Storia del Teatro Cassero

La storia del Teatro di Castello che fu “spianato” il giorno di S.Antonio del 1748. di Eolo Zuppiroli

Il 13 giugno del 1748, giorno della festa di S. Antonio da Padova, a Castello fu inaugurato  il teatro. Il luogo era il Cassero.

Sappiamo anche cosa fecero: uno spettacolo di “musica figurata”. Gli attori furono alcuni giovanotti cui piaceva cimentarsi sulle scene. Il regista e autore dello spettacolo fu un certo Angiolo Galassi, “ uomo povero’’ (come scrive il Cavazza) ‘’ ma di gran talento che instruì molti giovani nel canto e nel suono di organo, violino e altri instrumenti musicali”. Come successe che nacque il nostro teatro comunale? e perché proprio lì ? La passione  di fare teatro  da parte dei giovani castellani era da tempo che c’era; mancava solo un posto dove farlo. Abbiamo una carta del 1731 in cui  dei giovani chiedevano, e poi  ottennero, il permesso di usare “la loggia entro la porta del palazzo della comunità”, che era il palazzo  detto del “morgaglino” (palazzo ex Biblioteca); era però un locale molto piccolo. Tornando al teatro Cassero, sappiamo che alcuni anni prima c’era stato il problema di dover rifare il coperto della Porta  di sotto del Castello, perché pioveva dentro. La porta era quella che adesso è adibita a passaggio pedonale e che ospita l’edicola dei giornali. Il Cassero nel 1700 aveva la mura coi merli più alta del coperto della porta, l’accesso ai merli avveniva non attraverso una terrazza, ma attraverso un passaggio sporgente aderente alla mura. Nel medioevo l’importanza di una mura stava nelle sua altezza; fu solo con l’arrivo dei cannoni  che divenne importante lo spessore. (Il coperto nuovo fatto nel 1800 venne  realizzato incorporando i merli, ed è quello che si vede, nelle vecchie cartoline.) Fatto il nuovo coperto si accorsero che (come scrive il Cavazza)“ rimaneva dal fondo ai coppi un altissimo vano. Fu riflesso che luogo opportuno era questo per formarvi un teatro onde divertire la populazione”. In conseguenza di queste riflessioni, il consigliere Lorenzo Graffi si incaricò di presentare un progetto, che poi piacque e si decise di realizzarlo, ma il problema  che forse sorse dopo fu la spesa da sostenere perchè, per poter fare il teatro con i soldi della Comunità, ci voleva il permesso del Senato di Bologna. Si aveva voglia  che i Senatori  dicessero di sì, ma  chissà quanto tempo sarebbe passato!…..Allora i Comunisti, cioè i consiglieri della Comunità, decisero di rinunciare al proprio compenso di Console, e utilizzare questi soldi  per pagare le spese relative ai lavori di realizzazione del teatro. Serve un chiarimento sul funzionamento delle cariche. La storia  è questa: Tra i 12 consiglieri, ogni sei mesi veniva estratto a sorte il Console tra coloro che non l’avevano ancora fatto, quindi in sei anni tutti riuscivano ad avere questo incarico,  poi si ricominciava da capo. Ecco perchè contribuirono tutti. Fu incaricato il Graffi di curarne la realizzazione, di cui anticipò anche i soldi, ed “in breve fu formata una gran sala atta appunto a farsi rappresentazioni”. A disegnare gli interni del teatro fu l’architetto Gian Giacomo Dotti, architetto pubblico, figlio del più famoso Domenico Dotti, progettista tra l’altro del Santuario della Madonna di S. Luca a Bologna. Aveva il palcoscenico, la platea e una  barcaccia (detta la ringhiera) destinata soprattutto ai consiglieri della Comunità o alle autorità che fossero venute da Bologna. Il teatro è piccolo:  11 metri per 6,50.  Ma solo quella era allora la parte di proprietà della Comunità. Infatti, la parte del Cassero di proprietà comunale, nel 1748 era solo quella sopra il passaggio della porta, mentre la torre e la parte a sinistra della porta (guardando dal borgo) era di proprietà del conte Malvasia. Come il Conte avesse fatto a diventare padrone della torre e di metà del Cassero, non si sa. Una storia, che avrete forse sentito o letta anche voi, raccontava che dove fare il teatro era stata una questione parecchio discussa, perché quelli del borgo lo volevano in borgo e quelli di sopra lo volevano dentro le mura. Alla fine arrivarono ad un compromesso e lo si fece a metà strada, cioè nel Cassero della porta. Questa storia è carina e simpatica, ma non è vera. Il teatro fu fatto nell’unico posto di proprietà del Comune, sviluppando un’idea “capitata” a seguito di altro lavoro (il rifacimento del coperto). I “Comunisti“ si erano trovati con un locale abbastanza grande, che non serviva al momento per alcun uso, e poteva finalmente essere utilizzato per soddisfare l’esigenza di chi voleva fare del teatro e rendere un servizio di cultura e divertimento ai castellani. Tornando alla struttura  del  teatro, il posto per il pubblico normale era la platea. La ringhiera era il posto privilegiato, destinato ai “comunisti” cioè coloro che avevano pagato per costruirlo, quindi non si discuteva su questo loro diritto. Però, poteva succedere che non sempre la ringhiera fosse occupata  e allora nacque il problema su chi ci poteva andare,  e a chi si poteva dare la concessione. Visti gli inconvenienti già capitati, il Consiglio della Comunità decise che c’era troppa confusione e bisognava regolamentare bene chi poteva e chi non poteva usare la ringhiera; e si decise che: “ tutta la ringhiera, fatta coi denari de Comunisti, resta perpetuamente a comodo e uso soltanto del sig. Console, consiglieri e le loro famiglie della propria loro casa  e non si intendano servitori o altri ma soltanto padri, madri, figli, fratelli, sorelle della medesima casa (…)  e non mai separati dalla famiglia dei Comunisti.“ Quindi niente famiglie allargate, amici dei parenti dei parenti. Se però arrivavano da Bologna cavalieri o senatori, anche loro potevano andare nella ringhiera. Per quanto riguarda poi “li recitanti” e le loro famiglie “di propria casa solo”, cioè parenti abitanti con loro e non parentele più vaghe, venne dato un pezzo di ringhiera “a mano manca, sotto la finestra separato mediante rastello”. Ma anche questo non sembrò funzionare abbastanza bene e i comunisti decisero (siamo nel 1765), di dividere la ringhiera in palchi, da riservare ai comunisti stessi. I palchi che si ottennero erano 13, sei per parte più uno al centro, il più prestigioso assegnato al Console, in assenza di maggiori autorità. Da qui, fino verso la fine del secolo, sembra che tutto andasse con soddisfazione. A un certo punto si aggiunse un “ponte inferiore a beneficio pubblico”, cioè una fila di palchi a livello della platea. Si fecero diversi interventi di manutenzione e di tinteggiatura, soprattutto in occasione di particolari festività o cerimonie, che avevano la presenza di personaggi importanti, come la serata di gala del settembre 1769  che ebbe la presenza di parecchi nobili Bolognesi e  Romagnoli. Per il resto, il teatro funzionò per fare rappresentazioni, anche con compagnie forestiere provenienti da Bologna e da Imola, e per organizzare balli e veglioni durante il carnevale. Fu rappresentato il dramma giocoso con musica “L’Italiana in Londra” di Domenico Cimarosa, che si tenne nel periodo dal 24 luglio al 1°settembre 1782, in occasione: “del passaggio de forestieri per le fiere di Sinigaglia e di Lugo e dell’apertura del nuovo teatro di Imola”. Così quando tutto era normale, in questa situazione di calma, arrivò la tempesta dell’esercito  francese di Napoleone. Questo era tempesta doppia, perché oltre ad essere un esercito straniero, era anche repubblicano e giacobino, che fra i partiti era anche quello  più radicale e rigoroso. Erano coloro che, pochi anni prima, avevano tagliato la testa al re e alla regina di Francia: erano tutti framassoni e mangia preti. Il 18 giugno 1796 i francesi arrivarono a Bologna  e il 20 a Castello. Per il momento non sembrò cambiassero molte cose, a Bologna fu cacciato il Legato del Papa e tutto il potere passò al Senato: questo ai senatori non dispiacque, ma presto si accorsero che loro stavano meglio sotto il papa. A Castello tutto restò come prima, i 12  comunisti restarono al loro posto, tanto continuarono a contare poco come prima. Cominciarono però dei cambiamentii nelle abitudini che la gente aveva da sempre. Prima, quando una persona si doveva rivolgere a qualsiasi autorità o superiore bisognava chiamarlo: Signoria Illustrissima, e se era un prelato: Signoria Reverendissima, Eminentissima ecc.; il richiedente doveva sempre  dichiararsi Umilissimo oratore, che non voleva dire quello che parlava, ma quello che orava cioè che pregava. Con i francesi, divenne invece obbligatorio chiamarsi tutti Cittadini. Furono aboliti tutti i titoli nobiliari: era arrivata l’Egalitè, cioè l’Uguaglianza. Poi venne introdotto il nuovo calendario coi mesi dai nomi strani: fiorile, messidoro, brumaio, nevoso. Tutti i mesi erano di 30 giorni e l’anno cominciava il 22 settembre;  il primo giorno dell’anno si chiamava : 1° vendemmiaio. Cambiò pure il modo di contare le ore: arrivò  l’ora francese che  sostituì quella italiana. L’ora italiana, che ormai si usava solo nello Stato Pontificio, si basava sul tramonto del sole. Al tramonto finiva il giorno ed erano le 24, poi  cominciava  quello  dopo. Però, come tutti sanno, l’orario del  tramonto non è fisso, ma cambia;  tra l’estate e l’inverno c’è una differenza di circa tre ore. Quel tipo di orario era scomodo anche per i pochi che avevano un orologio, perché almeno una volta al mese andava rimesso a posto. Per la precisione, sarebbe stato necessario metterlo a posto tutti i giorni. Il  sistema francese, che poi è quello che si usa in tutto il mondo, faceva riferimento al sole di mezzogiorno, ossia quando è al punto  più alto; quel momento divennero le 12 e questo riferimento era valido per tutte le stagioni. Ma ritorniamo al teatro. I comunisti che erano rimasti al loro posto, anche se di malavoglia (tentarono di squagliarsela, ma furono costretti a rimanere sotto pena di arresto), fecero però resistenza passiva, rimandarono l’osservanza di certi obblighi, ritardarono l’esecuzione di ordini, come quello per l’innalzamento dell’albero della libertà, che fu piantato solo nel giugno dell’anno dopo, cioè nel  1797. Per quanto riguarda il teatro per loro non era tempo di spettacoli, mala tempora currunt, secondo loro che sapevano il latino (e per chi non lo sapeva: corrono tempi cattivi). Il loro mondo si stava ribaltando, veramente“non c’era più religione” in ogni senso. Infatti, I francesi cominciarono a chiudere i conventi, requisendo tutti i beni e  gli oggetti preziosi delle chiese e dei conventi. Pur in mezo a questi eventi, i ragazzotti di Castello volevano il teatro per carnevale, per organizzare delle rappresentazioni, sicuramente dei balli, e volevano anche i palchi. La comunità prima prese tempo, poi rifiutò col pretesto che la struttura del teatro era  pericolante. I giovanotti non accettarono la scusa e ricorsero a Bologna di là mandarono il pubblico architetto a verificare e questo riferì: Perfetta validità, soffitto incrinato ma è di arelle. Scale strette ma sono così da 12 anni e sono solide. A questo punto i comunisti non poterono più rifiutare,  però vollero che si sappesse che così erano quelli di Bologna ad assumersi la responsabilità  nel caso dovesse succedere qualcosa e che comunque, loro, si preoccupavano solo della quiete e del buon ordine, mentre “altri della ciurmaglia si sono intesi a questa jattanza di volere entrare liberamente nei palchi giacchè adesso regna la eguaglianza”. Si può immaginare la faccia con cui dicevano la parola eguaglianza:  una vera parolaccia ! Il 2 giugno 1797 ci fu il solenne insediamento della nuova Comunità. Si passarono le consegne, le chiavi degli archivi, i sigilli ecc. alla presenza del vecchio consiglio, che dovette comunque prendere un’ultima decisione: obbedire all’ordine perentorio dei francesi di innalzare l’Albero della Libertà, che venne poi  alzato in piazza il 20 giugno, anniversario della loro entrata a Castello. Gli anni dopo furono piuttosto movimentati: Nel giugno 1799 se ne andarono i francesi e arrivarono gli austriaci. Poi i francesi tornarono nel giugno dell’anno dopo, il 1800, e vi restarono fino al 1813, quando tornarono di nuovo gli austriaci a riportare il Papa. In quei 14 anni dal 1800 al 1813 fummo sudditi del regno d’Italia, che aveva per re Napoleone. In quel periodo la vita e l’attività del teatro era tornata alla normalità; discorso diverso fu per i castellani arruolati nelle armate napoleoniche, che ad esempio si fecero, si fa per dire,  quel bel giro in Russia. Sconfitto Napoleone a Waterloo il 28 gennaio 1814,  di nuovo gli Austriaci rientrarono a Bologna. Il 31 marzo Papa Pio VII arrivò a Bologna, di ritorno dalla prigionia in Francia. Il 2 aprile  Papa Pio VII passò e sostò a Castel San Pietro. (A ricordo fu murata la lapide sulla  parete della chiesina dell’Annunziata). Dopo la sconfitta di Napoleone, iniziò il periodo della Restaurazione, cioè ritornarono le vecchie case regnanti. Col passare degli anni  i limiti  del nostro  teatro si fecero sempre più evidenti. Si passò da richieste di un nuovo locale, a quelle di riparazioni e avvisi di pericolosità; quindi i permessi di utilizzo furono dati con molte cautele e  con scanso di responsabilità. Forse  fu per  questi problemi, e quindi per accontentare una domanda  che non era  soddisfatta, che venne aperto nell’agosto 1822 un teatro diurno, cioè un luogo all’aperto per spettacoli, così come era stato  fatto a Bologna con l’Arena del Sole costruita nel 1810. Nel dicembre del 1826  venne fatta un’altra  petizione da parte di 104 firmatari. I richiedenti,  sostennero  che  volevano  utilizzare il teatro per il bene della gioventù, al fine di: “istruirla, ad educarla in ogni genere di civili ed umane virtù’’. Queste non erano però le solite firme che si potevano raccogliere durante il mercato, erano quelle di persone  che contavano, ed infatti lo si vide subito. Passarono pochi mesi e fu dato l’incarico per un nuovo progetto all’Ing. Manini dello studio dell’Ing. Antolini, Ingegnere capo della Legazione. In breve tempo, la relazione del progetto fu pronta : “Trovasi l’attuale teatro di Castel San Pietro, per sua malsicura costruzione in legno e per sue piccole dimensioni in stato non servibile, così viene proposto l’erezione di altro teatro, con miglior forma e di capacità maggiore,  si prevedono tre ordini di palchi; la spesa  prevista è di 3200 scudi”. Per allestire  un teatro nuovo, le spese da sostenere non erano solo quelle delle opere murarie, ma bisognava dotarlo di illuminazione, impianti tecnici per il palcoscenico, scenari, sipario; quindi, occorrevano altri soldi, e forse anche per questo,  alla fine del 1829  il teatro non era ancora pronto. Nel febbraio 1830 avvenne una ‘’favorevole circostanza’’. A Bologna si stava smantellando il Teatro Marsigli chiuso dal 1825 e  “il nobil uomo Marchese Angelo Marsigli Rossi si è mostrato compiacente di accudire all’alienazione a favore di detto comune di diversi articoli del suo Teatro”. Si trattava di 20 panche, macchinari vari, legname, otto scenari per rappresentazioni, cioè: Camera rustica, Sala Regia, Prigione, Grotta, Gabinetto nobile, Paesaggio, Loggiato stile greco, Camera. Inoltre  c’èra anche un sipario che rappresentava un circo romano con gladiatori, del pittore Antonio Basoli; purtroppo  questo era troppo grande e non potè essere utilizzato. Se ne fece uno nuovo; il dipinto rappresentava Castello, così come lo si vedeva stando al di là del fiume; fu eseguito dal pittore Giacomo Savini che per farlo, utilizzò un suo studio precedente, con anche altre vedute di Castello. Del progetto del nuovo teatro non abbiamo i disegni. Abbiamo però le fotografie dell’interno come era prima del 1916. Con il nuovo progetto, gli spazi a disposizione furono aumentati, perché la parte di proprietà del conte Malvasia, assieme alla torre, fu messa nella disponibilità del Comune dal 1776; inoltre, l’edificio del Cassero dovette essere ampliato anche dalla parte a ponente. Al piano terreno c’era una bottega di macellaio, sopra  fu costruito un altro piano per dare più spazio al nuovo teatro.

Finalmente, il 18 settembre 1830 si ebbe ‘’l’aprimento’, come si diceva allora.  e l’inaugurazione come si dice oggi,  del nuovo teatro con l’esecuzione di 10 recite di due opere buffe di Gioachino Rossini: Matilde di Chabran e la ancora oggi famosa Italiana in Algeri; a dirigerle ci sarebbe stato lo stesso Rossini.   Questo è almeno ciò che compariva nella richiesta di autorizzazione all’apertura. (Gioachino: l’hanno proprio battezzato con una “c” sola). Non siamo però sicuri che davvero Rossini fosse presente, non abbiamo la documentazione, per la verità non abbiamo nemmeno documenti che ci parlino  di come fu fatta l’inaugurazione, che avrebbe dovuto avere una certa solennità, vista la fatica profusa. In quel periodo, Rossini aveva casa a Bologna in Strada Maggiore, però era quasi sempre a Parigi. Quindi, per quell’occasione forse non era a Bologna. L’inizio di attività del nuovo teatro fu un poco sfortunata, perchè: Il 30 novembre  1830, morì il Papa Pio VIII, il Papa nuovo sarà eletto solo il 2 febbraio 1831 e quindi il teatro dovette restare chiuso per più di due mesi, nonostante le feste  natalizie e di fine anno, perchè era regola che nei periodi  di sede vacante i teatri dovessero restare chiusi. Due giorni prima dell’elezione del nuovo  papa  successe ben altro: nei ducati di Parma e Modena ci fu una sommossa dei Carbonari, a seguito della quale furono cacciati i duchi.  Bologna, stante la mancanza del papa, si ribellò anch’essa. Il risultato fu l’insediamento di un Governo Provvisorio della Città e Provincia di Bologna, che l’8 febbraio emanò un decreto nel cui articolo 1  si dichiarava:’’ Il Dominio Temporale, che il Romano Pontefice esercitava sopra questa Città e Provincia, è cessato di fatto, e per sempre di diritto’’. Il 26 febbraio si costituì il Governo delle Provincie Unite Italiane. Il papa Gregorio XVI, che era stato appena eletto, e i duchi di Parma e Modena, chiamarono in loro aiuto l’Austria, che non aspettava altro per mandare il suo esercito. Il 21 marzo Bologna fu occupata dagli austriaci, ed il 26 aprile con la capitolazione di Ancona, terminò l’avventura della Repubblica delle Provincie Unite. Sintetizzando gli eventi,  avemmo il nuovo papa,  alcuni rivoluzionari  impiccati, altri rinchiusi in galera, altri ancora erano fuggiti, ed a mantenere l’ordine ci pensavano le truppe austriache. Così, finalmente, il teatro Cassero potè entrare in attività sia con le commedie, sia con quello che iniziava a diventare la grande richiesta: le opere liriche. Per mettere in scena un’opera lirica ci vogliono molte persone: cantanti, coro, orchestra, quindi alte spese. Nelle città c’era una orchestra  e un coro stabile, se non i cantanti. Nei piccoli teatri di paese come si faceva? Ci si arrangiava con compagnie “leggere”, formate da poco personale. Un esempio di compagnia leggera  lo si può vedere da questo manifesto relativo alla rappresentazione del “Barbiere di Siviglia” del settembre 1836.   I cantanti erano 6, ne mancavano due indicati con N.N., perché li avrebbero cercati sul posto; l’orchestra era composta da 10 suonatori, compreso il direttore, di cui 3 da ricercare sul posto;  inoltre prevedeva l’aggiunta ‘’con altri suonatori del paese’’. Insomma, le compagnie arrivavano con i cantanti principali, qualche suonatore e il resto lo si cercava in loco. Questa era la norma per tutte le compagnie che giravano nei piccoli centri. Si diceva anche che nei paesi c’erano sicuramente suonatori dilettanti, componenti di corpi  bandistici  che erano in grado di suonare e i coristi di cantare la musica di opere liriche, che era davvero la musica pop cioè popolare dell’epoca, e lo sarà fino agli anni ’30 del movecento. Oltre all’opera lirica, in teatro si rappresentavano anche le commedie, il cui repertorio comprendeva il teatro francese  e quello italiano, allora con le tragedie di Vittorio Alfieri. Tutto procedeva abbastanza tranquillamente, finché successe il quarantotto, cioè arrivò il 1848. Per la verità qualche casino c’era stato anche nel ‘43 coi moti di Savigno e il tentativo dei mazziniani romagnoli di rapire tre cardinali che erano in vacanza a Imola, tra i quali era anche  Giovanni Maria Mastai Ferretti, futuro Papa Pio IX. Nel  1848 ci furono rivolte in tutta Europa: a Parigi, Vienna, Berlino. In Italia, si ricordano:  la ribellione di Milano con le  famose 5 giornate; a Bologna l’8 agosto furono cacciati gli austriaci; a Roma in novembre il papa Pio IX  fuggì  a Gaeta, e venne proclamata la Repubblica Romana. Per alcuni mesi anche i castellani  diventarono cittadini della Repubblica Romana, una repubblica democratica che dava il diritto di voto a tutti i maggiorenni maschi. Il teatro in questo periodo non potè essere concesso perché ‘’occorrendo il teatro per l’adunanze elettorali non si può far luogo alla concessione del medesimo’’. Infatti fu impegnato per le adunanze elettorali e per le elezioni del consiglio comunale, formato allora da 36 consiglieri, non nominati com’era d’uso nel passato, ma eletti a suffragio universale. Ma il vento di libertà durò poco, perché  ritornarono gli austriaci, il 16 maggio 1849, dopo 8 giorni di cannonate, occuparono di nuovo Bologna; Roma si arrese il 2 luglio 1849 e da lì Garibaldi fuggì, tentando di raggiungere Venezia. Di nuovo tornò l’ordine sotto la protezione dell’esercito e della polizia austriaca, ritornò il Papa a Roma e di nuovo il Legato pontificio a Bologna. Di buono, ci fu che il teatro tornò alla sua normale attività. Gli spettacoli principali furono sempre le opere liriche,  e gli autori principali: Bellini e  Verdi. La stagione operistica si teneva durante l’apertura delle terme e il culmine della Stagione delle Acque era nel mese di agosto, in cui si svolgeva anche il principale mercato, la Fiera d’Agosto. Intanto, si avvicinava la fine dello stato papalino. Nell’aprile del 1859 iniziò la seconda guerra di indipendenza, e il 4 giugno gli austriaci furono sconfitti a Magenta. Come conseguenza, il 12 giugno gli austriaci abbandonarono Bologna, e con loro se n’andò anche il Legato pontificio. L’Emilia con un plebiscito si unì al Regno di Piemonte e così fece la Toscana, mentre la Lombardia fu militarmente conquistata. L’anno dopo Garibaldi conquistò il regno di Napoli (Sicilia e Italia Meridionale). Il 21 marzo 1861 fu proclamato il Regno d’Italia e i Castellani  divennero ufficialmente sudditi del re di Casa Savoia. A Castello, continuò naturalmente la Fiera d’Agosto e la contemporanea stagione operistica, ma nel frattempo le rappresentazioni delle opere erano diventate sempre più importanti. Le compagnie avevano cantanti abbastanza famosi; in pratica furono le stesse, magari un poco più leggere, che si esibivano nei teatri cittadini, a farlo anche in quelli dei centri minori;  lo si vede leggendo i manifesti del nostro teatro, in cui  compaiono  anche i balletti. Ciò comportò spettacoli più belli e di qualità, ma più costosi. Quindi, sorse la necessità di dotare il teatro di un contributo pubblico, che venne  chiamato ‘’la dote’’. Il contributo c’era sempre stato, all’inizio si limitava alla concessione della vendita dei palchi, escluso sempre quello centrale. Poi fu necessario aumentare  questa dote. Se capitava che in qualche anno il Comune fosse  in bolletta e non la dava,  si interrompeva la stagione.  Allora, si facevano petizioni per rimetterla. In una petizione del 1879 con 279 firme,  quei  cittadini  scrivevano che : ‘’Considerano una sventura sospendere lo spettacolo d’opera, come ne hanno avuto esempio nel 1878, avvegnachè il paese in detto anno non ebbe neanche la quinta parte dell’affluenza de forestieri. Senza tema di errare, unico cespite di industria per questo paese è il mese di Agosto, in esso tutti guadagnano e moltissime famiglie ricavano il sostentamento per una parte dell’inverno si triste e desolante nel nostro paese.” Cosi  comincia un alternarsi di sospensione di dote e quindi di stagione delle opere, di petizioni per ripristinarla, e di nuove concessioni. Verso la fine del  secolo il teatro cominciò a mostrare i propri anni,  già nel 1890  furono fatti interventi soprattutto sulle scale. Intanto la situazione politica stava cambiando, il contrasto era tra Conservatori e Liberali, che erano comunque della stessa classe sociale,  quindi la partita si svolgeva in casa.Poi, sulla scena politica arrivò la Sinistra, soprattutto i Socialisti, che rappresentavano i lavoratori. Quando questi chiesero il teatro per tenervi assemblee o comizi, il sindaco trovò la scusa che il teatro non rispettava le condizioni di sicurezza. Questo era certamente vero, ma era anche vero che da tempo si trovava in queste condizioni ed era sempre stato usato (e lo si userà anche dopo). Nel 1915 i socialisti vinsero le elezioni comunali e il 9 maggio si insediò il nuovo consiglio col sindaco Gurrieri; il 24 maggio  l’Italia entrò in guerra. Il comune socialista si trovò subito ad affrontare la grave situazione che la guerra stava portando anche alla nostra comunità. Di spettacoli teatrali non si parlò più, anzi, Il teatro diventò  magazzino e ricovero militare.

Il 24 aprile 1916 alle 16,30 durante un temporale, la torre fu colpita da una saetta che si scaricò nel teatro. I danni furono grandi: la torre fu in pericolo di crollo, la sala del teatro gravemente danneggiata e l’edificio pericolante sulla parte  rivolta a sera. Il momento non era nemmeno adatto a lavori importanti, perché eravamo nel pieno della guerra, di quella che sarà poi chiamata la Prima guerra mondiale. Quindi, si riparò la torre e  per il Cassero ci si sarebbe pensato poi. Comunque, l’ingegnere comunale preparò un  progetto  che prevedeva l’abbattimento del secondo piano della parte a sera. Nel posto del teatro, come riferì il sindaco Gurrieri:‘’fra le mura dell’antico Cassero, coi suoi merli rimessi a giorno, verrebbe un ampio salone per uso concerti, conferenze, comizi, Università popolare e quant’altro abbisogni la pubblica vita moderna. Sopra il salone sorgerebbe una splendida terrazza’’. Praticamente quello che si vede adesso  senza la demolizione della parte a ponente. Finita la guerra, nelle elezioni comunali del 1920 i socialisti tornano a vincere, ottenendo  22 consiglieri su 30, ma l’anno dopo il Comune fu attaccato dai fascisti che, con l’arresto del sindaco, pretesero nuove elezioni  nel 1922 ed ottennero 30 consiglieri su 30. Il 24 dicembre 1922  si insediò il nuovo Consiglio Comunale fascista, esultando al canto di Giovinezza, poi non si riunì mai più, perché i consigli Comunali vennero aboliti e nei comuni vennero messi i podestà. Intanto il salone del Cassero fu usato per fare spettacoli cinematografici, finchè il 10 ottobre 1927 il podestà decise che il Cassero diventava la Casa del Fascio. Che fine fecero i nostri castellani amanti della lirica? Riuscirono ad ottenere di fare spettacoli all’aperto. L’arena estiva venne allestita nel cortile del Comune. Sappiamo che per almeno una decina di anni dal 1923 al 1933 vi  si rappresentarono opere importanti, come: Traviata, Boheme, Rigoletto. La soluzione del cortile del Comune non fu certo soddisfacente quindi, prima ancora che si pensasse all’Arena, il Podestà e il segretario del fascio concepirono una soluzione definitiva e nel 1934 dettero l’incarico di redigere un progetto di ampliamento del Cassero. Il progetto che ne uscì, era naturalmente in stile littorio, che non si adattava certo ad un monumento del 1200. I primi pareri  che arrivarono da Bologna consigliarono di far finire quel progetto in un cassetto, e di non parlarne più. Nel 1939 venne inaugurata l’Arena, quindi si ebbe una sede più adatta; peccato che la soddisfazione durasse poco perché poi Benito ci fece entrare in  guerra il 10 giugno 1940. Nei primi anni di guerra i pensieri della popolazione erano principalmente rivolti a come risolvere il problema del mangiare, ed ai propri uomini che erano militari, perché  fino al 1943 qui non si ebbero  bombardamenti aerei. Nelle scuole Albertazzi era stato allestito un ospedale per prigionieri nemici, il che rappresentò un’assicurazione contro gli attacchi aerei anglo-americani (una grande croce rossa, era stata dipinta sul suo tetto). Nell’agosto del 1942 all’Arena si rappresentava  ancora Madama Butterfly. Tutto cambiò dopo il settembre 1943 con l’invasione tedesca. Di spettacoli non se ne parlò più. Nell’inverno 1944-45 eravamo la retrovia del fronte, fermo a Montecalderaro, la musica era quella delle granate, dei bombardamenti, dei mitragliamenti che  si ascoltava nell’intimità delle cantine….

Finalmente, il 17 aprile 1945 arrivò la liberazione. Tutto il territorio era distrutto, a Castello i tedeschi avevano demolito tutti i fabbricati dalla parte verso il fiume, demolito l’ospedale, le scuole e anche il Cassero non stava molto bene. La torre come i campanili erano stati minati e si erano salvati per un pelo. Il Cassero però era un posto troppo importante per il paese, era stato sequestrato dai fascisti, ma ora ritornava ai castellani. Si sminò la torre e lo si accomodò,  in modo da poterlo utilizzare. Ad interessarsene, furono soprattutto i giovani che si richiamavano a una vecchia società. Il loro nome era ‘’Attivisti del Sillaro’’ ma tutti li conobbero come i ‘’Belli di Notte’’. Il Cassero  fu riparato col lavoro volontario e il contributo finanziario del Comune, fu messo a disposizione dei sindacati, dei partiti, tutti i partiti e delle varie associazioni per le loro attività ed esigenze. Una delle esigenze fu il ballo.  Dopo la liberazione si ballava dappertutto, a Castello si cominciava il lunedì mattina col mercato. Si ballava al Cassero che, quando assunse questa funzione divenne il Dancing ‘’Lanterna Verde’’. Si ballava poi tutte le domeniche, pomeriggio e sera  e per carnevale;  vi si tenne pure  l’elezione della Miss Castello che però  si chiamò ‘’La signora del Castello’’. La sala continuò ad essere un luogo importante  come  sede di assemblee, comizi e convegni. A metà degli anni ’60 fu riaperta l’antica porta del Castello, quella da cui una volta si entrava dal ponte levatoio  che scavalcava il fossato. Ora è il passaggio pedonale in cui è ospitata  l’edicola. Inoltre, venne restaurata la torre, e  rafforzata la parte a sera dell’edificio che aveva avuto dei cedimenti. Venne trasformata la sala, in sala multifunzionale per concerti. rappresentazioni, mostre, conferenze ecc. Si creò la terza scala che saliva da sotto il passaggio pedonale e si portò in luce la vecchia conserva. Passarono una quarantina d’anni e si arrivò ai giorni nostri, quando finalmente si recuperarono le funzioni di teatro vero e proprio. Venne rifatto il palcoscenico, montato il sipario di velluto rosa antico, come le poltroncine per il pubblico, creato un soppalco-barcaccia ed i camerini nel sotterraneio. Il  teatro  venne “spianato” di nuovo il 18 aprile 2008,  a 260 anni dalla sua prima “spianatura”. Per l’occasione si tenne un concerto di musica classica, dedicata a Tchaikovsky; suonò un trio di musicisti russi, maestri: Pavel Vernikov-violino, Anatole Liebermann – violoncello e Konstantin Bogino-pianoforte. Ospite d’onore fu l’attore-musicista Moni Ovadia. Per ora la storia del nostro teatro finisce qui:  è stata  lunga e travagliata, ma si è conclusa abbastanza bene, il locale è piacevole e viene utilizzato per molte attività.

EOLO ZUPPIROLI.