I MESTIERI DI UNA VOLTA

 

Marisa Marocchi – Giorgio Biondi

Diziunariàtt Castlàn- Itagliàn
Dizionarietto Castellano – Italiano

PRESENTAZIONE

Abbiamo già esposto, in occasione della pubblicazione del primo quaderno relativo al Vocabolarietto dei mestieri, lo scopo che ci prefiggiamo con queste piccole raccolte dialettali.
Con questa seconda parte diamo la parola a un altro dei mestieri tradizionali, che fu assai sviluppato a Castello, cioè quello del muratore, mestiere esclusivamente
maschile fino all’inizio degli anni ottanta del novecento quando, anche qualche donna castellana, iniziò l’apprendistato per diventare muratore (o dovremmo dire muratora?). Una, in particolare, ci riuscì e divenne addirittura capo cantiere: Maria Tarozzi.
Nel presente vocabolarietto presentiamo le parole riferite ai principali aspetti del mestiere, cioè quelle relative al tipo di costruzione, alle parti che la compongono, ai materiali più importanti che erano utilizzati e agli attrezzi in uso nel passato. Questo perché vogliamo conservare la memoria delle parole dialettali che definivano il lavoro edile nelle nostre zone, almeno fin verso la metà del novecento, come del resto abbiamo fatto per i contadini, in quanto la successiva introduzione di macchine, di nuovi materiali, nonché il diverso tipo di progettazione hanno in parte modificato il modo di costruire.
Fra gli operai, i muratori del passato erano considerati la categoria più evoluta; seppure fra di loro ci fossero analfabeti o semi-analfabeti, i mastri però conoscevano i numeri, sapevano leggere il metro, conoscevano alcuni principi di geometria e capivano il disegno di una pianta. Perlomeno, fino ai primi decenni del novecento, diventare mastro muratore era un punto di arrivo della carriera, riservato ai più intelligenti e intraprendenti. Vi giungeva chi aveva già fatto una lunga gavetta da manovale, per passare poi ad apprendista mastro. Raggiungere la qualifica di mastro muratore era quindi un ottimo risultato professionale e nel linguaggio di cantiere, che era il dialetto, i manovali e gli apprendisti gli si rivolgevano, dicendogli: màsster. Questo termine rimanda il ricordo al medioevo, quando coloro che eseguivano i mestieri più importanti rappresentarono la punta avanzata della società che si affrancava dalla servitù, e si predisponeva a partecipare al governo delle varie città; fu il periodo in cui sorsero le corporazioni delle arti maggiori e minori.
Già il termine mastro (dal latino magistrum = maestro) la dice lunga sull’importanza che si dava a questa figura professionale, ed al rispetto che gli era dovuto. Era il maestro in grado di insegnare il mestiere a quei manovali che il capo mastro gli metteva a fianco, anche se non “tutti” riuscivano a trasmettere “tutte” le loro conoscenze; in alcuni rimaneva una certa storica gelosia del mestiere, per il timore che l’allievo potesse superare il maestro, e quindi farne abbassare il prestigio.
Qui da noi la tecnica esecutiva del lavoro edile risale molto indietro nei secoli, anzi a millenni; basti ricordare i manufatti eretti dai Romani che, ancora funzionanti, testimoniamo sia l’ottima progettazione, che l’altrettanto ottima esecuzione fatta da quegli antichi muratori.
A Castello, prima che fosse distrutto durante la seconda guerra mondiale, c’era ancora funzionante il ponte romano sul torrente Gaiana, mentre i resti dell’arcata romana del ponte sul Sillaro, sono incorporati nella struttura tuttora in essere.
L’edilizia civile, in paese e nelle campagne, invece, non ha retto al passare del tempo, alle guerre, ai terremoti, perché edificata con ridotte risorse economiche, quindi con scarse fondazioni e materiali più deperibili, come i muri in sasso che non facevano massa unica, come solai e coperti in legno. Hanno invece resistito le costruzioni fortificate e gli edifici dei signori, le cui risorse consentivano, oltre all’aspetto architettonico di pregio, anche la solidità delle strutture e soprattutto la manutenzione periodica.

A titolo di curiosità, ricordiamo che nel medioevo esisteva una società segreta, detta dei liberi muratori (francs-maçons, che in italiano è tradotto framassoni), i cui aderenti, a conferma dell’importanza che nel passato ebbe tale mestiere, si radunarono in logge per mantenere i segreti dell’arte.
Ispirandosi al nome di questa, e adottando i simboli dei liberi muratori (cazzuola, triangolo e compasso), si sviluppò poi la società segreta della Massoneria, la cui origine associativa è ignota; i suoi adepti però non avevano nulla a che fare con i veri muratori, perché la loro è tutta un’altra storia!

Castel San Pietro Terme, dicembre 2018

Note per la lettura
Abbiamo cercato di utilizzare pochi segni grafici, per non appesantire il testo, e rendere così più scorrevole la lettura, usando solo gli accenti grave, acuto e circonflesso. Ci siamo presi questa libertà, perché non è definita ufficialmente la codifica della grafia del dialetto bolognese, e di conseguenza, nemmeno del castellano che ne è un derivato.
Insomma, c’è una certa libertà!….
Ci siamo ancorati all’impostazione di chi sostiene di scrivere il dialetto così come lo si pronuncia. Ecco perché davanti all b e alla p, c’è la n e non la m, a differrenza dell’italiano. C’è poi un suono poco chiaro nel nostro dialetto che sta tra la a e la o, come nella parola “capàn”, cioè cappone, che abbiamo scritto con la finale àn; inoltre italiano è scritto itagliàn, come suggerito dai due autori esperti, Lepri e Vitali.
Molte lettere doppie in dialetto scompaiono, come in gata = gatta, al contrario dove non c’è la doppia viene introdotta, come in vèggna = vigna.
Un’altra particolarità da segnalare è relativa a parole che contengono il suono sc seguito dalla vocale i, come in s’ciarìr = sfoltire; se le due lettere non le separassimo con un segno grafico, la parola si leggerebbe erroneamente come nella prima sillaba della parola: sciopero.
Le lettere c’ e g’e le doppie cc’ e gg’ seguite dall’apostrofo, si pronunciano dolci come nelle parole celeste e giostra, per esempio furàg’ = foraggio e radàcc’ = radicchio.
Per dare un aiuto concreto alla lettura ed alla pronuncia corretta, abbiamo registrato un CD in cui troverete pronunciate tutte le parole dialettali inserite nel vocabolarietto.

L’amstîr dal muradàur

Al costruziàn         Le costruzioni

cà da cuntadén cun la stàla –  casa da contadino con la stalla
capanàn industrièl – capannone industriale
cîsa cun al canpanéll – chiesa con il campanile
fabrichèt, palàz, stâbil – fabbricato, palazzo, stabile
tårr – torre
vélla – viltéina – villa, villetta
cà in custîra – casa esposta al sole a sud
cà a bagûra – casa in ombra  a nord                                                                                                                                                curtîl – cortile
zardén – giardino

Pèrt dla costruziàn       Parti della costruzione

andavén, curidûr – corridoio
andràn – androne
apartamànt – appartamento
balcàn- balcòn, teràza – teràz – balcone balconi, terrazza terrazze
baladûr – ballatoio/i : corridoio in aggetto
bugadarì – lavanderia (in dialetto la parola deriva
da bucato: bughé; lì vi era la fornacella, la panca, il mastello di legno dentro cui, sulla biancheria lavata ma non ancora sciacquata, veniva messa la cenere sul ceneracciolo (al zindràndel), e quindi versata sopra l’acqua bollente, che poi diventava la liscivia. Era posta al piano terra.
camaràn – deposito, piccola rimessa
cantéina – cantéin – cantina  cantine , servivano per
tenervi la legna, il vino, qualche genere alimentare e le varie cianfrusaglie (ma attenti ai topi!).
cèsso, gabinàtt – gabinetto, toilette nelle vecchi costruzioni era esterno agli appartamenti e comune a diverse
famiglie. Nelle case di campagna non esisteva.
cunsérva – conserva: locale sotterraneo, costruito in muratura di consistente spessore, che in inverno veniva
riempito di neve, e dove vi si conservavano le carni, quando non esistevano ancora ghiacciaie e frigoriferi. (vedi quella che è sotto il Cassero).
cuséina – cucina
garâg’ – autorimessa/e – garage (è un termine in uso nei tempi moderni)
loza – loggia
pazz – pozzo: prima che esistesse la rete idrica comunale, l’acqua si attingeva dal pozzo, presente in quasi
tutti gli edifici del centro storico; era pure in tutte le aie delle case coloniche.
pôrdg – pûrdg – portico  portici (di proprietà privata, ma ad uso pubblico).
sgabuzén o bâs còmod – ripostiglio/i
stànzia – stanzi – stanza/e, camera/e
sulèr, granèr – solaio/i, granaio/i: locale nel sottotetto. Il granaio ha questo nome proprio perché i più benestanti
o chi aveva un po’di risorse risparmiate, si approvvigionava di grano in vista dell’inverno e lo conservava
in sacchi in questi locali asciutti, in attesa di portarlo a macinare.

Lavurazian e quì bèle fât da métter in ôvra       Lavorazioni e manufatti da mettere in opera

architrèv – architrave/i: trave che sorregge il peso della struttura sopra le finestre e le porte.
bóffa, bóff – finestra/e di cantina o di locale interrato, aperta a parete a livello stradale, o a pavimento sotto il
portico, in modo da poter gettare in cantina la legna da ardere, o far passare lo scivolo per il mosto,
evitando così di scendere le scale.
camén – camino , focolare. Nelle case di una volta il camino era collocato nella cucina. Era l’unica fonte
di riscaldamento di tutta la casa, mentre solo in quelle signorili il camino era anche in altri locali.
câna dal camén – canna fumaria
cantàn di bachétt – angolo dei bacchetti: era creato da un muretto basso vicino al camino per appoggiarvi il fascio
dei bacchetti che servivano per accendere il fuoco. Spesso era in angolo: a stracantàn.                                                    
èrc – arco/hi
fnèstra – fnèster– finestra  finestre
fugâuna – fornacella: focolare racchiuso da pareti in muratura, entro il quale si posizionava un paiolo;   il fuoco si faceva alla base. Era nel locale lavanderia.
fundaziàn – fondazione/i
inbiancadûra, dèr ed bianc – tinteggiatura
invarnisadûra – verniciatura
luminarôl – luminarù – lucernaio, lucernai: parte di copertura vetrata del tetto.
marciapì, giaradén – marciapiede
mûr, muradûra – muro/i  muratura
mûr in prêda, mûr in sâs – muro in mattoni, muro in sasso.
mûr a véssta – muro a vista: non intonacato
murizol – muricciolo: muretto di recinzione; anche fatto come sedile, di lato al piano del focolare.
pianeròtol – pianerottolo/i: parte di arrivo della rampa scale.
pilàster, clàuna – pilastro/i, colonna (colonna si dice a quella tonda).
predintâi – pietrinfoglio/i: muro divisorio (letteralmente pietra in taglio)
quért – coperto/i  tetto/i
quért a dàu o quàtr âcuv – coperto a due o quattro spioventi
recinziàn cun la ràid (la ramè) – recinzione con rete
rivestimànt – rivestimént – rivestimento  rivestimenti
salghè, pavimànt-pavimént – pavimento/i
salghè a rèsta ed pass – pavimento montato con disegno a lisca di pesce.
salghè ala rumèna – pavimento alla romana, intercalando il lato corto con quello lungo delle tavelle in cotto.
salghè ala venezièna – pavimento alla veneziana,formante disegni, fatto con pezzettini di marmo a più colori; poi    levigato.
salghè in sâs ed fiômm, muntè piât o ed curtèl – selciato in sassi di fiume, montati piatti o di coltello.
schèla a luméga – scala a chiocciola
schèla, ranpa, trammba dal schèl – scala, rampa, vano scala
sattfannd pr al salghè – sottofondo per posa dei pavimenti
stabiér – stablidûra fratazè – tirare a grezzo un intonaco, in modo grossolano, per fienili, caselle,ecc.
stablidûra – intonacatura
stucadûra – stuccatura: riempitura delle fessure della muratura a vista, dei rivestimenti e dei pavimenti.
sufétt – soffitto/i: faccia inferiore del solaio
sulèr – solaio/i: copertura tra un piano e l’altro
sufitén, spôrt, curnisàn – cornicione/i di gronda: parte sporgente del tetto.
tajôla – tajôli – tagliola/e: tagli nella muratura per incasso di tubature e simili.
tasèl – solaio, soppalco: una volta era costruito con travi, travetti in legno e tavelle di laterizio.
tasèl môrt – idem, nel sottotetto, spesso non era praticabile.
tavèla – tavèli in côt – tavella/e in laterizio per pavimenti, stesse dimensioni del mattone, ma più compatta e resistente, quindi atta all’uso del calpestìo.
tirànt – tirante/i
trèv – trave: elemento di sostegno delle strutture.
vôlta – volta: copertura con superficie concava
vultàn – voltone  grande andito (dava accesso con la carrozza al cortile di un palazzo)
inpiànt dla lûs – impianto elettrico                                                                                                                                                 inpiànt da l’àcua – impianto idrico
inpiant dal térmo – impianto termico                                                                                                                                              armèr un sulèr o ’na trèv – armare un solaio: puntellarlo per reggere il peso del getto, in attesa che il cemento faccia presa; armare una trave: fare una gabbia di legno per contenere il ferro e il getto di calcestruzzo.
dsarmèr – disarmare: togliere le armature di cui sopra.
zetèr al fundaziàn – riempire le fondazioni con il calcestruzzo.
ciapén – lavoretto, specie di manutenzione, per il quale occorrono solo gli attrezzi del mastro.                                                                                                                                                                                                   Materièl e qui bèle fât dl’edilézzia                        Materiali e manufatti dell’edilizia

(a)basamànt – battiscopa
arèli, arlén, garsù – arelle: stuoie di canne per soffitti
balaósstra-balaósster, parapèt – balaustra/e, parapetto/i
bancaléina – bancaléini o bancalàtt – bancale/i delle finestre
bandinèla – bandinèl – bandinella/e: lamiera di protezione dalle infiltrazioni d’acqua.
barîra – cancellata
bòtla, arbèlta – botola: apertura sul pavimento che mette in comunicazione con i lpiano sottostante.
calzistrózz – calcestruzzo: impasto di cemento, calce, sabbia e ghiaino.
calzéina – calce
calzéina vîva, smurzè, gràsa e mègra – calce viva, spenta, grassa e magra
câpa-câp – cappa cappe
capp-cópp – coppo coppi, tegola curva in laterizio per manto di copertura del tetto.
camén, caminarôl – comignolo: fumaiolo che sporge dal tetto.
cadnâz – catenaccio per infissi
chèrta catramè – carta catramata: impermeabilizzante
ciavadûra – serratura
copertéina – copertina: protezione superiore del muretto di recinzione, fatta in cemento, in marmo o in laterizio.
dàzza – dàzz – pluviale, pluviali: canale verticale di scarico delle acque pluviali.
fèr lavurè par zimànt armè – ferro lavorato per cemento armato
furè – mattone/i forati in laterizio
gelosì , persièna – gelosia/e: scuro in legno a listerelle che lasciano passare un po’ di luce
gelosì – grigliato in laterizio, usato per le pareti dei fienili, al fine di lasciar passare l’aria e non far fermentare il fieno.
gèra – ghiaia
giarlén – ghiaino
granégglia – graniglia: piccolissimi frammenti di marmo assemblati con il cemento.
grannda-grannd, grundèra – grondaia/e: canale di gronda del coperto
grèda-grèd, frèda-frèd – inferriata, inferriate
guérz – cardine/i di porte e finestre
lastra dal fûg – lastra metallica murata sotto e dietro il focolare.
madrèla-madrèl – traversina/e in legno della persiana
manégglia-manélli – maniglia, maniglie
mantén – corrimano
marlàtta – saliscendi applicato alle porte di casa di una volta; facendo leva o tirando una cordicella
la porta si poteva aprire dall’esterno.
marmàtta-marmàtt – mattonella, marmetta/e
marsigliàisa – tegola marsigliese piana, in laterizio, per manto di copertura del tetto.
mèlta – malta: impasto di calce, sabbia e quando richiesto anche cemento.
mèrum – marmo/i
òss, porta-port, bòssla-bòssel – uscio/i, porta/e, bussola/e
óss din cà – porta di casa: dell’appartamento
parchè – parquet: listelli in legno per pavimenti
piastrèla-piastrèl, pardén – mattonella/e  pietrini: da rivestimento
pgnàta-pgnàt – volterrana, volterrane: laterizi per solai
puzàtt-puzétt – pozzetto-pozzetti
prêda-prêd – mattone, mattoni in laterizio
prêda refratèria – mattone refrattario: resistente al calore senza alterarsi. Si usa nella costruzione dei camini.
pudrèla-pudrèl – putrella-putrelle: trave in ferro
purtàn-purtòn – portone-portoni
rastèl – cancello
ringhîra – ringhiera in ferro dei balconi
sâbia-sabiàn – sabbia
scajôla – scagliola: impasto di gesso e colla per intonaci. Artisticamente usato con colori, per costruire gli altari e ornamenti vari.
scalén (fât da pidè e pà drétt) – gradino/i (fatto da pedata e alzata)
s’cér – secchiaio/i, lavello di cucina
scûr – imposta/e in legno pieno, per finestre
sójja-sói – soglia, soglie
stéppit – stipite/i: elemento che delimita il vano di porte e finestre.
taparèla-taparèl, sranda-srand – tapparella/e, serranda
tavèla, tavèli in côt – tavella, tavelle in cotto (per pavimento rustico).
tavlàn-tavlòn – tavellone, tavelloni (in laterizio)
tlèr dal fnèster – telaio/i delle finestre
tubadûra-tubadûr, tubaziàn – tubazione, tubazioni
ucaréina-ucaréini – ferma scuri a forma di piccolo busto d’uomo.
vàider-vîder – vetro-vetri
zàss – gesso
zimànt – cemento

Usvéi e màchin dal cantîr                      Attrezzi e macchine di cantiere

algnâm da carpenterì – legname da carpenteria
badîl – badile/i
barâca da cantîr – baracca da cantiere
baréll par l’âcua – barile per l’acqua
bitumîra – betoniera: impastatrice della malta (non ha nulla a che fare con il bitume!)
bustéina – bustina: classico cappellino di carta indossato dai muratori
(fatto con la carta dei sacchi di calce o di cemento).
biziclatta – secchio o benna con ruote, secchione che si attacca alla gru.
bursa di usvéi – borsa degli attrezzi personali del mastro
caldarnén – caldarello/i: secchio basso che riempito di malta dai manovali, venivaportato sul ponte,
poi vuotato nella conca o nel cassetto accanto al mastro che tirava su il muro o faceva l’intonaco.
cariôla – carriola
casàtt -casétt – cassetto-cassetti: in legno per malta
cavalàtt-cavalétt – cavalletto-cavalletti: per fare ponte
cazôla – cazzuola: paletta per prendere su la malta dal cassetto.
caunca – conca: recipiente in legno per malta, concavo, più piccolo del cassetto.
férla-férel – grosso chiodo/i per forare il muro (a sezione quadra o rettangolare)
grinbèl – grembiale: di tela bianca allacciato e arrotolato in cintura, che il mastro poi faceva scendere
per non schizzare di malta i pantaloni. Era come la divisa del mestiere.
grisôl – matita piatta da muratore per segnare sui muri altezze e posizioni.
lanbraccia-lanbracc’ – tavola/e di legno poste sulle travi a formare il letto per i coppi o le tegole.
livèla, balla – livella: verifica l’orizzontalità di un piano, mediante una bolla d’aria
dentro un tubino pieno di liquido,chiuso alle estremità (bolla=bàlla).
martléina – martello da muratore
mazatta – grosso martello per frantumare
méter – metro (doppio metro) in stecche di legno, di cm.20 ca.,pieghevole.
palanchén – palanchino/i, piede di porco: per fare leva.
palàtta – tavoletta in legno su cui appoggiare la malta mentre si tira l’intonaco.
parànc – parranco/hi: sollevatore con carrucola
pànt o pàunt – ponte: strutura provvisoria su cavalletti per lavorare ad altezza superiore a m.1,20-1,30 da terra. Si fa anche per portare materiali all’interno.
piàmmb – filo a piombo: cordicella applicata a un peso appuntito in basso, per individuare la verticale (usato per erigere la muratura perfettamente perpendicolare).
picàn-picòn – piccone-picconi
puntàgg’-puntègg’ – ponteggio-ponteggi
quadarlàtt – travicello in legno a sezione quadrata
ranòc’-ranùc’ – morsetto/i: per unire i tubi dei ponteggi tubolari.
scarpèl-scarpì – scalpello-scalpelli
scuèdra, scuadràtta – squadra-squadretta
sfratàn, sfratàuna – frattazzo: tavoletta rettangolare di legno con manico al centro, per tirare e lisciare l’intonaco.
tabiàn-tabiòn – asse/i di legno per fare ponte.
trâpen con la ponta – trapano con la punta.
vâl – vaglio/i: grande setaccio per vagliare la sabbia.
zirèla – carrucola

I muradùr e chi èter           I muratori e gli altri

càp màsster – capo mastro: artigiano appaltatore
càp cantîr – capo cantiere
càp scuèdra – capo squadra
màsster, mésster – mastro, mastri muratori
aprendéssta màsster – apprendista mastro
manvèl – manovale/i
carpentîr – carpentiere/i
fèrajòl, ferajù – ferraiolo, ferraioli
salghén – pavimentatore/i
scajulèssta – scagliolista
gruèssta – gruista
bitumiréssta – betonierista                                                                                                                                                                 bruzâi – barrocciaio
camiunéssta – camionista
chèva – cava: fornitrice di sabbia, ghiaino, ghiaia (una volta era il barrocciaio che andava a prenderli dal fiume)
falegnâm – falegname
furnès da prêd o da calzéina – fornace da laterizi o da calce
frâb – fabbro
funtanìr – fontaniere, idraulico
lantarnèr, latunìr, stagnén – lattoniere: che lavora la latta e stagna
letrizéssta – elettricista
marmurén, marméssta – marmista
sbianchizén – imbianchino
scavaduréssta – escavatorista
vidrèr – vetraio
zimintéssta – cementista                                                                                                                                                                     architàtt – architetto
geometra – geometra. Siccome i nomi maschili di
massima finiscono con la “o”, molti ritenevano si dovesse dire geometro e non geometra. Un po’ di logica c’era perché la parola è formata da geo che vuol dire terra e metro che è una unità di misura. Di conseguenza capitava che, quando un geometra era scarso tecnicamente, fosse dai muratori detto con ironia: geo-centimetro!
inzgnìr – ingegnere
padrân dal fabrichèt – padrone: proprietario del fabbricato                                                                                                      bandîga – pranzo tradizionale offerto ai muratori dal proprietario dell’edificio. Quando i lavori raggiungevano il
coperto, i muratori montavano sul tetto la bandiera tricolore. Era questo il momento in cui il proprietario era invitato ad offrire loro la bandiga. Una volta gli operai non avevano mai vitto in abbondanza e questa era l’occasione per recuperare un poco di calorie e sentirsi sazi!

ALCUNI PROVERBI CHE SI ADDICONO AI MURATORI E ALLE COSTRUZIONI

Al muradàur l’è prémma manvèl e pò màsster
Il muratore è prima manovale e poi mastro

Inciôn al nâs màsster a ste mannd
Nessuno nasce maestro a questo mondo

Chi l è int l’èrt, u in pôl ragiunèr
Chi è nell’arte, ne può ragionare

Danca, danca… par fèr i muradûr ui vol la càunca
Dunque, dunque … per fare i muratori ci vuole la conca

A gn’è cà d rà, d prànzip o d inperatàur ch’u ni èva pisé dànter un muradàur
Non c’è casa di re, principe o imperatore, che non vi abbia fatto pipì un muratore.

Chi métt al quért prémma dal fannd, u n avànza brîsa dimondi a ste mannd
Chi mette i tetti prima del fondo, non resta molto in questo mondo

La cà di cuntènt l’è ancàura da tirér só
La casa dei contenti è ancora da costruire

L amàur al rannd cunpâgn regnànt e manvèl
L’amore rende uguali regnanti e manovali

Un catîv operèri u n trova mâi i usvéi adât
Un cattivo operaio non trova mai gli attrezzi adatti

Anc al quért piò in ràigla, u i pôl manchèr un capp
Anche al coperto più in regola, può mancare una tegola

L è fàzil demolìr, l è piò dûr ricostruir
E’ facile demolire, è più duro ricostruire

Marisa Marocchi – Giorgio Biondi

 

Diziunariàtt Castlàn- Itagliàn
Dizionarietto Castellano – Italiano

l’amstÎr dal calzulèr         Il mestiere del  calzolaio

 

Hanno collaborato:

Coordinamento Lia Collina

Collaborazione Licia Braghin, Nerino Boninsegna

PRESENTAZIONE

Pure quello del calzolaio è stato qui da noi un mestiere prettamente maschile; come donna del settore c’era solo l’artgiana che cuciva le tomaie, con le relative fodere.
Una volta, i migliori calzolai eseguivano le scarpe su misura, ma facevano pure le risuolature; quelli meno bravi si limitavano a fare i ciabattini, cioè solo le risuolature, i cicchetti e i sovratacchi alle scarpe di chi poteva spendere poco, al fine di rimandare l’acquisto di nuove. L’imperativo dell’epoca era che tutto dovesse durare il più a lungo possibile! C’era anche chi, per risparmiare le scarpe e i conseguenti costi di risuolatura, non appena la stagione lo permetteva andava scalzo, e questo in campagna era abbastanza comune (da aprile a ottobre). I bambini poi andavano scalzi anche in paese, perché con i piedi che crescevano così velocemente, come avrebbero fatto i loro genitori a mantenerli inscarpè ?
Una volta, specialmente fra i mezzadri di collina, non tutti i loro figli e figlie avevano il loro paio di scarpe, ce n’erano solo alcune paia che dovevano servire per tutti. Le indossavano a turno per venire in paese (un lunedì le metteva uno e quello successivo un altro) o la domenica per andare alla messa, c’era così chi andava alla prima, chi alla seconda messa, e in quel caso era sempre lo stesso paia di scarpe che girava….
Una volta chi spianava quelle nuove si faceva subito notare, perché scricchiolavano ad ogni passo e questo attirava la curiosità e causava i successivi commenti! (Mò che milurdén!… – era il malizioso commento, fatto dialettizzando l’inglese: milord).
Alcuni calzolai avevano bottega, altri avevano il loro piccolo laboratorio in casa. La bottega era caratterizzata dalle seguenti particolarità, tipiche del mestiere.
La sedia aveva le gambe abbassate, perché il calzolaio lavorava appoggiandosi la scarpa in grembo, per cui i piedi dovevano essere comodi a terra; il tavolino che teneva di fronte, era altrettanto basso e nei diversi scomparti, teneva i piccoli materiali e gli attrezzi d’uso corrente, divisi tra loro da ridotti scomparti e scatoline.
A terra c’era invece il piedino di ghisa, mentre su qualche mensola c’erano le forme da uomo e da donna sulle quali imbastiva le scarpe nuove e i tacchi di legno, che poi sarebbero stati ricoperti con la pelle. In un angolo c’erano diversi pezzi di cuoio di vario spessore, pezzi di gomma zigrinata per le suolature, un secchio d’acqua per bagnare il cuoio e le eventuali scarpe vecchie da risuolare o riparare.
Quando le famiglie dei contadini erano molto numerose (10 o 12 persone), e le scarpe le avevano tutti, in quel caso era d’uso che il calzolaio, almeno una volta all’anno, andasse presso di loro ad eseguire i necessari lavori di riparazione. Partiva così, con la sporta degli attrezzi e quella dei materiali, fermandosi a casa del contadino, finchè non avesse risuolato, rappezzato e ricucito tutte le scarpe, sandali e ciabatte della famiglia. Era loro ospite a tavola e, se necessario perchè il lavoro non si esauriva in una giornata, anche a dormire in quanto in un corridoio, nel fienile o nella stalla c’era sempre posto.
Nel corso del tempo, sono cambiati i materiali e le “mode”. Una volta le scarpe dei poveri erano i gospi, con il fondo di legno, mentre durante l’ultima guerra, quando non si trovò più nè il cuoio né la gomma, vennero di moda quelle con le zeppe di sughero; in quegli anni le risuolature erano fatte con la gomma dei vecchi copertoni da bicicletta.
Finita la guerra, la meccanizzazione si sviluppò in tutti i settori come pure in questo. Le industrie calzaturiere misero sul mercato una sempre maggiore quantità di prodotto, con possibilità notevoli di scelta per qualità, misura e prezzo, per cui gradatamente il mestiere del calzolaio si focalizzò solo sulle riparazioni, fino quasi a scomparire, perchè era diventato più conveniente comprare le scarpe nuove, in quanto la risuolatura non era più economica, se le scarpe da riparare erano di bassa qualità!
Passata l’euforia del “tutto nuovo”, la gente si accorse che, comprando quelle belle e di qualità, conveniva ancora ripararle, così è ritornato il lavoro del “ciabattino”, ma con una tecnologia assai diversa: sono entrate le macchine anche per le riparazioni, e la bottega di questi nuovi artigiani ha ora un altro aspetto, inoltre oggi molti usano le scarpe sportive con la suola di plastica!
Per tutte queste ragioni, abbiamo ritenuto utile raccogliere una serie di parole tipiche, inerenti il lavoro di questo vecchio e tradizionale mestiere che, da tre quattro decenni, da Castello era andato scomparendo.

Come abbiamo già notato per i contadini, la calzatura contribuiva a distinguere il ceto delle persone anche in paese, perché le popolane portavano le ciabatte sia in casa che per andare a far spesa; le scarpe le portavano solo con il “vestito della domenica”, così anche gli uomini, usavano correntemente quelle da lavoro, gli operai più giovani se le cambiavano per andare al caffè o a morosa, mentre i ceti più abbienti portavano scarpe e stivaletti; i frati cappuccini invece si distinguevano per la loro vocazione alla povertà e portavano i sandali, senza calze.

Marisa Marocchi e Giorgio Biondi

Castel San Pietro Terme, dicembre 2018

 

L’artigiàn calzulèr            L’artigiano calzolaio

calzulèr – calzolaio, artigiano che sapeva confezionare le scarpe.
gasgadàura – artigiana che con una macchina da cucire speciale, gasgava le tomaie e le cuciva alla relativa fodera.
zavatén – ciabattino: artigiano dedito alla riparazione delle scarpe.

I qui da métters int i pì             Cose da mettersi ai piedi

gatt – ghette, gambiere di stoffa da mettere sopra le scarpe (non più in uso).
galòsa – caloscia, sovrascarpa impermeabile di gomma, da indossare con la pioggia.
gôsp – zoccolo/i di legno con tomaia di pelle (antica calzatura dei poveri).
mucasén – mocassino /i: calzatura in pelle, senza tacco, flessibile,
copiata da quella in uso presso gli Indiani d’America
pantòfla o papòssa – pantòfel o papòss – pantofola /e – solitamente con la parte superiore di panno,
chiusa, e che si usava in casa quando faceva freddo.
sàndel – sandalo /i  calzatura estiva
scarpunzén – scarponcino /i
schèrpa-scèrp – scarpa-scarpe
schèrpa a decoltè – scarpa a decolleté  da donna
scarpàzi da lavurìr – scarpacce da lavoro
scarpàn-scarpòn – scarpone-scarponi
stivèl – stivale/i
stivalàtt-stivalètt – stivaletto-stivaletti
zavàta-zavàt – ciabatta-ciabatte: aperte dietro
zòcol-zòcuel – zoccolo-zoccoli

Al pèrt dla schèrpa e i materièl adruvè    Le parti della scarpa e materiali usati

arbôt- arbût – parte posteriore della scarpa, dal tacco alla caviglia.
barbulàtta, linguàtta – rettangolino di pelle posta sotto i legacci.
cântrafórt – contrafforte: rinforzo messo nel tallone della scarpa, fra tomaia e fodera.
cicàtt-cichétt – cicchetto-cicchetti: pezzetto di cuoio o gomma per il rappezzo della suola
ciôd-ciûd – chiodo-chiodi
ciûd da muntér – particolari per imbastire le tomaie sulla suola.
cmîra – tomaia-parte superiore della scarpa
côla – colla, mastice
curâm – cuoio
curdunàtt-curdunètt – laccetto-stringa; laccetti-stringhe
fèr-frén – ferretto/i: una volta servivano per proteggere punte e tacchi dal logoramento.
fióbba-fióbb – fibbia-fibbie
fôdra-fôder – fodera-fodere
gamma – gomma
gang’ e bâccuel – ganci e boccole per far passare i cordonetti negli stivali (solo boccole nelle scarpe basse)
inféren – tintura nera
lósster – lucido/i
mascaréina – mascherina: parte anteriore della tomaia.
paigla – pece per chiudere le cuciture delle suole.
pèl, pèl lósstra, pèl ed camòs – pelle, pelle lucida, pelle di camoscio
pónta dla schèrpa – punta della scarpa
puntèl – rinforzo fra tomaia e fodera messo nella punta della scarpa.
salarén – tipo di chiodo/i: a testa quadra, particolari per gli scarponi
sattpà-sattpì – sottopiede-sottopiedi
sàuratâc – sopratacco/hi
smintèin – piccoli chiodi: varie misure dal 6 al 20.
sôla-sôl – suola – suole
sparadèl – guardolo: giro sporgente attorno alla suola.
spèg – spago
sulàtta – sulàtt – soletta-solette (interna alla scarpa)
tâc – tacco/hi
zéppa d sóvver- zépp – zeppa di sughero-zeppe
zinturén – cinturino/i
zîra – cera

I usvéi     Gli attrezzi

bancàtt da calzulèr – panchetto da calzolaio
buslàtt – utensile per levigare suole e tacco
chèva ciûd – cava chiodi
curnàtt o curnatta – calzante (per infilare la scarpa)
fàurma-fàurum – forma-forme: piede di legno su cui imbastire la scarpa.
laisna – lesina: per forare il cuoio, per poi passare la cucitura con lo spago.
léssa – utensile per levigare la suola
lémma, vàider e chèrta vidrè – lima, vetro e carta vetrata, per preparare il cuoio della suola alla tintura.
mèrca pónt – marca punto: per marcare il punto di cucitura sul guardolo, per farne elemento decorativo.
martèl-martì – martello-martelli
mursàtt-mursètt – morsetto-morsetti: per attaccare bene il tacco che poi andrà inchiodato.
pénza par muntèr la cmîra sàura la fàurma– pinza per aiutare il montaggio della tomaia sopra la forma.
pidén – piedino: attrezzo in ghisa con due forme di piede e una di tacco, su cui si infila la scarpa per battere suola e tacco.
rudlén – per fare la rigatura sopra il guardolo
saddla-sàddel – setola-setole: per cucire con lo spago
sàggna pónt – segna punto: per guidare gli spazi dei punti di cucitura sul guardolo.
sâs – sasso, molto resistente, per battere il cuoio bagnato, al fine di compattarlo e renderlo impermeabile.
tanâi – tenaglie
trinzàtt – trinzétt – trincetto, trincetti: lama taglia pelle e taglia cuoio.
truvlén – pinza per fare piccoli fori
zdaréina – spazzola per lucidare                                                                                                                                                       scâtla dal schèrp – scatola da scarpe

 

I lavurìr dal calzulèr      I lavori del calzolaio

arcrûver i tâc nûv cun la pèl – ricoprire i tacchi nuovi con la pelle
arsulèr – risuolare
arpzèr la sôla cun i cichétt – rappezzare i buchi nella suola con pezzetti di cuoio: i “cicchetti”.
bàter la cusdûra dla sôla – battere la cucitura della suola
cusèr la sôla a man cun al spèg – unire, cucendo a mano con lo spago, la suola alla tomaia, passando attraverso i fori fatti con la lesina.
dèr al lósster, lustrér – dare il lucido, lucidare
gasghèr la tmèra cun la fôdra – cucire a macchina la tomaia con la fodera (da parte della gasgadàura).
inciudèr – inchiodare
inculèr – incollare
infilér al spèg, o i curdunétt – infilare lo spago, o i laccetti
inzirér al spèg – incerare: passare la cera sullo spago
sulèr – suolare
tajèr al curâm – tagliare il cuoio
tènnzer la sôla ed naigher – tingere la suola di nero
zdarinér – spazzolare

ALCUNI PROVERBI CHE PRENDONO ISPIRAZIONE DALLE SCARPE

An cazèr vì al schèrp vèci, fén t a n è al nôvi
Non buttare via le scarpe vecchie, finchè non hai le nuove

Chi al fa piò simitón che sôl, o ut a freghè o freghèr ut vôl
Chi fa più carezze che non suole – o t’ha gabbato o gabbar ti vuole

U ni è schèrpa bèla, ch’la n finéssa in zavàta
Non c’è scarpa bella che non finisca in ciabatta

Schèrpa granda, bichîr cèn, e tôr al mannd cum al vén
Scarpa grande, picchiere piccolo e prendere il mondo come viene

Schèrpa grôsa, zarvèl fén
Scarpa grossa, cervello fino

 

Diziunariàtt Castlàn- Itagliàn
Dizionarietto Castellano – Italiano

l’amstir dla sèrta e dal sèrt     Il mestiere della sarta e del sarto

PRESENTAZIONE

Come si è quasi estinto il mestiere dell’artigiano calzolaio, qualcosa di simile è successo pure per i sarti. Il processo di sviluppo industriale del dopo guerra ha notevolmente interessato anche il settore dell’abbigliamento. Sono iniziate le produzioni in serie per uomo e donna, sia con capi di alta che di modesta qualità. Lo spostamento successivo di alcune fabbriche di moda italiane nei paesi asiatici e l’importazione da questi, già dagli ultimi decenni del secolo scorso, hanno portato sul mercato una notevole quantità di capi d’abbigliamento di alta e bassa sartoria, che posssono essere acquistati a prezzi accessibili o bassi (in rapporto alle diverse qualità), in grado di soddisfare ogni esigenza. Per tutte queste ragioni, gradatamente il lavoro dei nostri sarti artigiani non è più stato richiesto, o quasi.

A Castello operavano alcuni artigiani del settore, che gestivano il proprio laboratorio presso l’abitazione e in virtù della situazione sopra accennata, man mano ognuno di loro cessava l’attività, il laboratorio chiudeva. Dei tanti che erano, c’era rimasta solo qualche sarta che si dedicava alla sistemazione degli abiti confezionati, che le passavano i negozi di abbigliamento, per adattarli alle misure dei clienti che li avevano acquistati (per stringerli, allargarli, accorciarli).
Mentre una volta le nostre mamme erano capaci di rimediare a uno strappo, a una scucitura, di cambiare una lampo, di accorciare o allungare gonne e pantaloni, a un certo punto ci siamo trovati che molte donne, per impegni di lavoro, o perché non avviate ad adoperare l’ago, hanno sentito il bisogno di rivolgersi a qualcun’altro che sapesse farlo. Ecco che in questi ultimi anni in paese hanno aperto alcuni piccoli laboratori di sartoria, che si affacciano sulla strada, per fare soprattutto le riparazioni, ma disponibili anche a confezionare su misura.

Torniamo però indietro ad una volta, quando i sarti lavoravano a confezionare.
La particolarità che nel passato ha contraddistinto questo mestiere è stata l’influenza che la moda, a suo tempo quella francese, ha esercitato specie sull’abbigliamento femminile, imponendo per ogni stagione uno stile o una tendenza, e la conseguente continua variazione e, … guai a non seguire i suoi dettami!
Già dalla fine dell’ottocento, le riviste di moda francesi erano assai diffuse, e facevano testo. Tutte le sartorie si adattavano a seguire “l’ultimo grido di Parigi”! E’ anche per questo che nella terminologia sartoriale alcune stoffe, lavorazioni, prodotti di merceria, sono rimasti nell’uso corrente, con il loro nome francese. Non passando nemmeno dall’italiano, questi nomi non si sono dialettizzati, per cui non sono stati recepiti nel presente lavoro. Cito come esempio di parole non tradotte: tremè, crèpe, jabot, pièd de poulet, plissé, rousse. Sono state recepite invece quelle francesi, storpiate dalla traduzione dialettale.
Prima che nella seconda parte dell’ottocento fossero importate dagli Stati Uniti le macchine da cucire Singer (vendute opportunamente a rate), tutte le confezioni erano cucite a mano, e questo lascia facilmente capire perché ogni sarta o sarto allevasse una “scuola” di sartine. Anche quella sarta, come abbiamo visto per il mastro muratore, dalle sue lavoranti era detta “maestra”, e il termine in uso era: – vado a scuola da sarta dalla maestra Tal dei Tali. –
A quell’epoca poi, quando calava la sera, e nelle corte giornate d’inverno o di maltempo, il lavoro procedeva a lume di candela o della lumiera a petrolio. Era proprio il caso di raccomandarsi a Santa Lucia, perché a quelle lavoratrici mantenesse la vista buona!
Spesso i sarti facevano da consulenti al cliente, uomo o donna, quando doveva scegliere la stoffa per un abito, consigliandolo sulla qualità e la misura necessaria, in rapporto al modello scelto, più o meno elaborato. Era il mercato ambulante del lunedì che soddisfaceva le maggiori esigenze in fatto di stoffe. I banchi erano assortiti con “pezze” di stoffa, di ogni colore e tipo di tessuto; quelle più colorate da donna, erano fatte penzolare dalle aste, sotto il telone, per invogliare la clientela a guardare e meglio scegliere.
Anche i sarti, come i calzolai, andavano a lavorare a casa dei contadini castellani e, se già l’avevano, prendevano con sé la macchina da cucire, quella che funzionava a mano, girando la manovella. Così in loco creavano qualche vestito, qualche piaia di pantaloni, adattavano quelli dei grandi per i più piccoli, ne rivoltavano e ricucivano altri, accomodavano quelli lisi o strappati, sempre seguendo il concetto che tutto doveva durare…il più a lungo possibile! Anch’essi andavano con gli attrezzi del mestiere (forbici e metro non mancavano mai), con i modelli e la merceria corrente (cotoni, cordelle, bottoni).
La macchina da cucire, prima a mano, poi a pedale li ha aiutati a cucire per oltre ottant’anni; integravano poi a mano il resto delle lavorazioni interne e di finitura. Poi, verso gli anni cinquanta, sono arrivate sul mercato le nuove macchine che “fanno tutto” così, in virtù di lavorazioni che non si eseguono più e che i giovani non hanno proprio imparato a fare, come cavalletti, sottopunti, asole, ecc., è anche cessata la conoscenza delle relative parole.
Ecco perché alcune di queste le riportiamo nel presente vocabolarietto con
qualche spiegazione aggiuntiva, cioè raccontiamo un po’ la procedura della lavorazione. Lo facciamo per lasciare una traccia del pregevole lavoro di questi artigiani rammentando che, se prestiamo ascolto, anche le singole parole sempre ci raccontano qualcosa.
Buona… lettura! (stavo per dire: buona cucitura!)

Marisa Marocchi
Castel San Pietro Terme, dicembre 2018

Al specializaziàn              Le specializzazioni

bragarôla – pantalonaia, specializzata nel fare i pantaloni da uomo.
camisèra – camiciaia
sèrta da dòna – sarta da donna
sèrt da òmen – sarto da uomo

Al lavuraziàn      Le lavorazioni

dlàzzer al mudèl dai figurén – scegliere il modello dai figurini (riviste di moda che proponevano i disegni di abiti, cappoti, ecc. e fornivano pure il tracciato dei modelli).
tôr al misùr al cliànt – prendere le misure al cliente (spalla, vita, petto, fianchi, lunghezza della maniche,della gonna, dei pantaloni e dal cavallo in giù).
pasèr i séggn dal mudèl a la stòfa – passare i segni dal modello alla stoffa, contornandolo con il gesso da sarta.
tajèr la stòfa – tagliare la stoffa, seguendo i segni.
tajèr drétt o ed sgalémmber – tagliare dritto o di sbieco.
inbastìr, par fèr la prova – imbastire, per poter provare il capo.
pruvèr adòs al cliànt e tòr vì i difèt – provare sul cliente l’abito imbastito e togliere gli eventuali difetti.
pasèr i séggn, par fèr prezìs la pèrt dèstra cun la sinésstra  – passare i segni, per far uguale la parte destra alla sinistra.                                                                                                                                                                                          cusèr a man a pónt indri – cucire a mano a punto indietro: modo di tener unita la stoffa, quando non c’era ancora la macchina da cucire.
cusèr a machina o gasghèr – cucire a macchina
cusdûra a sfilzàtta – cucitura a mano con punto semplice di scarsa tenuta.
fasàtta da côl – colletto a fascetta
fèr i cavalétt – fare i cavalletti: punto a mano per evitare lo sfrangiamento delle cuciture.
fèr al ripràis – fare le riprese (fanceser: pénces).
fèr i satt-man – fare i sotto punti: punto a mano per fermare i lati delle fodere e gli orli.
fèr ali exàtt (un’exàtta) – fare il punto a X (ics) per fermare un orlo, perche resti lento, specie sullo sbieco.
fèr al fnistrèl – fare le asole: tagliate e orlate col cotone, cun al pont a fnistrèla; oppure orlate con la stessa stoffa.
fèr al smajàtt – fare le asole: con il cotone grosso o con la stoffa, ma sporgenti dal lembo.
fer al sulén: a pónta o tannd – fare il colletto: a punta o tondo.
fèr i pulsén: doppi o sànpi – fare i polsini: doppi o normali.
fèr bisâc e bisachén: tajè o aplichè – fare tasche e taschini: tagliati con le relative fodere e orlature, o applicati .
fudrèr – foderare
gasghèr un urèl – cucire un orlo a macchina.
mândga a gìr – manica a giro
mândga ala raglà – manica a raglan: cucita radialmente rispetto alla base del collo (dal nome del generale inglese Raglan, che combattè a Waterloo: manica più comoda da infilare. perché egli era mutilato ad un braccio).
martingàla – pezzo di cintura della stessa stoffa, applicata sul retro di giacche e cappotti (fr:martingale).
mindèr – rammendare
muntér una fénta – montare una finta. Es: cucire una striscia di stoffa che nasconda la fila dei bottoni.
muntér un scajàn – montanre un pezzo di stoffa, solitamente a triangolo, per completare o allargare maniche o fianchi di una camicia.
scalvadûra: a pónta, quèdra, tànnnda – scollatura: a punta, quadra, tonda
tajèr a drétt-a-fil – tagliare a dritto filo: cioè seguendo la trama (si stracciava anche la stoffa a dritto filo).
tajèr ed sgalémmber – tagliare di sbieco, in obliquo
trapuntèr al fósst – trapuntare il fusto, con punti a mano (es: nel petto delle giacche e dei cappotti).                                                                                                                                                                                                atachèr i ptòn – attaccare i bottoni
arfèr i cûl – accomodare i pantaloni rotti o lisi nel sedere, rifacendone la parte con l’avanzo; spesso, essendo i pantaloni vecchi e l’avanzo nuovo, il rappezzo si notava a prima vista.
arpzèr – rappezzare

Ftièri da dòna      Vestiti da donna

Ftéina – abito intero, vestito
ftéina tajè in zintûra – abito tagliato in cintura
ftéina tajè in zintûra cun al fasàn – idem, ma con una fascia di 4-5 cm. cucita aderente alla cintura tra corpino e gonna.
ftéina tajè stil inpéro – abito tagliato stile impero (sotto il seno).
ftéina cun al mandg o sanza – abito con maniche o senza
ftéina e giâca – abito e giacca (fr: tailleur)
giâca drétta o scavzè – giacca dritta o sciancrata, cioè aderente alla vita (fr: échancré)
stanèla – gonna
stanèla drétta o svasè – gonna dritta o svasata.
stanèla scanpanè o a godè – gonna svasata a campana- (fr. godèt)
stanèla a pîg – gonna a pieghe: tutte rivolte dalla stessa parte. Si eseguivano utilizzando delle stecche metalliche,
passandoci sopra il ferro caldo e una pezza bagnata (in mancanza del ferro a vapore).
stanèla a canôn – gonna a cannoni: larghe pieghe ripiegate da entrambi i lati, non sovrapposte ma staccate una dalla altra.
stanèla récca in zintûra – gonna arricciata in cintura.
stanèla cun la bèlza o cun i smérel – gonna con la balza (fr:volànt) o con gli smerli.
stanèla cun la busì dnanz e dedrì – gonna con bugia davanti e dietro.
stanèla cun al spâc ed lè o dedrì – gonna con spacco di lato o dietro.
bolerén – bolero: ciacchetta corta da donna, più simile a un panciotto.                                                                                                                                                                                              camîsa, camisàtta – camicia, camicetta
paltò – cappotto (fr. paletot).
spulvrén – spolverino: soprabito leggero.Venne di moda per proteggere gli abiti (di uomo e donna), dalla polvere quando viaggiavano sulle prime auto scoperte (da questo il nome) Poi si ingentilì e divenne un soprabito solo per donna. Per gli uomini arrivò la moda del gabardén (fr.gabardine)

Ftièri da òmen                   Vestiti da uomo

caparèla – capparella: mantello in stoffa di lana, solitamente a mezza ruota, in uso prima che venisse di moda il cappotto, da parte di operai e contadini; la capparella fu utilizzata dagli anziani, fin verso gli anni sessanta.
cunplét: giâca e brèg – completo: giacca e pantaloni
gabèna – casacca, gabbana: giubba di panno grossolano.
giâca a un pèt o a dû pèt – giacca a un petto o a doppio petto
giâca cun i spâc laterèl o sanza – giacca con spacchi laterali o senza
panzén – panciotto (fr: gilèt)
sacàuna – giacca, specie quella da lavoro, più leggera rispetto alla gabbana.                                                                                                                                                                                                 arvòlt in fannd al brèg – risvolto sul fondo dei pantaloni
cavâl dal brèg – cavallo dei pantaloni
pasànt par la zénngia – passanti per la cintura
sfassa dal brèg – patta dei pantaloni
sulén e bavaràisi – bâver – colletto, bavero con i risvolti sul petto (fr: revèrs).
zintûra èlta o bâsa – cintura alta o bassa

Al stòf    Le stoffe

artâi – ritagli: piccole strisce inutilizzabili di stoffa, che risultano dal taglio.
avànz – avanzo/i: pezzi di stoffa residuate dal taglio, utilizzabili per future riparazioni e rappezzi.
bivàgn – cimosa, bivagno o vivagno – Ciascuno dei due margini laterali di un tessuto in pezza. “vivagno” è termine più antiquato.
pèza ed stòfa – pezza di stoffa di molti metri, tenuta avvolta in un grosso cartone, che il merciaio srotolava sul banco per farla vedere, poi misurava con il metro in asta di legno, il taglio richiesto.
scànpol – scampolo/i: pezzo di stoffa residua della pezza, di misura inferiore a un taglio, rimasto al merciaio e di solito venduto a prezzo scontato.
tâi ed stòfa – taglio (pezzo) di stoffa della misura occorrente per la confezione di un capo.                                                                                                                                                                                                        cutàn, lén e saida – cotone, lino e seta
crassp – crespo: tessuto eseguito con fili molto ritorti.
fôdra ed satén – fodera di cotone rasato, simile alla seta (fr:satin).
frassc ed lèna – tessuto fresco di lana, per abiti estivi, fatto con filo fortemente ritorto.
fustâgn – fustagno: vellutato su una parte, di poco pregio.
gabardén – gabardine- stoffa di lana o di cotone, tessuto a diagonale, di media pesantezza e facilmente impermeabilizzante.
gesè ed lèna – gessato di lana: tessuto scuro con righe chiare poco marcate.
grisâja – grisaglia: pettinato di lana a piccolo intreccio di fili bianchi e neri, che formano il grigio.
lèna pné – lana pettinata
lèna ritôrta – lana ritorta
prànzip ed Gàlles – principe di Galles: ordito e trama fatti con fili di cui uno chiaro e l’altro più scuro per formare un poco marcato disegno a quadri.                                                                                                                                                                                               rès – raso: tessuto lucido di seta o di cotone
stòfa righè, a quadrétt o a fiûr – stoffa rigata, a quadretti, o a fiori
stòfa scuzàisa – stoffa scozzese, con disegni a riquadri ottenuti con la combinazione di diversi colori. In Scozia ogni clan ha i suoi particolar colori. Nel loro costume tradizionale gli uomini indossano, senza mutande,la caratteristica gonna a pieghe, fermata davanti da uno spillone, e dalla borsina allacciata in cintura. (in scozzese: to kilt = alzare la sottana.)
stòfa dsgnè a balén o a puà – stoffa disegnata a pallini (fr: pois)
stòfa ed màja – stoffa di maglia
urgànza – organza, orgàndis: tessuto trasparente, un poco rigido (fr:organdì).
vlûd ed saida (lòsster) – velluto di seta (lucido)
vlûd canetè – velluto a coste: cannettato

La marzarì pr al finidûr       La merceria per le finiture

agucé – gugliata di filo da infilare nell’ago
alamèr – alamari: allacciatura in due parti per giacche e cappotti, fatta con cordoncini di seta e olivetta come fermaglio.
anzinèl-anzinì – uncinello  uncinelli
curdèla – cordella
curdunzén d elâstic – cordoncino di elastico
elâstic – elastico
fil da cûser: in rucàtt o in canlén – filo da cucire: in rocchetto o in cannellino
fìl da inbastìr – filo da imbastire
fil ed saida pr al fnistrèl – filo di seta per le asole
fósst – fusto: per irrobustire petto e colletti di giacche e cappotti.
gang’, gangén – gancio/i, gancino/i
grogrén – gros-grain (francese)
piunbéina – cordella con ineriti piccoli dischetti di piombo, per tenere a piombo un indumento.
pton d’òs, metàlic, arcuért, o d mèdraperla – bottoni d’osso, mettalici, ricoperti o di madreperla.
ptôn automàtic (masti e fàmmna) – bottoni automatici (maschio e femmina)
stacc pr i sulén – stecche per i colletti delle camicie: per evitare l’arricciatura delle punte.
uvàta pr ali inbutidûr – ovatta per imbottiture: spalline
zarnira lanpo – cerniera lampo (ingl:. zip)

Usvei pr al lavurìr      Attrezzi per il lavoro

agâccia-agâcc’ – ago – aghi
agâccia da lèna – ago da lana
banbòza o banbòz – busto di manichino in cartapesta, montato su un bastone a 3 piedi, su cui con gli spilli si imbastiva l’abito o la giacca.
calamètta – calamita, per recuperare aghi e spilli caduti
chèrta da mudì – carta da modelli
didèl – ditale/i
forrbs – forbici
fèr da stirér – ferro da stiro
mandghìra – manichiera: attrezzo in legno imbottito su cui stirare le maniche.
méter a curdèla – metro a cordella
màchina da cuser o da gasghèr – macchina da cucire
mudèl-mudì – modello-modelli
mudì: pr al dnànz, pr al dedrì pr al mandg, pr al brèg – modelli : per la vita davanti, per il dietro,
per le maniche, per i pantaloni.
porta agâcc’ – porta aghi
préda da sgnèr – gesso da sarti, per segnare sulla stoffa.
spélla da bèglia – spilla da balia
spilén – spillo /i

ALCUNI PROVERBI CHE HANNO PAROLE COLLEGATE AL MESTIERE
DEL SARTO E ALL’ABBIGLIAMENTO

Chi u n’à vòjja d lavurèr, al pérd l’agâccia e al didèl
Chi non ha voglia di lavorare, perde l’ago e il ditale

In dovv la và l’agâccia, al fìl al pàsa
Ovunque l’ago va, il filo passa

A ftieri làis, us prèsta poca fàid
A veste logora, poca fede è prestata

Môda sanza zarvèl, pr al nôv la botta vì al bèl
Moda senza cervello, per il nuovo butta il bello

Méi andèr in paradìs strazè, ch’ a l inféren arcamè
Meglio andare in paradiso stracciati, che all’inferno ricamati

Fàt la camìsa quand t è la taila
Fatti la camicia quando hai la tela

Par zarchèr un’agâccia, an strasinér dàu candàil
Per cercare un ago, non sciupare due candele

La sôrt la prepàra, la cûs e la tàja un ftièri a ogni canàja
La sorte prepara, cuce e taglia un vestito a ogni canaglia

Chi us sa misurèr da par lô, al sa misurér al mannd
Chi sa misurare sé stesso, sa misurare il mondo

Pian pian zarcànd, us trova sànper al cô dla gavàtta
Piano piano cercando, si trova sempre il bandolo della matassa

Par cgnósser ‘na bona pèza ui vól un ban marcànt
Per conoscere una buona pezza, ci vuole un buon mercante

Pr al puvràtt ogni ftièir l è ban
Per il povero ogni vestito è buono

L’è pìz nûd che ftì mèl
E’ peggio nudi che mal vestiti

Al dièvel us ardàppia int al pîg dla cusiànza
Il diavolo si nasconde nelle pieghe della coscienza

Taja lèrg e cûs strécc, t a n arè inciôn difèt
Taglia largo e cuci stretto, non avrai alcun difetto

E’ disponibile anche il dvd con i testi e le traduzioni lette da Marisa Marocchi e Giorgio Biondi.

terrastoriamemoria@incomail.it