Carnevale in Emilia

 Come si festeggiava il Carnevale  in Emilia ?  Oreste  Trebbi e  Gaspare Ungarelli  ce lo raccontano  in “Costumanze e tradizioni  del popolo bolognese”  edito a Bologna nel 1932 .  Dal Quattrocento   alla fine del 1800 i cittadini bolognesi  erano allietati , nel periodo carnevalesco, da grandiosi tornei, corse al palio, sontuose mascherate, pittoreschi carri allegorici , maschere riccamente vestite  con costumi ornati da  bardature spesso intessute d’oro e d’argento . Il popolo minuto prediligeva travestimenti satirici che, anche in tempi più vicini prendevano di mira,   preferibilmente, la vuota eloquenza degli avvocati e l’ignoranza e l’ingenuità dei contadini. Fra le maschere, il dottor Balanzone   nato per satireggiare i Dottori dello Studio Bolognese, ebbe una funzione decorativa  e di parata  e, come re del Carnevale,  nella seconda metà dell’Ottocento ebbe l’unico compito  di aprirlo  con uno dei suoi soliti  discorsi spropositati .

            Il canoro Narciso  mantenne un contatto più diretto sia col popolo di città che di campagna dove, a parte qualche eccezione  di corsi mascherati, il Carnevale si festeggiava con feste e festini  della domenica nelle case coloniche,  con maschere o veglie di gioco nelle stalle . Questi convivi erano rallegrate da Narciso, maschera di origine contadina, forse nata a Malalbergo e dal Massaro , sempre di origine contadina,  che satireggiava gli antichi Massari  che avevano il compito di riscuotere le tasse e conoscevano tutte le persone .  Narciso cantava le “narcisate”  in dialetto, mettendo in evidenza i difetti delle donne , come il seguente:

Una vecia rincrespè

Cenna, goba e stralanchè

Un zuvnatt la vols spuser \ la vols spuser

An mancò i ziricucchen

Fen ch’la vecia av di quatren

Mo quand fo finè al magatt

Al l’accupo cun un stangatt.

 Il Massaro  argutamente raccontava i segreti e le marachelle dei compaesani , con filastrocche in dialetto  senza un metro preciso, definite “massari” .

Durante il Carnevale, in campagna , era molto diffusa la recita di dialoghi contadineschi  di cui è un tipico esempio “ La Filippa combattuta per amore di duoi villani” di Giulio Cesare Croce.

Quando il Carnevale raggiungeva  il culmine,la zobia grasa  ( giovedì grasso ) e l’ultom d’ caranvoel   ( martedì grasso )  si mangiava  e si ballava: crespelli , raviole, frittelle e tortelloni  dell’ultimo venerdi  ( voener furmajol )   figuravano sulle tavole.  Il giovedì grasso era caratterizzato in campagna da una particolare usanza: la questua dei bambini poveri che andavano di casa in casa  con una sporta  e chiedevano qualcosa di mangereccio  cantando strofe simili a questa  :

Brasula brasuleina

S’l’è granda o s’l’è cina

Basta ch’la staga int la mi spurtleina

  Una  strana usanza delle donne bolognesi del Seicento è  scomparsa : l’ultimo venerdì di Carnevale “ le donne si rubavano vicendevolmente  i bambini in fasce poi  si regalavano per riaverli” , così come  sono cadute  in oblio le umoristiche rappresentazioni del contrasto fra il Carnevale e la Quaresima , della morte o partenza del Carnevale  con relativo lamento  di cui sono  piacevoli esempi le  composizioni di Giulio Cesare Croce.