Modi di dire

ALCUNI MODI DI DIRE DIALETTALI CHE SI USAVANO UNA VOLTA A CASTELLO

Un quèlc mod ed dìr int al dialàtt ed Castèl

I modi di dire in dialetto sono purtroppo andati in disuso.
Nei modi di dire viene usato un linguaggio povero e anche qualche termine volgare, ma spiritoso. Ironizzare e ridere anche dei guai e delle difficoltà, aiuta a sdrammatizzare le situazioni, ad aver fiducia nella vita e nel futuro. Una volta si sperava sempre che la Provvidenza avrebbe dato una mano!

Il documento è compilato con questo criterio:
La prima riga scritta – riporta la frase dialettale.
La seconda riga- riporta la traduzione strettamente letterale.
Il testo a destra-riporta il significato, il termine più corretto e, dove è stato possibile, le origini

MODI DI DIRE PER INDICARE LA MORTE

Nei nostri modi di dire si parla della morte, ma non la si nomina mai direttamente, forse per cercare di esorcizzarla. Si cercano quindi delle similitudini e si gira attorno all’argomento per informare del decesso di qualcuno.

L à béle un pà in dla busa
Ha già un piede nella buca – Sta per morire, è in agonia. Per buca, s’intende la fossa.

L’ è ‘na lòmm ch’la s’è smurzè
E’una luce che si è spenta – Si è spenta la fiammella della vita.
Secondo alcuni questa espressione, usata anche in italiano, avrebbe avuto origine nell’Ospedale Santa Maria Nuova di Firenze, dove un tempo si accendeva un lumicino che si poneva con un Crocefisso accanto al letto di un moribondo. Un’altra tesi invece, la farebbe risalire all’uso di mettere un lume o una candela vicino alla bocca dei moribondi, per controllare se respirassero ancora, nel quale caso la fiamma avrebbe tremato. Se invece non respirava più il lume, o la candela, veniva definitivamente spento, aspetto comune a entrambe le ipotesi.

L à béle tiré i ùltum
Ha già tirato gli ultimi – Ha tirato gli ultimi respiri.

L’è andè al gabariòt
E ’ già andato a gambe all’aria – E’ già morto stecchito

L à vulté i furchett
Ha voltato i forchetti (?) – Ha finito di rivoltare qualcosa ed è finito anche lui. Quando si parla delle galline, per forchetti, si intendono le ossa del bacino. Andando per similitudine potrebbe voler dire che il soggetto si è voltato dall’altra parte, cioè l’aldilà

L à béle pighé i usvei
Ha già piegato gli attrezzi – Si è già predisposto al riposo, avendo riposto gli attrezzi di lavoro

L è béle passè d là
E’ già passato di là – E’ già passato all’altro mondo.

L è andè a fér tèra da pgnàt
E’ andato a far terra da pentole – E’ tornato alla terra madre. La terracotta è fatta d’argilla, quindi di terra.

L è andè a porta ìnferi
E’ andato alla porta dell’inferno – Se è a quella porta, cioè alla casa del diavolo, vuol dire che è già all’altro mondo.

L è vanzè dùr
E’ rimasto duro – Restato secco, morto sul colpo

L è béle andé da Cenni
E’ già andato da Cenni – E’ già morto e sepolto.
Questo è un modo di dire prettamente nostrano, perché Cenni era il becchino e custode del cimitero.
A sinistra dell’entrata al Cimitero, dove ora c’è un’area di parcheggio, fino agli anni cinquanta sorgeva il fabbricato con la casa del custode. Quando il paese era circoscritto al centro storico, le famiglie si conoscevano tutte fra loro, e altrettanto le conosceva il becchino. Per la nostra gente, Aldo Cenni era una persona nota e quasi di famiglia, perché si prendeva l’ultima cura dei loro cari.
Necroforo o becchino, in dialetto si dice becamòrt.
Il termine deriva da beccare = prendere ; cioè colui che prende i morti.

MODI DI DIRE RIGUARDANTI LA SALUTE

Alcuni di questi termini sono usati anche in italiano. Si utilizzano espressioni figurate.

L è un caranpén
E’ una carampana – E’ inteso nel senso di persona che ha sempre qualche acciacco o mancamento.
Nella lingua italiana carampana ha invece il significato di donna brutta e sguaiata (da Ca’ Rampano, quartiere di Venezia in cui vivevano le prostitute).

L è on ch’al scudòza
E’ uno che scarabattola – Persona che non sta mai davvero bene.
Le carabattole sono cose di poco valore: così è la salute che scuote i vari organi del soggetto.

L à la fivra di spunciòn
Ha la febbre della spunta delle piume
Ha la febbre della crescita.
Il detto si rifà agli uccelli e al pollame che, con lo spuntare delle nuove piume, hanno una debilitazione fisica e un‘alterazione della temperatura.

L è piz dal cavàl (o dal sumàr) ed Scàja
E’ peggio del cavallo (o del somaro) di Scaia
Pare che quest’animale avesse ogni giorno un male diverso, cioè avesse 365 malanni!
E’ un’espressione usata anche in italiano.

L è una tarièga
E’ una teriaca – Si dice di persona piena di acciacchi o impacciata.
Teriaca, deriva dal greco. Indicava un prodotto dell’antica farmacopea, composto da molti ingredienti, una specie di toccasana per molte malattie e un antidoto contro i veleni.

L è un poc cilòrb
E’ un poco orbo – Ci vede poco, è quasi cieco.
A volte si usa anche per dire che la persona in oggetto ha gli occhi strabici.
(In bolognese: cilob)

L è vàird cme un ligùr
E’ verde come un ramarro – E’ riferito alla pelle del viso e si vuole indicare persona sofferente di fegato o che ha problemi alla bile.Ai ò mél ala vétta
-Soffro di male alla vita – Soffro di male alla schiena.

Al tira al fié cui dent
Tira il fiato con i denti – Finché si respira, si è vivi, per cui il soggetto tiene stretto il respiro con i denti, perché la vita non gli sfugga!

Al fa tri pàs int ’na preda
Fa tre passi per ogni pietra – Impiega tre passi, per avanzare di una pietra. E’ lento come una lumaca. Non ha più vitalità.

MODI DI DIRE RIGUARDANTI L’ASPETTO FISICO DELLE PERSONE

In queste frasi c’è di solito l’ironia che coglie una caratteristica dell’aspetto fisico, facendo similitudini, specialmente con gli animali.

L è mègher comm un oss
E’ magro come un uscio – Lo spessore di un uscio è solo di qualche centimetro, per cui la magrezza è molto accentuata.

L è mègher stlé
E’ magro come uno stecchino – Molto magro: pelle e ossa. Scheletrico.

L è mègher cme ‘na sardèla
E’ magro come una sardina

L è gàunfi cme un bòt (o cme ‘na butaràza)
E’ gonfio come un rospo – In dialetto i due termini hanno lo stesso significato. Quando il rospo è rannicchiato e si gonfia, è più largo che lungo.

L à un col stil, cme un usgnòl
Ha il collo sottile, come un usignolo – Quando l’uccellino canta, negli acuti allunga il collo, ed essendo l’usignolo un gran canterino, meglio di altri serve ad esempio.

L à ‘na gamba gìgia
Ha una gamba difettosa – Difficoltà visibile a una gamba: il tizio ha preso una storta, o la gamba è più corta. Il soggetto zoppica.

Al va tott stralanchè
Va tutto sciancato – Ha l’andatura da sciancato.

L è grand cme al scarmazòl d un bdoc’
E’ grande come la capriola di un pidocchio
Per indicare che si sta parlando di un soggetto molto piccolo, si è preso ad esempio un insetto, anch’esso di dimensioni assai ridotte, ma conosciuto da molti nei secoli scorsi. L’ironia sta proprio nell’immaginare che tale piccolo, scomodo ospite, si metta a fare le capriole e che qualcuno gliele misuri!

Al pèr magnè dai ziribìguel
Sembra mangiato da un piccolo insetto o dalle tarme
Persona dall’aspetto magro, macilento, come fosse stato rosicchiato, che ha poca carne addosso.
Il piccolo insetto potrebbe essere una tarma che, quando attacca i tessuti di lana, a forza di rosicchiare, li riduce a brandelli.

Chévet cal quàcuel da i ùc
Toglierti quelle caccole dagli occhi – Pulisciti gli occhi. Non è molto fine, significa Svegliati!

MODI PARTICOLARI DI DENOMINARE ALCUNE PARTI DEL CORPO

Tempo fa non sempre si conosceva la terminologia corretta delle parti del nostro corpo, ma in alcuni casi c’era una sorta di pudore per cui, specie per gli organi sessuali, si usava una serie di pseudonimi. Il sesso era un argomento tabù, di cui non si doveva parlare specialmente con i bambini, come pure delle funzioni riproduttive e delle fasi della nascita. A bilanciare questa pudicizia, c’era d’altra parte la volgarità più aperta, praticata specialmente dagli uomini. Ne escono quindi dei vocaboli, che entrano poi nei modi di dire, abbastanza insoliti e divertenti. Occorre far lavorare un poco la fantasia, per trovare le similitudini.
Per denominare il sesso femminile, ricordo quelli ascoltati quando ero bambina.

La bartòcaLa berretta
– in dialetto il berretto è detto anche bartòc

La catobbaLa grancassa – cappello a cilindro.

La ctéLa cosa
-Non meglio precisata e più generica di così, non si può!

La Giògglia dai bafiLa Giulia dai baffi.
– Qui invece, i riferimenti sono molto chiari.

. La pavaràzaLa vongola verace.

Per quanto riguarda il maschio, tralasciando l’organo principale, si ricordano solo alcuni appellativi concernenti gli accessori: i testicoli.

  maròn –  marroni
quajoncoglioni
sunài–  sonagli
zanett –  Potrebbe derivare da zanetta: bastone al quale i vecchi si appoggiavano; aveva il manico ricurvo.
zabadài –  zabadai – pare derivi dall’interpretazione della frase “figli di Zebedeo” che si trova ripetuta nel Vangelo: i suoi due figli Giovanni e Giacomo, (apostoli), chiedevano di stare uno alla destra e l’altro alla sinistra di Cristo nel Regno dei cieli.

Modi di dire inerenti la MATERNITA’ e derivati dall’utilizzo degli attributi maschili.

Ai ò la vaca ch’la da fèr
Ho la mucca che deve fare – Ho la mucca incinta, cioè deve partorire un vitellino.
Quel “fare” era normalmente usato dai contadini, e metteva molto in difficoltà i loro bambini a scuola, quando usavano fare al posto di nascere.

La trojja l’è praggna (o peina)
La scrofa è pregna (o piena) – La scrofa è gravida.
Trojja (troia) è il femminile di porz (porco), nineina è il femminile di ninen (maiale). Il termine pregna, è particolarmente riferito alla gravidanza degli animali. Per estensione del concetto si usa anche piena.

Va fora dai sunàischèvet dai sunàischèvet dai quajòn
Vai fuori dai sonagli – Togliti di torno. Togliti dai piedi.
I sonagli erano composti di una sferetta cava di metallo, con uno stretto intaglio, nella quale era racchiusa una pallina che col movimento prendeva contro la parete, procurando un suono argentino. Solo per la forma, è stata assimilata ai testicoli.

Modi di dire inerenti le problematiche femminili ( sessualità, gravidanza, ciclo mensile)

Puvréina, l’è caschè …..
Poverina è caduta …. – Questo detto, accompagnato da una certa espressione dolente, non indicava una caduta reale, ma figurata. Stava a significare che una ragazza aveva fatto l’amore ed era rimasta incinta. Erano due concetti che non si potevano dire esplicitamente!

La s’è fata sgabanèr
Si è fatta togliere la gabbana –  Ha fatto sesso con un uomo.
Letteralmente, la frase sta a dire che la ragazza si è fatta svestire, perché la gabbana stava sopra l’ abito.
La s’è fata zdarinér
Si è fatta spazzolare – Ha fatto sesso con un uomo.
In questo caso la similitudine è col gesto che si esegue spazzolando, cioè avanti e indietro ….

L è andé za pr’al schèl ed cantéina
E’ andato giù per le scale di cantina – La ragazza non è più incinta, ha abortito.
Anche in questo caso si usava un eufemismo. Le parole incinta, gravidanza, aborto non venivano solitamente usate nel linguaggio comune.

L’è dspèra perché l’ à al marcàis
E’ dispari perché ha il marchese – E’ di cattivo umore perché ha le mestruazioni.
Quello del marchese, è un termine diffuso ed utilizzato anche in italiano. Non si sa l’origine di questa nobiltà. In araldica, per importanza, al marchese segue il duca.

Incù l’à i su quì
Oggi ha le sue cose – Oggi ha le mestruazioni, quindi è irritabile.
Qui ritorniamo a un’espressione generica, con il termine sue cose. Rimane sempre il concetto di riservatezza, si tratta di qualcosa che non si può dire apertamente.

L’è drì ch’la fa la cunsèrva
Sta facendo la conserva – Ha le mestruazioni.
In questo caso, la similitudine si fa con una cosa di colore simile. E’ un’espressione usata spesso dagli uomini, in modo ironico, per indicare l’indisponibilità della donna a fare sesso.

 Alcuni termini strani per denominare delle parti del corpo, a volte presi da quelli usati per gli animali
Um è andé zà pr’ al garganòz
Mi è andato giù per il garganozzo – Mi è andato giù in gola.
Garganozzo, termine desueto usato anche in italiano e derivante dal tardo latino gargara che vuol dire trachea.
U ni srà quél ai archèst ?
Non ci sarà qualcosa alle rigaglie? – Le rigaglie sono gli organi interni dei polli e dei volatili in genere (magone, budella, fegato, ovaio). L’anatomia di questi animali era conosciuta da tutti e la denominazione fu traslata agli organi umani, anche per fare dell’ironia.
Le rigaglie riferite al corpo umano, sono i vari organi racchiusi entro l’addome (intestino, milza, organi femminili).

 I cardinzen ch’ai à a qué dénter
I credenzini che io ho qui dentro – Spesso col termine credenzino è inteso il cuore. La credenza e il credenzino, sono mobili contenitori, che proteggono oggetti delicati. Il cuore è appunto protetto dalla gabbia toracica.

Zà pr al filàn dla vétta
Giù per il filone della vita – Giù per la spina dorsale.
Per filone s’intende una cosa di forma allungata e diritta (si pensi al filone del pane). Vita, abbiamo già visto vuol dire schiena.

A m sàn magné la ratèla dal fégghet
Mi sono mangiato la membrana del fegato
La ratéla dovrebbe essere il rivestimento esterno del fegato, cioè quella leggera membrana che gli mantiene la forma. Mangiandosi questo rivestimento, il fegato di sfalderebbe e sarebbe un grave autolesionismo.
L’espressione sta quindi a indicare che l’ira glielo ha proprio rovinato!
In dialetto per ratéla, si intende anche la rete che avvolge l’intestino del maiale e che si usa per preparare i fegatini.

– ……. ‘na parpàia dal fégghet
-……… una farfalla del fegato – S’intende uno dei lobi del fegato, che sono quattro, come appunto le ali di una farfalla.
Il termine parpaia, deriva dal latino papilionis, e nel nostro dialetto è usato per dire farfalla in generale, e falena in particolare.
-…….. al fégghet bianc
…….. il fegato bianco – Un anziano contadino andando dal medico gli disse che aveva dei problemi al fegato bianco. Ma cos’era? – si interrogò fra sé e sé il medico.
Il dott. Atzeni, che mi raccontò questo aneddoto, non capendo a quale organo il paziente facesse riferimento, cercò di farlo scendere più nel dettaglio e, alla fine delle sue spiegazioni, capì che con tale termine il suo paziente intendeva i Bronchi!
E’ questo l’organo di colore più chiaro e che più si avvicina al bianco.

Lu lé l à dau gràn spardavèli
Quello ha due grandi sventole – Quello ha i piedi enormi.

A m son prilè ed galòn
Mi sono girato di fianco – Mi sono messo a dormire .In senso figurato, non gli ho più dato ascolto,
(in bolognese: galàn)

–  Zà pr al bùs dal pancòt
Giù per il buco del pancotto –  Si intende il tubo che dalla bocca, passando dalla faringe, attraverso l’esofago, porta allo stomaco. Il pancotto era un piatto molto povero fatto con pane raffermo, bollito in acqua e quando questa si era asciugata, condito con un poco d’olio.

MODI DI DIRE PER INDICARE UNA PERSONA DI SCARSO INTELLETTO E SCARSA PERSONALITA’
In questi casi la fantasia ha lavorato molto, attingendo termini dagli animali e dalle cose.

L à pisé fora da l urinèri
Ha pisciato fuori dall’orinario – Ha fatto pipì fuori dal vaso.
Si constata che il soggetto non è stato capace di fare una cosa tanto semplice. Vuol dire che non ha parlato con logica e ha fatto brutta figura.
Una volta nella maggioranza degli appartamenti non c’era il gabinetto, che il cesso era spesso all’esterno e comune ad altre famiglie, per cui di notte, si usava il vaso. L’orinario era quindi un oggetto di uso comune per tutti.

L à ‘na testa che s’u l à un pàss, us anàiga
Ha una testa che se ce l’ha un pesce, annega
Questo è proprio un caso senza speranza!

An sàn miga nèd la not dal scuasadén!
Non sono mica nato la notte della pioggerellina!
Non sono mica nato ieri!

Al capess sénper un caz pr un féssti
Capisce sempre un cazzo per un fischio
Capisce sempre cavoli per fischi. Vuol dire non capire proprio nulla, perché i due soggetti tra loro non hanno alcuna attinenza.

Un sa s’u l à, s’un s’al tacca
Non sa se ce l’ha, se non se lo tocca – Ciò cui si allude, è il pisello. E se un uomo non sa d’averlo, è proprio messo male!

I èt di burdigòn dànter in cla zocca?
Hai degli scarafaggi dentro quella zucca?
Se al posto del cervello, ci sono degli scarafaggi, è logico che la persona non riesca a ragionare.

L è propri ‘na pistàlla
E’ proprio una pistola, un minchione – E’ poco furbo.
In questo caso pistàlla, indica sia l’arma sia il pene. In questo caso è una pistola che spara solo a salve! Chi la o lo possiede è poco furbo e un poco inetto.

L è ‘na testa ed caz
E’ una testa di cazzo – Più elegantemente: testa di cavolo.
L’organo maschile, non ha capacità di ragionamento ed il soggetto che lo possiede, pure. Il detto è usato anche in italiano.

L è ‘na méza calzàtta
E’ una mezza calzetta – Come persona non vale molto.
Le calze vanno a paia e averne solo la metà di una, è proprio l’inutilità totale! In dialetto per dire calza da donna, si dice appunto calzatta.

L è ‘na méza cartòccia
E’ una mezza cartuccia – Come persona non vale molto.
E’ chiaro che con una mezza cartuccia non si spara.

Al cànta cme al du d capp, quand la brèsscla l ‘è bastàn!
-Vale come il due di coppe, quando la briscola è bastone –
Non vale proprio nulla! Non ha né autorità, né autorevolezza. Nel gioco della briscola, il due è la carta di minor valore e se non è nemmeno di briscola……

Un chéva un ràgn d int al bùs
Non cava un ragno dal buco – Se non sa fare un’operazione così semplice, è proprio un inetto!

Serie di nomi per indicare scarso comprendonio e scarsa personalità.

L è un barbazàgnE’ un barbagianni. E’ uno sciocco, un allocco
L è un ignuràntE’ un ignorante.

L è un inbalzèE’ un imbranato.
Deriva dal verbo dialettale: inbalzarsi, cioè inciampare. Non sa nemmeno camminare!

L è un insmìE’ uno scimunito.

L è un pòver quélE’ un povero coso.

-L è un sumarnàz – E’ un somaraccio. E’ un dispregiativo e vuol dire molto ignorante e incapace. La parola somaro deriva dal latino sauma, cioè soma.

L è un zaròcc – Si intende zotico, balordo, testone.

L è un zémmbel – Dovrebbe significare cembalo ed anche pene. Vuol dire trastullo, burattino, uno con poca dignità. Deriva dal latino cymbellum (diminutivo di cymbalum- cembalo) che nel medio evo indicava anche la campana che invitava i monaci al refettorio.
Se invece il significato lo rapportiamo a pene, è tutto più chiaro!

L è un zvatt – Tradotto alla lettera: è un civetto, nome che in italiano non esiste al maschile. In dialetto si dice: zvatt al maschio e zvatta alla femmina.
E’ questo un uccello che l’uomo ha sempre disprezzato e oltre ad essere considerato di malaugurio, forse per il suo sgradevole canto notturno, nel nostro dialetto assume anche il significato di poco pregio.

 

MODI DIVERSI PER INDICARE UN BEVITORE

Quando il massimo passatempo della povera gente era andare all’osteria, era abbastanza frequente che gli uomini si ubriacassero. Siccome la maggioranza di questi non gradiva che glielo si facesse osservare, perché sosteneva di non esserlo, allora si trovarono altri modi per dire la stessa cosa. Ogni volta che si dice bere, è sottinteso che s’intende bere del vino.

L à béle bvù
Ha già bevuto – E’ giù ubriaco

L è inbariég dur
E ubriaco duro – E’ molto ubriaco.

L è inbariég cme un zvatt
E’ ubriaco come una civetta – L’ubriacatura l’ha reso inebetito, ha la fissità della civetta.

L è in cimmbalisl è béle sò ed gìr
E’ già su di giri, molto allegro e poco lucido.
Dal latino cymbalis.

L à tirè dimondi sò ‘l gammbd
Ha tirato molto su il gomito – Per tracannare il vino, come fanno i grandi bevitori, bisogna sollevare in alto il bicchiere e ciò richiede di alzare tutto il braccio, e non solo l’avambraccio; è alzato così anche il gomito.

L’à ‘na gran scurzàuna
Ha una gran scorreggiona – E’ già ridotto male, tiene pose scorrette. In italiano scorreggione, vuol dire tipo rozzo, sguaiato, ingombrante.

L’à ciapé ‘na gran scaja
Ha preso una gran scaglia – La scaglia o scheggia, è una parte di qualcosa (sasso, metallo, ecc.). Il fatto che si usi il termine grande, lascia supporre che per dimensione, sia quasi come l’intero pezzo. Quindi la sbornia è davvero grande.

L à bèle un pinguèl long acsé
Ha già un’ugola lunga così – Ha già una gran voglia di cominciare o ricominciare a bere. Non è ancora nella fase dell’ubriacatura, ma può essere un tipico atteggiamento dell’alcolizzato (al pinguèl è l’ugola).

L’à ciapè ‘na bèla sémmia , l’à una bela simjina
Ha preso una bella scimmiaha una bella scimmietta

E’ ancora un altro modo per dire che uno è ubriaco. Forse perché il soggetto, avendo la mente ottenebrata dall’alcool, non controlla più bene i suoi movimenti che diventano scoordinati, o perché assumendo un’espressione poco intelligente, vien assomigliato ad una scimmia.

MODI DI DIRE CHE DERIVANO DAL DENARO E DALLA SUA MANCANZA

Prima di tutto, vediamo com’era chiamato il denaro e com’erano detti i vari tagli delle monete, che poi ritroviamo in alcuni modi di dire. E’ da notare che il dialetto, ha ignorato la lira, e altrettanto oggi sta facendo con l’euro. Non sono proprio traducibili!

I bajùcI Baiocchi. Il baiocco era una monetina prima d’argento, poi di rame, in uso negli Stati Pontifici fino all’unità d’Italia (1860). Pare addirittura che tale nome possa derivare dall’antica moneta Merovingica che portava la scritta Baiocas, la città oggi nota con il nome di Bayeau.

I gòbbi – Era una moneta coniata a Gubbio.

I sold – Il soldo era un’antica moneta europea derivata dal soldo del Basso Impero che, attraverso diverse trasformazioni passò a rappresentare in Italia, fino all’inizio della seconda guerra mondiale, la ventesima parte della lira.

I francI franchi . Impropriamente era usato come sinonimo della nostra Lira, mentre è il nome della moneta francese, svizzera, belga, ecc. E’ un retaggio delle passate dominazioni?

-Us sgéva 1000 franc – Anziché 1000 lire
100 scud500 lire
1 scud5 lire
1 franc1 lira
1 sold5 centesimi di lira

Frasi che si rifanno alla mancanza di denaro e alla miseria che c’era in molte famiglie. Dire era, sembra una cosa già superata, invece è un fenomeno doloroso che, purtroppo, in questi anni si sta ripresentando d’ attualità.

Ui mànca sànper g’nov sold, par fér un franc
Gli mancano sempre diciannove soldi per fare una lira
Era la condanna della povertà: non riuscire mai a mettere assieme il denaro necessario. Se su venti soldi che gli occorrevano, gliene mancavano sempre diciannove, il soggetto non sarebbe mai riuscito a uscire dalla sua miseria!
(G-nov: in questa parola la G si legge dolce come in gente)

Un n’è òn ch’al ciàpa incànter a cl’èter
Non ce n’è uno che prenda contro l’altro
Non c’è moneta che sbatta contro l’altra. Quindi ben che vada ce n’è una sola!

. L’à ‘na miseria ch’la fa i cinén
. Ha una miseria che fa i piccoli.  Ha una miseria che si riproduce, che si rigenera.

. Par la miseria, d in cla cà al scapéva anc i pòndg
. Per la miseria, da quella casa scappavano anche i topi
Rappresenta una situazione grave, in quanto i topi, come ultima risorsa, rosicchiano anche i mobili, le stoffe, ecc. Lì proprio non c’era più nulla: restava loro solo la fuga!

. L’è in bulàtta dura
. E’ in bolletta dura .  Non ha un soldo, è al verde.
Pare che derivi dall’usanza di affiggere in pubblico l’elenco dei falliti, cioè un bollettino. L’aggettivo dura sta a dire che più resistente di così, non si può!

. L’à ‘na fàm, ch’al magnarév anc i purtòn dl inféren
. Ha una fame che mangerebbe anche i portoni dell’inferno
Arrivare ai portoni dell’inferno, vuol dire essere vicini alla dannazione ma, la fame è tanto forte che il soggetto, per soddisfarla, farebbe qualsiasi cosa. Per la funzione che svolgono, i portoni dell’inferno dovrebbero essere molto robusti e grossi di spessore, per proteggere l’ambiente esterno dal calore del fuoco che vi divampa dentro, quindi il soggetto è disposto a sostenere una grande fatica in più, pur poter mangiare!

. L’è ‘na gran fadìga tgnir in pì ‘na famajja
. E’ una gran fatica tener in piedi una famiglia
Termine figurato. Tener in piedi un oggetto ingombrante, tenere dritto il corpo quando si deve sorreggere un grande peso, è molto difficile. Così è altrettanto difficile provvedere ai bisogni più elementari della famiglia, quando non c’è denaro. Ragni o Biavati risolvevano il problema con una battuta: vendevano tutte le sedie, così in piedi la famiglia ci stava per forza!

. Us è magné la paja satta
. Si è mangiato la paglia sotto.  Ha consumato l’ultima risorsa. Nelle stalle, la lettiera del bestiame è fatta con la paglia. Se il bestiame è stato costretto a mangiarsi la paglia della lettiera, vuol dire che non c’era più fieno, e in mancanza d’altro …. si è mangiata l’unica cosa che ha trovato quindi, va proprio male….

. Cosa at cràddet d esér, al fiòl ed Turlonia ?
. Cosa credi d’essere, il figlio di Torlonia ?
Domanda retorica rivolta a un giovane che forse sta chiedendo un paio di scarpe o un poco di paghetta. Torlonia, era ricco casato principesco romano, con possedimenti terrieri in molte parti del paese.

. Un si a fa a sbarchér al lunèri
. Non ci si fa a sbarcare il lunario. Si fatica ad arrivare alla fine del mese, in mezzo a tante difficoltà economiche.
Il lunario si sfoglia mese per mese e guardandolo, il soggetto non sa proprio come farà ad arrivare fino in fondo. Per sbarcare, s’intende portare avanti e per lunario, s’intende periodo.

. Bisàggna strichér la zénngia
. Bisogna stringere la cinghia. Se si mangia poco, si cala di peso e si assottiglia la cintura, per cui al fine di reggere i pantaloni, occorre passare al foro più indietro della cinghia.

. I an fàt nòz cun al lumég
. Hanno fatto nozze con le lumache.  Termine figurato, per dire che c’è poco di tutto.
Hanno fatto il pranzo di nozze con mezzi inadeguati.
Le lumache si andavano a cercare lungo i fossi, cioè si trovavano, non si compravano ed era un cibo povero (non come ora che le servono nei ristoranti alla moda e a prezzi elevati).

. I quatrén i en comm i dulòur : ch’ i à, as i ten
. I soldi sono come i dolori: chi li ha, se li tiene

Ora vediamo alcuni modi di dire collegato all’avarizia, intesa come eccesso di parsimonia e di risparmio.

. L è un tèrpen. E’ un uomo gretto

. L è un rabén. E’ un uomo gretto. Il termine dovrebbe tradursi con rabbino, per riprendere il luogo comune sulla grettezza degli ebrei. (Il rabbino è ministro di culto in una comunità ebraica).

. L è un gràn tacàgn. E’ un gran taccagno, gretto, tirchio. Deriva dallo spagnolo

. L è un bduciàn. E’ un pidocchioso, di rivoltante grettezza.

. U n magna, pr an caghér. Non mangia, per non defecare (così non si spreca proprio nulla!)

 

Questi invece sono modi ironici coniati per chi è uscito dalla miseria:

. L è un bdoc’ arfàt
. E’ un pidocchio rifatto. Si dice di uno che è stato povero, che poi si è arricchito, e ora monta in superbia e dimentica da dove è venuto.

. Un darévv gnanc un Crésst da basèr
. Non darebbe nemmeno un Cristo (Crocefisso) da baciare.
Più avaro di così non si può. Il tizio in oggetto non darebbe nulla a nessuno, nemmeno l’immagine dl Cristo a motivo di consolazione.

FRASI CHE SI SENTIVANO PER STRADA O CHE SI USAVANO IN CASA

. U m’ à vesst, mo l è andé d long
. Mi ha visto ma è andato di lungo. Mi ha visto, ma ha proseguito, cioè non si è voluto fermare o ha fatto finta di non vedermi.

. L andéva a ratta ed còl
. Andava a rotta di collo. Andava fortissimo col rischio, se fosse caduto, di rompersi il collo.

. Ai a dé ‘na gràn sbaciarlé in téra
. Ho dato una gran stangata in terra. Solo caduto in terra, lungo disteso.

. Us è furmé un ruglàtt ed zànt
. S’è formato un gruppetto di gente. Si sono radunate delle persone per guardare, per curiosare o commentare.

. L è suzést propri int al crusèl
. E’ successo proprio all’incrocio. E’ successo all’incrocio, al crocicchio, dove s’incontrano due o più strade.

. L’è una cavdàgna longa
. E’ una capezzagna lunga. E’ una strada lunga, nel senso che c’è un lungo iter da percorrere, per arrivare a capo del problema.
La cavedagna o la capezzagna è una striscia di terra che funge da stradina fra i campi, a lato degli appezzamenti arati e coltivati.

. Cum stét? – Us ròzzla
. Come stai? – Si ruzzola. Dialogo fra due persone che s’incontrano per strada. Si ruzzola: si va avanti e ciò in virtù della spinta iniziale (si pensi ad una palla). E’ come dire: così, così.
(Nella frase interrogativa l’avverbio come, in dialetto castellano diventa cum e non comm).

. Cum stét ? Ch’ut vgness un azidànt ! (o ch’ut vgness un càncher)
. Come stai? Che ti venisse un accidente! (o che ti venisse un canchero)
E’ un modo poco fine per informarsi della salute di un amico!
Era anche questo un modo di esorcizzare i malanni in generale, e il cancro in particolare. Lo si sentiva più spesso dire dai contadini, quando s’ incontravano al mercato del lunedì a Castello.

. Am sàn vulté ed spìrel
. Mi sono girato nella spirale. Mi sono disorientato. E’ come avessi girato dentro una spirale: non saprei più dire da che parte sono venuto, se da destra o da sinistra. E’ una sensazione che a volte capita al risveglio, nella camera, al buio.

. A ten i scùr dla fnèstra in casàn
. Tengo gli scuri della finestra in casone
Tengo le imposte accostate.
I casoni sono caratteristiche costruzioni rurali con il tetto a spioventi cioè a due falde, come nelle capanne. Gli scuri socchiusi assumono la stessa forma.

. Ui vòl dl ont ed gàmmbd
. Ci vuole dell’unto di gomito. Per pulire qualcosa di molto sporco, bisogna lavorare avendo il gomito per oliato!
La similitudine è con le macchine, cui serve l’olio lubrificante per eliminare l’attrito. Per togliere lo sporco, bisogna sfregare parecchio e il movimento del braccio è appunto quello di andare avanti e indietro e quindi a rischio di attrito.

. L à fàt al bàl dal dsgàmmber
.Ha fatto il ballo dello sgombro. Ha fatto pulizia ed ha sgombrato tutto ciò che non serviva, le cose inutili e le cianfrusaglie.
Per togliere il senso della fatica che comporta questo lavoro, è usata la metafora del ballo, per farne motivo di divertimento. E’ però una vera liberazione togliersi dattorno le cose inutili!

. L’è ‘na ca’ posta in custìra
. E’ una casa posta al sole. S’intende una casa rivolta a sud, dalla parte dove il sole batte più ore del giorno.
(se fosse posta verso nord, si direbbe: a bagùra).

. Us marìda e al va a cà in purzìl
. Si sposa e va a casa in porcile. Quando si sposa, il soggetto di cui si parla, andrà ad abitare in casa della famiglia della moglie.
Questo frasario era particolarmente in uso fra le famiglie contadine. Il porcile, è usato in senso figurato, per indicare una cosa poco apprezzabile. Penso ci fosse disapprovazione, perché le due braccia dell’uomo, andavano a produrre lavoro e reddito in un’altra famiglia. Quando il lavoro dei campi era tutto manuale, due braccia in più erano una gran risorsa.

 

MODI DI DIRE CHE TRAGGONO SPUNTO DA PRATICHE O FORMULE RELIGIOSE

. Mé a m ciàm cìsa
. Io mi chiamo chiesa. Vale come in italiano: Mi chiamo fuori. Risale a quando ogni chiesa, non era accessibile alla giustizia. Chiunque riusciva a entrarvi, godeva della temporanea immunità (finché stava dentro). Quindi poteva essere arrestato solo se usciva.

. Cusa cràddet ch’a sia mé, al sparglén dl’acua santa ?
. Cosa credi che io sia, l’aspersorio dell’acqua santa?
Cosa credi che io possa risolvere le cose con la stessa facilità con cui si dà una benedizione?
E’ questo il caso di chi si sente chiamato a risolvere, con troppa frequenza, i problemi di altri.

. La corr a ogni scusè d canpanén
. Corre a ogni scossa di campanello. Persona che è sempre disponibile a ogni chiamata.
La scossa di campanello era riferibile sia a quella della padrona che chiama la cameriera o la serva, sia a quella della chiesa per avvertire dell’inizio della funzione. Per quest’ultima, veniva fatta un poco d’ironia a danno delle vecchiette troppo beghine, che correvano in chiesa troppo di frequente, cioè ad ogni scossa di campanello (E in capo alla giornata ce n’erano diverse !)

. L’ è long cme la massa canté
. E’ lungo come la messa cantata. Si dice di persona lenta a sbrigare il lavoro.
Accompagnando il rito, col suono dell’organo e il canto, è evidente che il suo svolgimento, impegna più tempo.

. Che Dio t’in daga !
. Che Dio te ne dia! Che Dio ti dia sempre la sua benedizione!
L’espressione: “ Che Dio ti benedica”, la ritengo molto bella perché può denotare sia gratitudine in cambio di un aiuto ricevuto, sia generosità d’animo verso il prossimo. E’ come dire: non sarò invidioso della tua fortuna.

. Bandéssa!
. Sii benedetto! E’ questo l’auspicio che si rivolgeva a chi sternutiva. Lo sternuto, quale sintomo del raffreddore preannuncia la malattia. Per questo s’invocava la benedizione, cioè la protezione divina. Corrisponde all’italiano: Salute! Oggi si dice che il galateo non lo prevede più (pare che dirlo non sia fine!)

. L’è una santaviceta
. E’ una santaviceta. Si dice di donna che si atteggia a santerellina, invece le piacciono gli uomini, oppure fa la falsa devota.
Deriva dalla corruzione popolare di una frase della preghiera Pater noster quando, in latino, dice: “Sanctificetur nòmen tùum”, cioè: sia santificato il tuo nome.

. La pèr ‘na Madunéina infilzé
. Sembra una Madonnina trafitta. Si atteggia a santerellina, fa l’addolorata ma in realtà non lo è.
Deriva dall’immagine della Madonna trafitta da sette spade (Madonna dei sette dolori).

. L è un Sanluig’
. E’ un San Luigi.
Credo prenda spunto dall’iconografia di San Luigi Gonzaga (1568-1591).
Egli cedette il marchesato al fratello e si fece gesuita.
Morì giovanissimo assistendo gli appestati e, forse anche per questo. è rappresentato magro, smunto e ascetico, caratteristiche che si riscontrano nel soggetto che ha attratto l’attenzione.

.L à fàt Sanmichèl
. Ha fatto Sanmichele. Ha fatto San Michele, cioè ha fatto trasloco, ha cambiato casa. Era consuetudine che i contratti di locazione scadessero il 29 settembre, giorno dedicato appunto a San Michele.
Anche per i contadini era consuetudine che lasciassero libero il podere, specie quando avevano avuto il commiato, entro il 29 settembre, cioè prima che si procedesse alla semina del grano.
Commiato, vuol dire congedo. Detto così, sembra un’espressione delicata e fine. Invece per i contadini era una sciagura, perché il padrone li mandava via dal podere, mettendoli in grandi difficoltà. Se entro la stessa data non avessero trovato un altro padrone che desse loro da lavorare la terra, sarebbero rimasti senza casa e senza lavoro. Allora, sarebbero stati costretti a diventare braccianti (per lavorare con le braccia) e pigionanti (per avere la casa, dover pagare la pigione). E quante volte ciò è successo!

. L è traté pìz d un can in cisa.
. E’ trattato peggio d’un cane in chiesa.
Gli va proprio male, è sfortunato, non gliene va bene una. Un cane che entri in chiesa è scacciato immediatamente, forse anche a pedate.
L’inserviente che faceva le pulizie e riordinava la chiesa, fu appunto detto scaccino, dal compito che aveva di scacciare i cani. Per denominarlo così, si vede che di cani in chiesa ne capitavano spesso!

. Al càpita a ogni cavè d pépa.
. Capita a ogni levata di papa. E’ una cosa rara, capita al massimo ogni qualvolta si fa un papa nuovo. Da notare che si poteva anche dire a ogni morte di papa.
Col termine levata, si sfuggiva dal nominare la morte, si parlava solo del nuovo papa, di quello vivo che si era andato ad eleggere.

. L à al fùg ed sant’Antòni
. Ha il fuoco di Sant’Antonio. Ha l’herpes zoster.
Si narra che le reliquie di Sant’Antonio abate (quello che visse eremita nel deserto e che poi fu indicato come protettore degli animali), quando giunsero in Francia, facessero guarire molta gente colpita dalla peste, detta anche fuoco sacro. Attingendo a questa credenza, la malattia dell’herpes, che si manifesta con gruppi di vesciche cutanee, fu denominata dal popolino: fuoco sacro o Fuoco di S. Antonio. Nel passato non c’erano cure e coloro che ne erano colpiti, se lo facevano segnare. Una donna medicina, metteva le mani sulla parte dolorante e pronunciava, bisbigliando, una formula (o una preghiera?). Era un segreto che veniva passato in eredità, come del resto fanno ancora gli stregoni indigeni.

. L’è béle suné l’aura ed nòt
. E’ già suonata l’ora di notte. E’ già sera, è ora di ritirarsi in casa.
Il detto si rifà a quando le campane della chiesa scandivano i vari momenti della giornata: l’Avemaria all’alba, e l’ora di notte al tramonto. Erano le ore dedicate all’attività lavorativa di un tempo, che andava dall’alba al tramonto (erano tante e senz’altro più di otto). Vedete quanta storia c’è in una piccola frase come questa?

. A n vag in cisa a dspet di sant
. Non vado in chiesa a dispetto dei santi
Non vado in un posto in cui non sono gradito o non sono stato invitato.
In chiesa ci si va per pregare e per stare in raccoglimento e non per fare un dispetto ai santi che vi si venerano.

. Incù el al dé d San Grugnàn?
. Oggi è il giorno di San Grugnone? Ovvero: è il giorno di San Musone?  E’ un santo inesistente. Nel passato lo si attribuiva al primo giorno di Quaresima quando, finite le follie di carnevale, si doveva ritornare più tranquillamente al tran tran quotidiano, cosa che dava ovviamente malumore.

. An i è gnenc int al Tani di Sant
. Non c’è nemmeno nelle Litanie dei Santi
La litania è una preghiera costituita da una serie di invocazioni a Dio, alla Madonna, ai Santi, ai Beati, insomma è rivolta a tutti coloro che siedono in Paradiso. Se uno non è in questo elenco, è inutile andare a raccomandarsi, è uno che non conta nulla, non ha potere!

 

QUALCHE MODO DI DIRE SULLE DONNE

E’ ovvio che il popolino, quando vuol fare satira, mette in evidenza i difetti delle persone, sui quali ricama…. E’ risaputo che a comportarsi bene, non fa ridere nessuno.

. A l ò dmandè a cla dòna
. L’ho chiesto a quella donna.  L’ho chiesto a mia moglie.
Certi uomini avevano difficoltà a usare la parola moglie, perché sembrava troppo fine o perché il loro lessico era alquanto limitato. È abbastanza offensivo, per lo meno alla sensibilità femminile, essere appellate con un termine tanto generico! A meno che non vogliamo rifarci all’uso medioevale di mia donna – mia signora (madonna). Se così fosse, certamente chi lo pronunciava, non si rendeva conto di quanto il termine potesse essere raffinato!

. Ul dìs cla dòna ch’ai ò a cà
. Lo dice quella donna che ho a casa. Stesso significato di cui sopra, solo che c’è la specifica che è quella di casa (al pari di un oggetto). Come dicesse, quella che è a casa è la mia serva! (o voleva dire la mia padrona?).

. A cà su al cmanda la Frànza
. A casa sua comanda la Francia.  A casa sua comandano le donne o comanda la moglie. Non conosco il riferimento che ha dato origine a tale detto, ma sa tanto d’ironia. Pare però che in questo caso si voglia intendere che l’uomo le sia sottomesso.
La Francia è sempre stata una potenza e dalla Francia nel 1789 partì una grande rivoluzione sociale che si prefiggeva di realizzare libertà, uguaglianza, fraternità. Può essere questo il riferimento?

. L’è peina ed c’nomm
. E’ piena di smancerie. E’ riferito a una ragazza o donna che fa troppe smancerie, per farsi notare o perché ha troppi grilli per la testa. (C-nomm: la C si legge dolce come nella parola cera).

. L’è ‘na zinglàuna
. E’ una girandolona.  Le piace troppo stare in giro, fuori di casa.

. L’è ‘na giandèra
. E’ una ghiandaia. Facendo riferimento all’uccello, si mette in evidenza che è donna da poco, con pochi valori morali. La ghiandaia se le trova, si ciba delle uova degli altri uccelli e questa è una cattiva azione. Quella marina poi, è anche di passo, cioè migratrice, e come tale non mette radici; qualità giudicata all’ epoca negativa, se riferita a una donna.

. L’è ‘na zeng-na
. E’ una zingara. Va inteso come persona che non ama la stabilità della casa, ed è poco attenta all’ordine ed alla pulizia.
(Attenzione alla pronuncia, staccare le sillabe, come indica il trattino).

. L’è ‘na povra zavàja
. E’ una povera cosa. E’ una donna da poco e che non capisce molto.
Gli zavai, sono appunto le cose senza valore, le cianfrusaglie buone a nulla.

. L’è ‘na povra bagàja
. E’ una povera cosa.  E’ simile al precedente, ma sottintende che è donna anche poco seria.

 

I MODI DI DIRE PIU’ VARI

Quelli che seguono sono modi di dire, cui non sono riuscita a dare una catalogazione. Li riporto, così come mi sono sovvenuti.

. Ai ò un gràn magàn
. Ho un gran magone. Ho un gran nodo alla gola, sono molto emozionato.
Il magone è lo stomaco trituratore dei volatili ed è composto di un muscolo molto duro, quindi anche se cucinato, per deglutirlo, va masticato bene. E’ per questo che non va giù.

. Al fa al facuajoni
. Fa il finto coglione. Se gli conviene, fa conto di non capire.

. Al fa un gràn sgunbèi
. Fa un grande scompiglio. Fa un gran baccano, crea confusione.

. Al pér ch’ l éva tiré la mecca al can
. Sembra abbia tirato la micca al cane.  Mi ha porto una cosa molto sgarbatamente, trattandomi come fossi un cane.  La micca era un pane fatto con farine di vari cereali che, fino a tutti gli anni trenta del novecento, una volta alla settimana i frati distribuivano ai poveri del paese.

. Al srev méi ch’ i can i m magnéssen
. Sarebbe meglio che i cani mi mangiassero.  Espressione molto sconsolata di persona cui non ne va dritta una (è piena di disgrazie e di preoccupazioni). Morirebbe dilaniata, ma così avrebbe finito ogni pena.

. Al bacajarev anc pr al cùl
. Parlerebbe anche col culo. Se potesse, parlerebbe anche con il sedere.
S’intende dire che il soggetto, non è interessato a una tesi in particolare, qualunque argomento gli va bene, purché possa interferire e possa aprire la bocca.
E’ però interessante la differenza che c’è fra bacaier (vuol dire fare delle chiacchiere, sparlare) e dscarrer (vuol dire, discorrere, col senso di saper trattare un argomento).

. Al manda di lumén long da qué a lé
. Manda degli sputi lontani da qui a li. A volte i bambini facevano queste gare, ma erano soprattutto i fumatori di pipa e di toscano i campioni di questo sport cioè dello sputo in lungo.

. Al sà d létter
. Sa di lettere.  Si diceva di persona che sapeva leggere.
Se una persona leggeva spesso il giornale, era già uno che sapeva di letteratura o di lettere!

. A n ò meiga magnè al tàtt a mi médra!
. Non ho mica mangiato le tette a mia madre!   Non ho mica commesso una cosa sacrilega (la madre è sacra!). Mangiarle le tette, vorrebbe dire togliere il nutrimento a se stesso e ai futuri fratellini, quindi sarebbe cosa gravissima.

. A vàg dal giurnalèsta
. Vado dal giornalista. Ovviamente, vado solo dal giornalaio.
E’ un errore che è già diventato un classico della letteratura dialettale.

. A m’in sàn fat ‘na sbisachè
. Me ne son fatto una tasca piena. Può anche voler dire che se l’è fatta addosso.

. A m sàn spicé sòbbetAi ò fat in du e du quàter
. Mi sono spicciato subito – Ho fatto in due e due, quattro.  Ho fatto presto, ci ho messo il tempo che occorre per sommare due più due.

. A n stag meiga tant a zinquanter
. Non sto mica tanto a cinquantare.  Non sto tanto a tentennare.

. A sàn vgnù a man scrulòn
. Sono venuto a mani penzoloni.  Sono venuto a mani vuote, cioè senza portare nessun omaggio o un presente.

.Dal màil sanza gòssa u n n’è gnanc ònna
.Delle mele senza buccia non ce n’è nessuna. Niente è senza controiindicazioni

. Gira e frolla l’è sànper cal dscàurs
. Gira e frulla è sempre lo stesso discorso.  Gira e rigira, è sempre lo stesso discorso.

. I én tott cùl e patàja
. Sono tutto culo e camicia. Indica una frequentazione assidua, molto confidenziale e complice.
La pataia è la parte della camicia che va dentro i pantaloni.

. I àn sunè la tanplé
. Hanno suonato la tampellata.  Hanno suonato loro la tampellata, cioè hanno fatto una serenata, suonando con delle percussioni improvvisate, sul tipo del tam-tam. (In bolognese: maitinè) Era questa una serenata ironica che era eseguita percuotendo barattoli, bidoni, vecchi tegami, in onore (si fa per dire) di una coppia anziana che quel giorno aveva celebrato il suo matrimonio. Era quindi disarmonica e irriverente, nata da una tradizione stupida, che trovava sconveniente o ridicolo il matrimonio fra due anziani. La gente una volta era molto impicciona e spesso non si rendeva conto di essere anche cattiva.

. L à ancàura la bajòca sàura al blìguel
. Ha ancora il baiocco sopra l’ombelico.  Sta a significare che è ancora troppo giovane, per quello che si appresta a fare. Una volta ai neonati, per facilitare loro il rientro del cordone ombelicale, vi si teneva sopra, avvolta in un sacchettino di stoffa, fermato dal pannolino, una moneta di rame. da due soldi (dieci centesimi).

. L à al cùl drett
. Ha il culo dritto. Si dice di persona che si è indispettita e se ne va, molto eretta e impettita. Questa posizione fisica fa alzare i muscoli del sedere. Da ciò ha origine il detto.

. L’ à fàt tant ed chi cuncòn
. Ha fatto tanti di quei complimenti.  Si è fatto pregare molto prima di accettare. Si critica un atteggiamento gesuitico di rifiutare un omaggio o un invito, per poi finire, dopo le dovute insistenze dell’offerente, ad accettarlo volentieri. (Può tradursi anche con cerimonie)

. L avèva al brég ala cagarèla
Aveva le braghe alla cagarella. Aveva i pantaloni giù di cintura, scivolati sul cavallo, tanto che gli scendevano verso le ginocchia. Denotava poca cura nel vestire. A pensare che all’inizio del duemila, questa è diventata una moda, mi fa rabbrividire!

. L avèva un bél peppacùl
. Aveva un bel pippaculo. Aveva molta paura.
In termini figurati, vuol dire che il culo si apriva e si chiudeva (boccheggiava), come la bocca di coloro che fumando la pipa, l’aprono poi la chiudono per rilasciare il fumo, senza aspirarlo. In caso di paura diventa un movimento incontrollato.

. L è vtì comm un milurdén
. E’ vestito come un piccolo lord.  E’ vestito come un mylord .
Era nota l’eleganza che avevano i nobili inglesi (Lord). La parola Mylord deriva dall’espressione medioevale my lord, cioè mio signore.
Adattando la frase ai più modesti compaesani, mio-signore (mylord), diventa mio-signorino (milurden). E questo fa già sorridere.

. L’è a moj a snadrazér
. E’ a mollo a sguazzare.  Snadrazer, significa: muoversi come un’anatra in acqua. Sguazzare: sollevare spruzzi, giocherellare.

. L è un gràn sguazén
. E’ un gran godimento. In senso figurato, vuol dire: piacere, diletto.

. L’è vécia comm al còcc
. E’ vecchia come il cucco. E’ una cosa che ha fatto il suo tempo. Espressione che si usa anche in italiano.

. L’è sàurd cunpàgna a ‘na canpéna
. E’ sordo come una campana.  La campana può dare una sola nota, quindi non è in grado di rispondere con altre intonazioni.

. L’ è méi ch’la béda ai su prasù.
. E’ meglio che lei badi ai suoi prezzemoli.  E’ meglio che s’interessi del suo orticello, ossia
E’ quindi una cosa poco chiara. Si usa l’opposto per affermare un concetto.

. L è comm l’èva vént un térn al lot
. E’ come abbia vinto un terno al lotto.  Ha avuto una bella fortuna!
Il detto è usato come metafora nel senso di chi, con poca fatica, ha ottenuto qualcosa d’importante: lavoro, carriera, posizione sociale. Era anche detto a chi stava spendendo in modo che badi ai fatti suoi.

. L è un zavajon, al fa i quì ala Carlouna.
. E’ uno sciattone, fa le cose alla Carlona. Vuol dire far le cose o i lavori tirando via, cioè con poca cura. Sembra che la frase, usata anche in Italiano, tragga origine da alcuni poemi tardo-cavallereschi su Carlo Magno, per indicare che la sua semplicità a volta rasentava la dabbenaggine. Fare le cose alla Roi Charlon (detto alla francese), tradotto da noi in Carlone, voleva dire: farle all’antica, alla buona; proprio perché Carlo Magno, fu descritto come uomo di modi semplici e alla buona.

. L’è propri una repòbblica
. E’ proprio una repubblica.  Indicava una situazione di caos. Era un diffuso luogo comune. Quando eravamo governati dalla monarchia, si diceva che in una repubblica comandavano tutti, per cui non essendoci un unico punto di comando, si creava disordine.  Al contrario, si sosteneva, la monarchia con a capo un re era segno di stabilità (tralasciando di valutare se questi era un saggio o una carogna). In Italia, questo concetto, era ancora diffuso nel 1946, all’epoca del Referendum istituzionale. Per fortuna vinse la repubblica e non ci fu nessun caos!

. L è cèr comm al paciùg
. E’ chiaro come il paciugo.  E’ chiaro come la fanghiglia. inconsueto.
Il gioco del lotto era ed è tuttora molto praticato. Fare un terno, garantiva una buona vincita che, per gente con poche risorse, rappresentava un vero colpo di fortuna.

. L’è nèd cun la camìsa
. E’ nato con la camicia. E’ fortunato fin dalla nascita.  In questo caso s’intendeva che il soggetto era nato con la camicia della Madonna. Era così detta la membrana amniotica, con la quale alcuni bambini ne sono coperti alla nascita. Siccome non è una cosa frequente, era ritenuta di buon auspicio e quindi il bambino nato così, sarebbe stato fortunato, perché protetto dalla Madonna.

. L è un tintinbrìga
. E’ uno che tentenna a brigare.  E’ persona che tentenna, che è lento a decidere e a fare. E’ il classico Sor Tentenna, detto in italiano.

. L è un posapiano
. E’ uno che si appoggia lentamente.  E’ lento, nei movimenti ed anche nel lavoro.

. L è un gran avuchét
. E’ un grande avvocato.  E’ detto in senso ironico. Si dice di persona che vuol far credere di sapere tutto, interviene su tutto e parla dandosi importanza, come certi avvocati azzeccagarbugli.

. L è pìz d’un tribunél
. E’ peggiore di un tribunale.  Si usa in due modi: si dice di persona curiosa dei fatti altrui, che per imparare le cose, sottopone gli altri a interrogatorio, come fossero in tribunale.
Si dice anche di negozio molto caro: è costoso come sostenere una causa in tribunale.

. L è pìz che andèr ed nòt
. E’ peggio che andar di notte.  Va di male in peggio.  Anticamente quando le strade non erano illuminate, uscire di notte al buio era assai pericoloso. Poteva capitare di inciampare o cadere vittima di malviventi.

. L è suzést un quarantòt
. E’ successo un quarantotto.  C’è stato un gran subbuglio. Il quarantotto in oggetto è l’anno 1848, quando in Italia si ebbero diversi moti rivoluzionari che portarono capovolgimenti politici e istituzionali in diverse zone del paese, quali  . la costituzione della Repubblica Romana (con Mazzini) che cadde dopo tre mesi per l’arrivo delle truppe francesi. Il papa Pio IX era nel frattempo fuggito da Roma e riparato a Gaeta;
. la costituzione della Repubblica Veneta (con Manin), che poi ritornerà dopo poco tempo sotto gli austriaci;
. le cinque giornate di Milano, a seguito delle quali il re del Piemonte, Carlo Alberto di Savoia dichiarò guerra all’Austria; guerra che si concluse nel ’49 con un disastro. Questa fu la nostra prima guerra d’indipendenza.
All’estero non ci fu minor calma:
. In Francia scoppiò la rivoluzione della Comune di Parigi, e fu proclamata la seconda repubblica. . Carl Marx pubblicò il Manifesto dei comunisti che ispirerà i moti rivoluzionari del novecento.

. L è un factotum
. E’ un factotum.  E’ quello che si dà da fare e crede di potersi occupare di ogni faccenda. Quindi, si ritiene importante. Si pone al servizio di qualcuno in modo servile (vedi i porta borse politici).
Il termine è ironico e deriva da due parole latine fac (fai) e totum (tutto). Apprendo da un libro che fu diffusa da Beaumarchais nel XVIII secolo con la commedia Le Barbier de Seville e dopo dal Barbiere di Siviglia di Rossini, tratto dalla stessa commedia. Figaro è appunto l’astuto classico factotum: barbiere, cerusico, un poco ruffiano, furbo, ecc.

. Lu lé l è propri un inpiàster!
. Quello è proprio un impiastro! S’intende persona lagnosa, noiosa, pesante da sopportare. Solitamente l’impiastro era una preparazione medicamentosa, fatta con erbe medicinali. Ad esempio era applicato caldo, allo stato semi-solido entro una grossa tela, sul petto di una persona sofferente di bronchite, per aiutare il distacco del catarro. Siccome rilasciava umidità, per tenerlo si era costretti a stare stesi a letto e la cosa era noiosa. Da qui il senso.

. Mo, csa balùsed?
. Ma, cosa borbotti? Si dice a qualcuno che sta borbottando o parlando poco chiaro.
La frase dovrebbe derivare da: balus. I balus sono i marroni lessati, i quali mentre bollono, fanno: blo-blo-blo, cioè borbottano, perché sbattono gli uni contro gli altri.
A proposito della cottura dei marroni, si chiamano: i balus, quelli lessati interi; i castron, quelli lessati, previa castratura, con aggiunta di foglie d’alloro e una presa di sale; gli arosti, quelli cotti sulla brace, cioè le caldarroste.

. Mé a sòn da òv e da làt
. Io sono da uova e da latte.  Non parteggio per nessuna parte, non prendo posizione, mi va bene tutto.
La frase trae origine dagli organi riproduttivi dei pesci, che sono: agl’uvèr (le ovaie), per le femmine e i làt, (le glandole che producono gli spermatozoi), per i maschi.
Questi organi, nel pulire il pesce, si scartano entrambi, per cui successivamente non si riconosce più se era maschio o femmina. Quindi l’uno, vale l’altra. (L’unica eccezione si faceva per le aringhe sotto sale, i cui lat erano buoni di sapore e venivano mangiati assieme al pesce, mentre l’ovaio veniva scartato).

. Moh, val a tòr in cal sìt
. Ma, vallo a prendere in quel posto.  Mi sembra più che chiaro quale sia quel posto.
L’espressione era uno sfogo da parte di chi non ne poteva più di una discussione o di una situazione. Concludeva il battibecco. Le volgarità a mio parere, hanno senso se dette in dialetto, che è la lingua del volgo. Se dette in italiano, che è la lingua colta, mi sembrano invece una forzatura e un controsenso.
Perciò trovo stonato il moderno: Vaffan….. anche perché ne ribalta l’azione. In dialetto, l’azione è passiva per il soggetto in indirizzo, mentre in italiano diventa attiva! (la versione dialettale è quella più offensiva, ed è proprio quello che si prefigge colui che la dice).

. Moh, csa dìt Sumiclezzi!
. Ma cosa dici Liquerizia! Si dice a persona dai modi leziosi, privi di naturalezza, a un antipatico che si dà arie. Il detto deriva dal personaggio di una commedia di Fabbri (La mujer mata).

. Sta volta, l’è andè fora dal sparadèl
. Questa volta è andato fuori dallo sparadello. Questa volta ha passato la misura. Nelle scarpe cucite a mano, al sparadel, è il bordo esterno della suola, su cui è cucita la tomaia, di cui si vedono anche i punti fatti con lo spago. E’ il margine della scarpa. Le industrie calzaturiere lo chiamano: guardolo.

. Stèr dala pèrt di bton
. Stare dalla parte dei bottoni.  Si intende stare sul sicuro. perché il bottone è un oggetto, che ha anche valore, mentre l’asola è solo un buco.

. T am è béle fàt vgnir al làt al znocia.
. Mi hai già fatto venire il latte alle ginocchia. La tua conversazione mi sta annoiando: è sdolcinata e svenevole. Forse si sono allungate le tette fino alle ginocchia?

. T am è béle fàt vgnir mél ala tésta
. Mi hai fatto venir male alla testa.  Mi hai stancato a forza di parlare dello stesso argomento.
Ricodate quando lo diceva Ciro Galvani, ai clienti della Nuova Italia, che parlavano solo di calcio?

.Tott i sumàr bartén in èn brìsa dal stàss padràn
. Tutti i somari grigi non sono dello stesso padrone. Le apparenze possono ingannare

.U l à tiré pr al gabanén
. L’ha tirato per la giacca.  L’ha tirato per la giacchetta, cioè l’ha affrontato direttamente.
Era una frase particolarmente usata quando il creditore, affrontava il suo debitore, per avere il rimborso del prestito. Gabanen – è diminutivo di gabbana, casacca. E’ quindi usato come dispregiativo nei confronti del debitore, il quale possiede solo una casacca piccola.

. U l à tòlt a lé in dovv u s nés’ i mlòn
. L’ha preso li dove si odorano i meloni. Vuol dire che il tizio di cui si parla, non ha ottenuto quello che voleva.
L’espressione è un poco volgare. E’ noto che quando si acquistano i meloni, per capire se sono buoni e maturi, si odorano dalla parte opposta al gambo (cioè dalla parte del culo).

. U m à dett una moccia ed nòm
. Mi ha detto un mucchio di nomi.  Mi ha detto un sacco d’improperi. Mi ha offeso.

. U m à guardé ed bartòn
. Mi ha guardato di corruccio.  Mi ha guardato in modo urtato, risentito, storto.

. U i n à fàt piò che Cherel in Frànza
. Ne ha fatto più di Carlo in Francia.  Si dice di uno scavezzacollo, che ne ha combinate di tutti i colori.
Sembra derivare dalle gesta di Carlo Magno, ingigantite nei vari poemi cavallereschi dedicatigli.

. Us n è andè cun la cò str al ganb
. Se n’è andato con la coda fra le gambe. Se n’è andato come un cane bastonato. Sappiamo che il cane esprime, attraverso i movimenti della coda, i suoi stati d’animo. In questo caso è molto abbattuto.

. U n è gnànc dàggn ed lighérm al schèrp
. Non è nemmeno degno di legarmi le scarpe.  Vuol dire essere inferiore a un’altra persona, senza possibilità di paragone. E’ una frase attinta dal Vangelo di Giovanni quando predica “Verrà Colui che è più forte di me, al quale non sono degno di chinarmi a sciogliere il legaccio dei suoi calzari”.

. Us è calmé Napoleòn, t at calmarè anca te!
. Si è calmato Napoleone, ti calmerai anche tu!  Quando ti sarà sbollita la rabbia, ti calmerai anche tu.
Napoleone aveva conquistato mezza Europa e l’Egitto; da Generale era diventato Console e poi Imperatore. Fece guerra a tutti gli stati europei, vinse molte battaglie, ma l’ultima che perse (Waterloo) gli fu fatale. Fu costretto alla resa e mori prigioniero degli inglesi a S. Elena. Si calmò!

. Um fa vgnir al scramlezz
. Mi fa venire i brividi.  Mi pare che dire scramlezz sia una reazione cutanea rapida (si dice al singolare), dire i brevvid (plurale), si può intendere più ripetitiva.

. Um à fàt un buridàn
. Mi ha fatto uno rimprovero.  Mi ha fatto prendere paura delle future conseguenze che possono derivarmi da una cattiva azione fatta. Per esempio, mi ha dimostrato che la grave marachella commessa, può portare anche alla prigione. Più semplicemente una volta si diceva a un bambino: -Se non ti comporti bene, ti metto in collegio! Questo era già un buridòn.

. U m è sguilé vì comm un’anguélla
. Mi è scivolato via come un’anguilla.  E’ il classico caso del bambino preso, mentre compie una marachella ma che, con molta agilità è scivolato via dalle mani.
E’ noto che la pelle dell’anguilla è molto viscida.

 

A cura di Marisa Marocchi
TSM 2017