che lungo sarìa scriverne la genealogia.
    Li 21 giugno li uomini abitanti nella Villa di S. Biagio di Poggio sotto Castel S. Pietro, pretendendo novamente smembrarsi da questa Comunità e governarsi da soli, fecero affissare alla ressidenza comunitativa di Castel S. Pietro una intimazione giudiciale diretta alla med. per gli atti Castellani not. di Governo avvanti al gonfaloniere Paleotti colla quale intendevano separarsi da Castel S. Pietro, farsi un Massaro che però veniva prescritto il termine di otto giorni a questa Comunità a rispondere alla petizione e niuno comparendo a contradire si saria proceduto giusta la intimazione.
    Comparve la Comunità avvanti il Confaloniere mediante Francesco Maria Ricardi e Camillo Felina not. e procuratore di essa e chiesta copia delle pretese averse per rispondervi, furono tostamente comunicate.
    Li articoli erano li seguenti:
    1°- Che intendevano li poggesi sottrasi da Castel S. Pietro perché dalla Comunità di Castel S. Pietro alla loro Villa vi era una distanza di quattro miglia.
    2° Che non volevano concorrere al salario del medico per non sentirne utile alcuno dovendolo pagare quando lo levano dal Castello e per essi loro è più comoda Medicina.
    3°- Similmente il maestro di scuola per la distanza de loro filioli.
    4°- Non intendono pagare il campanaro ed orologiero di Castel S. Pietro per che a loro nulla serve.
    5°- Non intendono concorrere alla spesa del cereo pascale avendolo nella loro chiesa di Poggio.
    6°- Che la paga del chirurgo e ministrale non intendono pagarla non essendo mai stata allibrata.
    7°. Che il comune di Castel S. Pietro era tanto grande che il Massaro di d. Castello non puole attendere a tutto, facendone prova la ruina di tutti li ponti nella Villa di Poggio.
    8°- Che le Cavalcate che si fanno in Castel S. Pietro per furti ed omicidi vengono per la medesima gravati li uomini di Poggio.
    In termine della quale intimazione il procuratore Felina comparve ed instette che essendo la Comunità di Castel S. Pietro in possesso di questo si pretendeva abolire dalli avversari, si dovesse mantenere. Andò il decreto manuteneri. Doppo queste vane pretese ne insorsero altre le quali furono rigettate, cosichè non seguì alcuna novazione.
    Il giorno primo lulio investì la carica di Massaro Stefano Anessi e quella di Podestà il Conte Alberto Graffi.
    Sicome li notari giusdicenti sostituiti venivano ad abitare pro tempore in loco del nobile estratto ed avevano benespesso a dire colla comunità per il godimento di due stanze a piano terreno contigue all’orto della Comunità, per levare tali dissapori essendo varie le opinioni de comunisti, Stefano Annessi Massaro fece proporre il partito che si dovessero concedere tali stanze al notaro giusdicente o no, oppure la sola ressidenza dell’officio. Ne sortì la rissoluzione negativa per partito legitimo, il quale fu notato come decreto a rogito di Giovanni Musi notaro officiale sotto il primo di agosto, cosichè la sola ressidenza dovesse darsi al medesimo.
    Infiamatosi mortalmente il Conte Antonio del Conte Giuseppe Malvasia in questo suo palazzo, finì li suoi giorni il dì 28 novembre e fu con pompa sepolto nella sua capella in S. Francesco.
    La epidemia ne bovini già incominciata ne mesi addietro prosseguendo a far strage, furono chiuse per ciò alcune stalle alla pianura nel quartiere del Gaggio in questo nostro comune e vi perirono bestie, le stalle della collina furono salvate e poche morirono. Terminata la sua podestaria il cavalier Graffi fece apporre in questa ressidenza la seguente inscrizione a capo dell’anno.
    Ill.mus D. Albertus Graffus
    Senator Bon. Pret. Pro
    Sec. Semes. 1653
    Sotto il goveno di questo rispettabil cavaliere fu fatta la pianta del nostro Castello per l’architetto Camillo Sacenti come in archivio. Nel primo genaro poi 1654 entrò Podestà il Conte Uguzzone Pepoli e suo notaro giudicente fu Taddeo Tacconi. Massaro fu Francesco Fiegna.
    Essendo priore delle agostiniani in questo convento di S. Bartolomeo il P. Ottavio Baroni originario del paese, fece accomodare l’altare della Centura in cornu epistole tutto di scoltura colla nichia interna nella parete per apporvi poscia la statua di M. V. e infratanto lasciovvi la pittura rappresentante la med. che fu poi levata, riportata nella sagrestia, la quale tuttora si vede.
    All’opposto li Marchesi Locatelli fecero ancor essi scolturare in cornu evangeli l’altare di S. Tomaso da Villanova col quadro dipinto dal Genari discepolo del Guercino da Cento. Li med. Marchesi, fatto dipingere su la volta della prima sala del loro palazzo a terreno il ritratto del Marchese Gian Franco colla spada e civetta a piedi in memoria dell’uccisione del mostro e fiera uccisa che abbiamo narrato, vi fecero appendere in alto sotto li piedi l’imbalsamata o, per dir meglio, imbotita corteccia e spoglia di quello smisurato animale, il quale veniva sostenuto da una catena grande di ferro, che rivolto colla testa verso l’ingresso faceva spavento a chi non sapeva se morta o viva fosse la smisurata spoglia.
    Poi fra li due fenestroni vi fecero fare una scoltura nella parete interna, indicante laconicamente il fatto della med. bestia che, per il passaggio delle truppe alemanne nel 1735 come nemiche, fu cancellata la inscrizione, la quale trovandosi fra li scrittti Vanti la copiassimo, con altra descrizione fattasi a quel tempo da Matteo Mondini. In oggi solo si vede l’incastro ed ornato della inscrizione che fu fatta dal marchese Sebastiano Locatelli la quale è dell’addecontro tenore.
    Jo. Francisco Locatello
    in fornice huius aule depicto
    qui profligatus Lacerta Crocodillina
    inter rudere propugnaculi
    super publicis meniis
    Cas. S. P.ri
    Juxta viridiarium Locatellor
    Noctia indicante
    anno 1653
    Sebastianus Locatellus Marchio
    Posteritati are Monumen. inscripsit

La descrizione poi di Matteo Mondini in versi elegiaci è la seguente:
Claudite terrigene, placidas modo spedite noctes
Cyntia seu positis, seu adit alta, Rotis
illa jera in nostris que instabat salibus hostis,
Procubuit valida dexteritate Viri.
Cernite que vivax fulgat vir magnus in armis
fornice, quem pictrix protulit arte manus
Dertura habet gladium, tantum vacat altera peltis
nec tegot auricornas Callide ahena cornas
insidet a leva caste sibi palladeis ales
Nuntia noctivage, que fuit ipsa fera
cernita, ut hac jugalo confixa Cuspide in aula
illius exuvies penduat ante pedes.
Quid domitum telo jactet Pytona tremendo
Phebus at excelso spicula jacta polo?
Quidve Gygantei certet nunc gloria Martis
sollicitas vires? herculeusque labor ?
Die, age, pendentem qui cernis in Ede Triunphum
sit labor an major, major an adfit honor?
Era costume delli antichi appendere simili spoglie di crocodilli nelle chiese ove per lo più nelle sepolture si ritrovavano, come si è veduto anco in Bologna nella chiesa di S. Giovanni in Monte ove ritrovato un crocodillo in una sepoltura ed ucciso stette lungamente appeso nella volta alla vista di tutti nella navata destra della chiesa. A questo proposito Paolo Maccio ne suoi emblemi, come riferisce il Picinelli nel suo Mondo Simbolico sotto l’articolo: Lucerta, narra essere stato sempre costume antico, dice egli, di appendere alto ne tempi onde scrisse il seguente epigrama:
Suspendi tenaglis ferlur, corcodillus in altis
arceat ut visu noxia montra sua
sic terrore malos est consuetudo malorum
moribus improbitas sic inimica malis
L’invenzione di questo mostro in Castel S. Pietro nel divisato demolito bastione fra li sfaccimenti interni del med., furono un forte motivo alli sud Locatelli di fare vuotare l’altro baloardo nell’angolo superiore del Castello a levante per iscoprire se internamente vi erano altri simili bestie oppure le ova, ma nulla ritrovandovi vi edificarono poscia la rotonda torre che ora si vede detta volgarmente il Torregiotto, la quale fu terminata nel 1658, come da memoria segnata nella calce che lo intonaca esteriormente verso mattina dalli muratori che lo edificarono che a suo loco riportarono.
Nel seguente maggio a norma delle disposizioni Morelli, si fecero le Missioni de P.P. gesuiti in Castel S. Pietro, capo delle med. fu il P. Tarquinio Galuzzi gesuita.
Li 25 giugno monsig. Girolamo Boncompagni arcivescovo di Bologna fece la sua prima visita pastorale a Castel S. Pietro indi il Crisma alla populazione. Volle la numerazione delle anime di questa arcipretale che ascese al N. di 2300 ma solamente 1200 abili alla S. Comunione. Nel primo articolo della med. si riscontra la rendita di questa arcipretale essere di lire due milla. eccone la precisione: Visitata fuit Eclesia parochialis et archipresbiteralis S. Marie de Castro S. P.ri cuius modernus Archipresbiter est admod. R. D.. Alexander Comellus, reditus l. 2 milla una cum pensione forre R. D. D Caroli Santarelli scutor 150.
Annovera il Visitatore susseguentemente tutti li altari a quali vi era quasi in tutti un qualche beneficio lajcale, onde se ne riporta quivi l’elenco de più principali e sono:
Altare S. Lucia R.R. P.P. Societatis Jesu, est H. H. illorum de Morellis eam oneribus deorum Missar in qualibet hebdomanda, unius aniversari in die obitua de D. Jo. de Morellis, Dies fastus S. Lucie, S. Egnati et S. Xaveri.
Poi passa alla Capella del Rosario ed annota essere stata edificata colle elemosine di più fedeli e la erezione della Compagnia.
Altare B. M. V. de Rosario in quo est erecta Societas, cuius sumptibus et piorum elemosines de novo sacellum est contruendum. Altare S. Stephani olim D. D. de Sergis modo illorum de Calderinis ut digit, adest beneficium cujus rector est D. Paulos Emilius Martininus, annui reditus l. 26 ex Rog. Pauli Monati.
In questo altare avvi il martirio di S. Vincenzo ed è, come si disse de Gargiolari. All’altare della Madonna del Bongesù, che fu poi detto anco di S. Biagio, eravi a tempi andati la Compagnia del Bon Gesù la quale fu unita a quella del SS.mo, eravi il suo benficio ed era l’altare XIII.
Altare S. Blasi et S. Marie societate SS. Nomine dei, cuius rector erat R. D. Hercules Chechinus Rome, defunctus, nec de sicessione adhuc apparet, redditus annui scutr. l. 10. Sed R. D. Archipresbiter qui onus habet hujusmpdi solutionis vigore Unionis quorumdam stabilium cum aliis ad eclesiam archipresbiteralem spectat.
Doppo fatta tale visita passò all’oratorio della Compagnia del SS.mo di questa prescrive la rendita di lire 200 e fa la agregazione ed unione della med. all’Arciconfraternita del Baracano di Bologna.
Visitata fuit Oratorium unum cum Societate SS.mi SS.ti, Confraternitati S. Marie de Baracano unite, reditus annui sunt l. 200 cum oneribus.
Passò poi al Borgo e visitò la chiesa della B. V. Annunziata e di essa ne segnò la presente annotazione dalla quale si rileva che veniva custodita da un sacerdote del Borgo detto anco Rettore o Custode.
Visitata fuit Eclesia simplex et sub titulo Annuntiationis B. M. V.cujus altimus rector erat D. Franciscus de Georgis defunctus et modo. Ed avevano ben ragione li borghesani di farla custodite da un sacerdote abitante nel Borgo, stante che fu costruita, come si disse, da questa populazione in altre visite pastorali, onde il sud. Giorgi era assunto da quelli abitanti che stava in faccia alla med. chiesa. Di qui passò fuori del Borgo et andò al ponte sopra il Silaro all’Oratorio de SS. Giacomo e Filippo il quale da poiché vi era stata la pestilenza non si era più visitato.
Visitatu fuit Oratorio S. Jacobi et Philippi noncupat: Del Ponte, tempore contaGio. clausum, modo apertum et dicunt spactare ad illos de Mondinis et in eo fit sacrum die festo S. Tutelaris et tunc per modum Provisionis de necessariis providet.
Eravi poi fuori del Castello nostro una picola chiesa detta de Manzi dedicata a M. V., la quale per essere trascurata, resa inabile alla celebrazione ordinò la demolizione, di essa ne abbiamo nelli anni addietro già avuta parola. Oratorium B. M. V. de Manzis extra Castrum declaravit suspensum a celebratione missarum et mandavit aut decentius custodiri aut omnino demoliri. Tanto fu eseguito.
Nello stesso Libro di Visita ritroviamo che nel Borgo vi era un altro oratorio dedicato a M. V. ma non sappiamo il titolo, nel quale concorrendovi li paesani ad orare facevano non poche offerte, le quali erogandosi da borghesani nella celebrazione delle messe, tenevano ancora presso loro le elemosine e offerte, onde per ovviare a qualche disordine fece il seguente decreto. Aliud Oratorium sub titulo ejusdem B. M. V. in Burgo ejusd. Castri positus sub cura quorumcunque Hominem mandavit elemosinas pro celebratione missarum et oblationes factas a piis personis in libro ad hoc deputato pones R. D. Archipresbiterum osservando scribi.
Il dì primo lulio poi entrò Massaro Lorenzo Albruni e Podestà Andrea Pasi.
Nel dì primo agosto morì il dott. Paolo Seda medico condotto e fu sepolto con onore in parochia.
Li P.P. agostiniani di S. Bartolomeo, avendo fatta fare una statua di M. V. della Centura in Bologna per solennizare la di lei gloria essendo priore in questo anno il P. Pietro Ottavio Ravoni di Castel S. Pietro nel convento, tanto adempì e collocò la nova Imagine la prima domenica di settembre che fu il giorno 8 del mese nella nova nichia, più addietro non ritroviamo memoria di questa funzione e festa. In seguito procurò formare una unione di devoti che col tratto del tempo divene una compagnia larga sotto il titolo della Centura come a suo loco diremo. La festa poi fu determinata farsi la prima domenica dell’Avvento di ogni anno in avvenire nella stessa chiesa di S. Bartolomeo.
Li 11 ottobre morì D. Alessandro qd. Flaminio Comelli cugino dell’arciprete e fu sepolto in parochia. Morì in quest’anno ancora il P. Leone cappuccino vicario di questo convento, quale benchè fosse cugino ex fratre di mons. Girolamo Bertuzzi di questo Castello non ostante veniva chiamato da Bologna.
Terminato il bell’oratorio della Compagnia di S. Cattarina a canto della sua chiesa sul dissegno dell’architetto publico Pietro Martini vi si cominciò ad officiare entrovi al med. e per che aveva li sedili e genuflessori antichi e di cattiva semetria, decretò la compagnia farne de novi di noce. Fu concordato con Domenico Gobi bolognese il lavoro su bon dissegno e fu convenuta la spesa di l. 2700 da pagarsi in più rate e cioè lire 300 l’anno, come risulta da ins.to rogato il not. ser Tadeo Taconi li 11 decembre di quest’anno. Riescì bellissima la manifattura della quale, abolita la compagnia, non vi è rimasto in paese che il puro postergale dell’arcibanco delli officiali che si vede nella sagristia grande della parochia confitto in muro, tutto di noce colli SS. dipinti in tela di S. Cattarina V. M. e di S. Sebastiano martire.
Essendosi estinta la familia de Santoni in Girolamo Santoni, furono chiamati da Sante Santoni alla eredità li frati di S. Bartolomeo nel suo testamento rogato l’anno 1645 per Paolo Dal Bello notaro e ne presero il possesso legale per li atti di Camillo Fellino.
Il dì primo genaro 1655 entrò Massaro Trajano Scasilioni e Podestà fu Filippo del Conte Alessandro Bentivoglio.
Li 6 d. morì Innocenzo X.
L’edificio cominciato intorno alla fonte della Fegatella nelli anni addietro da Giacomo Galvani muratore, fu terminato a spese della Comunità, come rilevasi dal Lib. Manutetor. Archiv. Comunit.
Vacatala S. Sede per due mesi, fu creato Papa in aprile il card. Fabbio Ghigi senese col nome di Alessandro VII.
Trovavasi la mura pubblica del Castello sgrotata dalla parte di levante presso l’orto de zoccolanti, fu ristorata a spese communali.
Lì 27 marzo, venerdì Santo, capitò per accidente di passaggio Salomone ebreo di Lugo e fermatosi nel Borgo alla taverna della Corona fu riconosciuto da Tomaso Filetti corsico che abitava di guardia in questo loco onde, avendo il segnale nel capello che usano li ebrei, alcuni ragazzi che se ne accorsero cominciarono a batterlo e farle fischiate rumoreggiandole dietro colli instrumenti che si usano in questi giorni per battere li mattutini. La guardia corsica mossa a compassione dell’ebreo insultato con contumelie, levò di mano ad un ragazzo la verga e cominciò a dissipare l’ammutinamento. Allontanati li ragazzi per poco, replicarono le fischiate ed indi con pomi ed anco sassi cominciarono ad offendere l’ebreo, così che al med. fu duopo ripararvi con nervi e verghe, tantochè l’ebreo si nascondesse nella osteria. Stette tutto il tempo nella med. finchè si facessero le funzioni nelle chiese, lusingandosi in tale frattempo, in cui fossero ivi occupati li ragazzi, di potersene andare.
Venuto intanto il tempo della solita processione del X.to deposto sul cattaletto che si faceva dalla Compagnia di S. Cattarina col clero, nel tempo che questa facevasi entro il Castello credette l’ebreo sicuramente fuggire da ragazzi, ma si ingannò poiché essendo veduto fu novamente assalito gridando dietro: Dalli, dalli, ed al rumore crescendo la turba, convenne al med. gettarli danaro e fuggirsene verso Imola nel mentre che si perdevano dietro a raccorre il danaro.
Li 13 maggio giorno di lunedì primo delle Rogazioni di M. V., portandosi la S. Imagine di Poggio processionalmente entro il Castello, avvenne che alcuni contrabandieri di Casalfiumanese avendo portato al mercato farine di grano per venderle alla minuta ed all’ingrosso, accidentalmente ne fu rovesciato uno dal popolo affollato che se ne partiva per dar loco alla processione. Fu tale l’ira del padrone della farina che, dato mano all’archibugio che teneva poggiato a sachi, cominciò a farsi largo contro chi passava, ma sdegnati alcuni offesi presero di mano al contrabandiere l’arma e glie la levaro, diede egli tosto mano alla pistolla e ne scaricò una contro chi aveva l’archibugio ma andò in fallo l’archibugiata e fu grazia di Maria. Il contrabandiere era della familia Alvisi ed il villano de Naldi di Varignana.
Trovavasi in questo tempo il ponte di pietra sopra il canale che scorre a Medicina ruinato in tal modo che niuno poteva transitarlo. Li medicinesi facevano alto perché la Comunità di Castel S. Pietro l’accomodasse. Fu portata la causa avvanti il card. Lomellino Legato per li atti di Camillo Felina e fu decretato che la spesa toccasse a medicinesi ed alli aventi il comodo dell’aqua che vi sottopassava.
Il dì primo lulio entrò Massaro Stefano Annessi e Podestà Carlo Emanuele di Luigi Visani.
Li 8 ottobre fu ucciso in questo loco messer Alessandro Morandi di S. Agata e la cavalcata si fece solo in decembre.
Nella fontana della Fegatella essendovi sopra l’uscio una finestra senza ferrata entravano per essa li ragazzi ed altre persone e vi facevano lordure onde la Comunità li 14 ottobre la fece premunire di ferrata.
Non essendo stati bastati li lavori fatti al ponte sopra il Silaro ed essendosi spaccato il muro difensivo la strada verso ponente, conviene farvi altra spesa che amontò a l. 360 le quali furono poste in comparto alle comunità che ne sentivano il comodo, il decreto fu segnato li 26 agosto dal Senato come al Lib. Partit. T. 20 del carati fol. 116.
Entro quest’anno seguì il matrimonio fra Domenico qd. Francesco Bartolucci e Ginevra di Nicola Nicoli da quali ne venne poi il chiaro dott. Francesco.
Perché il N. de consiglieri non era completo, onde fu necessario completarlo e furono li seguenti: 1- Andrea Ulivieri in loco di Sante Simbeni, 2- Francesco Fuzzi in loco di Innocenzo Fabbri, 3- Fabbrizio Cavazza in loco di Gabriele Cuzzani, 4- Carlo Rondoni in loco di Gabriele Cuzzani, 5- Sante Alberici in loco di Francesco Prati, 6 – Gio. Andrea Tomba in loco di Francesco M. Riccardi, 7 – Giacinto Simbeni in loco di Vincenzo Mondini, 8 – Carlo M. Comelli in loco di Angiolo Marchese Comelli. E perché non furono presentati ed esposti al Senato, per ciò non furono dichiarati uomini del Consilio.
Il giorno primo genaro poi entrò Massaro Paolo Matteucci e Podestà Conte Camillo del Conte Girolamo Ranuzzi Manzoli per il primo semestre 1656.
Avute notizie dalla parte di Roma che l’epidemia ne corpi umani faceva in quelle parti progressi il Governo di Bologna non fu tardo prendere le necessarie providenze, si profumavano per ciò lettere che arrivavano, indi fu dichiarato Pressidente di Castel S. Pietro il castellano Pellizzoni ed andò a far guardia ai passi e confini, oltre il med. vi si stabilirono quivi soldati corsici in guardia, capo de quali 20 uomini era certo Luca Andrea, come si ha dalle carte dell’archivio di Comunità.
E perché si poteva entrare in Castello e sortir fuori liberamente senza prevalersi della porta perché vi erano buchi ed aperture nella mura, fu tosto ordinato, per riparare ai disordini, che venissero turati il che seguì tostamente e furono anco posti li rastelli alle porte de frati di S. Francesco ed alle altre porte del Castello per assicurare la sanità. Tutto ciò si fece d’ordine del Senatore Marchese Magnani, si spesero l. 400.
Li Corsi guardavano non solo il Castello per diffesa dalla pestilenza ma anco da malviventi che si erano qua e là ammutinati e comettevano del male. Pattugliavasi perciò da corsici anco fuori del Castello d’ordine del capo Notaro del Torrone che era venuto in Castello dove poi aveva lasciato un notaro.
Avuta notizia che si erano alquanti contumaci e scapestrati nel bosco vicino di Maleto dietro il Silaro inboscati, li abblocarono li corsi e riescito alli med. averne uno de più arditi, che fu Gio. Battista di Castel S. Pietro, lo assicurarono in queste carceri del Podestà ma perché non erano ben forti, riescì al Fiegna fuggirsene da essa e beffare li corsici, per la qual cosa furono tostamente accomodate dalla Comunità, come rilevasi al Lib1 Diversor. fol. 19.
Fu contemporaneamente fatto nel Borgo dalla porta di levante un casotto di asse per comodo del profumiere Ercole Mezetti destinato da Bologna.
Essendosi rotta la campana mezana della Comunità nel campanile presso di cod. arcipretale di ragione pubblica sinora, fu fatta riffondere a spese della Comunità. Il funditore fu Domenico Dinarelli bolognese, pesò libre 925.
Perché cresceva il timore della epidemia si fece murare la porta superiore del Castello che porta a cappuccini dal muratore Francesco Ballotti che fece altre fabbriche in questo loco.
Oltre la epidemia cresceva ancora la penuria de viveri vendendosi il grano 26 paoli la corba e più. Si facevano perciò orazioni da pertutto per placare Iddio castigatore. Le memorie M.M. S.S. di D. Francesco Fiegna che abbiamo fra le altre del paese portano che di questo anno in maggio si fece il Capitolo provinciale in questo convento di S. Bartolomeo delli agostiniani ma noi crediamo che fosse piuttosto una Congregazione poiché le memorie di Rosa riferiscono che il Capitolo si facesse nel Convento di S. Giovanni evangelista a Rimini e tanto la prima memoria che la seconda non ci annunziano il sogetto.
Il card. legato di Bologna per incutere timore a malviventi e fuorusciti di questo paese mandò quivi l’ultimo giorno di giugno di notte tempo il Mastro di Giustizia di Bologna.
Nel giorno primo lulio fece piantare le forche tanto nella piazza del Castello che fuori al Borgo nella via coriera per cui la comunità spese l.15, come si riscontra dal Lib. Mandat. Comunit.. Nel med. giorno prese il posseso di Massaro Francesco Fiegna cugino del sud. D. Francesco. Podestà fu Marc’Antonio Gozadini.
Stante le nove di Roma che in Napoli morivano giornalmente delle 3 milla persone e che il papa non dava più udienza ed erano chiusi li tribunali, si fece nel dì 10 lulio accomodare novamente la mura del Castello dalla parte che guarda li cappuccini, furono accresciute le guardie in questo loco al N. di 30 corsi che venivano commandati dal notaro comissario del Torrone Ercole Mezetti che quivi domiciliava. Li med. corsi come che erano militari avevano sotto il loro governo li loro birri, li quali per fermare la gente e legarli erano regolati dal caporale corso Gregorio Castellani, tutto ciò lo riscontriamo dalle memorie nell’archivio della Comunità, come pure la partenza del Mastro di Giustizia doppo la dimora in questo loco di dieci giorni. Il quartiere de corsi era nella casa de Fabbri in faccia alla piazza dove è il grandioso portico della med. familia.
Compiuta la fabbrica del torreggiotto Locatelli nell’angolo superiore del Castello sopra il baloardo, fu al d’intorno stabilito ed imbiancato coll’apporvi una numerosa quantità di colombi. La manifattura fu di Francesco Ballotti capo mastro muratore, se ne legge la memoria sopra il primo cordone di pietra cotta incisa nella calcina dalla parte che guarda il levante esternamente in questa forma come ognuno dal fragmento si può certificare
1656
Adì VII Lulio F. Balloti F.
Li 13 agosto si pubblicò un Giubileo per un mese continuo atteso il contagio che si estendeva ne stati pontifici e la scarsa raccolta.
Li 25 settembre li corsici presero messer Giulio Rivani e fu tostamente condotto a Bologna a pagarne il fio. Li 10 ottobre fu ucciso da fuorusciti un filio a Michele Fucci, familia che conta la sua origine in Castel S. Pietro fino dalla sua fondazione e che diede soggetti luminosi al mondo come abbiamo narrato di Dottori e Prelati. Non andò molto che fu ucciso un altro filio da un majale che lo sbranò vivo senza potersi diffendere e restò per ciò estinta questa familia nel dì 15 ottobre ( Lib. Mort. Paroch.).
Li 22 di questo stesso mese venendo fuori di strada maggiore il marchese Camillo Pepoli per venire alla campagna in queste vicinanze di Castel S. Pietro al suo palazzo sopra la Gajana ora detto Cocapane, essendo accompagnato da molti barvi e scortata la sua carozza da med., quando fu arrivato alla Gabellina fori di strada Maggiore fu fermato dal Bargello con altri sbirri forestieri. Fece egli alto ed andarono sette archibugiate onde restò morto il Bargello con altri due sbirri dalli siccari del Pepoli, li altri sbirri cio vedendo fuggirono. Il capo delli sicari e bravi del Pepoli era Camillo Pizzati di Castel S. Pietro e due de Tesei che le memorie del paese non ci manifestano il loro nome e così gloriosamente fu liberato il cavaliere.
Perché nell’edificio della fontana della Fegatella, che era pure in mano della Comunità si erano fatte alcune breccie e vi si nascondevano entro tallora malviventi, così il comissario Mezetti ordinò alla Comunità che fossero turate, come seguì prontamente(Lib. 1 Divers.)
Li 31 ottobre passarono 30 corsici provenienti da Bologna per ordine del Legato diretti ad Imola tutti a cavallo li quali, dopo avere pernotato alquanti giorni quivi, partirono. Era loro capo Luca delli Andrea.
Li 6 decembre morì Vincenzo Maria filio del fu dott. Paolo Seda già medico condotto e che aveva radicato in questo loco la sua familia.
Non cessavano li dazieri di Bologna perturbare la Comunità nelle sue esenzioni e però la med. fece non poche instanze alli atti di Camillo Felina per essere mantenute nel suo possesso.
L’anno poi 1657 entrò Massaro Stefano Annessi per il primo semestre e Podestà il dott. Carlo Luigi Scappi, suo notaro fu Silvestro Bernardino Ferrari.
La pestilenza che credevasi svanita cominciò novamentea farsi sentire, perciò fu confirmato per comissario in Castel S. Pietro con soldati corsici il cap. Gregorio Castellani.
D. Alessandro Gottardi di Castel S. Pietro, prete della congregazione de Filippini della Madonna di Galliera di Bologna, volendo contestare il suo affetto alla Compagnia di S. Cattarina di sua patria di cui ne era confratello assegnò alla med. nel dì 12 genaro una di lui casa posta in d. Castello, a rogito di Lorenzo Beltramini, coll’obbligo ingiuntole di farle celebrare perpetuamente un officio di requie nella di lei chiesa oppure nella capella della med. esistente nella chiesa parochiale.
Li 18 marzo, domenica di passione, stanti le presenti calamità di pestilenza, si fece la solita processione del X.to non velato dalla Compagnia del SS.mo e fu portato a tutte le porte del Castello e del Borgo e colla medesima Imagine fu data la S. Benedizione in ogni porta e bocca di strade. Portarono in questa contingenza li confratelli una fune al collo e la disciplina in mano, li sacerdoti avevano rami di olivo ed invece di cantare il Vexilla Regis cantavano il Miserere.
Il giorno primo aprile, solennità di Pasqua di Resurrezione, andando la Compagnia di S. Cattarina secondo l’uso introdotto di visitare la Madonna del Cozzo e ritornandosene dalla med. la Compagnia del SS.mo quando furono sul ponte del Silaro si incontrarono li confratelli dell’uno e dell’altro Corporale, quivi volendosi intonare il Deprofundis alle anime de sepolti nel Lazaretto vicino da quelli del SS.mo furono disturbati dalli intonatori e cantori della altra compagnia che retrocedeva, per loche naquero dispareri seri fra quelli individui e di qui cominciarono le amareze vicendevoli che durarono lungamente, ora per un accidente ora per una ambizione ora per altri puntili come diremo.
Le riparazioni fatte al ponte sopra il Silaro nella via corriera non potendo ressistere all’impeto dell’aque, convenne farvene un’altra. Si spesero perciò in questa l. 630 che furono messi in comparto tanto ai proprietari che ai coloni de terreni li quali sono soliti a contribuire alla manutenzione di questo ponte. Ciò seguì per decreto del Senato li 28 aprile.
Ne giorno 8 maggio Domenico Rinaldi, padrone della casa che fa angolo nella piazza maggiore entro il Castello, abbisognando di ingrandire la di lui speciaria mediante una bottega ed ochio di portico, chiese alla Comunità una linea di suolo di d. piazza, offerendosi in compenso fabbricare a sue spese un morizzuolo di pietra per tutta la lunghezza di d. piazza a linea retta fino all’incontro della via che porta ai frati di S. Francesco e ciò per comodo a villani intevenienti al mercato di pollami e simili.
La Comunità aderì alla petizione e fu perciò fatto il murizzuolo tutto di mattoni cotti alto dal suolo dieciotto oncie e congiungevasi alla colonna del novo portico Rinaldi, questo murizzuolo conservassi fino all’epoca che fu seliciata di sassi tutta la med. piazza e se ne vedono ancora li fondamenti frontegianti la via maestra di mezo al Castello.
Li 13 d. giorno del Corpus D. venne in un momento una dirottissima pioggia che non potendola comportare li coperti e le strade le persone non potettero stare in casa e le cantine furono annegate.
D’ordine del Senato fu fatta la nota di tutte le teste per il comune di Castel S. Pietro. Il Castello e Borgo non fu compreso, rilevasi ciò dal Lib. Diver. fol. 42 in archiv. Comunit. nel qual tempo serviva di segretario la Comunità Camillo Felina not. come riscontrasi in d. Libro.
Giunto poi il giorno primo lulio entrò Massaro Giovanni Farnè e Podestà il Conte Francesco di Agostino Preti.
Essendosi preventivamente concertata fra alcuni sacerdoti secolari di Castel S. Pietro di formare fra di loro un sufragio, fu talmente plaudito questo progetto che li 9 lulio di quest’anno si radunarono bon numero di essi nella sagrestia della parochiale di questo Castello e furono: l’arciprete D. Alessandro Comelli arciprete di Castel S. Pietro, D. Antonio Maria Spanochia arciprete di S. Martino in Petriolo, D. Antonio Garofali, D. Sante Poggi, D. Alessandro Cuzzani, D. Domenico Montanari, D. Giovanni Chierici, D. Francesco Pavolacci, D. Antonio Balotti, D. Sebastiano Cavolazzi all’effetto di concordare come si dovessero formare le Capitolazioni. Fu per ciò a viva voce eletto per primo priore l’arciprete sud. di S. Martino quale prese in se il carico di formare la Capitolazione ed infrattanto elesse per suo segretario D. Sebastiano Cavolazzi e depositario D. Sante Poggi che furono applauditi dalli congregati. Ciò fatto presero tempo quindici giorni e novamente raddunati per la conclusione da approvarsi poscia dall’E.mo arcivescovo o suo vicario.
Spirato il termine si radunarono novamente li 24 lulio nella stessa sagrestia ove fu tutto appianato e sucessivamente nella d. chiesa arcipretale fu cantata messa solenne dall’arciprete Spanochia. Doppo colli accennati preti tutti in cotta si fece una solenne processione entro la chiesa cantando il Veni Creator. Terminata la processione di novo si rinchiusero nella sagrestia per firmare la Unione loro.
Doppo varie riflessioni per isfuggire ogni sinistro incontro di lesa giurisdizione, avendo penetrato il novo priore colli su acennati preti che loro potessero accadere avversità per parte dell’arciprete Comelli, deliberarono a scanso delle med. trasferire altrove le loro adunanze ove potere più liberamente effettuare li loro dissegni. Conclusero perciò di incontrarsi in avvenire nella chiesa de P.P. di S. Francesco posta nel comune di Casalechio de Conti cioè al Conventino sempreche li P.P. non avessero ostato, come di fatti seguì e ne fecero le loro rissoluzioni ivi, come a suo loco riferiremo.
Li 29 lulio morì Gaspare Fiorentini in questa sua patria ove conta il di lui casato più di tre secoli di domicilio. Da questa familia ne riportò il nome la possessione del Gaggio ove era l’antico castelletto da noi enunziato ne primi anni del presente nostro racconto e viene tuttora così nominata la Fiorentina nelle vachette e catasti della Primizia di Castel S. Pietro nel quartiere detto del Gaggio.
Il dì successivo 31 lulio fu ucciso Silvestro Cavina di Castel bolognese con archibugiata.
Il fonte della Fegatella fu novamente rissarcito nelle pareti le quali erano state in alcuni luoghi aperte( Lib. Mandat. Comunit.).
Nel mese di novembre il cap. Giovanni Bartolomeo Falconetti corsico che si era già stabilito in questo Castello sposò Laura qd. Gio. Andrea Manfredi di Castel S. Pietro. Essendosi pure stabilito in questo Castello Gio. Battista qd. Matteo Dalle Vache, che fu poi detto Vacchi, proveniente dal Sabbioso, si conjugò con Angelica di Giovanni Cavoni ed essa fu che lo fece radicare in questa sua patria la familia ove restata fino altre la metà del secolo venturo e per che quivi accade farne di essa memoria, così ci piace riferirne tutta la discendenza fino alla sua estinzione per essere stata e divenuta familia facoltosa e riguardevole.
Dal d. Giovan Battista ne venne Girolamo, uomo di grandissima fortuna, detto poi volgarmente: Girominone, il quale fece moltissimi aquisti e si fabbricò questo suo bel palazzo nella via del canale sopra un fondo già aquistato dalli Muzza con una tentoria appresso. Quanto fu egli uomo di parola e di un ascendente di fortuna smisurato, fu altrettanto riconoscente presso Dio, inverso la povertà poiché niuno mandavasi mai da esso in pace, fosse paesano o fosse forestiero, con questa particolarità che lasciava a limosinieri la optione di questi tre generi cioè pane, vino e fascine cosiché altri bramavano bere e se le dava una foglietta a testa di vino, altri per il freddo richiedevano e se le dava un fascio onde scaldarsi ed altri richiedevano il pane e se le dava un pane a testa e ciò acadeva giornalmente con questo divario che il sabato dedicato alla gloria di M, V. faceva una generale elemosina a tutti li poveri paesani, oltre quasta facevo lo stesso colli P.P. cappuccini e francescani pagandole settimanamente una pietanza per ciascun individuo.
Non fu dissimile da esso il di lui primogenito finche visse, sig. Giuseppe. Esso Girolamo sposò Mattea Vanti di questa sua patria, fu felicitato nella figliolanza che ebbe molti maschi e fra questi il solo Giuseppe prese moglie, li altri furono D. Francesco che fu prete ed ebbe la abbazia di S. Maria in Cosmodin, l’altro fu Canonico in S. Giovanni in Monte e salì tutti li gradi di suo instituto fino al generalato, il quarto fu cappucino per nome P. Felice sacerdote che morì in patria, il quinto fu il P. Domenico de Minori Conventuali. Il sesto fu il Padre Luigi, medesimamente conventuale che per lungo tempo guardiano nel convento di S. Francesco di sua relligione in Faenza nel qual tempo,e cioè del 1750, intraprese già la fabbrica di quella bella chiesa, fece fare il campanile e coro spendendovi molto del suo e fu bravo oratore. Il settimo fu D. Domenico prete secolare.
Il primogenito Giuseppe ebbe due mogli, la prima fu Giovanna Giorgi di Castel S. Pietro da cui ebbe Battista, che vive celibe, una filia per nome Cattarina che morì celibe e Gertrude canonichessa in S. Lorenzo di Bologna. Dalla seconda moglie per nome signora Rosa Brusa bolognese ebbe Maria Teresa celibe, Girolamo ed Alessandro che morirono ancor ragazzi e finalmente Madalena che si accasò col cittadino sig. Gio. Pietro Zanoni di Bologna e fu erede di tutto lo stato, di annua rendita tremilla e più scudi.
Secondo il concertato fra li preti della nova congregazione, non avendo potuto ottenere da frati M.M. Conventuali il comodo della chiesa del Conventino, si unirono nella chiesa parochiale di S. Michele di Casalechio de Conti ove venero accettati da quel paroco D. Sante Poggi. Ivi si cantò messa dal priore Spanochia, poi si fece la processione entro e fuori della chiesa delli uniti sacerdoti, poscia quella terminata si lessero dal segretario D. Sebastiano Cavalazzi li Capitoli formati quali tutti furono affirmati e fu in questa sessione dichiarata per ressidenza della Congregazione, con il consenso del med. paroco, risservandosi però quella potersi trasferire altrove quallora si opinasse diversamente.
Approvati li Capitoli furono stampati il giorno 8 decembre ove si legono li nomi e cognomi delli rappresentanti la congregazione che sono li seguenti cioè: D. Antonius Maria Spanocchius Archipresbiter S. Martini de Petriolo primus Prior, ill.mus D. Alexander Campegius, R. D. Jo. Babtist. Paoluccius Archipresbiter S. Laurenti Varignane, R. Sanctes de Poggis Curatus S. Micaelis Casalechi Comitum Depositarius, R. D. Dominicus Montanarius Curatus S. Bartolomei Fraxinati magister Ceremoniar., Cesar de Florentinis, Francicus Paeluccius Rector S. M. De Varignana, Jo. a Clerico Curatus S. M. de capella, Alexander de Cuzzanis curatus S. Mame de Liano, Antonius Balotta curatus S. Laurenti Dutie, Jo. Balestrerius a Ditia, Sebastianus Cabalatius Capellanus castri S. Petri secretarius. Jacobus Poletus a Dutia, Franciscus Joseph Riccius a Dutia, Jo. Orianus a Dutia, Carolus Andreas Poletus a Dutia, Dominicus Manrius, Cesar de Fabbris, Jacobus Salvatorius, Carolus Canonicus, Paulus Celius, Petrus Antonius Garofalus Curatus S. Blasi Podi, Jo. Maria Minellus, Jo Babtista Mondinus Martinus a Quaderna, Lazarus Ronchius, Pompeius Manaresius, Franciscus Liggius, Bartolomeus Cennius a Dutia, Hiacintus Lanserius er Jo. Prellinus. Tutte queste memorie e notizie ci sono state conferite dal sig. Antonio Bertuzzi nipote ex fratre del chiaro arciprete dott. Teologo D. Gio. Battista Bertuzzi arciprete di Castel S. Pietro, presso il quale esistono stampati li d. Capitoli ed il campione primo delli atti di d. Congregazione da cui ne abbiamo tratto le presenti memorie.
Giunto poi l’anno 1658 nel dì primo genaro entrò Massaro Giovanni Bonetti e Podestà il marchese Antonio Bolognetti, suo not. giudicente fu Bernardino Ferrari.
Cessato, la Dio mercè, il timore della pestilenza, doppo la Epifania si disfecero li caselli alle porte del Castello. Li 12 d. si disfece anco il capanno di asse coperto a coppi che era alli confini di Romagna nella via romana ove stava il purgatore delle robbe sospette. Contemporaneamente fu pulita la fontana e suoi condotti, poi a Bologna furono trasportate le robbe e lettere sospette che erano state quivi inoltrate senza le fedi ad ogetto di purgarle col foco.
Li 22 genaro Antonio Menghini di Castel S. Pietro compratore di polvere da archibugio, essendosi portato a Budrio in un sito detto Toscanella di sotto, in casa di Giovanni Orfei, per far compra di polvere, volendola provare col foco, una scintilla andò al sachetto che era di lib. 30, cacciò in aria tutta la casa, né si salvò altro che il Manghini, la servente ed un fanciullo dell’Orfei. Il Menghini che doveva rimanere incenerito essendosi salvato attribuì ciò a miracolo di M. V. di Poggio di cui ne era molto divoto.
Essendo morto D. Lazaro Ronchi di Castel S. Pietro che fu il primo della accennata congregazione di preti, se le fecero il dì 12 febbraro le esequie nella chiesa di S. Biagio di Poggio. Riconosciuta poi dalla med. congregazione quanto fosse incomoda la situazione di Casalechio per effettuare li suoi suffragi (motivo per cui furono fatte le esequie al d. Lazaro a Poggio), li 19 febbraro unitasi la congregazione determinò trasferire la sua ressidenza nella chiesa di S. Pietro nel Borgo di questo Castello, luogo più comodo a tutti. Ma perché d. chiesa era di pertinenza del card. Flavio Ghigi, comendatario dell’abazia di S. Stefano a cui era sottoposta d. chiesa, la stessa congregazione fece supplica al med. cardinale acciò glie ne concedesse l’uso della med. e fu tostamente spedita a Roma.
Si erano in questo tempo fatti tanto audaci li assassini che perfino entro li luoghi murati si innoltravano a comettere delitti. Li 20 febbraro si arischiarono fino entro il nostro Castello, fu perciò in esso assaltato Sebastiano Baducci di Castro Caro e fu svalligiato onde in appresso venne in loco colli birri il Notaro Criminale Dassarini a fare la Cavalcata. Si ascondevano costoro specialmente nell’edificio della Fegatella ove avevano atterrato la porta e fatto nelle mura di essa alcune bombardiere. Fu perciò d’ordine del d. Notaro rifatto l’uscio dalla Comunità e murate le bombardiere ed accomodata nel resto ove abbisognava.
Perché vacanti erano dieci posti di consilieri ed era rimasto il solo N. di sei, furono da questi presentati al Governo di Bologna li seguenti soggetti cioè: Carlo Rondoni in loco di Nicola suo fratello, Benedetto Fiegna in loco del fu Francesco suo zio, Giacinto Simbeni in loco di Bartolomeo Beretta, Giovanni Rapini in loco di Paolo Matteucci, Francesco Fanti in loco di Orazio Venturoli, Biagio Sgarzi in loco di Giacomo Fornasari, Lorenzo Graffi in loco del fu Alfonso suo padre, Francesco Ruggi in loco di Francesco M. Ricardi, Giacomo M. Tomba in loco di Filippo Bittini, Stefano Alberici in loco di Pietro Andrini.
Il 25 marzo morì Lodovico Antonio Seda filio del fu dott. Seda, giovine di grande aspettazione per le virtù di filosofia che l’adornavano.
In seguito della suplica data dalla congregazione de preti al cardinal Ghigi per avere la chiesa di S. Pietro ove officiare, fece il seguente rescritto: Attentis narratis annuimus ut sopra ad nostrum libitum nullo unquand. tempore prescribibile. Die XXX Marti 1658 F. Card. Ghisius. Atteso tale rescritto che trovasi registrato in d. Campione presso il mentovato P. Beruzzi al fol. 5, non fu lenta la congregazione a trasferirsi da Casalechio nella divisata chiesa di S. Pietro ed a prenderne limitatamente il possesso conferitole, pubblicò in seguito nel dì 15 aprile il med. mediante avviso al pubblico ed in seguito nel dì 20 maggio 1658 in d. chiesa si celebrò l’anniversario stabilito ne capitoli della congregazione al quale vi intervennero D. Antonio M. Spanochia priore, D. Giacomo Presi, D. Giovanni Oriani, D. Giacomo Boschi, D. Galeazzo Di Alfonso Graffi, D. Domenico Moruzzi, D. Gio. Battista Paolazzi, D. Cesare Fiorentini, D. Francesco Paolazzi, D. Giacomo Filippo Balestrieri, D. Carlo Andrea Poletti, D. Giovanni Chierici, D. Alessandro Cuzzani di Castel S. Pietro, D. Carlo Cenni, D. Bartolomeo Cenni, D. Antonio Balotti, D. Sebastiano Cavalazzi, D. Domenico Montori, D. Gio. Battista Mondini, D. Domenico Montanari, D. Francesco Lippi Maldini, D. Giovanni Grillini e D. Sante Poggi .
Stanti li dissapori accaduti nell’anno scorso nelle feste di Pasqua fra le due compagnie del SS.mo e di S. Cattarina, venuto il tempo delle Rogazioni della madonna di Poggio la cui immagine spetta alla compagnia del SS.mo, intese la compagnia di S. Cattarina come più anziana del paese levare essa per la prima la S. Imagine, reggere le processioni e fare tutt’altro che spettava alla prima onde questa, venuta a giorno di non dovere più lasciare la facoltà al priore di S. Cattarina di stare a fianco della B. V quando portavasi in processione, fece intendere che stanti le disposizioni del suo Statuto al Cap. 18 di dovere essere cauti nelle funzioni della B. V. di Poggio, non poteva più accordare al priore della compagnia di S. Cattarina le convenienze passate.
Credendosi per ciò offesa la compagnia med. di questa ambasciata cessò di intervenire non solo alle Rogazioni di M. V. ma anco alle processioni del SS.mo e specialmente a quella del Corpus D. Si accesero però liti civili e da queste si passò ancora alle criminose che a suo loco riferiremo.
Infrattanto terminata la sua legazione il card. Lumellini partì da Bologna li 13 giugno e venne accompagnato fino a Castel S. Pietro dal Marchese Camillo Paleotti e conte Michele Calderini. Approvati dal Senato li sopra espressi in consilieri della Comunità ed imediatamente nel dì 16 giugno furono inborsati nella Borsa de Massari. Il dì 24 corr. arivò a Castel S. Pietro il card. Girolamo Farnese romano per il novo Legato di Bologna e fu incontrato ai confini del nostro Castello dal Marchese Girolamo Zambeccari e Vincenzo Fachinetti Senatori.
Li assasini in questo tempo andarono in casa di Giovanni Rambaldi che abitava nel Borgo e fu svalligiato armata mano.
Il dì primo lulio entrò Massaro Benedetto Fiegna per la prima volta e Podestà fu il Senatore Anibale di Antonio Marescalchi, suo notaro giusdicente fu Tadeo Tacconi.
Li 22 agosto si fece rigorosa cavalcata per l’assassinio comesso in casa del d. Rambaldi. Appena terminata la med. fu ucciso il giorno 17 corrente Giacomo Fantelli, né si potette scoprire il reo dell’uno e dell’altro misfatto e convenne alla Comunità pagare ambe le cavalcate.
Governava in questo tempo lodevolmente la sua parochia di Rignano D. Antonio Galeazzo Graffi di Castel S. Pietro, fratello dell’acennato novo comunista, quandoche una notte fra le altre di questo mese li assasini si portarono mascherati alla di lui abitazione e col nome di Corte eclesiastica entrati in chiesa le portarono via tutti li vasi d’argento. Per questa iniquità che accadevano nelle nostre vicinanze ed in Castel S. Pietro furono in esso stabiliti quattro birri e quattro corsici come si rileva dalle carte comunitative. Ciò non ostante li due ottobre fu ucciso Ascanio Graffi e sepolto in parochia.
Per queste malvagità li gesuiti acellerarono le loro Missioni in questo loco prescritte dal testamento Morelli. Li 6 d. giorno di domenica festa del SS. Rosario e di S. Brunone, furono incominciate dal P. Giberto Gianini gesuita, fu acerrimo predicatore sopra li latrocini ed opressione de poveri, una mattina fra le altre si vide attaccata per ciò alla porta di questo suo ospizio la seguente.
Voi Rettor de Galabroni
che veniste a far milioni
e gridare così forte
contro il vizio d’ogni sorte,
Caro Padre, se guardate
a ciascuno vostro frate
che si ingoia dei Morelli
ciò che deve ai poverelli
di codesto pover loco.
come fosse un dolce gioco.
Io vi giuro in fede mia
che la vostra è Ipocrisia.
Se si vol che vi crediamo
date quel che aver dobbiamo
e tornate al Convento
che sarete più contento.
Egli è questo il parer nostro
egli è questo il Dover vostro.
Fece tale impressione questo fatto al povero missionario che lo rese sbigotito imperciò che si avvisò che ciò fosse provenuto dall’essersi sospesa dalla sua relligione la elemosina ligatata dal Morelli per la qual cosa a capo delle Missioni fece egli fare una copiosissima elemosina a tutti li miserabili del paese non solo ma anco a tutti li altri poveri forestieri che titubavano per le elemosine e legati Morelli sospesi, ciò l’abbiamo riscosso dalle memorie MM. SS. delli Alberici Gaetani. E così terminossi l’anno senza avere ulteriori notizie di questo loco.
Il primo genaro poi 1659 entrò Massaro Stefano Anessi e Podestà il Conte Girolamo Gessi, che deputò per suo giusdicente Bernardino Ferrari. Lì 20 genaro morì Pietro Cavazza.
Il Senato di Bologna volendo gratificare il Marchese Girolamo Locatelli per li incomodi sofferti per il passaggio delli cardinali ed ospitalità datole in Castel S. Pietro le fecero la seguente concessione: 1659. 18 Jenari. Egregio ac nobili Viro D. Hieronimus Locatelli apud quem ampla Hospitia genumero occasione transitus em.rum Legatorum in Castro S. Petri habuerunt pradificari volentes, eidem benique permiserunt ut edificia cuncta (..) quibus in Ralatione Prefectorum Gubernio, que hucusque in eodem Castro S, P.re super solo publico contruxerunt retinere valeat, preterque potece fora que sub porta eiusdem Castri sunt.
La Compagnia di S. Cattarina avendo instruito giudicio circa il modo di officiare nelle processioni contro la Compagnia del SS.mo, patì decreto contrario avvanti mons. Vicario generale di Bologna per li atti Gulielmini nel foro vescovile, fu perciò intimato tale decreto alli priori ed uomini delle compagnie med. di S. Cattarina coll’unito precetto di dovere essa osservare altro suo decreto su ciò fatto sopra le processioni della B. V. di Poggio e del SS.mo.
Si era reso così esoso l’arciprete alla Comunità non che alla populazione tutta di Castel S. Pietro col volere disanguare anco li poveri mediante la introduzione di una tassa sopra il suono della campana per li morti. Intendeva altresì fare un campanaro custode delle campane pubbliche a suo piacere esclusivamente alla Comunità e popolo che le mantiene. Fu perciò in necessità la Comunità ricorrere all Giustizia onde alli atti di Carlo Vanotti ne vescovato fece le opportune instanze in seguito delle quali fu decretato provisoriamente che il paroco esigesse il consueto, che quanto all’altre pretensioni si sariano dibatute.
Questo decreto non fece altro che accrescere illivore ed odio all’arciprete che non poteva sortire di casa senza pericolo di cicalate metaforiche e contumelie all’avarizia. Una mattina fra le altre, per quanto ci riferiscono le memorie di D. Giulio Alberici MM. SS., fu ritrovata affissa alla porta dell’arciprete e in altri luoghi questo cartello latino colla sua versione.
Auri sacra fames? quid non pote diva Cupido?
Che non puoi tu brutta ed esecrabil fame
d’oro ed argento nelli petti umani?
Causi che s’odi il dritto e il torto si ame
che mesti sien li buon, lieti i profani!
Fu attribuito questo fatto ad uno de preti della congregazione nova stante che questo era ancor essa stata contrariata dal med. arciprete allorché si voleva stabilire in parochia, dove che furono in situazione li individui di quella cercar altro luogo o sito ove collocare la sua ressidenza, cioè al Conventino, poscia a Casalechio indi a Poggio e finalmente nella chiesa di S. Pietro di questo Borgo.
Li 15 maggio Ercole Santini di Castel S. Pietro uccise Alessandro Monduzzi e se ne fuggì tosto nella vicina Romagna.
Li 19, 20, 21 maggio si fecero le solite rogazioni di M. SS. di Poggio alle quali solo vi intervennero le tre Relligioni de regolari, senza intervento della Compagnia di S. Cattarina, così seguì pure il giorno del Corpus D. che cadde nel giorno 12 giugno.
Terminato il suo officio di podestà il nobil uomo Girolamo Gessi fece apporre secondo lo stile nella pubblica ressidenza la seguente inscrizione incisa colla di lui arma
Hieronimus Gypsius
Pretor pro primo semes.
MDCLVIIII
Adi primo lulio entrò Massaro Stefano Alberici e Podestà Achille di Pompeo Pelegrini.
Trovavasi in questo convento de cappuccini di stanza il P. Gianfilippo da Cento della familia Figatelli uomo di singulari virtù e prerogative massime nelle Tavole Gnomoniche onde per ciò, volendo lasciare in questo convento cosa degna memoria della di lui scienza, formò a capo del primo braccio sinistro del chiostro inferiore, che corrisponde all’orto ed alla fonte detta del Rodone del med. convento, un bellissimo orologio da sole detto Captortico. Questo orologio per riflesso di uno specchio posto sopra l’architrave della porticella che corrisponde nell’orto, riflettendo per un picolo quadretto di apertura, riverberando con un picolo raggio solare nella volta interna del chiostro ove sta dipinto l’orologio in linee e colori diversi, mediante gnomone segna li pianeti, li giorni del mese, l’ora del pianeta, le feste de Santi tanto all’uso di Francia che d’Italia.
Ma è sciagura che siasi perduto per opera di certo P. Michel’Angiolo Filicori, guardiano della familia di nazione bolognese, che quanto uomo di boni costumi e vita, altrettanto ignorante, il quale fece imbiancare quella studiosa e bella operazione e rarissima, dove che non se ne conta altra simile che nel convento cappuccino di Faenza, e così privò questo monistero di Castel S. Pietro di tanto studioso lavoro. Di esso si riconoscano ancora le linee. Veniva poi condecorata questa manifattura delle seguenti instruzioni, cioè sopra il fenestrino vi era così scritto:
Horologium Catopricum cognominatum
factum Anno D.ni MDCLIX
Oltre la med. indicazione eravi, a carateri romani, scritto il seguente distico latino
Ferrens hinc Gaomen, et ferrea pellitur umbra
Aurea pro ferro, tempora mundus habet
Sopra la d. porticella nell’architrave vi era il seguente moto: In umbra deficio.
Nelle pareti laterali vi erano li seguenti versi indicanti il valore dell’orologio. che presentemente si legono manuscritti in lettere majuscole in due quadretti cioè a destra:
Dum Phebi subar e vitro reflectit opaco
Hora mostrantur, signa, planeta, dies.
linea flavescit Gallis Italique nigrescit
Zodiaco per puncta datur tcarcisque virescit
hora planetaris roseo est signata colore
festaque divoram linea secta notat
A mano sinistra poi si legevano li seguenti che medesimamente si vedono manuscritti:
Ars vetus in parvo descripsit sidera vitro,
hic tibi per vitrum sol patet arte nova.
Cetere ded quantum sol sidera lumine vincit
Ars vetus in tantum vincitur arte nova.
Hinc stilus omnis abest umbra venator et hore
Oh mirum? radis Volis utrumque facit.
Si ha per tradizione che questo autore ne facesse altri due simili uno cioè in S. Giovanni in Persiceto e l’altro nella libreria de cappuccini di Bologna, della verità di che non ce ne adottiamo.
Trovavasi in questo tempo in pessimo stato la ressidenza comunitativa e l’officio della podestaria che perciò, ascendendo la spesa a l. 937, secondo la perizia fatta, fu ricorso al Senato onde ne decretasse un comparto alle comunità sogette alla podestaria. Il med. pertanto così decretò, come si legge nel Lib. partit. Carati T. 20 fol. 169: 1659. 29 X.bris Partitionem l. 937. super iis, qui contribuere solent pro instauranda et de Offici Castri S. P.ri.
Nel giorno primo genaro 1660 enrò Massaro Carlo Rondoni e Podestà Mario Casali, suo notaro giusdicente fu Bernardino Ferrari che poi li 14 genaro morì e fu quivi sepolto in parochia con singulare onore, Ocupò il suo posto in questo loco Alessandro Marchesini, dove si trasferì di permanenza secondo la legge.
Erano divenute le esazioni camerali de possidenti così difficultose che li massari non potevano corrispondere alla Camera di Bologna il tassativo ed erano perciò spesso in questioni e liti per pretesi privilegi ed esenzioni, come si riscontra nel foro civile alli atti di Cesare Manolesi onde, avutosi ricorso dalla Comunità al Legato Girolamo Farnesi, ordinò questi nel di 17 febraro che da qui in appresso avessero li massari la Mano Regia more camerali et apostolico contro li morosi e difficultosi. Di fatti messa in uso questa medicina ognuno pagò puntualmente la sua tassa.
Appicciatosi foco a questo Ospitale de Peregrini nel Borgo da cingari a motivo di non averli volsuto albergare quel custode, patì non poco danno. Li incendiari furono inseguiti tostamente sopra il Castello, ma smariti nelle vicine boscaglie non si potette avere alcuna soddisfazione, per essersi anco congiunti con essi alcuni ladri ed assassini territoriali.
Fabbricandosi la nova capella del Rosario, chiese il priore di quella compagnia larga sovenzione alla Comunità, la quale corispose con quindici scudi d’oro.
Nel giorno X febraro ultimo di Carnevale, facendosi da nostri villani secondo l’uso il fallò e spirando vento cagionarono tre incendi nella vicina collina. Uno a Fossalivara, l’altro vicino ad Alboro demolito Castello e l’ultimo vicino alla chiesa di Monte del Re, furono perciò di qualche danno poiché furono sollecite le persone al riparo, al che adjuvò la neve alta ne tetti.
Li 14 marzo, domenica di Passione, si fece la solita processione col X.to scoperto della Compagnia del SS.mo alla quale intervenne il solo clero. 26 d. venerdì Santo si fece medesimamente dalla Compagnia di S. Cattarina la processione del X.to deposto nel cattaletto a cui solamente pure vi intervenne il clero secolare. Le processioni pure delle Rogazioni colla Madonna di Poggio nel dì 3, 4, 5 maggio furono fatte senza la Compagnia di S. Cattarina.
Il giorno primo lulio entrò Massaro Giacinto Simbeni e Podestà il Conte Paolo del Conte Nicolò Caprara.
Codesti PP. agostiniani nel convento di S. Bartolomeo, volendo fare colla nova loro Imagine di M. SS. della Centura la processione con essa per il Castello e Borgo nella prima domenica di settembre, la quale processione per l’addietro facevasi colla sola reliquia di M. V. intra septa conventus , venne ciò a notizia dell’arciprete Comelli che, geloso de diritti parochiali, non mancò di esporre il suo fiele lasciandosi uscire di bocca che avrebbe inibito li frati, ma questi, più scaltri del med., dissimularono ed altro non fecero poi, seguendo lo stile vechio, fecero la med. processione colla solita reliquia nel contorno della loro chiesa che chiamavano processione di S. Monaca a cui non vi intervenne alcuna corporazione eclesiastica.
Nel 1661 poi entrò Massaro Gio. Battista Villa e Podestà il conte Vittorio di Benedetto Vittori.
Vertendo lite in Roma fra la Comunità e dazieri di Bologna per le Immunità del paese coram Vechiarello, andò il decreto a favore di questa interlocutorialmente : manuteneri in possessione la Comunità donec et ad exitum.
Li 28 marzo si fece sentire il teremoto.
Li 7 maggio si fece la Congregazione capitolare delli agostiniani in questo convento di S. Bartolomeo di Castel S. Pietro ove, essendo il Provinciale della Religione P. Giovanni M. Bondioli da Bologna, fece priore in questo convento il P. Deodato Venturoli di Castel S. Pietro.
Stante le discordie che erano fra le compagnie del SS.mo e de S. Cattarina, non avendole potute l’arciprete comporre, procurò che venissero in paese le Missioni de gesuiti onde alli 15 maggio venne il P. Francesco Vaschi che oltre la sua facondia accompagnata da zelo catolico era altrettanto uomo di maneggio. Questi tanto si adoprò che le riuscì novamente unire le due compagnie cosiché a capo delle sue fatiche ne raccolse il frutto della riunione e fu ripristinato il culto di Dio, per la qual cosa le Rogazioni di M. V. che caddero nel dì 23, 24, 25 maggio furono eseguite pomposamente con edificazione al popolo.
Per assodare poi più la unione propose che nel turno annuale di riceversi la S. Immagine di Poggio dalle tre relligioni de regolari alternativamente si amettesse anco in questo turno la chiesa della Compagnia di S. Cattarina, il che fu plaudito da superiori di Bologna, come riscontrasi nell’archivio di questa parochiale ove dal Vicario Generale viene ingiunto all’arciprete di osservare tutti li mezi per che in avvenire così si continuasse a gloria di Dio e M. V. Questo turno si è conservato sempre fino all’epoca in cui fu abbolita la d. Compagnia di S. Cattarina dal card. Vincenzo arcivescovo Malvezzi.
Il med. P. Vaschi terminate le Rogazioni la sera della Ascensione, che fu li 26 maggio, volle esso dare la benedizione al popolo colla miracolosa Imagine doppo un tenerissimo sermone sopra la pace e si videro in allora nella piazza maggiore del Castello le due compagnie delli uomini cappati abbracciarsi vicendevolmente col reciprocarsi li amplessi fra tenerezze di lagrime.
Li 14 giugno su le 21 italiane morì D. Francesco qd. Flaminio Camelli in casa di cod. arciprete nella canonica assistito da cappuccini. Fu uomo esemplare e limosiniero, poscia li 15 d. fu portato fori della canonica dalle sud. due compagnie e trasportato dall’una e dall’altra porta del Castello, accompagnato dalla chieresia e regolari e riposato il di lui cadavere nella chiesa arcipretale, ove si tenne fino alli 17 dello stesso giugno insepolto dopo la festa del Corpus D. e poscia umato nella parochiale. Questa funzione si legge nel Lib. Mortuor. parochiale né si comprende il motivo e neppure se avesse un deposito a parte.
Adì primo lulio entrò Massaro Giacomo M. Tomba Podestà .
Li 5 d. fu ucciso Annibale qd. Battista Maserata forestiero.
D. Petronio Gardenghi di Castel S. Pietro fu fatto canonico in Roma della collegiata di . Nel genaro poi 1662 entrò Massaro Trojano Scasillione e Podestà il Marchese Ferdinando Riari, suo notaro sostituto e giusdicente fu Alessandro Marsimili. Essendosi la Congregazione de preti trasferita da Casalechio nella chiesa di S. Pietro in questo Borgo, li 17 aprile la med., priore essendo D. Francesco Paulazzi rettore di S. Maria di Varignana, decretò chiedere all’e.mo Flavio Ghigi abbate, commendatario la d. chiesa, in proprietà alla congregazione, al qual effetto elesse questa per assunti D. Gio. Battista Paolazzi, D. Domenico Montori e D. Girolamo Marzocchi, li quali in seguito ne fecero la petizione al porporato. Pier Maria di Ottaviano Cavazza, fratello dell’avo di me Ercole Cavazza, scrittore di queste memorie, finì li suoi giorni e fu sepolto in cod. parochiale. Li 7 maggio il card. Farnese Legato di Bologna, chiamato dal Papa a Roma, venne accompagnato fino a Castel S. Pietro dalli Marchesi e Senatori Nicolò Tanara e Carlo Scappi ove onorevolmente a confini congedato. Alli 15, 16, e 17 maggio, giorni delle Rogazioni di M. V., si fecero colla Imagine di Poggio le consuete procesioni alle quali vi intervennero le tre relligioni de regolari, clero e compagnie unite. Si cominciò quivi a dare esecuzione al turno prescritto nelle missioni passate dal P. Vaschi onde il lunedì si celebrò nella parochia, il martedì in S. Bartolomeo ed il mercordì in S. Francesco, nell’anno venturo fu decretata la chiesa de Cappuccini e poi quella di S. Cattarina. Li 25 d. venne a Bologna per la via di Loreto il novo Legato di Bologna Pietro Vidoni cremonese e fu incontrato a Castel S. Pietro da Achille Volta e Carlo Francesco Caprara Senatori e fu banchettato in questo palazzo Locatelli. Domenico Dalfoco di Castel S. Pietro cominciò a dipingere d’architettura la volta della capella del Rosario a chiaro ed oscuro. Tale dipinto durò fino al 1760 ove, modernatasi la med. capella nelle sculture, fu anche cassato questo dipinto e sostituito altro dipinto dal chiaro Scandelari, come riferiremo alla sua epoca. Nel dì primo lulio prese il possesso di Massaro Sebastiano Sgarzi e Podestà fu Bartolomeo Lambertini Senatore. Nel mese di agosto, memori questi padri agostiniani della avversione dell’arciprete Morelli a lasciare loro la libertà di fare la processione della B. V. sotto il titolo della Centura, prevalendosi della nova Imagine di rilievo fatta fare a questo effetto dalla unione di molti devoti paesani, ricorsero al regnante pontefice Alessandro Settimo acciò le concedesse tale grazia unitamente ad un ampla indulgenza per la prima domenica di settembre. Il Pontefice, trattandosi di culto a Dio e M. V. e suoi santi, aderì alla supplica e nel dì 19 ne segnò la grazia di tale processione da farsi dalli Centurati, confraternita eretta nella d. chiesa di S. Bartolomeo di Castel S. Pietro, nella prima domenica seguente doppo la festa di S. Nicola da Tolentino, la quale era solita farsi nella prima domenica dell’Avento ed eccone il documento estratto dall’originale che noi conserviamo. Alexander PP VII. Ad perpetuam rei memor. Exponi Nobis nuper fecerunt dilecti fili Prior. et frates Conventus Castri S. Petri , Ordinis S. Augustini bononien. decesis quod inter ceteras Indulgentias et Peccatorum Remissiones ac Penetentiarum Relaxiones Confraternitati Cincturatorum S. Monice in dicta eclesia canonice institute concessas non nulle iis Christifidelibus qui Processioni Confraternitatis pie prima Dominica Adventus fieri solite interfuerint societati predicte a sede ap.lica concessa reperiunt et alias prout in Litteris apostolicis dessuper expeditis, quarum teneres puttibus pro expressit haberi volumus uberius dicitur contineri. Cum autem nunc eadem expositio subjungabat Processio huisdem que generalis vocatur ob aeris inclementiam, viarumque dificultatem hiberno tempore ea qua decet solemnitate celebrari neque…, Nobis propterea (…) Prior et frates humiliter supplicari fecerunt ut quo Processio huius modi majori cum solemnitate et Populi frequentia celebratur ipsique X.tifideles Judispent…. huius….. partecipes fieri possint easdem indulgentias domini imediate sequenti post festrum S. Nicolai Tolentini una cum facultate celebrandi eadem die Processionem predicta transferre de benignitate ap.lica digno rem Nos igitur supplicationibus ac Penitentiarum Relavatiores estis qui processioni predicte prima Dominica Adventes interfuissent quomodolibet concessas in Dominica immediate sequentes post festum S. Nicolai Tolentini, qua die processioq.ta in d. Castro S. Petri quobannis celebrari possit, ita ut X.ti fideles easdem prorsus Indulgentias et Peccatorum Remissiones ac Penetentiarum Rellaxiones si Processioni p.te Dominica immediate sequens. post festum S. Nicolai Tolentini hujusmodi ___
celebrande interfuerint inposterum consequantur, quas consequerantur si eadem premissa in prima Dominica Adventus ademplarent, domodo d. Processio de Scientia ordinari fiat ac servata in reliquis forma Litterarum predictarum aucthoritate apostolica tenore preventiam perpetua transferimus, comutamus, concedimus et Indolgemus. In contrario facien. non obstan. quibuscumque. Dat. Rome apud S. M. majorem sub annulo Piscatoris Die XIX augusti MDCLXII. Pontificatus nostri Anno octavo. Pubblic. Antonius Rodolfus Vicar. generalis. Ar.cist. fol 60. Cesar Danesius Bonon. E.cte major Canell. S. Ugolin.__ .
Adì 22 agosto Marco Gallo, dalla cui discendenza ne venne poi il Cardinal Galli bolognese canonico di S. Salvatore, sposò Lucia di Lorenzo Gordini.
Monsig. Girolamo di Sabatino di Girolamo di Sabatino Bertuzzi di Castel S. Pietro nato l’anno 1582, 14 settembre in Villa, attese alla via eclesiatica ed alli studi in Bologna, dove divenuto sacerdote li 9 giugno 1605 si appigliò allo studio delle leggi, fu poscia laureato nella med. città d’anni 22 in ambe le leggi, come si rileva dall’Instrumento di sua Laurea sottoscritto da mons. Ridolfo Paleotti Arcidiacono di Bologna presso la familia di questi due fratelli Giuseppe ed Antonio qd. Pio Bertuzzi, discendenti del sud. Sabatino Bertuzzi ed agnati del prelodato monsignore.
Fu insignito del Caratere di Protonotario apostolico e di tutta la scuola di Bologna maggiore cancelliere, come ne appare da d. In.to rogato per Gio. Battista Rustighelli not. di Bologna specialmente a ciò deputato dal med. Archidiacono.
Doppo il 1640 trasferissi in Roma ove nel dì 26 aprile 1649 fu fatti Abbate di S. Maria di Monte Armato di Bologna per lettere papali di Innocenzo decimo presentate a monsig. Domenico Odofredi V. G. del vescovato di Bologna, accettate e riconosciute li 6 maggio 1649, documenti tutti presso la d. familia.
Doppo ciò li 14 settembre 1652 fu fatto canonico della Basilica di S. M. Maggiore di Roma come per Bolla di d. Pontefice, il quale nel dì primo ottobre lo dichiarò suo datario e refferendario nell’una e nell’altra signatura e di lui Prelato domestico, come da altra bolla segnata nel dì primo ottobre 1652 data in Roma presso S. M. Maggiore.
Nell’anno poi 1654 li 16 marzo fu fatto canonico della Basilica di S. Pietro di Roma come appare da altra Bolla pontificia. Finalmente carico di meriti ed onori finì li suoi giorni in Roma l’anno presente 1662. La di lui sepoltura si fu da esso lasciata nella chiesa parochiale di S. Biagio della Fossa, come ne appare dal di lui testamento rogato li 6 agosto in Roma per il not. Girolamo Simoncelli.
Tutte queste notizie le abbiamo dedotte da documenti autentici comunicatici dalli d. Bertuzzi eredi mediati di questo illustre soggetto, il quale nel corso di sua vita si procacciò l’amore universale di chi lo conosceva. Lasciò una mediocre eredità, poiché egli era uomo generoso e limosiniero. Nella med. chiesa di S. Biagio le fu fatto il deposito del di lui cadavere colla inscrizione che qui apponiamo di cui li med. Bertuzzi ne tengono copia unita alli documenti accennati per memoria di un tanto di loro ascendente chiaro ed illustre.
Hieronimo Bertuccio
I. D. V. Prothonotario Apostolico
Montis armatis Diecesis Bonon.
Abbati
S. M. majoris Urbis Canonico coleg.
Utriusque Signature Innocen. X
Referendario, Datario, Prelatoq. Domes.
Aetatis annor LXXX Vite functa
Raphael Beruccius
Patruo Optimo
M. P.
A. MDLXII
Li 3 settembre, prima domenica del mese colla pubblicazione del su riportato Breve apostolico affisso alla porta maggiore della loro chiesa, questi P.P. Agostiniani di d. S. Bartolomeo fecero per la prima volta la processione per il Castello e Borgo con la nova imagine di rilevo della Centura senza intervento dell’arciprete e clero secolare ma colla sola compagnia di S. Cattarina e così diedero esecuzione alla grazia riportata a fronte della nimicizia dell’arciprete. Terminata la funzione si diede la benedizione al numeroso popolo in mezzo alla strada maggiore del Castello presso la sud. chiesa di S. Bartolomeo.
Qual ramarico ne provasse l’arciprete è innarabile. Il medesimo, divenuto torbido con tutti, doppo questo fatto intese rivolgersi contro la Comunità. Si fece perciò ad impedire alla med. l’accesso alle campane pubbliche che sono nel campanile della med. Comunità vicino alla chiesa arcipretale, ne fece perciò egli apporre a piano terreno all’ingresso di quello una seraglia con grata di legno ad uso di cancello colla chiave per modo che solo abbasso e poi anco con licenza non si potevano sonare le campane.
Ricorse perciò la comunità al superiore eclesiatico adducendo che voleva in libertà le campane come robba sua e l’accesso libero a quella sopra la torre per chiamare il popolo alle occasioni all’arme, al foco et ad ogni altra circostanza quantunque il campanaro fosse gravato di questo peso e di obbedire alla Comunità. Ne fu instruito il giudizio avvanti il V. G. vescovile di Bologna e chiamato in contraditorio l’arciprete colli uomini componenti la Comunità, si venne al contraditorio giudiciale coll’arciprete il giorno 14 settembre in seguito del quale fu decretato che, ferma rimanendo alla Comunità la facoltà di eleggere il campanaro, si dovesse a spese della med. fare un uscio ed ingresso al campanile in loco più comodo, onde potessero li massari pro tempore avere accesso alla campana onde chiamare il popolo all’arma e fosse chiuso con due serature da tenersi una per l’arciprete, l’altra per la Comunità, che tanto era anco di mente dell’arcivescovo, come si riscontra dalli atti di Carlo Vannetti e da documento presso di noi unito ad altri. Ciò fece il cardinale per il bene e pace del paese come riscontrasi nel d. decreto.
Possibile che li parochi di questo loco abbiano sempre da tentare il suo gregge in disturbi! e pure sarà vero, come si riscontra nelli parochi sucessori a cod. arciprete, conforme abbiamo notato nelle memorie della Comunità e di altri luoghi che a suo loco riferiremo.
In seguito pertanto di tale decreto, fatto nel sucesivo ottobre, fu fatta una scala provisionale fuori della sagrestia mediante la quale, passandosi per il cemetero senza punto passare per la chiesa e sagrestia, si ascendeva alle campane e credendosi per tanto appianate tutte le difficoltà e che l’arciprete si aquietasse al decretato ed alla mente dell’arcivescovo.
Fu tutto l’oposto, impercioché sicome da questa nova scala introducente nel campanile e dal campanile si passava mediante un piccolo andito sopra la volta della chiesa all’orologio pubblico, che esisteva nell’angolo sinistro della facciata della med. chiesa colla mostra respiciente la via maggiore del Castello, che fu poi levato sotto il governo dell’arciprete Bertuzzi come riferiremo alla sua epoca, così non declinando l’arciprete Comelli dalla sua turbolenza, impugnò questo secondo passaggio e diritto comunitativo, onde non si potesse più passare all’orologio. Stette per tanto alquanto tempo il paese di non sentire le ore onde il paese era in sussuro.
Si ricorse di novo all’arcivescovo e V. G., fu indi interposta la mediazione autorevole del R. P. Antonio M. Gherardi de Minori Conventuali, lettor pubblico di Bologna, quale, spedito d’ordine di mons. Vicario Generale Ridolfi a Castel S. Pietro per sedare la controversia ed il tumulto che si era promosso nel popolo, questi operò col maggior calore possibile ma fu vano presso l’arciprete che ostinato non si volle mai piegare ad alcun progetto. Che perciò fece egli il dissegno della chiesa, campanile ed orologio e presentollo al Vicario e all’E.mo, ma l’arciprete vieppiù indurito si oppose a tutto onde la Comunità fu necessitata ritornare alli atti giudiciari.
Ottenne questa in seguito decreto favorevole per li stessi atti Vanotti il dì 23 decembre col fare restituiti ex integro le chiavi del campanile per l’accesso all’orologio ed alla forma del dissegno, del che tutto ne appare alli atti del med. notaro.
Dell’anno poi 1663 all’entrar di genaro occupò la carica di Massaro per il primo semestre Francesco Vanti. Li nomi del podestà e notaro l’estratto dell’archivio pubblico ce lo ommette.
Li 15 genaro si fece sentire il tuono replicatamente fra lampi e con strepito grande, cosa non più sentita a questa stagione ed il dì 18 d., doppo impetuoso vento scirocale, venne neve altissima cosiché fu necessario scaricare li tetti alle case. Chi non attese a questo provedimento patì di molto. Alla chiesina di S. Giacomo e Filippo al ponte Silaro cadde il tetto, al Castelletto cadde un pezzo di fabbricato col tetto e rimasero sepolte le bestie. Nel Castello tre casette nella via di piazza Liana, nel Borgo verso S. Pietro un coperto alla casa di Alfonso Graffi. L’Ospitale de Pellegrini ed Esposti in questo Borgo patì la stessa sorte e se alcuni pellegrini ivi ospitati non partivano la mattina di bon ora restavano sotto le ruine di una parte del tetto. Su questi fatti molti paesani puntellarono le case più deboli ed altri le fecero scaricare.
L’ultimo giorno di Carnevale che fu li 5 febraro abbiamo, dalle carte dell’archivio del supresso convento di questi P.P. agostiniani di S. Bartolomeo, ritrovato che nella loro chiesa si fece solenne festa ad onore di S. Agata all’altare delli Chersoni da una adunanza di donne devote che a guisa di congregazione formavano la loro prioressa ogni anno, Questa unione trovasi continuata fino al 1678 e più oltre non ne abbiamo memoria.
Egli è sempre stato costume della nazione bolognese che quando si giungeva alla metà di Quaresima formare un baccanale e divertimento della gioventù onde in alcuni luoghi si facevano feste coll’abbruciare una figura di donna vecchia, assomigliando questa alla Quaresima ed in alcuni luoghi si riempiva di capechio, paglia ed altro combustibile ed in altri riempivasi simile figura grande al naturale di (…), di robbe comestibili e fruti secchi quaresimali, segarla a traverso onde cadessero li frutti secchi e robbe, per la qual cosa seguendosi questo stile anco ne paesi picoli di segare questa vecchia alla metà di quaresima, così nel dì primo marzo di quest’anno accadde che Gio. Battista Marochi di Castel S. Pietro, uomo quanto faceto e di talento, altrettanto facile a mettersi in impegni di bacanali e feste popolari, fece in questa sua patria nella pubblica piazza alzare un rogo di fascine e legna arida e dappoi vi sovrapose una figura grande al naturale ripiena di capechio e sbruffi di polvere da archibugio, fatti con artificio tale che accesi dal foco saltellavano qua e là.
Onde occeso il rogo, inalzandosi la fiamma in modo che ognuno poteva approssimarsi alla med. per iscaldarsi, una povera donna in età avanzata ebbe con altre doniciole il coraggio di approssimarsi al circolo che faceva la plebaglia e li ragazzi intorno al rogo acceso e, comechè li ragazzi sono impertinenti, ve ne fu uno tra questi che gridando: bruccia la vecchia, bruccia la vecchia, se ne ebbe a sdegno quella e con poca prudenza dette un pugno ad uno di quelli che gridavano.
Questi, sentendosi offeso senza avere beffato né vilipesa la vecchiarella, si adirò in modo che colli altri suoi compagni diedero tutti urti a questa la quale, non avendo forza bastevole a difendersi dalli amutinati ragazzi contro essa, incontrò la sorte di essere urtata fra le fiamme dove, appiciatosi il foco alla rocca carica di gargiolo si accese tostamente e si appicciò pure il foco ai cenci che la coprivano onde cominciò la meschina ad abrucciare. Nel mentre che le persone poi volevano estinguerle il foco che le abbruciava li panni cominciarono a crepitare li globi di polvere artificiale che erano dentro la figura della vechia finta che si abbruciava sul rogo, per la qual cosa la meschina fu tratta fuori dalle fiamme che aveva d’intorno e restò maltrattata. Ne naque un rumore tale che aveva messo in iscompiglio tutto il bacanale e molti furono perciò in pericolo di rimanere offesi.
Adì 30 aprile, lunedì primo giorno delle Rogazioni di M. V., trasportandosi la di lei Imagine di Poggio per il Castello ed incaminandosi processionalmente verso il Borgo appena giunta la Compagnia alla porta inferiore si sentirono molte archibugiate nel Borgo, segno di una baruffa accesa, onde cominciando il popolo a correre verso il Castello convenne retrocedere colla funzione. Durò un’ora buona l’azione nella quale crepitarono armi ma niuno restò perciò leso. Li rissanti furono parte di Casalfiumanese e Fontana e parti di Castelbolognese. Il non essere perito alcuno fu grazia singulare di M. V, alla quale per trofeo furono portate le armi crepitate.
Li 29 maggio in Bologna morì il dott. di leggi ed avvocato Domenico Comelli nazionale di questo nostro Castello e cugino dell’arciprete accennato. Lasciò erede un di lui filio naturale il quale, morto senza sucessione, ordinò la fondazione di un colegio in Bologna sotto il proprio di lui cognome ed ebbe una pingue eredità
Prosseguendosi da questi P.P. agostiniani ad accrescere il culto a Dio e Santi, avendo di già prima incominciata in questa loro chiesa di S. Bartolomeo una pia Unione di uomini e donne sotto la protezione dell’Angelo Custode, procurarono per maggiormente assodarla che fosse eretta canonicamente in Compagnia. Ricorsero quindi al Vicario Generale del vescovato di Bologna mons. Antonio Ridolfi il quale, intesi li testimoni degni di fede ne segnò il seguente decreto sotto il giorno XV giugno:
Die 15 Juni 1663. Antonius Rulghius I. V. D. Protonot. Ap.licus, Ill.mi e R.mi D. D.ni Hieronimi Boncompagni Archiep. Bonon. et Principis Illiusq. Curie. Archipalis in spiritualibus et temporalibus Gn.lis Vicar. Universis fedem facimus et in D.no attestamur. sicut Nobis (….) ex fide dignorum Testium medio eorum juramento in >Curia nostra archiep. et examinatorum aclesia S. Bartolomei R. R. Patrum S. Augustini Castri S. Petri Diecesis Bonon. erectione et fundatione Societatis Angeli Custodis Habuisse et hobere omnes Eclesia S. Bartolomei erigi fundarique possit d. Societas Angeli Custodis, prout sie Nos per presentes causemus, existimomus et arbitramus, Declarantes d. erectionem et fundationem, ut supra facinedam, habituram esse omnia et singula prescripta in Costitutione S. Memorie Clementis VIII sub die 24 X.bris 1604. Sicque pergetuis futuris temporibus posse et debere contunuati et prossequi secundum tamen Capitua facienda per (..) recognosenda et approbanda. Ordinamus et mandamus Capitula q.ta cum et quamdo per Nos appobata fuerint ex nunc prout ex tunc servari et executionem demandari per agregatos et agregandos in q.ta Societate Angeli caustodis et q.to non tantum sed at omni. Antonius Rudelghius V. G. Alexius Barberinus Curie Archiept.lis Bonon. Not. L. +. S. il di cui originale autentico lo conserviamo con altri documenti del paese.
Prosseguendosi acremente la lite del campanaro, campanile ed orologio fra la Comunità e l’arciprete Comelli fu decretata una visita giudiciale di mons. V. L. all’effetto di rillevare le ragioni e la verità sul fatto, per ciò nel dì 18 cadente giugno mons. Ridolfi si portò in loco a spese della Comunità ove intervennero anco li curiali d’ambo le parti. Nella visita seguì contraditorio fra le parti, onde il Vicario pesate le ragioni della Comunità moderò il decreto già fatto e favorì la Comunità.
Intanto fu estratto Massaro Lorenzo Graffi, quale prese il possesso del suo ministero il dì primo lulio e Podestà fu Annibale di Lodovico Prati e suo giusdicente Tomaso Boschi.
La raccolta di grano fu scarsa, onde immediatamente fu fatto il calmiere a l. 11 la corba.
In questo tempo finchè si contendeva giudicialmente l’acesso al campanile e orologio fra la Comunità ed arciprete, fosse accidente o fosse malizia, si ruppe la seconda campana in quello, detta volgarmente la mezana. Fu tosto levata e trasferita nella casa comunitativa per rifonderla a suo loco e tempo. Fu questo accidente un forte motivo alla Comunità di sostenere li suoi diritti sopra la campana e campanile e tassa de morti.
Vedendo per ciò la Comunità il Vicario propenso per l’arciprete, avendo quella patito decreti passivi interlocutori, appellossi da quelli a mons. Vicelegato per li atti Landi nel foro civile di Bologna. Pendente questa rabbiosa lite si interposero persone qualificate per l’acomodo ed infrattanto si sospesero li atti giudiciali.
Avendo li birri assediati alcuni banditi fuorusciti nel loco detto la Tombazza, ove si erano fortificati in quella casa, ne seguì non piccola baruffa fra li med. banditi e birri onde di questi ne vennero morti alcuni e convenne loro abbandonare l’assedio, poiché li assediati furono rinforzati da altri banditi romagnoli e terieri. Se ne fece una processura nel settembre che durò molti giorni.
Essendo vacati N. sei posti di consilieri nella pubblica rappresentanza di questo Castello ne fu fatta perciò in appresso la nomina al Senato scritta a mano di Camillo Felina notaro di Bologna che serviva la Comunità al uopo anco da cancelliere. Furono perciò nominati li seguenti: Carlo Andrini in loco di Pietro suo padre, Domenico Battisti in loco di Lorenzo Albruni, Lorenzo Gordiani in loco di Giovanni Bonetti, Marco Calanchi in loco di Giovanni Farnè, Giovanni M. Martelli in loco di Francesco Ruggi e Giacomo Galassi in loco di Francesco Vanti. Furono tutti nel dì 27 decembre abilitati a governo ed alla carica di massari.
Il Canonico D. Petronio Francesco Gardenghi doppo avere fatto il suo testamento nell’ottobre decorso in Roma segretamente per li atti di Giuseppe M. Grilli, di cui ne abbiamo copia, beneficò li suoi congiunti e concittadini di questo paese di cui ne era esso nazionale e perché la di lui familia era diramata in diversi colonelli, come si legge in d. testamento, noi perciò ne apponiamo il nome in questa nostra narrazione del colonello che tuttora è vegliante in questo Castello ed è di Carlo, Domenico fratelli Gardenghi di cui ne sono ora li sucessori Carlo e Girolamo Gardenghi. Il d. canonico assieme con Angelo Gardenghi, stabilirono in questi tempi il loro casato in Roma e con fortuna si è ampliata questa familia al segno di aprire pubblico Banco e negozio di spedizioniere.
Nel giorno primo genaro 1664 entrò Massaro Giacinto Simbeni, fu Podestà per il primo semestre il Conte Filiberto Vizani e suo not. giusdicente Tadeo Tasconi.
Ad ogetto poi di dare l’ultimo fasto alle vertenze giudiciali fra l’arciprete Comelli e la Comunità si convenne che novamente il V. G. si portasse in loco a visitare il fatto. LI 14 genaro per tanto si portò a Castel S. Pietro col notaro Carlo Vanotti. Doppo lungo contrasto fra li legali d’ambe le parti si venne finalmente ad una Capitulazione, quale concordata, per che non nascessero novi articoli e dubbi fu ordinata imediatamente la stipulazione per rogito pubblico, onde li 19 di questo stesso mese fu celebrato il solenne instrumento a mano del not. Carlo Landi. In questo instrumento si legge la posizione di tutta la causa e li capitoli della transizione che sono:
1° – Che alla Comunità spetta il nominare tre sogetti per campanaro idonei e che all’arciprete spetti eleggerne uno delli tra nominati.
2° – Che il campanaro si obblighi di fare fedelmente il suo officio tanto per la custodia delle campane che per l’orologio.
3° – Che in caso di licenziare il campanaro siavi l’intendimento comune.
4° – Che spetti alla Comunità pagare il campanaro ed all’arciprete darvi l’abitazione.
5° – Che finatanto che sarà fatta la scielta del campanaro si ascenda alle campane per l’uscio fatto dalla parte della corte, che corrisponde nel cortile vicino al cemeterio e la chiave di d. uscio poi stia presso l’arciprete.
6° – Fatta che sia la chiave di d. uscio stabile, stia la chiave presso il Massaro.
Quanto poi alla tassa per li morti si rimette tutto a mons. Vicario.
Perché in questo tempo vertivano differenze fra Principi cristiani massime dalla parte di Lombardia ove erano truppe e temendo dalli austriaci essere assaliti da quest’altra parte, furono spedite truppe nello stato eclesiatico ed a Bologna specialmente alamani, perciò il Papa che vedeva uno scompiglio grande mandò un Giubileo papale ne suoi stati. In Bologna fu pubblicato li 23 marzo ed a Castel S. Pietro li 27 dello stesso.
Infrattanto monsig. Girolamo Boncompagni dichiarato Card. Arcivescovo di Bologna se ne diedero universalmente nella diocesi segni di giubilo. In questo nostro Castello se le diede simile addimostrazione più di ogni altro nell’oratorio della Compagnia del SS.mo li 30 marzo domenica di Passione allorché il di lei miracoloso X.to era esposto discoperto e fu solennemente portato nella arcipretale vicina, avvanti il quale si cantò l’inno ambrosiano, doppo essersi presa l’indulgenza del giubileo in forma da quella Compagnia.
Il giorno primo lulio occupò la carica di Massaro Stefano Alberici, quella di Podestà Antonio Andrea Boni ed il notaro suo fu il d. Tacconi.
Composte poi le diferenze fra la Comunità e l’arciprete fu rifusa la campana mezana sotto il passato Massaro, ma non fu posta in opera finchè non furono ultimate tutte le vicende, onde solo li 14 corrente lulio, giorno di S. Bonaventura, fu posta nel campanile. Attorno alla campana eravi questa inscrizione: Deo Patri Virgini Marie, Beatoque Petro. Superiormente ed inferiormente alla bocca: Haec sumptibus pubblicis refacta Campana, Hiacintus de Simbeni Massar. Anno D.ni MDCLXIV, da una parte vi era lo stema della Comunità rappresentante due chiavi incrociate col gonfalone sopra, dall’altra l’imagine di S. Pietro, poi vi erano anco due medaglie , in una un crocefisso ed all’opposto l’imagine di M. V. e di S. Biagio, indi la inscrizione del funditore di questo tenore. Jo. Dinarellus Professor Bonon. Fu di peso Lib. 934 e costò 139 lire di Bologna di fattura. Durò fino alli 20 marzo 1707 in cui fu parimenti rotta. Tutto ciò riscontrasi nelle archivi della Comunità e parochiale.
Li 8 agosto Girolamo Rossi di Castel S. Pietro all’oggetto che fossero adempiti li suoi obblighi all’altare delle stigmate di S. Francesco in questa chiesa de MM. OO. assegnò alla Compagnia di S. Cattarina due case nella via Framella contro il convento di d. P.P., come per rogito di Filippo Carlo Medici.
Terminati li arcibanchi e postergali di noce della Compagnia di S. Cattarina furono appostati, costarono l. 2700 come di tutto ne appare da pubblico rogito di Tadeo Tacconi not.
La carica di not. giusdicente l’anno seguente 1665 per il primo semestre fu conferita al d. Tacconi dal Podestà estratto Conte Astorre Bargellini e Massaro fu Carlo Rondoni.
Le comunità del contado poste alla confina, come quelle che erano più sogette alli disordini, massime la nostra di Castel S. Pietro, essendo gravate a pagare le Cavalcate che si facevano dal Criminale di Bologna a motivo de misfatti che acadevano in quelle e poi ripeterne da malfattori la emenda delle spese, il che non accadeva quasi mai a motivo che li malviventi erano disperati, così si unirono tutte le stesse comunità e ricorsero al card. Pietro Vidoni Legato, acciò vi mettesse una providenza facendole costatare che li pagamenti delle Cavalcate si ponevano in riparto delle colette comunitative e si pagavano da contadini e possidenti, ne mai si vedeva il ristoro.
Il Legato conosciuta giusta la instanza decretò nel dì 26 febraro che in avvenire non si potessero accomodare li contumaci dal tribunale se non colla fede della Comunità di essere state rimborsate delle spese patite per li loro reati, mentre per l’addietro si componeva col tribunale senza pensare ad altro ( Lib. picol. Divers. in archivio comun.)
In fine di questo mese cominciò tanta neve che durò in fino a maggio in terra. Gio. Battista Fabbri capitano fu dichiarato “Lanza Spezzata” dal colonello Costanzo Zambeccari.
Il Marchese Guido Barbazza cavaliere, potendo abusarsi della bontà del card. Legato, fece levare di carcere persone da lui dipendenti, che stavano ivi con cappi a piedi ed altri carcerati ancora. Per tante protezioni il contado era divenuto un bosco di malviventi e tradimenti.
Nella legazione di questo Legato Vidoni, che già terminava col suo triennio nel corrente giugno, si contarono nel Torrone tremilla persone ammazzate, che erano state denunziate.
Li 16 d. partì il legato per la via di S. Giovanni in Persiceto. Li 22 dello stesso mese in Roma di domenica venne il novo card. Legato Carlo Caraffa incontrato a Castel S. Pietro dal Marchese Odoardo Pepoli ed Alessandro Fachinetti ove imediatamente se ne andò a Bologna. In questo tempo fu ordinata la descrizione delle strade nel comune di Castel S. Pietro.
Il primo giorno di lulio entrò Massaro Giovanni Rapini e Podestà il Conte Rizzardo del Senatore Alamanno Isolani. Per la effettuazione del campione delle Strade furono fatti Assunti Giovanni Rapini Massaro, Biagio Sgarzi, Lorenzo Graffi, Trajano Scasilioni e Stefano Alberici.
Non ostante le nevi e freddo patito fino a maggio, come riferisce la Cronaca MM. SS. Caradori di Budrio, che si pensava avesse distrutto li formentoni, si fece un discreto raccolto e fu perciò fissato il calmiere a l.7: 10 la corba.
Li uomini turbolenti della Villa di Poggio che pure non volevano vivere subordinati a Castel S. Pietro, fecero nove instanze giudiciali per li atti di Governo per la smembrazione dal nostro comune, ma patirono decreto contrario.
Terminato il Campione delle Strade fu presentato dalli sudd. Assunti il dì 15 novembre all’Officio dell’Aque al quale erano not. Marsilio Lombardi e Paolo Geremisi.
Terminato e perfezionato il convento di questi frati di S. Francesco e la loro chiesa, affinchè a posteri fosse nota l’epoca di ciò il P. Giacomo di Castel S. Pietro della familia Battisti dello stesso ordine vi fece apporre li la inc.ta inscrizione alla finestra interna della chiesa, la quale fu poi dal P. Giacomo di Veggio guardiano al nostro secolo la fece trasportare nella capella sinistra dell’altar maggiore, ove e più comoda al lettore.
D. O. M.
Hoc quod antea rude Sacellum, nec non adjuncum
ad solam Hospiti structuram erat Lipellum
Pater frater Laurentius a Brixichella
Presentis ad hujus que modo extata Venustatem Delubri
Conventus quoque non injucundi formam reduxit
illud hic fera totum ingessit ipse Bonum
quod satius tempore accrescere assolet Cursu
ejusdemopera ab anno 1626 omine cepta fausto
sibi Odone Landis costruunt Apodoxim
at superos abiit, dum obiit nature debitum solatus
Mense X.cembris 1645
Propterea ne tanti Viri preconia silentium clepat emerita
et me proverbialis illa premia locum habeat, silicet
qui procul est oculis, procul est a limine Cordis
Frater Jacobus a Cstro S. Petri
Hujusmet Cenobi Guardianus hoc posuit Monimentum
murmure. utcumque facundo
A partu Virginis Anno 1665

Il primo genaro poi 1666 entrò Massaro Biagio Sgarzi e Podestà fu il Conte Angiolo Michele Guastavillani, suo giudicente Tadeo Tacconi. Poco abbiamo da narrare in questo primo semstre poiché il card. Legato Caraffa si faceva temere.
Li 13 aprile in mercordì primo giorno doppo le feste di Pasqua, si sentì la sera universalmente il teremoto, si fecero perciò orazioni di penitenza perché prosseguì a sentirsi di quando in quando.
Li 2 maggio venne a Castel S. Pietro il P.re Francesco Serafini gesuita, oratore insigne, a fare le Missioni che durarono fino alle Rogazioni che caddero nel dì 31 maggio.
Li uomini della Villa di Poggio novamente inquieti fecero novamente instanza all’Assunteria per li atti Castellani notaro di Governo, affinché si facesse il parimento della loro inghiarazione separata dal comune di Castel S. Pietro. L’Assunteria per ciò, per non dare stato alla loro finezze, decretò: Servari solitum.
Il primo giorno di lulio poi entrò Massaro Trajano Scasilioni. Il giudicente del Podestà fu Filippo Carlo Medici.
Il dottor Giacomo Laurenti di Castel S. Pietro, detto volgarmente dalla Broccarda perche abitava continuamente in questa sua villegiatura, sposò Lucia qd. Alessandro Comelli. Questa familia Laurenti si è estinta doppo il 1750 la cui eredità in vigore di testamento del fu Nicolò Comelli, come abbiamo notato, passò all’altare del Crocefisso e SS. Pietro ed Andrea nella capella del Rosario di codesto paese, ove avvi il bel quadro di Pietro Facini dipinto a tempra in tela, opera di 48 ore e solamente è terminata la testa del X.to.
Il R. P.re maestro Francesco M. Nicoli MM. OO. di Castel S. Pietro, uomo di gran merito, fu in quest’anno eletto deffinitore nel capitolo generale in Ispagna e nello stesso tempo dichiarato Provinciale di Lombardia.
La Compagnia di S. Cattarina, inquieta coll’arciprete, ad insinuazione di alcuni individui, venne in determinazione di fare una solenne festa alla sua protetrice il giorno 25 novembre nella propria chiesa ed in seguito colla reliquia della medesima farne la processione per il paese. Giunta adunque la festa li confratelli, doppo averne cantato il solenne vespro, vestiti di cappa, incominciarono ad estradarsi per il Castello e Borgo senza l’intervento dell’arciprete e neppure colla di lui licenza e dappoi caminati pel Castello e Borgo e ritornati a casa, diedesi colla reliquia la benedizione al popolo. Spiaque all’arciprete, e con giustizia, una tale novità onde ricorse al tribunale eclesiastico per il violato Gius parochiale. Furono perciò processati nel vescovato li capi di questa azione e furono messer Arcangelo e Lorenzo Albruni, Trajano Scafilioni, Angiolo Righi, Annibale Dalmonte, Giacomo Frabboni, Pavolo Maltaresi, Christoforo Cappucci, Girolamo Trapondani, Vincenzo Furnioni, Benedetto Fiegna e Pavolo Albruni.
Dalla Processura Criminale si venne dappoi ad una lite civile nella quale furono promosse molte pretensioni per parte di quelli contro l’arciprete e segnatamente di fare le sue funzioni indipendentemente dal med., come rillevasi dalli atti Belliosi nel vescovato di Bologna. Dall’una e dall’altra parte fu scritto seriamente in jure, rilevasi ciò da documento nell’archivio parochiale indicato: Responsio legalis super supplicatione reliquie S. Cattarine facti indebite ab hominibus societatis eiusdem per castrum S. Petri absque interventu D. Archipresbiteri de Comellis ut ex Processo.
Quanto ajzasse l’animo cattivo delli componenti tale compagnia contro l’arciprete ognuno se lo può ideare, mentre questa, non ostante l’obbligo di celebrare due messe annue ed ebdomandaria nella di lei capella corrispondente nella chiesa arcipretale, cioè lunedì e venerdì, come ne rissulta dalli decreti di visita pastorale, sospesero li confratelli questa celebrazione facendola eseguire non più nella d. capella ma nella loro chiesa.
Intanto che si agitavano queste cose si giunse nell’anno 1667 in cui al primo genaro entrò Massaro Benedetto Fiegna e Podestà Andrea Ghislardi, fu suo not. giudicente Alessandro Marsimili.
Li 25 corrente venne una grossa neve che durò poco in terra cosiché al principio di febbrajo non se ne ritrovò più in terra, ma non vi seguirono grandi ghiacci. Per tale neve la parte posteriore della chiesa dell’Annunziata nel Borgo, che forma il coro, cadde di notte tempo, fu tosto da borghesani ricoperta ed il bel quadro rappresentante l’Annunziazione opera di Orazio Samachini, che stava appresso la parete posteriore fu levato e trasportato sopra l’altare, separandosi la chiesa dal coro come ora si vede.
Li 23 febbraro giorno primo di Quaresima venne una dirottissima pioggia causata da un vento siroccale che sciogliendo li ghiacci nelle superiori montagne al Silaro e trasportandone molti nella corrente si chiuse un ochio del ponte sopra il fiume e gorgogliando la fiumana cominciò a minacciare dalla parte di ponente la via romana ed allagò le vicine campagne.
Il pane che era troppo bello e buono per li scioperati, vendutosi dieci pavoli la corba sebbene il calmiere era a l. 6, fece divenire più morbidi li oziosi che inquietarono fra non molto li contadini nella seguente primavera.
Li 27 marzo domenica di Passione, trasportato il crocefisso della compagnia del SS.mo secondo il consueto nella arcipretale discoperto si fece la processione del med. giusto il costume. In questa funzione volendosi dalla Compagnia di S. Cattarina precedere nella processione e come più anziana dirigere con due bastonieri, fu motivo alla Compagnia del SS.mo di escludere quella dall’intervento, così il solo clero secolare e la med. compagnia del SS.mo, fecero questa funzione. Li 6 aprile, venerdì santo, non si fece la processione del X.sto deposto dalla croce della compagnia di S. Cattarina stanti le controversie coll’arciprete.
Li 10 d., giorno di Pasqua si fece sentire il terremoto e replicò poi il giorno 17 su le ore 21 italiane universalmente durando un’Avemaria a tremare la terra con gran terrore.
Alessandro Papa settimo si infirmò gravemente in maggio e li 21 dello stesso morì santamente. Vaccò la S. Sede fino alli 29 giugno in cui sucesse il cardinal Giulio Ruspiliosi di Pistoja col nome di Clemente nono.
Il giorno primo lulio entrò Massaro Giacomo M. Tomba, Podestà Conte Lelio Bonfilioli, suo not. giusdicente Taddeo Tacconi.
Li 4 agosto morì l’arciprete D. Alessandro Comelli filio dell’illustre Matteo Comelli in età d’anni 81 a cui fu fatto dalla familia un decoroso funerale. Questo arciprete fu l’ultimo presentato dalla Comunità all’ordinario. Si fece egli non poco odiare dalle compagnie del paese ed anco da frati e preti onde alla porta della chiesa parochiale il giorno delle settime si trovarono affissi li seguenti versi col testo scritturale, tolti dall’Achilini nel suo Viridario:
Sicut epressus est nudus de utero Matris sue nihil esseret semum de labore suo
Miseri alfin miriam di nostra vita
al vil principio che abbiam in terra
che come nuda al mondo nostra uscita
così nudo il ritorno anco sotterra,
e spenta poi riman dal ciel sbandita
la nostra gran superbia, che ne atterra
e restan dopo noi l’ampia richezza,
la pompa, gli agi e l’altre contentezze.
Ciò fu attribuito alli confratelli della Compagnia di S. Cattarina perché dal medesimo furono fatti processare criminalmente.
Li 9 agosto fu pubblicato il Giubileo Universale dopo la elezione del novo Papa.
In questo mese fu ucciso Stefano Annessi d’anni settanta, fu preso in sospetto Gio. Antonio Tomba e Giacomo M. Tomba figli del fu Matteo Tomba che prima si chiamava de Pizzati, come si legge in publico rogito delli 21 ottobre 1652 del not. Cesare Villa, si nominava anco il Bravo in toscano e nel dialetto bolognese Brav, per le sue bravure onde fu poi processato molte volte e bandito.
Attesa la morte dell’arciprete Comelli fu tostamente conferita quella arcipretale all’ill.mo D. Ottavio Scherlatini oriundo di Reggio ora nobile di Bologna dal card. arcivescovo Giacomo Boncompagni, colla derogazione dal Jus patronato della Comunità nonostante la nomina fatta da questa di un altro soggetto. Ciò lo troviamo anco notato dal Lib. 2 de diversi nell’archivio comunitativo in questi termini: 1667. Facta fuit colatio Ecl.e S. M. majoris C. S. P. ill.mo D. Octavio Scherlatini nob. Bonon. per Obitum R. D. Alexan. de Comellis de eodem Castro cum derogatione Juris Patronat. Paroch. C. S. P. post diem 4 Augusti.
Matteo Mondini filio di Francesco M. di questo nostro Castello, già fatto ajutante della pubblica segreteria di Bologna li 22 genaro 1658, pubblicò per le stampe Barbieri in Bologna un di lui libro titolato: Insinuazioni politico morali, con 50 lettere dirette alli 50 Senatori di Bologna. Di questo casato si distinse ancora Vincenzo Mondini che fu Lettor pubblico di Bologna in filosofia.
Li 24 decembre venendo alli 25, notte di Natale, essendosi compiuta la fabbrica della chiesina che esiste sopra la via corriera al fondo Polesina sul confine di questo nostro comune con quello di Liano, fu decorata questa di un privilegio pontificio singulare per la celebrazione della Santa Messa quale, essendo stato pubblicato mediante invito universale per questa notte, vi concorse molto popolo, tanto più che la notte fu chiara e limpida onde la Compagnia del SS.mo cappata, per essere bene affetta alla nobile familia Pollicini bolognese, si portò in uniforme a quella funzione assistendo il celebrante nel sagrificio. La chiesa fu dedicata alla B. V. del Carmine, S. Petronio, S. Francesco d’Assisi, S. Giuseppe e S. Antonio da Padova. Fuvi esposto il quadro di mano di Giovanni Dinarelli, che fu anco eccellente funditore di metalli il quale, come si scrisse, fuse la campana minore di questa Comunità, avvi nel detto quadro scritto: Joannes Dinarellus pingebat.
Una contemporanea lapide incastrata nella parete interna di questo piccolo edificio sacro canoniza quanto abbiamo narrato ed è di questo tenore:
Pax Vobis
D. O. M.
Apostolico Diplomato ex Gratia SS. Alex. VII
Omnibus sacerdotibus
Nullo rasservato Die, vel festo
Sanctum Misse Sacrificium
In hoc sacello libere celebrare
Licet
Supplicanto Prospero Pollicino
Preposito Bononien. Sacelli fundatori
Nel primo genaro 1668 subentrò nel posto di Massaro Giovanni M. Martelli e Podestà fu il Conte Astorre Ercolani, suo notaro giudicente fu confirmato Taddeo Tacconi.
Nel febraro il sig. Andrea di Sebastiano Anessi sposò la signora Agostina del cap. Nicolò Fabbri ambi di Castel S. Pietro con licenza apostolica.
Quantunque li paesani sentissero con dispiacere la concessione di questa arcipretale fatta dal card. Boncompagni all’arciprete Scherlatini in pregiudizio del Jus patronato spettante alla Comunità, non ostante la dottrina e merito dello stesso arciprete amansò li malcontenti e col suo lodevole operare si procacciava giornalmente l’affetto colle bone maniere e persuasive cattoliche. Pensò egli tostamente estirpare li abusi che regnavano di superstizioni in questa populazione massime ne villani, le quali noi riferiremo alle sue epoche in cui abbiamo ritrovato le memorie.
La prima di esse fu che usavano li villani legare una funicella alli piedi del cadavero e quando giungevano li parenti per accompagnarlo alla sepoltura ciascuno le diceva un Pater e poi faceva un nodo alla funicella, terminato il concorso de parenti si portava in chiesa e poi glie la riponeva in seno al cadavero. Se era una donna così operava la donna più congiunta riponendola fra le mamelle la funicella colli nodi fatti, accadeva per ciò che alle donne puepere o lattanti morte di mal violento si vedevano delle indecenze.
A questo rito se le aggiungeva una superstizione cioè: nel tempo che si facevano le esequie al morto in chiesa, una donna parente del med., quando il sacerdote cantava la messa giunto all’offertorio, ella si alzava di genocchioni, andava con un decente panierino da tutti li parenti a raccorre quatrinelli e candelline poi, fatta la scielta di sette dell’uno e dell’altro genere, con sette pani fatti a posta si presentava a piedi dell’altare finchè il celebrante aveva consumato, dappoi se ne partiva dalla vicinanza ai gradini dell’altare.
Credevano ed asserivano che li sette pani, sette quatrinelli e sette candeline erano presso Dio il Piaculo per cancellare li sette pecati mortali, il N. poi delli tre generi di specie diversa dicevano che questo numero equivaleva alle tre virtù teologali. Queste cerimonie le abolì colla prudenza e virtù il novello arciprete ed ognuno convinto dal med. ommise in avenire un tale costume.
Li 16 marzo, domenica di Passione, trasportatosi nella chiesa parochiale il miracoloso crocefisso della compagnia del SS.mo dal suo oratorio al culto de cattolici, non mancò il novo arciprete infervorare il suo popolo colle parole mediante un distintissimo sermone alla venerazione di questa S. Imagine, anzi volle coll’esempio accrescerne il culto, fece egli la solenne processione per il Borgo e Castello portando sempre esso la med. imagine.
Li 20 aprile fu dichiarato cittadino di Bologna il P.re Rev.mo Francesco M. Nicoli M.M. O.O. di Castel S. Pietro e ciò in vista e riguardo del card. Fachinetti per 22 voti favorevoli del Senato.
Li 6 maggio, domenica avvanti le Rogazioni di M. V., Andrea qd. Cesare Molinari, Giovanni qd. Matteo Molinari, Marc’Antonio qd. Giorgio Molinari e Domenico Molinari tutti di Castel S. Pietro e congiunti di sangue, essendosi portati al prato vicino al fonte della Fegatella per ivi fare una ricreazione, accadde che si incontrarono alcuni delle familia Michellini di Sassoleone che venivano al Castello. Li quali, sebbene andavano rettamente per il suo viaggio, li Molinari con parole provocanti di moteggio cimentarono li Michelini al segno che dalle parole si passò ai fatti ed andarono archibugiate. Al qual rumore accorsero altri montanari per parte de Michelini ed altri del Castello per parte de Molinari. Si fece baruffa di non lieve momento nella quale restarono feriti da una parte e dall’altra.
Li 14 d., domenica dopo l’Ascensione, cominciarono le Missioni de gesuiti, de quali era capo il P. Carlo Gherlinghelli, uomo di consumata dottrina per la quale fu poi fatto Prevosto dal 1679 nelle sua relligione. Durarono otto giorni solamente.
Li 16 d. nel Capitolo provinciale de P.P. M.M. Osservanti della Annunziata di Bologna fu eletto provinciale di questa provincia il P. Francesco M. Nicoli di Castel S. Pietro essendo pressidente il P. Bonaventura Cavalli, commissario generale e visitatore della provincia romana Ignazio Savini.
Nel dì primo lulio entrò Massaro Lorenzo di Alfonso Graffi e Podestà fu il Conte Francesco Malvasia, prosseguì la giusdicenza il notaro Taddeo Tacconi.
Li 15 decembre il Papa mediante sua Bolla supressò alcune relligioni. Venne perciò ordine a Bologna che fossero dissolti li F. F. di S. Gregorio e li Gesuati il di cui fondatore fu il B. Giovanni Colombino da Siena e li F.F. delle Grazie, onde fu gran rumore. Li motivi di tali supressioni si tacciano avendo altri cronisti contemporanei assai declamato. Li sacerdoti si vestirono da preti e li lajci tornarono al secolo.
Girolamo di Ottaviano Cavazza di Castel S. Pietro che era studente, Giacomo di Mario Galli ambi compatriotti dell’ordine de Gesuati se ne ritornarono in patria. Il primo fra non molto passò all’instituto de M.M. O.O. et andò a Luca, ove non potendo ressistere alle austerità della relligione spogliò l’abito e piantò ivi la familia Cavazza. Il Galli si amogliò e fra non molto finì li suoi giorni.
L’anno successivo 1669 fu Massaro e Podestà fu Enea di Roco Bonfilioli, sotto cui prosseguì la giusdicenza il not. Tacconi, il quale in questo anno sposò Margarita di Giovanni Astorri di Castel S. Pietro (Lib. Matrim. fol.51)
Li 7 marzo morì in Castel S. Pietro nel proprio palazzo la Contessa Anna M. Gabrielli Malvasia d’anni 73, figlia del già Conte Napulione Malvasia, e fu con decoroso funerale sepolta nella chiesa di S. Francesco de M.M. O.O. nella sua capella con questa inscrizione in macigno avvanti il supedaneo dell’altare di M. V. adolorata, di cui non vi rimane in oggi che la pura lapide essendosi perdute le lettere.
Anna M. Comitessa
Gabrielli Malvasia
Hic requievit anno
1669
In questo tempo si diede principio alla fabbrica del maestoso portico in faccia alla piazza del Castello dalla familia del cap. Gio. Battista Fabbri. Così pure fece la familia Nicoli nella strada maggiore del Castello in faccia allo stradello Vanti che fu poi detta la casa del cordone a motivo di essersi occupato un pezzo di stradello con decreto del Senato contro l’abitazione del Conte Nicolò Calderini per cui vi furono grandi liti e soverchierie fra li Calderini e Nicoli.
La sollecitudine pastorale dell’arciprete Scherlatini, impegnata a far crescere l’onore a Dio di giorno in giorno, procurò che terminasse la doratura all’ornato bello del novo altare della Compagnia del Rosario in questa sua arcipretale. Fu egregiamente eseguito il lavoro da Bartolomeo Macolino indoratore bolognese, essendo priore della compagnia Giovanni Ronchi proavo del moderno comunista di Castel S. Pietro 1796 Agostino Ronchi che, per la mutazione di governo nella venuta de francesi in Italia, fu colli altri suoi coleghi dimesso dalla carica. Costò la doratura cento doppie come si ha nell’archivio della detta compagnia, tutte offerte.
Nel giorno 13 giugno festa di S. Antonio da Padova, essendo fuori dall’abitato di questo Castello e segnatamente presso la chiesa di S. Giacomo al ponte Silaro accaduta la morte improvisamente di un zingaro ambulante con altri suoi compagni uomini e donne, ne naque tra questi uno schiamazzo assai grande onde, venendo le donne scarmigliate al Borgo del Castello gridavano e piangevano con alte voci, fecero perciò credere alli abitanti in qualche infortunio grave per le grandi peripazzie che si facevano, poiché queste cingaresche, oltre lo strepito, cominciarono anco a battersi il petto e laceravasi disperatamente i capelli dal capo. Volendosi perciò da alcuni quietarle non vi fu modo poiché asserivano questo il debito della loro nazione. Avuta tale notizia lo Scherlatini arciprete, volendosi accertare di ciò, chiamò a se le baccanti e loro richiese per che tanto facessero, replicarono essere questo il loro costume dal quale non potevano dispensarsi, per la qual cosa convenne lasciarle in balia alle loro pazzie.
Oltre alla presente memoria che abbiamo ricavato da M.M. S.S. del P. Vanti, ce lo conferma lo stessa Scherlatini nel suo libro stampato col titolo di Uomo Simbolico al fol. 59 in questi termini che quivi tutti riportiamo: Io posso attestare di evere veduto li Zingari, nazione per altro barbara ed aspra, tantosto seguita la morte di uno de suoi, la Donna essere corsa a pigliar forbici e coltelli ed alla mia presenza troncarsi la chioma. De Greci racconta Plutarco che nei loro funerali li Uomini si nutrivano e le donne si troncavano li crini. Acio Poeta dice
………………….. sed quemam haec est
Mulier funesta veste tonsu lugubre?
In seguito del sud. fatto, pressentendo poi lo Scarlatini che anco nel nostro comune di Castel S. Pietro si facevano da villani alcune cose simili alle accennate da Cingari, e cioè che quando moriva uno de capi della familia usava il bifolco di quella tostamente disciorsi il camiciotto o sia saccone e portarlo per otto giorni desciolto dopo la precitata morte col levarsi la coreggia dalla centura. Procurò tostamente estirpare questo rito e difatti le riescì, facendo costare che nessun sollievo e suffragio andava all’anima del trapassato. Il rito poi di sciogliersi il giubbone o sia saccone e camiciotto si ripete dalli stessi greci che passò in costume ai latini onde Virgilio nella sue Eneide al libro XII parlando della morte della consorte del Re latino ce lo conferma chiaramente in questa guisa
…… .. in veste scissa Latinus
Conjugis attonitus fatis ………
Questo era quanto seguiva in ordine alla superstizione vestiaria, passando poi al rito di nutrirsi, li uomini cingari, ed imitato da nostri villani, è da sapere il metodo che essi tenevano e tuttora tengono in simili casi. Quando muore un villano sia di qualsivoglia sesso si invitano li parenti più prossimi alla casa del defunto per accompagnarlo alla sepoltura al tempo ed ora prefissa. Intervengono li invitati, si accompagna il cadavere fino alla chiesa in truppa distanti poco dal defunto. Giunti alla chiesa, appena fatta la assoluzione dal sacerdote, se ne ritornano tutti in truppa alla casa del defunto. Qui sta preparata una smisurata minestra di lisagne che si divorano a crappapancia. Finchè si nutriscono li comensali, che tutti devono stare in piedi, ora l’uno ora l’altro annovera le prerogative del defunto. Ciò terminato ciascuno se ne ritorna a casa. Se la mattina seguente avvi l’officio da morto, si replica lo steso. Alla mensa è proibito assidersi alle donne, quantunque il defunto sia feminile.
Questa costumanza procurò bensì estirpare lo Scherlatini ma fu frustranda ogni sua premura ed altro non ottenne che imporre la recita della terza parte del Rosario per l’anima del trapassato e così coonestare questa costumanza. Molte altre cose potressimo aggiungere a questo proposito che si facevano non solo nel nostro comune ma anco altrove, le quali vengono indicate nell’Episcopale Bononie del card. Paleotti, ma non essendo questo il nostro scoppo abbiamo annoverato solo quelle che sono a noi pertinenti in questo tempo.
Chi fosse il Massaro del seguente semestre non l’abbiamo nelle carte comunitative. Podestà fu il Marchese Girolamo di Carlo Malvezzi.
Appianate le differenze passate fra il defunto arciprete Comelli colla Compagnia di S. Cattarina, il moderno paroco Scarlatini intervenne alla solenne festa che si fece da quella nella sua chiesa li 15 novembre.
Il dì primo decembre fu dichiarato Legato di Bologna il card. Lazaro Palavicini. Li 9 di questo mese morì Clemente IX. Partirono perciò il Legato Caraffa e l’arcivescovo Boncompagni per il conclave tenendo questa strada di Castel S. Pietro.
Terminatosi il bel palazo in questa villa nostra di Poggio dal marchese Vitale de Buoi in mezzo ai suoi beni, vi furono aposte le infrascritte memorie che noi qui riportiamo per essere questa villa membro della giurisdizione di Castel S. Pietro. Nell’atrio fuori del salone inferiore si leggela seguente:
Vitale de Bobus
Viro esteris grato, de Patria bene merito
Magni Ducis Hetrurie Ferdinandi II Cubiculario
Regendis Militum Copiis a Senatu Bononiensi
belli et pestis tempore destinato
Ab Antonio Card. Barberino ad trim Provinciarum
armilustrum injuctus Gladi Potestate delecto
quod magnifice, et regio prope sumptu
Edem hanc cum reliquis adiacentibus excitaverit
Prediis auxerit, laxatoque situ, amanitate donaverit
Marchio Andreas de Bobus Fil. et Hegres
supremama Ornatui manum imponens
strenuo, speldidoq. Genitori
Monumentum hoc statuerant anno MDCLXIX
Entro poi il salone inferiore sud. si legge da un canto la seguente inscrizione:
Gregorio XIII
qui preclari memor Conubi Missine Boncompagne
et Vitalis Senioris de Bobus varia hujus.. Gentis Privilegia
A Clemente VII precibus Andree Major Pressid. Abbar.
Reffer. ac Protonot. apost. impetrata et Pauli III liberalitate aucta
Impensibus sempletaverit
Dein Hieronimum Advicat. Comist. et pauperum creant
Cannonicum S. Petri in urbe, supremum Piceni Gubernatorem
nec non episcop. Camerini Constituens
Apud Polonos Nuntium postem decernens
ad celsiora quoque promovisset
Ni fato inpruente Celorum Clavas defernisset
Santi magnificentiam Pontificis eternam comendanturam
Universa de Bobus familia Lapidam unc excudebat An. MDCLXIX
Dall’altro canto si legge la seguente:
Immortalitati Memorie
Sover. Caroli Medices Card. Decani, Hetrurie Principis
qui spontanea intercessione, Motuque
Andream de Bobus
ad Marchionatus Dignitatem promovendum craverit
Terra S. Laurenti in Calabria citra Citerioris Sicilia Regni
ab huspaniorum rege pro eodem, eiusq. Heredibus
In perenne feudo impetrato
sed Regii Diplomatis expeditionem
cum insperato Funere prevenisset
quem vivum Debito Gratiarum Obsequio Olore futa vetuerunt
idem Andreas
defunctum hoc qualicumque Marmoris encomo
Prossequebatur Anno MDCLXIX
Evacuata la borsa del massari si procedette ad una nova, dalla quale estratto il dì 22 decembre Lorenzo Gordini, investì la carica di Massaro il dì primo genaro 1670. Podestà fu il Conte Luigi del Conte Carlo Zani.
Li 21 dello stesso mese morì in questo Castello il Conte Galeazzo Malvasia padre del senatore Conte Giuseppe e del Conte Cesare in età di anni 95. Fu portato alla chiesa di questi P.P. Cappuccini dalle compagnie, frattarìe e clero e corpo comunitativo, con tutti li stipendiati pubblici del Castello. Il donzello della Comunità, che portava la livrea rossa come si rilleva dal Lib. mandat. di quella, fu coperto in questa occasione di zimarra nera e benda su la spalla sinistra all’uso di questi tempi. Fu il cadavere sepolto nella sua capella dedicata a S. Giuseppe e Felice Cappuccino ove era il bel quadro di Giacomo Cavedoni, in luogo del quale avvi dipinto medesimamente S. Giuseppe e M. V. che presenta il divin filio a S. Felice, opera di prima maniera dell’egregio pittore Giuseppe Marchesi detto Sansone sul gusto di Marc’Antonio Franceschini suo maestro, e vi fu poi apposta la seguente inscrizione in marmo nero, benefattore esimio di questo convento in tutto ciò che le abbisognava
D. O. M.
Comes Antonius Galeatius de Gabriellis
Post emeritam humane vite Militiam
tres fere annos duodevigesimum altra lustrum
egit
depositis mortalis exuvis
hoc loci quem a fundamentis usque dilectum
liberalibus auxit muneribus
quiescens
Pacem eternam quam eidem tu quoq. viator precare
expectata
Parenti Optimo Comes Joseph Senator, et Caesar Malvasia
mestissimi posuerunt
Anno D.ni MDCLXX
Amantissimo l’arciprete Scherlatini della edificazione ed onorificenza del sacerdozio, vedendo che nella sua chiesa non vi era loco ove fare assedere il clero per la predicazione dell’Avvento che per la Quaresima, fece instanza alla Communità nel dì 17 febbraro acciò provedesse ad un comodo per li cappuccini. Ascoltò la pubblica rappresentanza la petizione e nel dì 19 dello stesso mese, primo giorno di quaresima, vi fu apposto un banco a fianco della sedia dello stesso arciprete ed un altro banco in tale occasione fuvvi aposto per comodo della pubblica rappresentanza dall’altra parte cosiché l’arciprete ressiedeva in mezzo alle corporazioni secolari ed eclesiatiche.
Li 13 aprile il Duca Farnese di Parma cola sua Principessa, convogliato da molti nobili andando a Loreto, nel transitare per il nostro Borgo colla carozza, le caddero due cavalli morti precipitando per la veemenza del corso. Fu necessitato questo signore fermarsi colla principessa e ristorarsi per la pavura avuta e scompiglio delle altre carozze e seguito di cavalli. Entrò essa col consorte in Castello e trattenendosi per due ore in casa Locatelli, se ne partirono tostamente alla volta d’Imola con altri cavalli di posta.
Li 15 d. una compagnia di fanti papalini che aveva militato contro il Turco nella Candia, venendo di Romagna passò a Bologna ed indi il 16 a Forturbano.
Lì 29 d. fu creato Papa il card. Emilio Altieri col nome di Clemente X.
Trovavansi le porte del nostro Castello, per la lunghezza del tempo, ruinate e che erano disdicevoli non che inutili al bisogno. Il Consolo Lorenzo Graffi colla partecipazione della Comunità ricorse al Senato per il ristoro che amontava alla spesa di l. 855. Il Senato rimise l’instanza all’Assunteria di Governo con tutte le facoltà ordinarie.
Lì 12 giugno si pubblicò il Giubileo universale per la nova elezione pontificia ed il dì primo lulio prese il possesso di Massaro Lorenzo Gordini. Chi fosse Podestà non l’abbiamo dalle note.
Lì 4 agosto Girolamo Lelli di anni 42 fu uciso in Castello da siccari e li corsi che quivi soggiornavano a guardia del Castello non valsero ad impedire il misfatto.
Li 14 ottobre venne a Bologna il novo card. Legato Lazaro Pallavicini. A vista fece pubblicare un rigoroso bando per le armi.
In seguito della instanza fatta per le porte di questo Castello al Senato, con ordine dell’Ass.ia si cominciò a mettervi mano e furono colocate al suo posto.
Intendeva l’arciprete novello unire la sua canonica alla chiesa e fabbricare sopra la capella della med. alcuni di lui comodi, chiese per ciò la licenza alla Comunità come padrona della chiesa di fare tale edificazione, fu negativa la Comunità onde esso ricorse al V. Generale quale, intesa le oposizioni della pubblica rappresentanza, fu intimata una visita formale, in seguito della quale, per ovviare alle questioni legali, fu concesso all’arciprete di formare un corridoio sopra li volti della capella fronteggianti l’opposta capella nova del Rosario e colla condizione che l’arciprete fecesse un picolo organo nella chiesa, come poi fece, e la Comunità le desse una picola gratificazione. Meglio sarebbe stato per esso che mai si fosse fatto tale coridore ove, andando egli a sollazzarsi et a dare sfogo alle di lui fissazioni e studi senza interompimento, non sarebbesi dementato ed aurebbe isfugito l’infelice fine che lo portò all’altra vita.
Li 6 decembre Marc’Antonio Benetti di Castel S. Pietro, avendo comesso l’omicidio come si disse nella persona di Giovanni Morandi fu appiccato per la gola in Bologna.
Vaccata la condotta medica di questo loco a cui, concorrendo illustri sogetti, fu conferita questa al celebre dott. Lorenzo Legati, la quale non cominciò ad esercitarla che al seguente 1671 in cui entrò Massaro il cap. Biagio Sgarzi e Podestà il Conte Nicolò Calderini col giudicente Taddeo Tacconi e, comechè il d. Podestà aveva il suo palazzo nel nostro Castello, ove villeggiava la maggior parte dell’anno, così il giorno 25 genaro in lunedì si portò in paese a farsi riconoscere per superiore civile e ministrale e così, dopo un lungo tempo che non si era esercitato da suoi antecessori questo ministero, in cotal guisa fu con acclamazione populare da tutta la nazione al sommo esaltato.
Scrive nelli suoi ricordi, che presso noi conserviamo, Giacomo Belzi di Minerbio sotto la giornata delli 20 febraro che, avendo il card. Legato alzato il calmiere al grano tutto in un punto dalle l. 7 alle l. 9 mediante il ricevimento di molte doppie dalli fornari, naque un tumulto particolare nella città che durò molto tempo. Su di questo esempio accaddero anco nel contado simili tumulti e specialmente in Castel S. Pietro onde, per evitare un disordine grande per il pane calato di peso, fu ordinato in molti conventi la fabbrica di pane, concorda in questo asserto la Cronica di Bologna di Alessandro Fava ed aggiunge che così si operò ancora nel contado e che, per tenere in dovere la populazione civica, caminavano pattuglie di soldati e alla campagna la sbiraglia onde fu necessitato il Legato ritornare il pane al suo peso di prima.
Li 15 marzo, domenica di Passione, doppo terminata la processione del X.to scoperto e riportato nel suo oratorio, narrano le Memorie del P. Vanti che il novo medico Lorenzo Legati recitò una orazione funerea ad onore del X.to a cui intervenne infinito popolo ed il venerdi Santo 22 d. nella chiesa di S. Cattarina fece lo stesso l’arciprete Scherlattini sopra la deposizione del X.to morto, portato in processione da questo Compagnia secondo il consueto.
Li 4 maggio lunedì delle Rogazioni venne una foltissima nebbia e così puzzolente che le persone stettero in casa fino al meridio.
Li 20 giugno si fece sentire il teremoto onde per ogni chiesa del paese si fecero orazioni.
Il giorno primo lulio entrò Massaro Giuseppe Fabbri e Podestà fu il Conte Francesco di Ipolito Marsigli.
Pressentatosi voci di contaggio nelli uomini in diverse parti di Lombardia e veneziano, li 22 lulio il Cardinale fece pubblicare un bando che li birbanti in avvenire non potessero introdursi nella città e quelli che vi fossero dovessero in termine di 24 ore partire sotto pena di galera per il sospetto ungessero le porte per introdurvi il contagio, come era stato fatto in taluni luoghi.
A motivo delle nebbie passate avendo patito il grano fu scarsa raccolta.
Li 25 ottobre si celebrò in Bologna il Capitolo provinciale de M.M. O.O. alla Annunziata ed in esso eletto per ministro provinciale il P. Lorenzo da Castel S. Pietro della famiglia Nicoli, nipote del r.mo Francesco M. Nicoli. Fu pressidente a questo capitolo il P. Leone Caromio della provincia di S. Francesco _ . Durò in questo ministero fino al 1675 come rilevasi dal Mortologio di questo convento di Castel S. Pietro e dalle mememorie M.M. S.S. del P. Luca da Carpi. Resa vacante la condotta medica fu tosto conferita all’eccelente medico ed antiquario Dott. Lorenzo Legati cremonese, professore di greche lettere in Bologna, fu amicissimo dell’arciprete Schelatini, fu scelto poi medico della casa principesca Gonzaga eletto da D. Alfonso Gonzaga. Compose e stampò diverse opere. Di esso ne parla il Fantuzzi ne suoi Scrittori bolognesi T. 7 fol. 357. Rilevasi da questa elezione in qual considerazione fosse in questa epoca la condotta medica di Castel S. Pietro avendo lettori pubblici al suo stipendio come abbiamo scritto del dott. Paolo Seda e di altri in addietro. Esisteva una Pia Unione di fedeli nel nostro Castello li quali annualmente nella chiesa delli agostiniani detta di S. Bartolomeo faceva celebrare certe quantità di messe per le anime del purgatorio all’altare di S. Nicola da Tolentino singular protetore delle anime purganti senza avere titolo particolare. Procurarono per ciò lo padri locali riddurre tale unione alla forma di Compagnia col procacciarle indulgenze. Ricorsero al pontefice Clemente X che, ascoltata la suplica, segnò sotto il dì 16 ottobre il Breve di erezione e decorolla di molte indulgenze, che latamente si vedono enunziate ne statuti fatti alla med. doppo qualche tempo, cosi che in breve tempo divenne numerosissima. Il chirografo accennato fu registrato nel vescovato di Bologna al Lib. delle Indulgenze 1671. Il novo Provinciale de M.M. O.O. di S. Francesco P. Lorenzo da Castel S. Pietro non mancò di rimpatriare nell’anno presente e farsi riconoscere per quale egli era. Nel decembre venne a questa sua patria, in tale occasione, celebrandosi nella sua chiesa la gloria di M. V. Imacolata, si fece una Academia litteraria in quella. Fu chiamata questa Accademia delli Immaturi. Più addietro non ci è riescito scoprire l’apertura solenne di essa, a questo proposito il Fantuzzi nella sua Opera de Scrittori Bolognesi, sotto l’articolo Scherlatini T. 7 fol. 355, riferisce: Che assai prima del 1667 fioriva in Castel S. Pietro questa Accademia secondo le notizie avute dal Conte Baldassare Carati e che prendesse maggior fervore dallo Scherlatini, la quale radunavasi nella chiesa de Francescani onde è credibile che questi fossero li fondatori e lo Scherlatini ristoratore. Che infatti relligiosi poi fossero li fondatori noi non lo sappiamo addottare. Se seguiamo la storia di Flaminio da Parma M.M. O.O. quale nelle sue memorie della provincia di Bologna riferisce che solamente cod. abitazione francescana ebbe figura di convento nel 1681 e Pavolo Masina, scrittore delle cose di Bologna e Territorio come quello che sapeva e scriveva le cose a suoi tempi, assicurava la fondazione di questa Academia nel 1670, che se non sussiste come crediamo conviene dire che certamente fra il 1651 e 1664 avesse la sua origine o l’avesse da paesani, poiché il paese era fornito di un dotto clero, contava nella gerarchia secolare più laureati e quivi domiciliati cioè Giacomo filio del dott. Francesco Laurenti giuristi, dott. Silvio Scasilioni medico, dott Paolo Seda, Matteo Monduzzi, dott. Antonio Fiorentini, Giulio Orsolini e molte altre persone letterate viventi al tempo dello Scherlatini. Il dott. Lorenzo Legati accennato, amicissimo dello stesso Scherlatini, nel suo Museo Cospiano fa pure menzione di questa nostra Accademia delli Immaturi, notò fuori de proposito, che entrambi la illustrassero a loro giorni, non che la riformassero ed in questa parte seguiamo l’opinione del lodato Fantuzzi asserendo che lo Scherlatini fosse ristoratore. Non v’ha dubbio che questo dottissimo arciprete non ne avesse concetto della pred. poiché oltre l’essere egli associato alla med., come abbiamo veduto in alcune sue composizioni volanti, troviamo ancora che egli d’assai la commenda nell’erudito suo libro del Uomo figurato simbolico stampato nel 1683 per Giacomo Monti in Bologna al fol. 231, ove tratta delle imprese, così egli parla: L’impresa di questa Accademia servì di scorta a dare il nome ad una mia impresa. Li Signori Accademici Immaturi quali, per dimostrare la loro concordia, si servono della antica impresa che dimostra un fascio di spiche verdi col moto: Flavescent. Figurai ancor io una Mano che andava cernendo le più elette e stagionate con isperanza averne a suo tempo il frutto dessiderato e vi posi per moto: Bella Messe di Speme io Scielgo intanto. Chi non fa che la speranza è il più sovave fra li condimenti della virtù? Che fa trangugiare le vivande delle Operazioni più amare? Fa parere breve il viaggio? Le fatiche sovavi? Fu sentimento di Biante che diceva: Dulcis res est spes e M. Tullio: Sola spes Hominum in miseriis consolari solet. Sentimento altresì ben espresso da Properzio in questi termini Spes etiam valido solatur competa victum Cruva sonant servo, sed canit inter opus Egli è ben vero che questa accademia radunavasi il giorno della Concezione di M. V. nella chiesa di d. P.P. dove ha continuato fino a doppo il 1745 col produrre il suo antico cartello, che fortunatamente ricuperassimo nella vendita delli mobili di questa illustre familia Rinaldi estinta in paese, nel quale sta dipinto a tempra, come ognuno può vedere la di quella impresa figurante un fascio grande di spiche verdi col sole in alto che le percuote co’ raggi ed una fascia coll’accenato moto: Flavescent, ed inferiormente nella base vi sta scritto gli: Imaturi , che è quanto in questo proposito abbiamo ritrovato. Giunto l’anno 1672 entrò Massaro Stefano Alberici e Podestà il Conte Gioseffo Carlo del Conte Tadeo Bianchi e suo giusdicente fu Filippo Carlo Medici che venne quivi a stabilirsi. Lo stesso fece il dott. Lorenzo Legati eletto medico a questa condotta l’anno scorso. Li 29 genaro, come narra il citato Flaminio da Parma, fu eretta la Compagnia di S. Antonio da Padova nella chiesa di questi francescani per decreto di Clemente X all’altare della familia Ricardi cedutole dalla Relligione per rogito di Matteo Mondini, ove sta collocata la statua di S. Antonio, fattavi fare per comodo delle processioni da Carl’Antonio Graffi, avo materno di me Ercole Cavazza scrivente le presenti memorie. Li 3 aprile, domenica di Passione, essendosi cominciato a vedersi alzare il sole più rubicondo del solito che infiamava per così dire il mondo, fu osservato che alle ore 22 italiane rendeva poca luce onde le genti cominciarono a sbigottirsi. Da questo accidente l’arciprete Scherlatini prese motivo di fare nella sua arcipretale un bellissimo sermone accademico ad onore del X.to della Compagnia del SS.mo, doppo averlo portato precessionalmente scoperto in questo giorno per il Castello e Borgo. Prese il testo di Scrittura: Obscuratum est Sol. Doppo alquanti giorni si fece sentire il teremoto già enunziato per la morte di X.to e proveduto accidentalmente dallo Scherlatini nella d. sua orazione, cosa che fece somma impressione in questi giorni santi al popolo fedele. In Rimino fece molto danno alle chiese in cui perirono più di 400 persone. Nel venerdì Santo che cadde li 15 corrente dopo essersi fatta la solenne processione dalla Compagnia di S. Cattarina col suo X.to deposto dalla croce, lo Scherlatini prevalendosi dell’occorso teremoto fece altro bellissimo sermone al suo gregge prendendo il testo scritturale: Factus est Terramotus magnus super Terram. Riscosse egli perciò non solo lode ma profitto ancora nel suo gregge. Il giorno 17 d., domenica di Pasqua di ressurezione, vedendo l’arciprete Scherlatini l’uso delle due compagnie di S. Catterina e del SS.mo di andare doppo pranzo alla visita della Madonna del Cozzo nella via romana verso Imola e nel ritorno fermarsi sopra il ponte del Silaro sulla via corriera, si portò egli inaspettatamente all’oratorio di S. Giacomo ivi vicino e nel ritorno delle compagnie le raffermò entrambe e vestito di cotta e stola fece ivi la solenne assoluzione ai morti sepolti nel Lazaretto vicino per la pestilenza passata. Cosa che non si legge essere mai stata fatta da alcun altro arciprete. A motivo del terremoto passato che ancora non cessava ed altri castighi che Dio mandava, l’arcivescovo Boncompagni in Bologna ordinò le Missioni per otto giorni nelli quattro quartieri, che furono poi anco fatte nella diocesi. Li 11 maggio abbiamo, dalli ricordi MM. SS. di Giulio Alberici, che trasferendosi la miracolosa Imagine di M. V. di Poggio a Castel S. Pietro per fare le solite Rogazioni, introdusse il novo arciprete Scherlatini, intento sempre a propagare il culto di Dio, l’uso di andare ad incontrarla per la via di Medicina fino ad un luogo, detto il Pilastrino, col suo clero inalzata la croce. Li 25 maggio, giorno di Domenica, si incominciarono le Missioni del P. Ghelinghelli gesuita in Castel S. Pietro e terminarono li 3 giugno festa del Corpus D.ni, ove la mattina fece fare alla populazione una comunione generale e la sera la processione per il Castello e Borgo col SS.mo alla quale intervennero tutte le corporazioni eclesiastiche e secolari del paese. Li 8 giugno in seguito della erezione fatta della Compagnia di S. Antonio da Padova per chirografo apostolico diede questa al card. Boncompagni arcivescovo suplica per fare la processione del santo colla nova statua, lo che le fu accordato per li atti di Vincenzo Cevolani not. vescovile. Nel primo di lulio entrò Massaro Lorenzo Gordini e Podestà il Conte Francesco M. di Giangiacomo Grati. Li conjugi Girolamo Rossi e Angiola Fabbri di questo Castello per contestare la loro divozione alla B. V. di Poggio cedettero alla Compagnia di S. Cattarina le rendite di due case poste nella via detta Framella in faccia al convento di S. Francesco, con patto ancora che di tali rendite se ne facessero tre parti cioè due alli frati di S. Francesco locali e la terza all’arciprete pro tempore di Castel S. Pietro, con peso di contribuire sei candelotti di cera ogni anno di libre sei l’uno per servire la B. V. di Poggio al tempo delle Rogazioni e, mancando in questo, sostituirono la compagnia nova di S. Antonio da Padova, come più chiaramente si rileva da pub. instrumento rogato il giorno 8 agosto per il not. Carlo Filippo Medici in quest’anno. Li 9 settembre si alzò un temporale dalla parte di Bologna con impetuoso vento, grandine e lampi, che scoppiò una saetta che colpì la croce di legno di questi P. P. Cappuccini che la incendiò, lasciando un fettore grande per il paese. Li 2 novembre Girolamo di Mario Galli, marito di Maria Trapondani, giovane di anni 22 fu miseramente uciso in questo loco. Li 20 detto morì Battista Tomba di anni 106 con tutti li sentimenti, ricevendo ancora tutti li sagramenti, assistito da D. Luca Mazzini novo capellano dello Scherlatini. Oltre il sofferto castigo del terramoto, il Turco inferì nove molestie alla christianità coll’armi. A questo uopo molti nobili bolognesi ed altri del contado andarono per volontari come scrive la Cron. di Alessandro Fava, alla guerra. Il Papa che vedeva travagliata la sua chiesa dalla mano di Dio, aprì i tesori della med. con un Giubileo universale che fu pubblicato li 24 del cadente novembre con indulgenza plenaria. Li 8 decembre, giorno della SS. Concezione di M. V., nella chiesa di questi P. Francescani si fece, oltre il solito, più solenne l’accademia litteraria ad onore di quella in cui garegiando fra di lor l’arciprete Scherlatini ed il novo dottor condotto Lorenzo Legati riescì, allo scrivere del P. Vanti, più brillante delli anni addietro. Al termine di quest’anno il P. Deodato Venturoli nativo di questo castello dell’ordine agostiniano, figlio di codesto convento di S. Bartolomeo della Compagnia del Suffragio in d. chiesa, come quegli che ne fu il promotore con alquanti nobili, fece apporre nella parte vicina all’altare di S. Nicola da Tolentino, sotto la finestra della chiesa la seguente memoria, che perdutasi dalle aque che scolavano internamente e dalla umidità del muro si legge trascritta in un grande cartello a lettere romane nella sud. chiesa cioè: D. O. M. Et Sanciss. Virg. Deipare Santoque Nicolao Tolentinati hanc Suffragi Societatem Anno MDCLXXII erectam Commendavit admodum R. P. Bacalaureus Odeardus Venturolus S. Offici Vicar. For. Cas. S. P.ri qui, et Anibalus in hoc seculo cum morte suitantibus, et altero inter Purgantes flammas Suspivantibus, et esclamantibus consolerat in hac Divo Bartolomeo Apostolo dicata Mole Jupolis hebdomadis Septem pro defuntis sacrificie celabrari et quattuor in Anno Sacratis Eucharistie Sacramentum administrare insituit et ne Patroni diessent in terris, cum advocatos constituisset in Celis Ill.mos D. D. Co. et Equit Josephum Michaelem Senatorem Malvasiam Ugonem Josephum March. Pepolum et Jo. Franciscum Locatellum eorumq. deincepe Iteredes et sucessores in administrationem, et consertationem adscivit, echaptavit, adscripsit quod omnes Rev.mus P. Magister Hieronimus Valvassorius totius Augustin. Cetus Generalis Cenobiarum Regente et impetrante eodem P. Adeodato in Relligionis filios adoptavit et in partem cujuscumque Meritori apud Deum Operis assumesit Additis at ond… studium, curam et diligentiam in Societatis Beneficium et dessunctorum suffragium impendant at die Censorio exactissimum Villicationis recte administrate rationem reditari Audiant simguli a Deo Judice et Domino, exsurge, et Auge serve bone et fidelis intra in gaudium Domini Tui Sebastiano Annessi estratto Massaro prese il possesso della sua carica il primo genaro 1673. Così fecero li altri ufficiali del Governo. Podestà di questo primo semestre fu il Conte Ugo Giuseppe del Conte Rizzardo Pepoli. Essendosi pubblicato in questo tempo un Monitorio papale di scomunica maggiore contro coloro che avevano sparato archibugiate in Roma contro il vescovo patriarca _ , ordinossi che si pubblicasse anco nelle diocesi e si intimasse la scomunica mediante li riti di S. Chiesa col gettare candele accese.
Non fu tardo lo Scherlatini arciprete ad eseguire ciò con quella pompa cattolica che si doveva. Quindi nel dì 6 genaro, giorno della Epifania, fatto alzare in questa arcipretale un palco, quando fu alla metà della messa parochiale, ascendendo il med. con abito lugubre con candele nere accese, maledì li malfattori, gettandole per terra a vista del numeroso popolo, nel nome di SS. Trinità tutti coloro che avevano comesso il delitto
Li 27 febbraro il card. Pallavicini Legato per bando suo proibì nel colmo dell’inverno l’introduzione del pane terriero nella città e pel contado, proibì il pane fabbricato fuori stato, onde fu gran rumore nella povertà. Una tale legge fu procurata dalli fornari troppo avidi di farsi una privativa li quali, per avere tal bando spesero e regalarono molto danaro all’Uditore di camera il quale, con mendicate ragioni di supplanto in un genere che era già introdotto in provincia e che aveva pagati li suoi dazi. Si lasciò convincere il Legato e così l’Uditore traddì la fede al Principe, vendette la ragione della povertà ed a forza d’oro senza prendersi rossore, procurò l’editto. D’onde si vide avverato il detto scritturale che: Omnia hobediunt pecunie . Properzio nella eleg. XI. Lib. 3. più elegantemente dipinge questo fatto nel seguente distico:
Auro pulsa Fides, auro venalia Jura
Aurum Lex sequitur, inox fine Lege pudor
Li 2 aprile, giorno di Pasqua di ressurezione, infiamatosi l’arciprete Scherlatini mortalmente ebbe ricorso alla B. V. del Rosario di cui ne era divoto, ottenuta la grazia della salute, procurò egli contestarne la gratitudine anco al suo gregge. Promosse perciò di far fare una statua di M. V. di rilievo atta a portarsi in processione, poiché quella che trovavasi in parochia al novo altare dorato era assai picola e sproporzionata.
Trovò l’unione delli devoti del Rosario o sia Compagnia Larga che veniva composta e di uomini della Comunità e delle altre due compagnie, ne fece il progetto e fu da tutti plaudito. In conseguenza, incaricato il med. arciprete a procurare tale statua, egli perciò scrisse al miglior statuario di Luca, Michele Andreucci per quanto ci accennano le carte dell’archiv. parocch., e fra non molto ebbe l’effettuazione della nova statua, concorrendovi ancor esso alla spesa.
Nel giorno del Corpus D. primo di giugno si gonfiò talmente il nostro torrente Silaro per pioggia seguita al monte improvvisamente che alzandosi la piena sopra le sponde innondò li vicini campi, le messi, portò via animali e annegò due fanciuletti che furono poi trovati a Castel Guelfo.
Nel primo di lulio entrò Massaro Andrea Marocci e Podestà Angiolo Michele Guastavillani.
Perché pregiudicava alla quiete della chiesa di S. Francesco il picolo vicolo a fianco della med, intermediante questa e l’orto dei frati, chiesero questi alla Comunità ed al Senato la facoltà di poterlo risserare sotto diversi capitoli. Il Senato fu condiscendente e ne segnò la grazia in questi termini che abbiamo estratta dal T. 21 fol. 43 de Partiti, trascritti dal Cav. Carati 1673. 29 agosto: Facoltà a P.P. di S. Francesco di Castel S. Pietro di chiudere un vicolo presso la loro chiesa che conduce alla mura del Castello ed alzarvi un ochio di portico presso lo spigolo di d. chiesa per unirlo a quello dell’orto Rondoni colla condizione di rissarcire le mura del Castello per quanto lungo il loro sito, ita che fu d. mura in quella parte per clausura del convento senza però aquistare mai Gius o possesso alcuno anzi fosse in potere del pubblico di tenere sempre conficarvi l’arma del pubblico in macigno dentro e fuori di d. mura e di non potere giammai in alcun tempo aprire la porta serata nel d. muro ne farvi alcuna apertura senza licenza del Senato.
In seguito di quel decreto li relligiosi locali ne segnarono di ciò la memoria, che fu poi solo aposta nel 1759, di questo tenore in macigno internamente sopra la prima porta interna del vicolo:
A solo uso de P.P.
M. Minori osservanti
fu concesso dall’Ill.mo Senato questo Vico
Adi XXIX Agosto MDCLXXIII
Li 17 settembre, avendo terminata la sua legazione, il card. Pallavicini partì in questo giorno da Bologna per la via di Firenze ed il dì 28 ottobre venne il card. Bonacursio Bonacursi che fu incontrato a Castel S. Pietro dai nobil uomini senatori Gio. Francesco Sampieri e Conte Giuseppe Malvasia, che avevano per compagni il Conte Giovanni Legnani Ferri, Bonincontro Guastavillani, Marchese Gio. Francesco Locatelli e Camillo Scappi. Arrivato in Castel S. Pietro fu banchettato in casa Malvasia.
Costumavansi dalli Mastri di Posta di Bologna e Romagna portarsi le lettere e mandarsi via le lettere di questo loco mediante un postilione, le quali lettere si ricevevano dal Donzello della Comunità che a riscontro consegnava le altre che si spedivano via, le quali venivano poste in un recipiente fatto nella casa comunitativa. Sicome nascevano spesso inconvenienti per la mancanza di postilioni che non lasciavano le lettere quivi dirette o se le dimenticavano in tasca nel cambio che facevano de cavalli e persone, la Comunità, per ovviare a questo disordine, ordinò che per l’avvenire si pagassero le lire venti che davansi al postilione al custode eletto dalla Comunità p. tali lettere e si levasse il recipiente dalla casa comunitativa e si trasferisse questo alla locanda del Portone, semprechè vi concoresse il compiacimento del proprietario della locanda, il che si ottenne e fu ciò stabilito il giorno 17 decembre del cadente anno.
Adì primo genaro 1674 prese il possesso dell’ufficio di Massaro Giovanni Rapini, il Podestà, che fu Carlo del dott. Conte Pompeo Bolognetti, non lo prese che alla metà del mese.
Il dott. Lorenzo Legati, quantunque fosse stato confirmato in questa condotta medica non ostante essendosi licenziato per coprire maggior carica, se ne partì dal paese dispiaciuto da tutti e massime dallo Scherlatini col quale intercedeva familiarità stretta. Sucesse nella di lui carica Antonio Bersani, uomo valente nella sua professione.
Non essendosi operato che con tiepidezza dalli tre deputati della Congregazione de preti D. Giovanni Paolazzi, D. Domenico Montori e D. Girolamo Marzochi per avere dal card. comendario in proprietà la chiesa di S. Pietro finalmente li 16 aprile anno presente, essendo priore D. Angiolo Zanetti e segretario D. Bartolomeo Righi di Castel S. Pietro, prete di molta attività, fu decretato dalla Congregazione che si replicasse la petizione all’e.mo Ghigi per il qual effetto fu deputato nuovamente D. Girolamo Marzocchi incaricandolo di tutto con ampla facoltà, come leggesi nel d. primo Campione fol. 29 verso.: Preterea ad suplicationes traddendas E.mo Ghigio pro ad episcenda libera faculatte Edis divi Prencipis Apostolorum siti in Burgo castri S. P. condigne judicar… ad mod. R. D. Hieronimum Marzochi, onde egli in vista di tanta facoltà spedì la suplica a Roma tostamente ma sortì la risposta negativa.
Il Papa, che aveva in vista li meriti del nostro P.re R.mo Nicoli francescano minorita, lo promosse in quest’anno con suo particolare chirografo alla carica di Ministro generale dell’ordine in loco del P.re Francesco M. Rini che passò arcivescovo in Sicilia.
Dal principio di quaresima fino ai primi giorni di giugno fu tale siccità che ogni cosa era inaridita, finalmente il giorno 3 del mese venne una grossissima tempesta mischiata a fulmini e saette che innorridirono il mondo e durò così tutto il mese ad isfogarsi il tempo e non passava giorno, conforme narra la Cron. Galassi, che non cadessero ora in un loco ora nell’altro nella città e contado due o tre al giorno saette e gragnuola grossa con danno di raccolti. Furono per ciò fatte orazioni acciò Dio ci liberasse da tanto castigo su ordine del card. arcivescovo per tutta la diocesi e furono esaudite le preghiere.
Nel dì primo lulio entro Podestà il Conte Marchione Manzoli e Massaro fu Domenico Battisti.
Li 29 di questo mese, attesa la brama che aveva di essere fatto figlio di questo convento di S. Bartolomeo il molto R. P.re Maestro Marco Bondioli provinciale, ne fu fatta la seguente proposizione dal P. Angiolo M. Fiegna priore e Vicario del S. Ufficio alli padri agostiniani locali R.R, P.ri.
Questo nostro convento di Castel S. Pietro che non è inferiore alli altri della provincia mi obbliga a cercare tutte quelle onorevolezza che lo possano rendere più vantaggioso e cospicuo. Sono già noti alle P.P. vostre li meriti del molto R. I. Maria Marco Bondioli nostro provinciale, io dunque bramoso di comunicare a questa nostra casa la Bontà e le Virtù di un tanto padre onorato prego la Paternità V.V. compiacersi elegerlo p. Seniore. Appena ciò inteso plaudirono la proposta e fu confirmata nel Libro delle proposte da tutti li vocali che furono: P. Angiolo M. Fiegna priore e vicario, P. Deodato Venturoli, P. Dionigio Mascriardi, P. Francesco Aurelio Santi e P. Francesco Signori da Cento che era tutta la familia agostiniana in questo loco e così nel venturo agosto il provinciale stabilì quivi la sua ressidenza.
Li 9 di novembre Marchione di Gio. Battista Fabbri di Castel S. Pietro fu fatto sergente di cavalleria in Bologna per il Papa sotto Costanzo Zambeccari per la guerra presente col Turco, onde tosto partì per Candia ed a confini della Germania ove il Turco si era inoltrato e si teneva forte in Buda.
Li 22 di questo mese morì la illustre signora Anna Ringhieri moglie di Flaminio Comelli in questa loro casa entro il Castello alla sinistra dell’ingresso maggiore, che fu poi palazzo Malvezzi ed ora di scrivente le presenti memorie. fu sepolta in parochia con funerale competente alla sua nascita nobile.
La posta delle lettere che si era fissa alla locanda del Portone, vedendola poco sicura la Comunità, ed incomoda a paesani, la fece trasferire alla locanda opposta della Corona ove è stata più di un secolo.
Nel primo genaro 1675 investi la carica di Massaro Benedetto Fiegna e quella di Podestà fu investita solamente alla metà del mese dal Conte Gianbattista Cattani filio del senatore Filippo Sanpieri.
E perché dallo Scherlatini si era subodorato che il card. Ghigi era irremovibile nella negativa fatta alla Congregazione de Preti della chiesa di S. Pietro e che perciò li capi di questa avevano rivolto le loro mire alla chiesa o sia oratorio della Annunziata nel Borgo, spettante questa al fondo alli borghesani e, quanto ai diritti parochiali, al med. arciprete. Egli per tanto, affine di levare le occasioni di litigio fra la Congregazione ed esso e fra li med. borghesani nel caso che quella si volesse ivi stabilire per avere il comodo della sagrestia, due altari ed altro, si fece cedere la med. chiesa da borghesani, ne seguì rogito pubblico di rinoncia a mano del M.ro Ser Carlo Filippo Medici, nel quale vi sono diversi patti e si anunzia la padronanza di questa chiesa spettante a borghesani.
Nel dì primo maggio l’alfier Gioseffo Fabbri abitante nel Borgo per fare uno scherno a castellani, accompagnato da sicari, piantò nella fossa vicina all’ingresso maggiore del Castello li Maii e ne naquero tumulti, ma furono poi calmati.
Li frati M.M. O.O. di questo loco, intenti a propagare il culto di Dio e santi, eressero in questa loro chiesa di S. Francesco la Compagnia del Cordone, conforme ci lasciò scritto Flaminio da Parma. Li med. frati poi per avere un maggior comodo di sortita dal Castello si procurarono mediante il loro odierno guardiano P. Sante da Castel S. Pietro della familia Fabbri, amico del card. legato Bonacorsi, la facoltà di aprire la porta nella mura aderente alla loro sagrestia e campanile di ragione pubblica che si teneva chiusa a motivo delle pestilenze, come si rileva dal libro delle proposte del convento e le fu concessa la grazia eccone l’estratto:
Milleseicento settantacinque sotto la Legazione dell’E.mo Bonacorsio Bonacorsi il P. Sante da Castel S. Pietro come guardiano di questo tempo e familiare di d. Porporato ottenne per suo mezo in voce dall’Ill.mo Senato di Bologna di potere aprire la porta già serrata che guarda il fiume, posta nel vico, con questo che la relligione la tenesse sempre custodita di persona e chiave e che queste stessero sempre appresso il Superiore locale del Convento per maggior cautela del paese, così pure per comodo de relligiosi, quale fu aperto il dì 23 maggio 1675. Si fece il portone necessario e finito di serramenti come sopra a spese della relligione.
Terminata la Capella del Rosario nella parochiale e facendosi ivi quasi tutte le funzioni, accadeva che la turba de contadini si affollava in essa in guisa che si facevano confusamente. Giovanni Ronchi priore della compagnia, per riparare in qualche modo a questo inconveniente, procurò che all’ingresso della Capella vi si facesse una ferrata alta guarnita di ottone. Fu addottato tale pensiero, si fece la ferrata e costò lire duemilla quattrini di Bologna.
Li 13 giugno giorno del Corpus D. l’arciprete Scherlatini terminata la funzione, fece instanza alla Comunità che si accomodasse il cemeterio in quella parte che era senza muro. La Comunità per la sua porzione vi aderì e per l’altra la Comenda di Malta e fu accomodato ma malamente dalli operari che assunsero in se lavoro e materiali.
Il dì primo lulio entrò Massaro Giovanni M. Martelli e Podestà fu eletto Antonio di Giacomo Tortorelli.
Li 30 novembre fu terminata la circonferenza di muro al cemeterio in altezza di quattro piedi da terra tanto che li cani e bestie non vi entrassero. Nel mezo del cemeterio vi fu apposta una colonna picola di macigno sopra alto piedistallo quadrato che è quello che ora si vede, levandovi l’altro piedistallo rottondo, scanellato all’uso greco di marmo beretino, che è quello che presentemente si vede appoggiato alla fiancata della casa dell’arciprete nella strada maggiore del Castello, che guarda inferiormente, e vi sui tiene ora una stalla congiunta alla canonica.
Nelle memorie di Flaminio da Parma minorita, troviamo che in questi tempi si cominciò a fare da questi francescani la Novena solenne avanti Natale di N. S. G. C. sull’alba del giorno, ove ogni mattina vi intervengono nove citelle ed una loro direttrice denominata la Matrona, si canta messa solenne, offrono le intervenienti una candela cera che si tiene avvanti esse sempre accesa ed un candelotto avvanti la matrona, che restano poi le cere tutte per elemosina alla chiesa. Ogni giorno si muta la Matrona e la spesa che tuttora si fa ascende a circa 40 pavoli per ciascuna Matrona, che pensa ella a tutta la spesa ed è di gran concorso e divozione.
Nell’entrante genaro 1676 prese il possesso della carica di Massaro Carlo Andrini e il novo Podestà, che fu Antonio Francesco di Clemente Pastarini marchese, solamente alla metà del mese.
Li 31 marzo giorno di martedì sull’ora in punto di notte si vide per l’aria un gran foco che dall’oriente passò all’occidente si velocemente che non si potette distinguere cosa fosse. Splendette così forte che sembrava mezzogiorno, aveva una lunga coda da cui cadevano scintille di foco per ove passava, sorpassò molte città di Romagna. Fu attribuito alla gran siccità essendo parecchi mesi che non era caduta pioggia e la gente sudava come fa di estate senza affaticare. Si fece la stampa e relazione di questo fenomeno che aveva il capo rottondo volto ad oriente e la coda al ponente.
Il P. Nicola Casalini provinciale agostiniano concesse a questi agostiniani di S. Bartolomeo la facoltà di produrre ed agrandire la loro sagrestia a petizione del moderno priore P. Deodato Venturoli.
La seliciata della via maggiore del Castello era così malandata che fu necessitata la Comunità ricorrere al Senato per il ristoro. Corispose questo alle instanze e, soministrando materiali, fu in breve accomodata.
La Congregazione de preti, vedendo da una parte non poter ottenere in proprietà la divisata chiesa di S. Pietro e per l’altra parte riconoscendo che la chiesa ed oratorio dedicato alla B. V. Annunziata nel Borgo era a proposito per le loro funzioni eclesiatiche ed anco per essere nella via corriera ove in essa si celebravano quotidianamente, onde per ciò era frequentata dalla populazione, pensò stabilirsi in quella ma, perché vi voleva l’assenso del paroco come capo in spiritalibus e come rinonciatario della med. chiesa da un fatto de borghesani, così ne fecero la inchiesta all’arciprete.
Il med. fu compiacente restrettivamente al solo essercizio delle funzioni sacre e colla condizione acconsentissero li borghesani legalmente. Immediatamente ne fu richiesto l’assenso, si ottenne dalli med. li quali furono sig. D. Lodovico Villa, messer Giovanni Rapini, Carlo Andrini, Francesco Vanti, Andrea Baroncini, Giovanni Battista Dalferro, Paolo Giorgi, Antonio Tomba, Domenico Santini, Antonio Calanchi, Lorenzo Beruzzi e Giovanni Molinari, imperciocché avuta la notizia della concessione fatta dall’arciprete per se stesse, come famiglie principali del Borgo e possidenti in esso e per li altri di quell’abitato, tutti di unanime consenso approvarono la divisata concessione, come ne appare dalli atti Biondi nel vescovato di Bologna come ne rissulta anco dalli capitoli e Statuti di questa Congregazione stampati nel 1680.
Infrattanto che si facevano queste cose l’Ordinario intimò li esercizi spirituali ai preti, si cominciarono questi il dì 14 maggio giorno dell’Ascensione e furono terminati li 17 d. giorno di domenica. Chi diede li esercizi fu D. Angiolo Tormanini bolognese che d’ordine del Vic. Gen. venne a Castel S. Pietro. Trasferitasi poi la Congregazione del Sufragio de preti nella chiesa dell’Annunziata, pensò l’arciprete a rifformarne li Capitoli della med.
Terminato poi il suo officio di Podestà Il Marchese Pastarini fece apporre in questa ressidenza pubblica il suo stemma colla seguete incrizione.
Antonius Franciscus Pastarini
semestris primi MDCLXXVI Pretor
Ad esso poi sucesse nella autorità pretoriale il Conte Ercole del Conte Francesco Malvezzi e nella carica di Massaro Giacomo M. Tomba. Essendo vacanti alcuni posti di consilieri furono questi riempiti da Domenico Menghini, Francesco Vanti e Giorgio Dalfoco.
Morì in questo tempo Trojano Scafilioni uomo di grande affezione alla populazione ed al ben publico di Castel S. Pietro, come riscontrasi nelli atti pubblici.
Avutasi notizia li 25 llulio come era morto Papa Clemente X nel giorno 22 cadente, il card. Legato se ne partì per Roma.
Il ponte sopra il torente Gajana, nominato Ponte del Diavolo sopra codesta via Emilia, trovandosi ruinato dalla parte di levante, fu obbligata la Comunità di Castel S. Pietro per decreto del Senato a concorrere alla spesa di l. 220 da prendersi a frutto il danaro e questi da restituirsi fra tre anni e, perché il comparto non fosse gravoso, fu ripartito alle Comunità di Castel S. Pietro, Liano, Casalechio de Conti superiore per la metà e per l’altra metà a Liano e Castel S. Pietro sopra li terreni.
Il terremoto si fece sentire con replicate scosse.
Li 22 settembre si pubblicò la elezione pontificia nel cardinale Benedetto Odescalchi da Bergamo col nome di Innocenzo XI.
Estratto Massaro per il venturo semestre 1677 Giovanni M. Martelli, ne prese l’incarico il dì primo genaro. Il Podestà che fu Carlo di Mario Cignani celebre pittore solo alla metà di genaro fu abilitato al ministero.
La nova statua di M. V. del Rosario, fatta a Luca, che doveva esporsi il primo giorno dell’anno, non si produsse alla venerazione se non il giorno della Epifania a motivo della ritardata venuta. Fu la Capella sontuosamente apparata e celebrata avvanti essa la solenne messa in musica. L’imagine vechia fu levata e trasportata ocultamente nella canonica.
Seguitando le traccie de suoi antecessori il novo pontefice Innocenzo XI concesse un pubblico Giubileo, che fu nel corente genaro pubblicato per tutta la diocesi di Bologna. Li 20 febbraro ritornò in Bologna il Legato, passando per Castel S. Pietro si fermò a pranzo in casa Malvasia ma privatamente.
Li 26 aprile, essendosi unita la Congregazione de preti nella nuova ressidenza sua della Annunziata, furono esposte alcune lagnanze sopra le constituzioni della med., onde per rimediarvi fu determinata una rifforma, a questa furono deputati l’arciprete Scherlatini, D. Paolo Baldi arciprete di Pizzocalvo, D. Girolamo Marzochi e D. Lodovico Generoli. E perché questo Congregazione si rendeva esemplare nel paese, molti secolari uomini e donne addomandarono di essere associati alla med., fu accettata la supplica ed incaricato lo Scherlatini a farvi alli altri suoi coleghi sud. la serie delle sud. obligazioni, come rissulta dal d. campione primo fol. 28 a.
Perché avvanzavansi le armi ottomane contro la Christianità, il Papa fece pubblicare una indulgenza plenaria in forma di Giubileo nel mese di maggio con ordine di fare le Missioni in Bologna e sua diocesi. In conseguenza furono queste effettuate ne quattro quartieri della città, terminate che furono esse si fecero indi nella diocesi. A Castel S. Pietro fu assegnato D. Xaverio Masetti paroco di S. Matteo delle Pescherie di Bologna, sacerdote di gran dottrina e bontà. Profittò egli molto, massime nella plebe e canapini, delli quali essendo rimasto soddisfatto, donò ad essi perciò la insigne reliquia del loro protettore S. Vincenzo Martire, cioè un osso di una gamba, come ne appare da pub. rogito di Carlo Monari not. nel vecovato di Bologna li 27 maggio anno presente stipulato.
Usava la Comunità in questi tempi porre nel comparto delle colette camerali le male spese che accadevano fra l’anno senza parteciparle alla populazione, fu quindi fatto ricorso al Governo. Il med. decretò che in avvenire si dovessero prima leggere e pubblicare in Consilio e fuori acciò se avesse qualcuno voluto opporsi l’avesse fatto ed indi rissolvere, altrimenti non si ammettesse il comparto sotto pena di nullità.
Li 31 maggio questi PP. MM. OO. diedero suplica in Roma alla Congregazione de Riti perché loro in perpetuo fosse confirmata la grazia fattale dal card. arcivescovo per la processione di S. Antonio da Padova per il Borgo e Castello senza l’intervento del paroco. Fu rescritto che si ricorresse all’arcivescovo e si eseguisse il da esso determinato.
Li 23 giugno Francesco Bartolucci di Castel S. Pietro, che fu alunno del colegio Comelli per la parentela che intercoreva fra li Comelli e li Nicoli ed atteso il nepotismo del med. Francesco colli Nicoli e cittadinanza di Bologna presa, fu laureato in quella università in ambe le leggi. Le furono perciò fatte molte poesie che si legono in un opuscolo stampato per sig. Becatrini bolognese col titolo: Giardino di Pindo, che presso noi conserviamo. Fu dedicato al Rev.mo Francesco M. Nicoli zio del laureato, si enunziano in questo opuscolo le dignità del med. di Ministro generale di tutto l’ordine francescano, Commissario generale del med. e rifformati, Qualificatore del S. Ufficio, Consultore della S. Congregazione de Riti et Indici. Il laureato, essendo giovine di molto talento, laborioso, dotto e di grande aspettazione fu in appresso chiamato alla corte dello zio a Roma a cui egli ricusò avendo altre mire, rilevasi ciò dal fol. 3 a fol. 7 e 25 di detto opuscolo.
In questo giorno fu uciso Gio. Domenico Taliani romagnolo nel nostro Borgo da altri romagnoli.
Nel dì primo lulio intraprese la carica di Podestà di questo loco Achille Vezza Albergati e Massaro entrò Giorgio Dalfoco, ma perché in appresso fu riconosciuto inabile alle fatiche della sua carica fu sospeso per li atti Bertolazzi notaro di Governo.
Calatosi il peso del pane nella città di Bologna, ne naque una sollevazione e tumulto populare che durò alquanto tempo. Capo di questo fatto fu Gherardo Tacconi brentatore di vino, li fatti che acadero in seguito si legono diffusamente nella Cron. Fava
Bernardino Fabri, discendente della familia Fabri abitante nel Borgo di Castel S. Pietro e citata in vari rogiti in questo loco fino dalle prime epoche dalla fondazione del Castello per ocasione de tumulti civili di Bologna e radicata quivi da Fabbro di Ferro, come abbiamo fra li nostri documenti nell’albero genealogico datoci dalli discendenti del fu cap. Valerio Fabbri ultimo del suo stipite, bramoso di fruire le beneficenze civiche di Bologna, dopo essere stato molto tempo fuori e coperto luminose cariche in stati esteri, addomandò al Senato la reintegrazione di cittadinanza come usano tanti altri.
Il Senato in vista delle prove fatte di sua ascendenza dal d. Fabbro e dalli onori avuti dal med. Bernardino, che fu cavaliere gerosolomitano della Sacra relligione de SS. Maurizio e Lazaro, Comendatore in Roma di Castel Gandolfo e Consiliere meritissimo del Re di Savoja, si prestò tostamente a favorirlo. Quindi nel seguente anno 1678, in cui entrò Massaro Carlo Andrini e Podestà Vincenzo di Agesilao Marescotti, fu nel dì 4 genaro spedito il seguente S. C.:
Die 4 Januari 1678. Cogregatis ill.mi D. D. Refformatoribus Status Libertatis Civitatis Bonon. in aula eorum solite Congregationis et Ressidentie in N. XXXIII inter ipsos in.ctum Partitum et legitime obtentum fuit videlicet. Cum D. Bernardinus Fabbri Sacre Relligionis SS. Mautiti et LazariHieroselomitani eques et Castri Gandolfi Comendatore, nec non Regalis Sabaudie cesitudinis Status Consiliarius meritissimus, suam ex nobilissimo et antiquissimo genere fabbrorum nobil. bononien. Originem et legittimam discendentiam juxta Artorem ab eo exibitam, a D. Fabbro incipientem per pib. Instrumenta,scripturas et autentica documenta plenissima per 600 annos probaverit et ibidem cum eis comunem et vetustissiamum gentiliti stematis usum Clipei videlicet rubei cum (…) leone rampante et cerulea fascia cum tribus liliis aureis in capite ejusdem Clipei. et insuper demostraverit p.tam eius familiam cum hiis ob civilia bella et discordias a civitate expulsamm variis in locis et prevertim in Castro S. Petri et signanter in eius Burgo et Domibus a Reipubblice historiis indicates et ordine successivo ad eum perventis diu habitasse, _
. Alteriusq. constare fecerit aliquos ex eius agnatis preterito Secula huic patrie restitutos. Patres Conscripti preclarissimi Viri precibus, ut par est, annuere volentes. ad primera jura reintegrarunt atque omnino restitutum fore censerunt. Contrariis non obstantibus quibuscunque. Cosmus Galandus Senat. Bonon. Sec. Come più latamente in tale decreto si legge. Li 18 aprile dopo seria malattia il card. Legato di Bologna morì compianto da tutti li poveri perché inverso d’essi amoroso. Fu sepolto in S. Pietro con tutti li onori ad esso dovuti. Adì primo maggio la mattina sulle ore 12 italiane, facendosi secondo il consueto la festa alli apostoli SS. Giacomo e Filippo all’oratorio dedicato a med. presso il ponte del Silaro nella via corriera, improvvisamente si levò impetuoso turbine che levando le tegole sopra quell’edificio volavano nella vicina strada e campi, onde le genti si diedero alla fuga lasciando il sacerdote solo all’altare dove aveva consagrato e fatta la elevazione della S. Ostia. Il motivo fu attribuito al passaggio di una ossessa che veniva di Romagna ed andava a Bologna a farsi esorcizare, mentre nell’antipassare all’oratorio diede in alti strepiti ed urli che impavorivano le persone. In questo infortunio, che non oltrepassò il circondario di quella chiesa, non rimase alcun offeso, come ci lasciarono scritti li riccordi delli Mondini proprietari di tale chiesa. La Marchesa Madalena Locatelli, bene affetta a questa Compagnia del SS.mo, volendo addimostrarle la sua amorevolezza le donò le insigni reliquie di questi santi martiri cioè Vitale, Giustino, Placido, Vincenzo e di S. Antonio Abate. Mostrandosi la compagnia riconoscente di un tanto dono per decorare il suo oratorio, ne volle testimoniare al pubblico la sua gratitudine nel trasporto dal di lei palazzo all’oratorio. Quindi fu eretto nella loggia di codesto suo palazzo un altare con apparato e lumi pomposamente dove il giorno 16 corrente maggio, portatasi la compagnia in cappa coll’arciprete e clero, intonato l’Inno Martiri a suono di instrumenti musicali ivi disposti, furono levate le d. reliquie in un ostensorio grande ed indi processionalmente trasportate alla parochia dove, data la benedizione al popolo, furono portate nel vicino oratorio della compagnia, di tale dono ne appare per li atti del not. Carlo Monari del foro vescovile di Bologna e nelli atti della compagnia. Non essendosi per anco terminata la rifforma della Congregazione de preti dalli quattro deputati, furono novamente confirmati li med. in questo impegno, con pieno arbitrio ed intelligenza dell’arciprete Scherlatini che fu in questo giorno 20 giugno estratto priore. Di qui cominciarono ad originarsi le invidie all’arciprete ed amarezze al med. che a suo loco riferiremo. Sentendosi dalla pubblica rappresentanza le lagnanze che si facevano dal popolo per la poca contentezza di portare e riceversi le lettere della posta alla locanda del Portone per la scomodezza de paesani, decretò di levare d’ivi il buco o recipiente delle lettere e trasferirlo alla locanda della Corona nel Borgo stesso e ciò seguì nel dì 29 giugno ed ognuno restò contento con pagare al locandiere per il suo incomodo lire 6 annue. Il primo lulio entrò Massaro Giacomo M. Tomba e Podestà Conte Filiberto Vizani. Li 6 dello stesso , attesa la vacanza della Legazione di Bologna per la morte del card. Legato, venne da Roma in questo giorno il cardinale Girolamo Castaldi e fu incontrato per ordine del Senato dalli Conte Nicolò Calderini, Marchese Cesare Tanara senatori bolognesi che lo banchettarono nella casa del med. Calderini in questo Castello, partì il doppo pranzo con li med. ambasciatori. Li 11 lulio il P. Re.mo Francesco M. Nicoli fu dichiarato Pressidente generale dell’ordine, fu dal Senato di Cremona contemporaneamente dichiarato cittadino di quella città dove era già stato prima eletto nelli anni addietro Provinciale di quella città e provincia dal P. Giovanni Angelico di Bologna, il quale medesimamente nel capitolo romano fu per di lui ordine eletto Comissario generale. Il Conte Francesco M. Ramazzotti, confratello professo della Compagnia del SS.mo, ad imitazione del Marchese Locatelli accennato, se non vogliamo dire ad emulazione essendo queste due familie congiunte in parentela, donò ancor esso alla med. compagnia la insigne Reliquia del capo di S. Floro martire. E perché le cose fossero fatte con quella solenne pompa che a ciò convenivasi, la funzione si fece in questa guisa: La seconda domenica di ottobre che fu il giorno IX fu esposta la S. Reliquia nella capella o sia oratorio delli sig. Pollicini nella via corriera che porta da qui a Bologna, nel comune di Liano, alla confina di questo nostro comune alla destra. Quivi portossi la stessa compagnia capata assieme coll’altra compagnia di S. Cattarina, arciprete e clero la mattina, ove eravi anco il paroco di Liano per essere in sua giurisdizione quella capella, ivi intonato l’Inno de martiri, fu trasportata processionalmente con numeroso popolo alla parochiale del Castello ove, cantatasi la messa dal capellano solennemente, fu dappoi recitato dall’arciprete Scherlatini un bellissimo panegirico ad onore del Santo. La sera si fece la processione per il Castello e, data la benedizione nella pubblica piazza, fu consegnata questa reliquia all’oratorio della compagnia. Di tal regalo ne appare per rogito Monari Not. vescovile di Bologna. Quantunque la festa di questo S. Martire cada nel giorno 18 agosto nondimeno si solenniza dalla compagnia la seconda domenica di ottobre per la sua traslazione, come ne sta segnato nelli atti della compagnia. L’anno seguente 1679 entrò Podestà Andrea Bovio e Massaro Domenico Menghini. Li 24 genaro morì l’Alfiere Giuseppe Fabbri di anni 44 e fu sepolto in S. Bartolomeo nell’avello Fabbri avvanti l’altare di S. Stefano. Li 20 febraro fu uciso Gio. Battista Zachiroli nel Borgo d’anni 26, fu giovine ardimentoso molto e perciò incontrò questa sorte funesta. Trovandosi molti miserabili nel comune di Castel S. Pietro inabili al pagamento del dazio sgravio sali, imposto nel Libro delle Colette comunitative, fu fatto quindi ricorso alla Comunità per averne il sollievo, la med. perciò, mediante il di lei Massaro Domenico Menghini presentò il ricorso al Governo, ascoltò questi l’instanza ed ordinò in seguito che la soddisfazione del debito fosse ripartita ai più solvibili. Convocata la Congregazione de preti il giorno 17 aprile per fare il solito anniversario ai defunti di questa, l’arciprete Scherlatini, quantunque priore, avvendo pressentito che non piacendo a molti li Capitoli riformati e stampati, se ne astenne dall’intervento a scanso di provoche, mentre proveniva tutto il rumore dall’arciprete di S. Martino D. Antonio M. Spanochia, uomo di familia facinorosa, il quale, non essendosi potuto sfogare, se ne ressentì non poco e covò l’ira e la vendetta a miglior occasione. E siccome per il passaggio delle truppe estere che era incominciato in queste parti per la guerra fra la Spagna, Francia ed Olanda, li sbirri di Bologna racoglievano essi li foraggi onde li massari non ne ritrovando venivano assoggettati ad un gravame. Ricorse la Comunità al Governo di Bologna quale, avuta parola coll’uditore del Torrone, fu ordinato che in appresso tali fieni si raccogliessero dal ministrato del paese, come ne rissulta dalli atti della Cancelleria di Governo. La familia di cod. P. P. di S. Bartolomeo che doveva nelli uffici permutarsi, fu nel dì 8 aprile dal provinciale così determinata, P. bacilliere Giuseppe Roversi priore per due anni, P. Deodato Venturoli Vicario del S. Ufficio, P. bacil. Onorato Flander, sindico P. Giuseppe Corticelli, P. Filippo Soprani e P. Alessandro Santi, toltine il P. Santi e Venturoli che erano paesani tutti li altri erano forestieri. Si cominciò in questo tempo a titubare di una influenza pestifera nel veneziano ne corpi umani, onde si cominciarono ad usare precauzioni. Domenico Dalfoco, attesa la di lui vechiaia reso inutile al manegio delli affari pubblici, il med. rinonciò al governo di questi. Convocatosi novamente la Congregazione de preti nella chiesa della Annunziata per sistemare il loro instituto, vi intervenne lo Scherlatini ove, accusato di mancanze, ne espose la sua diffesa ma dal complotto formato dall’arciprete Spanochia non furono addotate in allora ma fu differita la rissoluzione a nova adunanza. Pretendevano li coloni delli eclesiatici del contado contemporaneamente non essere soggetti al pagamento de pesi camerali comunitativi, onde le Comunità si unirono e ricorsero al Senato per averne la providenza in questo emergente. Il Senato ricorse al card. arcivescovo Boncompagni quale, esaminate le ragioni mediante il suo Vicario presente, nel dì 13 giugno decretò a favore delle comunità per gli atti Guglielmini, come rilevasi dal Lib. Divers. picolo nell’arch. di questa Comunità. Al cominciare di lulio intraprese il ministero di Massaro Domenico Battisti e quello di Podestà il marchese Cesare Marsigli. Richiamatasi novamente la Congregazione de preti nella chiesa della Annunziata e repristinate le difficultà primiere sopra li capitoli formati l’anno 1657 ed approvati li 8 decembre dal Vicario G. e ripudiata la rifforma seguì proposte, la med. Congregazione in questa seduta delli 21 ottobre deputò altri novi assunti per la riforma e Capitulazione nova. Lo Scherlatini di ciò novamente incaricato si fece a capo della costituzione la quale da principio era stata composta dall’arciprete Spanocchia che fu il primo priore di questo instituto. E come che l’esordio della prefazione era così iniziato, come si legge nella stampa che presso noi abbiamo: Admodum R. D. Antonius M. Spanocuis Archipresbiter S. Martini de Petriolo et primus Prior sic suadebat sodalitatem a Sacerdotibus sustinendum.
Sodalitium ambitione pene colaptum erecheris potius quam instituturis o sacerdotes. . Ne dedusse quivi lo Scherlatini che con tale proposizione veniva ad offesa al sacerdozio, mentre la causa della declinazione della Congregazione si dichiarava provenire dalla ambizione, onde ne diede di penna a questo asserto. Lo Spanochia tenendosi ciò un affronto cominciò a far partito, ma non riescì per allora, ma dappoi tanto si maneggiò che il partito ad esso contrario, perché vedeva la sua convenienza andare a monte, si rivoltò contro lo Scherlatini quantunque avesse tutta la ragione. Ricordatosi un tale torto lo Scherlatini ricorse al Vicario Generale per averne la dovuta giustizia. Fu perciò da questo consiliato ad agire giudicialmente onde non si perdette tempo che nel dì 23 ottobre citò la Congregazione a comparire a vedersi prefigere il termine, non solo alla costruzione della fabrica della capella maggiore di d. chiesa già nella Congregazione preventiva ideata, ma anco ad acettare la modificazione de capitoli. Era priore in questo tempo D. Angiolo Dalla Noce, quale sentì malamente la aversità dello Spanochia et estragiudicialmente ne fece la informazione della superchiaria di quest’uomo al Vicario giudice. Produsse lo Scherlatini li Capitoli acennati ed ordinati, instando dippiù che venissero approvati ed acettati dalla Congregazione da erigersi in d. chiesa, come già latamente ne appare nel vescovato alli atti di Carlo Monari not. Vedendosi dalla parte della perdita il partito dello Spanochia si cercarono altre strade per opporsi ed inquietare li Scherlatini come uomo prepotente. L’accusarono quindi di essersi egli approfittato nella sua chiesa delle supeletili della Congregazione senza l’assenso della med., di avere mancato di celebrare esso la messa solenne nell’anniversario come di lui obligo ed altre cose di lieve momento. Non contenti di questo lo cassarono dalla Matricola. Delle accuse non se ne fece caso lo Scherlatini ma la cassazione, essendo stata fatta senza ordine del Superiore ma di prepotenza dello Spanochia e suo partito, la sentì di mal animo. Ricorse per ciò al Vicario per la reintegrazione e nella effervescenza di queste vicende fece egli intendere alla Congregazione che la chiesa della Annunziata, essendo libera dell’arciprete di Castel S. Pietro, non intendeva che la Congregazione dovesse avere da qui in avanti la sua ressidenza ivi ed estragiudicialmente li intimò la espulsione. Intanto il Vicario tostamente reintegrò lo Scherlatini nella sua permanenza in Congregazione con tutti li oneri ed onori mediante decreto. Apellarono li preti avvanti il Vicelegato e la causa fu comesa al suo uditore Ascanio Fabi, quale esaminata pronunciò diffinitivamente a favore dello Scherlatini nel modo seguente: X.ti No.e invocato Quia etiam Comissioni nobis facte ineventes rationibus et causis ex Processibus et Actis dispositione ressultan. pronuntiamus fuise et esse recte judicatum super Reintegratione R. D. Octavi Scherlatini in Catalogum in quo descripti sunt ceteri d. Cogregationis prout sic d. Decretum confirmamus victamque Partem. Fu tosto intimata questa sentenza alli assunti contrari dello Scherlatini D. Girolamo Marzochi e D. Lodovico Zanaroli. Quanto poi alli capitoli della Congregazione, furono d’ordine del Vicario comessi all’Inquisitore per la rivista. Questa causa fu diffesa dallo stesso Scherlatini e fatte le legalità di proprio talento che si legono nell’archivi parochiale del paese. Fece egli in essa rillevare la malignità delli aversari ed, in fine di una di esse, li trattò da fanciulli li quali dal gioco delle noci e picioli sassolini vengono per la puerilità a fatti juri e conchiuse la risposta coll’epigramma dell’acutissimo Florenzio che, per essere adattissima a questo caso originato da semplici parole, ci piace qui riferirlo all’amico lettore avendola levato da una di d. legalità soscritte: Scherlatinus Rixantur pueri, si quis lapidesve, Nucesve aufavet. Ah semper vilia queque stupent Nos etiam gueri, qui donec Vita superstes propiter Opes Luteas, dipladiamur humi Non per questo decreto passivo aquietarono li preti malevoli allo Scherlatini, anziché più accanivano e per sentirsi trattati da fanciulli, novamente appellarono alla Signatura ma poi la causa restò deserta. Mattia di Nicola Rondoni e di Cecilia Albruni fu ucciso in Borgo con archibuggiata. Crescendo vieppiù il sospetto del contagio nel veneziano come annunzia la Cro. Fava, per tale sospetto li 13 novembre si misero le guardie nel contado. Tutti li uomini che nella città non avevano ricovero furono arrestati, per massime mendicanti ed esiliati, ove venivano d’ordine del Legato ed arcivescovo visitati da medici e poi rilasciati ed esiliati. Nel nostro Borgo cominciarono a patugliare e far la guardia li miliziotti nazionali ed alle porte del Castello ed ingressi del Borgo dalla parte di Medicina e Romagna vi stavano le sentinelle Nel 1680 poi estratto Podestà il Conte Francesco Carlo Caprara non coperse la carica che alli 17 di genaro. Massaro fu Francesco Lorenzo Gordini. Li preti della Congregazione, mal contenti delle sentenze patite e decreti contrari non solo ma anco della rifforma fatta alle loro leggi dallo Scherlatini, per rifarsi contro il med. non volero più attendere alla rifforma anzi per farle un contrapunto, uniti tutti ed amutinati contro il med. fecero ristampare le prime sanzioni al N. di XIX, li quali erano già stati approvati fino dal 1657 alli 8 decembre dal Vic. generale, ripudiando così ogni nova determinazione né altro vi innovarono che il frontespicio così cantante: Constitutiones, seu Capitula Societatis Errecta A Sacerdotibus ad animarum Suffragia in eclesia parochiali S. Micaelis Casalechi Comitum Anno D.ni MDLVII ac Nunc firmiti in Eclesia seu Oratorio SS. V. M. Annuntiate, in Burgo C. S. P.ri Constituta Anno D.ni MDCXXVI Bononie MDCLXXX apud H. H. Bertieri Super Permissu Vi fu pure replicata la stessa prefazione dell’arciprete Spanochia riprovata dallo stesso Scherlatini e di più vi furono aggiunti in margine li testi scritturali, le autorità di S. Agostino e di altri S. Padri e sucessivamente li nomi e cognomi de componenti la Congregazione allorchè nel 1657 fu instituita e trasferita in Castel S. Pietro come siegue cioè: 1 – Ego D. Antonius M. Spanochiu Archipresbiter S. Martini de Petriolo, Primus Prior affirmo et approbo 2 – Ill.mus D. Co. Alexander Campegius 3 – Admod. R. D. Jo. Batt.a Paulatius Archipresbit. S. Laurenti Varignane 4 – R. D. Sanctes de Podiis Curatus S. Micaelis Casalech. Coc. Depositarius 5 – R.D. Dominicus Montanarius Curatus S. Bartolomei Fraxineti Magis. Ceremon. 6 – R. D. Cesar de Florentinis Sacerd. 7 – R. D. Franciscus Paulatius rector S. Marie de Varignana 8 – Jo a Clerico Curat. S. Marie Capella 9 – R. D Alexander de Cuzzanis Curat. S. Mametis de Liano 10 – R. D. Antonius de Ballotta Curat. S. Laurenti de Dutia 11 – R. D. Jo. Baletrerius de Dutia 12 – R. D. Sebastianus Cabalarius Capellanus Curatus eclesie Cast. San Petri Curatus 13 – R. D. Joacobus Philipus Balestrierius a Dutia 14 – R. D. Franciscus Joleph Biccius 15 – R. D. Orianus a Dutia 16 – R. D. Carolus Poletus a Dutia 17 – R. D. Domenicus Montorius 18 – R. D. Cesar Fabbrius Rector S. Martini Montis Calderari 19 – R. D. Jacobus Salvatorius 20 – R. D. Carolus Cennius Rect. S. M. de Selustra 21 – R. D. Paulus Celius 22 – R. D. Petrus Antonius Garofolus Curatus S. Blasi de Podio 23 – R. D. Jo. Maria Minellus 24 – R. D. Jo Babtista Mondinus 25 – R. D. Martinus Aquaderna Plebanus Montis Cereris 26 – R. D. Lazarus Ronchius Capel. S. Antoni de Gajana 27 – R. D. Pompejus Hiacin. Manaresius 28 – R. D. Franciscus Liggius de Maldinis Mordanensis 29 – R. D. Bartolomeus a Dutia 30 – R. D. Hiacintus Penserius rect. S. Jo. de Boschiis 31 – R. D. Jo Grillinus curatus S. Georgi Varignana A questa novità non si sbigottì punto l’arciprete Scherlatini anzichè con maggior impegno ed energia prosseguì li atti giudiciali contro li suoi aversari. Li 20 marzo Lelio Lelli di Doccia, esercente l’arte di pignataro in Imola da P. P. Francescani, anticamente de Rondoni, bramoso esercitare, il mestiere domandò licenza alla Comunità di fabbricare una fornace di pentole presso questa sua casa e mura del Castello dalla parte di levante, la Comunità annuì senza pregiudicio della pubblica mura. Tanto eseguì e riescì perfettamente. Questa è la prima fornace da terra cotta che ritroviamo costruita nel paese. Durò ad esercitarsi quivi fino al 1780 da Matteo Vachi bolognese. Nel qual tempo Ercole Bergami di Castel S. Pietro, avendo aquistata d. casa da Francesco Galavolti successore dei Lelli, distrusse tutto l’edificio vecchio facendone un novo per tal lavoriere ma dappoi pentito non eseguì più altro ed il paese è rimasto privo di questa locale manifattura. Era ridotto a così poco numero di consilieri il ceto comunitativo che fu necessario ricorrere al Senato colla presentazione e nomina di novi sogetti, furono perciò questi: Vincenzo Nicoli, Domenico Bartolucci, Clemente Righi, Carlo M. Comelli, Andrea Fiegna, Santino Ronchi, Lorenzo Bertuzzi, Giovanni Rinaldi, Sante Landi, Nicolò Gattia, Francesco dall’Oppio ed Antonio Zoppi, onde li 18 marzo presentata la nomina all’Assunteria di Governo furono dalla med. abilitati al governo mediante rescritto estradato per li atti di Sforza Alessandro Bartolazzi not. e cancell. di Governo. A motivo delle grandi nevi cadute nello scorso inverno avendo patito molto danno la chiesa e convento di S. Bartolomeo, ricorsero quei P, P. Agostiniani alla Comunità per essere sussidiati e, quantunque fossero possidenti terreni e case, la Comunità comiserando li gravi danni patiti le somministrò lire cento di q.ni, somma in questi tempi rillevante e considerabile per la qual cosa fu alleggerita anco la familia e vennero ad abitare nel convento solo li seguenti F. Giuseppe M. Reversi priore, padre Agostino Soprani vicepriore e P. Bernardino Maggi con un solo converso che serviva da tutto. Nel primo lulio entrò Massaro Francesco Vanti e Podestà fu il cavaliere Filippo Carlo Fontana. Il cardinal Giacomo Boncompagni, intimata la visita pastorale e Cresima in questo paese nel di 20 cor. lulio, compì quanto aveva divisato. Alloggiò presso lo Scherlatini nella canonica ove fece molta attenzioni al meritevole Scherlatini. In tale circostanza li francescani si presentarono al Cardinale e pregatolo ad essere propizio alla grazia di fare la processione colla loro statua di S. Antonio per il Borgo e Castello senza l’intervento del clero secolare il med. annuì, sempre che l’arciprete vi acconsentisse. Il quale interpellato favorì la petizione afferendosi dippiù esporre l’assenso suo per se e suoi sucessori nelli atti di un notaro del foro vescovile. Tale generosità eseguì poscia in grata corrispondenza delli servigi che prestava questa familia relligiosa alli infermi e moribondi. In seguito dell’assenso ottenuto li frati ne fecero incidere la memoria in marmo nero che fu collocata tosto a fianco dell’altare di S. Antonio da Padova in questa loro chiesa, di d’onde poi fu levata dal P. Giuliano Giuliani da Bologna, già confessore del card. Legato Fabrizio Serbeloni, che le fu sempre protettore per modo che fece tante pazzie in questo povero convento che se ne rissente ancora. La trasportò sotto il campanile internamente, dove nessuno o pochi la vedono e legono, il di cui tenore è: D. O. M. Li R.R. P.P. di questo Convento la Domenica fra l’altare di S. Antonio da Padova faranno ogni Anno la sua Solenne Processione per questo Castello S. Pietro, e suo Borgo senza l’intervento Autorevole del Sig. Arciprete, atteso il suo consenso come p. Rog.del Sig. Vincenzo Cardrini Not. nell’Arcivescovato Bol. sotto li 28 9.bre 1680 Li 24 decembre vigilia di Natale si vede, con molte altre notti verso ponente dalla parte montana, una grandissima cometa in aria appuntata da tutti li capi, colore pallido con coda come cavallo. Li astronomi calcolarono lunga 5900 milla miglia, situata nel cielo di Mercurio. Cominciato poi l’anno 1681 entrò Massaro Clemente Righi, Podestà fu il Marchese Filippo Barbazza. Li 25 genaro morì D. Antonio Galeazzo di Alfonso Graffi di Castel S. Pietro, essendo paroco di Rignano. Li 18 febbraro, ultimo di carnevale, accadde una gran briga fra li Benetti e Magnani, familie manesche del paese, a motivo di amori. Seguirono archibuggiate per lo spazio di due ore ma niuno perì. Li 27 marzo, domenica di Passione in cui doveva farsi la processione col X.to della Compagnia del SS.mo iscoperto, fu impedita da una grossa neve che fiocava fortemente e si diede solamente la benedizione al popolo. Li 6 aprile che fu giorno di Pasqua fu gran freddo e gelo per cui cadevano le persone né potevano stare in piedi, sentendosi lossazioni e fratture di ossa. Li 29 maggio, festa delle Pentecoste, la Compagnia di S. Cattarina si portò processionalmente alla visita della B. V. detta del Lato nel comune di Monte Caldiraro per impetrare da Dio la grazia dell’allontanamento della influenza pestifera ne corpi umani e ne bestiami mediante l’Imagine dalla quale Dio operava infiniti miracoli. Il male ne bovini era nella bocca e si chiamò cancro volante al quale si riparò mediante remedi di sale, rosmarino, salvia, aceto ed olio, le veniva sotto la lingua per cui in breve morivano, simile male ripululò nel 1748 e così , usato lo stesso remedio, guarivano. Nicolò Comelli uomo facoltoso il quale non aveva che un solo filio per nome Aurelio essendo questi morto fu motivo che rivocò il suo testamento fatto nel 1680 anno scorso che però ne fece un altro in quest’anno a rogito di Alessandro Magnani, di cui ne abbiamo copia, nel quale instituì eredi li discendenti della di lui sorella maritata al dott. Giacomo Laurenti, quali estinti, sostituì l’altare del X.to e S. Andrea nella capella del Rosario di Castel S. Pietro con obligo di cinque messe ogni venerdì dell’anno in perpetuo e che di ciò se ne dovesse apporre la memoria vicino all’altare, onde la popolazione ne fosse illuminata. La familia Laurenti poi si è estinta nel 1778 e la eredità, consistente in una casa posta in Castel S. Pietro nella via di Saragozza di sotto presso il già palazzo Malvezzi, una casa a Bologna nella via di Cartoleria vecchia, in un loco nel comune di Casalechio de Conti di sopra di semente annua corbe 6 ed in un altro picolo loco sopra S. Lazaro di semente corbe 3, che l’arcivescovo Calistri vendette poi al di lui fratello Modesto né si sa come, non essendosi veduto in paese alcun proclama. Nel mese di maggio vennero a Castel S. Pietro le missioni de gesuiti, capo de quali fu il P. Paolo Segueri celeberrimo oratore e dalli 20 di questo mese durarono fino alla fine con molta edificazione del popolo. Nel giorno primo di lulio entrò Massaro Francesco Vanti per rinoncia fattale da Sante Landi e Vincenzo Nicoli. Podestà fu Gio. Battista di Francesco Cinzi. Li 8 ottobre Girolamo Galli di Castel S. Pietro unitamente con Agostino Mariotti lucchese furono appiccati in Bologna per mandatari. Li 18 d. giorno di S. Luca si pubblicò un Giubileo universale del Papa per avere l’ajuto divino nelle presenti circostanze di epidemia. Morì in Roma in questo tempo il dott. Nicolò Comelli di Castel S. Pietro, legale di grido addottorato in quella Sapienza come si scrisse nel 1636, fu cugino dell’acennato Comelli. Li 30 decembre fu fatto sergente della compagnia de cavalli Gio. Battista Fabbri sotto Costanzo Zambeccari di Bologna. In questo tempo nella chiesa dell’Annunziata nel Borgo fu esposto nella capella prima dedicata a S. Carlo il quadro de SS. Giuseppe e Pietro dipinto dal giovinetto Paolo Gavoni di Castel S. Pietro. Questa capella era giuspatronato della familia Calanchi estinta nel 1786 in Gio. Alessandro che instituì erede la di lui moglie Barbara Cerè ed esse sostituì una di lei nozza per nome Teresa, consorte di Giulio Andrini, la cui eredità consiste in una casa posta nella via corriera di questo Borgo. Al suo altare avvi un obbligo di una messa ebdomandaria per cui è ipotecato la d. casa, come ne appare da pub. rogito di ser Filippo Medici per testamento di Pietro Guglielmini. Il libro delle visite pastorali ne parla diffusamente. L’anno seguente 1682 investi la carica di Podestà il Conte Ottavio Piatesi, Massaro fu Domenico Bartolucci il di cui ministero fu esercitato da Lorenzo Gordini per rinoncia fattale. Gio. Battista Matarini li 4 genaro fu ucciso nel Borgo in rissa. Prosseguendosi la lite fra l’arciprete e la congregazione, nè volendo questa avere verso il med. quel rispetto e convenienza che se le doveva, le intimò la espulsione dalla chiesa dell’Annunziata cosa che degenerava in iscandalo onde per ciò si infraposero autorità e fu convenuto un accordo che sarà esposto a suo loco. Carlo Davia nobile bolognese, capitano di fanteria destinato al Piemonte contro li francesi, abbisognoso di gente ne assoldava dove poteva. Battuta la cassa in Castel S. Pietro se ne assoldarono molti, fra quali Ercole Pirazzoli, Alessandro Ruggi, Matteo Zoppi, Tomaso Rineri ed Antonio di Lelio Lelli, detto il Bravo, che si fece loro capo ed erano tutti contumaci di giustizia che così assicurarono la loro vita colli altri che non indichiamo. La fonte della Fegatella bisognosa di ristoro fu nell’aprile accomodata a spese della Comunità come riscontrasi da Libri de Mandati della med. Li 25 giugno morì il Vicario G. di Bologna mons. Domenico Ridolfi. Ora costuma che quando si univano in matrimonio due persone in chiesa si poneva da uno de parenti, oppure da chi aveva trattato il matrimonio, su la spalla de sposi un zendalo rosso col quale, facendosi un nodo avvanti, restavano legati li conjugi entrambi fino doppo la benedizione del paroco. Questo costume era ne villani e gente vile onde avvenne in questo mese di giugno che, sposandosi Diamante figlia di Pier Paolo Toschi con Giovanni del già Michele Dovesi di Doccia, vedendosi far la funzione del zendalo, se lo disciolse con disprezzo e, gettandoselo via dalle spalle prima che l’arciprete facesse la funzione, fece nascere non picolo sussurro nella chiesa e parentado onde poscia lo Scherlatini disceso dall’altare colla benedizione alli sposi fece tutto terminare. Da questo fatto niunno più usò tale vanità che figurava, al dire de villani, il giogo maritale, tanto abbiamo dalle carte di D. Giambattista Vanti congiunto del P. Bonafede. Nel dì primo lulio entrò Massaro Domenico Battisti, Podestà fu Cesare Giuseppe di Francesco Marsigli. Il giorno X di questo mese, crescendo il sospetto di contagio che minacciava la Gorizia per notizie avute, si posero le guardie alla città ed a luoghi murati del contado. Furono perciò ordinate orazioni di penitenza che si eseguirono prontamente. Li cappuccini si distinsero colla disciplina, li M.M. O.O. colle processioni a piedi nudi visitando le sette chiese del paese e Borgo e poscia la sera la benedizione col Venerabile per otto giorni. Lo Scherlatini non si scostò punto dal suo ministero e fece per tre giorni continui l’esposizione del SS.mo all’altare del Rosario che furono li 16, 17, 18 lulio. Le compagnie ogni sera assistettero col clero alle funzioni. Li agostiniani fecero essi pure un triduo al loro taumaturgo da Tolentino. Celebratosi il Capitolo generale in Ispagna de M.M. O.O., il Rev.mo P. Francesco M. Nicoli da Castel S. Pietro dopo non molto, essendo nel regio convento di Madrid di S. Francesco gratissimo a quel monarca Carlo secondo, terminò li suoi giorni in questo mese e fu sepolto onorevolmente in quella chiesa. E’ da notare in questo loco la discordanza di chi fissò il giorno di sua morte, impercioché nel mortologio di questo convento di S. Francesco si trova segnata sotto il giorno X di questo mese in precisi termini.: In conventu S. Francisci Madriti Re.mus P. Franciscus de Nicolis a Cas. S. P.ri civis bononien. ac cremnensis qui primo Custos et Diffinitor, ac Minister Provincialis huius Provincie extitit, deinde Pror. Generalis et ad generalatum totius ordinis Apostolica Authoritate assumptus et tandem in Capitulo generali, Comissarius generalis electus. obiit. Ma per lo contrario Flaminio da Parma T. III. fol 211 al 218 nelle sue Memorie Franciscane di Bologna lasciò scritta la sua morte al terminare di questo mese coll’epilogo della sua dignità in questi termini: Il P. Francesco Maria Nicoli da Castel S. Pietro, già dichiarato anco cittadino di Bologna e Cremona, fu pregiato da tutti per le scienze che possedeva, eletto Consultore de Riti, qualificatore della Suprema Inquisizione non solo in Roma, ma anco nella Spagna, celebrato ovunque per la probità e prudenza, governò con somma lode la Provincia di Bologna della quale fu eletto ministro generale nel 1668. regolò saggiamente tutti li ardui affari dell’Ordine del quale nel 1670, nel Capitolo Generale di Vaglidolid fu eletto Pro.re generale. Resse tutto l’Ordine de Minori dal quale nel 1674, per la morte del P. Francesco Ahini fu dichiarato dal sommo Pontefice Clemente X ministro generale, che se nel generale Capitolo celebrato in Rom nel 1676 fu duopo promovere alla suprema Prefettura dell’Ordine un nativo spagnolo, che fu il P. F. Giuseppe Ximenes Samaniego, non perciò il P. Nicoli fu sciolto da pesi di Governo, giacchè piaque a tutti li P.P. elettori di promuoverlo al grado di Comissario generale di tutta la cismontana familia. Per la somma prudenza, dottrina. moderazione reso chiarissimo non che in Italia ma egualmente nella Spagna, caro a quella Corte catolica presso cui li convenne rissiedere e da quella consultato ed impiegato in ardui affari, morì pieno di meriti in Madrid li 30 lulio del 1682, vivendo perenne nella memoria de posteri per le sue gesta e rade virtù. Raccontasi dal medesimo che la sua morte fu acellerata da pasione d’animo provata per la malignità de suoi emuli, li quali avevano sparsa voce che si era milantata la porpora cardinalizia mediante la protezione del sovrano di Spagna ma che, per la sua ambizione in avere preparati li suoi stemi col capello cardinalizio, fosse egli stato da tale anticipo onore defraudata la di lui aspettazione dal Papa che le aveva mostrata propensione prima, onde datosi ad una tetra malinconia così finisse i suoi giorni. Noi però non adottiamo questa traddizione poiché non ne abbiamo fumo di ragione ne meno. Finalmente, appurate le differenze che vertevano fra lo Scherlatini e la Congregazione del Sufragio de preti nella chiesa della Annunziata, restò stabilita una convenzione, che fu stipulata il giorno 12 ottobre a rogito di ser Filippo Carlo Medici, cioè che rientrassero li preti sud. in d. chiesa, di dove se ne erano partiti in virtù dell’espulsione intimata ed ottenuta poscia, e ciò in qualità di Congregazione, non mai sotto altro titolo; di dove, volendosi partire per trasferirsi altrove, lo potessero; che volendosi novamente per qualunque altro incidente espellere da d. chiesa l’arciprete lo possa, né si possa mai per la d. concessione ad uso di Congregazione in alcun tempo dirsi rinunciato ai diritti parochiali ma siano quelli sempre salvi ed illesi. Quanto poi ai capitoli della med. Congregazione, per cui naquero tante questioni, furono concordemente rifformati ed estesi latinamente da d. Paolo Baldi, arciprete di Pizzocalvo, e stampati l’anno 1692 come riferiremo a suo loco sotto il priorato di D. Sante de Dotti, curato di Castel de Britti, ove sono descritti N. 29 confrati. Composte queste vicende fu intimata la visita pastorale per il venturo novembre dal card. arcivescovo di Bologna, onde il dì 17 arrivò la mattina il canonico Gio. Ridolfo Caprara deputato Visitatore generale. Cominciò dalla parochia a farne la nota di tutti li oblighi che hanno le chiese del paese, li quali noi qui annotiamo per lume della posterità. Parochia: Li P.P. Gesuiti di Bologna come eredi del fu Giovanni Morelli sono tenuti far celebrare tre messe all’altare di S. Lucia e più celebrare la festa di S. Ignazio, S. Francesco Xaverio e S. Lucia con messe N. 10 per ciascuna festa e più un Anniversario coll’intervento di tutti li Sacerdoti che sono e saranno in Castello. Item la familia Comelli al suo altare che è posto nella Capella del Rosario alla destra dedicato a S. Andrea e Pietro, ove avvi il bellissimo X.to dipinto a guazzo di Pietro Faccini in brevissimo tempo, è tenuta alla celebrazione di una messa ogni venerdì come da rogito di Guido Zanetti not. di Bologna. Item li confratelli di S. Cattarina e del SS.mo SS.to sono tenuti di due messe la settimana alli loro altari ed a quello del Rosario, una al suo altare della Compagnia larga. Item la d. Compagnia di S. Cattarina è tenuta oltre le d. due messe far celebrare un Anniversario con messe N. 10 per il fu Gaspare Gottardi come per rogito di Lorenzo Domenichi nel 1657 e più mantenere l’Ospitale de Pelegrini. Item nell’oratorio della SS:.Annunziata del Borgo detta del Suffragio avvi l’obbligo di una messa la settimana per rogito di Filippo Carlo Medici l’anno 16 .
Item il Rettore del Beneficio Semplice di S. Pietro, fondato nell’Oratorio dedicato a d. Santo nel Borgo, N. 10 messe alla sua festa più una messa ebdomadaria.
Item all’Oratorio di S. Giacomo al ponte Silaro N. quattro messe alla sua festa nel primo di maggio.
Compiuta questa visita il dì 20 novembre partì per Bologna.
In quest’anno fu terminato il bello nonché singulare organo grande della chiesa di questi francescani, manifattura del Bersani essendo guardiano locale il P. Orazio Fabbri di questo paese.
Nel dì primo genaro 1683 entrò Massaro Benedetto Fiegna, Podestà fu N. N.
Avendo il Turco fatto grandi preparamenti d’armi al N. di 140 milla combattenti e di già era passato nelli stati dell’impero per poscia invadere li stati pontifici, il Papa perciò, che ben giustamente temeva la di colui potenza, ordinò che in ogni dove de suoi stati si facessero orazioni e si omettessero li bagordi che perciò furono sospesi li divertimenti carnevaleschi e furono surogate le penitenze.
Li primi che in Castel S. Pietro ne dassero il segno di pietà furono li agostiniani d. di S. Bartolomeo che al terminar di carnevale, fecero nella loro chiesa la solenne esposizione del SS.mo per sufragare le anime purganti onde intercedessero dal Signore ajuto contro li nemici della Xtianità.
Nel dì 13 aprile, domenica di Passione, attesi li progressi che facevano le armi ottomane nell’Ungaria se mai si fece processione solenne e di penitenza col X.to della Compagnia del SS.mo, questa si fu la (prima) volta, mentre per l’addietro non ne abbiamo la memoria simile.
Questa miracolosa imagine fu perciò, secondo il costume, portata il sabbato sera avvanti nella arcipretale ed esposta al pubblico culto, la mattina della stessa domenica vi si celebrarono avvanti molti sagrifici. Al doppo pranzo poi, venuto il tempo della processione, si presentarono alla parochiale le tre relligioni del paese in forma, le due ultime cioè minorita e capuccina co piedi scalzi a terra, capestro al collo, recitando in voce dimessa e senza canto il Miserere. A tale esempio la Compagnia di S. Cattarina con quella del SS.mo, coperto il capo col capuccio e disciolta la cappa dalla centura fino ai piedi, colla palma da un canto e la disciplina, nudato il piede, si presentarono ancor esse alla parochiale non con lo stendardo ma colla sola croce incoronata di spine e quindi con voce lugubre, recitando il Miserere al suono della settimana Santa, replicavasi Misere nostri Domine, al fine di ogni versetto.
Spicatasi poi la processione dalla parochiale col X.to, procedendo le compagnie indi tutte tre le fraterie, corpo comunitativo e clero secolare, andossi al Borgo ed a capo della strada introducente le genti a levante, cioè al Portone, fermatosi tutto il popolo, l’arciprete Scherlatini benedì con quattro segni di croce la quattro parti del mondo, premesse le preci di S. Chiesa.
Ciò fatto si andò all’altro capo del Borgo a ponente verso Bologna e si fece lo stesso, poi ritornati in Castello si incaminò al portone de francescani e qui si eseguì lo stesso, poscia, procedendosi per il Castello verso la porta superiore detta Montanara, quando si giunse al recinto de P.P. agostiniani si ritrovò quivi un altare inalzato con padiglione lugubre ove, fermatosi la S. Imagine ricevuta da questi religiosi con lumi e molti uomini che erano della unione recente del Sufragio eretta nalla loro chiesa medesimamente con lumi, fu quivi intonato l’inno Veni illa, quale terminato, fu condotta la processione alla grande porta del Castello ove l’arciprete, data la benedizione nel modo di prima, venne alla piazza pubblica del Castello ove, preparato un alto palco, fece un tenerissimo sermone che, comovendo li cuori più duri, non si senti altro che in seguito gridare: Misericordia Dio, Misericordia, e, fra pianti inalzatasi la S. Imagine, ribenedette il popolo colla med. tostamente portata alla sua ressidenza.
La sera doppo l’ora di notte invitati li confratelli e chiunque altro avesse voluto intervenirvi si fece ivi dall’arciprete la Meditazione della Passione alla quale terminata sucesse la disciplina per tutto il tratto di tempo che fu recitato il Miserere.
Li 18 dello stesso aprile si ebbero notizie che il Turco veniva contro Viena con perdita grande di X.tiani per la quale temendosi maggiormente il Papa ordinò un Indulgenza plenaria a tutti li fedeli che confessati e comunicati visitassero il SS.mo nelle parochiali che doveva stare esposto per 40 ore affine di presservare le provincie christiane dall’armi ottomane e liberare l’Ungaria assalita, che però la domenica seguente, che fu il giorno primo di maggio, si fece la esposizione del Venerabile nella parochiale di questo loco per tre giorni che, essendo festivi, fuvi gran concorso ed ogni sera si diede la benedizione al popolo.
A questa adorazione tutte le sere vi intervennero le tre fraterie e le altre due compagnie cappate.
Ritornatosi a casa dalla guerra ferito Lelio Lelli morì in casa propria di anni 80, fu detto volgarmente il Bravo, perché fu tale in tempo di vita sua, servì da siccario lungamente li Pepoli di Bologna, li Sagrati di Ferrara ed altre familie nobili, fu finissimo nelli stratagemmi e nemico acerrimo de sbirri.
Li 20 maggio giorno di lunedì si fecero le solite rogazioni colla Imagine di Poggio ed il giorno della Ascensione, che fu li 13, nel punto di volersi benedire il popolo nella piazza naque uno scompiglio a motivo di nimicizia fra li Gallanti di Fiagnano e li Peggi di Corvara che con armi da foco, gridando: Abbasso, Abbasso alla gente, fu questa costretta sdrajarsi per terra per evitare le archibugiate.
Convenne perciò all’arciprete, clero e fratterie aspettare l’esito onde Giulio Alberici, uno della Compagnia di S. Cattarina ardimentoso, prese lo stendardo di mano a quello che lo portava, simulando volersene andare via. Quando si vide al bello, infrapose lo stendardo contro la faccia delli Peggi in guisa che essi non potendo vedere li Gallanti, né questi li altri, si alzò tutto il popolo gridando: Ferma ferma. Si finì tutta la tragedia e niuno restò leso dalle pistolettate e d’indi si portò la S. Imagine al Borgo ove ivi si diede la benedizione destinata alla piazza.
Il dì primo lulio entrò Massaro Nicolò Gattia e Podestà il Conte Nicolò del Conte Ugo Ariosti.
Oltre le vicende bellicose col Turco e la X.tianità si acrebbe ancora l’epidemia ne bovini onde convenne alla Comunità porre le guardie ai confini.
Avvanzatosi il Turco fi sotto Viena con un poderoso esercito fu costretto l’imperatore Leopoldo fuggire con tutta la familia da quella capitale. Il Papa che poco poteva assisterlo colle forze umane ma solo colla forza spirituale intimò un Giubileo Universale per tutta la X.tianità con amplissime indulgenze plenarie per acquistare le quali ordinò che la sera al segno dell’ora di notte coi tochi della campana si dicessero cinque Pater e cinque Ave al Signore e Maria per la umiliazione del comune nemico, il che fu per tutto eseguito. Oltre ciò ordinò ancora Processioni di Penitenza.
In Castel S. Pietro incominciarono il giorno del Perdono 2 agosto e in otto giorni continui si visitarono dalle corporazioni e popolo le sette chiese del paese finalmente poi, doppo tante preghiere e divozioni, il Signore ascoltò il suo popolo che li 18 settembre giunse la fausta nova che il Turco era stato battuto, cacciato in fuga e liberata Viena mediante stratagema. Ajutato da Dio il valoroso Principe Eugenio Duca di Lorena quale, con una finta mostra di numerosi soldati e con una coraggiosa sortita da Viena, diede una sanguinosa battaglia al nemico che cacciollo in fuga e lo disperse. Si fecero perciò allegrezze in tutta la X.stianità.
La Compagnia del SS.mo unita alla Comunità e clero secolare, doppo una esposizione del SS.mo nella parochiale, invece di cantare l’Inno ambrosiano, cantò il Laude Jerusalem e la sera si fecero fochi di gioja. Si accrebbe poi la gioja nel paese il giorno 4 ottobre, prima domenica del mese, in cui si fece per la prima volta la solenne esposizione della nova imagine di rilievo del SS. Rosario che lo Scherlatini aveva fatto fare a Luca come si scrisse
Essendo per ciò priore di questa pia Unione o sia Compagnia larga Ventura Ricardi e depositario Giuseppe M. Mondini, ne fecero in tale contingenza imprimere un opuscolo di lodi, che fu dedicato al Marchese e Senatore Tomaso Campeggi col titolo: Assetti diversi nella solenne processione del SS. Rosario in Cast. S. P.ro pubblicati per le stampe di Giuseppe Longhi, di che ne abbiamo una impressione in quarto unita ad altri recapiti del paese.
Fu la processione condotta per il Borgo e Castello dalle due compagnie cappate del SS.mo e di S. Cattarina, che portarono alternativamente li individui di esse su le spalle la nova S. Imagine, poiché la Compagnia larga del Rosario non aveva alcuna uniforme ed era composta di persone dell’uno e dell’altro stuolo. Terminata la processione si diede colla nova S. Imagine per la prima volta la benedizione nella piazza. Tanto abbiamo di notizia dall’archiv. parochiale, dalle Memorie Alberici e di altri scrittori memorialisti del paese.
Attesa poi la vittoria ottenutasi contro il Turco, ogni diocesi ad insinuazione pontificia ne fece le dovute rimostranze. L’arcivescovo di Bologna ordinò perciò a tutti i luoghi pii della città e diocesi cantare una messa ed ufficio di requie per le anime di tutti li X.tiani morti nella guerra col Turco, così si eseguì nella fine del corrente ottobre in Castel S. Pietro in tutte le chiese che furono apparate a lutto, precedendo la sera avvanti l’officio il sono lugubre di tutti li sagri bronzi.
Nel primo genaro (1684) intraprese il ministero di Massaro Domenico Menghini e Podestà estratto fu il caval. Gio. Andrea di Gio. Battista Davia. Alli affari comunitativi poi fu dato per Pressidente il senatore Conte Giuseppe Malvasia.
Li 24 genaro con pianto di tutta la città e diocesi finì la vita il card. Giacomo Boncompagni principe di eterna memoria di anni 63 e 20 di cardinalato. Il giorno seguente se ne diede in Castel S. Pietro il consueto segno colle campane di tutte le chiese. Fu creatura di Alessandro VII. Lasciò eredi li Ospitali della Vita e della Morte.
Nel seguente febbraro, prosseguendo il Turco a danneggiare la X.tianità, furono ordinati novi orazioni e digiuni. Le Imagini più miracolose furono scoperte e poste alla pubblica venerazione.
Questo mese di genaro fu copioso di nevi, di geli oltre misura e di freddi acutissimi che cagionarono infiniti mali.
Lì 31 marzo, venerdì Santo, la Compagnia di S. Cattarina solita fare la sua funzione del Cristo deposto dalla croce e sul cataletto in questo giorno, come che aveva compiuta la di lei capella grande all’altar maggiore, ove anticamente officiava in cornu evangeli presso il campanile, la qual capella ora serve di sagrestia, avendo formato in questa un mausoleo per la sepoltura di X.to, fece la med. Compagnia la sua solita processione col X.to deposto sul cataletto e dappoi questa terminata lo Scherlatini, precedendo con due sacerdoti vestiti di semplice camice, si incaminò alla d. capella e quivi fu nell’avello formato deposta la figura sopra una sindone e poscia risserata. Si fece l’adorazione del clero, indi dalli confratelli di quella. La funzione riescì devota e di gran concorso.
La domenica di Pasqua poi si vide nella med. capella sopra il supedaneo il Salvatore, figura grande al naturale con bandiera in mano significante la ressurezione di X.to alla quale figura concorevano le persone al bacio de SS. piedi. Questa rappresentazione del Salvatore vestito di bianco si è proseguita lungo tempo fino alli giorni del governo dell’arciprete Bertuzzi.
E’ da notarsi quivi che in d. capella annualmente per le feste natalizia vi si faceva il presepio ove, per apparare la capanna e teatro, la sciempiagine e l’ignoranza delle persone configevano tallora picoli chiodi nel bel quadro ivi appeso di Gaspare Fontana in cui si vedono anco le cicatrici. Questa usanza di piantar chiodi in quadri dipinti è invalsa a tal segno che si ruinarono pur troppo anco nella città opere bellissime per piantar corone d’argento, appendere voti ed offerte alle figure rappresentanti quel santo ed imagine a cui si presta maggiore la fede.
All’effetto di reclutare e riempire il regimento del general Caprara contro il Turco mancante di militari per la guerra passata nella Strigonia e Germania, coll’ordine del card. Legato li seguenti giovinotti: 1- Pietro Bonetti, 2- Giulio Castellari, 3,4- Mariano e Giacomuccio Sarti, 5- Francesco Amaduzzi, 6- Tomaso, detto Masone, Lasi. 7- Annibale Feliciani detto Caletto, 8- Girolamo Costa detto Moromone, 9- Filippo Magnani detto Tripone, 10- Pietro Martelli, 11- Agostino Bernardi, 12- Giuseppe Giacometti , 13-14 – Antonio Zogoli e Marco suo fratello detti li Barboni, tutti di bona complessione e forza, passarono questi a Bologna sotto la condotta del cap. Fabbio Guidotti impiegato al servigio di Venezia contro lo stesso Turco, di dove poi pasarono alla Germania. Oltre questi sogetti il cap. Valerio Fabbri e Marchione Fabbri di lui fratello, che pure in qualità di ufficiale quest’ultimo militava ai stipendi de veneziani, condusse seco Filippo Nanini, Bartolomeo Bartoletti, Enea Tesei, Riniero Andrini, Antonio Morandi, Pietro Andrini, Carlo Lasi detto Paoluccio, Arcangelo Beltramelli detto di Orsoletta, Pippo Albruni detto Malapelle, Nicola Pirazzoli che mai più rimpatriano. Tanto ripetiamo da un elenco ricevuto dalla casa de Fabbri e Vanti.
Li 25 giugno Filippo Carlo Medici, not. colegiato e giudicente in Castel S. Pietro, morì e fu sepolto in S. Bartolomeo onde tutta la di lui familia, che quivi si era stabilita, se ne tornò alla città.
Perché il Pretorio di questo loco colla scuola pubblica ed abitazione delli altri ministri che servono la giustizia era in male stato, il senatore Malvasia Conte Giuseppe, deputato alla sopraintendenza delli affari di questa Comunità, fece fare li necessari ristori ed aggrandì la scuola pubblica colle altre abitazioni.
Per assicurare dalle brutture che si comettevano dalli scapestrati nella fonte della Fegatella, fu fatta riattare dalla Comunità e si cominciò a lasciare la chiave di quell’edificio in mano del pressidente sud. Malvasia.
Giunto il mese di lulio entrò Massaro Biagio Sgarzi e Podestà il senatore Mario Casali.
Marchione Fabbri accennato, essendo passato colli sud. suoi compatriotti nel regimento dell’Ecc.mo sig. Giuseppe Morosini capitano veneto che guereggiava per la sua Serenissima Repubblica a pro della Christianità, andò all’assedio dell’isola di S. Maura e Prevesa col capitano Camillo Graffi. Quivi posto l’assedio, non volendosi arrendere li assediati, si cominciò a battere S. Maura ove, fatta la breccia, dato l’assalto riescì a Marchione piantar la bandiera in questa mentre egli era alfiere assoldato onde dappoi avvanzati li altri militari si impadronirono di quella piazza. Pensava poi Marchione Fabbri essere riconosciuto di questa sua grandezza coll’avvanzare posto nella milizia, ma fu delusa la sua aspettazione dal Morosino che solo le offerse cento zechini, ma come che Marchione non era uomo venale, né bisognoso di sostanze essendo di familia facoltosa, rifiutò l’offerta aggiungendo all’offerente che militava con onore né lo vendeva a prezzo.
Dispiaque tanto a Marchione questo fatto che fu non molto disertò portandosi seco la bandiera veneta che era il di lui distintivo col legarsela a traverso della persona e nuotando per aqua venne a terra tanto che si restituì in Patria. Questa bandiera si è lungamente conservata nella casa de Fabbri, della quale esso Marchione alle funzioni publiche del paese l’esponeva alle sue finestre come tapeto guarnito d’oro.
Estinta Ginevra Fabbri di lui nozza la eredità passò in mano del dott. Anibale Bartolucci pronipote di Marchione. Le notizie presenti ci sono state comunicate dal med. Bartolucci con altre descritte nel più volte ricordato libro detto Gallicella M.M. S.S. della familia Fabbri del paese.
Li 28 ottobre il card. Girolamo Guastaldi, essendo stato chiamato a Roma, fu accompagnato da molta nobiltà per assicurarsi dalli agravi populari e nel partire gettò gran danaro alla plebaglia che le gridava dietro. La stessa sera arrivò a Castel S. Pietro ove pernottò in casa Locatelli a motivo della pioggia poiché si era avuta notizia che il fiume d’Imola gonfiava molto né si poteva transitare. Prima di abbandonare la città graziò molte persone al N. di trecento. Chi lo accompagnò fino a questo loco furono il Conte Gio. Gaspare Grassi e marchese Enea Magnani senatori deputati.
Li 13 novembre venne il novo Legato card. Antonio Pignatelli napoletano vescovo di Faenza e fu incontrato in giorno di domenica al nostro confine di Castel S. Pietro ove, in una casa posticcia di asse apparata di damasco, fu ricevuto dal Conte Francesco Caprara, Marchese Tomaso Campeggi senatori e con essi il Conte Giuseppe Caldarini, Camillo Zambeccari, Matteo Malvezzi e Franciotto Tanara. Fu introdotto poscia in Castello, fu trattato nel palazzo Locatelli, la sera partì per Bologna.
Li 12 decembre Luca Romagnoli detto Bissachino da Castel S. Pietro ma originario imolese fu giustiziato per bandito capitale a motivo di archibugiata data appostatamente a Gio. Battista Galli di Budrio li 19 settembre anno presente. Costui non si volle mai quietare fino alla morte dicendo spesso che per esso la giustizia era molto rigorosa a diversità delli altri.
Il Massaro dell’anno seguente 1685 fu Domenico Minghini per il primo semestre, Podestà fu Gian Giacomo del dott. Ermete Gualandi.
Paolo Toschi della antica sua familia unico rampollo di questo suo paese, ad ogetto di liberarsi dalle insolenze
e disordine posteriormente ad una di lui picola casa posta nella via de Pistrini aderente al terapieno del Castello presso la mura a ponente, chiese alla Comunità la facoltà di chiudere questo angolo di terapieno mediante una siepe e congiungersi alle mura che aurebbe egli rissarcita la med.
La Comunità partecipò al senatore sopraintendente Malvasia la instanza quale, riconosciuta consona alla ragione, favorì il Toschi coll’apporre un testimonio su la stessa mura ed in questa guisa restò chiuso il terraglio del Castello dalla parte di ponente dall’angolo inferiore, la qual casa poi passò con altri edifici vicini in proprietà della mia familia.
Li 23 dello stesso mese Riniero Andrini di anni 42 seniore uomo facinoroso fu ammazzato da archibugiata in questa sua patria. La di lui discendenza è quella che presentemente esercita l’arte di macellaro d’onde la med. discendenza si chiama volgarmente, per distinguerla dalle altre di simil cognome, li Rinieri.
Facendosi il carnevale in Bologna, all’occasione che da questo Borgo e Castello passano persone alla città, accadde nel dì 17 corrente genaro che il nobil uomo Angiolo Pantalioni imolese trovandosi alla locanda del Portone per andare ad Imola, di dove passando una carozza dove erano donne che appunto andavano a questa città in compagnia di altro imolese e volendo il Pantalioni entrare nella carozza, si oppose l’altro colle donne med., da che ne naque diverbio fra tutti cosiché, degenerando in altercazione e rissa, andarono pistolettate. Fu ferito a morte il Pantalioni giovine d’anni 28 e ferite le due donne a morte col loro compagno. Furono tosto perciò trasportate ad Imola ove finirono la vita ed il Pantalioni ancor esso in breve terminò i suoi giorni. Nel Borgo pertanto naque non poco tumulto, poiché anco paesani restarono disgraziatamente offesi.
A motivo che prosseguivano li avvanzamenti del Turco sotto Buda e Pest contro li imperiali, fece il Papa pubblicare una Indulgenza plenaria novamente in forma di Giubileo a chi comunicato e confessato visitasse per tre giorni le Basiliche della città e nella diocesi le chiese da destinarsi dall’Ordinario. Furono perciò in Castel S. Pietro destinate oltre la parochiale le altre tre chiese di S. Bartolomeo, di S. Francesco e de Cappuccini ove conservavasi il SS.mo.
La chiesa delli Agostiniani locali, la quale era solamente coperta a mattoni all’uso delle fabbriche gote e rendendo brutezza, il priore di questo convento P. Alessandro Agostino Gualtieri premurò che fosse soffittato l’altare maggiore.
La prima domenica di Quaresima poi che fu li 11 marzo venne nel Silaro una orribile piena che trasportando ghiacci e nevi dal monte allagò le fronteggianti campagne coprendole di lezzo e li seminati furono tutti ruinati.
Li 30 dello stesso mese, giorno di venerdì, arrivò in Castel S. Pietro un nobile di Tolosa che si incaminava a Roma al Papa il quale nel decorso carnevale, incontratosi il SS. Viatico che portavansi in Bologna ad un infermo, avendo la maschera alla faccia, non se la volle levare come avevano fatto li altri suoi coleghi. Onde giunto alla propria abitazione credendo di potersi levare la maschera dal volto non la fu modo, poiché se la era attaccata in guisa che nemeno l’arte medica potette levarla non che tagliarla. Non poteva mangiare perciò, ma solo bere onde continuamente piangeva la sua disgrazia. Presa una piccola bevanda quivi se ne partì tosto per Roma ben guardato.
Le escrescenze dell’aque nel Silaro avevano tanto battuto l’ala destra del ponte verso ponente che già avevano cominciata una breccia minacciando la via corriera, fu perciò necessario un pronto riparo per lo chè la comunità ricorse al Governo di Bologna onde averne le convenevoli providenze.
Trovavasi da alquanti anni assidrata in un letto Francesca Maserati del territorio di Dozza con piaghe sul dorso onde l’arte medica non valeva più a rissanarla. Si fece portare ella il 31 maggio, che fu il giorno dell’Ascensione, in una carega nella chiesa della SS. Annunziata in questo Borgo affine di impetrare da Dio, mediante la miracolosa Imagine di Poggio la liberazione dal suo male. Difatti portandosi la S. Imagine in d. chiesa, per levarli li ornamenti festivi delle Rogazioni passate e poi, vestita da campagna, trasportarla d’indi alla sua ressidenza in Poggio, si mise la povera inferma a raccomandarsi tanto caldamente a quella S. Imagine, che sciogliendosi in tenerissime lagrime, confortata dalli assunti ad avere fede che sarìa sicuramente stata sanata, diede ella tosto in un sospiro ed esclamando: Dio, Dio qual foco è questo che mi consuma le reni, Maria, Maria ajutami, in un baleno balzò dalla carega e senza alcun ajuto si genufletette avvanti la B. V. e si sentì tosto libera.
Accomodata la S. Imagine per il trasporto a Poggio, la rissanata si fece dare un lume e con questo volle accompagnare senza alcun ajuto e con stupore di tutto il popolo la B. V. fino a capo del Borgo e ricevere la benedizione che fu prevenuta da un devotissimo sermoncello dell’arciprete Scherlatini. Questo prodigio fu poi stampato in Imola ed in Bologna onde vieppiù crebbe la venerazione della S. Imagine.
Li 5 giugno nevicò talmente al monte, conforme lasciò scritto D. Francesco Fiegna ne suoi ricordi che uniti alli altri conserviamo fra le memorie patrie, in guisa che al Monte delle Formiche, di Monte Caldiraro, Vedriano ed altre montagnette superiori al nostro Castello, che fu piuttosto tempesta che neve, produsse molto freddo e nel nostro Castello e Borgo durò a cadere per cinque ore continue, d’onde ne derivò gran freddo ed in conseguenza si sentirono malattie e mortalità. Ruinò tutte le raccolte di que’ terreni su cui cadde una tanta intemperie.
Il dì primo lulio vestì la carica di Massaro Nicola Rondoni e l’altra di Podestà Antonio Giuseppe di Bernardino Marescotti.
Nelli Raccordi della familia Rondoni, comunicatici dal fu Gaetano Rondoni, abbiamo la seguente memoria che ci piace trascriverla come ce la ha partecipata.
“Adì 13 Lulio riccordo che vennero in Castel S. Pietro li Collegi di Bologna colli loro Massari dell’Arti e doppo avere visitate le Botteghe di Mangiativa, passarono al Bottegone di Carlo Rondoni nostro cugino fornito di 17 lavoranti. Quivi li Massari colli Mazzieri intesero di catturare per la obedienza, che non avevano, e sopra il modo di lavorare le Canape. Si adirarono li lavoranti e fecesi capo Antonio Topi detto Toparino con Carlo Bogni e doppo avere altercato alquanto il Maziere diede un roversio sulla facia di Carlo Bogni.
A tale fatto corsero li compagni alli bastoni e punte per vendicarsi ma il Maziere fu lesto e fuggì in chiesa a S. Bartolomeo e li Colegi parte a S. Francesco e parte in S. Bartolomeo per assicurarsi della via contro il popolo che poi si era ammutinato vedendosi vulnerare un privilegio tanto antico, onde essendo quelli inseguiti stettero chiusi tutta la notte seguente per la pavura e la mattina andarono a Bologna.
Il Cardinale se ne adirò a tal segno che ne volle fare processo, ma Carlo Rondoni, altro cugino, per scansare ogni colpa, licenziò a vista tutti li lavoranti li quali vedendosi disperati presero le armi per fare ressistenza alli sbirri se venivano. Avvisato anco di questo il Legato chiamò a Bologna Carlo Rondoni, il quale temendo di essere poi ivi carcerato non vi andò, ma andò a Imola. Infrattanto cresceva l’ammutinamento delli paesani.
Vennero perciò li sbirri al Castello per pochi giorni con un notaro, ma fattale un imboscata alla Crocetta andarono alcune archibugiate e fu ferito il cavallo sotto il caporale Bellazzo. Impavoriti li altri ritornarono a Bologna e riferirono tutto al cardinale il quale conoscendo che sarebbero seguiti molti altri omicidi, infrapose il Podestà novo Marescotti acciò li mutinati e sollevati chiedessero perdono che più di questo fatto non se ne saria parlato e tanto fu che li Collegi stettero molto tempo doppo a venire.”
Trovavasi il cemeterio pubblico della arcipretale di Castel S. Pietro in alquanti luoghi nel suo circondario di mura per la antichità aperto e mal diffeso, non mancarono torbolenti di ajzzare li nemici dello Scherlatini acciò le fossero fatti discorsi contro. Pervenutelo ciò a notizia, imediatamente cominciò a farlo restorare, come riscontrasi nell’arch. parochiale a proprie spese e così deluse li suoi avversari.
Contemporaneamente venendo minacciato il ponte nella via corriera sopra il Silaro ed avendo altresì le correnti rotto alcune braccie laterali, fu fatto ricorso al Governo di Bologna onde provedesse al disordine. Fattane fare la visita all’architetto pubblico, si mise tostamente mano in agosto al lavoro che si terminò nel seguente settembre, del qual mese nel giorno 8 Andrea di Domenico Bartolucci si Castel S. Pietro vestì l’abito cappuccino e prese il nome di F. Giuseppe da Castel S. Pietro, che condusse una vita ottima nella relligione e morì santamente come ne abbiamo scritto il suo elogio a parte.
Il Provinciale delli agostiniani P. Gian Antonio Bonaveri bolognese venne in Castel S. Pietro in questo tempo assieme all’exprovinciale P. Sigismondo M. Malvezzi all’occasione di sollenizzarsi in questa loro chiesa di S. Bartolomeo le glorie di S. Nicola da Tolentino, fece in tale contingenza la sua visita. Il P. Malvezzi godendo poca salute stabilì quivi per alquanto tempo la sua stanza e godette il beneficio dell’aqua della Fegatella . Fu riformata la familia, il priore locale del convento D. Alessandro Gualtieri della cospicua familia Gualtieri fu confirmato nel suo priorato per li secondo anno colla seguente familia: P. Gian X.tomo Fanti, P. Giuseppe Filippo Soprani da Castel S. Pietro, P. Carlo Zoccoli da Castel Franco ed un lajco.
L’anno veniente 1680 entrò Massaro per il primo semestre Domenico Bartolucci che fu l’ultimo che si chiamò col titolo di Massaro, fu Podestà Camillo di Tadeo Bolognini.
Lo Scherlatini doppo avere fatto rissarcire il cemetero ed inalberata la croce di macigno in quello fece apporre a piedi della med inciso il seguente distico ovvidiano.
Tendimus huc omnes, metam properamus ad una
Omnia sub leges mors vocat atra suas
Questa inscrizione fu presa in mala parte dalli preti della congregazione locale e suoi nemici, Attribuirono essi che tanto avesse fatto incidere per dare loro ad intendere che essendo morti alcuni altri di loro, dovevano ancora li superstiti subire la sorte eguale e caderli nelle mani. Sollecitati dalla malignità diedero una petizione al Vicario generale di Bologna accusandolo di uomo cimentante, satirico e poeta, profano nelle cose catoliche ed amante più dell’atteismo che delle scritturale. Ne ebbe perciò forti repprensioni dal superiore, le fu in seguito ingionto levare tale profana incisione e sostituire a quella un testo scritturale. Dispiaque molto allo Scherlatini non già l’accusa ma la conseguenza di dovere sostituire altro moto sopra il cemetero levando l’altro per cui andava la sua convenienza in aria, per la qual cosa egli, in quanto alla prima parte, con suo poco onore, fu levato il distico ma quanto poi alla sostituzione non si volle prestare, cosiché non essendo ciò di legge altro non si fece.
Li 28 aprile, giorno di domenica, la Compagnia del SS.mo del Finale di Modena portandosi alla S. Casa di Loreto col suo miracoloso crocefisso fece la sua fermata quivi. La sera fu incontrata dalla nostra Compagnia del SS.mo di Castel S. Pietro alla confina del comune ove all’oratorio della Pollicina fu inalberata la sua S. Imagine, fu portata processionalmente in Castello e riportata in questa chiesa parochiale al culto de cattolici ove la mattina seguente del lunedì, data la benedizione al popolo dal nostro arciprete, se ne incaminò alla volta d’Imola accompagnata fino al ponte alla chiesa di S. Giacomo ove fu riposta in cassa.
Raccontano le memorie di Giulio Alberici come Andrea Marocchi di Castel S. Pietro, uomo facinorosissimo, si portò il primo giorno di maggio in compagnia di altri siccari dal Castello alla città di Bologna per ivi spallegiare la fazione di strada Maggiore per farle consegnare il Maglio da introdursi in città, quivi armati di archibugi e pistolle , fatta tale introduzione, vagando per la città portossi alla casa del novo Confaloniere senatore Francesco Rata ove, essendovi chi voleva far fronte ad esso, andarono alquante archibuggiate onde rimasero persone ferite. Li birri non ebbero coraggio opporsi, dove che loro convenne battere la ritirata, poiché la fazione di strada Maggiore si era unita al Marocchi e teneva la porta per suo conto.
Questa bravata temeraria di caminare per la città in conventicola fu per esso un forte impulso alla Giustizia di doverlo carcerare. Tanto seguì fra non molto quando meno esso lo si pensava, onde in seguito le costò la vita ed in quest’anno fra pochi mesi andò sulle forche avendo avuto anco complicità in molti omicidi, asegnatamente nelle persone di Antonio Conti e di Francesco Benacci in Bologna.
Dell’origine di piantare il Maglio se ne scrisse già avvanti e chi brama esserne instrutto a fondo si riporti al Lib.4 de Fasti Romani di Ovidio.
Nel mentre che il Marocchi stette in carcere, come che non era ignaro di lettere compose un canto lugubre e vario della di lui vita, scrivendolo col carbone nelle pareti della carcere ove mostrò in fine che l’uomo perverso termina male li suoi giorni, che fu poi pubblicato per le stampe doppo la di lui morte col titolo di : Canto di Marocchio.
Pagato il fio delle sue bravure vi fu in Castello sua patria composto il seguente madrigale sotto il di lui stema che figurava in una colonna in mezo al mare con un ochio umano sopra essendo un arma o stema come si suol dir cantante:
Sopra saldo Obelisco
Ochio che osserva in mar ogni periglio
se dalla ragion si chiude e serra
stolto non ha consilio
poscia che ancor in terra
si incontra egual la sorte
né sa fuggir la Morte
Furono attribuiti questi versi ad Angiolo Quaderni che fu poi regente agostiniano sotto altro nome come si scrisse. Doppo questa composizione ne fu altra fatta ed affissa alla porta della sua casa che ci fu comunicata dal sacerdote D. Gio. Battista Vanti, raccoglitore ancor esso di memorie patrie ed era di questo tenore:
Marochio, che col tuo ochio vedevi tutto il Mare,
non hai saputo da vicino la Morte vedere ed iscansare.
Perché conveniva al Capo della pubblica rappresentanza esercitare l’officio di accompagnare la squadra della familia armata, prendere sequestri, inseguire malviventi e fare tanti altri ministeri necessari al Governo e poco convenienti ad uno che figura il primato della populazione per cui se le dava il titolo di capo Massa e della Massa populare. La Comunità ricorse la Governo di Bologna acciò decretasse che le veci di Massaro si facessero da una terza persona fuori di Consilio per evitare tanti pericoli ed assordi che nascavano, onde nel dì 30 maggio ne segnò il decreto per li atti del not. Francesco Arighi Attuario dell’officio dell’Imposta, di che ne abbiamo fra nostri documenti copia conforme all’atto pubblico comunitativo segnato al Camp. 2 fol. 158.
Da qui in appresso tutti li Capi della Comunità furono chiamati non più Massari ma Consoli, onde giunto il giorno 24 giugno si fece dalla imborsazione de pubblici rappresentanti la estrazione del novo Capo comunitativo che fu Nicolò Gattia ed intraprese il dì primo lulio la carica col nome di Consolo. Per il secondo semestre anno corrente 1686 Podestà fu il dott. Gio. Battista filio del dott. Alessandro Pelligoni.
Avutasi la nova della presa di Buda si fecero in ogni loco ringraziamenti a Dio ed allegrezze. In questo nostro Castello si solennizarono nella chiesa di cod. francescani mediante solenne Tedeum ad instanza dell’alfiere Valerio Fabbri che a proprie spese fece tutto. Chiamò inoltre tutta la sua milizia locale e terminata la funzione fece fare lo sbaro replicato delli archibuggi, fucili e mortaletti.
Terminato l’anno il Podestà del paese fece apporre la sua memoria nella pubblica ressidenza in macigno secondo lo stile e fu di questo tenore.
Jo. Babtista Sanutus Pellicanus
Castri S. Petris Pretor S. S.
MDCLXXXVI
Per il primo semestre poi fu ConsoloCarlo M. Comelli e Podestà il Conte Enrico Ercolani, sopraintendente alli affari comunitativi fu eletto in Conte Cornelio Malvasia, al med. furono di novo depositate le chiavi della fonte della Fegatella onde proteggerla dalle insolenze che si facevano da scapestrati ed oziosi.
La Compagnia di S. Cattarina, solita fare la processione col suo X.to deposto dalla croce e poi riposto nel sepolcro, ad effetto di fare questa funzione più decorosa chiese allo Scherlatini la licenza di fare ciò all’uso di Bologna in questi termini però un anno nella chiesa dell’Annunziata nel Borgo e l’altro nella chiesa di S. Pietro e finalmente il terzo anno nella propria chiesa. L’arciprete non acconsentì punto, poiché la chiesa di S. Pietro non era sua, quella dell’Annunziata era concessa alla Congregazione de preti, per lo che conveniva usare le dovute cautele con tutti li avventi diritti sopra le divisate chiese. Per non dimostrarsi però riluttante e nemico alle funzioni eclesiastiche accordò alla compagnia fare tale sepolcro nella di lei chiesa tante volte quante ne chiedessero le dovute licenze, quindi in seguito nel giorno 26 marzo, venerdì Santo, fatta la processione del X.to deposto dalla croce, incaminatasi dalla parochiale al Borgo e fatto il solito giro, fu portato nella chiesa di S. Cattarina ove eravi stato preparato l’avello sull’altare ed apparata la chiesa a lutto. Fu quivi deposto il X.to e la mattina di Pasqua di resurrezione si vide ove era l’avello la figura del redentore colla stola e camicia e bandiera nel modo che facevasi nella arcipretale. Riescì la funzione assai devota e piaciuta.
Li 20 aprile venuto in visita il P. Gian Antonio Bonaveri provinciale delli agostiniani a questo convento di S. Bartolomeo, mutò la familia e fu questa: P. Gio. Battista Gherardini e P. Filippo Soprani.
Essendosi accomodato il ponte sopra il Silaro dalla parte di ponente la spesa ascese alla somma di l. 3404: 18: 6 per lochè il Senato ne ordinò il riparto sopra le undici Comunità solite contribuire al ripartipartimento del ponte.
Le strade del Castello erano ruinate in modo che non si poteva per esse caminare, onde il Podestà locale a cui, in vigore dello Statuto, spetta l’ornato e polizia de fabbricati ordinò il ristoro mediante sua notificazione e medesimamente proibì il tenere letami nelle pubbliche strade ed immondizie e ruschi. La Comunità perciò somministrò li materiali e li proprietari fronteggianti la via maggiore ed altre del Castello pagarono le maestranze.
Per li molti inconvenienti che nascevano a motivo del Maglio, il Papa con ordine sovrano proibì questo baccanale sotto rigorose pene. Ciò dispiaque molto alla guardia svizzera di Bologna perché andavano li svizzeri a S. Michele in Bosco a prendere il Maglio ed avevano ciambelle e collazioni.
Il dì primo lulio entrò Consolo Francesco Vanti e Podestà fu il senat. Ferdinando di Vincenzo M. Marescalchi.
Il 16 dello stesso mese il P. Giovanni da Budrio cappuccino ultimo della familia Fracassati, essendo quivi guardiano di familia, finì li suoi giorni compianto per le di lui virtudi rare.
Nella sagrestia di questa arcipretale essendo nato rumore a motivo che l’arciprete aveva prestati fuori li apparati della Compagnia del Rosario, crebbe a tal segno che poco vi mancò che non si venisse alle mani co’ ministri dello stesso arciprete. La causa divenne seria in modo che al tribunale vescovile convenne mettervi le mani e monsig. Giuseppe Musetti Vicario Capitulare mandò un ordine all’arciprete di non mettere più le mani nelle robbe del Rosario, crebbero da questo fatto molto più le amarezze dello Scherlatini per vedersi contrariare anco da suoi, per così dire, domestici.
Li 2 novembre fu ucciso nel Borgo Pier Maria Alberici di Castel S. Pietro.
La compagnia di S. Cattarina, che fino a questi giorni aveva sempre nelle sue processioni usata la palliola colla santa dipinta senza punto dipendere dall’arciprete, inalberò lo stendardo ossia tronco con due traversi tutto dorato che le costò l. 225 e portollo processionalmente nella sua funzione il giorno di S. Cattarina. L’arciprete ne diede parte al vescovato onde anco in questa parte si accrebbe li nemici.
Il giorno seguente 26 novembre, terminata la sua legazione, il card. Antonio Pignatelli con soddisfazione massime del contado oggi giorno di domenica venne a Castel S. Pietro per andare al suo arcivescovato di Napoli. Fu preceduto dalla Guardia Svizzera fino alla porta della città, poi da cavalleggieri, indi con mons. Santa Croce Vicelegato, senatori Marchese Gio. Francesco Sangiorgi, Francesco Ghisilieri fino al nostro Castello ove, per ordine del Senato, fu banchettato nel palazzo Malvasia, vi vennero seco molte carozze a sei cavalli con dame e cavalieri, tanto fu l’amore che si era procacciato. La stessa sera alle ore 22 fu accompagnato sino alli confini nostri colla Romagna ed ivi ringraziato.
Li 9 decembre poi in lunedì la mattina giunse il card. Gianfrancesco Negroni e fu incontrato alli confini dalli senatori Marchese Cesare Lambertini, Conte Pompeo Ercolani per conto del Senato, li quali lo introdussero nel Castello e palazzo sud. Malvasia, ove fu trattato a pranzo. Li cavaleggieri venuti fecero sempre la guardia al palazzo, partì alle ore 20 italiane per Bologna e nel partire fece molte elemosine a questa popolazione povera.
Il dì primo genaro 1688 entrò Consolo per il primo semestre Paolo Giorgi e Podestà il senatore Marchese Antonio Gozadini.
Li 3 marzo, giorno delle ceneri, nevicò così fortemente che si temeva la ruina de coperti nelle case deboli, ma la neve stette appena un giorno ed una notte che, alzandosi un gagliardo scirocco, si dileguò tosto.
Li 11 aprile il teremoto si fece sentire con tre orribili scosse sull’ora 17 italiane, patirono le case et edifici e torri. Replicò li 17 d. e si fece sentire per tutta al Romagna. Fu così sensibile che le campane sonarono da sé, onde perciò si fecero da per tutto orazioni di penitenza e supliche per la liberazione dal castigo.
Il P. bacilliere Nicola Turioli da Castel S. Pietro agostiniano, degente in questo convento di S. Bartolomeo li 8 maggio fu spedito priore dalli agostiniani a Ravenna dal provinciale Pier Antonio Diotalevi di Rimini. Questo provinciale, terminato il suo ministero, chiese la filiolanza di questo convento di S. Bartolomeo e la ottenne come ottenne l’egregio giovine Angiolo Michele Quaderna di Monte Caldiraro la admissione alla regola di S. Agostino e si fece filiolo dello stesso convento, per essere della podestaria di Castel S. Pietro, e fu approvato. In questo mese si ebbe la notizia come era stato dichiarato arcivescovo di Bologna il card. Angiolo Ranuzzi e perciò li 28 maggio si diedero lo consueti degni di allegrezza con le campane tutte del paese.
Nel dì primo lulio entrò Consolo Nicolò Gattia e Podestà fu il Conte Alberto del Conte Massimo Caprara.
Non ostante il gastigo del teremoto, volendo Iddio beneficare li buoni, concesse una fortissima raccolta. Racconta nelli suoi riccordi MM. SS. D. Francesco Fiegna che nel comune di Castel S. Pietro si raccolsero 18 milla corbe di grano e li marzadelli furono incalcolabili onde a vilissimo prezzo si vendeva il grano la corba a ragione di pavoli cinque o sei e lo spiano era a ragione di pavoli dieci la corba, così che se ne davano oncie 52 per ogni quattro bajochi.
Valerio di Gio. Battista Fabbri di Castel S. Pietro sotto il Colonello Mario Carbonesi fu dichiarato nel dì 12 lulio tenente del cap. Biagio Sgarzi.
Li 4 agosto morì Lorenzo Albruni e li 10 dello stesso morì lo Sgarzi sud., erano entrambi del governo comunitativo, furono per ciò accompagnati secondo l’uso antico della Comunità alla sepoltura con torce dalli altri pubblici rappresentanti pagando la Comunità la spesa, come si riscontra da libri de mandati. Morto il detto Sgarzi sucesse nella di lui carica il ricordato tenente Fabbri che poi passò fra non poco alla guerra viva nella Dalmazia contro il Turco.
Erano tante e tali le insolenze ed iniquità che si commettevano in questo loco e sue vicinanze da fuorusciti e contumaci di giustizia nelle campagne e castella che, essendosi rese intollerabili, convenne alla Comunità ricorrere al Legato. Scrisse perciò al med. Nicolò Gattia consolo quale tostamente ordinò che con sbirraglie e nostra soldatesca si desse la caccia a coloro.
Tanto seguì prontamente impercioché il novo capitano Fabbri unito al valoroso Marchione Fabbri di lui germano, avendole fatto imboscate nelle vicine colline sopra li boschi de Frassineto, Liano, li diedero la caccia fino sopra le boscaglie opposte nel quartiere della Lama sotto il Casteletto.
Non contenti di ciò li nostri soldati, finchè li sbirri guardavano superiormente perché non andassero li fuorusciti alle boscaglie di Maleto, li attaccarono verso Castel d’Alboro distrutto e la Ghisiola ove, avendo prese quelle alture, si fecero andare tutti alla volta di Dozza ove, sentitosi il rumore delle archibugiate da frati di Monte del Re si cominciò a battere le campane. Al qual rumore sbigotiti presero la strada di Dozza fino presso quel castello di dove, sortendo li terazzani al battere di campana a martello, furono dissipati verso la montagna di Monte Catone. In tal guisa fu liberato il nostro territorio di Castel S. Pietro.
Fu in dovere però la nostra Comunità e Consolo ringraziare il legato nell’avere data la facoltà alla nostra milizia di tanto operare. Il Legato con sensi di gentilezza accolse l’uffizio e così rispose: Mio Amabilissimo, sento la quiete la quale si gode costì senza perturbazione de fuorusciti e malviventi e perché vorrei che andassero bene anco le cose civili delle Amministrazioni pubbliche, mi sarà caro che mi avvisiate se occorre niente che ricerchi la mia assistenza essendo io prontissimo a cooperare a qualsiasi migliore Disposizione e regolamento di questa Comunità ed il Signore vi prosperi Bologna 5 7.bre 1688 Aff. G. F. Card. Negroni.
Ad effetto di propagare l’arte di tengitore da panni e tele, Domenico Bartolucci comprò dalla Compagnia di S. Cattarina una lingua di terreno appresso il ponticello sopra il canale nella via che porta al Silaro, come appare da rogito di Girolamo Giordani celebrato in ottobre ed in seguito edificò la tentoria, che ora si vede et è della eredità Vachi alla sinistra del canale.
L’impeto della fiumana e correnti del Silaro aveva dalla parte di levante devastato in tal maniera la sponda del ponte sopra la Emilia e l’altra via che si congiunge a questa, detta la via delle Fornaci, che però fu in necessità il Senato di farvi pronto riparo. Si eseguì questo e si spesero perciò lire quattromilla e cinquecento di Bologna, per pagare le quali fu ordinato un comparto alle dodici comunità superiori sogette alla podestaria di Castel S. Pietro. Il decreto fu il seguente: 1688. 7 X.bris Partitionem Lirarum quattor millium quinquegentor. fieri et exigi voluerunt pro hac tantum Vice pro tertia parte d. pecunie super duodecem Comunit. Preture Castri S. Petri subiectis, pro alia tertia parte super omnibus Comunitatibus Bononie et pro reliqua tertia parte super ipsa Camera Bonon. erogandur in Resectionem Pontis, et Vie adnexe C. S. P.ri Silaris fluminiis impeta devastat.
In quest’anno seguirono due matrimoni nel nostro Castello che crediamo quivi indicare per lume della Storia. Il primo fu di Gio. Giacomo qd. altro Giacomo Bolia, che poi si fece chiamare Bolis, della parochia di S. Britio di Novara il quale piantò quivi la sua familia d’onde ne derivarono poi li dott. Bolis, che in Roma si imparentò in Donna Bernardina attinente alla casa Albani, fu governatore di Castel Gandolfo ed ebbe altre cariche luminose che a suo loco saranno riferite, la qual familia poi, per le persecuzioni dell’arciprete Calistri, abbandonò il nostro Castello e stabilissi in Bologna nella parochia di S. Donato. L’altro matrimonio fu di Diamante qd. Francesco Balduzzi, ultima del suo chiaro casato derivato dal Conte Ugolino Balduzzi cap. di cui ne parla la Storia di Bologna, onde la med. appagliatasi con Marc’Antonio Carati di Castel S. Pietro, senza sucessione, terminò quivi la sua discendenza, ne appare ciò da pub. rogito di Carlo Benazzi.
Nel 1689 poi il dì primo genaro intraprese la carica di Consolo Pavolo Giorgi mercante ricco di grano detto volgarmente per ciò de Paoli. Fu Podestà il senatore Vincenzo M. Marescalchi.
Li 3 febbraro li Assonti di Milizia, perché le cose del contado andassero con buon ordine, decretarono che un loro senatore dovesse fare la rassegna delli soldati di ogni compagnia e per esso un colonello. A Castel S. Pietro però venne il Conte Mario Carbonesi colonello. Ciò fu decretato per volersi de soldati migliori alle opportunità. Poscia fu ordinato che in seguito li capitani di ogni compagnia dovessero esercitare una o due squadre de loro soldati ogni festa, mentre quest’uso era stato tralasciato da qualche tempo, onde li 20 d. si incominciò la rassegna e fu l’ultima domenica di carnevale. Fu in tale contingenza determinata l’uniforme militare ad ogni compagnia, a questa di Castel S. Pietro fu prescritta la marsina bianca e paramaniche o siano mostre di color giallo.
Li 2 marzo giorno di domenica fu improvvisamente pubblicato un bando del card. Legato Pignatelli nel quale proibì alli fornari del contado introdurre il loro pane nella città ancorché di Castel bolognese, per la qual cosa quelli contrabandieri lo portarono in appresso solo nel mercato di Castel S. Pietro e così facevano quelli di Casalfiumanese e Sassoleone li giorni di lunedì. Codesti fornari di Castel S. Pietro, vedendosi incagliare il loro pane né potendosi più portare in città e poco vendendosi in paese, fecero ricorso al Legato onde egli ordinò ai tribuni della Plebe che agissero contro gli introduttori di Casale e Castel Bolognese.
Per la qual cosa li 17 marzo in lunedì vennero con pane li sudd. li quali, avvisati della venuta de Tribuni accompagnati colla sbirraglia, si misero in guardia coll’armi. Venne il magistrato e la Curia e vedendo il primo le armi de contrabandieri non arischiarono poi che un loro mazziere, volendo fare da corraggioso a guardare al pane, ebbe una sonora guanciata, cosiché il magistrato dissimulando non si accostò neppure alli altri panatieri, li quali si erano in un momento allarmati.
Poi fu da altri contrabandieri fatto sapere alla sbiraglia che non avessero coraggio inoltrarsi a Castel S. Pietro ne giorni di mercato con armi da foco altrimenti aurebbero provato le mani de coalizati di Castel bolognese e Casale. In fatti non ebbero l’ardire avvicinarsi armati e lasciarono li loro archibugi all’osteria della Masone sul confine del comune di Castel S. Pietro e venero inermi ed in tal guisa ubidirono il Principe, servirono il magistrato e salvarono la vita loro.
Li 19 aprile venne di Bologna a Castel S. Pietro una compagnia di cattolici fiorentini partiti dalla città di Prato per andare alla S. Casa di Loreto con un loro crocefisso antico, li quali erano tutti vestiti di sacco nero, furono perciò incontrati da questa compagnia del SS.mo SS.to di Castel S. Pietro alli confini del comune e condotti col loro crocefisso inalberato all’oratorio della Pollicina, a questa arcipretale dove pernottò e la mattina seguente, data la benedizione al popolo, se ne incaminò fino a S. Giacomo dove, posta la S. Imagine in una cassa, si inoltrò verso Imola.
In questo tempo il Principe Francesco filio del duca Alessandro Pichi della Mirandola terminò la sua vita coll’avere lasciato un bambino natoli dalla principessa Borghesi di lui moglie. Lasciò il d. Principe viventi altri tre fratelli cioè Galeotto, Lodovico e Giovanni, li quali furono sogetti ad una funesta crisi tutti e tre ma più di tutti la sentì Galeotto, essendo imperfetto di una mano, al quale, oltre li disturbi comuni co’ fratelli ed una vita meschina, le convenne vivere privatamente nel contado di Bologna ora qua ora là ed in ultimo ritirarsi in Castel S. Pietro dove finì li suoi giorni, come sarà scritto alla sua epoca.
Li 22 maggio, sabbato avvanti le Rogazioni, si sentì novamente il teremoto avendo cagionato ancora gravissimi danni a Napoli e Benevento, furono perciò ordinate dall’arcivescovo nove orazioni.
Li 9 giugno si replicò, essendo giorno del Corpus D., la rassegna di questa milizia di Castel S. Pietro ove Marchione Fabbri sucendole da alfiere cominciò, nel partire della processione del SS.mo, a giocare di bandiera all’uso veneto e di altri luoghi di Italia onde, arrivato il SS.mo alla porta della chiesa, avendola esso ventilata con varie e piacevoli evoluzioni, la stese sul terreno affinchè vi soprapassasse il SS.mo portato dall’arciprete, il che fu eseguito senza menomo sconvolgimento di persone e la truppa accompagnò poi la solenne pompa. Finchè visse e stette in patria il ricordato Marchione, in tale funzione annua fece lo stesso.
Terminata la funzione seguì lo sbarro di 40 fucili, durante la quale il capitano Valerio tenne sempre la spada evaginata ed era armato di panciera e manopole all’uso antico.
Nel giorno primo lulio entrò Consolo Domenico Bartolucci, Podestà il Conte Francesco Isolani.
Li 12 agosto morì il pontefice Innocenzo XI da Como in età di anni 78 e di pontificato tredici.
Il Turco facendo novi movimenti contro la Francia e X.tianità fu un forte motivo che li cardinali in pochi mesi facessero la elezione del novo pontefice, per lo che su la fine di questo mese, affine di guardare la città di Bologna da movimenti, fu chiamata la nostra milizia di Castel S. Pietro a Bologna per lo che vi stette finio all’elezione del papa. In questo fratempo li cardinali, temendo de progressi del Turco nel veneziano, elessero generale delle armi pontificie D. Livio Odescalchi. Morì in Fano il card. Ranuzzi già destinato arcivescovo di Bologna nel mese di settembre, non potendo andare al Conclave.
Li 6 ottobre fu assunto al sommo pontificato il card. Pietro Ottoboni veneziano d’anni 80, doppo avere ressieduto in Roma anni 50, uomo di gran dottrina e prudenza, col nome di Alessandro VIII, benchè creatura di Innocenzo X.
Marchione Fabbri avendo dato prova di sua persona fu eletto tenente di cavallaria di Bologna dal Marchese Costanzo Zambeccari. Li 19 novembre doppo essere stati alquanti giorni in Bologna, li Principi D. Antonio e D. Marco Ottoboni nipoti del novo Pontefice vennero alla volta di Castel S. Pietro per andare a Roma, furono perciò, prima di entrare in questo loco, accompagnati dalli senatori Conte Giuseppe Malvasia e Marchese Cesare Tanara, senatori deputati dal Senato. Vi seguirono la Marchesa Laura Carpegni Tanara e Giulia Malvezzi che accompagnarono la principessa moglie di D. Antonio, vi seguì anco mons. Sante Croce V. Legato. Posteriormente vi intervenne la Marchesa Laura Pepoli e Marchesa Diana Campeggi. Arrivati tutti a Castel S. Pietro si fermarono al palazzo Malvasia ove furono trattati con egual munificenza che furono ricevuti nella villa di S. Martino delli signori Paleotti. Furono nel nostro Castello serviti dal cap. Valerio Fabbri con la sua compagnia militare a spese pubbliche.
Perché in addietro dal Senato non erano stati approvati li Consilieri della Comunità, perciò fu legitimato il Consilio composto de seguenti individui: Benedetto Fiegna, Lorenzo Gordini, Domenico Battisti, Vincenzo Nicoli, Paolo Giorgi, Domenico Bartolucci, Carlo M. Comelli, Lorenzo Bertuzzi, Nicolò Gattia, Nicola Rondoni, Sabbatino Ronchi, Gio. Domenico Giorgi, Lodovico Villa, Ventura Ricardi, Gio. Paolo Fabbri, Pier Andrea Vanti, Andrea Zopi, Giacomo Landi, Gioseffo Calanchi e Giacomo Pirini. Questa notizia la ripetiamo non dalli atti comunitativi ma dal T. 21 Partit. fol. 140 del cav. Baldassarre Carati che infinite altre notizie e documenti ci ha somministrati.
Li 10 decembre si pubblicò l’Indulgenza pontificia in forma di Giubileo.
Lorenzo Gordini estratto Consolo per il primo semestre anno 1690 intraprese il suo officio, fece lo stesso di Podestà Battista di Scipione Graffi.
Il giorno 6 genaro, avendo l’arciprete Scherlatini fatto fare un bellissimo presepio nella capella di S. Cattarina nella parochiale con figure grandi di mano del chiaro Alessandro Mazza discepolo dell’insigne Algardi, ne fece fare la mutazione delle figure le quali ad arte si movevano alcune. La sera dello stesso giorno fece fare una Academia litteraria nella sua chiesa ad onore di Gesù visitato de Maggi, avendovi introdotto in questa adunanaza li accademici tutti invitati sotto il titolo di Immaturi. Fece egli la Orazione e riescì il tutto di gradimento al paese.
Nel seguente febraro il cap. Valerio Fabbri sposò Orsola Villa di questo loco. In marzo si pubblicò la collazione dell’arcivescovo di Bologna nella persona di Mons. Giacomo Boncompagni nipote del fu card. Girolamo, con pensione di 7 milla scudi, se ne faceva da pertutto allegrezze nelle quali in paese si distinse lo Scherlatini che, se avesse preveduto le avversioni che doveva incontrare da questo prelato, aurebbe piuttosto fatto cantare al suo popolo il Miserere.
Li 2 aprile, domenica in Albis, festa di S. Francesco di Paola, accadde un tremendissimo temporale con vento e pioggia per tutto il territorio di Bologna che durò tutta la notte e fu sentito in seguito una scossa di teremoto.
Li 29 di questo mese prese il possesso dell’arcivescovato di Bologna mons. Antonio Felice Marchesini a nome del novo arcivescovo Boncompagni.
Nel dì 15 maggio la Compagnia di S. Alberto di Firenze detta della Morte, ritornandosene da Loreto a casa per questa strada Emilia con un picolo ma devoto ed antico crocefisso, fu incontrata dalla Compagnia di S. Cattarina al ponte del Silaro ove nell’oratorio di S. Giacomo e Filippo si era preventivamente innalzato, avendo due bellissimi fanali d’argento seco, e fu introdotto in Castello nella chiesa di S. Cattarina, dove stette tutta la notte ed il dì seguente, 16 maggio, partì per Bologna dopo aver data la S. Benedizione accompagnato fino alla chiesa della SS. Annunziata dove fu riposto in cassa.
Li 2 giugno arrivò la sera incognitamente il novo arcivescovo Buoncompagni e salutato dallo Scherlatini se ne ando dirittivamente a Bologna.
Trovavasi la mura di questo Castello dalla parte di ponente nella sua sommità ruinata con molte creste per tutto il tratto dell’orto del cav. Nicolò Calderini, onde questi chiese la licenza alla Comunità di appareggiarla e farvi il suo capello di pietra, la med. aderì alla brama del cavaliere e fu ristorata.
Li 20 dello stesso mese il clero di Castel S. Pietro con vive dimostrazioni diede saggio del suo ossequio verso il novo arcivescovo Boncompagni nella arcipretale dove fu fatto cantare un solenne Te deum, procurato dallo Scherlatini per le aderenze e servitù confidenziale che aveva col porporato, al quale in seguito dedicò un suo volume stampato col titolo di: Uomo Simbolico. Procurovvi ancora una lode litteraria, mediante l’Academia locale delli Immaturi nel modo che fecero li medicinesi colla loro Academia delli Illuminati il giorno 13 corente, procuratole dall’arciprete D. Francesco Toschi.
Nel seguente semestre secondo fu estratto Consolo Lorenzo Bertuzzi e Podestà il Conte Enea del senatore Conte Nicolò Caprara.
F. Giuseppe M. Bartolucci filio di Domenico, giovine di ottimi e santi costumi, di una purità angelica, carità infiammata verso Dio ed il suo prossimo, morì studente capuccino in Ferrara ammirato da tutti, di cui ne abbiamo già scritto a parte il suo elogio.
Nel novembre repentinamente partì e, come da alcuni si volle, fuggì da Bologna il card. Negroni Legato perché malveduto dalla città. Nella di lui carica di Legato subentrò il card. Benedetto Panfili, giovine de anni 35 ma compitissimo il quale, sentendosi avvicinare a nostri confini di Castel S. Pietro il card. arcivescovo Boncompagni, venne a complimentarlo in questo palazzo Locatelli. Lo stesso fece il Vicelegato mons. Leti, colli senatori Marchese Cesare Tanara e Francesco Ghisilieri ambasciatori del Senato che, doppo averlo banchettato in questo castello a spese pubbliche, il dopo pranzo con seguito di carozze e cavaleggieri andossi a Bologna.
Come finì li suoi giorni in questo anno Bonaventura Balduzzi così terminò e si estinse la di lui discendenza del suo casato proveniente dal famoso, così detto, Ugolino cap. Balduzzi nella Storia del Ghirardazzi.
Al dì primo genaro 1691 entrò Consolo Pier Andrea Vanti, detto volgarmente Bestemione. Podestà fu il Conte Alessandro del Conte Giulio Bianchetti.
Li 13 d., rissaputosi dalla parte di Firenze che il contagio aveva attaccato anco il napoletano, si fecero perciò orazioni pubbliche e tridui con precauzioni in ogni loco. Non mancò lo Scherlatini ancor esso nella parochiale esporre la S. Imagine del Rosario, li francescani quella di S. Antonio da Padova, li agostiniani quella di S. Nicola e la Compagnia del SS.mo trasportare nella arcipretale il crocefisso suo. In Bologna si chiusero le porte. A Castel S. Pietro si posero le guardie alli ingressi del Borgo e Castello per li forestieri.
In mezzo a questo spavento il dì primo febbraro alle ore 22 italiane morì il Papa di anni 81. Nel giorno sesto il cardinal Panfili partì per Roma ed in appresso lo seguì il card. Boncompagni arcivescovo.
Li ultimi tre giorni di carnevale 25. 26. 27 cadente febraro questi agostiniani di S. Bartolomeo fecero il triduo della esposizione per 40 ore del SS.mo in suffragio dell’anime purganti fino al mercoldì seguente primo giorno di quaresima.
Adì primo aprile, domenica di Passione, l’arciprete, dopo avere terminata le funzioni diurne e processione del X.to non velato, la sera nell’oratorio della Compagnia del SS.mo recitò l’orazione funerea al med. a cui seguì l’Accademia delli Imaturi a recitare composizioni.
Il venerdì Santo instituì in questa Compagnia, come ad esso bene affetta, l’adorazione al crocefisso prima del suo clero poi dalli confratelli di quella, qual funzione si è sempre praticata fino al 1796 in cui cominciò nella Italia la persecuzione della chiesa colla invasione de francesi.
La nostra milizia di Castel S. Pietro , che era andata alla guardia della città, ritornò alla fine del corente aprile.
Premurosa la Comunità che non si occupassero da particolari le strade, stradelli e sentieri pubblici, determinò rinovare il Campione delle Strade in questo territorio. Si incominciò tosto a riscontrare col Campione vechio mediante quattro assunti che furono Pier Andrea Vanti Consolo, Paolo Giorgi, Giacomo Landi, Vincenzo Nicoli e Domenico Battisti, del qual Campione ve ne ha copia nell’arch. comunitativo.
Contemporaneamente si eccitarono amarezze fra la Francia ed Impero onde il Papa, temendo di essere superchiato, pensò armar gente e porla per diffesa de suoi stati alle confina. Si fecero perciò nel contado le rassegne de miliziotti. Ciò seguì in Castel S. Pietro li 14 giugno giorno del Corpus D. alla qual contingenza la truppa assistette alla solenne processione dopo la quale fece ella la scarica de fucili.
Il giorno primo lulio entrò Consolo il cap. Valerio Fabbri e Podestà per questo secondo semestre fu il Conte Fabbrizio del Conte e Senatore Virgilio Malvezzi.
Li 12 del corrente a pieni voti di tutti li cardinali fu eletto Papa il card. Antonio Pignatelli già Legato di Bologna col nome di Innocenzo XII in età di anni 78 onde nel dì 30 agosto ritornò alla legazione il card. Panfilio.
Li 25 settembre il card. Giacomo Boncompagni doppo essersi rimpatriato a Bologna venne a Castel S. Pietro a fare la sua prima visita pastorale come rilevasi dal Libro Visitator. 1691 in cui così sta impresso:
Prima Visitatio E.mi Boncompagni Jacobi, il tenore della quale qui apponiamo nelle parti che crediamo più esenziali alla storia del paese: In Nomine D.ni Anno a Nativitate eiusdem 1691.Indictione XIV. Die 25 7.bris Feria tertia. Ill.mus ac Re.mus D. D. Jacobus de Boncompagnis Bonon. Archiep. in exordio S. et Generalis Visitationis eclesiarum _
.
Ad Ecclesiam Parochialem et plebanam S. Mr.e de Castro S. Petri se contulit, que est libere cullationis et habet pro Rectore R. D. Octavium de Scherlatinis nobilem Bonon. qui literas sue institutionis exhibuit E.mo et R.mo. Dat. Idibus Aprilis 1662 et Bonon. recognit p. Jo. Batt. de Caratiis Curie Archiep. Bonon. 25 Maij eiusdem Anni.
Nella testa di questa visita si accenna di libera collazione della mensa, comprendesi da questa particola l’appropriazione che si fa dall’arcivescovo della collazione senza addurre la nomina ad assenso della Comunità, la quale aveva di già colla sua reticenza lasciato in poca carenza della nomina per le molte rinuncie seguite da un paroco all’altro.
Siegue avvanti la descrizione della visita nella quale si enunzia il rito di incontrare alla porta della chiesa il porporato dall’arciprete in pluviale col suo clero unito con concorso di popolo.
Andò poscia all’adorazione del SS.mo et il dì seguente cominciò la cresima, che durò tre giorni, sucessivamente si descrive la chiesa come era in allora in questi termini: Eminet Ecclesia hec in medio Castri plano, tabulata Tectu, longitudinis ped. 80 et latitudinis ultro 30. Est composita altarium XIV. ora è accresciuta in lunghezza mediante la costruzione del coro coll’avere occupata parte della via posteriore di Saragozza con assenso della Comunità, come alla sua epoca sarà riferito. Siegue ad enumerare le chiese sottoposte al suo plebato. Subsunt huic plebi eclesie quattuor parochiales, S. Mamantis scilicet de Liano, S. Marie de Capella, S. Mivaelis de Casalechio Comi.. et S. Blasi de Podio, ed omette S. Martino di Petriolo. Passa quindi all’oratorio della Compagnia del SS.mo aderente alla med. chiesa. Fol 36. Oratorium Societatis SS. SS. quod est ad sinistrum latus eclesie d. Paroch. Situm supra quam dam scalam, lignorum contignatione confect et excitat de anno 1601 ad honorem S. Flori Martiris cuius dies fastus secunda dominica Octobris celebratur.
Erra quivi la visita poichè la dedica dell’oratorio fu fatta nel 1603 all’ apostolo S. Tomaso e non a S. Floro, egli è ben vero che in questo oratorio conservasi il capo di S. Floro martire, la cui festa si celebra nella giornata accennata, ma egli è altretanto falso che la dedica dell’oratorio fosse fatta a S. Floro poiché la testa sudd. fu un dono fatto, come si disse, pochi anni sono dal Conte Ramazzotto come ne appare da pub. rogito, onde l’estensore della visita doveva dire: ad Honorem S. Thome apostoli cuius fastum celebratur. soggiunge poi chè: Sodalitas SS. Sacramenti est fundata in eclesia Parochiali et est Patrona hujus Oratori et usque confra.tes conveniunt in eodem pro Recitatione divini Offici. Cappas albi coloris deferant et Regulas habent ab E.mo Cardinali Columna Archiep. approbatas die 27 Januari 1634.
Passa poi alla chiesa di S. Cattarina e così si esprime: Eclesia S. Catharine sucessive visitata fuit que de anno 1533 excitata fuit ut patet ex Rogitu Ser Francisci de Comellis eodem Anno dei vere 11 Augusti (del qual rogito si hanno molte notizie) est fabbricata cum uno altari, in quo apposita est Icona cum effigie eiusdem S. Tutelaris in Ligno expressa cum Coronide auratam , simul Oratorium in quo conveniunt d. Confrat. pro recitatione divini Offici. dotatum est hoc Oratorium una petia Terre hotive que locatur pretio l. 6, posita in ipsomet Castro. Rifferisce ancora che questa Compagnia ha l’Ospitale per li Viandanti colli suoi fondi così. Hospitale quod spectat ad Siocietatem visitatum fuit, quod extat in Burgo Castri S. Petri prope Viam romana. Bona sunt. Passando poi nel Borgo visita la chiesa dell’Annunziata e così la descrive: Oratorium in honorem B. M. V ad Angelo Annuntiate postmodum visitatum fuit, quod est in Burgo Castri S. Petri et quod ad Eclesiam matricem spectat, et in quo erecta est Congregatio Sacerdotum vulgo noncupat: del Suffragio, qui bis in annocelebrare tenentur in Suffragium Defunctor.
Si riporta quindi la Rinoncia fattale dalla populazione del Borgo di questa chiesa per rogito di Filippo Carlo Medici, ad divina peraganda concessus fuit locus ista. Viene poscia alla chiesa di S. Pietro e così la descrive colli pesi inerenti alla med. : Oratorium Divo Petro Apostolo dicatum, fuit inde visitatum, quod est inter Castrum et Burgum. Beneficium simplex sub eodem titolo S. Petri fundatum, in hoc Oratorio, qui modo est comendat. E.mo Flavio Cardin. Ghisio cum Oblatione unius Misse in hebdomada, et diem fastum S. Tutelaris celebravat.
L’ultimo giorno poi della visita andò fuori dell’abitato all’oratorio di S. M. Madalena volgarmente detto: della Riniera, indi al ponte Silaro all’oratorio di S. Giacomo e Filippo e così descrisse la loro proprietà ed oblighi: Oratorium S. Marie Magdalene loco dicto: La Riniera, spectat nobilibus de Malvasia. Quo ad Oratorium S.S. Philippi at Jacobi est eorum de Mondinis, mandatum fuit, necessaria que desunt pro celebratione Misse parari, ab de Obligatione missarum nonullar. in eo celebrant sub pen. Librar. unius Cere traddent R. D. Paroco S. Sigismundi Bonon. qui ulterius pro fundo, in quo excitatum est hoc Oratorium et pro tornatura quattuor terre eidem adiacent et in emphiteusim locat Joseph M. de Mondinis exigit annualim pro Canone l. 4 cum solid X bonon.
Ritornato nell’abitato e prosseguendo nel Borgo visitò la chiesola di S. Carlo, che porta a Medicina, una volta chiamata, la Maestà di Virgilio Dalforte, ora del sig. Conte Gini, sucessore Riguzzi e così scrisse: A finis Burgo in fundo eorum de Rigutiis extat sub fornice Majestas S. Caroli prope pontem, presto est alia Majestas in qua cum omnia fiat confusa et delata, nomen ignoratur. Questa ultima Maestà è quella che forma angolo nella abitazione padronale del sig. Conte Gini verso Bologna ove appunto nulla si distingue, toltane l’effigie di una B.V. dipinta in muro. Chi brama riconoscere questa Maestà per luogo dedicato a Dio o suoi santi, si affaccia ad una fenestrella rotonda che riceve il lume dalla Emilia e potrà quindi dedurre ciò che le pare, dimenticandosi il visitatore l’oratorio dedicato a M. V. Addolorata in un oratorio sopra la Emilia dalla parte di levante sul principio della via detta il Curiolo, da latini Curiculum, retrocedette e ne fece la seguente annotazione e decreto: Item viam romanam incedendo Imolam versus, est in distantia unius miliaris ex hoc Castro exstat edicula armata noncupat: Il Cozzo, cum sculpta Imagine B. V. M. que conporta fuit bene recta, prescriptam fuit nihil.
Terminata questa visita partì il card. per Bologna il giorno di S. Michele 29 settembre in domenica. Li 4 ottobre giorno di S. Francesco in giovedì codesti P.P. M.M. O.O. di S. Francesco di Castel S. Pietro cominciarono solenne triduo a S. Pascale Bajlon e S. Giovanni da Capistrano con molte messe, musica solenne e vespro ogni giorno, panegirico con differente oratore, terminossi la domenica seguente coll’Inno ambrosiano.
L’Accademia delli Immaturi locali, fondata in questa chiesa, ne contestò ancor essa il suo giubilo mediante poesie in ogni metro, latino e toscano con prefazione ed orazione eloquentissime fatte da diversi sogetti. Ogni sera vi furono fochi di gioia nella piazza avvanti la chiesa de med. francescani.
Li 28 ottobre atteso che la parochiale abbisognava di rissarcimenti vistosi, avendo l’arcivescovo tassata la Compagnia di S. Cattarina nella di lui visita di l. 125 da pagarsi in tante rate, come che mostravasi ritrosa, fu pulsata al pagamento pontuale della prima rata, la quale tostamente fu pagata da Lorenzo Ferlini uno de confratelli. La familia Ferlini antica del paese fra non molto emigrò dal med. e stabilissi in Bologna ove presentemente sussiste in due colonelle discendenti da Giuseppe, una de quali senza sucessione, e dal dott. curiale Petronio Ferlini.
Perché la Compagnia di S. Cattarina pagava di malavoglia la tassa fattale dall’arcivescovo, volendosi in qualche modo rifare con esso, all’occasione del pagamento primo lo depositò nel Monte, col vincolo da non rillasciarsi se non expleto Laborenio de quo, come riscontrasi nei Libri de Mandati.
Alcuni malviventi, essendosi annidati ne contorni del nostro castello nella via romana dalla parte di Bologna, assassinavano la gente derubandole ciò che potevano e le ferivano ancora. Fra li molti assassinati vi fu Francesco Bagnavola e Carlo Cochi da Budrio, furono perciò fra non molto carcerati li capi, che erano Giulio da S. Donato e Tomaso Bendini detto Marochio da Castel S. Pietro, li altri furono sbandati dalla sbirraglia e paesani e così liberossi la strada.
Nel 1692, primo genaro intraprese il consolato Gio. Paolo Fabbri e quello di Podestà doppo pochi giorni doppo il suo officio Angiolo Michele Gastavillani senatore.
La Compagnia di S. Cattarina che, ab antiguo come si scrisse, aveva l’uso di fare la solenne processione, fra le altre sue, del crocefisso deposto dalla croce il venerdì santo, portandosi processionalmente per il Borgo e Castello, terminò di fare questa funzione a motivo di uno scandalo accaduto per cagione de portantini della barra, il quale qui trascriviamo conforme ci è stato comunicato colli altri ricordi del paese da Sante Alberici, familia spatriata e stabilita in Bologna cioè:
Adi 4 aprile 1692. Ricordo come portandosi dalla nostra Compagnia di S. Cattarina al X.to deposto dalla croce in processione per il castello oggi giorno di venerdì Santo, per farne poi secondo il consueto il Sepolcro, quando li portantini arrivarono al chiavicotto maestro, essendo fra di loro discordi per pigliare il posto ed altercando fra di essi nella muta che si davano, si rovesciò in quel bistiglio il crocefisso nella imondizia presso il chiavicotto, ove era aqua ferma e lorda e così si imbrattò in maniera che convenne ai preti riporlo nella sbarra tutto sporcato. Li littiganti furono Giovanni Guartieri, Mattia Lasi li quali si diedero assieme delle spinte per subentrare nel posto e così ne venne doppo gran travaglio e la compagnia tutta ne sentì ramarico.
Onde tosto la relazione al card. Boncompagni, il quale in seguito ordinò allo Scherlatini che più non intervenisse a tale funzione né che più permetesse alla compagnia fare il sepolcro del Cristo deposto ed in questa guisa cessò questa divozione.
Divenuto Provinciale il P. Angiolo Fiachi da Castel S. Pietro della provincia di Bologna, all’ocasione che si solennizavano le Rogazioni di M. V. di Poggio, venne a questo suo convento ove, portatasi la B. V. alla sua chiesa, ne fece esso tutta la funzione.
Li 19 maggio, lunedì dopo l’ottava delle Rogazioni, prosseguendosi a portare da contrabandieri di Castel bolognese e Casalfiumanese il pane nel pubblico mercato quantunque vi fosse il bando cardinalizio, ebbero coraggio li birri di Bologna inoltrarsi nel nostro Borgo e Castello con animo di carcerare li introducenti, essendosi nascosti la sera preventiva della domenic dove che sapevano il fatto fra non molto seguito per tale ocasione, come si scrisse.
Onde, venuta l’ora del mercato, la sbirraglia in un momento saltò fuori dalli nascondigli coll’armi calate e facendo alto intese di carcerare li panetieri forestieri. Accortosi di ciò dalli altri contrabandieri da grane e farine di Casalfiumanese e di Castel bolognese, diedero mano tostamente alli archibugi per fare rilasciare li panetieri e farinotti fermati dalla Curia onde, presi li posti, cominciossi quivi un alta baruffa di archibugiate fra la sbirraglia e contrabandieri distribuiti parte in Castello e parte in Borgo ove davansi fra di loro coraggio e facevansi animo gridando altamente: Forti, forti, Casalfiumanese, forti, forti che non teme Castel bolognese, Ammazza, ammazza, e quindi, seguendo archibugiate, convenne alla sbirraglia lasciare le armi, sdraiarsi tutta a terra per non rimanere morto e chiedere la vita in grazia.
Corisposero li amutinati forestieri, rupero le armi a birri, bastonarono li loro capi e li fecero tutti marciare verso Bologna in un drapello unito, che fu accompagnato fino alla Crocetta fuori del Borgo. Ebbero li panetieri il loro pane e così li farinotti le loro farine.
La populazione di Castel S. Pietro povera, trattandosi di un capo di prima necessità, si era ancor essa amutinata. Li fornari chiusero le loro botteghe e si nascosero e così fecero tanti altri che erano in timore della vita. Li birri più si videro nei mercati quando vi erano le due nazioni sudd.
Al dì primo lulio entrò Consolo Vincenzo Nicoli fratello del Rev. P. Lorenzo Nicoli e nipote del Rev.mo Francesco Maria. Podestà fu il Marchese Antonio Legnani.
Li 16 settembre monsig. Leti Vicelegato, prelato di gran prudenza, partito da Bologna per andare al suo governo di Jesi, come che era amato teneramente dal Legato, questi lo accompagnò con molta nobiltà per lungo tratto di strada, poi fu seguito da molti nobili al palazzo del Marchese de Buoi nella Villa di Poggio sotto Castel S. Pietro dove fu festeggiato ed il dopo pranzo passò a Castel S. Pietro ad abbracciare il P. Fiachi cappuccino e dappoi se ne partì per la Romagna.
Alla fine del mese venne per Vicelegato mons. Boromeo.
Lì 3 ottobre si sentì la notte sensibilmente per due volte il teremoto.
Trovandosi presentemente in Bologna li tre Principi della Mirandola Galeotto, Giovanni e Lodovico ivi si trattenero per alquanto tempo a motivo di dissapori fra loro nati e la principessa Brigida, zia de med. e tutrice del Duchino Francesco nipote ex fil. del fu Duca Alessandro avo del med. e padre delli d. tre fratelli.
Le ammarezze si avvanzarono a tal segno che furono accusati ingiustamente all’Imperatore di avere macchinato il veleno al Duchino pupillo mediante D. Giuseppe Ambrosini mirandolano, che si costituì in carcere a Roma lì 3 ottobre 1691 di dove ne sortì innocente nel 1693 per Sentenza declaratoria di Calunnia, essendo egli figlio di un fratello delli sudd. tre principi. L’Imperatore a cui spettava la signoria di tal ducato comise la discussione della causa al Papa. Alloggiarono d. tre principi nel convento de Servi, poi andarono a casa Legnani.
Li 19 novembre morì in Bologna D. Francesco Fabbri di Castel S. Pietro fratello del cap. Valerio e di Marchione. Fu paroco di S. Maria Labarum Celi la cui vita in ristretto è la seguente, scritta nel Libro di questa familia indicata Gallicella:
Francesco fu filio dell’egregio Cap. Gio. Battista Fabbri, in pria da giovinetto fu militare sotto il padre, militò nella Turchia della Grecia per molti anni al soldo della repubblica veneta in qualità di sergente, poi passò per alfiere in Candia ed arcipelago massime quando li veneziani presero la Canea e la città di Rettimo. Comandò poscia onorevolmente la guardia del Generalissimo Francesco da Molino, che fu poi principe. Coll’ajuto divino ritornato in Italia andò nel Friuli per alfiere al servigio medesimo, poi venne a Bologna, a casa Fioravanti suo cugino, in età di anni 32 ed abbandonata la milizia si appigliò alla studi della lingua latina
Essendo sede vacante l’anno 1655 fu ordinato prete a Bertinoro, per essere l’arcivescovo di Bologna al conclave in Roma, in età di anni 35. Ma la fortuna se le oppose in un contrasto e fu ferito in Bologna per errore con due archibugiate. Divenne poi padre spirituale della Chiesa del Baracano per anni 3 indi passò paroco nella sud. Cura di S. Maria Labarum Celi, ove morì li 19 novembre 1692 e sepolto in quella chiesa dispiaciuto dal suo gregge.
Prima di morire due giorni testò, per rogito di Gian Battista Pedini, ed ordinò nel testamento l’erezione di un beneficio lajcale all’altare della B. V. del Rosario di Castel S. Pietro sotto la invocazione di S. Almasio. Questo beneficio non fu eretto che del 1741 17 settembre da Ginevra Fabbri filia del fu cap. Valerio, vedova senza sucessione di ser Gio. Battista Dalla Valle di Castel S. Pietro a rogito di ser Agostino Pedretti not. di Bologna.
Appare da questo rogito come la med. Ginevra, colle debite forme eseguisca la mente del testore mediante il canonico Carlo Antonio Villa di lei cugino, onde assegna per fondo dotale a questo beneficio un luogo di terra arativa, arborata, vitata, boschiva con casa di coloni nel comune di S. Maria della Zena del Monte delle Formiche contado di Bologna loco detto il Poggio, di semente C. 4, col peso ingiunto al rettore pro tempore del beneficio di celebrare 30 messe ogni anno in perpetuo secondo la mente del testatore.
Si risservò la fondatrice il Jus presentandi ed il primo beneficiato fu D. Giambattista Vanti prete sacerdote di Castel S. Pietro. La pred. Ginevra doppo molti anni fece testamento, rogato il not. ser Gio. Ventura Bertuzzi, nel quale doppo varie beneficenze al Paese lasciò il Jus nominandi al priore ed officiali della Arciconfraternita del Rosario di questo paese.
Il dì primo genaro 1693 entrò Consolo Domenico Bartolucci e Podestà il Marchese Girolamo Albergati.
Lì 14 genaro Giulio da S. Donato detto Terabosco e Tomaso Bendini detto Marochio di Castel S. Pietro, de quali si scrisse avvanti, furono in Bologna appiccati per banditi capitali di crassazioni fatti in compagnia d’altri in diversi luoghi ma specialmente nella strada romana che porta a Castel S. Pietro verso Bologna, nelle persone di Francesco Bagnarola e Carlo Chodii da Budrio con offensione di persone.
Giulio era giovine robusto di anni 20, che essendo stato negativo in carcere, fu convinto da testimoni, né volle intendere come mai fosse sentenziato a morte per essere stato inconfesso, di malevolenza accusando quelli che si erano contro la di lui persona esaminati.
Avuti alcuni dispiaceri Antonio di Domenico Bartolucci Consolo per causa di amori, si passò ad altri contrasti, per la qual cosa nel dì 3 febbraro, ultimo di carnevale, ne seguì fiera baruffa di archibugiate, restando egli il vincitore, ma li suoi nemici la si tennero a mente. Da questo fatto ne prese tal passione il di lui povero padre che, alla metà del suo consolato nel dì 24 marzo, ultimo giorno delle feste pascali di Ressurezione, terminò la vita.
Per essere egli Consolo fu distinto dalli altri pub. rappresentanti morti fuori di cod. carica, li quali al portarsi alla chiesa si ricevevano entro la casa consolare e poi, recitatole il Deprofundis, si abbandonavano al clero, ma questi fu dalla pubblica rappresentanza levato dalla propria abitazione con torcie ad accompagnato fino alla chiesa de Cappuccini dove fu sepolto a spese publiche. A tale funzione vi intervenne ancora il giusdicente civile Girolamo Giordani. Per questa morte si procedette tostamente alla estrazione del novo Consolo e fu Giacomo Landi.
Venuta la visita del provinciale dalli agostiniani a cod. convento di S. Bartolomeo P. Simeoni da Bologna, rifformò tutta la familia e li 31 maggio, come rissulta dalli atti di questo convento, fu fatto priore del med. il P. Gio. Battista Ghirardini da Castel S. Pietro.
Li 9 giugno rifferiscono li recordi di Pietro e Domenico Gordini ed altri che il dopo pranzo cominciò un temporale da Bologna con pioggia e tempesta tale che fece infinito danno, massime ai frati dell’Annunziata di Bologna, come si riscontra nella Cron. Galassi, poi prosseguendo a Castel S. Pietro crebbero talmente li alvei per fino de condoti che allagarono li confinanti terreni. Il rio della Scania, quello della Samachina, la via di Viaro che, incorporandosi alla Viola del Lupo inferiormente, si alzarono ad altezza di sei piedi, nel Castello le cantine si riempirono, la fossa del Castello si annegò, la chiesa de cappuccini, parochia e S. Francesco non andarono esenti e così li chiostri inferiori delle tre relligioni locali agostiniana, francescana e cappuccina, onde sembrò un diluvio. Il danno non si rammemorava lasciandolo in considerazione ai lettori delle nostre carte.
Estratto Consolo per il venturo semestre Paolo Giorgi, occupò la carica il dì primo lulio e così fece il novo Podestà Giacomo di Filippo Secadinari nobile bolognese.
Li 24 di novembre il citato Antonio Bartolucci d’anni 30 per la trica avuto nel carnevale scorso fu da suoi emuli uciso con archibugiate e sepolto a cappuccini.
Li 26 di questo mese il card. Benedetto Panfili Legato di Bologna prelato di incomparabile carità, amore, prudenza e di ogni altra virtù che in pochi ritrovasi, partì di Bologna con dispiacere di tutta la provincia. Nella partenza gettò molto denaro e lungamente per via alla povertà, fece di molte grazie, fu accompagnato non solo a Castel S. Pietro da molta nobiltà, che lo lasciò con pianti, ma fino ai confini, tenendovi dietro molta populazione del nostro Castello fino alla Toscanella, dove lasciò a poveri nostri copiosa elemosina oltre altro danaro lasciato a questo effetto allo Scherlatini in susidio de poveri infermi della parochia.
Li 2 decembre fu incontrato il novo Legato a questi nostri confini dalli senatori Marco Piriteo Malvezzi ed Agesilao Bonfilioli che lo ricevettero ed, introdotto in Castello, fu pasteggiato il med. card. Legato Marcello Durazzo nel palazzo Locatelli ove era intervenuto il giorno antecedente l’E.mo arcivescovo Boncompagni. La solita funzione di giuramento si fece nello stesso palazzo, partito la sera con li accennati signori andarono tutti concordemente a Bologna essendo ambi li cardinali in uno stesso legno.
Doppo pochi giorni pubblicò un rigoroso bando sopra la denoncia delle Grane.
La neve che sopravenne doppo uno scirocco li 18 del corrente decembre stette in terra fino alli 28 febraro anno prossimo 1694, conforme ci lasciò scritto nelle sue memorie Sabbatino Beruzzi, all’entrare del quale coperse la carica di Consolo messer Domenico Battisti e quello di Podestà il March. Tomaso del March. Andrea de Buoi.
Nel giorno X del seguente febbraro morì Sebastiano Cheli e colla di lui morte si estinse il di lui casato antico di questo paese, che contava più di quattro secoli, sempre chiaro, radicato e mantenuto non ostante le fazioni e vicende del mondo. Questa familia, come abbiamo scritto, fu molto dedita alla pietà e fra le cose più singolari che fece fu di prestare il fondo ove erigere il convento e chiesa di codesti P.P. M.M. O.O.
La Compagnia di S. Cattarina, sempre sfarzosa nelle sue cose della chiesa, su la fine di aprile sotto il priorato di Lorenzo Gordini fece fare un bellissimo e buon organo grande al famoso organaro Francesco Trajers tedesco che le costò l. 560, fu messo in azione su la metà di maggio e si sentì suonare il giorno 18 seconda festa delle Rogazioni di M. V. di Poggio all’occasione che da questa compagnia fu ricevuta, secondo il turno, nella sua chiesa. Il med organo poi, allorché fu suppressa la compagnia passò in dominio delle Monache di S. Mattia di Bologna.
La Comenda di S. Giambattista di Castel S. Pietro della Relligione delli Cavalieri di Malta, detta comunemente della Masone, la di cui chiesa titolare è situata nel comune di Liano di sotto nella via romana alla sinistra andando a Bologna, dista dal nostro Castello un miglio poco più. La med. Comenda era soggetta, se non si vuol dire incorporata, alla Comenda di S. Maria del Tempio di Bologna denominata pure della Magione, d’onde comunicò tal nominalia vulgare alla nostra che fino dalla sua origine fu detta di Giambattista di Castel S. Pietro, fu smembrata e conferita circa la metà del 1760 al 1761 al Caval. Comendatore Conte Balio Lodovico Caprara colli suoi beni, come leggesi nel cabreo formato in quest’anno 1694 esistente presso il ricordato Comendatore, anzi che, essendo egli bene affetto alla med., la beneficò molto coll’acquistarle tereni, farvi nove fabriche, che ritengono del suo nome l’indicazione della Caprara.
Aquistò pure nel nostro Castello, per ressidenza del Comendatore pro tempore, la casa grande de Fabbri che guarda di facciata la piazza entro il Castello, contiguamente al forno di pan bianco, che per le rivoluzioni de francesi fu additto alla nazione e poi venduto a Francesco qd. Pietro Conti.
La sud. Compagnia di S. Cattarina, oltre tenere una campana per comodo di convocare li confratelli, ottenne la licenza dal V. G. del vescovo di Bologna mons. Ventura Martinelli in questo tempo. Il fece non poca impressione all’arciprete mentre, non essendo stato fatto inteso, ne naquerò in appresso dissapori che degenerarono in odio.
Il dì primo di lulio entrò Consolo Antonio Maria Ronchi e Podestà il Conte Giovanni Zambeccari ambi per il secondo semestre.
Li 25 dello stesso Pietro Poggipollini di Castel S. Pietro uomo animoso, essendo venuto a parole colla Curia di Dozza fece alto colla med., seguirono archibuggiate, ma egli valorosamente con due compagni paesani si avvanzarono tanto che, ferito un sbirro di quella terra, si inoltrò tanto che prese la porta del Castello, ciò vedutosi dalli sbirri si diedero ad una vergognosa fuga. Li compagni del Poggipollini altro non operarono che guardarle le spalle, tanto ci lasciò scritto Sabbatino Bertuzzi ne suoi Ricordi senza però indicarci la ragione della baruffa.
Avevano li francesi guerra coll’Imperatore e si erano avvanzati nel Piemonte minacciando li Stati della Chiesa, onde però a quest’oggetto fu spedito dall’Imperatore il Maresciallo Enea Caprara a disporre le cose contro quelli ciò non ostante, temendosi che invadessero li stati pontifici per la parte di Ferrara, scrive Bartolomeo Galassi nella sua Cronica che si arrolarono per questo motivo anco truppe nel bolognese in ottobre le quali si mandarono a guardare li confini del ferrarese.
In tale contingenza naque un sussuro in Bologna pretendendosi da nostri soldati che venisse posto in libertà un loro compagno fatto prigione, per nome detto Frassino da Castel S. Pietro, il quale aveva ucciso uno a motivo di un pugno. Fu tale la scena che convenne al tribunale porlo in libertà.
Lì 13 decembre, giorno di S. Lucia, D. Francesco Bartolucci di Castel S. Pietro, filio di Domenico su citato Dottore di Legge, già curato di S. Matteo delle Pescarie di Bologna, in età d’anni 40 circa, fu fatto arciprete delle Pieve di Budrio, in questo giorno prese il possesso come abbiamo riscosso dalle memorie di questa familia presso il dott. Anibale Bartolucci di lui nipote.
Fu il detto arciprete uomo illustre e chiaro per le sue virtudi, del quale così scrive il Fantuzzi nella sua opera di Scrittori bolognesi T. I Lett. B. fol. 377:
Francesco Bartolucci originario di Castel S. Pietro, ma poi fatto cittadino di Bologna, indi dell’anno 1694 passò ad essere arciprete della chiesa collegiata, arcipretale di S. Gervasio e Protasio di Budrio, che resse con somma lode fino all’anno 1726 in cui cessò di vivere li 16 marzo, compianto da tutti per le sue doti di sapere e per l’attenta cura del suo ministero. Si dilettò moltissimo della storia naturale ed amicissimo del Conte Generale Luigi Ferdinando Malpighi, lo ajutò nelle sue ricerche erudite sopra li funghi onde è dal detto Conte nominato con lode nella sua disertazione: De generatione fungorum, e di esso Bartolucci si ha nella bibblioteca dell’Instituto fra M.M. S.S.: Osservazioni, ricerche e lettere scritte dall’anno 1714 fino al 1720 al generale Conte Luigi Ferdinando Marsigli intorno alla Natura e Generazione de Funghi. Original. M.M. S.S.
A questa notizia del Fantuzzi aggiungiamo che il d. dottor Francesco Bartoluzzi scrisse alcune cose intorno alla storia di Budrio, le quali noi abbiamo vedute e lette in mano del dott. Golinelli di quel paese soministrateci dal di lui nipote, di dove abbiamo avuto lume per dare una qualche interpretazione ad una lapide che dal principio di questo nostro raccolto istorico abbiamo riportata.
Giunto l’anno 1695 nel dì primo genaro prese la carica di Consolo Nicolò Gattia e quella di Podestà il Conte Carlo Ridolfo Fantuzzi, fu di lui giusdicente Carlo Antonio Benacci.
Li 5 genaro cominciò una neve grossissima che, innalzatasi di due piedi in molti luoghi, caddero tetti e case. In Bologna, al racconto delle Cron. Fava, si asserisce che cadde per tale motivo il coperto del Palazzo del Re Enzio. Nel nostro Castello nella via di Framella e di Saragozza di sotto caddero li coperti alle picole case de Rondoni e delli Locatelli e Fabbri che ora sono in potere di Giuseppe Dal Monte.
La Compagnia di S. Cattarina, che per l’addietro spendeva liberamente qual somma parevale senza licenza, avuto ricorso il card. Boncompagni li limitò la facoltà ad una scarsa somma e, perché non fosse imputato ciò ad alcuni malevoli della med. e non nascessero odi e rumori, estese tal legge ancora alle altre confraternite del paese. Fu in seguito ingiunto all’arciprete la intimazione di queste disposizioni a quella. Tal ordine rissulta in lettera delli 19 corente febbraro scritta dal cardinale ed in archivio parochiale.
Li 16 dello stesso mese alle ore 8 della notte, come pure alle 12 si sentirono due scosse di teremoto, che spaventarono al doppio le persone per essere li tetti carichi di neve, onde per tale motivo il dì primo marzo fu pubblicato un editto che in termine di X giorni si levassero tutte le nevi e da coperti e dalle strade ove erano state gettate per il libero corso di carri ed altri legni.
Nate in questo tempo amarezza fra la familia Villa e quella de Pagani tutti compatriotti di Castel S. Pietro a motivo del Dazio Vino locale, ne venero conseguenze funeste onde li Pagani, mal soffrendo la facenda, ne venne che Domenico Pagani benestante fece la posta ed aguato al sig. Lodovico Villa coll’appiattarsi nel dì 25 d. nello stradello fra le mura del Castello ed il palazzo Malvezzi all’ingresso e sinistra della porta maggiore sotto la Torre, che in allora era del palazzo delli Comelli. Si diede una archibuggiata che lasciollo morto. Commesso questo ecesso il sig. Pagani se ne fuggì. Pervenuta a notizia delli fratelli Fabbri cioè Marchione, Valerio ed Ottavio congiunti del Villa, uniti con bravi e soldati del paese, inseguirono il Pagani verso la via di Medicina per truccidarlo, entrarono perfino in quella Terra ma senza frutto, poiché il Pagani, avendo declinato da quella strada tragiversando verso la Romagna, si nascose in un fosso nelle larghe di Granara in questo comune di Castel S. Pietro dove stette fino al alta notte senza potere essere scoperto, di dove poi se ne fuggì a Dozza.
Per un tal fatto, vedendosi poco sicuri in paese li altri uomini della familia Pagani, fuggirono di Castello e si rifuggiarono ancor essi a Dozza ove si tenevano sicuri accompagnati ivi e spalleggiati da altri sicari di Castel S. Pietro. Ma non andò guari che li Fabbri si vollero vendicare impercioché li 17 maggio, giorno dell’Ascensione, nel tempo di volersi dare la benedizione di M. V. di Poggio in Castel S. Pietro, sparsa voce vanamente che li Pagani con truppa di armati erano venuti in paese per comettere altro fatto contro li Fabbri, avvisato di ciò Marchione Fabbri, fece ancor esso truppa e quante persone ritrovarono di Dozza le fecero ritornare a casa, doppo averle esattamente visitate, per la qual cosa la benedizione colla S. Imagine non si diede in piazza ma entro la chiesa arcipretale a scanso di qualunque accidente e pericolo al quale si vedeva esposto il popolo.
Passato questo semestre entrossi nel secondo ove al dì primo lulio investì la carica di Consolo Antonio Maria Ronchi e Podestà fu il Conte Carlo del Conte Prospero Bentivoglio.
Il giorno secondo di questo mese, essendosi fatto protettore delli Fabbri il Conte Filippo Ercolani, cavaliere di somma possanza, contro li Pagani per farli ammazzare tutti, ne tentò la trama ma andò a voto. Non cessò perciò il cavaliere nell’impegno di machinarle la morte. Quindi il giorno 17 lulio, conforme ci lasciò scritto Sabbatino Bertuzzi, in giorno di domenica a buon ora del mattino furono assaliti in Dozza il sig. Francesco e Stefano Pagani fratelli e con essi Lorenzo Andrini di Castel S. Pietro, detto Stragualzone, con Sabadone Morara, bravi che erano alla diffesa de Pagani, nel mentre che andavano alla S. Messa. Ciò seguì per salto di Marchione Fabbri con 25 armati di Castel S. Pietro in faccia alla chiesa, andarono in questo conflitto trenta archibuggiate, essendosi prima nascosti in Doccia in guisa che non furono scoperti. Nel furore delle archibuggiate si salvò solamente Domenico Pagani nel campanile della chiesa. Delli uccisi non sparò archibuggiata alcuno se non Sabbatino Morara senza colpire perché non ebbe tempo e perché fu troppa la moltitudine delli aggressori ed il tradimento occulto, come si può rilevare nel tribunale di Dozza. Seguito tal fatto ritornò Marchione in patria colli suoi seguaci.
Li 20 di questo stesso mese furono nel nostro Borgo bastonati due gesuiti li quali compravano ed a poco a poco incettavano grani, ciò seguì la sera nel mentre che si ritornavano al loro ospizio, così ci lasciò scritto Domenico Galeati nelle sue Memorie di Bologna ed in quelle di Castel S. Pietro M.M. S.S. di D. Giambattista Vanti dicesi che furono ancor pugni. Per un tal fatto nel giorno 25 lulio si videro, come scrive lo stesso D. Vanti, affissi alla porta de gesuiti in questo loro ospizio li seguenti versi:
Voi che garontolaste bene le Gesuita
o Sante Mani o benedette dita
mercè ancor degna fur la bastonate
che il trafficar non è mestier da frate.
A D. Bartolomeo Righi di Castel S. Pietro furono attribuiti questi versi, il quale dappoi che fu fatto arciprete del Martignone si vociferò esserne egli stato l’autore.
Per l’accennato misfatto delli Fabbri contro li Pagani, nel dì primo decembre d’ordine di Roma giunse un Comissario da Ravenna con numerosa sbiraglia a Doccia a farne la processura. Furono imediatamente imprigionate dodici persone fra le quali il prevosto D. Antonio Morara, il fattore delli Campeggi ed il capitano di Dozza che tostamente furono condotti a Ravenna. In questa contingenza molti spatriarono da quella picola terra e così dal nostro Castello dal quale, per avere qualche attinenza alli Fabbri benchè lontana, emigrò Carlo Luigi del fu Vincenzo Bombasari per assicurarsi dalle presenti turbulenze e si stabilì in Bologna, la di cui familia fra non molto si estinse in Filippo nel 1775, famoso sonatore di cembalo nella città di cui se ne fa memoria da scrittori contemporanei.
Nel 1696 poi entrò Consolo Domenico Battisti e Podestà fu il March. Antonio Riari.
Terminata la processura in Dozza delli Fabbri e Pagani venne li 10 corrente genaro a Castel S. Pietro il Commissario. Cercarono in ogni loco Marchione Fabbri e riferitole che fosse fuggito in parochia andò la sbiraglia per le volte della chiesa e nelli più reconditi luoghi della med. ma non si ritrovò poiché egli scaltramente si nascose entro la voluta di un riminatto dell’ornato dell’altare della Madonna del Rosario su la cima, dal quale fortunatamente il campanaro della chiesa aveva levata la scala per cui aveva Marchione assiso quel nascondilio cosiché, appena levata quella, giunse la sbiraglia e volle quel Bargello aprire fino la nichia della S. Imagine per vedere se ivi era il contumace. Scompigliò tutti li altari, li supedanei, aperse le sepolture, il tabernacolo del battistero, ma indarno.
La Curia med. si portò dappoi al palazzo Malvasia dove pensavasi quello nascosto, che per trovare chiuse le porte, li birri con manaje le apersero e fecero ivi molti mali. Andarono in altre case sospette ma tutto indarno. Intanto Marchione salvato, fu travestito dal campanaro e la notte delli 17 d. se ne fuggì alla volta del ferarese ed indi poi nel veneziano col fratello Valerio.
Fino alli 31 del cadente genaro dimorò in Castel S. Pietro il Commissario, di dove partendo per la Romagna condusse seco a Ravenna 20 prigionieri. (Ricordi di D. Pietro Beruzzi di C. S. P.)
La Comenda di S. Gio. Battista di Castel S. Pietro di cui se ne parlò nel 1694, della quale fu investito l’E.mo card. Flavio Ghigi Comendatore in quest’anno, come che possedeva vari stabili che erano stati sottratti alla med., furono poi vindicati per la med. ed in appresso fu conferita al Comendatore Gio. Pietro Bonacorsi. Fu in questa ocasione rissarcita la chiesa accennata e decorata delle occorrenti supeletili dove che prima era disadorna e sospesa e cominciossi, ma con lentezza, ad officiare per quei vicini abitanti. Passata poi tale Comenda in mano del cavaliere Bonacorsi, essendole incomoda ne trattò e convenne la permuta colla Comenda che teneva il Conte F. Lodovico Balio Caprara in Ascoli, per partecipazione del Gran Maestro di Malta, con obligo preciso di ricuperare e vindicare tutti li stabili pertinenti a questa di S. Giovanni Battista già smembrati ed uniti ad altri della Comenda di S. Maria del tempio di Bologna, rissulta tutto ciò dal Lib. Mastro, d. Cabreo, dove sta indicata la Bolla segnata dal Gran Maestro nell’anno 1761.
Li 7 febbraro, giorno delle Ceneri, terminata la predica in questa arcipretale, appena sortita la gente di chiesa, cadde presso la parte dell’altar maggiore un pezzo di coperto a motivo della trascuranza nel levare gocciole. Fu tosto rissarcito a spese della Comunità quantunque spoliata del Jus Rapresentationis (Lib. Mandat.)
Li 8 aprile, domenica di Passione, la Accademia locale delli Immaturi fecero la loro adunanza nell’oratorio della Compagnia del SS.mo e quivi, secondo l’uso introdotto dallo Scherlatini, diedero saggio del loro talento ad onore della Passione di N. S. Si prosseguì questa adunanza e recita di composizioni ad onore del X.to miracoloso finchè visse lo Scherlatini, quale defunto, più oltre non la troviamo fatta in questo oratorio.
Nel dì primo lulio entrò Consolo Lorenzo Gordini e Podestà Claudio del Conte Girolamo Boschetti.
Pier Antonio qd. Ottaviano qd. Francesco qd. Ottaviano qd. altro Francesco Cavazza mio avo detto comunemente Cavazzino per essere provenuto dall’ascendenza di Cavazzino Cavazza nel 1500, partitante della fazione bentivolesca, facendo il med. Pier Antonio andare in questo Castello due negozi uno di calzolaria e l’altro di granelle, essendo divoto delli SS. Chrispino e Crispiniano, chiese ai P.P. locali di S. Francesco MM. OO. la facoltà di fare scultorare sopra la porta laterale della loro chiesa in una nichia grande la statua di S. M. Lauretana ed indi apporre ai piedi di quella un picolo quadretto rappresentante li sud. due santi dipinti in tela all’effetto di fare poi con essi la festa annualmente nel loro giorno come protettore dell’arte de calzolari e, per il diritto di tenervi quivi tale pittura, le fossero sottoposte in un cartello le insegne calzolaresche.
Furono li F.F. compiacenti e coll’approvazione del loro Provinciale ne fecero la concessione al detto Pier Antonio Cavazza qual priore pro tempore dell’Arte acennata nel paese, obbligandosi tutti li capi di bottega calzolaresca di solenizzare quivi ogni anno la gloria di d. santi a tutte loro spese ed, in recognizione della beneficenza avuta dai frati, si offersero di soministrare in tal giorno a quei poveri religiosi in elemosina due gallinacci indiani, detti volgarmente: Tachini.
La festa seguì nell’anno presente il giorno dedicato alla loro gloria, in cui tenero chiuse le loro botteghe cod. calzolari.
Non arroscisco scrivere che l’avo mio facesse andare una calzoleria in questo loco comechè arte mecanica e vile, anziché ambisco che si sappia la verità, quando questa non disonora ne machia la familia.
Leggiamo pure dalle storie antiche che appunto da familie mediocri ne sono derivati soggetti che alle loro patrie hanno fatto decoro e vantaggi. Isicrate nella Grecia fu filio di un ciabattino e qual disonore ne ebbe egli ? Tolomeo fu filio di uno scudiero. Mario nato in Argino filio di un artigiano fu sette volte Consolo in Roma. Probo fu filio di un giardiniere. Sisto V di povera familia. Clemente XIV filio di un chirurgo e barbiere di S. Arcangelo. Li Belluzzi di Bologna, come narra Bartolomeo Galassi nella sua Cron. di Bologna, ebbero l’origine da un calzolajo ed ora è familia nobilitata e chiara. Chi volesse su ciò scrupolizare e bruttalizare le persone per l’origine non farebbe altro che disanimare le genti alla virtù inperciochè non sono le richezze che fanno li uomini chiari al mondo ma le azioni loro, le loro opere, massima sempre addottata anco dalli atteisti onde così scrisse il poeta:
Nec Honorus Census, nec clarum Nomen Avorum
sed probitas magnos, ingeniumque facit
Li gesuiti poco contenti del fatto seguito ne suoi conversi incettatori di grani, come si scrisse da una parte e dall’altra, se non vogliamo dire inesplebili per la robba e vendicativi, al terminare di questo anno cessarono di fare le elemosine al paese ordinate dal Morelli, come abbiamo scritto. Dalle elemosine passarono all’inadempimento de suffragi ordinati ed altro bene spirituale cosiché, gridando la populazione di Castel S. Pietro contro de med., fu in necessità la povera Compagnia del SS.mo SS.to, qual comissaria relitta nel testamento Morelli, intraprendere un giudicio civile.
Tanto operò per li atti Monari nel vescovato di Bologna in cui, vedendosi strascinata senza speranza di essere gratificata non che rimborsata, abbandonò il giudicio e li gesuiti si esentarono in questa guisa dalli obblighi inerenti alla eredità pingue, la quale dovevano ripudiare se la riconoscevano insufficiente a portare il peso di cui suponevano gravata. Un ristretto di questo asse ereditario e suoi rediti lo conserviamo fra li altri del paese per giustificazione del nostro asserto e per lume de posteri.
Giunto poi l’anno 1697 il giorno primo genaro investì la carica di Consolo Pier Andrea Vanti e quella di Podestà il Conte Luigi del Conte Alessandro Bentivoglio, il di lui not. giusdicente fu Girolamo Giordani not. collegiato.
Calmata finalmente la discordia fra li preti della Congregazione del Suffragio collo Scherlatini, furono stampati li Capitoli di quella col seguente frontespicio che presso noi in origine esiste.
Capitula
Societatis erecta
A sacerdotibus ad animarum suffragia in Eclesia
Parochialis Casalechie Comitum
Anno D.nis MDCLVII
et firmiter in Eclesia
SS.ma V. Maria Annuntiate
in Burgo Castri S. P.ri constitita
Anno D.ni MDCXXVI
ac nunc Anno D.ni MDCXCIII refformata et ad meliorem Praxim redacta

  • Bononie MDCXCVII Tipis. Padri Marie Monti
    supr. permissa
    Nella med. stampa poi avvi l’elenco dei componenti la congregazione e li offici loro, coll’operato e caratere sostenuto nella moderazione de medesimi capitoli, li quali solamente qui trascriviamo avendo in addietro trascritto i loro nomi e cognomi:
    R. D.Sanctes de Ditis S. Christofori Catri Britunum Parocus et Comgregationis Prior.D. Paolus Baldus alias Archipresbiter S. Marie Piccicalvi ex votis totius Congregationis ut ad it cum aliis assumptus ab Anno 1678 Moderationis Capitulorum distributor, Elocutionis Dispositor, et in Ordinem ex inordinatio Reductor. Ill.mus D. Octavius Scherlatinus Archipresbiter, et Vicarius foraneus Castri S. Petri eiusdem Moderationis Capitulorum crebris suasionibus fautor D. Alexander Gratia S. M. de quaderna Parocus eiusdemet Moderationis Capitulorum multiplici Sermone Suasor ab anno 1693 tunc d. CongregationisPrior, nuncque Segretarius. Sieguono poi li altri che non hanno avuta alcuna influenza ne med. Capitoli e se ne hanno avuta è stata di lieve momento e ripudiata.
    Li 20 febraro, primo giorno di Quaresima, si fece sentire il predicatore F. Giuseppe Eustachio Maria Pozzi, Lettore e maestro di teologia domenicano nel convento di S. Giacomo di Forlì. Questi è il primo predicatore che trovasi nominato a questo pulpito fuori del turno delle tre relligioni locali di Castel S. Pietro. Rilevasi da questo punto la abolizione parziale della concessione fatta dell’alternativa ne regolari del paese. Questo predicatore albergò nella ressidenza pubblica del paese ove lasciò, in fine delle sue fatiche, una memoria del suo quaresimale, pesi, onori ed utili inerenti alla predicazione di Castel S. Pietro estesa di suo pugno in una Tabella nell’archivio della Comunità.
    Reso vacante il Beneficio Gottardi, nomina della Comunità, fu presentato per Rettore D. Nicola Battisti. Di quest’anno entrarono nella relligione Cappuccina di Castel S. Pietro, Ottaviano di Domenico Gallanti e di Domenica dalla Valle e Giovanni Battista Ronchi, il primo col nome di F. Giuseppe chierico e l’altro di F. Antonio lajco, ambi di ottima vita de quali ne abbiamo scritto il loro elogio a parte.
    Nell’anno scorso essendo nate in Bologna inimicizie fra il Conte Cornelio Pepoli e Marchese Graffi per modo che si batterono con spade ed essendosi rinovate le amarezze fra di loro nell’anno presente con seguito da una parte e l’altra, per modo che mancò poco alla città che non andasse tutto all’arme mentre la nobiltà era divisa in due fazioni e caminavano sempre con gente armata. Le familie principali erano queste: per li Pepoli, Conte Ercole, Marchese Antonio e Tadeo Pepoli, Marchese Gio. Paolo e fratelli Pepoli e senat. Conte Filippo Aldrovandi. Per l’altro partito de Graffi erano Conte Emilio e fratelli Zambecari, Conte Andrea Segni, Conte Massimo Caprara, Marchese Antonio Albergati e Conte Francesco Albergati.
    Il card. Marcello Durazzo Legato, per comporre le parti senza strepito e pubblicità, venne a Castel S. Pietro nel dì 23 maggio giorno di giovedì a sue spese nel palazzo Locatelli, dove dimorò fino al sabbato sera, ad oggetto di comporre massimamente le differenze fra li Pepoli e Zambeccari ma non ci fu modo onde, abusando quelli di sua clemenza.
    Se ne andò la domenica mattina a Faenza per incaminarsere a Roma e così abbandonò la città e le due fazioni le quali entrambe erano venute a Castel S. Pietro per timore di soverchierie. Prosseguendo il di lui viaggio il cardinale verso Roma, incontratosi fra Pesaro e Fano il novo Legato di Bologna card. Gio. Battista Spinola, ebbero fra entrambi lungo discorso sopra questo fatto.
    Giunto ad Imola il card. Spinola li 29 maggio fu alloggiato dal card. Dal Verme vescovo di quella città ed il dì seguente venne a Castel S. Pietro che fu li 30 d. Fu incontrato a nostri confini dalli senatori Conte Pompeo Ercolani e Gio. Paolo Ranuzzi che immediatamente lo introdussero in Castello ove, giunto alla chiesa parochiale, fu ricevuto onorevolmente dall’arciprete, doppo l’adorazione al SS.mo passò a piedi al palazzo Malvasia ove fu splendidamente pasteggiato a spese del Senato. La spesa ascese a lire 2 milla, così ridotta quando che per l’avvanti se ne spendevano delle 5, 6, 7. Dimorato quivi fino al dopo pranzo partì sulle ore 19 per Bologna ove doppo due giorni fulminò un rigoroso bando per le armi da taglio e foco.
    D. Giovanni Gherlini di Castel S. Pietro essendo morto coll’avere lasciato di prima l. 900 alla Compagnia del SS.mo nel suo testamento, rogato li 4 decembre 1694 per ser Luca Antonio Tiraferri, col peso di celebrare tre messe perpetue il giorno di S. Giovanni evangelista nell’oratorio di d. compagnia, ebbe solamente in quest’anno il suo effetto poiché aveva una sorella monaca per nome suor Antonia in S. Agostino di Bologna che morì ella pure in quest’anno e così terminò il di lui casato.
    Il primo lulio entrò Consolo Giacomo Landi e Podestà il Conte Antonio M. Campeggi.
    Per il fatto Pagani di cui si scrisse avvanti, essendo stato condannato Marchione Fabbri al supplicio della morte, ne furono fatte le difese legali che furono poi stampate. Si vede in quelle la origine di questa familia in Castel S. Pietro e la sua parentela nobile. Il dott. Annibale Bartolucci, erede di quella, ce ne ha comunicata una supplica che per essere breve e cofacente alla nostra narrazione qui la inseriamo, diretta all’uditore del Torrone:
    Ill.mo D.ne Tribus solidissimis Fundamentis innitisur petitio facta nomine familia de Fabbris ad eximen. D. Melchiorrem pariter de fabbris a Pena Ignominie, impositione licet unumquodque ex se solo ad hunc effectum sufficiens videtur. Primum est Nobilitas et Identitas hujus familie utraque justificata per Senat. Cons. in actis produt. et ex gratia per tot. legent et confiderant quia tollit omne dubbium juxta maxime attestationem D. Comendatoris Bernardini et D. Angeli de fabbris, de quorum familia loquit d. Sen. Cons., recognoscendo d. Melchiorrem in aguatum ut approvet in ipsa attestatione paviter producta. Queveritas etiam ex abundantia justificatur p. pubblicas historias allegata in Memoriali E.mo Legato presentato et D. V. ill.mo remisso.
    Secundum est Nobilitas ipsa personalis dicti Malchioris utifil. nobil. viri, Capetanei scilicet non tantum peditum quam equitum pro S. apostolica et Serenissima veneta Republica, et maxime equitum nobilioris ordinis noncupat.: Corazzie, ut ex litteris patentibus E.mi Card. Antoni Barberini et sreniss. Venet. Ducis product., justificatur e simili Capitaneor. fil. genere, nobilitate legali et sufficienti ad eos eximandos a penis ignominioses firmant Auctoritates in d. Memoriali alegate.
    Tertiumdenique Fundamentum dessumitur ex Atatutis D. D. Tribun. hujus Civtat. decernen. qiod Nobilitas sunt et intelligatur illi cives qui habentes Oricines civiles, propriam, paternam et avitam, aut seltam propriam, nullam exarmerint artem mecanicam et de propriis reditibus vivant, ut ex d. stabat. Loc. in d. Memor. citat. Que qualitas in d. Marchione justificatur ex fidelibus babtesimalibus er tribus Instrumentis product. ex quorum enuntiavis non solum probatur in d. Melchiore civilitas p. omnes d. tres Origines, sed etiam earumdem Originum Nobilitate animalvertende pro comprobatione, quod preter quamquod d. capitaneus Jo. Babtista eius frate enuntiatur nobilis Civis Bononie in uno ex d. Ins.tris, in altero parit ex illis fere centum abhinc Annis confecto D. Valerius eius Avus titulo magnifici enuntiatur, qui tantum nobilibus tunc temporis tribuebatur. Quare suplicando D. V. Ill.mam reassumere exposit. in q.to Memoriali ubi late et distincte Jura et Auctoritates continentur.
    In seguito di ciò si pose in oblio il tutto e fu comutata la pena. Non andò poi molto che il d. Marchione finì li suoi giorni, come ci lasciarono scritto i di lui antenati nei più volte menzionati codici MM. SS. Gallicella in questa forma:
    1698, Melchiorre Fabbri detto: Marchione, morì in Venezia idropico, testò per rogito di ser Marco Generini not., fu sepolto in S. Geminiano. Questi fu alfiere in guerra per la Repubblica sotto il comando del Morosini. Fu egli il primo che piantò il vessillo della Croce nella fortezza di S. Maura presa per assalto. Del suo regimento morirono li ufficiali maggiori per lo che egli prendendo coraggioso la bandiera si mostrò nell’assalto con tutta prodezza uomo bravo di sua vita. Credeva per tale impresa divenir Capitano, ma deluso dal Morosini, che voleva pagarlo in contanti per investire altri in carica maggiore, rifiutò il danaro dicendo che non vendeva l’onore a prezzo. Sdegnato quindi fra non molto disertò colla bandiera nuotando per un tratto di alquante miglia per aqua e così sortì dal campo.
    Non si comprende come potesse Marchione riffugiarsi a Venezia dove che ne era debitore della sua vita a quella Serenissima per la diserzione colla bandiera. Egli è ben vero che militava da volontario ma non le era però lecito appropriarsi un insegna che spetta sempre al sovrano. Su questo articolo noi non ci impegnamo schiarire il vero, non essendo scopo della nostra narrazione.
    Li 30 novembre finì li suoi giorni in questo castello nel suo palazzo il Marchese Gian Girolamo Locatelli, fu con solenne pompa portato prima alla chiesa di S. Bartolomeo, ove la familia Locatelli tiene non solo l’altare dedicato a S. Tomaso di Villanova ma anco l’avello sepolcrale, ove, ricevute le esequie il primo decembre secondo l’ordine verbale del med., fu poi la sera portato solennemente alla chiesa di questi P. P. cappuccini ove, ricevute il dì seguente nove esequie, fu il di lui corpo sepolto nella capella della sua familia dedicata alla morte di X.to, ove eravi un quadro della scola del Tiarini ora trasportato nel coro de frati. Sepolto che fu il di lui cadavere le fu imposta in macigno la seguente inscrizione che, per essersi perduta dal calpestio delle persone, fu fatta rinnovare dal marchese Luigi Locatelli ultimo della di lui discendenza ed incastrare nella parete sinistra della capella l’anno 1750 in questo tenore:
    D. O. M.
    Hic jacet Jo. Hieronimus Jo. Francisci filius
    De Locatellis
    nob. Bonon.
    Ex nobilibus Marchionibus Care
    Natus Die XV Juni
    Vixit annos XVII menses V dies XXIII
    Obiit dei XXVIII Novemb. MDCIIIC
    L’anno sucessivo 1698 entrò Consolo il cap. Valerio Fabbri ed entrò Podestà il Conte Filippo Maria del Conte Coradino Ariosti.
    Accaduto in Bologna un oribillissimo foco nella piazzetta in faccia la chiesa di S. Giambattista causato da polvere di archibugio in casa di Tomaso Mazzanti fabbricatore di polvere, per tale accidente fu ordinato dal Legato che da qui in appresso tutti li polvarini tenessero fori di città le loro fabbriche e manifatture. In esempio di ciò fu intimato a Bartolomeo Ponti ed a Giovanni Astorri, fabbricatori di polveri in questo Castello, dovessero fabbricale fuori dell’abitato. Ubidirono prontamente, il primo si fabbricò l’edificio che tuttora si vede di cinque pille in un pezzolo di terra vicina all’oratorio di M. V. detta della Scania, l’altro lo si fece edificare dal Conte Calderini poco distante dalla porta superiore del Castello, contiguamente al portone che introduce in una lunga cavedagna alla possessione detta Casa Torre congiunta all’Ospitale delli Infermi , il quale edificio ora è distrutto ed è ridotto a casa di inquilino.
    Li 13 aprile, giorno di domenica seconda doppo Pasqua, si celebrò il Capitolo provinciale delli Agostiniani in questo convento di Castel S. Pietro così avendo ordinato R. P. Angiolo Feliciani di Cesena, il quale era già stato predicatore quaresimale in questo Castello, così egli ordinò perché il convento è in mezo alla provincia e poi perché minore riesce la spesa alla Provincia. Si raddunarono adunque a poco a poco li P. vocali e, poiché l’abitato del convento era picolo, furono distribuiti li relligiosi nelli palazzi de nobili bolognesi e nelle case de paesani.
    L’esordio del Capitolo, conforme ci lasciò scritto D. Francesco Fiegna ne suoi ricordi, cominciò con intervento di musici, cantandosi la messa la mattina e dappoi il panegirico a S. Nicola da Tolentino il primo giorno, il secondo a S. Tomaso di Villanova, il terzo al B. Antonio dalla Mendola agostiniano, il quarto che fu il mercordì alla B. V. della Centura, che furono tutti egregiamente recitati dal P. bacilere Agostino Caracci bolognese et ogni doppo pranzo vi fu vespro solenne in musica. La sera dello stesso mercordì giunsero di Bologna li P.P. titolati per il giovedì seguente nel qual giorno si cominciò a votare ed in questo stesso giorno vi fu pure messa solenne e panegirico al Cuore tutto foco di S. Agostino.
    Il venerdì seguente tutti li P.P. professi celebrarono li sagrifici da morto colle esequie a tutti li P.P. defunti per lo spazio di sei anni adietro . In seguito vi fu l’orazione funerea per li provinciali passati e li conventuali di Castel S. Pietro. Il dopo pranzo poi il Provinciale terminante il suo ministero, ascise sopra una sedia all’altar maggiore ove, fatta una breve orazione, chiese a tutti li congregati che avessero lettere del generale o chirografi papali li presentassero. Niuno alle due chiamate d’invito si presentò. Finalmente alla terza chiamata, in virtù di S. Ubedienza sotto pena della censura, si presentò il P. baciliere Turioli figlio di questo convento di S. Bartolomeo di Castel S. Pietro, presentò lettera quale pubblicata si intese che era eletto pressidente a questo Capitolo il P. Mario Mani di Bologna, al che fu data imediata esecuzione, dato il possesso dal cessante Provinciale.
    Preso tale possesso propose tre soggetti, coram vocalibus, per Rettori, quali furono ballotati pubblicamente né fuvvi alcun contrasto e passarono a pieni voti. Il sabato seguente si cantò la messa solenne quale terminata e fatta una orazione academica latina, super electione Provincialis, e cantato il Veni creator si procedette alla votazione nella quale si raccolsero li voti in due calici che, rovesciati sopra un tavolino a vista di tutti quindi, avendo serviti da scruttatori il R. P. Maestro Malvezzi priore del convento di Bologna col priore di Cesena, si alzò il prenominato P. Malvezzi ed ad alta voce legendo un libro così pronunciò ad udito di tutti: In nomine D.ni N. J. Christi elegimus in Provincialem R. P. Magistrum Antonium de Sandris a Ravenna. Benchè fosse originario di Castel Guelfo fu detto di Ravenna per essere filio di quel convento.
    Ciò fatto fu tosto intonato l’Inno ambrosiano e prosseguito musicalmente da cantori. Li iscrittarini tutti furono abbruciati a vista del popolo. Pronunciato poscia il nome del provinciale novo, si alzò la croce e si fece la processione di tutti li relligiosi agostiniani fino alla parochia cantandosi da essi l’inno: Magno Pater Augustine e così terminò la funzione. Furono dappoi creati li priori dei conventi della provincia. Al convento nostro di Castel S. Pietro fu eletto il P. Filippo Soprani filio del convento medesimo per un anno.
    Il Generale dell’Ordine era in questo tempo il R.mo P. Maestro Antonio Pacini ravenate. Lo stesso giorno di domenica furono eletti li Deffinitori per andare a Roma alla elezione di un novo Generale. Fra questi fuvi il provinciale novo, il P. Maestro Mingarelli, il P. Pazzino da Ravenna ed il P. Domenico Vachi regente di Cesena. Il dopo pranzo dopo le laudi di M. V. della Centura vi fu una conclusione di punti teologici di un giovine agostiniano bolognese il di cui nome ce lo tace il diarista Fiegna, l’assistente fu il novo provinciale. Le Tesi furono dedicate al Consolo della Comunità che intervenne alla diffesa colli altri colleghi e così l’arciprete Scherlatini. Un foglio stampato di tale dedica trovasi nell’archivio della Comunità, come abbiamo veduto e riscontrato.
    Giovanni Rafaele Bertuzzi originario di Castel S. Pietro nato li 17 agosto 1628 ma dappoi domiciliato in Bologna a motivo delli studi, che fu nipote ex fratre di monsig. Girolamo Bertuzzi di cui se ne parlò avvanti, dopo avere presa la laurea dottorale in ambo le legi in Bologna, divenne canonico ed arciprete della collegiata Basilica di S. Petronio, fu Lettor pubblico benemerito in d. città, protonotario di autorità apostolica come da Bolla dell’E.mo card. Cusani arcivescovo d’Amalia e Nunzio apostolico della S. Memoria di Innocenzo XII. Li 15 aprile di quest’anno finì li suoi giorni in Bologna in età d’anni 70. Si lasciò la sepoltura in S. Michele de Leprosetti di lui parochia come rilevasi dal di lui testamento segreto consegnato a ser Giacomo M. Bertuzzi notaro di Castel S. Pietro di lui cugino e pubblicato li 16 corrente aprile. Fu il med. canonico fratello del P. Leone da Castel S. Pietro cappuccino che morì in questa sua patria come si scrisse in addietro.
    Riferisce il citato Fiegna che li 3 maggio, giorno di sabato antecedente la domenica notte, giorno in cui si cominciarono le Rogazioni di M. V. di Poggio, cadde nelle superiori nostre montagne verso Piancaldoli e nel monte di Canda molta neve che fu veduta da tutti che rese gran freddo, ma nulla daneggiò li raccolti solo patirono li arbori e viti onde fu scarsa la vendemia.
    Il dì primo lulio entrò Consolo Nicolò Gattia e Podestà il Conte Francesco Segni. Nel dì 6 agosto morì il dott. Pier Giuseppe Asta Legato nel tempo che prendeva questa aqua della Fegatella in casa del dott. Giuseppe Arighi di questo paese e fu sepolto in parochia.
    La familia Ricardi, a cui era stato concesso da cod. P.P. M.M. O.O. di S. Francesco l’altare dedicato a S. Antonio da Padova nella loro chiesa, pregata dal P. Antonio Terebilia di Bologna, guardiano attuale di questo convento, a volere compiacersi di formare una nichia posteriormente al quadro ove tenersi la statua di S. Antonio, si prestò solennemente alla domanda per rogito di ser Matteo Mondini li 19 settembre di quest’anno.
    Li 21 d. Lorenzo di Pietro Albinelli di Castel S. Pietro fu uciso in patria.
    Li 23 settembre l’arcivescovo Giacomo Boncompagni di Bologna venne per la seconda volta a fare la sua visita pastorale in Castel S. Pietro. Appena giunto fu ricevuto dallo Scherlatini in pluviale coll’aqua benedetta alla porta della chiesa arcipretale, si portò tosto all’adorazione del SS.mo all’altar maggiore e doppo averlo turificato tre volte benedì il popolo ivi concorso. Indi fece l’assoluzione di requie ai morti poscia celebrò la messa e comunicò chi volle, sucessivamente, apparato pontificalmente, fece la cresima, terminata la quale passò alla descrizione della sua visita ne termini seguenti: Questa chiesa fa anime in tutto 2651, atte alla comunione 1772. Poscia venne alla descrizione de Benefici eclesiastici eretti in questo paese ed alli altari nelle rispettive chiese. Altare sul titulo S. Antoni Abatis erectum fuit in Eclesia R.R. P.P. M.M. O.O. de anno 1682 die 9 juli per acta Ser Bartolomei de Gulielminis, eiusque Rector est bonon. cum Onere missar. duarum in anno celebrant. in altare eiusdem, ut liquet in inst.to Erectionis rogat. p. ser Albetum de Rubeis die 20 Juli 1645. Beneficium denique aliud sub titulo S, Caroli in Oratorio B. M. V. ab Angelo Annuntiate erectum fuit, ut in Intr.o rogat. p ser Alberti Rubeum die 17 No.bris 1635, vacans p. obitum R. D. Francisci de Baldutiis estq. annui redit. l. 120 bonen. con onre missar quinquaginta in singulos annos celenran. in eclesia ad libitum R. D. Rectoris pro tempore. Reditus autem Eclesia parochialis huius Castri est l. 1200.
    Perché il clero del paese era assai rilasciato nella condotta, furono perciò ammoniti rispetto a regolari dal loro superiore e rispetto al clero secolare fu ammonito dallo stesso arcivescovo. Lo stesso atto di visita lo espone in questi termini: In supradicta Visitatione cum fuerit comperta magna Relaxatio Discipline ecclesiatice, nedum in clericis secularibus, qui Armis muniti, noctuno prefertim tempore otiose per Castrum vagabantur, propterea vocalis superioribus Relligionum, et facta eisdem congrua Monitione. __ Clerici pariter seculares minis penaverum a S. Canonis et Constitutionibus sinodalibus conteraptit preterefacti, ad meliorem in Domo frugem ….cati fuerunt.
    Queste ammonizioni dispiaquero assaissimo alli cleri onde, suponendosi derivate dallo Scherlatini, non vi mancarono rampogne ed ostilità. Il povero uomo cadde in una odiosità mortale per cui in seguito fu accusato di avarizia, di poca affezione al tempio, non che alle supeletili delle quali ne abbisognava la sua chiesa.
    Ordinò pertanto l’arcivescovo che si fabbricasse la capella maggiore. L’arciprete per convincere li malevoli e disinpressionare l’arcivescovo si tassò di scudi cento in due rate e, dentro il corso di anni cinque, fu chiamata la Comunità e questa si tassò scudi duecento. La Compagnia di S. Cattarina, del SS.mo e del Rosario si obbligarono ad una tassa fra loro da farsi contemporaneamente. Furono fatti due Depositari che furono Giuseppe Villa e Giovanni Giorgi.
    In questo tempo fu dichiarato cardinal camerlengo il Legato Gio. Battista Spinola dal Papa. Partì egli fra non molto e nel dì 15 decembre venne il novo Legato card. Ferdinando d’Adda incontrato dalli senatori Conte Pompeo Ercolani e Conte Filippo Aldrovandi a questo nostro confine.
    Il giorno primo genaro 1699 prese il possesso di Consolo Gio. Paolo Fabbri e di Podestà il Conte Giuseppe Filippo del senatore Conte Nicolà Calderini.
    Nel dì 26 cadente genaro seguì la pace fra il Turco e la Christianità.
    Li 10 Marzo la Regina di Polonia Maria Casimirra unitamente al cardinale d’Anghien, di lei padre, passarono al nostro Castello accompagnati da molta nobiltà bolognese, monsig. Andrea S. Croce Vicelegato e cavalleggieri e, quivi complimentati, furono augurati di felicità di viaggio a Roma.
    Resa chiara la apparizione di M. V. fatta ad una villanella nel comune di Castenaso, in loco detto del Pillaro e facendo incessanti miracoli, si fece nel nostro Castello una unione di uomini e donne al N. di 38 e si portarono a visitarla sotto l’insegna di una croce. Chi brama sapere le aparizioni si rivolga alla Cron. di Bartolomeo Galassi fol. 242 che potrà soddisfarsi.
    Maria Madalena Mazzoli fu la favorita da M. V. in quel comune, giovinetta devota di quella S. Imagine in età di anni 19, con una dolce chiamata e celeste collloquio.
    In questo mese si osservarono per alcuni giorni tre soli nel cielo de quali due se ne videro andanti per l’atmosfera producendo grandissimo calore e spavento a tutti. Furono preludio di funeste vicende.
    Li 11 maggio perciò cadde una grossissima tempesta, che danneggio tutto il contado, replicò il giorno 26 seconda festa delle rogazioni di M. V. fra venti e turbini, né quivi finì il danno poiché li 7 del seguente giugno nevicò in più luoghi e nel nostro comune di Castel S. Pietro e sopra la vicina collina cadde gran tempesta che ruinò tutta la arboratura. Replicò questo temporale il giorno 14 con strepitoso vento che levando li bovini da terra mugivano per l’aria con grande spavento. Nelle largure e praterie del quartiere di Granara, sotto Castel S. Pietro, oltre le bestie furono levati fanciulli in aria e convenne alle donne sdraiarsi a terra per non essere levate.
    Atteso l’ordine del card. arcivescovo di mettere mano prontamente alla fabbrica della capella maggiore dell’arcipretale, fu stipulato l’instrumento di convenzione sopra di quella fra il priore della compagnia del SS.mo e l’architetto Gio. Battista Torri, per rogito del not. Giovanni Masina, nel dì 2 giugno col pagamento di l. 1700 di Bologna in tre rate e con altri patti e specialmente che fosse terminata la fabbrica nel prossimo giugno.
    Ciò stabilito si incominciò la fabbrica e nel dì 18 corrente, festa del Corpus D., l’arciprete Scherlatini pose la prima pietra fondamentale, la seconda il Consolo della Comunità Gio. Paolo Fabbri e le altre tre li priori delle compagnie del Rosario, di S. Cattarina e del SS.mo.
    La Comunità accordò che si occupasse parte della strada posteriore alla chiesa detta di Saragozza all’effetto di formarvi il coro con licenza del Senato.
    Il giorno primo lulio rinovata la imborsazione de consoli, fu estratto dalla med. novamente Gio. Paolo Fabbri che ne prosseguì la carica. Podestà fu il Conte Paolo Emilio Fantuzzi.
    Questo mese terminò nel nostro Castello funestamente, mentre nel dì 31 alle ore 18 si ritrovò appicato con una fune ad un trave l’infelice arciprete Ottavio Scherlatini in età di anni 76. Bartolomeo Galassi nella sua cronaca di Bologna così scrive: L’arciprete Scherlatini fu uomo virtuosissimo che, trasportato da un malinconico prodotto in lui da giusti rimproveri e male soddisfazioni avute dal card. arcivescovo, che lo vessava rigorosamente per la fabbrica della chiesa e per altre cose che lo fecero dementare, doppo avere fatto celebrare molte messe e fatta una orazione al popolo, andò sul granaro della sua canonica, nel friso della quale fra diversi motti legevasi uno che diceva: Il fin dell’uomo avaro è il capestro, quasi che volesse un tal detto si verificasse in lui, che fu l’ultimo di sua nobile casa. (Cron. sud. fol. 245). Fu sepolto il dì primo agosto nella chiesa presso l’altare della SS. Trinità, già de sig. Bolognini ed ora del sig. Vachi dedicato a S. Vincenzo, dalla parte del vangelo.
    Imediatamente ciò saputosi dall’arcivescovo fu deputato economo della chiesa D. Sante Alberici di Castel S. Pietro. Non se le fecero le esequie da alcuno e molto meno dal suo clero che tanto l’aveva amareggiato. Nel primo campione delli atti della Congregazione de Preti al fol. 58 avvi la seguente memoria scritta da D. Sabbatino Poggipollini segretario: Addì 31 lulio morì l’ill.mo sig. D. Ottavio Scherlatini arciprete di Castel S. Pietro, per certi motivi e consilio del molto R. sig. Penetenziere non si fecero le esequie. Furono però da Me pensate le polize alli Confratelli della Congregazione per l’adempimento de Capitoli.
    Caval. Conte Giovanni Fantuzzi, al T. 7 delli suoi Scrittori Bolognesi fol. 355, da conto di questo eccellente sogetto e delli suoi litterari prodotti, riferisce per tanto che naque in Bologna nel 1623, al battesimo fu chiamato Alessandro, il qual nome cambiò in quello di Ottavio quando prese l’abito relligioso ne canonici regolari lateranensi di Bologna nel 1639, che poscia divenne arciprete di Villa Fontana presso Medicina. Ottavio era il nome di suo padre, la madre Margarita Locatelli, ambi nobili di Bologna e l’arciprete fu l’ultimo di sua familia. Doppo la morte di D. Alessandro Comelli arciprete di Castel S. Pietro venne esso a questa chiesa l’anno 1667, la quale fin qui era stata sempre di Juspatronato della Comunità, onde l’arcivescovo Boncompagni, strozzando le ragioni comunitative, introdusse il dì 5 agosto lo Scherlatini, per lo che ebbe egli lungo tempo avversità che furono superate e dalla sua bona maniera e sue virtù.
    Il med. Fantuzzi accusa poi e taccia di indiscreto uno scritore sulla morte dello Scherlatini, come pure il cronista Galassi suo concittadino contemporaneo alla morte di quello, ed addota più la relazione dell’arciprete D. Sante Bartolomeo Calistri il quale quanto scrisse non è che un ideato rifferto, mentre nulla ritrovasi scritto nell’archivio parochiale intorno a questo arciprete, mentre noi abbiamo rivolte tutte le pagine, documenti, libri ed instrumenti esistenti in quello all’occasione di averlo posto in qualche ordine di tempo.
    Quanto poi alle di lui opere il lodato Fantuzzi ne soministra l’elenco. Noi sapiamo che le più ardue le compose in Castel S. Pietro, che furono: L’uomo Simbolico, la Lettera della Chiesa ed il Virgilio, altri opuscoli ci sono capitati nelle mani ma come che di lieve momento ne abbiamo fatto poco caso. Appena morto l’arciprete, la Comunità riassunse la sua giusta pretesa strozzata coll’instruire giudizio in Roma. Ma che si ha a fare contro potenti persone, massime quelle che sono in Governo?
    L’arcivescovo in seguito fece pubblicare il concorso, alli atti Pistorini nella sua curia, a termine de quali in Bologna nel dì 25 settembre fu fatta la collazione della chiesa al Dott. Gio. Battista Nobili di Bologna come riscontrasi ne monumenti della Comunità in questi termini: Facta fuit collatio per E.mum Archiep. Bonon. D. Jo. Babtista Nobili cum derogatione Juris patronatus per Acta Pistorini 25. 7.bris. in seguito di che il novo arciprete ne prese tostamente il possesso.
    L’anno seguente 1700 nel dì primo genaro entrò Consolo il cap. Valerio Fabbri e Podestà fu il Conte Ercole Maria Bentivoglio.
    Secondo l’uso di S. R. Chiesa fu pubblicato il Giubileo universale.
    Ad effetto poi di prosseguire la intrapresa fabbrica della capella maggiore di cod. arcipretale, la Compagnia larga del Rosario vi concorse, conforme la promessa fatta, alla spesa. Colli avvanzi perciò delli anni addietro 1698 e 1699 dal depositario Giangiacomo Bolia furono pagate in mano del depositario fabbriciere Giuseppe Maria Villa, all’ordine del moderno priore della Compagnia del SS.mo, lire duecentonove e soldi dieci q.ni moneta di Bologna.
    Il novello arciprete dott. Gio. Battista Nobili, prete veramente catolico e degno di una cura d’anime benchè di scarse facoltà e beni di fortuna, vi aggiunse del proprio lire cento q.ni moneta di Bologna e così col maggior calore si prosseguì la fabbrica, ottenuta dalla Comunità l’annuenza ad ampliare la capella che stavasi fabbricando coll’occupare parte della via posteriore alla med. Si ricorse al Senato per averne l’approvazione, il quale non esitò punto l’accordarla. Ma perche si accresceva il lavoro addossato all’architetto e capomastro Torri muratore, fornendosi un mezo circolo ovale ad uso di coro sopra la d. porzione di strada, fu necessario anco accrescere il pagamento. Fu questo convenuto in lire quattrocento ottanta e ne fu stipulato per ciò nel marzo seguente l’instr.to a rogito del d. Masina.
    Intrapresa la lite in Roma, come si disse, dalla Comunità colla Mensa di Bologna sopra lo Jus nominandi, non avendo l’erario comunitativo alcun provento d’avvantaggio, fu fatta una congregazione fra li stessi pubblici rappresentanti all’effetto di prendere una providenza su di questo frangente, nella quale li 21 genaro fu rissoluto di fare la lite a spese delli individui della stessa pubblica rappresentanza, al qual effetto fecero fra di loro una tassa mensile la quale, perché avesse il suo effetto, fu stabilita per pub. rogito dal not. Girolamo Giordani e furono li seguenti cap. Valerio Fabbri Consolo l. 5 per ogni mese, Pier Andrea tenente Vanti, Gio. Paolo Fabbri, Nicolò Gattia, Giacomo Landi, Lorenzo Gordini si obbligarono con altri per il pagamento di l. 2: 10 mensili a testa. Alli sud. pubblici rappresentanti vi si agiunsero ancora altri individui del paese e furono Giuseppe qd. Sabatino Ronchi, Giovanni qd. Paolo Giorgi, Vincenzo qd. Ottaviano Benetti, Ottaviano qd. Domenico Baroncini, Gian Giacomo Bolia, Pietro qd Carlo Andrini li quali in egual maniera si tassarono per mezzo scudo al mese.
    Durò questa lite fino al 1727 come si riscontra dalle lettere del curiale Giacomo Rabaschi, che trovansi colligate nel T. 2 delli Diversi nell’archivio della Comunità. E perché in questa causa vi aveva anco interesse il Capitolo di S. Pietro di Bologna mentre lo stile era che, all’occasione della vacanza della chiesa, presentava la Comunità tre sogetti al med capitolo e di questi tre poi ne nomina uno all’Ordinario, così fu anco promesso un dubbio legale in Roma sopra la nomina ed elezione sud..
    Fu quindi interpellato il capitolo a fare la nomina di uno delli tra presentati dalla Comunità onde il Capitolo, per non essere leso ne suoi diritti, ebbe ricorso al card. arcivescovo che male la intese a primo bordo, ma venuto in sentimento fece interpellare il capitolo med. il canonico Dini acciò seco si unisse a fare la lite contro la Comunità, del che ne seguì l’esito seguente che qui trascriviamo, tolto da un atto segnato ne Libri segreti dello stesso capitolo, in precise parole: Die 17 februari 1702 D. Canonicus a Dinu exposuit pro parte E.mi Archiepiscopi quod ex Bulla divisionis facte inter Mensam Archiepiscopalem et capitulum cognoscit Capitulum habere summum Jus in Electione Archipresbiteri Eclesia Castri S. Petri et ideo vertente lite interim inter Mensam Archieoiscop. et Communitatem d. Castri. ipsum velle cum Capitulo agere Roma d. Litem propriis expensis etiam ad favorem d. Capitulo imo solum ut Capitulum prestat Nomen et Auxilium adeout statim lis erit decisa, capitulum habeat suum Jus.
    In questo di cose come poteva una povera Comunità abbandonata anco dalla sponda del capitolo il quale, avendo perduto la Comunità il suo diritto, lo perdette ancor esso, ressistere a tanta forza, onde convengano in questo caso quei versi di Petronio Arbitro.
    Quid faciant Leges ubi pecunia regnat ?
    Aut ubi paupertas vincere nulla potest.
    Ricordevole Angiola Fabbri di Castel S. Pietro benestante delle grazie ottenute da M. V. del Rosario, lasciò alla pia unione locale della med., a rogito del d. Giordani, nel dì 16 d. una di lei picola casa nella via di Saragozza di questo Castello.
    Passata la quaresima il giorno di Pasqua di Ressurezione, che fu alli 11 aprile sul mezzogiorno, si sentì il terremoto, ma niun male si fece.
    La terza festa di Pasqua, che fu il giorno XIII di aprile, stante la pace seguita nello scorso anno fra il Turco e la X.stianità, essendosi da quei Tartari evacuati tutti li stati catolici, non vi fu paese che non ne contestasse il giubilo con ringraziamenti a Dio. Codesti PP. MM. OO. di S. Francesco, come quelli che avevano i loro religiosi nella Turchia, essendo stati preservati dalle stragi turchesche, fecero nella loro chiesa di S. Francesco un solenne ringraziamento mediante l’esposizione del SS.mo e Tedeum e la sera si fecero fuochi di gioia.
    Li 3 giugno Vincenzo di Alberto Casarenghi, ultimo della sua chiara famiglia originaria di Castel S. Pietro morì in Bologna, secondo narra la Cron. Galassi, in età di anni 74. Lasciò per erede nel suo testamento la Congregazione de Vergognosi di Bologna la sua pingue eredità con molti pii legati. Fra questi ordinò alla med. di dovere ogni anno dare una medaglia alli accademici Clementini della Specola, che se la fossero meritata nel dissegno di Concorso e del Nudo. Il Libro delle Memorie, Imprese e Ritratti delli academici Gelati ne parla diffusamente. Fu sepolto in S. Gian in Monte nell’Arca Vizani.
    La Congregazione de Preti fece un anniversario solenne nella chiesa della SS. Annunziata in questo Borgo per le anime di tutti li preti defunti della med., ove assistette a tutti li riti il novello arciprete Nobili ed il giorno med., che fu il settimo di giugno, si fece ascrivere in quella, come si deduce dal d. primo Campione.
    All’entrare di lulio intraprese il suo officio di Consolo Lorenzo Gordini e così fece il Podestà Marchese Leopoldo Pepoli.
    In settembre morì Innocenzo XII Papa Pignatelli d’anni 85. Unitisi perciò li cardinali in Roma alli 27 novembre in N. di 23 elessero a pieni voti in Pontefice il card. Gianfranco Albani col nome di Clemente XI.
    Perché il Re catolico sovrano della Spagna nel suo ultimo testamento, col quale morì in quest’anno, instituì suo erede nella monarchia di Spagna il Duca d’Angiò filio del Re, Delfino di Francia secondogenito, l’Imperatore ciò saputo, non ostante che da suoi gloriosi antecessori Carlo V, Filippo II e Filippo IV, suo padre, che con pari disposizioni dovevano succedere, colla esclusione perpetua della Francia, nella monarchia della Spagna, scrisse alli potentati di Italia che non ametteva tale testamento. Per la qual cosa spedì tostamente tredici regimenti nella Italia a quali furono poi aggiunti altre milizie coalizate fino al N. di 30 milla combattenti. La Francia, che voleva l’effetto del testamento, diresse le sue truppe nel turrinese ed assoldò ancora italiani, nelle quali truppe vi andarono vari del nostro Castello, capo de quali si fece Gio. Battista Pirazzoli d’onde per questo fatto fu chiamato Capitano, come ci lasciò scritto il P. Gian Lorenzo Vanti.
    Non ostante questi armamenti il Re catolico Carlo fece sapere all’Imperatore che amava la pace in Europa. Fu proposto per ciò il matrimonio di una Arciduchessa d’Austria col novo Re di Spagna. Finchè si trattava questa pace fu spedito in Italia per Comissario generale delle truppe imperiali il Conte Brajner, onde poi ne successero vari movimenti di truppe anco ne stati pontifici, che saranno notati alle respettive epoche.
    Alli 16 decembre fu estratto Podestà di Castel S. Pietro il Marchese Bartolomeo Marsigli e li 27 d. per Consolo fu estratto Pier Andrea Vanti che l’uno e l’altro investirono la respettiva carica nel primo genaro 1701.
    Avendo instituito in Roma li P.P. Gesuiti la funzione di cantare l’ultimo giorno dell’anno il Tedeum in ringraziamento a Dio delli passati benefici, non fu tardo il nostro arcivescovo di Bologna di ordinare una tale funzione a tutte le parochie e fraterie della sua diocesi e così il giorno 31 decembre tanto fu eseguito nel nostro Castello. In questo fatto spicò più di ogni altra chiesa la relligione de nostri cappuccini locali e per la divozione e per la orazione, onde così terminò l’anno 1700.