ERCOLE OTTAVIO VALERIO CAVAZZA

RACCOLTO DI MEMORIE ISTORICHE di CASTEL SAN PIETRO Volume 3°

Trascrizione a cura di Eolo Zuppiroli

Raccolto di memorie istoriche
di Castel San Pietro
Posto nel dipartimento del Reno sotto Bologna
compilato da me
Ercole Valerio Cavazza

Volume 3°, dal 1701 al 1775

Ci riputaressimo troppo manchevoli al dover nostro inverso la Patria, come di fatti lo saressimo con rossore, doppo aver fatto una laboriosa e lunga Raccolta delle cose anco più lontane, che ci è riuscito trovare della med. per il corso di cinque secoli, da che fu edificata, e succesivamente ampliata, se non perseguissimo la incominciata Carriera e non facessimo qualche copiosa Scrivenda che ci conporebbe la vicinanza dei tempi, in cui sono stati più fecondi di avvenimenti della medesima, accresciuta per la popolazione e per la solidità del fabbricato, di quello che in addietro abbiamo trovato.
Molto più poi essendo sollecitato da buoni cittadini, ed onorati amici a continuare la narrazione, sul riflesso, che non è da uomo degno incominciare, se non si persevera fino alla fine, ci siamo però indotti alla continuazione di scrivere le altre memorie successive alle già notate ne cinque libri del nostro Raccolto. Ripigliata quindi la penna, eccoci amico leggitore al fatto. Scriveremo adunque le giornaliere vicende fin che Dio ci lascierà vita.
Per non essere poi avido, e siacchè vole, in questa nuova briga, trascriveremo ancora, alle opportunità, gli avvenimenti mondani che crederemo luminosi, li quali se non avranno in tutto influenza in questa fatica, saranno almeno di piacere, come giova credere a quelli che saranno amanti di altre cose aliene e loro saranno di un qualche barlume a schiarire ciò che, per la trascuranza, fosse tralasciato da molti. Segnaremo ancora le minutezze che ci capiteranno, le quali, se le omettessimo, potrebbero una qualche volta lasciare in dubbio il fatto, l’origine del quale ne nascesse da un punto vile d’onde poi rimanesse offuscata la narrazione del medesimo.
Appoggiati in questi sentimenti avrà dunque il suo principio il nostro racconto delle patrie cose di Castel S. Pietro il giorno primo di genaro 1701 che sarà il sesto secolo dalla edificazione del med. prevenuto dal Console Pier Andrea Vanti.

(1701) Preso il possesso del Politico Governo il primo genaro 1701 il novo Consolo Pier Andrea Vanti fece tosto accomodare la serratura della porta superiore del Castello d. porta Montanara. Nel tronco della Torre che vi era sopra, vi fece fare il il quartiere per il portolano.
Era già stata intimata fra la scolaresca, come l’anno scorso, la barufffa delle palate di neve, ma perché questa veniva spalleggiata da tante proteste per l’una e l’altra parte e si prevedeva un disordine, fu fatto un ricorso al novo Podestà Marsili affinchè esso prevenisse e riparasse allo scandalo e rumore che si meditava e machinava, tanto erano accesi gli animi di partito, a quali non più si dava il nome di Borghesani e Castellani, ma di Tedeschi, e Spagnoli, per le nove cominate guerre fra le potenze.
Egli per ciò, mediante Grida, avvalorata dalla participazione del Legato, intimò a chiunque del popolo e scolaresca la proibizione di ammutinarsi per le pallate di neve sotto pena alli ragazzi della sforza publica, ed alli provetti e uomini della carcere ad arbitrio del Governo, secondo la qualità del fatto. Ciò non ostante si fucinava, ma la Legazione alli 7 di febraro, giorno di lunedì, mandò fuori la sbirraglia, che dimorò quivi a tutto li 8 d. ultimo giorno di Carnevale; ognuno stette in dovere e nulla per ciò accadde.
Il papa, che vedeva le inimicizie tra le Corone, temendo di molestie ne suoi stati, ordinò ad ogni miliziotto nazionale della provincia bolognese star preparato. Indi ordinossi assoldar genti di fanteria, e cavallaria per spedirla occorrendo alla Guardia dei confini di Lombardia. Dichiarò li capitani ed altri ufficiali per d. diciotto Compagnie di fanteria, composte di 200 uomini per ciascuna, e quattro compagnie di Dragoni a cavallo di 150 uomini per ciascuna, mentre che di queste parti venivano li francesi contro li imperiali.
Li 17 marzo, giorno di Pasqua grande, cominciarono a vedersi in esercizio li nostri miliziotti e così le due seguenti feste furono fatte le Rassegne. Allo spirar di aprile il Papa elesse per Sergenti maggiori delle truppe assoldate per le frontiere bolognesi, e ferraresi il Conte Luigi Paolucci fratello del Cardinale di Forlì, ed il Cavaliere Francesco Mussimi.
Le Rogazioni che furono li 1, 3, 4 maggio furono più vote a tal segno che non si potettero fare le solite processioni, si trattenne per ciò la Imagine di Poggio in Castello fino alla Domenica sera 8 d.
Li giorni seguenti 9 e 10 correnti, li dragoni del Papa dalla parte di Romagna, che in gran numero arrivarono a Castel S. Pietro ove pernottarono, il di seguente 11 partirono per Forturbano.
L’Imperatore mandò poi la sua truppa in Italia per farsi riconoscere nella Lombardia signore ereditario di tutto lo stato di Milano come feudo spettante alla casa d’Austria, il quale si pretendeva da Filippo V Re di Spagna.
Adì primo lulio entrò Podestà di Castel S. Pietro il Conte Francesco Albergati e Consolo Giacomo Landi, estratto li 24 Giugno scorsi.
E’ da notarsi in questo loco, per lume della cosa che noteremo a suo luogo, come essendo morto dieci anni sono Alessandro Pichi duca della Mirandola lasciò quattro maschi, il primo dei quali avea nome Francesco, il secondo Galeotto, il terzo Pio, ed il quarto Lodovico, che poi fu fatto prelato da Innocenzo XII. Francesco primogenito, vivente il padre, prese in moglie una Borghesi, dalla quale ebbe un fanciullo. Fra non molto morì il padre e lasciò tutrice e curatrice del duchino fanciullo Maria Alessandra zia del med. fanciullo e sorella respetivamente del defunto padre di questo.
Insospetita ella che li zii Galeotto, Pio e Lodovico macchinassero la morte del fanciullo col veleno, esiliò dalla Mirandola li zii Galeotto e Pio, col miserabile assegno di trecento scudi annui per ciascuno secondo il testamento paterno.
Dalla calunnia si diffesero bravamente con scritture legali, che furono per ordine pontificio date alle stampe.
Li due fratelli Galeotto e Pio stettero lungo tempo in Bologna, e Lodovico passò in Roma ove fu coperto di manteletta. Galeotto, non potendo figurare da quello che era in città, passò in villa presso di S. Giovanni in Persiceto e l’altro rimase in Bologna ma per poco, di dove andò presso il fratello Lodovico.
Stanco Galeotto di abitare in villa, dove godeva poca salute per l’aria che non le conferiva, venne a Castel San Pietro, ove si stabilì l’ultimo venerdì di dicembre 1701 in casa del Senatore Calderini. dimorò in questa abitazione poco, poiché acquistata una casa nella piazza di Saragozza ora detta di S. Francesco nel nostro Castello, ivi la si fabbricò a suo talento, ove in essa finì poi i suoi giorni pacificamente, come a suo loco riferiremo.
In frattanto la cappella della Compagnia del Rosario, che trovavasi mal conservata nelli coperti e minacciavano ruina in modo che era pericoloso l’andare anco sopra la volta, e ciò in grazia della lite passata tra il parroco e la Comunità per il campanaro ed orologiaro pubblico, stante che questi qualvolta voleva accedere alla torricella dell’oriolo posto nella facciata della chiesa nell’angolo sopra il cemeterio, conveniva prevalersi della strada sopra li volti del Rosario, il che dispiaceva molto al Paroco e perciò picava colla Comunità.
Furono perciò fatti ristorare li coperti da Mess. Pier Antonio Cavazza mio avo paterno, in questo tempo depositario della Compagnia. In tale contingenza, come si ritrova nelle memorie di mia familia, fece egli a proprie spese le graticole o siano ramate alle finestre della stessa capella per riparare a questi inconvenienti che tallora accadevano. Le spese di questa beneficenza ammontò a lire centocinquanta di Bologna.
La tassa poi a cui erano sottoposte le familie del paese per li morti, la quale dalla insaziabile avidità de capellani dell’arcipretale era corrotta ed alterata nel numerario, in guisa che li contadini declamavano senza verecondia, onde perciò furono avvanzate istanze all’Arcivescovo, il quale moderò la spesa delle funeriare e le offerte ancora introdotte come si rilleva nell’archivio parochiale e comunitativo.
Sul terminare di settembre, come lasciò scritto nei suoi ricordi Pietro Gordini, venne una foltissima e puzzolente nebbia, donde le creature fuggivano il conversare assieme; durò 48 ore ed in fine si convertì in una brina che produsse molto freddo.
Terminata la Imbustazione de Consiglieri e rinovata, fu nel giorno 22 dicembre, secondo il consueto, estratto Consolo per il venturo primo semestre Giacomo Landi uomo di bona riputazione.

(1702) Incominciando l’anno 1702 entrò Podestà il Conte Nicolò Calderini e Consolo il perito Giacomo Landi, l’uno e l’altro per il primo semestre.
Il fine di carnevale, che doveva compiersi con bagordi, fu consacrato da questi P. P. Cappuccini alla pietà e devozione del B. Felice da Cantalice del loro ordine mediante novena ed esercizi spirituali per ottenere da Dio la pace fra le potenze belligeranti, cosichè al di primo marzo giorno delle Ceneri si cominciò la penitenza universale nel paese ed il di 3 d., primo venerdì, la compagnia del SS.mo scoperse il suo miracoloso Christo con intervento di molte persone, e la sera si diede col Venerabile. la benedizione al popolo, prosseguendosi così li altri venerdì fino all’ultimo.
Al principio di maggio venne a C. S. Pietro il P. M.ro Bonifacio Cavichi dal Finale, provinciale delli Agostiniani, dove essendo priore il P. Muzzarelli accenato, fu confermato per un biennio. La chiesa di questo convento essendo a cattivo stato ridotta, fu fatta ristorare nelli coperti, e sopra l’altar maggiore dove era un solo baldachino fu fatta celare.
Le rogazioni M.V. di Poggio,che caddeva nelli giorni 22, 23 e 24 maggio furono più brillanti degli anni addietro quantunque la Compagnia di S. Cattarina avesse cessato di intervenirvi, mentre tali processioni, essendo in armi li miliziotti del paese, per le ragioni sopra addotte, furono sempre accompagnate da militari.
Dal Lib. babtizator. di questa arcipretale nel corrente semestre si hanno puerperi mostruosi, fra i quali uno venne alla luce da Laura Serantoni, moglie di Giovanni di Prospero Marchetti, che partorì un fanciullo di corpo duplicato con un sol capo, il quale appena avuta l’aqua battesimale ne morì li 22 giugno ad ore 12 italiane, in loco detto: la Comella, fondo del dott. Bartolucci Francesco. Aveva il nascente quattro piedi, due culi, due menti, quattro mani ma una sola faccia, ed un solo ombelicolo.
Altro pueperio seguì li 24 giugno, secondo le memorie che abbiamo dalla familia di Piero Vergoni, fu Olimpia Mazzucchelli, moglie di Stefano Lanzoni, partorì una fanciulla che invece di capo umano l’avea di pesce tenca e nella schiena era tutta spaccata, onde morì tostamente senza l’acqua battesimale per non avere capo umano.
In questo tempo trovasi matrimoniato il Dott. Giuseppe Arighi, famiglia civile del Paese, colla gentil Donna Rosalia Mastrosilani bolognese, fu medico di qualche grido. La sua morte, ed il dove , non si trova segnata in questi necrologi patriotti.
Lo stesso giorno 24 giugno fu estratto Consolo Giovan Paolo Fabbri, che al primo giorno di lulio secondo semestre cominciò a governare col novo Podestà conte Giacomo Filippo di Camillo Bargellini, nelle cui mani il suo antecessore Nicolò Calderini, che quivi soggiornava nel suo palazzo, dimise la carica
Il P. Flaminio da Roma M.M.O.O. scrittore delle cose del suo ordine, riferisce nelle di lui memorie L. 1 fol. 282 come nel terra di Corte Maggiore territorio di Cremona, essendo guardiano nel convento di S. Francesco di quel luogo il padre Benigno di Castel S. Pietro, ove essendosi reso celebre il colegio denominato di S. Elisabetta, che poi fu comutato col titolo della nova chiesa in quello dell’Immacolata Concezione, si adoperò tanto questo degno religioso, chiaro per la sua pietà nella Religione, il di cui casato ci tace, ed a noi non è potuto riuscire scoprirlo per qualunque diligenza fatta, che fu cominciato senza appoggio di alcun sussidio il convento monacale del di lui ordine. Imperciochè tre pie donne infervorate dall’amore di Dio e della divozione a S. Francesco, cioè Claudia Cattarina Romani, Anna Chierici, ed Anna Maria Ferrandi di lei nipote nel di 29 giugno avuto ricovero da Andrea Ajli medico di quel luogo, si stabilirono tutte e tre entro il med. ricovero.
Quivi unite non mancavano, come bone serve del Signore, inportunare giornalmente il P. Benigno loro confessore e padre spirituale per vestire l’abito relligioso di S. Francesco. Fu sempre restio il P. Benigno, ma provata la forte costanza delle pie donne, si arrese finalmente alle loro fervorissime brame. Di esse prese assai cura e, di terziarie che erano vedendo la loro fermezza, le concesse l’abito regolare, del quale egli le vestì solennemente nella chiesa dei frati Minori del d. convento il dì primo Maggio annno seguente 1703.
Credo formarono ivi un colegio, ove li 18 maggio poi 1705 accettarono dal d. frate alcune Regole, e Costituzioni. Morì ivi fra non poco il med. P.Benigno più per la grande consolazione spirituale, che per difetto di sua persona, essendo uomo ben complesso.
Tutto quel paese, ammirando in questo uomo spettabile una condotta esemplarissima, et edificante da vero religioso, lo riputò poscia sempre nella sua predicazione per un apostolo spedito e collocato ivi in quel paese dal Signore a vantaggio di quella nazione. Nella chiesa poi di d. novo conventino, al quale vi si aggiunsero altre pie donne, fuvi apposta la Memoria, della quale l’istorico lodato, punto non ce ne parla, perché forse appostavi doppo la pubblicazione alle stampe delli suoi
racconti Istorici, la quale a noi ci è pervenuto mediante relligiosi patriotici, che è del seguente tenore:
Deo Optimo Max
Divoque Patri Francisco
Collegium istud edificav.
Primordia habuit
Anno MDCCIII
Favente Andrea Ajli Medico
nec nom.
P Benigno a Cas. S. Petri
Bononiae
Voglia il cielo che questo monumento sia rimasto illeso dalle soversioni delli cose antich, per la rivoluzione della Francia che si è impadronita di tutta l’Italia cattolica, mentre tanti monumenti di antichità, e così graziosi se ne sono andati ruinati ed abbatiti ancora.
Matteo di Nicolò Rondoni li 13 Settembre fu ucciso da archibugiate in questa sua Patria per causa di amori. Cecilia Andrini di lui madre trasportata da un impeto disperato si gettò tosto in un pozzo ma fu tosto ripresa, e salvata per poco tempo di vita.
Li 15 ottobre Ottaviano qd. Francesco Cavazza mio proavo finì in patria li suoi giorni e fu sepolto nella capella del Rosario.
La lite coll’arcivescovo riassunta dalla Comunità in Roma per la nomina del paroco fu proposta in Rota coram ab ulmo; fu ponente Mons. Cassarelli. L’esito fu passivo alla Com.tà a motivo delle tante rinuncie fatte dalli parochi pro tempore senza avere questi mai optato e messo le mani, ma lasciato il pieno potere alli vescovi. Tal lite fu agitata prima, ma con esito simile nel vescovato di Bologna.

(1703) L’anno seguente 1703 entrò Podestà il primo semestre Francesco Sampieri ed il Consolo estratto Pier Andrea Vanti prese il possesso del suo Officio.
Il terremoto cominciossi a far sentire anco nel bolognese, per questo motivo e per alcune torbulenze nate in Roma, ove nel palazzo pontificio fu ucciso Monsignor Zeccadoro e per le guerre presenti, il giorno 28 genaro fu a vista sospeso il carnevale, che si faceva in Bologna mediante un rigoroso editto estensivo anco al territorio, mediante il suono delle campane pubbliche.
Le differenze bellicose fra la Spagna, Principe di Vardano, Duca di Mantova, Parma e Piacenza da una parte e dall’altra li francesi per il ducato di Modena agivano con calore ed agitavano la quiete universale. Questi ultimi si inoltravano nel bolognese e nel giorno 3 marzo cominciarono a danneggiare la campagna per avere pane, vino, biade, ed altro che le abbisognava senza pagamento.
Misero in non poco timore le città. Vennero perciò a Bologna Monsù Albognat e Monsù Gobbò francesi. Trattarono col legato Adda. Esso per quietarli le diede molte milla corbe di fieno e foraggi. Non per questo si credette alle loro promesse, poiché facevano le sue truppe lo stato di prima. Si misero in seguito le guardie alle porte della città, ai Monti di Deposito e Pegn, e si facevano girare le pattuglie. Furono avvertiti anco le Castella del Bolognese per stare in guardia contro li rapitori e saccomanni; oltre le robberie affrontavano anco le persone, massime le donne.
Nel nostro Castello le ragazze più povere ed abbandonate la sera venivano rinchiuse nell’oratorio di S. Catterina, di dove non sortivano che ad alto sole.
In questo tempo fu fatto guardiano del convento de Cappuccini di Budrio il P. Giacomo Cavazza di Castel S. Pietro come si riscontra dalle vachette delle messe di quel convento, ove esso si soscrive da C.S. Pietro.
Non si comprende come in altri monumenti della Religione di Bologna venghi chiamato da Bologna, egli è un mistero. Conviene sospettare che questo uomo avesse qualche particolare prerogativa e perciò li bolognesi lo facessero suo come usano di tanti altri. Di qual casato fosse non lo troviamo nelle nostre carte.
Il dì primo luglio investi la carica di Podestà di C.S.Pietro il Co. Prospero Castelli , quella di Consolo Giuseppe Rinaldi.
Il terremoto si faceva sentire molto, e in ogni loco si facevano orazioni. Nel nostro Castello li M,M.O.O. li 24, 25, 26 lulio ad onore di S. Francesco Solano fecero un triduo di penitenza.
Accadde in questo periodo un prodigio di S. Antonio da Padova nelle vicinanze del Castello nella persona di F. Angiolo Tinti nazionale del med., detto F. Fico per la appetenza che aveva a questi frutti. Abitava egli a Monte del Re di che veniva in questa sua patria per fare provviste all’occorenza per il convento. Tenendo egli perciò un giorno la strada più breve per venire a Castel S. Pietro col transitare il Silaro appreso la Chiusa, quand’ecco trovandosi in mezo al med. improvvisamente le sopravenne una piena d’acqua, che non potendo colla giumenta che cavalcava ressistere all’impeto, cadde l’una e l’altro in mezzo all’acqua; la bestia andossi smarrita, il frate vedendosi perduto dalla forza della corrente non mancò di invocare il suo santo protettore S. Antonio da Padova.
All’invocare del Santo ecco che cominciò il meschino a galleggiare sopra l’acqua, dibatutto ora da un onda ora dall’altra, che trasportavalo a suo volere. Crebbe nel frate l’ardore della preghiera chiamando il Santo ad alta voce in soccorso. Li spettatori non potendolo soccorrere, aggiunsero essi pure le loro preghiere al Santo. Fu tale l’ardenza e fede nel Santo, che da una mano ignota si sentì prendere il frate la veste e trasportarsi sopra la spiaggia del fiume dalla parte di ponente contro il primo parapetto del canale poco lungi dalla chiusa, ove lo lasciò semianime.
Li vicini abitanti del fondo Fornacetta, già delli P.P. Gesuiti, che erano accorsi a vedere di ajutare l’annegato, videro ancora il prodigio e quindi si accostarono al semivivo, lo presero in braccio e lo si portarono in casa, ove vomitata infinita arena ed acqua, ajutato dal calore del foco, si rimise in forza. Attribuì il frate questo prodigio al suo avvocato S. Antonio narrando ciò che si è detto finora.
Ne fece in seguito stampare la Relazione del Miracolo più diffusamente per glorificare il suo Avvocato e perchè di questo luminoso fatto ne restasse non solo memoria a posteri, ma ancora per sempre vieppiù provocare la Divozione al Taumaturgo da Padova, fece in appresso erigere un bellissimo pilastro di mattoni nel luogo appunto ove fu trasportato il di lui corpo miracolosamente su la sponda del fiume. In quella vi fece apporre una piccola statua entro nicchia assicurata da serrata, prespiciente la corrente, onde anco ai transitanti la corrente in avvenire potesse servire di ajuto, e ramenovare ai fedeli la protezione del Santo acciò scampare la morte nel transito dalle fiumane inaspettate.
Nel med. pilastro si fece incastrare una cassetta onde riporre le offerte di elemosine per vieppiù glorificare il Signore mirabile nei suoi santi; sopra la quale cassetta vi fece anco aggiungere le seguente informazione incisa in macigno, la quale si legge a caratteri romani majuscoli
Tamquam Prodigium factus sum multis.
Ego F. Angelus Tinti Min. Con. S. Francisci
et tu Adjutor fortis anno D.ni 1705
A questa statua, e pilastro cominciossi dappoi dalli nazionali, ed oppidani di Castel S. Pietro farne la visita devota la seconda festa di Pasqua di Ressurezione, la quale tuttora con concorso di popolo divoto si mantiene e si si eseguisce il doppo pranzo, che sono in punto anni novantasette del 1700 scaduti.

(1704) L’anno seguente 1704 fu Podestà per il primo semestre il Conte Orazio filio del Conte Costanzo Orsi e Consolo Giuseppe di Sabbatino Ronchi.
Usava la Compagnia anco in virtù de suoi statuti dispensare alle citelle del paese alcune doti, le quali essendosi sospese nelli anni passati, furono in quest’anno novamente messe in uso colla diversità di darla alle filie de soli confratelli.
Dispiaque questa privativa alla popolazione; ne avanzò per tanto la sua lagnanza all’arciprete. Presentò esso prontamente questa doglianza alla Compagnia, ma senza frutto. Si diresse il popolo all’Arcivescovo, il quale in seguito impose al paroco presentarsi novamente alla congregazione ed intimarle a nome suo la sospensione di tali doti fino a novo ordine. Sentì con dispiacere la Compagnia un tale annunzio, per il quale appresso naquerò sconcerti, che secondo l’ordine del tempo nararemo.
All’entrare di lulio, occupò la carica di Consolo Pietro Gardini e quella di Podestà il Cav. Battista Antonio Cospi.
Li 9 novembre morì Giulia Marescotti moglie di Pietro Andrini ambi di Castel S. Pietro, fu sepolta in parochia, la madre Giulia era della casa Maltarelli, che fu poi denominata Marescotti collo spogliare il primo cognome a motivo che abitava alla locanda della Marescotta nella strada romana che da questo Castello porta a Bologna.
Per questo accidente di comutazione di cognome ne vennero in seguito a giorni nostri questioni civili fra questo nuovo casato e quello de nobili Marescotti di Bologna, tanto più che la sud. famiglia intese portare lo stesso stema di nobili, che non è nostro impegno narrarne qui l’esito.
Morì medesimamente in questi giorni Lorenzo del fu Giovanni Ferlini familia una volta ricca di C. S. Pietro, che lasciò un filio unico per nome Giuseppe, che per le sue infelici circostanze spatriò e stabilì casa in Bologna esercitando li arte di sartore, ove ha filiolanza fortunata, come si è narrato.

(1705) Nel seguente 1705 adì primo genaro entrò Consolo Giovan Battista Fiegna e Podestà fu Giuseppe Antonio Conte de Bianchi.
Veniva la compagnia del SS.mo provocata, e benespesso travagliata dall’altra compagnia di S. Catterina per le preminenze e puntili di anzianità, alla quale non potendo far fronte si per la forza pecuniaria si per li appoggi che aveva, si rivoltò perciò al Conte Cornelio Malvasia Cavaliere di grande stima nella città, come quegli che la maggior parte dell’anno villeggiava in Castel S. Pietro e lo impegnò in guisa che pose qualche freno alla compagnia avversaria e colle buone e colle minaccie ai capurioni di quella, essendo anco manesco alla opportunità.
Li 13 febbraro in Bologna fu ammazzato Giovanni di Paolo Giorgi negoziante di grane di Castel S. Pietro, essendo egli fornitore di formenti per il Senato per il quale si trovava in Bologna. Ciò seguì la sera, col favore della oscurità notturna, essendo in porta per andarsene a casa. Il malfattore che l’ucise con due archibugiate non si potette scoprire se non dopo lungo tempo, che fu un ciabattino che morì nell’Ospitale di S. Orsola.
Fu il med. Giorgi, uomo di probità ed esente da monopoli nel traffico di grani. Si credette che tale morte fosse originata dalla malevolenza di fornari di Bologna e contrabandieri di Castel Bolognese trafficanti in grani.
Il P. Luca Dalla Valle dell’ordine di S. Maria dei Servi di Bologna, figlio di Elisabetta Santini e Pietro Dalla Valle, familie chiare di Castel S. Pietro che fra non molto si estinsero, non fu minore nelle prerogative religiose del di lui fratello Rev.mo P. Giuseppe dello stesso Ordine. Le di costui gesta si rincontrano dalli atti della Religione, a segno che il med., destinato da Clemente XI per generale dell’Ordine, vi usò il ministero nell’anno 1716 come dirò a suo loco.
Fu adunque il P. Luca di singulare attività nel suo convento di Bologna dove fece molti benefici al med. e alla sua chiesa, fra le molte cose operò che fosse risturata la capella dedicata a S. Pelegrino Laziosi, coll’apporvi il bellissimo quadro del Viani junior, chiaro pittore, spendendovi anco del proprio, e quantunque vi fossero aversari e contrari, egli, co’ padri discreti unito, ne ebbe dal generale P. Alemanno Laurenzi la decisione ed ogni facoltà per compiere questa sua idea, la quale fu eseguita maestosamente all’uso di questi tempi.
Fu egli cugino dell’onorato Giovan Battista Dalla Valle di Castel S. Pietro Not. nel quale si estinse il suo casato non avendo avuta alcuna filiolanza dalla di lui consorte Ginevra del capitano Valerio Fabbri, nella quale pure si estinse il di lui illustre casato.
Li 5 maggio morì Leopoldo primo d’Austria imperatore d’anni 64 nel di cui soglio successe Giuseppe di lui primogenito. Li francesi che guerreggiavano con l’Austria in Italia, pigliarono la Mirandola sotto la condotta del Duca di Veduno e cacciarono totalmente li pressidi de Pichi.
In questa azione militava sotto le bandiere francesi Giovan Battista Pirazzoli di Castel S. Pietro in qualità di Capitano. Nel saccheggio che fu dato a questa fortezza e città guadagnò d’assai, d’onde a guerra finita ritornando in patria faceva pompa la di lui famiglia nelle cose preziose di perle e coralli , non che di gemme ed altre cose preziose.
Il teremoto che si era fatto sentire nel giorno 11 aprile scorso, giorno di Pasqua di ressurezione, replicò senza far male ad alcuno nelle Rogazioni di M. V. che cadeva li 18,19,20 corrente maggio.
Terminato il lavoro nella capella di S. Pellegrino Laziosi nella chiesa de Servi di Bologna, fuvi apposta la inscrizione nella quale si leggono le premurose azioni del nostro P. Luca Dalla Valle, la copia della quale noi qui trascriviamo per comodo del lettore de nostri scritti.
A. D. MDCCV Die XXVI Marti
Sacellum hoc
sacris olim Vatibus dicatum
quidem ex Virgine nasciturum Prophetam
SS superim devotionis consilio
B. Patri Pellegrino Laziosi foroliviensi
dicandum, ornandum, ditandum
roganti una cum R.R. P.P. diseretis
admodeni R. P. Magistro Alemano Laurenzi
Vener. huius conventus tertium
Cenobiarch.
illustrissimi D. D. Fratres
Andreas Senator et Ludovicus Petramellari
servatis servandis humanissiace indisferunt
hinc tenteria elegantiam situs expoliti fratres
hinc nova ad pietatem artif. super exposita tabula
penniculi vienei junioris egregius labor
molarique elaborata lapide coronata
illud R. P. Magister Luce Antoni a Valle
hoc vex. Pat. Stephani Carnoli impenso prelio
ad majorem Dei (…), reatigue viri gloriam
fieri curatum est
et majota pietas tampusque
dabunt
Li 24 giugno fu estratto Consolo per il venturo semestre Nicolò Gattia, che nel giorno primo lulio investì la carica del suo ministero, lo stesso fece il nuovo Podestà Caval. Giuseppe Foscarati.
Avutasi una scarsa raccolta fu stabilito il prezzo a Sc. 10 la corba il grano.
Divenuto provinciale degli Agostiniani Il P. Alfonso Miliari dal Finale, mutò tutta la famiglia di questo convento di S. Bartolomeo di Castel S. Pietro e dichiarò priore del med. il P. Carlo Biselli suo patriotto, il quale pose tosto riparo a quelli inconvenienti che vi erano di tante mangierie.
Li 2 dicembre morì nel convento dei P.P. cappuccini a Bologna il P. Angiolo Fiachi da Castel S. Pietro sacerdote di quell’ordine. Al med. glie ne abbiamo scritto un elogio particolare nella nostra raccolta di elogi alli uomini, e donne illustri di questo paese, onde perciò dirigiamo il lettore amante de nostri scritti a quell’opuscolo. Il Mortologio Cappuccino glie ne segna il seguente monumento: A. X.tis 1705 Bononiae admodum R. P. Angelus a Cas. S. Petri exprovincialis omni virtude praeditus, praeserim zelo seraphicae paupertalis, at singularis observantis clarissimus, animam Deo suavissime rediedit, Die 2 X.bris
Questo sacerdote fu uomo di santa vita, dalla divozione singolarissima allo Spirito S. in modo che alli ultimi aneliti, avendo chiusi i lumi, per la spirazione dell’anima e per lungo malo di una accrimonia in essi lungamente ed imedicabilmente sofferta, li aperse ad invocazione del Spiritus S. Deus e poi li chiuse nel Signore colla morte di uomo giusto. Vivente sostenne decorosamente le più luminose cariche del suo Istituto, fu da prima segretario, e poscia consultore del Rev.mo Pietro Macerata generale. Fu uomo di bell’aspetto, di maestà relligiosa, edificante, rispettabile, di singolari virtù fu adorno, e specialmente di bontà integerrima. Fra le altre virtù del di lui animo spiccò nella prudenza, che lo rese ammirabile e da tutti stimato. Fu più volte provinciale ed altre tre volte nella Provincia di Bologna. Governò sempre con applauso e soddisfazione universale e con vantaggio della sua religione. Da tutte quelle nazioni ove fu inviato veniva plausibilmente acclamato per Generale della Relligione cappucina. Tanta era la stima, che si era procacciato da popoli, ed il Ministero certamente non lo sarebe mancato se fosse andato alli Capitoli generali, ove veniva atteso. Di tante altre virtù spirituali poi fu adorno, che morì qual visse santamente nel Signore.
Li 24 dicembre vigilia del SS Natale fu ucciso Pietro qd. Antonio Martelli di C. S. Pietro ultimo della sua antica familia senza avere lasciato sucessione, Abitava in Castello. L’omicidio accadde nell’osteria della Corona con archibugiata che lo lasciò esangue.
La pia unione di alquanti devoti a S. Antonio dal foco, al quale annualmente festeggiava il suo giorno, bramosa di avere in pieno potere l’altare dedicato a d. santo nella arcipretale, ne avanzava di continuo la sua premura al piissimo arciprete D. Giovan Battista Nobili. Questi vedendo che giornalmente crescevano le offerte a questo santo non fu forte a frodare le intenzioni de devoti , anzi che per contestare la sua amorevolezza inverso questa devota unione di fedeli, che portava il titolo di Congregazione di S. Antonio Abbate e per vieppiù accrescere il culto a questo santo, condescese alla brama dei devoti e concesse loro l’altare dedicato al med.
Esisteva questi alla sinistra dell’ingresso maggiore dell’arcipretale, ove trovansi li confessionari sotto l’orchestra, avendo dalla parte opposta alla destra il fonte battesimale. Questa concessione egli fece sotto diversi Capitoli e Patti, li quali a minuta si riscontrano dall’unito pubblico rogito del Not. Ser Gio. Battista Dalla Valle celebrato li 24 dicembre in questo anno, il di cui tenore è il seguente :
Rilevasi da questo intro che tale unione aveva la sua dignità, ed officiali, onde perciò formava corpo.

(1706) L’anno poi che seguì fu nel primo semestre governato nella giustizia civile per il primo semestre 1706 dal Conte Francesco Ghiselioti, Podestà nell’economico da Vincenzo Benetti.
Trovavasi le mura del nostro Castello in malo stato di modo che in alcuni luoghi si scalava ed entrava facilmente e si usciva de essi, massime dalle parti di levante presso il torrazzo inferiore, e più oltre in faccia al primo abitato appresso le fornaci di pentole ove, per una lunghezza di quattro pertiche, dicevasi comunemente il Busazzo; diede perciò la Comunità la sua istanza al governo di Bologna, quale non fu sordo a farvi porre le mani, stanti molto già le turbolenze militari.
La Comunità per ciò vi fece il dovuto riattamento, né solo da questo canto accomodò le mura ma anco dall’altri parti ove abbisognava; spese perciò sc. 591: 2: 6: come ricavasi da consulti comunitativi, li materiali valevano poco in questi tempi. La calcina Sc. 7 il carro, le pietre Sc. 6 il migliaro. Oltre il riparo alle mura furono anco ristorate le seraglie alle porte del Castello.
La compagnia di S. Cattarina, essendosi rotta la campana che aveva sopra la chiesa, si approfittò di questa occasione di inalzarla ad uso di campanile il suo loco onde sonarla altamente; spiaque ciò al paroco onde ne naquero dissidi in guisa che convenne all’Arcivescovo porvi le mani, e fare atterrare il novum legus.
La campana perciò, rifusa dal famoso fonditore imolese Francesco Landi, rimase così per alquanti mesi inoperosa, onde perciò, infraposti comuni mediatori e salve le convenienze parochiali, fu collocata al novo posto destinato.
Il Pontefice per le calamità che affligevano li suoi stati, bramando placare l’ira di Dio, fece pubblicare una indulgenza in forma di Giubileo; il 1 febraro si pubblicò per tutta la diocesi di Bologna.
Il chirurgo Sacomandi stipendiato dalla Comunità di Castel S. Pietro, essendo molto aderente alla casa nobile de Marchesi Locatelli in contraposto delli Conti Malvasia parimenti nobili di Bologna, le quali familie villeggiavano la maggior parte dell’anno in questo Castello, fu fatto bastonare di notte tempo per ciarle rapportate non si seppe da chi.
Questo fatto portò serie conseguenze su le suddette familie nobili, al segno che li 5 maggio sull’ora del meridio, in giovedì, in Bologna da S. Salvatore seguì gran contrasto con le spade fra il Conte Giuseppe Malvasia e Marchese Pier Luigi Locatelli ultimo maschio di questa familia nobile. Sopragiunse a tal contrasto il senatore Gianbeccari e tanto si adoprò che, amoliti li animi, fu separato il cimento e perché tale contrasto era accaduto a motivo delle sud. bastonate, fu perciò spedita Cavalcata a C.S. Pietro, ove vi sostò fino alli 12 d. a spese del Conte Malvasia. Di dippoi si prossegui ancora la processura essendo condotti a Bologna molti testimoni.
La Compagnia della Morte di Firenze che era stata alla S. Casa di Loreto per la parte di sopra, ritornandosene a casa col suo X.sto miracoloso, composta di molti nobili fiorentini, giunse a C. S. Pietro il giorno 23 corrente maggio, quivi raccomandata dalla casa Calderini e Malvasia, familie senatorie di Bologna, alla Compagnia del SS.mo SS.to fu dai confratelli ricevuta con tutti gli onori, e collocato il X.sto nell’oratorio.
Partì la mattina seguente, 24 maggio, per Bologna, dopo aver dato la benedizione al Popolo concorso tanto nell’oratorio quanto nelle piazza pubblica e finalmente nel Borgo, dove fu poi riposta la imagine nella sua custodia.
Li 4 giugno venne a C. S. Pietro alla visita del convento di S. Bartolomeo il Provinciale delli Agostiniani P. Giuseppe Maria Gandolfi bolognese, quale dopo avere ripristinato alcune regole se ne passò nella Romagna.
Li 12 d. il Papa dichiarò suo mastro di camera Monsig. Pico fratello del precitato Duca Galeotto e li 16 lulio fu dichiarato Patriarca di Costantinopoli.
Nel successivo lulio 1706 entrò Podestà di C. S. Pietro Girolamo Guastavillani e Consolo Lorenzo Costa.
Avendo li 16 lulio corrente, come si accennò, il Papa dichiarato Patriarca di Costantinopoli Monsig. Lodovico Pichi, in Castel S. Pietro si diedero segni di gioia, indissero li P. P. Francescani le due feste di S. Giacomo ed Anna.
Tale dimostrazione fecero per che si era pressentito lo stabilimento del duca Galeotto, suo fratello, in Castel S. Pietro, il quale era amantissimo dell’ordine francescano abitando in questi giorni nel convento di S. Francesco di Bologna.
Presentandosi l’avvicinamento delle truppe Imperiali dal ferarese nel bolognese, furono fatti marciare in quelle parti li nostri soldati di Castel S. Pietro sotto la condotta del Capitano Valerio Fabbri, onde li 28 d. si innoltrarono li imperiali con qualche baruffa, onde convenne alli nostri ritirarsi nelle positure sicure dalla parte della Molinella.
Ciò nonostante non mancarono li nostri soldati andar travagliando li picchetti avanzati di tedeschi con fucillate; ascendevano anco li arbori e con archibugiate battevano morti li tedeschi, che scoprivano smembrati il corpo. Li tedeschi perciò divertirono da questa strada ed andarono dalle parti del Finale per venire direttamente a Bologna per la parte di Modena ove era il principe Eugenio con tutta la Generalità, e Stato Maggiore.
Li 16 settembre il Papa dichiarò Legato di Bologna Il Card. Grimaldi.
Li 31 ottobre la Serenissima Gran Duchessa di Toscana sotto nome di Contessa di Pitigliano venne da Faenza a Castel S. Pietro, nella quale si era stata ad allocarsi colla Serenissima Eletrice di Baviera. In Castel S. Pietro fu ricevuta da molte dame e cavalieri bolognesi, ove preso rinfresco nel palazzo Malvasia, fu trattata nobilmente col numeroso seguito la mattina poi la sera partì per Bologna.
Doppo la questione seguita nel maggio scorso fra il conte Malvasia e il marchese Locatelli, rimase il primo in contumacia criminale per le percosse praticate al chirurgo Saccomandi di questo Castello. Ne conseguì in appresso la grazia. Pagò per ciò li 10 novembre scudi settanta che furono applicati alla Compagnia de Mendicanti.
Li 15 del med. mese la Serenissima Elettrice di Baviera, essendo stata alla S. Casa di Loreto venendo a Bologna, fu complimentata in Castel S. Pietro da molta nobiltà bolognese, che l’accompagnò a Bologna. Fra li nobili deputati dal Reggimento vi fu il Marchese Filippo Bentivoglio e il conte Giuseppe Malvasia che la ricevettero al Borgo.
Li 22 d. sabato mattina partì di Bologna il Card. D’Adda Legato accompagnato dalla nobiltà, e popolo con eviva per il suo ultimo governo. Nel passaggio da Castel S. Pietro riscosse simile applauso, ove lasciò per la povertà scudi ventiquattro romani d’oro a questo arciprete per farne a quella la dispensa.
Li 27 novembre su le ore 16 italiane l’E.mo Cardinale Legato Nicolò Grimaldi, venendo di Roma a Bologna per la strada di Loreto, fu incontrato alli confini di Castel S. Pietro colle solite cerimonie di giuramento, colla guardia di cavalleggieri, senatori Conte Girolamo Bentivoglio, Conte Pompeo Ercolani, ambasciatori per il Senato, li quali a nome pubblico lo banchettarono in questo Castello nel palazzo Locatelli e poi la sera se ne partì per Bologna.
Il di ultimo di dicembre questi Capuccini nella loro chiesa fecero solennemente il ringraziamento instituito per compleano, avendo preventivamente fatto un bellissimo discorso il Dott. Gio. Battista Nobili arciprete al popolo, dopo aveva il di lui capellano fatta la funzione consueta nella parocchiale, fu cosa molto rimarcata dalla popolazione questa operazione, non intendendosi il Mistero della med.

(1707) Estratto Consolo per l’entrante anno 1707 Pietro Gordini, intraprese suo ministero. Fu Podestà Lorenzo di Battista Cospi; si scoperse l’epidemico nei bovini sul ferrarese.
A ciò si aggiunse il danno che recavano la truppe tedesche sul bolognese che alla campagna nel territorio andavano alle case, palazzi, ville, castelli a prendere ciò che le abbisognava a forza con estrema ruina dei Particolari.
La campana mezana del Comune si ruppe nel di 2 marzo, a rifonderla vi volle la spesa di scudi 300, il che si eseguì prontamente; in essa vi si legge al contorno della falda il nome e cognome del presente console Gordini.
Non si fece Carnevale per le universali calamità, ma solo orazioni incessanti in ogni loco da questo mese. Il primo giorno di quaresima si accese un gran foco nel forno della Comenda di Malta in questo Castello che fu il dì 9 marzo; durò molto tempo, furono perciò riuinati li edifici aderenti e specialmente quelli che erano sopra la strada che porta al convento di chiesa di S. Francesco e congiungevansi col muro che serve di sponda al novello cemeterio.
Li 6 aprile nevicò per 24 ore continue, venne alta a mezza gamba. Durò in terra alla pianura tre giorni, ed al monte durò tutto il mese e fu gran freddo e svantaggio alla campagna per li bestiami aderbati ed al monte pel pecore, che molte perirono di fame.
Oltre ciò di giorno in giorno si attendevano truppe alemanne che dovevano partire per Napoli; quindi per ovviare a quei disordini che si prevedevano, furono avvisate le comunità stare bene guardinghe dalla licenza militare.
Intanto il 12 maggio venne a Bologna il generale Vezal, quale dopo avere concertati alcuni capitoli col Legato ed Assonteria di Magistrati e Milizia, questi spedirono ufficiali ai luoghi più importanti del bolognese.
A Castel S. Pietro venne il Colaterale Conte Rata, col capitano Lapi ed un comissario tedesco a riconoscere li quartieri, e preparare le tappe per 20 milla tedeschi in tre volte, col patto di somministrare 10.311 razioni di pane di oncie 28 l’una e 1198 di carne di oncie 28 l’una, altrettanto di vino di un bocale, oltre le biade, legna ed ortaggi.
Arrivano le truppe a Bologna in mercoledì ed il giovedì seguente che fu il 19 secondo le notizie MM. SS. lasciataci da D. Francesco Fiegna.
Su le ore 14 arrivò a C. S. Pietro uno stacamento di tedeschi di dieci regimenti composto ciscuno di mille e cinquecento soldati, che in tutto furono 15 mila, li quali regimenti, fra la ciurmaglia, servitù, donne e altre genti furono calcolate le persone al N. di ventimilla.
Parte alloggiò nel Castello e parte nelle case del Borgo co’ respettivi officiali. La cavalleria oltrepassò il Borgo e Castello e fermossi di là dal Sillaro nelle larghe dei Calanchi e Granara, avevano seco sei pezzi di canone.
Per il bon regolamento furono levate le insegne alle osterie, furono accompagnati li combattenti dal Sergente Generale di Battaglia papalina Marchese Albergati acciò non fossero fatti aggravi; furono avvisati li contadini fronteggianti e vicini alla strada romana e ritirare le loro robbe entro le castella per un circuito di due miglia e più. Ciò nonostante li poveri contadini d’intorno soffrirono danni nelli strami, erbe e brucciaglia. Nel Castello e nel Borgo pochi furono li assenti dai furti e dalla somministrazione di vino ed altra vittuaria senza pagamenti. Ciò seguì anco nei successivi passaggi di mano in mano, come notaremo, partita questa truppa.
Il dì seguente vennero 125 cavalli. prosseguirono altri pedoni fino al 26 detto, quali, perché non avessero da commettere disserzioni, in numero di 400 furono allogati nel Borgo entro l’abitato detto il Ghetto, dove ebbero la loro tappa. Pernottarono fino al dì veniente che fu il 27 maggio poi partirono per Imola.
Lì 30 maggio, giorno di lunedì, arrivarono 400 cavalli che si fermarono nel Borgo sotto li portici dirittamente fino all’osteria del Portone, e stettero fino alla mattina di martedì ricevendo la solita Tappa.
In questo giorno non si fece mercato di sorta alcuna. Il passaggio di questa cavalleria durò quasi tutta la setttimana. in questo frattempo venne un campo grosso di fanteria dalle parti di Lombardia. Accampò nelle larghe di Maggio. Seguirono non poche diserzioni, alle quali vi teneva mano uno Scarpinello bolognese che poi si faceva anco coraggio di assassinare la gente accompagnato da altri suoi pari farabutti. Commetteva costui furti, assassinj nulla temendo dalla giustizia al segno che ebbe coraggio, nella strada che porta da questo Castello a Bologna a poca distanza dal med., di fermare li sbirri. Fu perciò fatto arrestare in Imola, dove si era portato, dalla truppa tedesca a petizione fatta dal Card. Legato di Bologna al Generale, condotto a questa città pagò la pena dei suoi reati.
Seguito questo passaggio il papa richiamò li suoi dragoni che stavano alla frontiera del ferrarese a causa della gravante guerra che si faceva nella Lombardia tra la Francia ed Impero, e passarono al N. di 82 il lunedì mattina 6 giugno condotti dal Marchese della Penna. Furono accompagnati fino a C.S.Pietro dal tenente colonello bolognese Domenico Pedrini di dove poi partirono per Roma a guardare quella dominante con altre truppe per il passaggio che dovevano fare gli Alamanni ivi contro Napoli.
Il primo luglio investì la carica di Podestà di C. S. Pietro il Marchese Francesco di Alerano Spada e quello di Console Pier Andrea Vanti.
Adì 15 luglio venerdì arrivarono a Bologna mille e quattrocento combattenti fra cavalli e fanti alamanni condotti dal tenente colonello Pramprò in più volte, dove poi li dì seguenti vennero lentamente a C. S. Pietro, col fermarsi alle osterie, casini e palazzi di campagna e la mattina che fu li 17 d. passarono dirittivamente ad Imola col convoglio di nostri caraggiatori.
Li 19 del med. in martedì passarono dirittivamente altri alemanni a cavallo per la volta di Imola, essendo stati all’Osteria Grande, dieci miglia lontani da questa città secondo le leggi comuni della Posta.
Il passaggio di queste truppe aveva talmente depauperato la città di Bologna di grani che, scarseggiando perciò a farina, temevasi qualche disordine grande. Il Confaloniere si rissentì assai col Legato in modo che, scosso dalla sua indolenza, nel seguente agosto fece sequestrare tutti li grani che erano in C. S. Pietro, ed in altri luoghi onde accumulò 86 mila corbe di grano, così fu calmato ogni tumulto.
Infermatosi in questo mese a Ferrara il Marchese Francesco Massimo, comandante genti delle armi pontificie, ivi finì li suoi giorni.
Alli ultimi di novembre, avuta notizia di un nuovo passaggio di alemani per Napoli, furono accordate le condizioni del passaggio col Papa di avvisare in tempo la loro venuta e di passare 200 per volta, infraponendosi l’intervallo di tre giorni da un passaggio all’altro e di pagare tutto ciò che le venisse somministrato.
Intanto fu spedito col carattere di commisario Pio Matteo Megnoni, uno de concorrenti alla carica di Tenente Colonello vacata per la morte del Guicciardini, acciò invigilasse alli andamenti delli alamanni. Ed indi fu spedito corriere a Roma da una parte e da questi altri il Sergente Conte Albergati andò a trovare l’ufficiale maggiore dei tedeschi Tenente Colonello Rochrè colle Capitolazioni accordate fra Roma e la Corte di Vienna intorno a questo passaggio.
Furono spediti a S. Giovanni li ufficiali maggiori di Bologna e a S. Nicolò presso C. S. Pietro il capitano Parisi a prendere il quartiere. Al capitano Borghesi fu appoggiata la provisione delle carra a C. S. Pietro per il trasporto del bagaglio tedesco nella Romagna.
Intanto tornò il Sergente Generale Albergati colla risposta di Rochrè, e furono di avere esso ordini pressantissimi del Principe Eugenio di passare per lo Stato ecclesiastico con 530 soldati tutti in un tempo senza danari per pagare le Tappe come si pretendeva. Informato di ciò il Legato spedì il suo uditore Agente generale Isoldo al d. Rochrè col dott. Lodovico Martelli segretario maggiore del Senato a replicarli l’accordato fatto col Papa e l’Imperatore, ma fu vana la spedizione perché tornarono Isoldo e il Martelli colla stessa risposta di prima.
Ciò vedendo il Legato, il quale aveva proibito agli Assunti di Milizia il provvedere le Tappe, rivocò la proibizione e lasciò loro l’inpegno che provedessero il bisognevole per evitare che i tedeschi non si inoltrassero nel Paese come minacciavano se non si fosse ritrovato quanto le era necessario.
Giunse infrattanto la risposta di Roma dal Papa, che non solo non si dovesse dare cosa alcuna alli tedeschi, ma che anzi si ostasse loro sopra gli Stati pontifici.
In vista di che furono comandate presto le Milizie Nazionali ed immediatamente spedite al Sergente Generale Albergati, ed il capitano Borghesi fu spedito con tremilla lire per la sussistenza delle milizie papaline, che in un punto si raddunavano in S. Giovanni dalli vicini comuni a tocco di campana per custodia di quel Castello, in cui si fermarono li stessi ufficiali della Nazione.
Spediti che furono questi ordini alli capitani, si intese che gli alamanni erano entrati in Crevalcore.
Strepitò a tal nova il Legato contro il Magnoni, che era commissario di quel Castello, poi ordinò alla guardia svizzera arrestare gli Assunti di Milizia e li magistrati che stavano giorno e notte unite in Palazzo, ma la guardia svizzera non volle ubidire.
Intanto li tedeschi accordarono di pagare un paolo per ciascun soldato. Con questo accordo il venerdi 16 d. vennero a S. Nicolò ove era preparata la tappa per venire a C. S. Pietro, ed indi a Imola, ma non proseguirono il viaggio perché il Legato di Ravenna aveva ottomila persone in arme e negò darli il passo perché non avevano pagato prima le tappe.
Trattenevasi a questo effetto in Imola il medesimo Legato Gualtieri, al quale più volte spedì il Legato di Bologna per liberare la provincia bolognese da soldati ma senza frutto.
Finalmente dopo tante istanze a Roma, e progetti, partirono li tedeschi da S. Nicolò che erano 500 li 29 dicembre e passando dirittivamente per il nostro Borgo di C. S. Pietro, ove commisero qualche insolenziola ai fruttaroli, andarono a Imola.
Nel tempo che stettero a S. Nicolò non vi fu casa, né luogo in quel contorno, venendo fino presso a C. S. Pietro, che non fosse danneggiato massime nella brugiaglia. Varignana, Ozano, Casalechio de’ Conti ne provarono gli effetti, e così terminossi il 1707.

(1708) Giunto l’anno 1708 nel Ministero di Podestà a C. S. Pietro successe Girolamo di Floriano Alamandini ed entrò Console G. Battista Fiegna.
Il 9 gennaro venne un temporale di pioggia, tempesta e saette con orribili tuoni, che fece stordire la persone, massime in una stagione di verno.
Stanti le continue tribulazioni militari, e l’epidemico nei bovini che serpeggiava or qua or là, si facevano perciò orazioni, penitenze e voti.
La Compagnia di questo SS.mo di C. S. Pietro, di cui ne era priore Sante Tomba, pensò portarsi coll’immagine miracolosa del suo Cristo alla S. Casa di Loreto, ma come che la Compagnia non aveva forze bastevoli per le spese del viaggio, si convenne fra confratelli di una tassa. In seguito fu decretata la partenza per il giorno 21 aprile prossimo con N. 36 confratelli.
Giunta la prefissa giornata, avendo prima fatto precedere un devoto triduo di messe e orazioni davanti al sacra imagine nel suo oratorio, si portò per la prima volta alla S. Casa, onde d’allora in appresso crebbè vieppiù la divozione a questo miracoloso crocefisso.
L’ordine della funzione saria lungo il qui descrivere potendosi rilevare dalli atti della Compagnia.
Doppo il corso di 13 giorni ritornassi a casa incontrato da tutta questa popolazione, nella quale intervennero le sue frattarie, il Corpo della pubblica Rappresentanza e le due compagnie di S. Cattarina e del Rosario, che quantunque fra ambe vertissero durezze, a motivo di chiedere quest’ultima la capazione di una particolare uniforme.
Nel dì 24 aprile venero dalla Romagna dodicimilla tedeschi, e passavano a Bologna col Duca di Ascalona, Duca della Bisacera, il Principe di Castilione ed il Principe di Cellemare prigioniero, con seicento soldati ed ufficiali che andavano a Milano.
Il 29 d. vennero altri diecimilla e duecento cavalli di Romagna, riposandosi in questo Castello e Borgo tutta la notte e il lunedì 30 partirono per Bologna. Il conduttore di questa impresa fu il conte di Almerod. Le furono date le Tappe di pane e carne bovina, che si pagava bajocchi 2 la libra ed il vitello quattrini 22 ed il vino baiocchi due il boccale.
Arrivati a Bologna stettero li prigionieri entro la città colla loro libertà sulla parola e sigurtà e riserva delli accennati quattro principi che furono sempre guardati nei loro quartieri.
Gio. Battista Pirazzoli di C. S. Pietro che fu capitano, come si disse, al soldo della Francia sotto la Mirandola, ove si portò valorosamente, finì i suoi giorni in patria. Lasciò per testamento, fatto prima della sua partenza alla guerra, una sua casa posta in C. S. Pietro nella via Saragozza di sopra alla Compagnia del SS. Sacramento di sua patria, coll’obbligo di tre messe ebdamadarie in suffragio della di lui anima come per rogito di Giacomo Biondi li 21 marzo dell’anno 1699.
Nel tempo che la truppa tedesca stette sotto Bologna guardata dalla truppa di volontari, non vi fu male che non commettessero li imperiali, per la qual cosa il Senato fu costretto assicurare le castella dalla parte del ferrarese e Lombardia, tanto più che avevano foraggiato e saccheggiato sul Bolognese, massime nel contado di Panzano, di dove partiti si incamminarono nel ferrarese e retrocedendo in Romagna bassa si impadronirono per fino di Comacchio.
Irritato il Papa di ciò ordinò tutta la milizia dello Stato ecclesiastico, ne mandò diversi staccamenti nel ferrarese con bocche da foco. Tutti li altri castelli e luoghi murati del bolognese furono armati colle compagnie di milizia. Da C. S. Pietro si facevano pattuglie. Li villani stessi vennero con le robbe al Castello e le donne erano poco sicure.
Il 11 giugno un corpo di 400 soldati papalini vennero dalla Romagna a C. S. Pietro, albergarono nel Borgo e partirono il giorno seguente col loro bagaglio. Avevano seco molti carri di farina e munizioni da guerra.
Il primo lulio entrò Podestà Il marchese J. Ghiselieri e Consolo Clemente Righi. Nello stesso giorno che era la domenica, arrivarono a C. S. Pietro ottanta pedoni perugini convogliati da 46 cavalli di Romagna, che seguivano la truppa papalina per impedire diserzioni essendone fuggiti per istrada più di duecento. Prima della loro partenza ebbero li sud. cavalli e pedoni li utensili in questo Castello dal Senato di Bologna, poi se ne incamminarono alla volta di Cento; non andava giorno che non passassero truppe papaline e tedesche.
Il di 4 d. di mercoledì passò l’equipaggio del Principe d’Armifrasti che andò a Bologna accompagnato da 40 persone.
Lo stato pontificio essendo sconvolto per li ladronecci che facevano li tedeschi, il Papa vieppiù si adirò e ordinò un grosso ammanamento di persone e furono armati tutti li castella. Fu in seguito spedito un ordine a tutti li Comuni di dare note distinte di tutte le anime per ricavarne da esse un uomo per servizio del Papa. Elesse per ciò uno dei suoi Sergenti Generali il conte Luigi Marsigli bolognese nel mese di agosto.
Li veneziani medesimamente erano in arme col turco. In tale occasione andò al loro soldo Marchione Fabri figlio del capitano di Castel S. Pietro e andò per tenente alla difesa di S. Sofia come diremo a suo loco.
Li tedeschi, non temendo li papalini, vieppiù danneggiavano il ferarese ed il bolognese in quelle parti, per la qual cosa si venne ad un piccolo fatto d’arme fra l’una e l’altra parte a S. Carlo, ove restarono vittoriosi li tedeschi, che al N. di 400 ucisero seicento papalini.
Li 4 settembre morì in Castel S. Pietro, sua patria, il dott. D. Ignazio Laurenti, di S. Sede Dott., figlio del dott. Francesco Laurenti medico detto volgarmente “della Broccarda” suo villaggio ove la maggior parte dell’anno abitava questa familia e fu sepolto nella parochia nell’ara Sgarzi.
Nonostante la baruffa accennata li papalini stettero saldi col maggior numero di soldati a S. Agostino contro li tedeschi, ma presentandosi un avanzamento di maggiori truppe li 9 ottobre se le mandò la compagnia di Castel S. Pietro sotto la condotta del capitano Valerio Fabbri, soretto dal d. Marchione, con 100 uomini, gente molto coraggiosa, così che presso il Panaro venuti ad un fatto d’armi restarono superiori li papalini, li quali presero maggior coraggio.
Le sentinelle avendo osservato che li tedeschi salivano li pioppi per iscoprire le disposizioni del campo papalino, si avanzarono al tiro giusto de loro fucile li soldati del capitano Fabbri e venuti in chiaro delle osservazioni che facevano li tedeschi, ne avisarono il med. il quale tosto fece segreto avviso agli altri capitani del corpo di quanto accadeva e perciò ordinò ad alquanti de suoi più coraggiosi che archibugiassero gli ascensori; fece tale avviso acciò non si sgomentissero né pensassero ad alcuna aggressione, difatti, data la opportunità, li tedeschi esplorantori restarono vittime de nostri bravi paesani li quali non mandarono colpo in fallo.
Acquistò la truppa di Castel S. Pietro maggior credito, onde fu destinata nelle parti di S. Agostino per truppa di corpo avanzato.
La epidemia di bovini cominciò a calmarsi nei nostri contorni di Castel S. Pietro e viceversa, secondo vi lasciò scritto nella sua memoria mm.ss. Don Gordini, cresceva nel ferrarese ove durò fino al 1714
E perché il Papa aveva bisogno di soldati fu pubblicato il 20 settembre un Bando papale che per ogni cento anime di ogni comunità si cavasse a sorte un uomo libero d’anni 20 fino a 40 compiti per fare resistenze militanti nella prontamente e li estratti andavano a Faenza a prendere le armi.
Adi 29 detto, giorno di S. Michele, doppo molte infamità ed omicidi di Camillo Landi, de quali si era composto col tribunale, morì miseramente in questa sua patria di Castel S. Pietro prima marcio che morto.
Nella chiesa di S. Giacomo a Bologna li 25 ottobre fece il Senato, per le presenti bellicose contingenze, una divota festa alli S. Angeli custodi.
Medesimamente in Castel S. Pietro li 28 d. in giorno di domenica fecero lo stesso questi Agostiniani, nella loro chiesa di S. Bartolomeo, al Santo Angiolo Custode, tanto più che nella med. eravi la compagnia eretta sotto la invocazione del med. sino dal secolo passato, come abbiamo notato nella sua epoca. La sua statua, che esisteva e tutta ora esiste all’altare di S. Tomaso di Villanova, fu posta all’altare maggiore ed indi processionatamente portata da fratelli della med. e dalli sacerdoti agostiniani locali fino alla piazza.
Capo della compagnia, la quale non avendo uniformi particolari ma usava il vestiario della Confraternita del SS.mo collo solo scudo del S. Angelo Custode, era in allora Don Giacinto Rinaldi, come abbiamo riscontrato nelle memorie del convento. Nella piazza si diede la benedizione al popolo concorso in affluenza.
Crescendo li rumori militari nei contorni di Cento ed essendo già attaccata Ferrara, D. Alesandro Albani, nipote del papa, che trovavasi in Faenza con 700 dragoni il dì primo novembre venne a Castel S. Pietro dove prese rinfresco per poche ore, passò a Bologna indi a Cento. Non temevano per questo li tedeschi la truppa papalina, dove che il giorno 10 fecero una scaramuccia ed una scorreria fino sotto le porte di Bologna.
Il giorno 13 d. si innoltrò il Conte di Taun generale di 22mila combattenti nel bolognese con solo dodicimilla, facendo la sua truppa mille oltraggi alle donne e alle campagne e viandanti e li 17 d. venne a Castel S. Pietro il med. Generale, che portava il nome di Conte Filippo Lorenzo illirico di Taun, usando le tristi crudeltà, daneggiando la sua milizia e scorendo fino alla vicina Romagna. Incaminandosi verso Roma, il 19 d., vi vanno dietro il Baron Monti con diecimilla fanti, che facevano ancor esso lo stesso de soldati del Conte Taun massime contro le donne.
Per riparare a tanto disordine, furono, a Castel S. Pietro, le donne, nel tempo del passaggio militare, rinchiuse nella chiesa ed oratorio di S. Cattarina. Si chiusero tutte le botteghe del Borgo e del Castello. Le porte del med. furono chiuse e si guardavano con gelosia da paesani.
Intanto vedendosi le cose della Chiesa andare a male si cominciò a tratare la pace coll’Imperatore.
Terminato l’anno e incominciato a quietarsi il rumore, in ogni loco si facevano orazioni per il perseguimento della tranquillità e pace.
Fu scarsa raccolta per modo che il Senato spedì a Castel S. Pietro comissari alli contrabandieri di Castel Bolognese, dove ne compravano corbe 6 mila a scudi 13:10 ed allo stesso prezzo si obligarono mantenere la città a tutto il 1710.

(1709) Nell’anno che seguì, 1709, entrò Podestà per il primo semestre il conte Gerolamo Bentivoglio e Consolo G. Battista Fiegna.
Stanti li danneggi fatti dalle truppe alla campagna, furono alzati i prezzi delle granelle, inperciocchè il grano fu posto a paoli 28 e 30 la corba ancorchè il calmiere fosse di scudi 13:10.
Si pubblicò infrattanto la pace tra il Papa e l’Austria e fu segnata li 11 corrente genaro in Roma dal Marchese di Peià plenipotenziario di sua Maestà Cesarea. Avutasi tale notizia se ne diedero al popolo i segni di giubilo.
Il freddo fu eccessivo in guisa che li vini si erano gelati nelle botti e medesimemente il pane, che non potevasi approntare, se prima non si riscaldava. Il maggior freddo fu alla metà del mese che andò alli ultimi gradi. Si ritrovarno per ciò in alcuni luoghi creature morte ed intirizzite dal freddo, d’onde in appresso ne vennero anco malatie tali che degenerarono in influenza, per cui nel successivo febraro si sentirono mortalità in modo che in Bologna si sentivano morte cento creature al giorno. Questa influenza si propagò in tutta la Italia onde morirono migliaia di persone.
Nella Francia seguì lo stesso a segno di raccontarsi in Parigi fino al numero di quindici e più milla persone morte in breve tempo. Per tali disaventure il Papa dispensò motu gratia l’indulto nella quaresima d’ova e laticini, che poi passò a carne.
Fatta la pace col Papa cominciarono a retrocedere dalla Romagna le truppe. Su la fine di genaro ripassarono 500 fanti con molti malati gravissimi di Romagna.
Li 18 febraro morì in Castel S. Pietro Goltifredo Semel figlio del valoroso capitano Matteo Calort alamano nella truppa imperiale e quantunque morisse di modo naturale fu accompagnato alla sepoltura in questa arcipretale con tutti li onori militari, battendosi la cassa discordata e li fucili rovesciati senza baionetta.
Li 20 febraro vennero di Romagna a Castel S. Pietro diecimila alemanni, ove si fermarono per due giorni e non commisero alcun male, solo si ubbriacavano fortemente e ballavano ubbriachi in mezzo alla via.
Il grano si vendeva scudi 16 la corba. Li 11 aprile morì il Consolo Gio. Battista Fiegna, che ricevette dal Corpo comunicativo li soliti onori e riti, di ricevere alla porta della residenza il suo cadavere, tutta la Comunità unita e doppo intonato il deprofundis fu rilasciato in mano del clero. Supplì alle sue veci Vincenzo Benelli.
Li 21 d. giorno di domenica, essendo già stato promosso alla dignità cardinalizia Mons. Ulisse Giuseppe Gozadini fino dalli 15 andante mese, Pietro Antonio Cavazza mio avo, per tale promozione, come bene affetto e familiarissimo di questo porporato dal quale veniva amato teneramente, avendone in casa li argomenti e testimoniali, sparse danari, vino e pane alla povertà di Castel S. Pietro, poi fece cantare dai Cappuccini il Tedeum in ringraziamento al Sig. doppo la benedizione del SS.mo.
La Compagnia nazionale di questo loco del SS.to, per li benefici avuti dal Signore nella passata guerra, fece le rogazioni di M. SS.ma di Poggio più brillanti del solito con esquisita musica de primi professori di Bologna alle di cui funzioni ogni giorno il corpo comunitativo intervenne e furono li 27, 28, 29 di Maggio.
La med. compagnia, con maggior calore, riassunse la lite contro li gesuiti di Bologna per l’inadempire delli obblighi Morelli cessati nel paese, come rilevasi alli atti Monari nel vescovado di Bologna.
L’epidemico ne bovini seguitava ancora ma discretamente. La raccolta dei grani fu mediocre.
Divenuto provinciale delli Agostiniani il P. Bonifacio Fattori del Finale di Modena, fece priore di questo convento di S. Bartolomeo di Castel S. Pietro il PER Antonio Maria Ravaglioli relligioso di di famosa pietà per un triennio, ma egli per la sua relligiosità rinunciò a capo d’anno e fu sostituito in sua vece il P. Giuseppe Palazzi da S. Agata.
Per il secondo semestre anno presente sortì Console Pier Andrea Vanti e Podestà Giulio Cesare del Senatore Matteo Fibbi.
Stanti poi li freddi passati dell’inverno essendo andate a male molte viti, divenne la vendemmia scarsa al segno di vendersi l’uva fino a lire novanta la castellata. Li villani malandrini, capaci di ogni iniquità, infraponevano nel mosto acqua così che da un villano, quanto malizioso di Minerbio, altretanto pratico del mondo e della verità, accusò un suo nemico della frode ed insegnò il modo di scoprirla colla prova alla mano. Manifestò il segreto ed insegnollo.
Prese un bicchiere di mosto come veniva dalla castellata poi vi mise entro un anima o sia ossa di persica, la quale essendosi affondata indicò essere il mosto puro, genuino, naturale e non adulterato; viceversa poi prese altro mosto del villano accusato e posto nello stesso bicchiere, indi attuffandosi l’anima stessa di persica questa venne a galla ed a fiore del liquore e così fece vedere essere il mosto del villano, che aveva accusato, adulterato ed illegittimo. Fece tale prova ancora in altri simili mosti adulterati apostatamente ed in altri legittimi e naturali e ne accadde lo stesso.
Riconosciuta la la verità del segreto, fu regolato dal magistrato e così puniti ancora li altri villani che avevano comesso tal dolo.
Avendo il principe Paleotto Pichi comprata una casa in questo Castello nella piazza di Saragozza detta di S. Francesco cominciò a fabbricarla per la propria abitazione nel mese di ottobre come si riscontra dalla nota di spese fatte, che presso me ritrovasi in una colettanea reale.
Il Conte Fabbio Bolognini di Bologna detto volgarmente “della Pianta sotto Castel Guelfo”, volendo confessare il suo giubilo di avere veduta ricuperarsi la salute del serenissimo Gran Duca di Toscana ne diede il seguente argomento che leggesi stampato nella colettanea delli avvisi di Bologna stampati presso il Senatore March. Vitale de’ Buoi come segue:
“Adi 12 ottobre 1709, giorno di lunedì, in Castel S. Pietro l’ill.mo sig. Conte Fabbio Bolognini fece cantare una solenne Messa e Tedeum alli RR. P.P. MM. OO. di S. Francesco nella loro chiesa, nel di cui altar maggiore era esposto un bellissimo quadro della B.V. Annunziata del penello dell’egregio Pietro Cavazza, in rendimento di grazie all’altissimo per la ricuperata salute Del Serenissimo Gran Principe di Toscana. Fu preceduta simile funzione da moltissime messe e da una processione gente del clero, Comunità, claustrali e compagnie secolari e militari sotto il capitano Francesco Vanti di questo paese con numeroso popolo ed infine una bene intesa salva di mortaretti. Simile dimostranza fu di giubilo universale e tutte quelle genti, che in gara fecero comparire la loro divozione mirabilmente accopiata ed al rispetto del sudd. Cavaliere, alla serenissima Casa Medici ed alla pietà di quei relligiosi.”
Li 24 novembre, riconoscendo la Compagnia del SS.mo le sue poche forze in proporzione dei cavilli, richeza e protezioni delli Gesuiti di Bologna sopra l’adempimento delli obblighi Morelli di Castel S. Pietro, che per il corso di anni 70 avevano soddisfatti, e non volendo più soddisfarli e ne tampoco rinunciare alla eredità, ma tutto volersi appropriare, come poi fecero, senza alcun peso ed inadempimento della mente del Testatore, la Compagnia med. abbandonò la lite contestata per d. Atti Monari nel Vescovato di Bologna e da questa epoca più non soddisfecero, quantunque la eredità sia pingue, della quale se ne trascrive il ristretto quivi dedotto dall’inventario legale prodotto alli atti sudd. nel 1634 cioè:

  • Case del Borgo di Castel S. Pietro fra le quali l’osteria della Corona per sc. 28859:9:4.
    -Possessione Trifolche sc.40357.
    -Possessione Cerè sc.10095.
  • Poderi Toresella, Valisella e Morticcio sc.40000.
  • Possessione di Ozano per sc. 10000.
  • Predio Crocetta nel comune di C. S. Pietro devoluta
    alla Abbazia di S. Stefano, suoi miglioramenti sc. 2000.
  • Una pezza di terra sc.450. Altri due simili vendute per 3362.
  • La casa in Bologna ove ora è il Colegio de Nobili sc.12500
  • Credito contro le sorelle Zani per sc.1000.
  • Mobili per sc.4044:15.
    Si omettono molti altri crediti e capitali per brevità di scritto onde a questo proposito si può ripetere col Poeta
    “Quid non argento, quid non corumpitur auro
    qui majora debit munera, victor erit”
    ed in tal guisa e per corutela e per contanti superata fu la contesa.
    Terminata la legazione il Card. legato Nicolò Grimaldi partì di Bologna. Fu accompagnato dal Senatore Albergati e Malvezzi fino a Castel S. Pietro li 29 ottobre. Per la parte opposta di S. Giovanni in Persiceto, li 2 dicembre fu incontrato il nuovo Legato Card. Lorenzo Casoni. Li 27 d. fu estratto Consolo Vincenzo Benetti.

(1710) Adi primo genaro 1710 investì la sua carica di Console il comendato Vincenzo Benetti e Podestà il Cavaliere Giovanni di Marc’Antonio Dall’Armi.
Li 16 febraro avendo Mons. Ottavio Ringhieri intimato alla Compagnia di S. Cattarina, qual suo colettore apostolico, di dover dar nota di tutti li beni, entrata e spese di essa compagnia, le quali fossero a beneficio dell’Ospitale di Borgo, la Compagnia il giorno d’oggi la publicò in congregazione.
In seguito fece il suo esposto col significarle che l’Ospitale nulla possedeva di proprio, ma bensì era mantenuto con entrate della med. compagnia per mezo carità e così se ne esitò da tutto. Poteva ciò farlo giacchè le scritture e testamenti abbruciarono in casa di messer Giulio Alberici.
Nel dì 2 marzo Sante del fu Domenico Saffi di anni 33, essendo in questa chiesa arcipretale di Castel S. Pietro a vedere sepellire Cattarina qd. Francesco Galli in una sepoltura della compagnia di S. Cattarina di cui era sorella, si affacciò alla bocca del sepolcro, ne sentì tale alito fetente, che chiudendo il respiro al d. fante, cadde seco entro lo stesso sepolcro morto, dissipato il fetore, fu levato di quell’avello e fatti li debiti riti di S. Chiesa fu sepolto poscia nel cemetero essendo uomo povero.
Il grano si vendeva scudi 12 la corba giusto il calmiere, che poi per la raccolta ubertosa passò a scudi 10:10 poi a sc. 9 e finalmente a sc. 6.
Adì 30 aprile in martedì con seguito di 18 persone l’Ecc.mo Arcivescovo Boncompagni di Bologna venne a Castel S. Pietro, per la visita pastorale ed il suo segrettario fu il dott. Garofoli uomo scienziato, visitò tutte quante le chiese, perfino le celette dette volgarmente ” le majestà”. Fra le altre providenze e decreti che fece, stante li abusi che erano nella chiesa della Anunziata in questo Borgo, mentre si trasportavano fuori di essa dal paroco le supeletili, ed era de secolari borghesani custodi della med. chiesa perfino la picola pitura di M. SS.ma colla quale si facevano le processioni nel circondario della med. chiesa, doppo Pasqua ordinò che non si dovessero amovere dalla med., e quanto alla S. Imagine decretò che dovesse sempre stare in d. chiesa e non in casa privata, altrimenti non si facesse più la consueta processione.
Ordinò pure che si provedesse all’altare del Cristo in d. chiesa per l’effetto di celebrarvi. Eccone il decreto estratto dal libro delle visite nell’archivio della parocchiale al fol. 64.
“Oratorio SS. Annuntiationis ad altare SS. Crucifixi sepulerum lapidis quidquid autem ad tale eclesia spectat, in eclesia retineri, et imaginem SS. Virginis, que in processione desertur in eacta eclesia collocari, aut si in privata domo retineatur, non amplius in processionibus adhiberi, at sic alia S. Imaginem in d. aclesia provideri.”
Visitò altresì la chiesa dedicata a S. Carlo nella via che porta a Medicina, la quale ora è profanata. Anticamente era detta: la maestà Dalforte, per essere stata costruita da Virgilio Dalforte nazionale di Castel S. Pietro. In questa visita compose l’arcivescovo molte altre differenze fra le compagnie e fra la Comunità, massime a riguardo la elezione del campanaro, per cui ne formò il suo decreto il giorno 3 maggio, come rilevasi al Campione secondo delli atti della Comunità fol. 183. Ciò fatto se ne partÌ per Bologna col di lui seguito, lasciando quieto il paese.
Li 7, 8 e 9 maggio le rogazioni di M.V. di Poggio. Il giorno 7 d. naque erede Antonio Graffi di Carl’Antonio ed Anna Bertuzzi Jugati, che fu poi prete scienziato dott. teologo, protonotario apostolico e poeta toscano che oltre sue varie competizioni su lo stile del Filicaja, compose in verso libero le lodi della concezione di M. V. e fu prodotto per la stampa del Dott. Volpe in Bologna.
Adì 24 giugno fu estratto Consolo per il venturo secondo semestre Giacomo Landi, che prese il possesso il dì primo luglio. Lo stesso fece il nuovo Podestà Giuseppe Pandolfo di Alessandro Fibbia.
Li 7 lulio giorno di lunedì al favore del mercato, in questo Borgo fu ucciso con archibuggiata Morando Benardi dott. comunale dello Castello.
La Compagnia del Sufragio del Purgatorio eretta in S. Bartolomeo cominciò ad usare in questi tempi riscuotere da ogni confratello vivente soldi tre per ciascun morto all’effetto di farle suffragio a capo d’anno mediante la estrazione di un individuo della stessa compagnia quale doveva portarsi ad Assisi: rilevasi dalla unita poliza. Ciò dirò però poco, poichè dal 1725 furono rinovati li suoi Capitoli.
Si è perchè facevansi estrazioni di grani di ogni sorte che levavansi da Castel S. Pietro e fuori stato andavano non avendo accompagnatura, ne fu perciò fatta l’istanza al novo legato il quale nel dì 14 corrente lulio proclamò il seguente unito editto ingiungendo al notaio giusticente farne la Boletta. Da quest’epoca si riconosce la facoltà concessa al Notaio dell’Uff. per fare tali Bolette, fatto che durò lungo tempo come diremo fino alla sua fine.
Li 27 d. venne a Castel S. Pietro il generale Vaubon con 900 dragoni napoletani dalla Romagna, pernotò quivi in casa Malvezzi ed il dì seguente partì per Bologna per andare al Piemonte.
Li 11 agosto venne a Castel S. Pietro l’Arcivescovo Giacomo Buoncompagni ad incontrare L’E.mo Ruffi Legato di Romagna e Ferrara, dove sono incaminati. Albergò nel palazzo Malvasia, ove stette fi alli 14 d. poi se ne partì.
Li 24 d. Festa di S. Bartolomeo si levò un turbine di vento così grande che portava via le persone, durò mezora e poi seguì una grossa tempesta che danneggiò il comune di Castel S. Pietro ed altri paesi, schiantò le cime a pioppi, altri alberi e quercie.

(1711) L’anno seguente 1711 adì primo genaro entrò Massaro Giacomo Pirini, fu Podestà per il primo semestre Sante Guidotti. Il grano si vendeva in questo tempo scudi 8 la corba, fu perciò fissato il calmiere a scudi 7.10.
Adi 20 marzo vennero da Bologna 800 soldati alamani e passarono fra fanti e cavalli e passarono imediatamente ad Imola per andare nel napoletano.
Nel dì 17 aprile morì in Viena l’Imperatore per nome Giuseppe primo, egli fu nemico del papa e però condusse poco oltre li suoi giorni doppo che ebbe fatto invadere li Stati pontifici.
Nel di 19 d. Pietro Andrini moderno Priore della Compagnia del SS.mo di Castel S. Pietro intraprese il viaggio di Loreto processionalmente col SS.mo Crocefisso e sua Compagnia, che fu la seconda volta che si portò a quel Santuario. Fu levata la S. Imagine dal suo altare nell’oratorio e si portò accompagnata da molto popolo fino alla chiesa di S. Giacomo di là del ponte Silaro coll’arciprete dott. Nobili; ivi si diede la benedizione colla med. a tutto il concorso.
Per tutte le città e castella ove passò ricevette la Compagnia e la S. Imagine grandi onori e massime in Loreto dalli custodi del Santuario, anco in riguardo alla bella offerta fatta di cotta con pizzi finissimi e cera.
Stette la S. Immagine esposta a mano destra della S. Capella di Loreto per tre giorni. Questo viaggio fu anco intrapreso per impetrare da Dio la pace fra principi christiani e concordia, per la estirpazione delle eresie che cominciavano a ripullulare e per la esaltazione di S. Chiesa.
Nel ritorno a casa della S. Imagine fu incontrata ai confini del nostro comune colla Romagna, dall’arciprete col clero secolare e regolare e dalla Compagnia di S. Cattarina, a cui seguiva infinito popolo a suono di trombe e tamburi intuonando e cantandosi lietamente l’inno ambrosiano con altri suavi cantici di S. Chiesa.
Arivata tutta la S. Pompa in Castello vi fu copioso sparo di mortaretti; fu portato e riposato il S. Crocefisso nell’altar maggiore della Parochia, ed indi data al popolo la S. Benedizione e poi fu restituita al suo altare nell’Oratorio, li confratelli che concorsero al viaggio furono: sig. Pietro Andrini, D. Cesare Rinato per Capellano, D. Pietro Mons. Giorgi per Confessore ordinario, D. Vincenzo Orsolini, sig.. Clemente Righi, Sante Tomba, Vincenzo Bonetti, Antonio Beltramelli, Ottaviano Baroncini, Sabbatino Tomba, Giacomo Bellotti, Domenico Gattia ed Alessandro Pirini tutti fratelli professi, a questi vi seguirono li seguenti novizzi, cioè Antonio Giorgi, Sebastiano Lugatti, Giuseppe M. Rossi. Marc’Antonio Calanchi, G. Battista Bolia alias Bolis, Marc’Antonio Macagna, Pietro Trochi, Paolo Gattia, Domenico Lelli e Carl’Antonio Ferlini, li quali fecero del proprio la spesa del regalo.
Ginevra Mondini e Francesco Maria di Pietro Cavazza jugali si distinsero ancor essi in questa funzione, fecero regalo di cera alla S. Imagine del Cristo per tutto il tempo che stette alla pubblica venerazione. Questa famiglia Cavazza quantunque porti li nomi di mio padre ed avo, come riscontrasi nel Lib. Babtizali di questa Arcipretale, non ritrovo che siano della mia ascendenza.
Li giorni 11, 12, 13 maggio, stante la bona concordia che intercedeva fra le Compagnie capate si fecero le Rogazioni colla B. V. di Poggio più brillanti del solito. La Compagnia di S. Cattarina che, da tempi andati fino a questa epoca, aveva tenuto aperto entro il Castello una piccola casa ad uso di ospitale per li sacerdoti, esistente nella via Maggiore entro il Castello apresso la porta inferiore al N. 3 alla destra dell’ingresso, fu venduta dalla med. Compagnia a Vincenzo Benetti come ne accenna un rogito di G. Battista Dalla Valle li 4 dicembre 1713. La qual casa fu poi posta in questione civile l’anno 1715 nel vescovato di Bologna per gli atti Magagnoli; l’ospitale de preti, che quivi esisteva fu trasferito nel Borgo unito all’altro de Bastardini e de Viandanti, facendovi un quartiere a parte per li med.
Adi primo lulio entrò console per il secondo semestre Giovan Paolo Fabbri che fu padre di Alessandro segretario del Senato, Podestà fu Paolo di Guglielmo Dondini.
Essendo stato intimato lo sfratto dalla città e legazione di Bologna al Marchese Sebastiano Locatelli furono tante le istanze del di lui genitore Marchese …….. e li impegni, che lo stesso le fu permutato nella relegazione in Castel San Pietro.
Terminata la sua pretura di Castel San Pietro il d. Dondini volle rinovare in questo luogo l’uso antico di apporvi le memorie del suo governo come facevano li antecessori Podestà, perciò esso lo fece esporre nell’ officio della Giusdicenza, che poi fu abbellita dal suo sucessore Marchese Paolo Riario, forse per farle un dispetto così ella cantava
Anno MDCCXI Pretura expleta
Paulus Guglielmus Dondini
P. S. S.
M. P.
Essendosi portato bene in verso Bologna e suo territorio per il passaggio e permanenza delle truppe Alamanne, il Conte Generale Marsili, nobile bolognese, diffesa ancora dalle ostilità, il Senato lo regalò di trecento oncie d’argento lavorato; fu in tale contingenza accompagnato il regalo col seguente distico, che fu gradito al segno
Obseguitur grato Civi, sua grata Senatus
exiguum prestat, debet, et ille magis

(1712) Giunto l’anno 1712 entrò Consolo Giacomo Landi e Podestà il precitato Marchese Paolo Riario.
Vertevano differenze fra le famiglie Laurenti e quella del cap. Valerio Fabbri, quantunque fossero congiunti di sangue per li matrimoni di Lodovico Comelli ed Antonia Francesca Comelli. Onde per la nimistà contratta, li due fratelli Lorenzo e Francesco Laurenti. discendenti da una Comelli, tesero un aguato ad Ottavio Fabbri, fratello del d. capitano, in Bologna e li 25 genaro, ad un ora di notte nel mercato di mezo in Bologna, le fu sparata una archibugiata contro il voltone delle Cimarie, per la quale il dì 26 genaro morì nello Ospitale della Vita, di dove poi fu trasportato alla chiesa di S. Vitale ed ivi sepolto, perchè abitava sotto quella Parochia quando andava in città. Fuggirono tosto li due fratelli Laurenti.
Cominciò in questo tempo a miracolizare l’imagine Maria SS.ma detta del Cozzo, fondo rurale in questo comune di Castel San Pietro frontegiante la via romana, di proprietà delle Monache di S. Cattarina di strada Maggiore di Bologna. Quel fondo veniva lavorato da Sante Negroni.
A questa Imagine, essendo sulla via romana, in una picola celetta scolpita in macigno rappresentante una pietà, veniva tributata perciò di molte elemosine, come si riscontra dall’archivio di questa Arcipretale di Castel S. Pietro. Il primo miracolo che mi è accaduto ritrovare, si è che nel mese di febraro, venendo a Castel S. Pietro il d. Sante Negroni di buon mattino, fu percosso con molte ferite da alquanti masnadieri nascosti sotto il ponticello che sottopassa la strada maestra in faccia alla celetta acenata. Non perdendosi egli d’animo cominciò a gridare Maria SS.ma ajuto! anime del Purgatorio ajuto! poichè veniva appunto alla funzione solita farsi nella chiesa di S. Bartolomeo per l’anime purganti di bon ora, onde fu lasciato molto maltratato.
Poichè doppo tali invocazioni comparvero alquanti vestiti di panno bianco, che egli acusò non ben conoscere in quel tumulto, fecero ressistenza ai malandrini, che fuggirono inseguiti verso Imola dai liberatori ivi apparsi.
Ricercò il Negroni in appresso li suoi liberatori per ringraziarli, ma indarno; fu da due di questi solevato da terra e condotto, come si potette, avanti la Celetta della S. Imagine. Finchè si fece giorno ivi dimorò non potendo ritornare a casa per la spossatezza di forze. Riconobbe in questo fatto il buon christiano, avere ricevuto tal beneficio da M. SS.ma mercè l’anime S. del Purgatorio. Non andò guari che fu sanato delle ferite mortali. Medesimamente da questa S. Imagine ebbe molte altre grazie e segnatamente un’altra che essendo in questi tempi una fiera epidemia nei bovini, furono presservate le di lui bestie e le vicine stesse ad esso furono tutte contaminate dall’epidemia.
La Congregazione della Gabella grossa di Bologna affine di avviare la estrazione de gargioli che si facevano per la parte dei Bagni Porrettani fece un decreto, che il gargiolo dovesse pagare un paolo per ogni cento libre di quello che andava a quella volta e di lassu’ partivasi. Questo pagamento si propagò in modo che si è esteso fino sopra Castel S. Pietro, Budrio ed altri luoghi.
Soffrendo ciò di malavoglia li gargiolari delli due acennati castelli, si alearono li artisti e per gli atti di Gaetano Gardini, notaio nel foro civile di Bologna, mossero lite alla Dogana avvanti il cardinal Legato per la annullazione di tal decreto.
Ascoltò egli le ragioni e decretò che non fosse efficiente il decreto della Dogana per Castel S. Pietro e Budrio, anzichè ordinò il 16 febbraro anno corrente, che fossero restituiti li danari indebitamente esatti per li ufficiali della Dogana da Giacomo Landi, Tiburzio Battisti ed Antonio Cervellati gargiolari di Castel S. Pietro, il che fu eseguito dichiarando il Legato “assicere” soltanto il decreto alla Poretta.
Questo fatto animò alcuni paesani a fare comparse avvanti il d. Card. Legato contro la Comunità, come quella che non adempiva le leggi tributarie locali e molto piu’ perchè non si determinava mai nulla a dovere, non intervenendosi li individui di quella alle sessioni nel prescritto numero. Il Legato rimise il ricorso alla Assunteria di Governo per la verificazione dell’exposto e per il pronto provedimento.
La compagnia pure di S. Cattarina e del SS.mo Sacramento essendo venute fra di loro in controversia sopra l’anzianità e circa la levata della S. Imagine di Poggio dalla sua Ressidenza per occasione delle iminenti Rogazioni che seguirono li 2, 3, 4 maggio, le quali furono fatte non senza temenza di qualche fatto faccinoroso. Che però il zelante arciprete Nobili si maneggiò in guisa, che tutto finì senza strepito coll’astenersi la compagnia di S. Cattarina dall’intervento alle processioni ed al trasporto della imagine alla sua chiesa.
A questa differenza si aggiunsero ancora altre differenze fra il capellano della compagnia del SS.mo. il il curato di Poggio ed il capellano beneficiario della stessa Madonna, pretendendosi di portare la stola da med. capellani tanto nel levare la Madonna quanto nel trasportarle, caminando per la giurisdizione della cura di Poggio. Cosichè fu dedotta la questione nel tribunale vescovile di Bologna, alli atti Gessi Luigi notaio, in seguito di chè fu costretto l’arcivescovo mettervi le mani.
A mettere poi in calma li animi esacerbati e pacificarli, addomandata avendo il med. arciprete la venuta delle missioni, ne accelerò e sollecitò l’arcivescovo per la spedizione, il quale non fu tardo e li 26 del med. maggio, festa del Corpus Domini, spedì 4 gesuiti, uomini di singolare probità e dottrina, capo de quali era il P. Giambattista Calieri. Durarono queste missioni dieci giorni, secondo lasciò scritto nella sua memoria MM.SS. Domenico Gordini. A capo della med. missione diede la benedizione Papale col suo X.to. Ogni giorno la mattina si faceva una devota processione pel Castello e Borgo, il dopo pranzo la dottrina a fanciulli, ad ora più avanzata nova istruzione, poi la predica nella pubblica piazza del Castello, indi nella Parochiale la benedizione col SS.mo, circa le ore 22. Dopo le 24 del giorno li uomini di radunavano in chiesa a fare la Disciplina.
Terminate le missioni, fece fare una comunione generale a tutti li paesani dell’uno ed altro sesso. Si ammassarono molti delle compagnie discordi ed in appresso furono pacificati.
Non così però alcuni turbolenti contro il Governo Comunitativo, che di quando in quando tempestavano di calunie presso il Legato la Comunità, per la qual cosa, giunto il tempo della estrazione del secondo Console per il venturo semestre, fu sospesa per tali calunie, al segno che nessuno delli rapresentanti publici non voleva accettare l’officio, onde proseguì nel consolato Giacomo Landi. Chi fosse Podestà estratto per questo nuovo semestre, non si è potuto iscoprire.
Nel mantovano avvanzandosi la epidemia ne bovini, si dilatò in modo che si accrebbe anco nel bolognese con perdita grande di bestiari e durò fino all’anno 1715, che minacciava ancora li corpi umani essendosi inoltrata una influenza di febbri tali che in pochi giorni erano spedite le creature, onde molti andarono al sepolcro.
Perchè la Comunità era presa di mira dalli malevoli, non passava giorno che non si sentissero insolenze. La fontana della Fegatella di ragione pubblica era per ciò ancor essa di quando in quando sporcata, ne vi si ritrovava riparo alle lordure per il rispetto perdutto alla pubblica Rappresentanza. Era in questo tempo protetore della Comunità il Conte Cornelio Malvasia. Si pensò per ciò dalla stessa Rappresentanza publica, per ovviar alle lorderie che vi si facevano entro l’edificio, depositare le chiavi in di lui mani alla condizione che venissero soministrate, per estrarre aqua, solo a persone di provata condotta, senza verun pagamento. Tanto si eseguì e, per maggior comodità della popolazione, si tenevano dall’inquilino di d. cavaliere in faccia alla chiesa di S. Bartolomeo di questo Castello, il che si è dovuto fino a tanto che il Caval. Conte Giuseppe Malvasia ha posseduto detta casa, che poi è passata in mano di D. Sebastiano Bertuzzi come per mio rogito.
Dopo tale vendita le chiavi passarono in mano dell’agente locale Malvasia, ed in questa guisa è rimasta spogliata la Comunità di questo fondo, il quale, come si dirà a suo luogo, voleva il Card. Ignazio Boncompagni Legato vindicarlo per comodo pubblico, ma cessata la legazione non fece altro.
Essendo stato promosso alla dignità cardinalizia il prelato serenissimo Lodovico Pichi principe della Mirandola e fratello di questo serenissimo Principe Galeotto Pichi di gente in questo Castello li MM. OO. locali di Castel S. Pietro ne diedero un argomento del loro giubilo al pubblico con allegrezza e festa in chiesa.
Li P.P. Cappucini medesimamente locali fecero lo stesso colla esposizione del SS.mo e benedizione il giorno di ogni Santi. il principe Galeotto sensibile a tali dimostrazioni piu’ dal cuore di povertà relligiosa provenienti, che da uno spirito ambizioso di protezione, contribuì lui esso pure alle loro indigenze nella solenità natalizia di abbondante elemosina, oltre la consueta.
Il P. Giacomo Benedetti MM. OO. nel convento di questi padri di S. Francesco di nazione budriese, uomo questo dabbene, altrettanto scienziato e fratello di Antonio Benedetti, che scrisse memorie di Budrio, essendo guardiano attuale nel detto convento finì li suoi giorni li 16 dicembre con dispiacere comune per le sue doti che possedeva; fu sepolto in questa chiesa di S. Bartolomeo con singulare onore e per la sua carica e per il merito.
Giunta la fine dell’anno dovendosi fare l’estrazione del console per il venturo primo semestre. Li componenti il corpo comunitativo ricusarono prestarsi all’investimento della carica stante le petizioni ed accuse date, per le quali si stavano compilando nuove leggi dal Senato.
Doppo essere stato lungo tempo a Roma, il P. Nicola Vincenzo Guaderna, agostiniano e frate nazionale di questo convento di S. Bartolomeo di C. S. Pietro, domandò al provinciale Fortunato Barbieri di Carpi il riposo da suoi studi in questo suo convento di C. S. Pietro, fu consolato ma perchè il convento era gravato da debiti, avendo il provinciale decretato la familia per soli tre sacerdoti ed un laico, se ne andò a Bologna finchè fosse il convento rimosso dai debiti.

(1713) – Entrò Podestà Alessandro Maria Gozadini per il primo semestre, l’officio di Consolo fu prosseguito anco per tutto questo tempo da Giacomo Landi per le ragioni accennate e per le imminenti formazioni di Capitoli, o siano Statuti comunitativi, che nel dì 28 aprile furono approvati dal Senato e Legato di Bologna a rogito del Notaio e segretario Giacomo Borgomari. Nel principio de med. si vede ridotto il numero dei consiglieri, che di 16 che erano furono ridotti al numero di dodici, come dai med. chiaramente si vede e sono li uniti.
Fu anco stampata la tariffa delle riscossioni del Peso e Misura sopra le merci che intervengono nel Mercato e piazza di questo Castello. Fu pure in questo tempo reiterato il Bando della Boletta al Podestà per il Cardinale Agostino Cusani nella stessa formula dell’altro del Card. Casoni e pubblicato in agosto solamente.
Nella fine di aprile fu notificato al publico, per Bando, ripullulare la velenosa febbre proveniente dalla Germania colla quale la gente moriva in meno di sette ore e poscia si copriva di petechie, onde furono prese grandi providenze e riguardi e si tirarono li Cordoni dalla parte del ferarese e Lombardia nell’entrante maggio. E perchè nei giorni festivi di precetto fra settimana il doppo pranzo in Castel S. Pietro non facevasi alcuna divozione e la maggior parte dei paesani giovinastri colle loro amorose andavano al passeggio la sera ed al gioco nelle due strade che circondano il convento de Cappuccini e comettevansi però anco de mali senza rossore, per essere le vie oculte e poco battute, non venendo la gente al Castello perchè non vi erano funzioni.
Pietro Antonio Cavazza qd. Ottaviano mio avo e proavo, mosso da inspirazione catolica, pensò essere un opportuno mezo il promovere e fare in d. giorni festivi una divozione nella chiesa de vicini Cappuccini, mediante una esposizione del SS.mo per tutto il tempo della compieta dalli med. solita recitarsi nel loro coro e doppo dare al popolo la S. Benedizione su li crepuscoli della sera.
Essendo perciò guardiano attuale del convento di questo luogo il P. Angiolo da Candelino, ne fece esso Cavazza la mozione al med. di questa funzione, fu ascoltata con giubilo, ed in appresso acettata colla intelligenza delli altri Relligiosi.
Ma perchè il med. Cavazza era di scarse forze per suplire alla spesa per tutto l’anno, invitò ad unirsi seco altri tre suoi coleghi assai piu’ benestanti di esso e furono Girolamo qd. Gio. Battista Dalle Vache, ora Vachi, Antonio Maria qd. Ottaviano Benetti e Giovanni qd. Giovan Paolo Giorgi il seniore, li quali tutti concorsero nella oppinione del Cavazza e successivamente si cominciò la funzione le seconde due feste di Pasqua dello stesso anno che furono li 17 e 18 aprile, a cui intervenne numeroso popolo. Risulta ciò da documenti in casa mia nell’archivio di mia familia.
La spesa consiste in mantenere tutta la cera bisognevole al numero di 18 lumi ardenti sempre tutto il tempo della compieta in cui sta esposto il SS.mo fino doppo la S. Benedizione e N. 4 candelotti portati da 4 chierici per il tempo delle litanie ed incenso.
In Bologna li Assunti andavano alle porte della città per il malore delle febbri accenate, ove niuno entrava senza fede. Cominciò questa influenza pestifera ne bestiami, motivo per cui si fecero indi maggiori divozioni di penitenza nella città e contado.
Durò questo flagello ad infierire nelle bestie, più che ne corpi umani fino al novembre, per tal ragione furono proibiti li laticini donde fu sospetato avere questi partecipato coll’uso il malore nei corpi umani e promosse le febri mortali indicate. Nel milanese fu tanta la strage de bovini che si arava la campagna in forza di cavalli.
Le rogazioni passate che cadeva li 21, 22 e 23 maggio furono eseguite colla maggiore divozione più del passato per le calamità presenti, onde per ciò si raconciliarono le Compagnie.
La vigilia delle Pentecoste li P.P. MM. OO. di S. Francesco di C. S. Pietro levarono dalla arcipretale con trombe e tamburi, che fu il giorno 3 di giugno, il Pallione ove era dipinta S. Cattarina di Bologna del loro ordine, colla assistenza di questi P.P. Agostiniani e Capucini locali di C. S. Pietro, clero secolare e processionalmente lo portarono nella loro chiesa di S. Francesco nobilmente apparata.
Stette esposto tutte tre le feste, le quali, nella magnificenza dell’apparato per la pietà dei benefattori, fu solennizato un triduo con concorso de luoghi circonvicini e città. Panegirici la matina, la sera esposizione del SS.mo in rendimento di grazie a Dio e per la conservazione del S. Padre Clemente XI, che nell’anno scorso arrolò fra il numero de santi la d. Beata.
Parimenti li sud. capucini celebrarono il mercoledì seguente una festa solenne alla gloria di S. Felice da Contalino Capuccino con particolare divozione.
Li 24 giugno doppo la formazione de novi statuti alla Comunità, fu estratto Consolo pel secondo semestre Lorenzo Costa e Podestà fu il Marchese Frangiotto Tanara.
Giovanni Molinari di C. S. Pietro fu ecelentissimo tornitore di legni e qualunque materia le fosse capitata ed ordinata. Per la pulitezza e sveltezza dei lavori si aquistò gran credito nella città di Bologna, dove stette molti anni a travagliare per familie nobili, indi passò nella Romagna, finalmente, avanzato in età e ritornato in patria, morì li 25 lulio da vero catolico senza sucessione.
Fu di coscienza tale che essendo stimati li suoi lavori più di quanto poteva avere, egli non computò mai che la sua giornaliera fatica. Le operazioni belle che fece in Bologna furono nelli Cappuccini, nel Colegio Panolini, nelli oratori della Congregazione de Gesuiti in S. Lucia. Nella Romagna travagliò molto in Forlì nella chiesa de Serviti e specialmente intorno all’altare di S. Pelegrino Laziosi, omettendo tanti altri lavori fatti in questa città alle familie nobili. Chi lo protesse in questa città fu il di lui cugino F. Bernardino da C. S. Pietro, laico capucino.
Terminarono pure li suoi giorni miseramente in Bologna Paolo Eusebio di Valerio Tesei e Cattarina Gattia di C. S. Pietro, familie facinorose delle quali vi sono molti processi nel Criminale dove che il d. Paolo servì in molti fatti di siccario il Principe Ercolani, famoso terorista in Bologna; delli antenati Tesei se ne è parlato in addietro nei nostri MM.SS.
Morì pure in questo anno Giuseppe Leopoldo d’Austria imperatore per vaiolo.
Li 13 agosto Battista e Francesco Chiodini, villani del comune di C. S. Pietro, careggiando formento dal loco Balduzza alla volta di d. Castello, avendo preso la fuga le bestie nè potendole trattenere, giunti che furono avvanti la S. Imagine del Cozzo nella via romana, precipitarono essi colle bestie e rimasero sotto il carro, onde vedendosi morto Battista, invocata la B.V., restò miracolosamente col fratello e le bestie illeso.
Essendo Confaloniere per il quinto bimestre, in Bologna li artisti della canepa, affinchè si rimediasse ai disordini che accadevano sopra li lavori della med., presentarono ad esso un lungo memoriale mediante Giulio Barzenghi che fu poi stampato col seguente titolo: “Riflessi bisognevoli, che si espongono per il Rissorgimento delle arti della seta, lana e canepa, posti in luce da Domenico Maria Ghedini”. In questo opuscolo fece vedere che, per Bolla di Sisto V li 25 marzo 1586, confermata da Gregorio XI, Paolo III, si proibisce mandare fuori stato la canapa greggia, mentre con essa si mantengono 12 mila persone, onde contravenendo a tali disposizioni pontificie si è recato infinito pregiudizio alla povertà e massime alle tre ben popolate terre di Budrio, Medicina e Castel S. Pietro; dove che prova ancora che stava meglio l’artigiano l’anno 1590 quando pagavasi per la miseria scudi 15 e 20 la corba il grano, perché le arti erano riconosciute, ed ora, quelle che non sono abolite, agonizzano.
Furono gustate le verità esposte nel memoriale, ma perché dalla Camera si sariano perduti li proventi del Dazio imposto sopra la estrazione, non se ne vide alcun provvedimento e fu per ciò posposto l’interesse della nazione a quello della Camera.

(1714) Essendo stato estratto Podestà per il primo semestre il Marchese Nicolò Riario, ne prese il possesso per esso il Notaio Felice Maria Villa. Consolo fu estratto Giulio Alberici che assunse la carica.
Stante la epidemia nelli uomini, che prosseguiva per le febbri indicate, si cominciarono a fare li Deputati di Vigilanza dalla Comunità per rassegnare le fedi al principio dell’anno, ma siccome il male cresceva convenne porre le guardie civiche del paese alle porte del Castello e Borgo, il che cominciò ad avere il suo effetto li 4 febraro 1714, che durò tale guardia fino a tutto giugno, come rilevasi dal Libro Diversorum in archivio comunicativo fol. 553 ed 770.
Li 16 febraro Marc’Antonio di Francesco Ricardi, ultimo di questa antica casata, morì, la di cui eredità passò in potere di Francesco Mondini per fedecomesso e poscia in mano de suoi fili Vincenzo, Giuseppe e Lodovico, tutti estinti nel corente secolo senza discendenza, toltone di Giuseppe che tiene un filio per nome Francesco in Ancona senza figliolo.
Nel mese di aprile morì pure Alfonso Graffi e restò il di lui colonello estinto.
Nel mese di aprile stesso cominciò a cessare nei nostri contorni il male ne cristiani e perciò si fecero ovazioni di ringraziamento nella chiesa dei frati di S. Francesco e S. Antonio da Padova e per ciò si levarono le guardie civiche.
Quantunque il calmiere del grano fosse a sc. 28 : 18 ciò non ostante li contrabandieri di Castel Bolognese portavano del pane e farine nel mercato di Castel S. Pietro conforme il consueto e passavano anco a Bologna con licenza del Card. Legato per soccorere vieppiù ai bisogni della città.
Le rogazioni di Maria SS. di Poggio, che seguirono li 7, 8, 9 maggio, furono oltremodo da contadini solennizate, con profusione di elemosine, di offerte di cera e di tavolette e voti a motivo della continuazione della pestilenza ai bovini, che desolava tutto il territorio.
Li 21 maggio dichiarato Legato di Bologna, il Card. Cusani partì il 3 giugno per la via di Loreto, ed in sua vece venne il Card. Lorenzo Casoni per la parte di S. Giovanni.
Intanto si giunse al secondo semestre, nel quale coprì l’officio di Consolo il cap. Valerio Fabbri e di Podestà il Conte Cesare Bianchetti.
Crescendo vieppiù la mortalità ne bovini restò quasi desolato il bolognese da bestiami al segno che si seminò con zappe il formento. Le uve che si dovevano condurre ai padroni su carri convenne portarle nei bigonci alla città a forza di giumenti e cavalli su le birozze. Le genti si cibavano di carne minute, cioè castrati, pecore, capre, agnelli e polami e tutto era divenuto assai caro di prezzo.
Per placare l’ira divina si facevano in tutte le chiese orazioni al Sig. ma egli non ascoltava e voleva così purgare il mondo.
Per tanta mortalità nel comune di Castel S. Pietro non solo faceva tridui le tre Religioni dei regolari e la Parochiale, ma anco le Società Spirituali e lajcali.
La compagnia di S. Cattarina li 27 settembre, esposta la insigne reliquia del Legno di S. Croce, fece la processione con le med. per il Borgo e Castello poi diedesi con essa la benedizione al popolo: rissulta ciò dal Campione or.to fol. 54.
Li 27 dicembre fu estratto Consolo per l’anno seguente novamente il cap. Valerio Fabbri dalla nova imbustazione.
Infirmatosi mortalmente Sante Negroni , socio alla possessione del Cozzo nel comune di Castel S. Pietro, custode devotissimo della S. Imagine di M. Adolorata che si venera nella cella di cui si parlò avvanti e ridotto al quinto giorno della malattia pleuritiche, abbandonato dal medico in mano di soli sacerdoti, esso, conosciuta la gravità del male, si raccomandò ferventemente a quella S. Imagine sua protetrice.
Nel fervore della orazione esclamando o Maria, o Maria, gran male sia ciò in penitenza mia e dando in una alta smania e dirotto pianto di tenerezza, vi sopravenne un gagliardo sudore, che in breve tempo si trovò guarito e libero dalla smania e in seguito dalla febbre.
Postosi quieto, coragiosamente vestitosi de suoi panni, credevano quelli della familia fosse un delirio e tentavano frenarlo, ma esso ressistendovi, si genuflesse nella sua stanza inverso la posizione della cella e doppo poche Ave marie ritornossi al letto; il giorno seguente rivestissi de panni e portossi alla S. Imagine senza alcun ajuto. La familia ed altri vicini restarono sorpresi di tanto prodigio e quivi si
accrebbe la divozione e culto a cod. S. Imagine, ove fu aposto il voto.
Li 12 ottobre il P. Clemente Landini di Castel S. Pietro, facendosi cappuccino ecelente e pio predicatore, non che uomo di santità di vita e segretario di Provincia, colmo di meriti religiosi, morì nel convento di Bologna in età di anni 45 e di religione 29; esigerebbe questo degno uomo un elogio particolare, che se avremo tempo si farà dalla nostra penna, come pure ad altri sogetti del paese.

( 1715) L’anno seguente 1715 entrò in officio consolare il d. Cap. Valerio Fabbri e fu Podestà Obizzo Maria Guidotti, fu suo sostituto il d. Villa.
Usavasi fino dal secolo passato e molto prima, all’occasione di condursi la sposa al matrimonio da villani, per evitare l’erore di persona, onde molti inconvenienti ne erano acaduti per il passato, prima di portarsi li novelli sposi alla chiesa, eseguivano questo rito.
Andavo lo sposo di bon mattino col mediatore del matrimonio alla casa della sposa, circuiva l’uno e l’altro la corte, il prato e la abitazione della sposa, finchè sortiva qualcuno della familia non essendo fuori della casa ecetto che li cani.
In tale fratempo sortiva il Regitore di familia o il padre della sposa od il bifolco. Chiedeva egli, come uomo novo alli sudd. soggetti che circuivano, qual cosa ricercavano al d’intorno; rispondevano quelli: cerchiamo robba nostra; replicava il Regitore non sapere trovarsi in casa sua niente appartenente a loro; pure tuttavolta entrassero in casa e dicessero espressamente e precisamente cosa ricercavano.
Essi rispondevano una donna nostra. Si si chiamavano per ciò dal med. regitore tutte le donne di famiglia ad una per una, si ponevano in linea tutte, fra le quali essendovi la novella sposa; sopravenivano poscia li altri parenti della med., cosichè, tutti arrivati si replicava dallo stesso Regitore l’acaduto delli due intervenuti, li quali ripigliando il motivo del loro intervento affine di condursi via una donna di questa familia come a loro appartenente, riconoscevano quella e lo sposo pigliavala per la mano dicendo poscia: Questa è la mia. Allora si alzava la medesima presa per la mano dal marito e si bacciavano a vista di tutti. Lo sposo poscia scioglievali dal collo li coralli segnale di virginità, come facevano li gentili alle pulcelle della zona ed in sua vece le meteva un tornacollo d’oro, oppure una croce, segnale il primo del giogo matrimoniale e somessione al marito ed il secondo di essere uniformi a portare la croce.
Corredata poi la sposa, schierati li parenti a due a due secondo i gradi di parentato, si procedeva alla chiesa a formare il vincolo solenne del Conjugio.
Celebrato il matrimonio, ritornata a casa la sposa da suoi genitori si eseguiva un altro rito rusticale detto: il tocca mano.
Si eseguiva questo in tal modo: li uomini di un parentado andavano a tocar la mano di quelli dell’altro parentato, le donne facevano lo stesso e si reciprocavano li baci. In questo incidente accadeva che taluno baccia la moglie dell’altro; nelli spiriti deboli per lo più nascevano gelosia onde dippoi accadevano disordini.
L’arciprete Nobili attento ad istirpare le ocasioni, con destrezza catolica procurò la abolizione di questa cerimonia facendo constare le conseguenze funeste e vi sortì felicemente nella massima parte del suo gregge, onde in oggi qualche vestigio vi resta di questa costumanza ma più circospetto.
Nel genaro cominciò a crescere il prezzo di grani a motivo delli geli, onde si vendeva più di lire 10.
Morì in questo tempo Benedetto qd. Innocenzo Fabbri di anni 71, un ramo delli antichi ed illustri Fabbri di questo Borgo, discendenti di Bittino de Fabri nella di cui casa si tenne lo Studio publico allorchè Bologna era interdetta, come abbiamo notato. Lasciò la moglie senza sucessione per nome Domenica Cavazza.
Fioriva in questo tempo il Dott. Girolamo Mondini, figlio naturale di Giuseppe, nella professione medica in sua patria.
Comechè le società quandochè cominciano con fervore, non manca lo spirito della discordia a sconporle. Dicemmo che la funzione della Benedizione del SS.mo ne giorni festivi fra settimana nella chiesa de Capuccini facevasi dalle quattro familie Vachi, Giorgi, Benetti e Cavazza; entrato un male inteso nel capo di Giordano Dalle Vache, come il più ricco di tutti, pretese esso di escludere li altri nella funzione.
Pier Antonio Cavazza, come quegli che era stato l’autore della funzione, sebbene il più debole di sostanze in paragone alli altri, si mise al forte e facendo costatare che, essendo egli stato l’autore di questa divozione, non doveva essere escluso.
Il P. Bernardo di Frassineto, guardiano del convento, inteso il merito, a scanso di scandali persuase il Vachi a ritirarsi dalla società, il che fece unitamente al Giorgi per essere suo congiunto, onde rimasero solo Pier Antonio Cavazza ed Antonio Maria Benetti a fare tale spesa.
Li 6 aprile fu tanto freddo che nevicò e si coperse la terra, conforme scrive il Gordini ne li suoi ricordi e durò alquanti giorni con danno ai seminati primatici.
Non ostante la pacificazione fattasi fra le due compagnie di S. Cattarina e del SS.mo, si ravivarono le pretensioni fra preti, pretendevasi dal curato di Poggio e dal beneficiario della Chiesa della Madonna di Poggio quanto dal Capellano della compagnia del SS.mo, per portare la stola nel trasporto e levata della Imagine dalla sua Relligione, per cui si acesero liti civili e ne naquero scandali in presso nelle funzioni.
Onde furono poi carcerati Giovan Alessandro Petrini, primo compagno del SS.mo, Antonio Maria Palmieri, M.ro de novizzi e Ventura Galassi, li quali avevano violentata la processione, ad esclusione del paroco di Poggio. Quindi fu fatta una lite, alli atti di Luigi Monati, nel vescovato di Bologna avvanti Mons. Filippo Gazoli V. G. e fu per ciò decretato li 26 aprile che si osservasse il metodo prescritto dal Card. Giacomo Boncompagni, cioè che dovesse il priore, ed altri officiali della compagnia del SS.mo il giorno precedente la levata della S. Imagine per il trasporto a C. S. Pietro, avvisare il rettore del Beneficio ed il Curato di Poggio pro tempore, onde stessero preparati per la levata della S. Imagine da accompagnarsi ai confini della parochia di Poggio nella andata e così nel ritorno della med. S. Imagine e che fossero interdetti tanto il capellano della compagnia quanto il Beneficiario di portar stola e dovessero attendere li decreti della Sagra Congregazione de Riti fatti in Roma li 10 ottobre 1703. Rifatta poi la concordia, dalli atti della compagnia del SS.mo tolto questo.
In tale frattempo il turco mosse l’armi contro li cristiani, ed intimò la guerra all’Austria ed all’altre potenze catoliche. Si fecero per ciò in ogni loco orazioni. Li 16, 17, 18 maggio si fecero le rogazioni colla Imagine SS. di Poggio e si diede esecuzione al decreto sudd..
A sentire delle nove di guerra si alzarono li prezzi dei grani.
Il di primo giugno il papa pubblicò un giubileo universale per pregare il Signore contro il turco, che con poderoso esercito faceva guerra ai veneziani verso S. Maura, Ottranto e contro tutto il cristianesimo verso Napoli, facendo stragi verso Corinto e massime a S. Maura.
Il 24 giugno fu estratto Consolo per il venturo semestre Giacomo Landi, che prese il possesso il di primo di luglio, fu Podestà Antonio Filippo di Girolamo bolognese, sotto il governo di questi due soggetti, essendo stato scarsa la raccolta, il Card. fece il calmiere li 4 agosto al grano di sc. 10 la corba, ma si vendeva assai più, cosichè li 14 settembre lo accrebbe a sc. 12.
Le correnti del Silaro furono molto affluenti in guisa che minacciavano la via romana presso il ponte dalle parti di levante, fu ricorso al Senato per il riparo.

(1716) Estratto Consolo lo 27 caduto dicembre Giacomo Maria Bertuzzi Not., investì la carica il di primo genaro, ed il Podestà fu il Co. Alessio Orsi. Ma perché il governo di Bologna aveva ripristinati li ripari alla corrente del Silaro, non furono di quella qualità che bastasse al pericolo, che minacciava la strada, la Comunità nel 3° di genaro diede novamente ricorso al Senato per ostare al male col costruirvi un muro difensivo ad uso di ala.
Venero per ciò la visita de periti, che covenero nella idea i pensieri della Comunità. Ne fecero il dissegno senza punto osservare la linea di fondamenti, indicante che anticamente eravi simile muro, mentre dalla sponda dell’ochio del ponte a levante si rilevava la lunga striscia di fabbricato in calce e ghiara che dal ponte si protraeva fino alla riga della via delle Fornaci, che se avessero seguito questa traccia e scoperto il fondamento buono poteva benissimo edificarsi sopra questo con minore spesa il divisato mura da periti dessignato, mentre il furore della piena d’aqua mai l’aveva potuto penetrare né offendere e si sarebbe minorata la spesa.
Il divisato fondamento si vede di quanto in quando scoperto. Fu perciò ordinato che imediatamente si facessero penachi diffensivi nell’alveo del fiume per divertire la corente, il che si fece.
Fu tale freddo in questo mese che le galline restarono affatto il fare ova, onde si vendevano tre bajochi la copia nel teritorio e quatro nella città.
Li 29 marzo fu uciso Girolamo Mingardi di anni 35, nativo di Castel Bolognese, al Rio Rosso nel comune di Castel S. Pietro con archibugiata, ove fu portato nella casa della comunità e morì in casa del Messo. Il 17 d. fu poi uciso dai sicari Antonio qd. Ugolino Poggipollini da Castel S. Pietro di anni 33 nell’osteria della Corona in Borgo.
Nell’aprile seguente fu fatta dalla Comunità il campione di tutte le strade del teritorio di Castel S. Pietro del quale ve ne è l’originale nell’archivio comunitativo al Campione secondo delli atti fol. 143 ed 201. Tal Campione in apresso ha dato regola ai successivi Campioni.
La penuria di grani mosse il Legato a fare il calmiere a sc. 11 quantunque si vendesse assai più di prezzo.
Li 26 maggio Tomaso del fu Stefano Giovannini di anni 65 da Medicina fu ucciso sotto la porta maggiore del nostro Castello a motivo di un cane con due archibuggiate da Gio. Paolo Vannini, sicario imolese.
Li 28, 29, 30 maggio si fecero le solite rogazioni di Maria SS. di Poggio, il di seguente 31, giorno dell’Assensione nel tempo di volersi dare la S. Benedizione, si alzò schiamazzo nella pubblica piazza del Castello fra due fazioni di armati, una di Casalfiumanese, capo della quale era Eliseo Ravaglia di Sassoleone e l’altra fazione era di Monte Catone capo della quale era Mengazzo, Savonella per sopranome, con alcuni dozesi della familia Valloni.
L’una e l’altra fazione cominciò a gridare abbasso, abbasso alle persone che attendevano la benedizione, convenne a tutta la popolazione sdraiarsi a terra, rimanendo li soli fazionari in piedi colli archibugi alla facia che si minaciavano. Andarono alquante archibugiate da una parte e dall’altra, ma per miracolo di M. V. niuno restò ofeso.
Durò la bulia bona mezzora e li ministri della funzione gridavano fortemente: state buoni fratelli, state buoni, ma essi erano sordi. Finalmente il capitano Valerio Fabbri di Castel S. Pietro uniti con altri paesani corsero all’armi, ed infraposti alle fazioni prendendo da parte detto Ravaglia, fecero tanto che sloggiarono li aversari. Terminato il rumore si diede la S. Benedizione.
Non ostante li lavori fatti nel Silaro per riparare la via publica per li quali si erano spesi sc. 450, fu ricorso al Senato per il comparto di queste e vieppiù se le aggiunse che faceva duopo di più solido lavoro, stante chè ancora la corrente del Silaro minaciava la via delle Fornaci aderenti.
Portata in Senato la instanza e verificato l’esposto, decretò li 23 giugno il partimento di tal somma alle Comunità sogette alla podesteria di Castel S. Pietro colla seguente dichiarazione cioè:
”Ad hoc, ut via illa publica et consolaris que secus Silaris flumen pergit non longe a ponte d. fluminis superposita possit iis in locis sustineri et reastari, ub ex superabudantioris et si opus fuerit ales ex muri contructiones fiat.”
li 24 giugno fu estratto Consolo per il prossimo semestre Vincenzo Benati, che assunse la carica il di primo lulio, il Podestà fu Giacomo Ottavio Beccadelli.
Data li 25 agosto il turco una sanguinosa battaglia alli christiani nella Germania, restò egli soccombente, ed il Christianesimo glorioso vincitore. Si cantarono perciò nelle chiese lodi di ringraziamento e Clemente XI ordinò indulgenza plenaria ai buoni cattolici che ne davano dimostrazioni di giubilo spirituale.
Reso vacante il posto di Generale nell’ordine de P. P. de Servi, Clemente XI avendo in vista li meriti del P. Giuseppe Dalla Valle, figlio di Pietro Dalla Valle nato nella corte di Castel S. Pietro e batezato a S. Martino di Petriolo parochia soposta al d. Castello, gli spedì il breve nel mese di agosto, conforme acenano li annuali de Servi L. 3 Fol. 654 anno 1716 in questi termini: “Iterim sumus Pontifex Clemens XI ad ordini nostro in capite provideret, expedivit applicum Breve de mense augusti pontif. anni 1716. Vi cuius Vicar.apticum totius ordinis generalem dessignabat D. Magistrus a Valle tunc temporibus Provincialem qui raro exemplo, humilitate dictus, omnibus etiam e.mi Jacobi Boncompagni Card. Archiep. Bonon. in eius manibus ipsumet Breve directum fuerat sua sionibus ad acceptan. ultro a Summo Pontifice santam dignitatem oblatam viril. restitit etiam in scriptis Renuntiationem suam seu melius dixurim non acceptationem officj supremi Romam trasmittens, id quod in eius laudem perpetuo cedit, et Juventuti nostre ad aicendam (..) armis ambitionis, vel umbram, que facilis etiam intra claustra subregit, totamque paulatim destruit spiribus perfectionem, optimum exhibuit exemplum”
Il lodato P. Giuseppe Dalla Valle che fu filio di Pietro Dalla Valle e di Elisabetta Santini nato in villa, nazionale di Castel S. Pietro, ma per accidente battezato a S. Martino di Petriolo come si disse, fu uomo non meno scientifico che di maneggio singolare e prudenza incomparabile.
Ebbe li suoi primi rudimenti di lingua latina in questo Castello e fra i suoi coetanei egli spiccò di molto. Fu amico intrinseco del segretario Alessandro Fabbri e del regente Quaderna agostiniano, dove egli avea già prima intenzionato vestir l’abito in questo convento di S. Bartolomeo, il che non avendo effettuato, lo effettuò poi un di lui nipote che in Relligione agostiniana vesti lo stesso nome di P. Giuseppe Dalla Valle, il quale fu priore per lungo tempo e Vicario del S. Ufficio finchè visse in questo Castello.
Dell’anzidetto P. Giuseppe servita ve ne è ampia memoria incisa in marmo nella chiesa di S. Giuseppe fuori di Porta Saragozza di Bologna. Ebbe il med. P. Giuseppe altro fratello germano dello stesso ordine de Servi per nome P. Luca che fu P. Maestro, del quale ve ne è indicazione nella chiesa de Servi di Bologna presso l’altare di S. Pellegrino Laziosi alla cui costruzione vi ebbe gran mano. Dell’uno e dell’altro sogetto alla loro epoca ne riporteremo le rispettive iscrizioni.
Li 22 ottobre, stante la vittoria ottenuta contro il turco, l’arcivescovo Boncompagni ordinò in tutte le chiese della sua diocesi che si cantasse l’inno ambrosiano e si suonassero li S. Bronzi di festa. Il Papa poi, per vieppiù aumentare la divozione a Maria SS.ma del Rosario e per la efficace protezione avuta nella battaglia e sconfitta al turco, ordinò una messa particolare del Rosario da celebrarsi in perpetuo.

(1717) Sortito Consolo per il primo semestre Gio. Battista Dalla Valle congiunto delli sudd. P.P. Dalla Valle, prese il possesso della sua carica. Fu Podestà il Co. Francesco Maria del conte Giuseppe Luigi Zambeccari.
Il sacerdote D. Pietro qd. Francesco Trochi di questo Castello, uomo dabbene, devoto ed attivo, riconosciuto per tale dalla reale corte di Spagna, fu dichiarato da quel Ministro regio capellano a vita nel Regio Collegio di S. Clemente nella città di Bologna.
Le grazie che M. S. detta del Cozzo,dispensava a suoi divoti erano tante, che facevano concorrere affluenti elemosine, per la qual cosa essendo la di lei Imagine, come si disse, di rilievo in macigno in una piccola celetta fronteggiante la via romana, ne avvenne che per maggiormente onorarla, il provvido e zelante arciprete D. Gio. Battista Nobili, si porse il pensiero di accomodare e fare ingrandire la celetta ove si venerava, col redurla ad oratorio atto a celebrarvi.
Non andò a voto il suo pensiero, tanto più che le offerte e le elemosine erano divenute un buon cumulo, perciò fattovi fare il dissegno dal perito Giovan’Antonio Conti, con partecipazione delle monache di S. Catterina di strada Maggiore proprietarie, delle quali se ne parlò l’anno 1712, del fondo e suolo ove esiste questa S. Imagine nel principio della Via del Corolo dove si dirama dalla via romana.
Le quali monache, oltre l’avervi accordato un poco di terreno, concorsero anco alla fabbrica, che si terminò l’anno seguente, facendole il prospetto alla celetta respicente l’occaso e che dirittamente guarda Castel S. Pietro, dove prima riguardava il meridio a fianco della Via Romana.
Vi si formarono un ampio fenestrone co’ ferrata ovale, che si scopriva fino dal ponte sopra il Silaro e dalla chiesa o sia oratorio di S. Giacomo.
A questa chiesa l’arciprete fece due soprastanti, che furono Girolamo Dalle Vache e Giuseppe Rinaldi, ad essi si aggiunse per depositario delle offerte ed elemosine Giuseppe Ronchi, tutti civici di Castel S. Pietro, come si riscontra nell’Archivio della parocchiale.
Ritornate le Missioni delli sopracitati Gesuiti, cominciarono il loro travaglio li 22 maggio, giorno avvanti la domenica dell SS. Trinità, che durarono fino alli 30 corente ed il giorno del Corpus D. 22 maggio si cominciarono le alegrezze de fuochi artificiali ed illuminazione alla piazza tutta e nelle torri del paese.
Si durò tre giorni ed ogni sera si diede la benedizione col Venerabile nella parochiale in ringraziamento al Signore per la vitoria ottenuta contro il turco, nel ultimo giorno diede la papale benedizione il P. Luigi Cagliari gesuito Missionario in Capite.
L’aspetto bello della raccolta fece calare il calmiere al grano e ridurlo a S. 6 la corba.
Li 24 giugno essendo stato estratto per il venturo semestre Consolo Giuseppe Rinaldi e Podestà il Marchese Francesco Alessandro Spada, l’uno e l’altro intrapresero il lo officio il dì primo lulio con piacere della popolazione, massime rispetto al primo per essere uomo caritatevole a tutta la povertà.
Adì primo lulio accadde un temporale di vento e tempesta tale restò coperta la terra nel comune di Castel S. Pietro per due giorni con freddo in modo che le persone per cautellarsi di salute portavano li tabarri.
Essendo a termine della sua legazione il Card. Casoni fu sostituito ad esso il Card. Curzio Ovighi. Questi, tenendo la via di Romagna per venire a Bologna, li 10 agosto fu incontrato ai confini di Castel S. Pietro dalli senatori Co. Nicolò Caprara e …….. Borghi , che avevano seco quattro Compagni Nobili cioè Paris Grassi, Emilio Malvezzi, Francesco Zambeccari ed Angiolo Marsigli.
L’incontro seguito a confini seguì in questa forma. Eravi collì preparata una stanza grande di asse, tutta coperta internamente ed adobbata di damaschi cremisi e spechi e sedie nobili.
Entrato in essa ricevette quivi il novo Legato il solito complimento, dappoi le fu richiesto dove andava, a cui replicando egli che andava a Bologna per Legato a latere del Papa e per suo ordine, le fu risposto E.mo noi siamo i padroni di Bologna e siamo anco ubidienti a sua Santità, resta solo che l’E. V. ci facia constare in iscritto la spedizione, quale addimostratolo il Breve, tutti li deputati le presentarono in un bacile d’argento le chiavi della città. Colli detti ambasciatori vi erano li cavalleggieri della città.
Terminato il complimento vennero tutti a Castel S. Pietro colla pioggia al palazzo Malvasia, Locatelli e S. Francesco nel convento. Furono tutti banchettati squisitamente. Costò il pranzo Lire 2890, conforme ci lasciò scritto Giovanni Giordani agente del Mar. Senatore Magnani, che in tal fatto vi ebbe ingerenza. Terminato il pranzo imediatamente salì in legno il Legato et andò a Bologna.
Questo è il primo legato della città che trovo così onorato ai nostri confini. Giunto a Bologna corrispose a quella città con amorevoli segni di gratitudine inverso il popolo.
Li 7 settembre fece il calmiere al grano in sc. 8 la corba, poi fece fare una rigorosa introduzione dei formenti in Bologna. Per lo die li 20 dicembre lo ridusse a sc. 7.
Li 22 dello stesso dicembre Girolamo Mondini di Medicina, filosofia doct. finì li suoi giorni in patria. Per essere egli confratello della compagnia del SS.mo le furono fatti esequie singolari, alle quali assistette sempre il corporale cappato e si eseguirono nell’oratorio del med. compagnia, colla approvazione e presenza dell’arciprete Nobili, uomo preclaro e degno di eterna memoria per essere amantissimo delli riti ed onori apostolici.
Doppo terminate la funzione fu portato il cadavere nella vicina chiesa arcipretale ove ebbe sepoltura. Visse anni 43, amato dal popolo ed aplaudito da tutti. nel libro Matr. si trova la seguente: “ 1717 21 X.bris Hieronimus Mondini Medicina ac Philosophia Doctor obiit Patria Domus propria annos 43.” Si omettono li suoi genitori, perchè spuri.
La di lui casa era nella via Maggiore alla sinistra, alla seconda porta e nella seconda isola di fabbricati. Non ebbe alcuna sucessione perchè non si amogliò mai essendo di poche sostanze e beni di fortuna.

(1718) Li 27 d. fu estratto Consolo per il venturo anno e per la prima volta Pietro Gordini onde il primo genaro prese il suo possesso; successe egli nel posto del fu Giacomo Landi. Fu Podestà di questo semestre Paolo Emilio Fantuzzi.
Sul nostro confine di Castel S. Pietro in poca distanza in una possessione delli Conti Tedeschi Ottavio e Giacomo si cominciò ad edificarsi e piantarsi un seraglio e caccia di selvaticini detto volgarmente: roccolo, alla disposizione della pianta del quale et altri edifici vi intervenero li primari cacciatori di Castel S. Pietro, che furono Ignazio Calanchi e Francesco Cavazza mio padre..
Il Pricipe Galeotto Pichi stabilitosi a Castel S. Pietro, coll’aversi fabbricato un quartiere privato nella piazza di S. Francesco: d. Piazza di Saragozza, anticamente sopra una casa delli Orsolini, alla fiancata della quale, contro la casa e cemeterio della Parochia, eravi un di quei primi pozzi di ragione pubblica, che furono costretti per comodo della popolazione dopo la costruzione del Castello in una stessa semetria ed ordine, quale sono quello che esiste in via Framella e finalmente quello che trovasi nella via della Rocca poggiato alla casa de d. Morelli, che poi furono de Gesuiti.
Quindi perciò sentivasi da ogni ora strepito di persone che andando ad estrarre aqua non lasciavano la quieta al med. sig. Principe. Egli petente chiese alla Comunità di chiudere tal pozzo e sostituirne un novo a proprie spese; ottenne il permesso e fu per ciò edificato tal pozzo in mezo al colochio di una casa della familia Serantoni, che vi prestò il suo consenso, non molto lungi da altro publico pozzo che ora sta coperto con lapide nell’angolo inferiore allo stradello che porta alle fornaci di pentole, poggiato ad una casa già delle Monache di S. Maria Egiziaca.
Oltre questi pozzi indicati ve ne erano sparsi altri simili nelle strade e quartieri del Castello di egual semetria e manifatura delli sud., con la camicia di pietre cotte in piano, delle quali se ne vedono le vestigia segnatamente nello stradello Fiegna, che porta alli palazzi, nello stradello Graffi, nella via Maggiore presso la casa Fantaguzzi, così che se ne contavano fra tutti in Castello N. sette a beneficio pubblico aperti ed ora se ne contano soltanto quattro; cioè presso la Rocca, presso S. Bartolomeo, presso Casa Malvasia ed, in ultimo quattro, presso li Serantoni, fabbricato dal sud. serenissimo Pichi.
La funzione della benedizione del Venerabile li giorni di precetto fra settimana, solita farsi nella chiesa de Capuccini a spese di Antonio Maria Benetti e Pietro Antonio Cavazza compagni, fu del tutto abbandonata dal Benetti e lasciata al Cavazza, il quale continuò per sempre finchè visse fino al 1742 e nel suo testamento anzi ordinò che fosse dal suo erede Francesco continuata per un decennio e non più, come a suo loco riferiremo anco la ulteriore continuazione.
Trovandosi contumaci di giustizia li fratelli Lorenzo e Francesco Laurenti di Castel S. Pietro, detti volgarmente: della Broccarda, discendenti del dott. Laurenti, per l’omicidio comesso l’anno 1712 nella persona di Ottavio Fabbri, questi perciò nel dì 12 marzo furono graziati col pagare in Camera lire trecento di Bologna, o siano scudi sessanta e scudi sei alli Notari del Tribunale.
Ah! quanto poco costa a questi giorni la vita di un uomo assassinato.
Terminata la fabbrica dell’oratorio della Madonna del Cozzo, che costò sc. 726: 19: 10, come si vide in documento nell’archivio di questa parochiale. Fu anco abilitata la chiesina alla celebrazione del S. Sacrificio, onde li 25 aprile, facendo giorno di Pasqua di Resurrezione, si celebrò in essa il S. Sacrificio dal capellano parochiale, ove vi fu concorso.
Li 30 maggio, giorno di lunedì primo delle rogazioni di M. V. di Poggio, Pietro …….. detto il Valerino, di Tossignano, denominato anco Pirone, famoso micidiale e ficcavia, essendo venuto a questo mercato di Castel S. Pietro con altri sicari e suoi compagni, forse per qualche tradimento o per sua diffesa, fu ucciso con archibugiate nell’osteria del Moro entro il Castello alla destra n. 5, casa già delli Forni ora di P.P. de Servi; seguì in appresso una baruffa di archibuggiate fori della porta superiore presso il convento de Cappucini co’ di lui seguaci ed altri dipendenti della casa Suzzi di Tossignano, d’onde ne rimasero alcuni feriti. Costui fu gran bestemmiarore, morì impenitente, fu portato perciò alla sepoltura dietro la fossa del Castello presso la rocca. Il suo cadavere fu disumato la seconda notte, né si seppe da chi, non trovandosi nemeno il vestiario onde fu sepolto; che ciò fosse accaduto per motivo di taglia.
Estratto Consolo li 24 giugno scaduto 1718 Giuseppe Ronchi, fu il di primo lulio ad ossequiare il novo Podestà di Castel S. Pietro Marchese Piriteo Malvezzi filio del Sen. Virgilio, che a questo effetto si era portato in cod. suo palazzo per farsi riconoscere per Governatore. Il di 20 dello stesso mese visitò col suo Notaio e Ministrale li viveri e le botteghe per (…..).
Trovandosi in cod. Chiesa di S. Pietro nel Borgo una Pia Unione di 400 uomini il di cui instituto era di andare a Loreto ed Assisi, allorchè fossero sortiti li individui di quella da una imborsazione, dove esistivano tutti li nomi e cognomi comprendenti la med. unione, per effetuare la quale si faceva una coletta e deposito di soldi quattro per ogni confratello una volta l’anno, dal qual deposito poi si estraevano sc. 50, ogni anno la festa di S. Pietro, per andare poscia a Loreto, perciò il di 29 lulio il zelante arciprete Nobili, per il milior governo di d. congregazione promosse alcune Regole, delle quali noi non abbiamo copia, ma non troviamo poi in osservanza e né tampoco in questa epoca approvate, ma solo circa il 1728, dalle quali preleviamo che aveva la sua residenza nella chiesa di S. Pietro in questo Borgo, comenda di S. Stefano.
Nella strada di Saragozza di sopra Bianca Marchetti, moglie di Berlame o Beltrame, partorì un figlio maschio col capo di tenca che subito morì, ciò non ostante fu sepolto nel cemetero dalla arcipretale, nel quale fu portato coperto.
Li 12 agosto venero in Bologna 1500 tedeschi che si incaminarono verso Napoli passando il di seguente da Castel S. Pietro, danegiarono li bottegai e fruttaroli. Il reggimento era guidato dal Conte Obronie, nel qual tempo essendosi infirmati alquanti soldati, due di essi non potendo ressistere al viaggio, furono fermati a Castel S. Pietro e furono Bernardo Ruper caporale primo del Duca Milier della compagnia del regimento vechio Vitembergh d’anni 50. Questi soldati alamanni andavano ogni tre anni a Napoli per conto dell’Imperatore, secondo le capitolazioni fatte fra queste due potenze.
Essendosi fatta una mediocre raccolta, fu fatto il calmiere al grano di sc. 8:10 la corba per lo spiano del pane.
Terminato il Roccolo, del quale se ne parlò di sopra e nella fabbrica fu capo mastro muratore al lavoro Pelegrino Barbieri medesimamente di Castel S. Pietro; nella torre dell’ucelliera fu apposta la seguente iscrizione:
Roccolo
fatto piantare da Conti
Ottavio e Giacomo
Tedeschi con torre fabbricata da
Mastro Pelegrino Barbieri
li XXV ottobre 1718.
Doppo essere stato fuori di patria il P. Regente Guaderna e doppo avere fatti diversi quaresimali si restituì a questo suo nazionale convento di Castel S. Pietro essendo provinciale il P. Nicola Baffi, dove stette fino alla morte.
In questo corso di tempo, come che era eccelente poeta a suoi giorni, compose molti sonetti, che si stamparono, fece altesì una narazione traggica scenaria titolata: La strage delli Inocenti, improvisava egregiamente. Abbiamo la azione scenica sud. MM. SS. con alquanti brindisi ed altre composizioni da noi raccolte.

(1719) Estratto Consolo il 27 decorso dicembre Girolamo Dalle Vacche, prese il possesso il giorno primo genaro 1719, così fece il novo Podestà Conte Ferdinando di Carlo Marsili e poiché in questo tempo passavano le truppe alamanne, che andavano come si disse a Napoli ed in Sicilia, perciò si destinarono li aloggi in questo Castello e Borgo dalla Comunità.
Per meglio ciò effetuare l’Assunteria di Milizia spedì in questo loco per comissario Carl’Antonio Pignoni. La prima colonna che fu del regimento Vitembergh arrivò li 4 genaro. Era composta di 800 soldati, di tre capitani, cinque tenenti e cinque alfieri.
Li ufficiali ebbero diversi quartieri nelle case più proprie del paese, pernotavano una sola notte e poi partivano per Imola onde dar luogo al novo passaggio. Rilevasi ciò da un Campione originale nell’archivio comunitativo.
Al dì 7 d. su le tre di notte si fece sentire fieramente il teramoto in modo che le genti sortirono dalle loro case per tema di non rimanere sepolti nelle ruine de fabbricati, ma grazie a Dio niuno periclitò né cadde edificio alcuno toltone li camini.
Correndosi in Bologna al Palio nella via di Saragozza ove con infinito concorso di persone il giorno 9 febraro in giovedì, accadde che fu ucciso, presso S. M. delle Moratelle, il Conte Dottor Girolamo Graffi nobile dal Bargello de Birri Giacomo Acorsi, il quale caminava colla sua squadra nel corso per tenere in ordine la corsa.
Ordinò per ciò al cavalier Graffi che si ritirasse nella carozza, non lo potendo il cavaliere per essere in mezzo ad altre carozze. Il Bargello temerario venne a parole col cavaliere e poi passò ai fatti e le diede un archibuggiata che lo amazzò tostamente.
Fu scoppiata una archibuggiata al Bargello, fu colpito ma senza pericolo, perché era armato di giacca.
Un tanto attentato spiaque a tutta la città e nobiltà e perciò Orazio Bargellini, Mario Bottrigari ed altri nobili andarono alla piazza armati. Vi si unirono le scolaresche pubbliche e la città andò a rumore ed il Bargello fuggì in S. Pietro.
Li 8 genaro giunse in Castel S. Pietro l’equipaggio del principe Ostima che alloggiò nel palazzo Locatelli. In questo mentre la seguente domenica 10 genaro il Bargello, ritirato in S. Pietro, di bon matino se ne fuggì travestito da soldato a Firenze.
Li nobili per ciò adunati andarono dal Legato per avere una giusta sodisfazione. Presero la piazza e stette la guardiola chiusa alquanti giorni. Nelle pubbliche scuole si adunò la scolaresca, la nobiltà e molta cittadinanza ove la città si vedeva in pericolo.
Furono chiamati alquanti bravi e sicari dal contado, si volevano perciò prigioni di birri. Intanto che ciò si dibatteva giunse alli 11 la prima colonna del regimento Olstim a Castel S. Pietro ove il primo colonnello alloggiò nel palazzo Malvezzi ed in casa di Pier Antonio Cavazza il tenente colonello.
Vi erano 4 capitani, tenenti 5 ed alfieri 6 in questa colonna che attivò diversi alloggiamenti con tre chirurghi ed un capellano presso l’arciprete.
Su le ore 23 dello stesso giorno la nobiltà armata prese li posti della piazza, si chiuse affatto la guardiola e le botteghe. Alle 3 di notte si sentirono archibuggiate verso la guardiola, della nobiltà si fece capo il Marchese Francesco Zambecari e della scolaresca Giuseppe Fabbri da Castel S. Pietro f. di Cristoforo detto: Naso di Stucco.
Fu finalmente messo in prigione certo Orlandi nipote del Bargello, che si trovò ancor esso nel fatto ed il di 13 d. Presente la nobiltà e scolaresca se li fece dare la corda; ma perché la malizia delli altri sbirri le avevano legato uno sforzino di dietro, onde sostenersi alla traversa ed era unito alle calze. Lo sforzino si slacciò, l’Orlandi paziente, non potendo soffrire la pena, gridò: ohime si è tolto lo sforzino, ma non li giovò poiché, volendosi novamente rilegare dalli sbirri di intelligenza, vi si fece avanti animosamente il d. Fabbri con altri compagni e colle pistolle alla mano gridò: tiralo su come sta altrimenti vi amazzeremo tutti quanti siete.
Onde li birri, spaventati di tanta rissoluzione, convenne obedire ed il paziente subire una penosa corda, per la quale stette molto tempo uomo inutile.
Il legato poi a tanta arditezza del Fabbri voleva pure dare qualche castigo, lo chiamò a se per sgridarlo, ma il Fabbri più desto, accompagnato da suoi scolari e nobiltà andarono a sentire l’oracolo del Legato al quale, minacciando di sfratto doppo la carcere, rispose il Fabbri che se egli aveva fatto dare la tortura allo sbirro come stava non aveva eseguito che la pura giustizia e li ordini criminali.
Ciò non ostante il Legato li intimò per tre giorni la carcere in casa. Il Fabbri per questo fatto, siccome era di talento come di coraggio, essendo anco protetto dalli Pepoli, passò dallo studio delle leggi civili al criminale, nella quale profittò molto ed a suo loco ne scriveremo li effetti.
Lo stesso giorno 13 giunse la seconda colonna con un tenente colonello che allogiò in casa Malvasia, cinque capitani, tenenti 4 ed alfieri 5. Il tenete maggiore allogiò nel convento di S. Francesco. L’equipaggio in casa di Felice Farnè col tenente Casetti.
Finalmente li 15 d. giunse la terza colonna del regimento secondo Olstom. Il colonello allogiò in casa Malvezzi, aveva seco 4 capitani, cinque tenenti e 4 alfieri con due chirurghi.
Li 17 d. poi giunsero li officiali di una nuova recluta detta del Regimento Assiacaselli. La sua prima colonna arrivò a Castel S. Pietro li 25 d. fu di 5 capitani, sei tenenti e sei alfieri, che furono sparsi in diverse case del Castello. Il colonello in casa Malvezzi.
Li 25 d. arrivò quivi la seconda colonna condotta dal Sergente Maggiore che allogiò in casa Malvezzi, aveva seco 6 capitani, 6 tenenti e 6 alfieri che ebbero diverse abitazioni; e li 27 d. arrivò la terza colonna col colonello albergato in casa Locatelli: 5 capitani, 5 tenenti e 5 alfieri.
Fu rinovata in questo tempo la tariffa sopra il peso e misura delle robbe venuti dal mercato di Castel S. Pietro come si riscontra dalla unita stampa.
Li 28 e 29 febbraro arrivò la prima colonna del regimento Traun con sette capitani, 7 tenenti e 7 alfieri. Li 2 marzo arrivò a Castel S. Pietro la seconda colonna del regim. Traun ove riposò fino a tutto il di 3 d. Il colonello in casa Malvezzi, aveva seco in diverse abitazioni, 7 capitani, altretanti tenenti ed alfieri. La terza colona vi seguì ed arrivò li 4 marzo e riposò fino al di seguente, avendo solo un Sergente Maggiore in casa Locatelli, cinque capitani, cinque tenenti e tre alfieri.
Adi 10 d. arrivarono due Reclute di cinque tenenti, tre alfieri con un capo comandante, che allogiò in casa di Paolo Andrini.
Li 12 aprile arrivarono due Reclute di 5 tenenti e 3 alfieri con un capo comandante, arrivarono poi li ussari a cavallo di due regimenti, cioè Eberrgeni e Terarsi, con colonello che allogiò in casa Malvasia. Capitani n. 6, tenenti 6, un Cornetta ed alfieri n. 5, che alloggiarono in diverse case e così terminarono.
La nota di quali regimenti e passaggi da Castel S. Pietro è la seguente estratta da un campionello titol. 1714.
Passaggi delle truppe alamanne d’infanteria e cavalleria nel corrente anno in gennaio, febraio, marzo aprile col numero di ciascun regimento e reclute cioè:
Regimento Vitembergh soldati n. 2.200
Regimento Olstim n. 2.300
Una Recluta soldati n. 300
Regimento Assia Casel soldati n. 2.540
Regimento Traun soldati n. 2.200
altre due Reclute sodati n. 820
Totale n. 10.960
Ussari a cavallo N. 560
Tutte queste truppe andavano nel napoletano. E perché si lagnavano giustamente li nosti villani che le semini stravano per via di comando e bestie e carra per il trasporto del bagaglio, così il card. Legato, per solevare il comune di Castel S. Pietro dalli careggi, ordinò che li contadini di Medicina e Casale venissero in aiuto di Castel S. Pietro, come fecero.
L’ingresso della porta maggiore di Castel S. Pietro essendosi ruinata nel suolo a motivo delle carrerie della Milizia, fu fatta ristorare d’ordine del Legato.
Li 4 maggio, quantunque le truppe avessero di molto consumato di farine, non ostante il Legato rinovò il calmiere a sc. 7:10, perché la raccolta dava grandi speranze.
Li 24 giugno fu estratto Consolo Valerio Fabbri, che ne prese del suo ministero l’esercizio il di primo lulio e così il novello Podestà fu il Marchese Guido Antonio Barbazza.
Li 7 lulio Giovan Paolo qd. Alessandro Fabbri, marito di Maria Vittoria Comelli, morì e fu sepolto in parocchia. Lasciò doppo di se quattro fili cioè Alessandro che fu poi segretario del Senato, uomo chiaro per le sue virtù, essendo alle stampe produzioni poetiche ed oratorie, Flaminio, che fu doppoi tesoriere della fortezza di Forturbano per li pagamenti militari di quella piazza e due femine. Accaduta tale morte, Alessandro come primogenito diede supplica a questa Comunità per entrare in Consilio nel luogo paterno. Ne ebbe l’intento, ma poco servì la med. ed in qualità di consiliere ed in qualità di cancelliere o sia segretario, poiché fra non molto passò al servigio del Senato di Bolgna.
Li 14 lulio si alzò il sole rubicondo in guisa che sembravauna luna con pochisimo splendore. Sul mezo giorno si mutava un poco e la sera nel morire cadeva così ofuscato nel modo che nasceva, durò otto giorni continui con spavento delle genti, alla fine si sciolse una dirottissima pioggia mista a saette e fulmini che sembrava ruinasse il mondo; si sentirono per ciò grandi danni per le aque che sofocarono bestie e creature.
Essendosi fatto un abbondante raccolto fu posto il calmiere del grano a pavoli 13 la corba.

( 1720) Giunto l’anno 1720 Pietro Gordini fu Consolo per il primo semestre e Podestà fu il Conte Mariello del Conte Giovanni Legnani.
Ad effetto di pagare li debiti contratti per li anni addietro e per il passaggio delle truppe, il Senato ricorse al Papa onde imporre alcuni dazi sopra diverse merci fra le quali fu il Bollo della Carta, che poi durò poco come diremo.
Le prepotenze che si comettevano da don Angelo Villa paroco di S. Michele di Casalecchio de Conti furono così enormi che la carta orrossirebbe se si segnassero in essa. Non furono però tali quali furono quelle di Frate Giuseppe Villa di lui nipote, terziario di MM. OO., che per penitenza vitalizia patì questo abito.
Fra le molte che ne commise, che a suo loco riferiremo giusta le epoche, in queste una delle più mallicie si fu, secondo ci lasciò scritto, ed abbiamo nella nostra raccolta, l’onorato Giovanni Giordani di lui amico ed agente di casa Lugari Malvezzi in Casalecchio sud..
Giuseppe Villa adunque, nativo di Castel S. Pietro filio del sig. Felice, uomo onoratissimo e benestante di fortuna e beni, casato antico del paese, fu giovane di scapestrata vita, ne le amonizioni paterne valsero a nulla e le male compagnie lo fecero deviare dal retto pensiero.
Li esempi cativi del zio Paroco sud., perchè era protetto dalla marchesa Isotta Ercolani, donna di perversa condotta nelle soverchierie, lo animarono ad essere uomo perverso.
Fu giovane di bell’aspetto, statura mediocre, capigliatura bionda, ochio vivace, brilante, di talento grande, coraggio tendente più allo sfacciato che al moderato.
La morbidezza colla quale fu alevato lo condusse ad una ardimentosa vita, per la quale si procacciò in breve l’amistà di nobili prepotenti e l’accesso a casa loro per essere filio di un galantuomo e dabbene.
Familiarizato perciò co’ nobili di possanza e godendo della loro protezione, tanto più che non era bisognoso di danaro, non vi era male né azione né insolenza che non comettesse e si faceva pregio intromettersi volontariamente ne cimenti.
Il di lui genitore, per levarlo da tante ocasioni come che possessore di tereni nel comune di Casalecchio sud., aveva per diporto piacevole un piccolo quartiere in un fondo d. Grizzano. Quivi lo stabilì seco, oltre più che il d. paroco D. Angelo era di lui zio, credendolo capace a tenere in freno il nipote. Ma chi è avezzo ed incalito nell’operare male non può astenersene.
Cominciò quivi F. Giuseppe, allontanato dalli amici, andare per suo gustatempo alla caccia. Divenuto bravo cacciatore si portava a casa con ucellami, ora merli, ora usignuolo, ora altri particolari animali e se li poneva al collo a guisa di una collana, dai selvaticini passò alli animali domestici cioè pollami e codati, ma questi nascosti teneva, onde andarono molte conparse al tribunale.
Andando a caccia si invaghi di una bella villanella, filia unica di un povero uomo, detto Mezalana, della parrochia di S. Maria di Varignana della quale ne era paroco D. Giuseppe Bianchi.
Venuto a notizia di questo l’amore del Villa, timoroso di un qualche scandalo, consiliò il padre a spedire fuori la filiola ed allontanarla dal Villa.
Ciò propostosi alla giovinetta, lo manifestò al Villa, esso dissimulò il tutto, ma inteso il tempo della di lei partenza e gita a Bologna nel mese di maggio, pensò di fare un sottomano al padre e dippoi vendicarsi col prete Bianchi.
Difatti la notte stessa, che la giovinetta doveva andare a Bologna coli suoi fagotti sopra un somarello, il Villa ancor esso prese l’espediente di godersela a piacimento.
Quindi il med. si travestì da donna, poi prese ancor esso seco un somarello ed un giovinastro seco, ed avuta l’ora dalla Amasia, precedette la med. nel viaggio nella via romana, attendendo il di lei arivo sopra il giumento che se ne andava pian piano.
Ragiunse finalmente la giovinetta col padre il Villa travestito, senza essere riconosciuto da quello per uomo mascherato, onde accompagnati li giumenti colle donne a cavallo, se ne incaminarono verso Bologna colla rispettiva loro scorta e del padre e del giovinastro.
Arrivati alle larghe di Maggio con discorsi indiferenti si familiarizarono di molto li uomini assieme e così la donna cioè la giovinetta ed il Villa, finta donna.
Simulò essa finta essere stanca di andare a cavallo del giumento, discese con tal scusa e così fece l’altro mandando avanti il giovinetto col padre della ragazza.
Intrapreso il viaggio le due donne si andavano fermando, col pretesto di orinare ed andarono sotto li ponticelli della strada a godersi.
Così passarono tutta la mezzanotte fino al chiaro giorno e fino alla città, dove entrò il Villa travestito francamente ad imparare il loco dove era andata l’amica.
Ciò fatto se ne ritornò a casa e, tostamente rivestito l’abito virile, andò alla casa di D. Giuseppe Bianchi paroco sud.
Quivi entrato in canonica addomandò un folio di carta da scrivere con penna e calamaro e si mise a scrivere, terminato che ebbe chiamò il curato con due testimoni e li impose sottoscrivere il folio.
Non voleva prestarsi il paroco Bianchi ma finalmente fu forzato farle la sua firma sottoscrivendo così: att. qt. sopra. (attesto quanto sopra)
Poi il Villa, ciò ottenuto, se ne partì colli testimoni indotti e si portò via la carta, la quale se ne stette alquanto tempo oculta ed a suo luogo si dirà l’esito della med..
Date le dovute relazioni, temendo il Villa la giustizia , se ne andò nel veneziano dove stette poco tempo.
La Compagnia del Rosario di Castel S. Pietro, che per anco non era che una semplice congragazione, diede una suplica alla Comunità per incavare, nella parete interna del campanile aderente alla chiesa parochiale ed al primo piano, una nichia ad uso di armario per porvi l’ornato della Madonna del quale se ne serve per le processioni. La Comunità, data parte all’Assunteria di Governo di Bologna e fatte le dovute visite, alla licenza di essa condiscese.
Nel mese di maggio li 22 Maria Galvana moglie di Ipolito Astorri, divenuta iniqua al segno nelle fattuchierie ed imprecazioni del marito, venuto il tempo di partorire, con acerbissimi dolori, diede alla luce un globo informe.
Volendosi questo dalla mamana svilupare, si disciolse da sé e si e si risolvette in uno spirito che con voce umana, dando vagiti oribili, svanì con spavento di chi assisteva la partoriente ed osservava il globo.
Raccontano le memorie MM. SS. della familia Graffi di C. S. P., che trovandosi Eustacchio Ravaglia di Casalfiumanese al mercato che uno de suoi più fidi sicari era assediato entro una stanza della bettola di S. Marco entro il Castello, né volendosi arrendere facendo foco anco dalle finestre corispondenti la strada publica.
Preso Eustachio il partito, dopo avere calmato li nemici dall’assediato, di ascendere esso con una scala alla stanza dove si faceva il foco per aquietare e persuadere il med. assediato. Quindi poggiata una scala al muro cominciò ad ascenderla e con voce sonora pregando il rinchiuso darsi pace, ascese fino al balcone ma il bravo, credendo una malizia de suoi nemici, aspettò, colla forca dell’archibugio posata sopra lo stesso balcone, di cominciare a scoprire il capo di chi offendeva, per scopiarli l’archibugiata tosto e difatti fatale accadde al giovane Eustachio che le fu balzato via il teschio e cadde dalla scala morto. Accortosi di ciò il bravo assediato fu colpito di tanto dispiacere, che si gettò in ancor esso dalla stessa finestra per disperazione ed in pochi giorni finì la vita.
Scrivennero in questi tempi che il contagio in Messina faceva ne corpi umani gran strage, onde per lutto si fecero orazioni.
Giunto il primo di lulio entrò Consolo Alessandro Fabbri per la prima volta e, sebbene era concesso alternarla dalla Comunità, ciò non ostante teneva entrambe le cariche, come si vedeva dalli atti della stessa Comunità e da un pubblico rogito di Procura fatto dalla med. essendo egli ancora Notaio.
Fu Podestà per questo secondo semestre il Co. Ferdinando Ranuzzi. In questo mese morì Benedetto di Inocenzo Fabbri abitante nel Borgo e fu l’ultimo di sua linea.
Crescendo il contaggio di Messina nelli uomini per il mal del carbone, si cominciò a sopettare dell’attacco nelle provincie dello Stato Pontificio.
In agosto si cominciarono perciò a fare li Assonti di Guardia nel contado ancora nei luoghi più pericolosi, così accadde in Castel S. Pietro. In settembre si cominciarono in ogni loco orazioni.
Il calmiere fu fissato in sc. 6 la corba del grano.
Inerendo il Papa il ricorso fattole dal Senato per le imposizioni di nove gravezze, segnato il Breve , fu spedito al Card. Legato per la esecuzione, il quale poi con suo decreto, per li atti di Gio. Maria Pedini Notaio, nel fondo civile di Bologna , sotto li 22 novembre fu proclamato sopra li generi colle loro tariffe.
Crebbe il dazio del pesce quello della carne qualunque e quello delle vachette, così pure impose un dazio sopra questa qualità di carta e cartone, acrebbe ancora il dazio della molitura.
In Castel S. Pietro il dazio pesce e molitura non si impose. La ragione si è è perchè era il dazio pesce in comodato e rispetto alla molitura a motivo della mancanza di aqua e per la esenzione e Capitoli fatti dal Senato per Castel S. Pietro nel 14….
Non avendo questo Castello luogo preciso per la Macina, convenendo alla popolazione andare ora in un luogo ora in un altro e per lo più ai molini di Imola, onde non dando il Senato il Comodo dell’aqua, né chiusa alcuna né la Comunità istanza, non dovere ella essere nel comprensorio della molitura bolognese, dove che conviene andare nella vicina Romagna. Il dazio della carta andò in breve a monte.
Tale inposizioni furono fatte per formare un Monte onde pagare il debito creato per la truppa, ed altro di centoventimilla scudi e per un altro debito di simile scudi settantacinque milla e novanta moneta de pavoli X per scudo. Di che tutto già diffusamente ne constato dai Decreti alli atti di D. Notaio Pedini a quali ecc.

(1721) L’anno seguente il 1721 entro Consolo per il primo semestre Giuseppe Rinaldi e fu Podestà Alammanno Isolani.
In questo tempo, avendo comprato Giovanni Giorgi di Castel S. Pietro un pezzo di tereno fronteggiante la via consolare in questo Borgo presso la chiesa della Anunziata detto volgarmente il Campo dell’Anunziata, bramoso di costruirvi un edificio per se e suoi sucessori abitabile, chiese alla Comunità la licenza di intervenire e distruggere velenanti buche di concimi esistenti lungo detta via dalla parte di ponente, o siano lettamai di dietro la d. chiesa. La comunità vi aderì col permesso del Senato. Non andò per ciò guari che il d. Giorgi vi edificò quel bel tratto di fabbrica con portico, i magazeni che ora vi si vede .
Li 29 marzo morì Papa Clemente XI di casa Albani di anni 72 alle ore 18 ½ italiane, di pontificato anni 20 e mesi quattro.
Entrati li porporati in conclave essendo di aprile, fu proposto l’E.mo Lodovico della Mirandola fratello del nostro principe Galeotto Pichi. Ebbe un bellissimo partito, per modo che vi mancarono pochi voti ad essere creato Papa, il che se avveniva non poteva Castel S. Pietro che sperare molte beneficenze in grazia del fratello Galeotto, che quivi aveva stabilito il suo soggiorno a vita. Finalmente li 8 maggio fu elletto in pontefice il Card. Michel Angiolo Conti.
Era prete dei duchi di Piombino, assunse il nome di Innocenzo XIII, romano in età di anni 66. Li cardinali furono 55.
La compagnia di miliziotti di Castel S. Pietro, sotto il cap. Valerio Fabbri e del colonello Bottrigari che era per Sede Vacante alla guardia della piazza di Bologna, li 12 maggio se ne ritornò a casa senza minimo sinistro incontro nella città.
Li 13 giugno giorno di S. Antonio da Padova si levò un vento orribilissimo dalla parte del settentrione, che ruinò case, palazzi chiese nel contado e diede infiniti danni che furono considerati del valore di trenta milla scudi di danno. Sradicò arbori, cipressi, pioppi e quercie di cento e più anni, ruinò viti, canapa ed altri prodotti; l’animali per la campagna si perdettero, altri si ritrovarono morti e precipitati dai balzi. Simile flagello si riscontra dalle cronache essere seguito 200 anni sono.
Li 23 d. per la mancanza delle carte non troviamo chi fosse estratto Consolo per il venturo semestre, Podestà poi fu il cav. Giuseppe Maria Pietramellari.
Li 13 lulio si alzò il sole così cambiato che sembrava la luna nello splendore pallido, vi seguì una tempesta di gragnuola grossa come le noci, che diede molto danno nel contado. Replicò questa il di seguente nel comune di Castel S. Pietro e specialmente nella villa di Poggio che discende alla pianura, si portò via tutta l’uva, frutti e canapa e fu fortuna che si fosse mietuto.
Raccolta fu così uberosa di grano che il riferire di Domenico Mondini nelle sue memorie MM. SS. di Castel S. Pietro racconta essersi in Castel S. Pietro nel mese di agosto venduto il grano novo 50 bajocchi la corba e che veniva in questo luogo il pane da Castelbolognese assai grande, ad un bajoco erano oncie 22 e 1/2 di peso.
I panatieri di quel paese facevano certe tiere picole di pane a posta che si vendevano a un bajoco l’una, ma li fornari del bolognese che si lagnavano molto, onde avvanzate le sue istanze al Legato il med. mandò fuori un bando che non venissero qui con pane quelli di Castel bolognese ed altri panetieri che facevano tal pane, né più si videro. Il pane che spacciavano li nostri fornari del teritorio, era di oncie 52 per ogni quattro bajochi.
Li 13 agosto, giorno di S. Cassiano, venendo dalla fiera d’Imola Vincenzo Benati sopra il proprio calesse, quando giunse alla nuova chiesina della Madonna del Cozzo, spaventato il cavallo, si prese la fuga al segno che non potendolo frenare, precipitò col cavallo nel balzo di strada avvanti quella S. Imagine, quale invocata nel pericolo mortale, non ebbe alcun patimento per grazia speciale della med.
Gio. Giordani nella sua memoria MM. SS. racconta che essendo morto D. Angiolo Villa suo curato di Casalechio de Conti, zio paterno di Giuseppe Villa, del quale se ne è parlato di sopra, venne questi dal veneziano, ove era stato fuggiasco per la sua iniquità con tre sicari, uomini di statura grande, colli baffi sotto il naso, ben armati di archibugi corti detti tromboni, con pistole e meze spade. Doppo pochi giorni che furono arrivati, andarono alla casa Bianchi in Varignana.
Quindi il Villa mise fuori di tasca la carta sud. sottoscritta dal curato D. Giuseppe Bianchi, nella quale si esponeva essere debitore di sc. 1500, onde le fece sapere che voleva questo suo danaro. Scusandosi il curato non doverle ciò e non trovarsi il comodo di tale pagamento, per ciò se ne partissero.
Il Villa ciò sentendo, colli sudd. tre armati, andarono alla casa del nipote del curato sig. Paolo Bianchi, poi ritrovatolo lo legarono con funi e lo condussero seco in ostaggio a Grizzano, luogo del d. Villa affinchè le fossero pagate li detti sc. 1500.
Ne fu tosto data la relazione di tal fatto al tribunale. Vennero per ciò due squadre di sbirri a Castel S. Pietro un lunedì per cercare il Villa colli tre sicari, ma non furono arditi li birri affrontarsi, perché il Villa andava avanti e teneva di dietro due dei sicari e l’altro poco più lontano e così caminavano pel Castello e Borgo e li sbirri non avevano coraggio spostarsi dall’osteria della Corona nel Borgo.
Passata l’ora del mercato ritornandosi a casa alla volta di Grizzano, il Villa per la strada romana e passando avvanti d. osteria, vi era sulla porta della med. che guarda la via di S. Carlo, il tenente de sbirri detto: il Monti, il quale pur esso all’uso di questi tempi portava li baffi sotto il naso come li siccari.
Il Villa che lo vide se li accostò, coraggiosamente lo provocò con queste parole: signor Bastiano questo altro mercato, cioè di oggi, ed oltre ti aspetto quivi, che ti voglio levare dal naso questo baffo, poi prendendolo imediatamente con durezza un baffio lo spellò e divenne lo sbirro allora rosso ed acceso come un carbone e per l’ira e per il restare di chi tanto aveva ardito, partì imediatamente per Bologna.
Nel mentre che accadde questa scena li sicari del Villa stettero coll’armi calate in mezo la via e sotto il portico, ciò fatto se ne andarono.
La notte seguente ritornò il Monti con 30 birri, riandò dai Massari delli seguenti loghi, cioè di Varignana, di S. Giorgio di Varignana, S. Maria della Capella, Liano, Casalechio, Castel S. Pietro, Gaiana, Poggio, Quaderna ed altri vicini luoghi in totale di 12 Comunità, ed ordinò a med. che stessero preparati per dar campana a martello alle loro chiese, tosto chè ne avessero sentito una di esse battere la campana per suo popolo.
Tanto così disposto, la mattina seguente, che fu li mercordì terzo di ottobre, si fece il fatto. Si radunarono più di 160 persone con li sbirri ed andarono alla volta di Grizzano in assedio al Villa. Scoperta la casa si appostarono li sbirri quindi si incominciò l’attacco d’archibuggiate da una parte all’altra.
Un birro temerario più delli altri, prese un posto avvanzato e si mise doppo un sasso grande, dalla somità del quale mise fuori un dito poi provocando li assediati, disse ad uno di essi, se sei bravo a colpire,tira a questo dito che adimostro, fu prontamente servito e coll’archibugiata gli tagliò il dito.
Si prosseguì tutta la giornata far foco li birri e aleati, ma con poco frutto. Fratanto lo sbirro dal dito trafitto andò imediatamente a Bologna per prendere rinforzo di altri 10 sbirri, essendone molti feriti di quelli che assediavano, ma giunto appena a Bologna morì essendo forse la palla infetta.
Infrattanto riuscì alli assediati con bel mentre fuggirsene alla chiesa di Casalechio ivi poco distante, ove inseguiti da birri, et ivi giunti andarono alquante archibugiate, nel furor delle quali restò ferito il Villa in una coscia. Aperta quindi la porta della chiesa, entrati li sicari col Villa in chiesa, fecero sapere ai birri che ivi li attendevano i bravi per sepelirli e che entrassero pure.
Non ebbero coraggio inoltrarsi costoro, ma diedero di volta e corsero alla casa di Grizzano ove era il bon vechio Felice Villa padre del sud. Giuseppe, tosto lo legarono e condussero alla città. Proseguirono li altri birri a far foco contro la chiesa di Casalechio, al che, non potendo ressistervi li sicari riescì loro di notte tempo fuggirsene senza essere ostacolati, dimodochè ivi restò il solo Giuseppe ferito, che preso dalli birri, sebbene in loco imune, fu condotto violentemente a Bologna.
Dopo 17 giorni perché levato da luogo imune fu restituito nella med. chiesa ove dappoi guarito si fece terziario di S. Francesco da MM. OO. di Castel S. Pietro. Con tal abito si rifugiò poi in casa Pepoli ove finì li suoi giorni in età avvanzata in Bologna nella quale caminava francamente perché dappoi aveva ottenuta l’assoluzione da Benedetto XIV Papa Lambertini. Più di quello che abbiamo sopra narato non ci lasciò scritto il Giordani.
Quanto poi alli sc. 1.500 che aveva voluto dal Bianchi se ne prevalse parte in dotare l’amica accenata e parte la regalò alli sicari. Ci occorerebbe quivi segnare altre sue bravate fatte nella città, ma perchè queste interessano familie cospicue, ci conviene passarle sotto silenzio ancorchè avessimo prima speranzato il lettore de nostri scritti di disonorarlo, basti ad esso per ora saper che non si cometteva fatti di bravura da nobili bolognesi, ed altre persone qualificate che non vi fosse mischiato il Villa.
Usava egli l’artificio starsene lungamente fuori alle inprese Pepoli della Scostada, della Galiuzza, Guardata ed a Castilione e solo a certi tempi veniva in Bologna nella di cui permanenza si sentivano per lo più bastonature e tuttora ucisioni, onde ne era nato in Bologna il ditterio che quando F. Villa era in Bologna, dicevasi da cittadini: “Or che Francesco Villa è in Bologna, vi è qualcuno dippiù”, per dare ad intendere che qualcuno era in pericolo di vita, ed il proverbio non andava in fallo.
Codesto convento di S. Bartolomeo, che fino ad ora era stato in economia per sgravarsi de debiti con pochi relligiosi, fu reintegrato del numero di suoi relligiosi sacerdoti dal Provinciale P. Antonio Bagnoli da Cesena a quali diede per priore il P. Domenico Guatri da Bologna.
Non essendosi fino ad ora potuto pervenire certa la notizia dell’epoca precisa su la erezione della già indicata Congregazione delli 400 nella chiesa di S. Pietro nel suburbio del nostro Castello, piacesi perciò farne comemorazione in loco, giachè ne abbiamo li statuti composti di 15 capitoli, sebbene mancanti della precisa data, ma solo forniti di indicazioni da li padri, che danno sicura la esistenza fin quei tempi cioè di militare sotto li auspici del Card. Patrizi comendatario di S. Stefano di Musiano e del Vicario Gente del Vescovato di Bologna Mons. Guinigi, che entrambi governavano in questo tempo, l’uno la Comenda sud. e l’altro la diocesi di Bologna.
L’instituto adunque di questa Congregazione era di essere in n. di 400 confratelli per suffragare le anime de defunti in d. chiesa, la visita alla S. Casa di Loreto ed al Perdono di Assisi.
Il titolo era di Congregazione di S. Pietro, come al primo capitolo. 2) a far celebrare. 3) messe alla morte di ogni confratello nella d. chiesa. 4) le recite della terza parte del Rosario, oppure vespro de morti in d. chiesa. 5) Imbustazione di tutti li confratelli per l’estrazione annua di quei destinati al viaggio di Loreto ed Assisi, col peso di far celebrare in uno di d. santuari una messa. 6) Per tale viaggio la corisposta dall’erario della Congragazione di sc. 50. 7) Il giorno di S. Pietro, destinato per sempre ad una congregazione di 24 vocati, li quali tutti dovevano abitare in paese, nel giorno dovevano seguire l’estrazione acenata. 8) Che per ogni confratello morto si pagassero soldi 4 da cadauno delli confratelli. 9) all’ingresso della Compagnia pagasse l’ingrediente soldi quindici.
Questi furono e sono li capitoli più interesanti de quali né esiste presso noi copia nelle filiie delli altri documenti attinenti al paese, che abbiamo potuto con fatica e dispendio raccogliere e raccapezzare.
Di questa congregazione, come lontana la sua esistenza ne giorni in cui scriviamo queste notizie e per li acidenti luttuosi del paese a motivo della sua situazione troppo sogetta nelle mutazioni di famile e Governo, non abbiamo potuto ritrovare alcun atto, che ci soministri materia di storia, onde conviene congetturare che forse favorì la sua estinzione la incorporazione della med. in altra compagnia del paese.

(1722) Giunto l’anno 1722 entrò Consolo Francesco M. Mondini e Podestà estratto fu il Cavaliere Giovanni di Lucio Malvezzi.
Essendo divenuto priore della Compagnia del SS.mo SS.to il sacerdote D. Pietro Maria Giorgi, uomo per ogni caso degno di eterna memoria, propose alla sua Compagnia il viaggio alla S. Casa di Loreto colla miracolosa imagine del S. Crocefisso della stessa Compagnia, anco in ringraziamento di essere stato preservato il paese dal contagio.
Non furono rinuenti li confratelli, onde per ciò si pensò dal Corporale della Compagnia venire ad una benedizione e proffessione di confratelli li più civili che si potessero avere, si dal paese che fuori, onde con le loro offerte si potesse suplire alle spese che potessero accadere in tale circostanza. Tanto fu acettato e si eseguì in aprile, come diremo.
Intanto li 2 febraro avendo ricevuto una speciale grazia da M. V. sotto la invocazione del Rosario, la moglie di Antonio Benetti, Maria Cattarina, la si mostrò grata e donolle sei colli perle buone.
Non mancò l’arciprete Nobili contestarne il suo giubilo; quindi radunati tutti li uomini delle compagnie cappate del paese cioè del SS.mo e di S. Cattarina, su le ore 2 di notte fece scoprire la S. Imagine e con rito solenne, data la benedizione alle perle, rifece la applicazione di esse al collo della Imagine, usando tutte quelle solennità e cerimonie che si usano in coronarsi la imagini di M. V.
Li 2 aprile, Domenica in Albis, per venire a capo della gita col crocefisso a Loreto, eseguì la benedizione di 12 confratelli li più cospicui del paese, fra i quali vi furono anco nobili della città di Bologna. Furono questi li seguenti: cioè bolognesi
1) Taddeo Riguzzi Gini
2) Abbate Co. Ottavio Tedeschi di Castel S. Pietro
3) D. Giovanni Tomba
4) Giuseppe Rinaldi
5) Giovan Battista Dalla Valle Notaio
6) Antonio Bertuzzi
7) Giacomo Bertuzzi Notaio
8) Sign. Carlo Maria Giorgi
9) Antonio Giorgi
10) Francesco M. Mondini
11) Alessamdro Fabbri, segret. del Senatoe Notaio
12) Francesco Cavazza
quali uniti tutti assieme fecero una offerta di contanti in sc. 102:10. Servirono questi denari per il viaggio a Loreto, a persuasiva del d. D. Pietro Maria Giorgi, seguì con la partenza il 21 corrente aprile.
Fu la terza volta che fu trasportata questa S. Imagine a quel santuario, accompagnata da infinito popolo nazionale e forestiero.
Levossi adunque il Cristo dal suo oratorio processionalmente con molto accompagnamento fino al ponte del Silaro, ove diedesi dal capellano la benedizione, per assenza dell’arciprete Nobili. Se ne incaminò poscia la Compagnia ad Imola.
Le grazie che compartì il Signore per mezo di questa S. Imagine nel viaggio a chi ne addomandava converebbe farne un elenco a parte. Giunti a Loreto fu posata la S. Imagine sull’altare della SS. Annunziata, capella del serenissimo duca di Urbino. Ivi fatte le sue divozioni la Compagnia entro tre giorni se ne ritornò dappoi a casa. Fu la compagnia e X.to incontrata ai confini del comune di Castel S. Pietro dal clero secolare, condotto dal capellano della parochia Don Vincenzo Manara e dalla Compagnia di S. Cattarina e fratarie del paese.
Adi 2 maggio venne una dirottissima pioggia, che facendo crescere li torenti inaspettatamente condusse seco ragazzi, donne e quadrupedi minori, se ne trovarono alquanti al ponte del Silaro.
Per il secondo semestre fu estratto Consolo Giacomo Maria Landi e Podestà il Conte Silvio Antonio di Cesare Marsili.
Essendo andata la stagione molto asciutta dalli 2 maggio alli 11 agosto, era diventata una aridità tale, che non potendosi macinare, si vendeva la farina dodici pavoli la corba, quantunque il grano si vendesse a pavoli 9 la corba, cosichè facendosi per tutto orazioni, non se ne vedeva alcun effetto.
Le fonti erano diseccate, li pozzi e le sorgenti si erano tutte arrese; finalmente l’antivigilia di S. Cassiano in Imola piovette fortemente, protraendosi poi il tempo cattivo verso queste parti di Castel S. Pietro, venne una dirotissima pioggia e una gragnuola, turbini e saette che durò molte ore e le genti se ne fuggivano e nelle case non si poteva stare, li condotti non potevano comportare la piena. La chiusa di Castel S. Pietro fu tutta ruinata e si stette molto tempo che in questo molino non si potette macinare e conveniva andare a Idice oppure a Imola.
Non potendosi sostenere cod. convento di S. Bartolomeo col n. delle persone, il regente Guaderna fece alto, onde il Provinciale Bagnoli lo privò di voce attiva e gestiva il giorno 12 settembre, aggiungendovi altri motivi.
Il regente però si difese bravamente e ritornato nel suo onore, diffiese la mutazione di stanze al Generale e fu ridotto il numero di frati in solo 4 sacerdoti, priore de quali fu dichiarato il P. Antonio Maria Bonfilioli di Bologna. La reintegrazione seguì per decreto del R.mo Generale Tomaso Cervioni nel dì 22 settembre.
Rimesso il tempo, ritornò la premiera calidità e aridità ne terreni per modo che li vilani non potevano fare le loro opere e convenne aspettare la seminagione fino doppo S. Luca.
Alla fine di ottobre si diede principio alle Missioni del P. sig. D. Giovanni di Lavagna. Questi alle ore 22, vigilia di tutti li S.S., cominciò le sue apostoliche prediche in Castel S. Pietro col cantare il Veni Creator nella parochiale. Dappoi cominciò una Instruzione Christiana, indi distribuì le ore ed il tempo del di loro ministero e compagni.
Aveva altri sacerdoti preti seco ed erano tutti dell’Instituto dei sig. delle cosi dette Missioni. La mattina si spiegava il decalogo, il doppo pranzo alle ore 22 si incominciava la dotrina X.tiana, che durava tre quarti d’ora, poi si dava la Benedizione col Venerabile, alla quale precedeva una predica edificante che durava un’ora.
Il sabato facevasi vacanza, durarono questi esercizi cattolici 21 giorni, che fenirono in punto nella domenica in cui si fece una comunione generale e fu il 12 novembre. Per effettuare tale comunione fece il P. Lavagni costruire una capella posticcia in faccia la piazza del Castello sotto il portico delli fratelli Fabbri. In questa vi fece la esposizione del SS.mo prevenuta da una processione generale e cioè intervennero le fratterie e le due compagnie capate di S. Cattarina e del SS.mo SS.to con lumi, ed il clero secolare unitamente a tutti li sacerdoti del vicariato e plebanato di questo Castello, colla pianeta uniforme, li diaconi e sottodiaconi in tonicella, li quali tutti col loro distintivo eclesiastico officiavano la funzione, che riescì di grandissima edificazione e profitto.
Usavasi in questi tempi che ogni uomo, ancorchè civile e di professione (…) e vivente colle proprie entrate, portare armi e caminare con pistolle a fianco ed archibugi alla spalla entro il paese e borgo; così tutti sembravano tanti sgherri, il qual costume era anco nelli altri castelli del teritorio, introdotto da tempi andati per le fazioni intestine.
Quindi pertanto furono così efficaci le Missioni, ed operò tanto il P. Lavagni, che comodamente si annichilì questa usanza, la quale purtroppo ne li tempi andati era una ocasione prossima alli omicidi, ne si videro più caminare per l’abitato li galantuomini con armi.
A tutte le funzioni giornaliere delle missioni assistettero sempre li confratelli del SS.mo. Le elemosine che si raccosero assunsero a sc. 299, che andarono a beneficio della chiesa di tutte le spese ed il resto li missionari lo regalarono alla d. compagnia del SS.mo, la quale per solennizare maggiormente la sua funzione ricorse a Roma per avere la agregazione alla Arciconfraternita del Nome di Maria.
Erogandosi nella spesa il Regalo sud., interpelarono per ciò il dott. Giacomo Antoni bolognese, notaro di Castel S. Pietro, che fu poi governatore di Castel Gandolfo doppo che si stabilì in Roma e sposò Donna Bernardina, filia naturale di Casa Albani.
Alloggiarono li missionari nel palazzo Calderini e venivano chiamati Sig. della Missione il di cui instituto fu fondato dal B. Vincenzo de Paoli.
Era legato di Bologna in questo tempo il Card. Tomaso Ruffo, il quale per la sua giustizia facendosi temere ed amare nello stesso tempo da tutti, avendo inteso il non volgare profitto fatto in Castel S. Pietro mediante il rinomato P. Lavagni, lo chiamò a se e le diede un attestato di sentimenti, li maggior che potesse, per avere messo freno ed in calma li armigeri castellani, a quali conveniva bene spesso fare processi per fatti d’arme e ressistenze alla Corte, d’onde benespesso spargevasi sangue umano con ricorsi alla Legazione.
Li Birri, fino a questo tempo, quando volevano venire ai mercati di Castel S. Pietro, mandavano avvanti un avviso al Ministrale, acciò ricoresse al Consolo ed a capi fazionari del paese di poter venire in paese, onde quando vi erano rumori in vista e contumaci banditi in paese nei giorni di mercato se venivano, comunicando alli med. sbirri lasciare le loro armi alla Masone per non farsi vitime di archibugiate.
Calmato il sospetto di contagio li Assunti di Guardia in questo Castello per la Sanità furono totalmente licenziati nella metà di dicembre.
Adi 18 dello stesso mese morì in patria il P. Gian Lorenzo Bonafede Vanti MM. OO. in questo suo convento nazionale di S. Francesco in Castel S. Pietro, come si legge dal mortologio dello stesso convento in questi termini: “18 X.bris 1722, in conventum Cas. S. P.ri R. P. Jo. Laurentus Bonafides Vanti di C.S.P. obiit et sepultus in ectu hujus conventus.”
Il med. scrisse molte memorie della Patria, le quali a noi tutte non sono pervenute per essere state al medesimo carpite e lacerate per malevolenza.

(1723) L’anno seguente 1723 entrò Consolo Girolamo Dalle Vache e Podestà fu il Co. Nicola Caprara.
Poche sono le memorie che abbiamo di questo anno lasciateci da nazionali scrittori, fra i quali Giuseppe Amadesi che da questo punto cominciò a scrivere.
Trovavasi la Residenza della Comunità in stato di essere ristorata stante la sua antichità di fabbricato ed essere ampliata per li Comizi, tanto più che li notai giusdicanti si erano impadroniti di quella nella maggior parte, ed essendo senza danaro ricorse al Senato onde la favorisse con riparto sopra le comunità soggette alla Podestària. Fu presa in considerazione la petizione e fu ordinato il ristoro alla Assonteria di Governo.
Per accrescere vieppiù il culto a Dio e per la migliore disposizione delle processioni, le funzioni della Compagnia del SS.mo, che era quella che in ogni occorenza officiava la parochiale, ottenne dal Card. Boncompagni, nella sua ultima visita pastorale che per illuminare il SS.mo nelle processioni si potessero da quella inalberare più lanternoni e che, nella direzione delle processioni delle Rogazioni di M. V. di Poggio, potesse la compagnia diriggerla con scalchi o siano bastonieri ambulanti.
La compagnia di S. Cattarina, come quella che pretendeva maggiore sovranità dell’altra, si oppose a sottomettersi alla direzione di funzionari della prima quando si facevano le processioni unitamente, quindi ne naquero amarezza per questa novità, onde temevasi di un qualche scandalo nelle prossime Rogazioni, che acadero li 3 maggio.
Intanto la Compagnia del SS.mo, essendosi procurata la agregazione all’Arciconfraternita del SS.mo Nome di S. Maria a Roma, ebbe riscontro essere stato accolto il memoriale da quella università romana, presentata dal dott. Bolis. Conveniva perciò vestire l’istessa uniforme di Roma, cioè: sacco bianco e mantelletta turchina perfilata di rosso cremesino con fetuccia di cordone turchino alla cintura e per distintivo portare alla destra della manteletta lo scudo rosso colla cifra del Nome di V. Maria.
Propostosi ciò al corporale della compagnia ed addimostrata l’uniforme venuta da Roma, convenne il med. corporale di uniformarsi in tal guisa colla propria capa, deponendo l’uso della uniforme antica che era tutta bianca e si alzava a traverso fino a scoprire le ginochie mediante la cintura di un cordone bianco e tale capa si diceva: saltafosso.
Pervenuto ciò a notizia della Compagnia di S. Cattarina si crea rabbia vieppiù contro la Congregazione del SS.mo, onde ne vennero in conseguenza effetti molto funesti al culto, che gradatemente alle sue epoche riferiremo.
Li 27 maggio si alzò un sole tutto pallido e durò molti giorni fino alla Domenica del Corpus D. ove si sciolse il pallore in una gran pioggia, tempesta e turbini che sradicarono arbori e altre robbe e piante, così prosseguendo fino al 12 giugno, indi alli 27 del med. mese, in giorno di domenica alle 2 di notte si sentì una gagliarda scossa di terramoto, che spaventò tutto il paese senza però far male ad alcuno.
La Compagnia di S. Cattarina non volendo essere di meno della Congregazione del SS.mo nelli onori, cominciò ancor essa di sua autoritò usare li scalchi e bastonieri nelle processioni, il cui officio era di tenere lontana la persone non capate dal corporale della compagnia, che incedeva regolarmente a due a due nelle processioni pubbliche; non contenta di quel fatto, passarono li med. scalchi, che dovevano guardare il loro solo corporale, a volere col Mastro de novizzi dirigere e guardare il corpo dell’altra compagnia e qui crebbero li disparati.
Intanto entrò Consolo per il secondo semestre Vincenzo Benetti e fu Podestà il Conte Antonio del Conte Prospero Bianchini.
Crescendo intanto li livori fra le due compagnie sudd., per ovviare a disordini fu costretta la Compagnia del SS.mo ricorrere alla giustizia, quindi furono eletti da questa due deputati e furono Alessandro Fabbri e Francesco Cavazza, mio padre.
Inibirono questi, per gli atti Nanni, la compagnia di S. Cattarina a non più portare li bastoni allor quando intervenivano alle funzioni di spettanza della congregazione del SS.mo.
Perché la esecuzione di tale inibizione avesse il effetto e non fosse revocata, si aspettò il giorno primo di agosto, domenica, in cui dovevasi fare la solita processione del mese col SS.mo alla quale interveniva ancora la Compagnia di S. Cattarina e tanto seguì.
Essendosi fatto un ottimo raccolto, fu fatto il calmiere del grano sc. 5 la corba.
Per precedere poi le turbolenze temute fra le due compagnie e per minor dispendio delle med. , essendo divenute scandalose, l’arcivescovo mandò a Castel S. Pietro il giorno due ottobre il suo V. G. col notaio Nanni per comporre la cosa, ma non ne raccolsero facoltà, anziché si riaccesero più rabbiosamente li spiriti di partito. Esse dalle questioni civili passarono alle criminali.
Prima però di innoltrarsi nella lite, essendo la Compagnia del SS.mo in possesso delle sue giurisdizioni tentò l’altra di estorcere una estrajusdiciale previdenza dal Vicario Generale.
Diresse ad esso una informazione ed una supplica facendole sapere che il posto dei lanternoni non doveva essere precedente al clero. La suplica fu spedita al vicario foraneo ed arciprete Nobili col rescritto nel di 5 ottobre perché componesse li animi ma fu frustraneo il tutto.
In frattanto giunse di Roma la Bolla della agregazione all’arciconfraternita del Nome di Maria a favore della Compagnia del SS.mo, già estradata il di primo di agosto anno corrente, speditale dal dott. Giacomo Antonio Bolis, curiale di Roma e novizzo della Compagnia del SS.mo, cosichè restava solo a dare esecuzione alla med. colla mutazione della Capa e nova vestizione dall’altra.
Adunata per ciò la compagnia del SS.mo in n. di 40 locali, fu determinato che si facesse la solenne vestizione dall’arciprete, il quale prontamente si prestò il giorno 21 novembre in domenica festa della presentazione di M. SS.ma.
Seguì questo nella chiesa arcipretale del Castello in tal guisa. Furono 40 confratelli vestiti di sacco bianco, ciascuno teneva la manteletta e cordone nel braccio per mostrare ad uso dipendenza, si misero tutti nella capella maggiore in cerchio, genuflessi per regola.
L’arciprete vi fece un dotto discorso sopra una carega appresso l’altare, terminato questo chiamò a se il priore avvanti l’altare e pregando li altri confratelli fare ciascuno il medesimo atto che egli faceva nel vestire il primo, tutti lo eseguissero egualmente.
Tanto fecero, così tutti vestiti di novo, fu intonato poscia l’inno ambrosiano in musica, al quale susseguì la messa solenne dell’arciprete, parimenti in musica, nel mezzo della quale seguì la communione della S. Eucarestia a tutti li confratelli vestiti.
Dippoi processionalmente andarono nel loro Oratorio. Il dopo pranzo poi, esendo esposta la reliquia della S. Croce nella parochia si cantò il vespro in musica , poi si fece con essa la processione per il Castello e Borgo, onde ritornati alla Chiesa si diede la Benedizione al popolo col Venerabile.
A tale funzione vi fu infinito concorso di gente. La Compagnia spiegò in questa occasione un bellissimo pallione di seta turchina col nome cifrato di Maria dipinto ad oro e nel contorno del med. vi erano pure dipinti i simboli della med. tratti dalla Santa Cantica.
Intanto si prosseguiva la lite nel vescovato.
li 29 dicebre, terminate tutte le spese comunitative, fu accomodata la ressidenza della pubblica rappresentanza. Il Senato per ciò ordinò il Comparto delli sc. 400 alle comunità della podesteria, le quali si erano spese nel ristoro della med., rilevasi ciò dal dal T. 3 Partitor. del cav. Carati fol. 48; e così terminossi doppo la estrazione del novo Consolo che il cui nome resta sepolto nelle tenebre per essere l’archivio mancante di molte carte di quest’anno.

(1724) L’anno poi che seguì, 1724, ocupò il posto di Podestà il Marchese Guido Antonio Barbazzi. Li 7 marzo alle ore 12 italiane morì in Roma Innocenzo XIII Papa Conti.
Il dì 13 d. il Consolo diede licenza al senatore Piriteo Malvezzi e per esso al sign. Pier Antonio Orsi, di lui agente, di portar fuori dalle mura del Castello contro il suo palazzo ed a tutte sue spese senza pregiudizio della Comunità, tutto il terrapieno che interiormente al Castello esisteva e che portava sopra il baloardo a levante: Camp. 2 fol. 212.
Da appresso fu assunto al pontificato il card. Vincenzo Maria Orsini d’anni 75, arcivescovo di Benevento col nome di Benedetto XIII. Era dell’ordine dei domenicani, fu per ciò confermato per Legato di Bologna il Card. Ruffo.
Stante le differenze che passavano fra le due compagnie di S. Cattarina e del SS.mo a motivo delle preminenze, furono perciò interdette le med. compagnie dall’ intervento alla processione del SS.mo per evitare qualche strepitoso scandalo.
La processione pure che si faceva la settimana santa dalla compagnia di S. Cattarina fu sospesa, né più si fece e così pure non si fece la visita il giorno di Pasqua al lazareto appresso il ponte del Silaro, il quale lazareto si benediva dall’arciprete a S. Giacomo dopo avere recitato il de profundis e le consecutive preci per l’assoluzione de morti.
Il paroco in vece di ciò fece la funzione intorno al cemetero presso l’arcipretale, essendosi terminato tutto il lavoro del muraglione, o sia ala e sponda, che congiunge col paese dalle parti di levante, la cui spesa importò Lire settemilla e quattrocento, sc. 7400.
Il Senato ne ordinò, sotto li 17 giugno, il partimento sopra tutto il contado alla condizione però che in avvenire concorrino alla manutenzione e la riparazione di tale muraglione, occorendo, le comunità solamente soggette alla Podestària di Castel S. Pietro : libro Instit. n. 23 Carati fol. 52.
Perché nel rissarcimento alla casa comunicativa o sia ressidenza di Castel S. Pietro si erano scoperti dipoi altri lavori necessari, così questi furono eseguiti sucessivamente nel quartiere del giusdicente ed esecutore.
Adì primo lulio entrò Consolo Giulio Alberici, il nome del Podestà non si è ritrovato nelle note dell’archiv. pubbl.
Li 15 ottobre morì a Bologna di anni 76 il sign. Giuseppe Villa di Castel S. Pietro che abitava in Borgo novo alla sinistra senza portico. Fece testamento e lasciò erede il Sufragio della Compagnia di S. Maria della Morte di Bologna per rogito di …….
Fu portato al sepolcro in S. Domenico, fra le pie disposizioni sue lasciò la rendita di tutti li suoi casamenti nel Borgo di Castel S. Pietro, ove abitava quando costì veniva nel Borgo, alle fanciulle povere native del paese, nate da onesti parenti che abitassero le d. case e fossero puntuali pagatori delle loro pigioni.
Le quali rendite poi dovessero ripartirsi in tante doti raguagliate sc. 25 l’una da collocarsi nel Monte Matrimoni di Bologna a lucro, fino alla loro collocazione secondo però le leggi di quel Monte. Da estraersi tale dote ogni anno essendovi una citella nubile, alle condizioni che sortita una volta non fosse più imborsata. Questa estrazione si fa da Officiali della sud. Compagnia della Morte alle opportunità.
Il sud. sig. Giuseppe Villa fu fratello del Dott. Teologo e Canonico Carlo Maria Villa enfiteuta della Chiesa di S. Pietro e molti beni lui sogetti in Castel S. Pietro. Fu congiunto anco al sud. F. Villa Giuseppe, in esso restò definitivamente estinto il suo casato. Era imparentato nelle famiglie principali dl paese cioè Nicoli, Fabri, Mondini, Comelli, Bartolucci e Ricardi , familie tutte che nel corente secolo si sono parte estinte e parte spatriate.
Fatto il ristoro alla residenza del giusdicente ed esecutore che ascese a sc. 283, il Senato ne ordinò il comparto alle comunità della Podestària.
Fu siccità tale che da agosto durò fino tutto novembre, onde nel calore eccessivo dell’estate andò a male molto vino e la sementazione de grani fu aspra e cativa.

(1725) Giorno primo genaro 1725 entrò Consolo Gio. Battista Dallavalle, Podestà fu per il primo semestre il Conte Giuseppe del Conte Giuseppe Bianchini.
Ottenuto il permesso Giovanni Giorgi di fabbricarsi una casa, nella via romana presso la chiesa della SS. Anunziata in questo borgo dalla parte di ponente, colla approvazione del Senato, pagò alla Comunità lire cento, per sovrastare sopra il suolo pubblico nella linea di d. chiesa, come in rogito del Notaio Giovan Battista Dalla Valle.
Tali danari la Comunità li impiegò per fare seliciare tutto quel tratto di strada romana che spettava al pubblico fare eseguire avvanti d. portico, come per decreto di governo.
Li 10 febraro cominciò un freddissimo e gagliardo vento che durò fino alli 21 d. per tutta la Italia, che cagionò infiniti mali di petto e di punture massime nel bolognese cosichè in Castel S. Pietro moltissimi andarono al sepolcro.
Essendosi proclamata la rinovazione del Campione degli Estimi dei Terreni, la Comunità procedette alla elezione degli assunti, quali terminato il loro officio fu posto in comparto l’emolumento della loro fatica che ascese a sc. 55:10.
Li 14 maggio venne in Castel S. Pietro a fare la visita pastorale il Dott. D. Giambattista Scarsilli di Santa teologia maestro, in qualità di visitatore deputato dall’E.mo Boncompagni arcivescovo di Bologna, aconpagnato da lettere patenti fino dalli 2° settembre anno scorso.
Risulta dalli decreti della di lui visita , il provedimento che fece nella chiesa della SS. Anunziata nel Borgo per un terzo lume, il che si trascurava secondo li decreti sinodali: “in oratorio SS. Anuntiationis ad altare S. Josephe candelabra pro tertia candela”. Amoveva li obblighi di essi a questo altare così: “In hoc altare id est obligatio unius misse in hebdonata”.
Indi passò nel teritorio al quartiere del Dozzo e così descrisse l’oratorio della Madonna della Scania; col titolo del med. “oratorius S. Maria ad Nives, vulgo della Scania, est D.Capitanei Fabbri”.
Più oltre ando alla Panzachia. “In oratorio SS. Virginis sacratum (…) della Panzachia decrevit per patronos previdere de necessariis”.
Indi ritornato al paese visitò la chiesa di S Pietro e decretò: “In oratorio S. Petri comendato E.mo Patritio Brachius pro tertia candela”.
Terminata la visita nel paese venne una pioggia continua che durò otto giorni, dopo de quali si alzò un vento sirocale che durò per tre mesi continui, dopo dei quali venne la quiete per il tempo necessario alla raccolta. Produsse una aridità tale che per mancando le aque non si poteva macinare. Il molino di Castel S. Pietro stette chiuso più di un mese e le farine erano perciò incarite.
Estratto Consolo per il secondo semestre Giuseppe Ronchi, investì la carica e così fece pure il novo Podestà che fu il Marchese Nicolò Bolognini. L’uno settembre, vigilia della Madonna, il Card. Arcivescovo Boncompagni venne a fare la Cresima a Castel S. Pietro, aveva seco due convisitatori che diedero la rivista a tutte le chiese, durò la cresima quattro mattine. Alla med. concorsero dieciotto comunisti, ed il giorno 12 d. partì per Pizzocalvo.
Nel tempo che quivi soggiornò procurò la pace fra le due compagnie litiganti del SS.mo e S. Cattarina, che avevano in Roma le sue questioni, però fu il se altro a parole, colla sola speranza di vederne la pace.
Infatti solo persuase li individui intervenire alle funzioni conforme il consueto, con protesta che non fossero lese le ragioni restanti a Roma e di stare lontani alli scandali.
Ma la promessa non fu mantenuta, imperciòchè venuto il giorno della Festa del SS.mo Rosario, che fu li 6 ottobre prima domenica del mese, facendosi giusto il consueto la processione colla S. Imagine di S. M. del Rosario, venendo questa portata nelle processioni da ambedue le Confraternite di S. Cattarina e del SS.mo.
Accadde, vedendosi Vincenzo Alberici confratello di S. Cattarina, detto volgarmente: il Zoppo d’Orsoletta, uomo assai manesco e facinoroso, occupare quel posto che egli pretendeva d’avvanti e sotto l’Imagine, diede tosto un gagliardissimo pugno in faccia al confratello del SS.mo che aveva già presa su loro spalla la SS. V. onde, cominciando a grondare sangue, ne naque sconpilio tale tra le due compagnie cappate, che poco vi mancò non si venisse ad una facinorosa baruffa, alla quale, lo spavento delle grida che si alzarono dalle persone, si pose calma e la infraposizione del clero vi pose quiete.
Levò quindi l’arciprete l’Imagine dalla spalla de secolari e caricata su le spalle del clero secolare, diede colla sua Croce rivolta alla chiesa arcipretale.
Il misfatto accadde prima di sortire la porta inferiore del Castello nell’incaminarsi al Borgo in facia al Palazzo Malvezzi ed alla casa del fu Messer Pietro Antonio Cavazza mio avo.
Terminata questa funzione li confratelli dell’una e dell’altra compagnia corsero alle proprie case a prendere armi. Ogni bon cittadino fuggì l’ecitasione di particolare, vedendosi in rumore il paese onde aspettavasi sentire un massacro.
Fu miracolo di M. V. che altro non accadesse e la squadra di birri che era qui venuta battesse la ritirata. Ciò fu di ramarico al Card. Bonconpagni per avere ordinato che abadassero assieme le Compagnie alle funzioni non ostante pendenze in Roma, a segno che si prefisse di volere opprimere la Compagnia di S. Cattarina.
Per evitare poi ulteriori fermenti in simili funzioni fu costretto l’arciprete Nobili addomandare all’arcivescovo la cappazione di dodici persone per fare tale festa in avvenire. Non fu lontano l’arcivescovo a questo ripiego, acordò la grazia, da qui cominciò la cappazione della Compagnia del Rosario per un altro anno.
Li 6 0ttobre venne una grandissima pioggia sul mezogiorno con lampi e tuoni, che durò un’ora gagliarda; fu preceduta da un tetro buio, che durò tutto il tempo della pioggia per due ore, onde fu duopo servirsi dei lumi a gran fare se si voleva vedere.
Doppo ciò li 29 ottobre fra le ore 23 e le 24 italiane si sentì una buona scossa di terremoto che spaventò li paesani tutti e nel corso di un’ora si fece sentire per tre volte sensibilmente.
Il giorno seguente poi 30 ottobre a meza ora di notte si tornò a sentire per due volte consecutive, replicò un’altra volta circa le due di notte. sonate poi le tre di notte si fece sentire così fortemente, che le campane de campanili sonarono da se come fossero state mosse a doppio dalle persone.
Il zelante paroco e li altri capi di relligioni chiamarono il popolo alle chiese col tocco appena delle loro campane per non dare maggior urto alle torri. Scopersero quindi tutte le Imagini miracolose di M. V. del Rosario, di S. Nicola da Tolentino, di S. Antonio da Padova e tutte le reliquie furono esposte alla adorazione del popolo che gridava: Misericordia! Misericordia!
Si recitò nella parochia la terza parte del Rosario a Maria. Le fraterie esposero il SS.mo e poi diedero la benedizione. La stessa notte delli 29 venendo alli 30 di ottobre si replicarono scosse del terremoto alle ore 7, alle 8 ed alle 9 ancora notte. Fatto giorno alle ore 13 medesimamente ed alle 17 italiane fece lo stesso, doppo le quali si scoperse la B.V. del Rosario, se le recitò avvanti la Corona e dappoi si diede la Benedizione col SS.mo.
In somma fra lo scotimento, le grida delle persone, la pusillanimità de fanciulli, l’orore del castigo che minacciava per ogni dove la morte, facevano più orrendo il flagello.
Li camini che caddero furono setanta, numerose persone non arischiarono stare nelle case. La piazza ed il circondario del paese era coperto di tende e trabacche.
Questo flagello durò quindici giorni a farsi sentire. Tossignano, Fontana, Castel del Rio, Casalfiumanese, Casola Vallisenio, patirono di molto e molti edifici crollarono, in tutti que paesi si sentirono ruine.
Nella diocesi di Imola fino a 28 chiese ruinarono. Tutto il tempo che durò il taremoto vennero delle pioggie stravaganti ed instravolta l’aria. Se qualche giorno era buon tempo era questa giornata così calda, che sembrava nel gran furore di agosto, di giorno e di notte. Terminato il caldo succedevano piogge disordinate, sembrava la fine del mondo.
Li agostiniani del paese in tanta vicenda fecero li 11 novembre divotissima processione colla statua e reliquia di S. Nicola da Tolentino, vi intervennero le altre due fratterie, Capucini e MM. OO., le due compagnie capate ed ancora il Corpo della pubblica rappresentanza e tutti con lume.
In tale circostanza fu dalli così detti Agostiniani cappata la Compagnia del Suffragio dell’Anime Purganti, militante sotto la protezione di S. Nicola da Tolentino, con sacco bianco, mazzetta nera, all’uso della Compagnia di S. Pelegrino. il che ne l’avvanti aveva mai usato. Dodici furono li cappati per i quali continuamente cantavano il salmo: miserere in hanc lagrimarum valle, a cui il popolo a capo di ogni versetto rispondeva: miserere nostri Domine. Li altri sei cappati dispensavano il pane benedetto dalle Imagini di S. Nicola al popolo.
Andò la processione per il Borgo tenendo la via di S. Pietro, poi procedendo nella via consolare fino allo stradello morto e ritornando in Castello, prosseguì per Saragozza e Framella alla piazza di S. Francesco ripassando per li palazzi Malvasia e Locatelli alla piazza Liana, discendendo alla piazza Maggiore del Castello.
Passò colla statua del Santo nella chiesa arcipretale, alla cui porta eravi il piissimo arciprete con un crocefisso grande inalberato, che ricevette il Santo e stando alla destra del med. e fra l’una e l’altra imagine posata nella capella del Rosario presso l’altare, cioè il croceffisso alla destra ed alla sinistra S. Nicola, sopra un altarino a questo effetto preparato.
L’arciprete poscia fece un tenerissimo discorso di penitenza al popolo, terminato il sermone si diede la S. Benedizione col SS.. Ripigliata poi la statua di S. Nicola fu portata per la via maggiore alla sua chiesa, ed in questa guisa tutte le strade del Castello e Borgo ebbero la visita del Santo.
Prima però di entrare il S. nella sua chiesa fu fermato sopra un altarino poggiato ove è la Croce di Marmo, che riguarda la Via di mezzo del Castello e dappoi il P. Regente Nicola Quaderna priore di questo convento, fatto un breve, fervoroso sermone, diede la benedizione al popolo colla statua e riliquia del Santo. Fu tale e tanto il concorso di gente che non vi fu memoria d’un il più vecchio del paese che si ramentasse simile divozione.
Non ostante questo flagello prosseguivano le amarezze, li livori e le liti fra le due compagnie in Roma, il che era scandaloso a chiunque aveva fede catolica.
Seguita poi la pausa in quest’anno fra le due potenze belligeranti, Carlo VI Imperatore e Filippo V re di Spagna, si diedero da pertutto segni di letizia. Nel nostro Castello ne diede la rimostranza il senatore Piriteo Malvezzi, fece una copiosa elemosina di pane ai poverelli quale fu esposta nel suo palazzo.
Consisteva questa in un grande piedistallo tutto foderato di pane, sopra del med. esistevano due puttini di rilievo che si abbraciavano con una mano e coll’altra tenevano un ramoscello di olivo verde, sotto li loro piedi vi si legeva la seguente:
conjunxit pax (…) duos in federa reges
aeternum incolumem stevat utrumque deus
siculata populi fulgebit amabilis aetas
et per finitimis crescat oliva plagis

(1726) Finito l’anno 1725, entrò Consolo nel successivo 1726 Giacomo Maria Bertuzzi e Podestà fu Costanzo Maria Pellegrini.
Terminato il muraglione nel Silaro, diffensivo la via romana a levante a guisa di ala, vi rimaneva internamente un vano grande fra la strada ed il muro onde per riempire questo si spesero per ciò sc. 407:19 in tanti caraggi di ghiara e sfacimenti, la quale spesa fu poi messa in comparto.
Adì 26 genaro ad un’ora di notte si viddero lampi e si sentirono tuoni tali misti ad un vento siroccale che sembrava di estate onde la persone spaventarono a tali novità. segui poi la pioggia ma nulla operò, poiché al principio febrajo si sentì novamente il teramoto.
Fata la spesa dell’interamento sud. il Senato li 16 febraro ordinò per suo decreto il comparto, F. 23 Partita Carati, e fra non molto fu pubblicato un editto che tutti li sfacimenti del paese si dovessero trasportare in quel vano per riempirlo totalmente al bisogno delli rafforatori.
Erano a tal segno cresciuta la discordia fra le due compagnie di S. Cattarina e del SS.mo a motivo della anzianità nelle procesioni, che temendo l’arciprete di uno scandalo maggiore del passato, come si scrisse nell’ottobre pasato, motivo che si scrisse all’arcivescovo onde avere la licenza di cappare dodici persone per le funzioni del Rosario.
Quindi avendo penetrato che si machinava una aggressione de confratelli di S. Cattarina alla compagnia del SS.mo allorchè fosse nella processione del SS.mo per portare il baldachino sopra il med., ne diede subito parte all’arcivesco e suo vicario, al che venne la risposta il dì 2 marzo dal vicario, che facesse il Paroco la processione del SS.mo senza intervento delle compagnie.
Ciò seguì non senza mormorio del popolo. Non perciò si aquietarono li animi intorbidati, per modo che non vi era giorno che non si sentissero risse pel paese, lo che dispiaceva molto al Governo.
Fra Bernardino Molinari da Castel S. Pietro, lajco cappuccino adì 24 agosto in età d’anni 88 rese l’anima a Dio in patria. Certamente fu dotato di una tenera divozione a Maria SS., di una pazienza singolare, che lo rese mirabile a tutti, fu amato per ciò da ogni ceto di persone.
Esercitò con edificazione singolare l’officio di cercatore per 40 anni. Finalmente per la sua decrepitezza e patimenti indefessi perdette la vista, così cieco visse per alquanti anni con santa rassegnazione, morì in odore di santa vita presso chi lo conobbe.
Adì 3 maggio in questo convento de P. Agostiniani di S. Bartolomeo si fece il loro Capitolo Provinciale, in esso fu eletto il P. Maestro Agostino Creplos spagnolo, come ci lasciò scritto Giuseppe Amadesi nelle sue memorie patrie che incominciano in quest’anno.
Li 6 maggio il sacerdote Carlo Antonio Villa, fratello del sudetto Giuseppe defunto, di Castel S. Pietro (…) T. Dott. fu fatto Canonico di S. Petronio di Bologna in loco e posto del Chiaro Dott. Canonico Garofali, uomo coltivato che passò arciprete alla Pieve di Budrio.
Le Rogazioni di Maria SS. di Poggio si fecero non senza spavento di un massacro di persone poiché tutti li confratelli del SS.mo avevano armi sotto le cappe e avevano anco introdoti sicari nel paese.
Li 9 giugno domenica delle Pentecoste si alzò un turbine di vento al quale sucesse una dirotissima piogia con fulmini che stradicarono alberi interi e caddero saette. In Bologna fu offesa la torre Asinelli. Nel comune di Castel S. Pietro fu percossa nella possessione vicina sopra la fontana, che ruinolla affatto ed accese il foco alli edifici vicini.
L’arciprete Nobili non meno che la compagnia del SS.mo, premurosi del bene del paese, doppo aver fatta la lite co’ seguire per li atti Galli e Monari nel vescovato di Bologna sopra la eredità Morelli obbligata, non far tanto bene al paese, restò terminata passivamente.
Estratto Consolo per il secondo semestre il Capitano Valerio Fabbri prese il suo possesso il dì primo di lulio e così il novo Podestà che fu il Marchese Francesco Davia. Adì settimo ottobre erano in visita al convento di S. Bartolomeo di Castel S. Pietro il P. Egidio Creplos Provinciale.
Li 19 d. in giorno di sabbato si vide verso tramontana alle ore 3 di notte un fenomeno che a guisa di monticello illuminava tutta l’atmosfera, poi si aprì in tanti raggi acesi e luminosi che rese spavento.
Riccorrendo la festa di S. Nicola da Tolentino, cod. P.P. Agostiniani celebrarono con maggior pompa la sua gloria facendosi per il Castello e il Borgo la processione senza dipendenza dal Paroco, dispensando l’unita stampa da cui si rileva che essere stato il liberatore del paese dal terremoto e per ciò egli fu Protetore; questa festa fu trasposta fino a questo tempo, perchè fosse condecorata colla (gloria) del sud. Provinciale.
Dalli 9 giugno fino alli 22 ottobre non essendo caduta tanta pioggia quanto fosse bastata ancora, finalmente colla protezione di S. Nicola si disciolse il tempo in molta aqua fredda, che convenne cominciare ad usare il mantello e non diede guari che si ebbe la neve al monte ed alla pianura.

( 1727)
L’anno seguente 1727 essendo stato estratto Consolo per il presente semestre Giuseppe Rinaldi e Podestà il Conte Paolo Patrizio Giambeccari, l’uno e l’altro investirono la loro carica.
Divenuto Generale de MM. OO. il P. Lorenzo Cozza per tutto l’ordine francescano, codesti relligiosi di S. Francesco di Castel S. Pietro, li 18 genaro di domenica ne contestarono al pubblico la loro gioja mediante messa solenne e vespero in musica, Te Deum e benedizione col’Augustiss. SS.mo e la sera fochi di allegrezza con copioso sparo di mortaletti. Il principe Pico confluì ancor esso con elemosine ai poveri frati del paese.
Li 24 genaro celebrossi in questa chiesa arcipretale con messa solenne la festa del glorioso vescovo di Ginevra S. Francesco di Sales dalla casa Bolis di Castel S. Pietro.
Essendosi nella sera fatta una Accademia Letteraria dedicata all’E.mo Cinfuegos ambasciatore di sua Maestà Cesarea, doppo la quale furono fatte allegrezze con fochi artificiali e sparo di mortaleti, oltre una larga elemosina ai poveretti. A questa funzione fu gran concorso e tutto fu eseguito con magnificenza.
Malcontenti li borghesani del governo comunicativo, si unirono insieme molti per farne un ricorso. Si fece loro capo Carlo Lazaro Andrini e D. Giacomo Bolia o sia Bolis della familia sudd., che godeva la protezione imperiale; ne diedero per ciò la comparsa a nome del popolo col farsi essi li capi. Le accuse furono diverse, che a suo loco riporteremo, quando riferiremo la decisione.
Intanto la vertenza delle due compagnie furono sentenziate in Roma alli atti di Giacinto Vitali con amplissima sentenza a favore della Compagnia del SS.mo. Ciò non di meno appellando la Compagnia di S. Cattarina minacciava il Paroco di voler ritornare alla funzione del SS. SS..to.
A fronte di ciò il Vicario Generale cominò la med. di pena gravisima, attendendosi per ciò poco la cominatoria non vi era contrapunto che non si studiasse e promovesse.
Pensò per ciò il Paroco ricorrere anco esso alli sforzi opportuni per fare con tutta decenza almeno le funzioni de sua Parocchia. Erano ufficiali per ciò del Rosario Giovanni Giorgi priore, Carlo Rondoni compagno, Arcangelo Dalfiume depositario.
Procurò il Paroco di ottenere di questi una approvazione per formare canonicamente una Compagnia del Rosario col numero di altre persone fino a 72 confratelli, in memoria delli 72 anni che visse M. V., col vestirsi di cappa azurra.
Non andò in vano il disegno e, formati alcuni Capitoli, ottenne di essi la approvazione. Sottoscritto eglino a capo del med., vi aggiunse la supplica per la Cappazione. In seguito per non essere obbietati di questa dalle due Compagnie litiganti, otennerò l’asenso per la med. capazione di Francesco Tomba primo Compagno della Congregazione del SS.mo e da Cristoforo Giorgi Priore della compagnia di S. Cattarina, da Carlo Ronchi compagno e da Antonio Maria Torchi tutti officiali della med.
Ciò ottenuto non sembrava quasi vero al Paroco questo fatto, né all’arcivescovo per fondare questa nova corporazione onde fare le funzioni, senza incontrare opposizioni dalle due compagnie, mentre il paese era tutto sossopra e sembrava una guerra civile. In queste circostanze volendo partitare certo Giovanni Jusef di Liserna, che serviva in qualità di fornaro la familia sud. Bolis o Bolia, venuto a parole, si guadagnò la morte mediante una archibugiata ricevuta da un confratello di S. Cattarina.
Morì in Bologna il Dott. Giovan Carlo Bachettoni avo di mia moglie celebre litotomo, che fu padre del vescovo Giovan Antonio Bachetoni di Recanati e Loreto.
Estratto Consolo Alessandro Fabbri per il secondo semestre ma rifiutò la carica, stante le vicende comunicative per la accusa date come si disse da Carlo Andrini e D. Giacomo Bolia, tantopiù che il sud. Fabbri era divenuto segretario del Regimento di Bologna, per evitare le calunie e li sospetti, cosichè fece il di lui consolato Giuseppe Rinaldi. Il Podestà estratto fu il Marchese Paolo Magnani senatore di sommo ingegno.
Avendo poi finita la sua legazione il Card. Ruffo partì per Ferrara li 15 agosto, a cui successe il Card. Giorgio Spinola.
Essendo stati santificati il B. Giacomo della Marca e il B. Francesco Solano dell’ordine dei MM. OO. si fecero grandi allegrezze di questi P.P. di San Francesco di C. S. P. li giorni 27, 28, 29 settembre con triduo solenne di musica , fochi artificiali e Panegirici, alle cui spese contribuirono molto il nostro principe Pico e la Comunità del Paese.
Ottenuta come si disse la approvazione e consenso dalli oficiali delle due compagnie per la cappazione del Rosario, fu presentato il foglio all’arcivescovo Boncompagni, il quale ciò veduto non esitò punto, mediante il suo Vicario generale, passare alla erezione formale di questo nova Corporazione e de formati capitoli dall’arciprete furono con decreto approvati il dì 7 ottobre; copia de quali è la unita scritta a mano di Francesco Cavazza, mio Padre.
Ciò pervenuto a notizia del Corporale della compagnia del SS.mo avvanzò le sue supliche all’Arcivescovo ed a Mons. V. G. perché non segnale la grazia, ma fu tardo il ricorso, ed in conseguenza del decreto il giorno settimo di ottobre, prima domenica del mese dedicato alla gloria del Rosario, seguì la solenne cappazione in chiesa colla cappa azura alzata al ginochio ( detta volgarmente saltafosso) .
La solennità di questa funzione non fu di lieve momento poiché, con questa sola compagnia, il paroco fece tutte le funzioni parrochiali e la processione colla S. Imagine per il Borgo e Castello, dando dappoi la benedizione con essa la sera.
Li 5 novembre in mercato alle ore 15 in circa arrivò a Castel S. Pietro il novo Legato di Bologna Card. Giorgio Spinola genovese, fu incontrato a questo confine dall’ambasciatore Paolo Marchese Magnani, March. Paris Graffi ed altri nobili con cavaleggieri.
Fu introdotto in Castello nel Palazzo Malvasia, ove erano molte dame e nobili; qui se le diede un sontuoso pranzo, doppo il quale partì per Bologna. Li cavaleggieri erano tutti schierati nella piazza del Castello e fecero la presentazione dell’arma bianca.
Essendo piovuto dalli 25 novembre fino alli 11 dicembre continuamente in ogni luogo,per modo che nella Lombardia e nel ferrarese erano accaduti molti annegamenti per l’escrescenza dell’aqua in guisa che in alcune chiese convenne portare il SS.mo nei campanili, venne di poi un freddo insostenibile, poi alli 3 dicembre alle tre di notte si sentì il teremoto e replicò alle sei di notte più forte.
Chiamata a Bologna la Comunità a diffendersi dalle accuse date da Carlo Lazaro Andrini e D. Giacomo Bolia sopra la aministrazione in quattordici articoli, comparvero avvanti li senatori deputati Marchese Ranuzzi, Confaloniere ed altri di Assunteria, li deputati comunisti cioè Francesco Mondini, Alessandro Fabbri, Giuseppe Rinaldi e cap. Valerio Fabbri e quivi riletta la petizione contraria fu ritrovata insussistente e di lieve momento, la quale poi anco era originata dalla poca chiarezza de Stati comunicativi o siano Capitoli. La conclusione si fu che furono modificati li med. e decretata una aggiunta ad essi ; il che segui come dirassi a suo loco e così terminò l’anno 1727.

(1728) Adi primo genaro 1728, venne un’altisima neve con buffera tale le persone debboli venivano rovesciate a terra. L’anno presente, veramente pieno di accidentalità e controversie, merita certamente di essere marcato fra li (anni) sconvolti, onde rilevavassi la infelicità di questa epoca.
Cominciò egli malamente inperciocchè avendo servito da Consolo per tutto l’anno scorso Giuseppe Rinaldi invece di Alessandro Fabbri per li motivi addotti, convenne ancora che servisse per il presente semestre. Fu Podestà per tanto il Conte Alessandro Marescotti.
Li 10 genaro Tomasa Sabbatini moglie di Giovanni Marzocchi di Castel S. Pietro partorì quattro fanciulli e tutti andarono al S. Fonte, furono due maschi e due femmine, cioè Gaspare, Melchiorre, Domenica Maria e Santina, sopravissero ai riti di S. Chiesa quattro giorni e morirono tutti in uno stesso giorno.
L’arciprete Nobili, come paroco pio ed amante delle funzioni ecclesiastiche, volle egli fare la (sepoltura) dei teneri angioletti morti colli solenni riti di S. Chiesa, ( e non) solamente.
Condusse seco il clero secolare e la nova compagnia del Rosario in cappa, poi fatti accoppiare due maschi assieme colle braccia avitichiate e così le due fanciule, vestiti tutti di bianco con stole apposta fattele. Si fece collocare un piccolo casteletto fatto apposta, ed inghirlandato di fiori, se li trasportò alla chiesa fra lieti cantici di giubilo, in capo dei quali fece ripetere Laudate, Laudate Dominum a canto figurato.
Fece egli in tale contingenza alzare tutti li bronzi della Parochia in doppio, ciò risulta anco dai Lib. Mortuor. e dalle memorie M.S. del P. Vanti.
Nel corente febraro il Papa, riconoscente della Grazia avuta da Dio per il flagello del terremoto passato, fece pubblicare un Giubileo universale per tutti li Stati di S. Chiesa.
Li 4 febraro si sentì una scossa di teremoto non (………..) le fabbriche antiche della Chiesa di S. Bartolomeo e dell’oratorio del SS.mo SS.to.
Attesa la nova cappazione della Compagnia del Rosario sussurava quella del SS.mo, tanto più che vedeva il parroco prevalersi di questa nelle funzioni straordinarie, adducendo che l’assenso prestato dalli officiali di S. Cattarina e del sud. del SS.mo primo Compagno non erano legali.
Che però, essendo divenuto priore di S. Cattarina, Antonio Venturoli fece la proposta nella sua Congregazione per ratificare l’operato delli Officiali ad esso antecedenti. Il partito passò favorevole con N. di 25 favorevoli e dieci negativi. Così si fece una vendetta contro la Compagnia del SS.mo.
Ciò venuto a notizia dell’arciprete, non stette per questo atto di volere maggiormente assicurare la sua Compagnia. Sapeva egli che è privativa divina dell’ordine dei Domenicani l’erigere la Compagnia del Rosario ed anco per riparare a quel foco, che si preparava dalli stessi Domenicani per essere stati esclusi da questa erezione, che era di sua pertinenza, fece venire di Bologna due P.P. Domenicani per presentare maggiormente la sua nova Compagnia del Rosario.
Arrivarono il dì secondo di aprile, doppo Pasqua di Resurrezione ed il sabato mattina il P. Giuseppe Visconti, domenicano di prosepie principesca milanese, celebrò la messa del Rosario, poi fece un sermone in lode di Maria, terminato il quale andò col suo stesso popolo a casa Locatelli ed albergò. La mattina seguente, alle ore 13 benedì trenta fratelli e dippoi cantò la messa davanti la S. Imagine nella Parochia esposta al suo altare.
Tutto quel giorno il P. Visconti fece dall’arciprete, il doppo pranzo fece la procesione per intro il Castello e Borgo colla stessa Imagine alla quale vi intervenne la sola nova compagnia cappata e clero secolare.
Il Rogito della erezione sud. fu fatto dal notaio Giacomo Bertuzzi. (La cerimonia) riescì con pietà e pari devozione.
Li 10 d. essendo andata bona la stagione si videro le spighe d’orzo, da li 16 del med. mese quelle di grano.
Li 11 di ott. nottetempo nevicò e coperse tutta questa nostra vicina collina, (cominciò) di mattina a vedersi nella nostra pianura la pruina. Li arbori patirono di notte. Fu preceduta questa intemperie da un gran vento, si sentirono per ciò purtroppo mali di petto e pleurititidi pericolose.
Intanto crescevano le amarezze tra le due compagnie di S. Cattarina e del SS.mo e si sentivano giornalmente provochevolmente, echegiò che la lite in Roma andava a precipizio contro S. Cattarina, la quale, malsofrendo queste, pensò, nella prossima solennità delle Rogazioni maggiori, vendicarsi.
Quindi al principio che ricorrevano le med., aspettarono, quelli di S. Cattarina, che l’Imagine di Poggio fosse introdotta secondo il consueto nel Borgo del Castello nella chiesa detta Annunziata, per trasferirla poi d’ivi alla parochiale.
La mattina seguente, in domenica adunque precedente alle rogazioni, che fu il dì primo di maggio, quando la Comp. del SS.mo processionalmente col clero secolare pensava levare la Imagine dalla accenata chiesa di Borgo, ad un tratto le fu fatto eseguire un aresto inibitivo di Roma per parte della Compagnia di S. Cattarina al priore del SS.mo Sebastiano Lugatti di non dovere di certo amovere la S. Imagine di Poggio se non coll’intervento dalla Compagnia di S. Cattarina e che non si dovesse impedire a questa di non fare ciò che volevano nelle processioni.
Così che, quando si fu al punto di levare l’Imagine di Borgo, quelli di S. Cattarina si presentarono cappati col loro stendardo e due scalchi colli loro bastoni. Ciò vedutosi dalla compagnia del SS.mo, non volle levare l’Imagine e così restò sospesa la funzione della med.
E perché correva la prima domenica del mese in cui si fa la processione del SS.mo, l’arciprete, vedendo solo scompilio nel popolo, prese l’espediente di ultimar tutto sul momento e per ciò senza esporsi a scandali anche nella processione del SS.mo, lo espose e diede la sola Benedizione col med..
Andò la relazione di tutto al Vescovato e si chiese providenza. Il Vicario generale ordinò tosto che si osservasse il solito senza scalchi. Ciò non ostante la Imagine di Poggio rimase nella Chiesa della Annunziata con molte messe, ma la messa solenne si cantò in musica nella parochiale. Mandò poscia il Vescovato i Birri a ricognizione dall’arciprete in Castello il lunedì mattina, primo giorno delle rogazioni.
Il martedì venne il legale Panelli per la parte di S. Cattarina d’ordine del Vicario per regolare la cosa. Furono chiamati li Capi dell’una e dell’altra Compagnia nel palazzo Malvasia. Si dibattuta molto la questione, assistevano li due partiti le potenti familie Fabbri, cioè quella del Borgo, discendente da Zaccaria per S. Cattarina e quella del Castello, discendente dal capitano Giovan Battista e Nicola Fabbri per la Compagnia del SS.mo.
La conclusione si fu, per evitare un massacro, che si vedeva iminente alle persone con grave scandalo, che si portasse entro il Castello la S. Imagine di Poggio dal clero e frateria, senza alcuna congregazione, ed il baldachino pure fosse portato da tutti li altri paesani, esclusi quelli delle due compagnie contendenti e fossero senza cappa e distintivo alcuno.
Li Birri caminavano con armi calate e stavano preparati per vederne l’esito. Addotata questa conclusione di scelta, si prese la S. Imagine dalla chiesa parochiale ove era e si portò a quella di S. Bartolomeo a cantar messa, terminata questa fu riportata la S. Imagine collo stesso metodo all’oratorio della Compagnia del SS.mo.
Avuta in suo potere la Imagine quelli del SS.mo non volevano che il mercoldì si levasse di ivi, ma, arrivati li Birri fu portata dal clero nella parochiale la mattina per levarla poi d’ivi e portarla a S. Francesco.
In ciò vedendo li confrateli del SS.mo fece alto coll’arciprete, onde egli si astenne di portarla a S. Francesco per evitare un gravissimo misfatto. Il giorno dell’Ascensione pure, che doveva portarsi a Poggio la Imagine, non si eseguì e solo fu portata nella piazza dall’arciprete, ove diede con essa la S. Benedizione al popolo e poi la ritornò in mano della compagnia del SS.mo nel suo Oratorio ove stette fino alli 11 maggio, la cui matina, volendosi portare a Poggio verso le ore 12 italiane dalla Compagnia del SS.mo, comparvero due cappati della Compagnia di S. Cattarina con bastoni da scalchi, fecero alto quelli del SS.mo e la Imagine che era preparata e incaminavasi nel viaggio, fu fermata sotto il portico dell’Oratorio del SS.mo vicino alla parochiale, ove stette più di un ora su le spalle di due confratelli del SS.mo.
Fuvvi perciò non poco schiamazzo e tanto da un partito che dall’altro si erano li confratelli messi ai posti coll’armi da foco. Gridavano le persone, chi per pusalanimità, chi per respetto al Santuario, chi per un motivo e chi per l’altro, cosichè mossi tutti li Relligiosi dell’uno e dell’altro clero coll’arciprete.
Finalmente fu sedato il rumore colla autorità delle due familie Fabbri, che per essere congiunti di sangue ancora ne diedero tutta la mano, in questa guisa cioè: che li due scalchi di S. Cattarina, li quali mai nel tempo del rumore abbandonarono il baldachino, accompagnassero la imagine fino al Borgo e che ivi prontamente si portasse poi a Poggio da quelli della Compagnia del SS.mo, ne vi intervenisse alcun individuo cappato di S. Cattarina, il che seguì puntualamente, facendo spaliera alla Imagine li Fabbri dall’uno e dall’altro canto acciò nessuno si inoltrasse a quella e coll’armi calate. Questo accidente promosse non piccolo spavento alla popolazione.
Li 25 maggio poi, corendo la funzione della visita a S. Bernardino per il voto del contagio, a cui andavano le compagnie nella chiesa di S. Francesco unitamente, questa volta vi andarono separatamente l’una dall’altra.
La festa poi del Corpus D. che cadeva li 27 maggio fu pure sconvolta e tornarono in campo le pretese della Compagnia di S. Cattarina. L’arciprete prevedendo un altro sconcerto e forse più scandaloso dell’altro, vedendo armate le creature che erano venute alla chiesa per la processione, ove erano pure venute le tre fraterie e compagnie, le licenziò tutte e cantò solamente la solita messa e senza fare altra processione diede la Benedizione solamente col SS.mo in chiesa.
Malcontenta la Compagnia del Sacramento di questa novità, ricorse tostamente ai Tribunali di Roma e quindi levò una intimazione giudiciale tanto contro l’arciprete quanto contro la Congregazione di S. Cattarina per la purgazione delli attentati fatti., rilevasi ciò da un documento dell’archivio parocchiale estradato per li atti Vitali in Roma, avvanti l’uditore SS.mo di questo tenore:
Mand. Ill.mi D.A.C. SS.mi ad instantia Confraternitas SS.mi Corpori X.ti Castri S. Petri protestur R.D. Archipresbitus Priori, et hominibus confrater. S Cathetine C. S. P. de jurpatione (…) attentatis illib. Confrat. istan. ex eo quia in elapsa solemnitate SS. Coporaz. X.ti non potuit facere solitam solene neu processi sicet instantis essunt (…) et parati ademplent.. id quod est sui numeris secundas assistentias juris et manutentis et pro tali (…) ad eius favorem de (..) contra (….): jacdationes infra declaraverunt et Deo.
Mentre si agitavano questo caso tanto nel tribunale di Roma che di Bologna, nulla temendo la Compagnia di SS.ma Cattarina, pensò sottrarsi dalla Giurisdizione dell’Ordinario di Bologna.
La Comunità pure che trovavasi dibattuta dalla popolazione, solevata dalli due borghesani D. Giacomo Bolia e Carlo Lazaro Andrini, stava quotidianamente occupata sopra una addizione ai suoi Capitoli, o siani Statuti.
A questo effetto il Segretario Alessandro Fabbri, che per anco non aveva rinunciato al suo posto di Consiliere, non mancava di interporre ogni sua fatica ed azione per un felice esito.
La Compagnia di S. Cattarina in seguito delle sue intenzioni per sottrarsi dalla sommassione del Paroco ed opprimere la sua autorità sopra di essa, non che di opprimere la prerogative della Comp. del SS.mo ed operare come le fosse piaciuto, fece per ciò una suplica al S. Padre per aggregarsi a S. Spirito di Roma e così anco di eludere la giurisizione dell’Ordinario di Bologna del seguente tenore:
Beatiss. Padre, li Priori, Ufficiali e Ministri della Confraternita di S. Cattarina V. e M. eretta in Castel S. Pietro fino dall’anno 1578 , O.ri umill.mi della S. V. reverentemente le espongono il loro pio desiderio di unirsi, aggregarsi ed incorporarsi al Ven. Archiospitale di S. Spirito di Roma e farsi dipendente membro spirituale e temporale del med., per essere partecipi di tutti li suoi onori, indulti e grazie , privilegi, ed esenzioni, prerogative ed indulgenze concessole da tanti sommi Pontefici, acciò rissulti in maggior gloria del Signore, magnificenza dell’aggregante ed aggregato, esibendosi essere sotto la protezione e dominio di d. Ven. Archiospitale di S. Spirito e sua genta Maestra, per lo che supplicano degnarsi commettere a Mons. Comendatore la Benigna Accettazione, Unione ed Incorporazione con facoltà.
Per onde il Papa estradò il seguente rescritto:
“Ex audientia SS.mi Die 16 Juni 1728; SS. attenta relatione D. Comendatoris annuit petitis
quibuscunque in contrarius non obstantibus, salva tamen invisdictione D. Archiepi.”
Per ottenere questa Grazia fu duopo improntare prima bona somma di denaro, ma perché la cassa della Compagnia era esausta, stante le spese che si erano fatte e si facevano nele liti, si prese l’espediente da confratelli di venire ad una tassa fra di loro.
Quindi il giorno 7 giugno che era la seconda festa di Pentecoste, oltre la tassa preventiva di Lire trecento (sc. 300) questi si ebbero altre offerte. Cosichè in più si fece un cumulo di sc.600. Cio fatto fecero fare un Pallione bellissimo di seta color rosa ed in esso vi fecero improntare in oro li stemmi e girolifici di S. Spirito inquartati con lo stema di essa compagnia e di SS. Sebastiano e Roco di Bologna, a cui erano prima associati fino dal 1601, 18 novembre.
Prima pero di spiegare questa Insegna e caratere al pubblico, credendosi realmente insoburdinati all’ordine, cominciarono a fare sermoni e prediche nella loro chiesa, senza però dipendere e farsi riconoscere dall’Arcivescovo essere autorizzati da Roma, cosa che molto disparve all’arciprete ed alla compagnia del SS.mo. Fu fatto perciò pervenire l’avviso all’arcivescovo, che lo fece adeguatamente al suo potere.
Nel tempo che si facevano stampare la poesia per la festa di tanta grazia e si facevano preparativi di allegrezza pubbliche, il med. Arcivescovo fece tutto sospendere; interporsi amici presso il med., si ammansò qualche poco per allora.
Li 24 giugno, stante la pendenza di novi Capitoli alla Comunità, non si fece alcuna estrazione di Consoli e restò sospesa la accettazione del Consolato, che doveva fare il seggretario Alessandro, per il quale infrattanto prosseguiva Giuseppe Rinaldi l’officio di Consolo. Fu poi Podestà per questo secondo semestre il Marchese Filippo Maria Sampieri.
Codesti P.P. Cappucini di Castel S. Pietro trovandosi nella necessità, in occasione di tempi cattivi piovosi e nevosi, di dovere calcare fango nel venire dal loro convento al Castello, fecero fare una marzapiede dalla chiesa loro fino alla porta del Castello, al cui effetto chiesero la licenza alla Comunità trattandosi di lavoro sopra il suolo pubblico e di piantare anocora arbori ed olmi per avere in tempo estivo un orezzo sopra il med. marzapiede e perché fosse anco diffeso il marzapiede dalli birozzi ed altri ordegni, vi fecero fare dappoi una sprangata di legno fronteggiante la via aderente il med. marzapiede.
In questo stesso mese li MM. OO. di Castel S. Pietro fecero la loro Congregazione provinciaria, che durò dalli 11 lulio fino alli 14 dello stesso.
Nel giorno 13 del med. mese, secondo ci lasciò scritto nella sua mem. MM. SS. Don. Gardini . ascerisce che alle ore 18 venne in Castel S. Pietro una smisurata pioggia con tempesta anco su la montagna superiore, coperse un tratto di 4 millia, ed era grossa come le ova e durò dalle ore 11 italiane e durò circa una ora a cadere. Lo stesso fece il di seguente 14, che durò dalle ore 11 italiane fino alle 12 fino alle 12. Repplicò pure la notte una grandissima pioggia e fu motivo che ruinò il novo muraglione al ponte.
Essendo perciò precipitata una parete del med. e rovesciata nell’alveo del fiume, convenne novamente retificarlo; il motivo si fu che non essendo stata intonacata la parete con pietra in taglio e gesso e non avendo alcun rifforatore che sboccasse le aque che si fermavano internamente nel vano fra d. muro e la via romana, ne avvenneper ciò che gonfiò talmente l’interimento tutto moliccio, che ne provocò la citata ruina. Per riparare ad un maggior disordine, fu tosto riatato .
Alla fine di questo mese si alzò un vento oribile che durò molte ore, alla fine si convertì in un turbine che sradicò centinaia di arbori massime dalla parte di Castel Guelfo.
Terminata finalmente la nova addizione dei Capitoli della Comunità, si portò a Castel S. Pietro, il giorno 14 agosto, il notaio di Parma Giacomo Gilla, il quale entrato nella pubblica ressidenza consolare ove erano adunati e convocati tutti li consilieri, ne fece quindi la pubblicazione ai med. e richiese loro se erano contenti di tali Leggi, niuno perciò si oppose e furono universalmente accettati.( copia di essi è la unita) . Ciò fatto il segretario Alessandro Fabbri accettò il consolato.
Doppo questo fatto per sistemare e consolidare vieppiù la riscossione di Peso e Misura nei giorni di mercato, ottenne la comunità, in seguito nel dì 7 settembre, la conferma dal Legato della Tariffa, che fu il motivo per cui erano accadute le accuse dei malcontenti borghesani perché non volevano essi pagare il tassativo alla misura del grano venale che si dispacciava li giorni di mercato.
Doppo avere la Compagnia di S. Cattarina ottenuta la aggregazione a S. Spirito, restava solo, come si disse, farne la solenne addimostrazione al popolo e spiegare il caratere di aggregati. Perciò nel di 28 settembre alle ore 22 fu esposto in questa chiesa dell’Annunziata nel Borgo il Pallione accennato della unione a S. Spirito.
Prima di andare a levarlo in forma colle Bolle, seguì un copioso sparo di mortaletti alla chiesa di S. Cattarina in Castello, nel qual contratempo si apposero sopra la porta della chiesa li stemi di Mons. Zosimo Valegna Abbate Comendatario di S. Spirito, lo stema di S. Sebastiano e Roco, per la prima indicata agregazione e finalmente lo stema della stessa Compagnia di S. Cattarina, li quali stemi facevano un triplice nodo.
Levatosi poscia da questa lo stendardo con buon numero di confratelli si portarono alla parochiale dove, pregato l’arciprete Nobili ad intervenire con essi e fare esso la funzione col suo clero, si portò il med. con tutti processionalmente alla chiesa della SS. Annunziata. Quivi l’arciprete fece la solenne benedizione al Pallione, poi, dal priore della Compagnia Antonio Venturoli col suo primo compagno fu levato ed inalzato fuoori della chiesa e spiegato al popolo numeroso, precedendovi le Bolle scoperte tenute da un fanciullo cappato.
Aveva quattro cordoni con fiochi pendenti, ciascuno de quali era tenuto da un prete. Intonossi poscia dallo stesso arciprete il Veni Creator a suono di trombe e tamburi, fu prosseguito il canto dell’inno da un coro di scieltissimi musici e così cantando incaminossi la processione entro il Castello diritivamente alla chiesa della Compagnia, dove deposto, fu esposta la insigne reliquia del Legno di S. Croce.
La sera stessa, doppo l’Ave Maria, fu illuminato tutto il paese a spese della compagnia, nella via Maggiore con due lumi per ciascuna finestra. La torre del Castello, che aveva li merli d’intorno, furono tutti questi illuminati in guisa che formavano una bellissima corona alla torre. Nelli quatttro merli angolari però eravi lo stemma dell’Archiospitale sudd.. Tutti li campanili ed altre tori del Castello erano illuminate con fanali.
La torre dell’orologio, il Palazzo della Comunità colla piazza tutta era illuminata. in mezzo alla med. presso il muro di facciata nella casa Morelli, ora de Gesuiti, eravi eretta una fonte che gettava vino di due fori, cioè bianco e nero, mediante un mascherone, ove ognuno levava e raccoglieva vino a libertà. Il vino era ottimo, tanto più che la vendemia era stata talmente ubertosa che si vendettero lire otto la castellata per ciascuna. Poscia si accesero due grandissimi fallò, doppoi fochi artificiali, ne quali si scopriva interpolatamente lo stema di S. Spirito, nel qual contratempo si vedevano sbruffi e spruzzature di fochi, suffioni e cassette di raggi scopiare in aria, con batteria regolata di bombe e mortaletti di quando in quando nei quattro angoli della piazza.
La mattina seguente poi , giorno di S. Michele, 29 settembre essendi festa di precetto si cantò messa solenne in musica, doppo la quale seguì una regolata sparata di molti mortaletti. La sera a compimento della funzione si cantò il Te Deum, poscia la benedizione in mezo la strada col SS.mo Legno di S. Croce, il che tutto seguì in giorno di giovedì. Il concorso del popolo e terriero e forastiero fu grande.
Entro questo mese andò in Roma la sentenza fra le due compagnie litiganti alli Atti Vitali, cioè che andassero entrambe alla processione del SS.mo colla sola diversità che quelli di S. Cattarina vi intervenissero senza scalchi.
Quantociò dispiacesse alla med. non è facile narrarlo, solo si sentivano sussuri e proposizioni avvanzate, le quali riferite all’Arcivescovo, temendo egli novi scandali, scrisse ed ordinò per lettera al corporale di S. Cattarina a non intervenire a tali processioni e così fu eseguito. Non si aquietò però alla sentenza patita, ma appellò ad altro giudice in Roma.
Li 16 ottobre si fece sentire fortemente il teremoto.
La compagnia di S. Cattarina, volendo mettere in esecuzione le prerogative sud. della sua
benefattrice e principale Arciconfraternita di S. Spirito di Roma, cominciò ad esercitare nella sua chiesa quei riti che sono di diritto parochiale, a questo effetto aggiunse un’altra campanella alla prima che aveva onde chiamare il popolo.
Cominciò il suo capellano a ricevere le donne puerpere in chiesa, davasi dal capellano suo nella sud. chiesa ed oratorio la benedizione col venerabile, che si teneva continuamente nel ciborio nella med. chiesa, ivi si ascoltavano le confessioni senza la permissione del Paroco.
Quando trattavasi di un defunto del suo corporale, dell’uno o dell’altro sesso, senza l’intervento del Paroco, andavasi a levare alzando croce dalla casa col capellano e conpagnia cappata, poi si portava nella arcipretale entro la capella della med. conpagnia, la quale era ove ora sta formata la sagrestia dalla parte dell’angolo della capella maggiore della parochiale, ed ivi si sepellivano dopo le esequie.
Ciò si eseguì per poco tempo però, finchè la bontà del pio arciprete potette sofrire la petulanza de confratelli. Non mancò per altro di esortarli a deporre tanta sovranità in pregiudizio dei diritti di sua stola e parochia.
Fatto inteso di questo assurdo, l’Arcivescovo mandò doppo alquanti giorni a Castel S. Pietro il Dott. Giovan Battista Scarselli suo segretario di visita, che fu poi vescovo di Ama..nta e con esso vi spedì il notaio Nanni per fare che dimettesero li d. confratelli tanta sovranità, ancorchè li invitava il Not. a chiedere perdono delli attentati comessi ed a riconoscere un memoriale di sommissione.
Chiamata adunque la congregazione nell’Oratorio, comparvero molti ed udite le premure dell’anzidetto segretario e del Notaio, negarono prestarsi alle lor addomande, anzi addussero che non volevano recedere dal Res. cto di N.S. nella Bolla di Agregazione contenuto, onde per ciò partirono li inviati e li confratelli divenero più costanti nella loro massima della dipendenza al paroco e subordinazione anco della loro chiesa.
Accadde perciò che che essendo morto un fanciullo ad un peregrino alloggiato nell’Ospitale di Borgo, governato dalla compagnia sudd., questi senza altro suono di campana fuori della propria della med compagnia, esistente nel colmo della parete della chiesa di quella, nell’angolo della facciata che guarda inferiormente il Castello. Il capellano della stessa compagnia, vestito di cotta e stola, senza il paroco o suo coperante, andò a levare all’Ospitale il fanciullo morto e fu trasportato da alquanti capati nella chiesa parochiale e dappoi sepolto nella capella di essa compagnia.
Il paroco vedendosi spogliarsi da suoi diritti, per sostenere li quali vedeva essere provocato ad una lite civile da un Corpo torbulento, ne fece inteso l’Arcivescovo, onde vi ponesse riparo.
Ordinò per ciò questi un Monitorio col quale intimò alla Compagnia doversi astenere da fare ulteriori attentati sotto gravissime pene. Leggesi questo in una Racolta di Documenti segnata N… nell’archivio parochiale la di cui sostanza piacesi quivi trascrivere:
Mandato. Denuntiatur D.D. Prioribus/societatis S. CattharinaCastri S. Petri, eiusque confratibus et capellan. qualit. q.ta omnia secuta nullit. indebito gesta, et forsas imposterus perenda. Ideo fulgens purgationis. in subsidius excomunicationis debeant ipso astineri a (…) omnibus.
(…) venne di Bologna un esecutore per presentarla al priore, personalmente ed ufficialmente, ma volendo fare il suo officio, non si volle acettare dalli sudd. Onde egli le gettò a piedi di quelli una copia e poi per assicurare meglio il fatto ne affisse altra copia alla Chiesa e Oratorio della med. compagnia.
Si ebbe a sdegno tanto questa esecuzione così solenne la Compagnia, che si ricorse a Roma e carpì una Inibizione il di 2 ottobre avvanti il Card. Colonna Prefetto di Signatura, diretta all’Arcivescovo per sostenere la loro pretese.
Arrivata questa di Roma, si volle fare eseguire al Card. Arcivescovo, ma non trovandosi alcun esecutore vescovile, che ciò volesse fare, convenne ricorrere al Legato, il quale la fece eseguire per uno de suoi ministri del foro.
Affrontato l’Arcivescovo di questo fatto, ne meditò la pariglia. Intanto fece sapere alla compagnia che comparisse alli atti a rinonciare alla lite, ricusò questa e mandò la ricusa al notaio Lodi, che non la volle acettare.
Sdegnato vieppiù l’Arcivescovo aspettò che fosse terminato il tempo prescritto nella anzidetta intimazione e niuno essendo comparso, mandò fuori li 27 ottobre una sbirraglia di sedici uomini, parte del Torrone e parte suoi, a carcerare tutti quelli che avessero potuto avere nelle mani di S. Cattarina, ma non le riuscì che carcerare Prospero Trocchi secondo Compagno, ed il di 28 Battista Andrini.
Tutti li altri fuggirono alle chiese, conventi di frati e nella sua chiesa di S. Cattarina. Per tale successo ammareggiati maggiormente, scrissero a Roma, in seguito di che venne immediatamente l’ordine di scarcerazione, che seguì li 11 novembre senza menoma spesa della Compagnia e catturati.
Nonostante tali turbolenze, venuto il giorno della festa di S. Cattarina titolare della Compagnia, il priore mandò ad invitare l’arciprete nel modo che aveva invitati tutti li altri preti a celebrare la messa bassa, considerandolo come semplice sacerdote e non Paroco.
L’invito come che buffonesco non fu accolto, a tale invito aggiunsero le jattanze di volere ritornare alle processioni mensili del SS.mo non ostante la sentenza patita in Roma e ciò in vigore delli privilegi ottenuti nella aggregazione sudd.
Con maggior efficacia il Paroco esposela sua premura all’Arcivescovo, che le stava a cuore non meno il diritto parochiale, che l’onore di Dio. Armato di calore, da superiore fece estradare, per li atti del notaio vescovile Tomaso Landi ex officio, il seguente ordine diretto alla Congregazione stessa: “Nos Jacobus Epis. (..) S.R.E. (…) Cardinali Boncompagni Archi….. Bononie, essendo pervenuto a nostra cognizione che possino succedere altri scandali in occasione della processione del SS.mo SS.to per parte della Compagnia di S. Cattarina di Castel S. Pietro, non ostante la pendenza della lite in Roma vertente coll’altra Compagnia del SS.mo SS.to e della Inibizione pure di Roma, perciò la nostra vigilanza ed atto pastorale dovendo provedere ad ogni scandaloso evento in funzione di tanta venerazione, inerendo alle pendenze di d. liti, ed alla osservanza delle sudd. Inibizioni, per debito della nostra giurisdizione ordinaria, ed anco apostolica delegataci, commandiamo a voi Priore ed officiali ed uomini della sudd. compagnia di S. Cattarina, che visto il portato Mandato, non dobiate fare alcun atto novatore o quasi nella processione del Vener. in pregiudizio della pendenza della sudd. lite in Roma, ma dobbiate da tuttociò astenervi acciò non naschino scandali pregiudicievoli al culto divino, sotto pena della purgazione di attentati ed altre pene anco corporali a nostro arbitrio e dell’interdetto chiesastico in caso di contravenzione a questo nostro precetto, che vi si trasferisce ex officio della nostra Giurisdizione e non solo. Bologna 3 dicembre 1728, Card. Boncompagni Arcivescovo, Tomaso Lodi Notaio”.E così terminò l’anno.

(1729) Non meno dell’anno scorso pieno di traversie, troviamo anco notato nei MM. SS. e nelli archivi del paese molte cose continuarsi anco in questo anno 1729 nel principio del quale entrò Consolo Francesco Maria del fu Giuseppe Mondini e Podestà il Marchese Alessandro Marsigli.
Proseguivano li confratelli di S. Cattarina a perturbare il Paroco nella sua giurisdizione e non vi era cosa in cui non lo potessero contrapuntare, che non lo facessero.
Accadde per ciò la morte di un altro fanciullo per il vajolo nell’ospitale de Pelegrini nel Borgo, onde, senza darne conto al paroco di tal morte, la sera stessa che morì e fu nel di 6 febraro, alcuni della compagnia collo ospitaliero lo lavarono e fecero portare dal genitore del med. fanciullo alla chiesa senza alcun rito eclesiastico, ed ivi le lasciarono il cadavere, che fu poi sepolto in una delle due arche della compagnia entro la sua capella.
Il Paroco così affrontato ne diede la relazione al vescovato, ma niun caso se ne fece. Intanto il med. Paroco arciprete, per vieppiù consolidare la sua compagnia del Rosario della quale ne era priore in quest’anno Alessandro Sarti, fece dare una supplica al Papa acciò per via di Breve Apostolico fossero confermate le leggi della med. nonché la erezione sua.
Ne ebbe l’Intento e li 19 corrente fu segnato il breve il di cui tenore è l’unito, nel quale vi sono molti capi degni di speciale osservazione.
Doppo la addizione dei capitoli alla Comunità essendosi rinovata la Tariffa dei Generi, che sono sogetti nei giorni di mercato a Peso e Misura, essendovi tra questi la misura del grano che deve pagare tre quattrini per corba, li borghesani aventi magazeni da grano la sentivano malamente poiché essi si approfittavano di questo lucro suppletivo, che doveva cadere in dell’erario comunitativo.
Perciò Carlo Lazaro Andrini unito ad altri proprietari di magazeni cominciarono ad opporsi a questa riscossione comunicativa. Ricorse per ciò la Comunità al legato per averne una providenza stante l’affituario del mercato Pier Lazaro Gattia instava per il Ristoro sopra questa riscossione.
La Comunità che veniva composta da seguenti individui cioè: Francesco Mondini Consolo, Caperno Valerio Fabbri Decano, Giuseppe Rinaldi, Giacomo Landi, Giulio Alberici, Pietro Gordini, Girolamo Dalle Vache, Gio. Battista Dalla Valle, Alessandro Fabbri, Giacomo Bertuzzi, Giuseppe Ronchi ed Ottaviano Benetti ordinarono al Gattia che le riscossioni della Coletta del mercato si facessero infrattanto per conto della Comunità.
Ma perché la ressidenza della Comunità per le adunanze esisteva in una piccola stanza a piano terreno, essendosi la med. spogliata del retro del palazzo e concesso a ministri pubblici, trovavasi in cattiìvo stato, il Consolo ne fece fare il ristoro collo spendere delli effetti comunitativi.
Le mura pure del Castello, che in vari siti rovinava dalla parte del meridio, fu fatta medesimamente ristorare. L’ingresso pure della porta maggiore del Castello, presso la torre, essendo ancor esso in cattivo stato e e scoperto il Cassare interno, d’onde minacciavano ruina li merli sopra l’alta mura del med., massime dalla parte di Ponente con pericolo de paseggeri, fu necessario ricorrere al Governo di Bologna per il ristoro, non solo ma anche per coprire tutto il Cassare.
Quindi il giorno 10 febraro, fatta la petizione al Senato, fu rimessa alla Assunteria di Governo, prese questa in considerazione l’istanza e annuì. Restava solo il modo di fare la spesa che non era di picolo rilievo onde per rilevarla fu spedito l’architetto Angiolini a farne la perizia, il quale la considerò di lire mille e quattro e soldi sedici di Bologna (sc. 1004:16).
Riferito ciò al Governo, restava solo il modo di eseguirla. Bramava anco l’Assonteria questo, onde per effettuare il lavoro donò alla comunità quattro milla pietre che erano avanzate nella fabbrica del muraglione al ponte.
Era pure codesta via publica, che da Castel S. Pietro si parte e porta dirittivamente alla Madonna di Poggio, in così pessimo stato ed impraticabile che non si poteva essa transitare. La Comunità fece ricorso al Senato, stante la premura avuta dalli comercianti di Medicina, che vengono a questo Castello.
Il Senato, per tanto rimessa la petizione all’Assunteria di Governo, ordinò questa che si conducessero centoventi pertiche di ghiara da contadini del Comune a sconto di quella che dovevano fare nella via romana.
Stante la rinuenza che facevano li borghisani proprietari de magazeni da grano nel Borgo di pagare la coletta della misura, facendola propria, la Comunità replicò il ricorso al Legato. Questi veduta le ragioni comunitative dell’emporio spettante alla med., ordinò con suo proclama e legge edittale, che da qui in appresso non potesse alcuna persona, comprato che avesse grano e biade tanto nel Castello che Borgo , levarlo dalli magazeni e boteghe, se prima non avesse ottenuta dal conduttore del Dazio del Mercato o suo deputato la Boletta da farseli dal med., il quale doveva ressiedere sotto il portico del palazzo comunitativo, esprimente tale Boletta il nome e cognome del compratore, giorno del contratto, quantità di corbe e qualità del genere, bottega e magazeno dove fosse levata la robba per la quale Boletta dovesse pagare li sudd. tre quattrini per corba.
A trafficanti e borghesani dispiaque tanto questa novità che, attribuendosi essere tutta invenzione del Consolo Mondini, non solo si sentiva minacciarlo, ma anco declamare contro esso fortemente e motteggiarlo. In seguito di ciò una mattina fra le altre si vide un filo appeso alla porta del Castello con una carta de tarochino esprimente il Traditore, sotto la quale vi era un cartello che diceva: Francesco Mondini traditore alla patria. Dappoi un altra mattina si viddero tante carte sparse simili alla sudd. con all’interno: Francesco Mondini di Castel S. Pietro.
A ciò si aggiunse ancora un altro cartello un altro giorno che fu affisso alla porta del Castello et al palazzo pubblico ed alla casa del Mondini con questi versi:
Ricordevole il Mondini
delli antichi suoi maggiori
che levaron le esenzioni
al paese quei bricconi,
Ora a noi toglie i quattrini
questo capo d’assassini;
malandrin chi non sventrona
questa bestia burazzona
Fece molto d’impressione questa invettiva al Mondini in guisa che poco fidavasi caminar di giorno per le provoche, non che di notte per li aguati.
Fu attribuita la composizione a D. Pietro Giorgi detto vulgarmente: de Pavoli, perchè aveva fratelli e congiunti che traficavano in grano e molti magazeni nella propria casa, che è quella che fa angolo nella via Maggiore per venire in Castello, senza portico. Li primi quattro versi sono allusivi a Vincenzo Ricardi e Giuseppe Mondini seniore, che furono de primi che in paese presero li Dazzi e Gabelle sopra di loro e dappoi come ufficiali di Dogana nel paese come si scrisse alla sua epoca nel secolo passato.
Li 24 giugno estratto Consolo per il venturo semestre Giulio Alberici, investì la carica il dì primo lulio. Fu Podestà il Marchese Filippo Legnani. Li 10 del med. mese Alessandro Fabbri, già segretario del Senato come si annotò, mandò la sua rinuncia a questa Comunità non solo come consiliere ma anco come cancelliere, nel cui ministero fu surogato dal d. Mondini.
Il vajolo che da qualche tempo non si era sentito in paese, ma quivi trasportato dal fanciullo sudd. morto nell’ospitale, cominciò a regnare ed amorbare il paese e fu di una qualità cosi maligna, che spopolò quasi affatto questo luogo di ragazzi al segno che se ne portavano al sepolcro dalli tre e quattro al giorno. In agosto che fu la maggior mortalità ne perirono 52 ed in settembre 49 e poi cominciò a scemare la malignità, che era così fetente onde anco attacò li poveretti che l’avevano avuto un altra volta e morivano. Li fanciulli furono 160, maschi e femmine.
In questo anno D. Gio. Battista Bartolucci fu fatto custode della chiesa di S. Maria alle Creti di Budrio, fu uomo scienziato come riferimmo a suo loco. Nelle memorie MM. SS. di D. Francesco Fiegna trovo in quest’anno la indicazione di un capitolo provinciale delli Agostiniani nel convento di S. Bartolomeo in questo loco, ma ci tace chi fosse. le ricerche da me fatte presso il R.mo Nicola Bibiena di Bologna agostiniano e mio amico per saperne il nome, cognome e patria, non ha saputo indicarlo per essere mancante delli atti capitolari l’archivio della provincia, conviene perciò lasciare sepolta per ora la notizia.
Essendo stato beatificato il Vener. Fedele da Sagmaringa Capuccino ed avendo determinato questi religiosi farne un triduo, diedero alla Comunità supplica per averne da essa un qualche sussidio, condiscese la medesima alla petizione e le mandò molta farina di grano ed una meza castellata di uva.
Li 12 settembre giunse a questo convento di S. Bartolomeo di Castel S. Pietro il generale delli Agostiniani che veniva da Pavia, fermossi tanto che fece la visita al convento e chiesa e poi se ne partì per Roma.
Li giorni 17, 18, 19 del med. mese seguì il Triduo in onore in onore dell’accennato B. Fedele con solenne pompa nella chiesa di questi P.P. Cappuccini con musiche ed allegrezze.
Li 25 novembre festa di S. Cattarina V. e Martire la compagnia la solennizò più del solito con musica, dispensò pane ai poveri del Borgo e Castello, alli publici rappresentanti furono regali fatti dalla med. con grosse ciambelle.
Alli 8 dicembre li Frati MM. OO. di questo Castello fecero la Accademia Litteraria nella loro chiesa ad onore della Imacolata Concezione e vi intervennero anco poeti forastieri. Le feste natalizie di N. S. furono brillanti di bella stagione come se di primavera.

(1730) Entrato Consolo Pietro Gordini per il primo semestre anno 1730, fece egli rinovare la bandiera della Comunità, che si esponeva li giorni di mercato per indicare ai polaroli e trecoli in cui potessero liberamente comprare. Ciò fece perchè il novo Podestà Carlo Alfonso Marescalchi le aveva fatto intendere che voleva personalmente venire a farsi conoscere per Governatore del paese, difatti tosto operò ed alla metà di genaro fece la sorpresa in tempo di mercato, visitò le botteghe di villaneria e fu contento.
Ingelosito il Card. Arcivescovo che li confratelli di S. Cattarina si prevalessero delle rendite per sostenere le liti contro esso, contro l’Arcivescovo.
La compagnia del SS.mo, ordinò che si affittassero li di lei beni, ne fece pubblicare l’invito mediante notificazione stampata estradata per li atti Monari, onde sapendosi il preciso del ritratto si potesse meglio calcolare sopra le spese avendo una entrata certificata, ma niuno concorse.
Li 10 febraro alle ore 20 1/2 in meno di quattro giorni morì l’arciprete Dott. Giovan Battista Nobili, fu compianto in tutto il suo gregge per la singolare carità avuta al suo gregge med., per la sua pietà e per l’osservanza del culto divino, nel quale fu diligentissimo. Stette il suo cadavere inumato fino alle ore 19 della successiva domenica, in questi due giorni se le fecero continue esequie e dal clero e dalla popolazione, accompagnate da pianti per la perdita di un si segnalato Pastore e indefesso sacerdote e capo del paese.
Seguita tale morte, la Comunità riassunse novamente il giudicio in Roma contro il Capitolo di S. Pietro e la sua mensa per il jus presentandi, del quale ne era stata spoliata. Il diffensore famoso Giacomo Rabbaschi romano assunse la diffesa della Comunità. E’ da sapere che questa causa in prima istanza fu agitata in Bologna avvanti il Vicario. Generale del vescovato, come già si scrisse ed apellò la Comunità.
Ciò non ostante. prosseguendosi li atti in Roma, l’Arcivescovo aperse il concorso e ne sollecitò l’esito per temenza che non si introducesse qualche sogetto provisoriamente da Roma e perchè aveva avuto prove della animosità delle Corporazioni di Castel S. Pietro, stante le vicende passata colla compagnia di S. Cattarina.
Disbrigò l’affare in meno di dieci giorni cosichè il di 20 d. fu conferita la chiesa al Dott. D. Giovan Battista Bertuzzi nazionale di Castel S. Pietro, uomo dotto al pari dell’altro e prudentissimo.
Nel med. giorno 20 febraro lunedì grasso morì in Castel S. Pietro nella propria abitazione il principe della Mirandola Giuseppe Francesco Saverio Galeotto Pichi alle ore tre e mezo di notte italiane.
Fu portato con solenne pompa funebre alla sepoltura all’uso del paese colle compagnie e clero regolare e secolare alla chiesa di questi P.P. Cappuccini. Era vestito da suo pari con abito di seta, sottabito di ganzo d’oro fiorato, calce e calcette di seta nera con due guanciali, un facioletto di seta, suo crocefisso e spadino con impugnatura d’argento.
Fu riposto dappoi entro una cassa di cipresso foderata di raso nero, che fu posto entro altra cassa di rovere. Stette inumato fino al giorno 23, doppo il quale fu collocato entro d. casse, l’ultima delle quali fu cinta di spiagge di ferro, che furono sigillate con piombo bollente e marcato col sigillo della sua casa. Fu, così entrocluso, consegnato all’attuale Guardiano Cappucino del convento che era il P. Ricardo Comelli da Bargi, in forma d. deposito, coll’obbligo di consegnarlo alli principi Pichi se ne facessero la inchiesta, si fece di tutto rogito di mano del Notaio Antonio Nanni bolognese del qual intro ne tengo io l’autentico fra recapiti di familia.
Il suo deposito fu fatto entro il picolo coretto laterale all’altar maggiore in coram evangeli sopra terra circondato di muro, ed esternamente nel Sancta Sanctorum nella parete sopra questo deposito vi fu confitta in marmo nero la seguente iscrizione
HIC JACET
Galeottus Picus
Mirandulae Principus
Qui pius, qui prudens
Inter omnium lacrimas precipue pauperus
quorum indijentiis munificentissime
semper consuluit
Migravit ad Dominum
IX Kal. marti anno MDCCXXX
etatis sua LXVI
Adi 21 febraro ultimo giorno di carnevale alle ore 4 di notte italiane in Roma morì Benedetto XIII. Papa al quale successe il Card. Lorenzo Casini col nome di Clemente XIII.
Nello stesso giorno venne al possesso di questa chiesa arcipretale di Castel S. Pietro il Dott. D. Giovan Battista Bertuzzi sudd.
Nel seguente marzo avendo nella pubblica piazza avvanti la loro chiesa la porta, onde oltre la bruttura era anco incomoda a passeggeri, ricorsero alla Comunità affine di riparare alla bruttezza e scomodezza col coprirla. La med. aderì alla petizione e concorse la med. al lavoro, che fu protratto fino alla croce grande che fa angolo nella med. piazza.
Fra non molto, infirmatosi in questa loro convento il sud. P. Ricardo da Bargi essendo per anco guardiano, terminò quivi li suoi giorni. Medesimamente D. Bartolomeo Giorgi di Castel S. Pietro, paroco già al Sasso sopra Bologna, finì li suoi giorni in patria, questa familia è spatriata ed è in Bologna.
Nel di 27 marzo, tanto il med., quanto all’arciprete Nobili furono celebrate e fatte singolari esequie nel Borgo nella chiesa della Annunziata da tutti li (fratelli) della Congregazione del Sufragio, loro privativo eretto nella med., per essere li sud. defunti di quel corporale, vi fu l’apparato lugubre e catafalco co’ simboli (….).
Rissulta ciò dal primo Campione delli atti di tale congregazione esistenti presso Antonio Bertuzzi, uno delli eredi dell’arciprete Giovan Battista Dott. Bertuzzi. Comincia tale Campione delli Atti e Rissoluzioni sudd. il di 9 lulio 1637 e termina in maggio 1734.
D. Matteo Ottolini, prete di nazione genovese capellano dell’arciprete novello Bertuzzi, non dimenticato dei dissapori passati colla Compagnia del SS.mo ed arciprete Nobili per li quali fu licenziato nel 1727, ma poi ripigliato e passato al servigio del novo arciprete Bertuzzi, pensò rifarsi colla d. compagnia e vendicarsi in circostanza che quest’ultimo non era troppo informato delle prerogative di quella essendo sempre stato fuori a studio.
Quindi siccome le med. compagnia faceva tutte le sue funzioni piu’ particolari all’altare maggiore della arcipretale, la cui capella era stata edificata e dalla med. compagnia e dalla Communità, come si scrisse in addietro, così essendo venuta l’occasione di fare la funzione del miracoloso crocefisso la domenica di Passione col lasciarlo scoperto alla venerazione del popolo e poscia portarlo processionalmente per l’abitato del Castello e Borgo non velato, la quale domenica in quest’anno cadeva nel dì 26 marzo. Perciò, la sera del sabbato precedente, secondo il solito fu portata la S. Imagine all’oratorio vicino alla parrochia per eseguirne la solennità accennata.
Accomodato il tutto, il finto capellano chiese licenza al novo arciprete Bertuzzi di portarsi alle perdonanze di Fiagnano, luogo vicino decorato in perpetuo da Onorio secondo Papa, dicesi di quel paese originario, con amplissime indulgenze e facoltà ai confessori durante li tre giorni destinati, che cominciano li 25 marzo ogni anno.
Ottenuta la licenza D. Ottolini si alzò di notte tempo prestamente col pretesto del viaggio, calò nella chiesa poi con con velo da esso preparato coprì la S. Imagine del X.to e ciò fatto se ne partì avvanti giorno per Fiagnano conforme aveva divisato coll’arciprete.
Apertasi la chiesa la mattina, vedutosi il X.to velato dal popolo fu tosto riferito ai fratelli della compagnia li quali tostamente portatisi dall’arciprete, ignaro di tal fatto, esposero le loro giuste lagnanze, alle quali, oltre li rissentimenti, si mosse un non indiferente mormorio del paese.
Intesa la ragione l’arciprete ed informato dell’uso della solennità, acciò non accadessero mostruosità, aspettata l’ora dell’offizio, serrate le porte della parochiale, levò il velo al X.to e così venuta l’ora della processione con il med. scoperto e svelato si fece la solita funzione per tutto il paese.
Ritornato il capellano da Fiagnano ebbe non poche reprensioni dal paroco e portata la instanza a Bologna dalla Compagnia al Superiore, fu chiamato alla città, ove stette per otto giorni a fare li esercizi e fra non molto fu licenziato dall’officio.
Adi 18 maggio giorno dell’Ascensione, venne di Bologna una cavalleria tedesca che imediatamente andò a Imola per passare a Napoli.
Essendosi mutato il governo nella provincia di Bologna dalli Agostiniani, fu fatto priore di questo convento di S. Bartolomeo per la prima volta il P. Regente Guaderna.
Attese le nove istanze che si facevano dalla Comunità al Governo di Bologna per il mantenimento delle mura del Castello, l’Assonteria prese l’espediente di imporre un testatico alli abitanti del Borgo e Castello. A questo efetto li 11 giugno l’Agente di Camera Ercole Bianchi scrisse al Colettore di Castel S. Pietro che desse nota di tutti li abitanti per effettuare il proposto testatico acciò col ricavato pagarne la spesa.
Ricusò la Comunità facendo constare che ne sarebbe nata una insurezione di popolo. Il caricare poi li contadini di questa spesa non era addottabile, perchè esausti dalle spese passate e per le altre spese del ponte alla Quaderna, ed altre, adossato il danno patito dalla Bigatella, che avevano esterminate le messi e le entrate della Comunità erano scarse, non poteva per ciò aderire alli progetti addomandati dalla med. Assonteria, onde restò sospesa la esecuzione fino a nova providenza.
Li 24 giugno fu estratto Consolo Giacomo Landi che acettò l’officio e Podestà fu il Conte Nicolò del Conte Gio. Battista Orsi. Nel prossimo lulio fu creato Papa il Card. Lorenzo Corsini col nome di Clemente XII.
Come si disse in addietro, essendosi intrapresa novamente la lite della Comunità sopra lo jus presentandi il paroco in Roma contro la Mensa di Bologna, pensossi di sospendere per ora ogni atto giudiciario, atteso che si era penetrato che il Card. Boncompagni aveva fatti alti impegni nel suo soggiorno in Roma in occasione che ultimamente era collà intervenuto per il Conclave, quindi inerendo al consilio dato dal curiale Giacomo Rafaschi si desistette, tanto piu’ che trattavasi di una causa deserta la quale portata in Roma avvanti la Rota li 30 genaro 1702 furono disputati due dubbi, uno super iure patronatus preteso dalla Comunità e l’altro super manutenzione.
La Rota fece un dilata. Ripropostasi nell’udienza delli 12 maggio dello stesso anno 1702, rissolvette che super manutenzione stesse interinalmente al vescovo e quanto all’altro dubbio: rescrisse iterum proponatum. Rillevasi tuto ciò da una colettanza di lettere del d. Rafaschi esistente nell’Archivio della Comunità.
La raccolta del grano in quest’anno fu mediocre, onde fu fissato il calmiere a sc. 7:10 la corba. La vendemia fu alternante.
Non essendosi trovato alcun offerente alla conduzione de beni di S. Cattarina a motivo della qualità cattiva de confratelli turbolenti ed inquieti, l’Arcivescovo novamente ne fece fare l’invito il 26 novembre e neppure questo ebbe per le ragioni adotte alcun effetto, onde terminossi così l’anno.

(1731) Adi primo genaro 1731 entrò Consolo Girolamo Dalle Vacche e Podestà il conte Giacomo Camillo Turrini, fu Notaio giusdicente Bernardino Zanalti.
Li 9 febraro cominciò una neve così densa che in brevissimo tempo crebbe fino a mezza gamba ed in alcuni luoghi piu’ sopra la nostra collina crebbe fino al ginocchio in modo che le creature non potevano caminare.
Durò fino al giorno 11 nel quale la providenza fece muovere un gagliardo e caldo vento che la disciolse imediatamente. La sera vi si aggiunse a questo vento un calore grande, che essendo nuvoloso il tempo, lampeggiava e sembravasi di agosto, onde restò tutta la terra scoperta. Si sentirono perciò oribili piene d’aqua nei fiumi, rivi e condotti che daneggiarono d’assai.
In questo giorno il P. Gianfranco Taliasacchi Cappuccino di Castel S. Pietro finì santamente li suoi giorni nel convento di Bologna, fu relligioso cospicuo in ogni virtu’, fu dotato di santi costumi e di una strepitosa divozione inverso M. V., che al sentirla solo nominare prorompeva in una tenerissima pioggia di lacrime.
Fu caritativo ed umile al segno anco colli piu’ infimi suoi relligiosi ed anco fuori di relligione, pregiavasi sentire da essi li comandi ancor piu bassi della Relligione. Sostenne in essa decorosantemente quelle cariche ed offici che li furono addossati. Fu lettore insigne di S.T., fu guardiano in Ferara ed in Bologna lodevolmente, poi Diffinitore in questa provincia indi Rifinitore gente della Relligione, poi passò Postulatore delle cause di santità.
Ebbe con Mons. Prospero Lambertini, che fu poi Benedetto XIV, amicizia singolare per la sua virtu’, si occupò con esso molto per la santificazione della Beata Cattarina da Bologna. Carico d’anni ritornato a Bologna da Roma con dispiacere de suoi conoscenti, pieno di meriti, dopo una lunga e tormentosa infermità da esso richiesta a Dio e con intrepidezza sofferta e con tolleranza di spirito, morì al suonare dell’Ave Maria nel convento di Bologna mentre si recitava al suo letto le litanie di M. V. e nel pronunciarsi S. Maria, ripetendo ancor esso tali parole colla massima sua tenerezza ed umiltà, piangendo, spirò l’anima in braccio al Signore.
Il suo cadavere stette inumato dal sabato in cui spirò sino al lunedì sera sempre bello, odoroso e flessibile dopo tanta infirmità, indizi sicuri di eterna gloria.
Giunta tale notizia entro la città di Bologna fu vi molto di concorso a rimirarlo, et amirarlo così bello, ed a dolersi della perdita d’un tanto uomo. Il moderno necrologio cappuccino segna così l’Obito suo: 1731 die 11 februari Bononie. R. P. Franciscus Sac. Provincialis Capucin. exdiffinitor gentis a Cas. S. P.ri, Prudentia, Zelo, ceteris.Virtutibus clarus obiit.
P. Paolo Mattioli Capuccino di questo Castello, piu volte guardiano in patria e coevo de med. P. Taliasacchi riferisce, nel suo M M. S.S. lasciatoci, che la sua morte accadde li 10 febraro combinando nel resto col necrologio sudd. et ebbe nel cemetero di Bologna la sepoltura appartata.
Soggiunge in fine che il di lui capo furtivamente fu portato a Roma all’occasione della successiva venuta del Generale dell’Ordine in Bologna, il quale fra non molto passò a Roma ove per la divozione ed opinione di santità che avea in quella Dominante per lungo tempo da esso abitata con esemplarissima vita, ricevuti avendo dal Sign. Iddio moltissimi doni, ne fosse in essa la maggior reliquia di sua persona.
Nelli elogi da noi scritti intorno alla vita delli uomini e donne illustri per opinione di santità di Castel S. Pietro ne abbiamo fatto maggior menzione, ed ivi riportato monumento latino comunicatoci dal d. P. Paolo piu energico e diffuso del sud..
Nel seguente marzo di martedì all’ore 12 italiane morì all’improviso in Roma il Card. Giacomo Arcivescovo Boncompagni di Bologna, dopo aver retto la sua diocesi per il corso di anni 40. Codesta inaspettata morte fu la sorte della Compagnia di S. Cattarina di Castel S. Pietro, mentre il med. arcivescovo aveva presso il novo Pontefice e Congregazione del Concilio intavolata la soppressione di quella, stanti le vicende passate e le recenti mosse contro il novo arciprete Bertuzzi, il quale vedendosi abbandonato da un si valido sostegno, convenne al med. prestarsi ad una Capitolazione di dieci articoli che furono stipulati li 27 del seguente aprile a rogito di ser Nicola Antonio Colli Notaio di Bologna.
Primo: che l’estrazione delli officiali della Compagnia si facesse senza intervento del paroco ma col solo capellano della compagnia.
II: di poter tenere un confessionale amovibile nella chiesa della Compagnia per confessare, eccettuati però li giorni abbasso descritti sotto il Capitolo della Esposizione.
III: Che il loro capellano possa benedire confratelli e sorelle in occasione di loro accettazione e non altrimenti e così benedire (….) e candele per li confratelli, senza intervento del paroco e senza processione e ciò nel solo loro oratorio.
IV: La pubblicazione delle indulgenze riguardanti però solamente li confratelli e consorelle da farsi dal loro capellano.
V: La facoltà di eriggere un’altra campana picola nella loro chiesa.
VI: Che si possa cantar messa si de vivi che de morti senza intervento del paroco in d. loro chiesa eccetto però la messa solenne o meno solenne nel giorno di S. Cattarina titolare, che resta risservata al paroco con li primi e secondi vespri sotto la elemosina doppia.
VII: Che dal loro capellano si posino esporre in d. chiesa le Reliquie e dare la benedizione colle med.
VIII: Che si possa fare in d. chiesa la esposizione colla S. Pisside e dare la benedizione senza intervento del paroco, ed anco di lavori, in caso però di loro occorrenza e salvi li giorni di ogni prima domenica del mese, domenica di Pasqua di Ressurezione, giorno dell’Assunta, del Corpus D., il giorno di Natale, la domenica in Albis, il giorno della Circoncisione, la domenica delle Rogazioni, giorno dell’Ascensione, Natività di M.V., come pure non debbasi fare la esposizione in quassivoglia altro giorno in cui occorresse alla parochia esporre la matina il venerabile per qualche infermo o per altra ocasione ne sia lecito alli med. tenere esposto il tabernacolo se non nei giorni sudd. in cui è loro concessa d. esposizione e purchè le funzioni siano terminate mezora avvanti le funzioni parocchiali.
IX: Per tale concessione la Compagnia debba corrispondere all’arciprete una annua recognizione di cera in candele che non siano meno di importo di lire venti da pagarsi al med. il giorno di S. Cattarina V. e M.
X: In caso di contravenzione finalmente alli patti accennati fosse lecito alle parti redire ad primera jura. Con dichiarazione che l’altre cose non contenute ne sudd. Capitoli fossero regolate a tenere delle Costituzioni e che fossero confirmati d. Capitoli dall’Ordinario.
Tali Capitolazioni furono stipulate dall’arciprete sud. per una parte e per l’altra della Compagnia dal tenente Francesco Antonio Vanti qd. Pier Andrea e da Antonio qd. Sebastiano Venturoli, mandatari del Corporale della Compagnia ad stipulandum et siglandum, dal Rogito del Notaio Giacomo Maria Bertuzzi, sotto il di 26 corrente aprile.
Erano allora confratelli Giovanni Varani Priore, Pietro Alberici secondo compagno, Pietro Gordini decano, D. Giambattista Ronchi, Tiburzio Battisti, Domenico Cervellati, Antonio Tracondani, Francesco Maria Simbani, Domenico Maria Molinari, Giuseppe Alberici, Domenico Giorgi, Cristoforo Giorgi, Pietro Trocchi, Francesco Maria Tomba, Antonio Maria Costa, Alessandro Sarti, Domenico Bentivogli, Carlo Ronchi, Giuseppe Vanti, Antonio Maria Andrini, Giacomo Maria Tomba, Carl’Antonio Varani, Giovanni Quartieri, Giacomo Antonio Beltramelli e Pier Antonio Tomba, che intervenero tutti al Mandato.
Adi 30 aprile Monsig. Prospero Lambertini bolognese fu preconizato nel Concistoro per novo arcivescovo di Bologna e li 10 maggio ne prese per esso il possesso del vescovato Monsig. Archinto vice legato solenemente.
Cominciò questo tempo a farsi sentire il male ne bovini, per il quale ne morivano molti, onde scopertosi essere una piccola vessica che le veniva in bocca se la provide tostamente e fu detto: cancro volante.
La seliciata interna la chiesa di S. Francesco trovandosi per la sua antichità e poca curanza in pessimo stato, li frati locali del paese ricorsero alla Communità per averne aiuto nel ristoramento. La med. vi contribuì per elemosina Lire cento.
Li pubblici rappresentanti, perchè di rado potevano fare numero, stanteche parte di essi soggiornava fuori di patria, parte era di età avvanzata e parte morti, onde, per prevedere a questo inconveniente e che ciascuno portasse il suo peso, si pensò venire ad una elezione di novi consilieri, però attesa la rinuncia di Giuseppe Ronchi, fu in sua vece sostituito il Tenente Francesco Antonio Vanti, per Ottaviano Benetti morto fu sostituito Antonio Benetti suo filio.
Mancava a compiere il dodicesimo posto che era di Alessandro Fabbri, divenuto segretario del Senato, perciò la Comunità scrisse ad esso affinchè rinonciasse il suo posto mentre non abitava in paese e tale rinoncia la facesse a Flaminio di lui fratello minore, ricusò il med. imediatamente, onde fu poi convenuto che Flaminio intervenisse ai Consili come coadiutore a queste condizioni,
Primo: Che nella imbustazione di Consolo vi fosse il nome di Alesandro, non di Flaminio.
Secondo: Che abbisognando soscrivere qualche altro comunitativo in sua vece si sostoscrivesse Flaminio col nome di Alessandro.
3°: Che venendo esso Alessandro in paese intervenisse esso ai Comizi comunitativi e non potesse in tale contingenza intervenire Flaminio.
Ciò concordato fu completo il numero del Consilio nel di 24 maggio. Così il corporale della Comunità era formato dalli seguenti soggetti: Girolamo dalle Vache Consolo, Capit. Valerio Fabri. Giacomo Landi, Giovan Battista Dalla Valle, Giuseppe Rinaldi, Giacomo Bertuzzi, Giulio Alberici, Pietro Gordini, Antonio Benetti, Tenente Francesco Antonio Vanti, Flaminio Fabbri per Alessandro e Francesco Mondini per il defunto suo padre Giuseppe. Ciò fatto si procedette alla nova imborsazione, essendo terminata l’altra.
Li 4 giugno venne a Bologna per la parte di Romagna il novo Arcivescovo Card. Lambertini il quale fu ossequiato dal clero nostro di Castel S. Pietro che l’attendeva al passaggio presso l’osteria del Portone. Li 5 d. mese di giugno Remigia Francesca fu Carl’Antonio Graffi si collocò con Francesco di Pier Antonio Cavazza mio padre.
Li 24 d. fu estratto dalla nova imborsazione de Consoli Alessandro Fabbri, che nel di 4 lulio venne in patria a farsi riconoscere dal consilio per capo, tenendovi anco presente Flaminio come coadiutore e fu accolto con sommo piacere da tutti. Fu Podestà Antonio Lorenzo Caval. Sangiorgi.
La chiesa di S. Pietro in questo Borgo era ridotta in così pessimo stato, che non piu chiesa ma spelonca potevasi chiamare. Il Canonico Carlo Antonio Villa, patriotto ed emfiteuta di alquanti terreni sottomessi a d. chiesa, fatto ricorso al Card. Calicola abbate comandatario nella Abbazia di S. Stefano, ottenne di farla accomodare, mise mano all’opera, ed eseguito il ristoro in modo che si potesse celebrare come in ora, vi appose internamente sopra la porta la seguente iscrizione a lettere romane:
D. O. M.
Aedem hanc
Divo Apostolus Principi Petro dicatam
unde Castri nomen, vetustate collabentem
Firmitati ac decori restituit
Carolus Antonius Maria Villa
S. Theologiae Doctor coleggiatus
S. Petroni perinsignis Basilica
Canonicus
Qui
Ab E.mo D.no Cardinali Caligola
Bonorum Emphiteuticorum Concessione
Nisi, Negotibusq. ad III, Generation. obtenta
VII Juni anno D. 1729 Rogit D. Jo. Petroni
Giacobbi Not. Lapidem posuit A. 1731
Adi 8 settembre giorno della natività di M. V. vennero in Castel S. Pietro le missioni dei Padri Gesuiti, capo dei quali era il P. Luigi Cagliari. Durarono quindici giorni e furono di molto profitto.
La Accademia Litteraria, solita farsi nella chiesa di questi P.P. MM. OO. di S. Francesco il giorno dell’Imacolata Concezione, essendo stata fino a questo tempo da qualche anno sospesa e che porta il titolo “Delli Immaturi”, fu ripristinata dal P. regente Nicola Quaderni Agostiniano, chiaro poeta a suoi giorni.
Fece egli la orazione e doppo un bellissima canzone, vi intervennero a questa li paesani eruditi, che a questa epoca se ne contavano non pochi e capaci di poetare e furono Alessandro Fabbri, che figurò da principe, D. Giacinto Rinaldi. D. Pietro Giorgi, D. Gregorio Conti, D. Giovan Battista Vanti, Francesco Mondini, Francesco Cavazza, Gian Tomaso Nespoli ed altri, oltre li relligiosi regolari e così terminò l’anno quietamenteper quanto abbiamo riscontrato da MM. SS. e diari del paese.

( 1732) Il primo genaro 1732 entrò Consolo Giuseppe Rinaldii e Podestà il Conte Giuseppe Spada.
Li 6 d., giorno della Epifania, le riclute e rimonte di sua Maestà cesarea, consistenti in 490 uomini fra ufficiali e fanti cioè 250 cavalli ed il resto fanti, vennero dalla parte di Bologna a Castel S. Pietro dove pernottarono e la matina seguente andarono ad Imola, ove furono accompagnati con cinque carra dei nostri villani per il trasporto del bagaglio, dovendo avere tre paia bovi per ogni carro a quali si diede per ogni carro fino ad Imola la paga di tre paoli.
Venne in visita il Magistrato de Tribuno della Plebe ed Arti di Bologna. Li Mazzieri secondo il loro consueto di far catture a forza di cavilli, pretesero di sottomettere alla obedienza dell’Arti di Bologna li gargiolari per mancanza de bandi riguardanti la med.
La Comunità attenta a mantenere li Privilegi del Paese, comparì li 19 corrente nel Magistrato ed in virtù della sentenza del 1636 ottenuta dalli Anziani e Confaloniere fece esimere colla lettura li gravati paesani.
Bramoso Pier Antonio Cavazza fabbricarsi un comodo vicino alla propria casa, sopra il terrapieno interno del Castello alla destra dell’ingresso maggiore, chiese alla Comunità, nel di 9 marzo, la facoltà di potere occupare piedi 37 1/2 di suolo in lunghezza 12 1/2 in larghezza, adesivamente alle mura del Castello, offerendosi pagare alla stessa Comunità il prezzo di lire 54. Fu negativa la Comunità per non impoverire la strada nella sua bella larghezza.
Nel seguente aprile li pubblici rappresentanti fecero coprire a proprie spese l’ingresso maggiore della porta inferiore del Castello come si richiese, ma indarno, dall’Assunteria e si prevalsero delli emolumenti che toccavano a ciascun Consolo allorchè veniva estratto nel suo officio senza gravare alcuno.
La spesa ammontò a sc. 400, ma come che questo ingresso era confinante col Conte Cesare Malvasia, padrone della casa e torre vicina, l’amministratore del med. si oppose al lavoro pretendendo che il muro dalla parte di levante fosse tutto della casa Malvasia, ma fatto constare l’abbaglio, furono composte tutte le diferenze quindi fu terminato il lavoro.
Facendosi sentire il male nei bovini fortemente nel bolognese si facevano per ciò in ogni loco orazioni. In Castel S. Pietro si fece un solenne triduo a M. V. del Rosario, il giorno di oggi 6 maggio fu compito con una solamente processione per tutto l’abitato colla S. Imagine alla quale intervenne il Corpo Comunicativo, le tre fraterie, la Compagnia del Rosario, tutto il clero, escluse le altre due compagnie di S. Cattarina e del SS.mo a motivo delle liti, che fra loro vertivano per le preminenze, infine si diede la benedizione nella pubblica piazza.
Per diffesa di tal morbo l’Assunteria di Sanità di Bologna, spedì alla Comunità la ricetta del medicamento che dovevasi usare, questo male veniva anco dalla natura della bestia. Il medicamento fu di bene, espurgava la bestia infatti ove aveva il male, col lavarle la marcia della vessica bagnandola con aceto forte entro cui fosse stato infuso aglio e sale comune, così fregando con tale ruida la lingua e la natura ove fosse stata attaccata, la bestia si rissanava perfettamente.
Perchè poi li macellari non sbancassero carni di tali bestie infette, ordinò il Legato per suo Bando, che dovessero in pria di essere macellate visitarsi dalli Consoli ed altro compagno locato del paese e dappoi contrassegnata la bestia, macellarlo presenti li med. deputati.
Essendo venuto in discordia il novo arciprete colla compagnia del SS.mo a motivo principalmente della nova cappazione del Rosario, colli di cui confratelli faceva tutte le funzioni che poteva, ne naquero quindi amarezza tali che la chieresia, ed esso non voleva andare alle funzioni delle rogazioni di M. SS. di Poggio, che incominciarono li 18 maggio in domenica.
Così tutti li altri giorni sucessivi 19, 20, 21 anziché, insolentivano li chierici D. Omobono Serantoni, D. Giuseppe Fantaguzzi e D. Luca Gordini a segno tale che, quando si cantava in musica il vespro e l’oratorio il doppo pranzo la sera per la S. Imagine nell’oratorio della stessa Compagnia avvanti la S. Imagine, che in quello ressiedeva giornalmente dopo le processioni, andavano li d. chierici ad alcune finestre del cortile dell’arciprete, che riguardavano li due fenestroni dell’oratorio vechio del SS.mo situato contiguamente alla canonica, nel quale si facevano tutte le funzioni della compagnia e ivi, facendo atti bufoneschi e motteggi, controllavano li musici e cantanti facendo li atti stessi che questi facevano e ponevano in ridicolo li funzionari ancora, onde non potevano le persone se non che ridere.
Stomacati da tali quotidiane impertinenze, li confratelli uniti alquanti la sera ultima del mercoldì 21 maggio fecero un aguato ai chierici sudd. per vendicarsi. Difatti nell’andarsene a casa dalla scuola avuta dall’arciprete, essendo verso le tre di notte D. Luca Gordini, quando fu in faccia alla piazza del Castello, fu malamente bastonato, al primo colpo le fu data una bastonata nella lanterna che portava in mano indi fu dato un altro colpo mortale sul capo che lo lasciò semivivo. Li altri due compagni Serantoni e Fantaguzzi andarono esenti perchè avevano tenuta altra strada, ne si potette scoprire l’autore. Fu supposto Giuseppe Beltramelli uno de confratelli del SS.mo. Fu infrattanto portato a casa il Gordini come morto. ne andarono le relazioni al Tribunale.
In questo frattempo li uomini di Poggio, sollecitati dal Marchese Teodoro De Buoi, fecero un ricorso contro la Comunità di Castel S. Pietro al Senato per sottrarsi dalla soggezione della med. Portavano per ragione li aggravi troppo grandi nel Libro Camerale e molto più si rissentivano dell’annuo aggravio di sc. 650 fra le paghe del chirurgo, medico e maestro di scuola, delle quali asserivano potersene difficilmente prevalere per la distanza del Castello ove ressiedevano questi Ministri alla loro villa.
Aggiungevano ancora esse gravati per il riparto della spesa, che si facevano quando occorevano Cavalcate per malefici, che ordinariamente accadevano per cagione del mercato, onde il Senato rimise la petizione all’Assunteria di Governo. Il 15 giugno fu spedito il ricorso alla Comunità acciò si difendesse. Prese la med. in considerazione le accuse ed in appresso le diede la conveniente risposta che a suo loco riferiremo.
In frattanto sortì Consolo Francesco Maria Gordini. Chi fosse Podestà si ignora per lo smarimento delle carte nell’archivio. Incaricato per tanto il novo Consolo di rispondere alle accuse di Poggio, questi unitamente al segretario Alessandro Fabbri si prepararono e poscia fecero chiamare li Deputati di Poggio avvanti l’Assunteria di Governo, dove tenutosi il 3 lulio un contraditorio fra le parti fu decretato dalla med. Assunteria che stante le ragioni addotte dalla Comunità di Castel S. Pietro non vi era loco ad alcuna novazione e così fu chiusa la bocca alli insorgenti.
Alla fine di questo mese di lulio venne a Castel S. Pietro la cavalcata del Torrone per le bastonate date al chierico D, Luca Gordini e doppo tre giorni furono carcerati Bartolomeo Avvosardi, parente del Beltramelli, Carlo Bagni e Bartolomeo Lasi detto “Mazalotti”, tutti confratelli della Compagnia del SS.mo.
A questa cavalcata si unì anco il tribunale del vescovato, che spedì ancor esso in loco il suo Notaio coll’auditore Almerighi, uomo perfidissimo, onde li birri dell’uno e dell’altro Foro formavano un corpo di 22 armati.
Durò 15 giorni la cavalcata, terminata questa li 16 agosto, furono citati a Bologna D. Pietro Giorgi capellano della Compagnia, D. Giovanni Tomba e D. Benedetto Fiegna, tutti confratelli del SS.mo, ivi arrivati ebbero la (pena) per carcere alquanto tempo.
Finalmente al terminare di agosto si costituì prigione il d. Giuseppe Beltramelli nel Torone, ove stato sei giorni e diffesosi bravamente, sortì impune. Rimaneva soltanto il sospetto sopra altri soggetti indiziati per li loro discorsi fatti col d. Beltramelli fra quali D. Domenico Lugatti e Sebastiano suo fratello, Carlo Lazaro Andrini e Giovanni Fiegna, li quali, il vescovato non avendoli potuto avere nelle mani, furono censurati, onde li 3 settembre alle ore 10 circa italiane della mattina, arrivati li birri del vescovato affissarono le cedole ai luoghi soliti e pubblici si del Castello, che Borgo contro li sudd., acciò si diffendessero dalle scomuniche nelle quali si pretendevano incorsi. Ottenuto il salvo condotto si diffesero bravamente.
Alli 14 settembre di notte tempo si alzò un vento grandissimo, al quale seguendo una tempesta e dirotta pioggia fra fulmini ,tuoni e lampi scoppiò una saetta sopra la torre del Castello, la qual,e dalla parte del meridio, le portò via tutti li merli e la cima della torretta esistente sopra la volta reale in mezo la d. torre.
Si internò la saetta entro una canna da camino dell’abitazione vicina, che poi passando al congiunto fenile si perdette senza fare altro male, oltragio nè incendio. Bensì lasciò un fetore tale che convenne all’inquilino della torre e suo casamento abbandonare l’abitazione.
Patirono la casa di Pier Antonio Cavazza ed il palazzo del senatore Malvezzi, per essere sottoposti l’una e l’altra alla ruina de merli. Non durò molto il proprietario Malvasia della torre a provedervi, iperciochè levati via tutti li altri merli che vi erano rimasti e che formavano corona alla torre ed una bellissima vista, fu coperta a tegole e coppi e ristorata la cima come ora si vede e fu compiuto il lavoro li 28 settembre.
In questo tempo pure li Gesuiti proprietari delle case Morelli, essendo loro facitore in questo paese certo P. Ignazio Fracanzani di nazione veneta e ricco di suo, fece fabbricare molti camini ed abitazioni per poveri inquilini lungo la mura del Castello dalla parte di ponente.
Li 14 ottobre giorno di martedì per la prima volta venne in Castello da Bologna il Card. Prospero Lambertini Arcivescovo di quella città a fare la sua visita pastorale. Cominciò egli la cresima il giorno seguente 15 ottobre nella parocchiale, poi visitò li altari nella med., sospese in quella li altari della B. V. del Bongesu’ e quello di S. Lucia Juspatronale una volta dei Morelli per essere sottoposti alle due finestre laterali della capella maggiore, il primo era detta Casa del Gesù, che fu poi trasferita lateralmente nella stessa capellina in cornu Epistola dell’altar maggiore, come si vide, a motivo della infinità di miracoli che Dio operava per mezo della sua S. Madre dipinta ivi in muro.
A questo altare fu anticamente eretta la Compagnia del Bongesù, che fu poi incorporata, come si scrisse in addietro in quella del SS.mo SS.to, onde p.ciò la Compagnia del SS.mo manteneva questo altare del proprio lunghissimo tempo fino a che fu rinonciato alla nobile familia de marchesi Locatelli.
L’altare di S. Lucia, che in cornu Evangeli in simile capellina, non fu piu reidificato da gesuiti per risparmio della manutenzione, della messa seguentele per obbligo.
Il sabato seguente 18 ottobre replicò la cresima, così fece anco la domenica seguente, passò poi alle altre chiese del Castello e del vicariato. Terminò questa sua visita il venerdì seguente 24 ottobre e partì per Bologna circa alle ore sedici della mattina lasciando il paese molto consolato, alla di cui povertà lasciò lire cento per elemosina.
Al terminare dell’anno cioè alli 27 dicembre finì li suoi giorni in patria, nel convento suo di questi PP. MM. Osservanti di S. Francesco, il R.mo P. Francesco Niale, lettore giubilato e deffinitore provinciale, fu nipote del R.mo Nicoli, Ministro generale dell’ordine parimenti di Castel S. Pietro. Il Mortologio francescano nazionale così lo segna: Adi 27 X.bri 1732, in conventu C. S. P.ri admod. R. P. Francus Nicolaus di C. S. P.ri , Ivi Lect. intitulatus et diffinitor provincialis obiit patriae.

(1733) L’anno sucessivo 1733 entrò Consolo Antonio Benetti e fu Podestà il Conte Giuseppe Maria di Ipolito Grati.
Il novo arciprete Bertuzzi, non degenerando dallo stile de parochi, che sogliono per lo più angustiare il gregge fino al punto che si rissente, col pensò, per fare dispetto alla Compagnia cappata del SS.mo, di introdurre una nova Compagnia del Sacramento cognominandola Compagnia Santa.
A questo effetto il primo giorno dell’anno fece una estrazione di ufficiali a suo talento e cavò per il primo ufficiale da una borsa Domenico Maria Serantoni, a cui diede il nome di Rettore, poi un altro che fu Francesco Tomba, le diede il nome di Priore, vi aggiunse anco una donna col nome di Prioressa e fu Madalena Dalfiume.
Venuta la prima domenica del mese volle mettere in possesso questa nova ufficialità col darle nelle processioni del SS.mo quel posto che aveva esso ideato, cioè a canto del Baldachino, alla destra il Rettore ed alla sinistra il Priore estratti, ma la pioggia ed il cattivo tempo impedì il fatto.
Venuta la seconda domenica dell’anno, è nevosa, non si fece neppure la funzione perchè li confratelli delle compagnie cappate, e strette, non permisero questa novità, intendendo essi avere il primo posto, sichè restò senza effetto la premeditata funzione.
La stagione era così instabile che ora calda ora fredda si faceva sentire, onde cagionò infiniti raffredori e mali di petto, che portarono molti al sepolcro e niuno del paese, secondo ci lasciò scritto Domenico Gordini, andò esente da questi malori che si propagarono fino in Bologna, producendo tossi cosi aride, che a spettorarle sembrava che alle creature si aprisse il petto, che p. ciò detta fu tosse canina, al cui remedio si prestavano olj di mandorle dolci e giuleggi.
Nel seguente febrajo fu p.ciò pubblicato indulto di ova e burro, eccettuato le quattrotempora.
Li 7 marzo morì Giacomo Cavazza nel Borgo in casa Landi; fu fratello di mio nonno, la sua casa primiera era quella ove ora abitano li fratelli Andrini presso al Ghetto, non ebbe alcuna sucessione.
Domenica Marabini moglie di …… partorì quattro filioli in un sol parto, cioè due maschi e due femine, ma tutti mostruosi, si che i maschi erano congiunti assieme ed avevano un solo capo, tutti li altri membri erano duplicati, così le femine, che ancor esse avevano un sol capo ed un sol corpo, ma tutti li altri membri duplicati, onde furono battezati in casa e poi morirono ed indi trasportati alla chiesa. Leggesi ciò nel libro matric.
La Compagnia Larga del SS.mo, che voleva introdursi dall’ arciprete, perchè era al solo oggetto di contrastare l’altra cappata ossia far danaro, fu sospesa per ordine dell’Arcivescovo Lambertini, che bene rillevò il tutto e poi anco per chè fosse ricondotto, secondo le Costituzioni apostoliche di Paolo III ed altri, che non si poteva in una stessa parochia eriggere più compagnie sotto lo stesso titolo ed invocazione.
Adi 28 aprile giovedì venne a Castel S. Pietro di Bologna il Generale de Cappuccini P. Hartamano della città di Bressenon tirolese tedesco, fu accompagnato quivi da due mute a sei cavalli, l’una della casa Ranacci in una delle quali eravi il Conte Rupiolo col prete del Senatore Conte Marc’ Antonio Ranucci, pernotò quivi la seguente notte poi partì alla volta di Imola.
Nel tempo della sua picola dimora quivi fu ossequiato da confratelli di S. Cattarina in cappa, ramemorando la fratellanza avuta colla Relligione fin dalla fondazione di questo convento, avendo la compagnia dati li primi offici ai frati, di dove poi esso generale le corispose con segni di particolare gratitudine e le confirmò la fratellanza abilitando la compagnia a tutti li beni spirituali ed alla partecipazione delle indulgenze concesse all’Instituto cappuccino.
Nel maggio seguente fu terminato il novo fabbricato del Fracanzani gesuita.
Fatto Generale de Capuccini P. Bonaventura Barberini, che fu poi fatto arcivescovo di Ferrara, replicò la fratellanza alli uomini della d. compagnia.
Li 11 maggio, quantunque tempo piovoso essendo il sabbato, la compagnia del SS.mo SS.to andò a levare la S. Imagine di Poggio p. le Rogazioni, le quali furono assai bagnate per li continui scrosci d’aqua interpolatamente fra la giornata.
Li 14 d. poi, giorno della Ascensione, ne si diede al popolo solamente la benedizione colla S. Imagine entro la parochiale a motivo della pioggia e dappoi fu portata nel suo oratorio, ristette fino il martedì sucessivo che fu il 19 maggio, nel quale giorno fu portata alla sua residenza.
Nella Capella del Rosario, avendo la Compagnia nova ottenuto un legato di piu di annue 20 messe del fu Carl’Antonio Graffi di Castel S. Pietro mio avo materno; la med Compagnia si fece descrivere nella parete interna, presso la sua sacrestia , sotto la finestra la seguente memoria, la quale, per la nova fabbrica di un andito corrispondente nella sagrestia de preti, fu cassata, con partecipazione del Dott. D. Ercole e Cap. Lorenzo Graffi, con animo poi di riporla, in marmo o in altra materia incisa, da un canto dell’altare di S. Rosa Limana e S. Francesco di Paola e dall’altro canto la memoria del Beneficio Semplice da med. fratelli eretto al d. altare al qual effetto il med. Capitano fece fare l’incastro nel muro lateralmente all’altare med. come ora si vede, e, p. chè non resti in oblivione, l’iscrizione accennata ne portiamo quivi la copia escriplata da quella:
D. O. M. ac B. V. M.
sit Onor et Gloria
Carolo Antonio Graffio de Castro S. Petri
Guod. Legatum Perpetuum XX Missar.
celebrand. Diebus privilegiatis ad Aram
B. V. SS.mi Rosari C.S.P.
In supremo eius elogio sanciverit
Kal X.bris 1719 ex Notis publicis
Ser Alexani Fabbri
Sodalitium ipsum et sumet cognito legatus
super partem Denius
ut ex Tab. Ser Jacobi Bertuzzi Not.
Pridie nonas Maj MDCCXXXIII
M ———- P.
Adi primo lulio 1733 intraprese il suo ministero di Consolo per il secondo semestre Francesco Antonio Vanti , fu Podestà Fabbio Celio Melchiorre di Francesco Giavarini.
Sotto il governo di questi due capi non abbiamo altro di memoria particolare che la morte del P. Reggente Agostino Nicola Aquaderni priore di questo convento di S. Bartolomeo di C. S. Pietro; fu universalmente spiacciuta per esser stato uomo dotato di singulari virtudi, amato da tutti, bravo oratore ed ottimo poeta, le di cui composizioni sono pregiate, noi ne abbiamo raccolte, ma poca è stata la messe, p. chè li frati suoi coetanei se ne sono fatti belli e portati via.
Quello che noi abbiamo sono un dramma sacro titolato: La Strage, che fu rappresentato la prima volta l’anno 1730 nella chiesa di S. Bartolomeo dramma (su) la vita e la morte, alquanti brindisi carneschi, sonetti sacri e canzoni, alcune improvisate su lo stile anacreontico, nelle quali era lepidissimo, quanto graziosissimo; ebbe varie differenze col segretario Fabbri Alessandro del quale ne abbiamo una composta MM. S.. Fu familiarissimo del cardinale Ulisse Gozzadini vescovo d’Imola, la sua morte accadde li 15 lulio corente in questo suo monastero.
Li 14 settembre giorno della esaltazione di S. Croce si sentì fortemente una scossa di terremoto, la quale però non fece danno.
Li 29 d. trovandosi la porta del Castello inferiormente, fuori del suo centro e minaciava pericolo, fu perciò totalmente levata la feraglia e non ritornò al suo posto se non fino all’arrivo delle truppe ispane e germaniche nel 1743.
Li frati di S. Francesco non mancarono di chiedere questa ferraglia p. addattarla al loro portone, la Comunità fu negativa e si compensò con elemosine.
Fu licenziato il Card. Legato di Bologna.
Li 16 settembre fu accomodato il ponte al Rio Rosso nella via romana dalla parte verso Imola, con un lungo muraglione per sostenere la strada che veniva minacciata dal corso dell’aque e dalla parte di levante vi furono fatte tre chiuse o siano scaglioni di pietro e calce p. sostenere anco da questo punto le tracimazioni che facevano le aque che si imboccavano il d. Rio. Fu l’autore di questo lavoro Giovanni Guartieri di C. S. Pietro e la spesa ammontò a sc. 600, che fu addossata alla cassa pubblica p. un riparto.

(1734) L’anno 1734 il dì primo genaro entrò Consolo Pietro Gordini e Podestà Luigi di Battista Graffi.
Li 6 d. giorno dell’Epifania giunse a Castel S. Pietro L’E.mo Girolamo Spinola del titolo di S. Cesareo, novo legato di Bologna che fu poi detto: Spinolone p. il suo bel governo. Fu uncontrato a nostri confini dalli Senatori Conte Lodovico Rabbi e Filippo Aldrovandi, ambasciatori p. il Senato con molti nobili e cavalleggieri, fu indi introdotto in Castello in casa Malvezzi ove fu banchettato a spese pubbliche. partì la sera p. Bologna accompagnato dalli suddetti.
Li 24 d. vennero le Missioni nuovamente del Sig. Lavagni p. nome D. Giovanni Andrea. Predicò con tanta efficacia e spirito che ne ricavò non poco profitto massime per introdurre la pace fra le familie, che si era perduta a motivo della discordia per le compagnie.
Li 20 del med. mese doppo avere fatta una predica con sommo fervore sopra la carità al prossimo, invitò li ascoltanti ad una abbondante elemosina all’effetto di eriggere un ospitale per li miserabili infermi, che morivano senza alcun sussidio temporale per la cassa del paese. Fu copiosa la raccolta che diede molto di speranza tanto al med. missionario che alla popolazione.
Invitò il di seguente le persone tutte del paese nel palazzo Malvasia, ove abitava, ad una Congregazione sopra ciò e specialmente invitò la Comunità a raddunarsi ivi p. concludervi qualche cosa. Vi aderì, ad essa si aggiunsero ancora tanti benestanti e elimosinieri al numero di settantaquattro, del popolo n. 101, che gareggiando fra di loro si aumentarono le offerte, colle tasse ed elemosine si formò un cumulo di lire tremilla, conforme ci lasciò scritto nella sua memoria Domenico Gordini ed Amadesi.
Vi si aggiunse il Corpo Comunicativo, il quale contribuì col suolo onde fabbricarvi l’ospitale. Consultato l’affare, restò concluso che dovendosi eriggere questo per li soli infermi della parochia, Borgo e Castello colle elemosine ricavate nelle correnti Missioni, si facessero prima li Statuti e regole da osservarsi dalla unione o sia Congregazione da erigersi contemporaneamente p. il governo temporale del med. ospitale che doveva portare il titolo e nome dell’Ospitale della Carità, appoggiato alla protezione delli B. Vincenzo de Paolis fondatore dell’Instituto delle Missioni e di S. Francesco di Paola protettore e patriarca della Carità.
Terminate le missioni il dì 2 febbrajo colla S. Benedizione, pagate furono dunquemente.
Formati alcuni Capitoli alla nova congregazione, ne quali restò determinato che dovessero sempre essere otto regolatori tra i quali L’arciprete e Console della Comunità pro tempore. Si aggiunsero a ciò altre regole che poi furono approvate dal Vicario generale vescovile di Bologna.
Stava solo da approvare il luogo ove formarsi l’edificio; fu proposta la piccola piazza di suolo pubblico spettante alla Comunità fuori di porta Montanara del Castello ed in faccia alla med. nel bivio di strade che portano una al convento de cappuccini e l’altra al Silaro e fontana.
La Comunità senza minimo ostacolo aderì, sempreche il senato di Bologna lo accordasse; l’arciprete p. ciò ne fece petizione dove, interpellata la comunità p. l’assenso, si prestò prontamente e nel 21 febraro spedì il Senato l’architetto publico Luigi Dotti e prese le misure per una lunghezza di piedi 40 e larghezza 30, formò il suo dissegno e fu presentato al Senato il quale, in seguito del voto comunitativo favorevole decretò il 27 febraro la licenza come siegue: “pres. conscripti permesserunt doctori Jo. Battis. Anghel. Graffis nec ad assunptis, fabrece de qua infra ut ad edificandum Nosocomium q.ti Castri et eius Comunitatis egrotantibus pedes 70 longum et 30 in latum de solo publico eiusdem plates extra portas quam sunt “di sopra”, eiusdem Castri subere occupare valeant / non obstantibus. ( Arch. Communità).
Ciò ottenutosi si cominciarono ad escavare li fondamenti il giorno 15 marzo, nel med. tempo li gesuiti di Bologna cominciarono la fabbrica di un grandioso casamento nella piazza del Castello conseguentemente alle case della eredità Morelli come si vede, alla qual fabbrica assisteva F. Ignazio Fracanzani. Doveva questa eseguirsi p. tutta la lunghezza dell’altro fabbricato Morelli nella stessa stessa semetria secondo il dissegno del lodato Luigi Dotti, col lasciarvi però nel mezzo al fabbricato, che corrispondeva appunto nel mezzo della piazza d’avvanti e posterioriormente all’antica porta della Rocca, un maestoso arco.
L’idea era di introdurre quivi nel tempo estivo della villeggiatura dei convitori del Colegio de Nobili di Bologna, da una parte e dall’altra le abitazioni dei collegiali di S. Luigi della città med. Ma p. chè l’invidia regna piu di ogni altro luogo fra li frati e sono sempre presi di mira quelli che hanno più abilità delli altri e sostanze onde avere li intenti siano buoni, siano cattivi, così fu preso di mira il Fracanzani ed appena terminata la sudd. parte di fabbrica, fu revocata da questa agenzia di Castel S. Pietro e restò sospeso il resto.
Per le passate missioni e per le tante funzioni fattesi, essendosi battuta disordinatamente le campane pubbliche nel campanile presso la parochia, si ruppe per ciò la campana mezana, onde convenne rifarla. Ciò si eseguì prontamente in Imola.
Li 2 aprile giorno dedicato al Patriarca S. Francesco di Paola e di lui onore e gloria come protettore del novo Ospitale delli Infermi, si mise giu la prima pietra nel fondamento dall’arciprete, colla benedizione, nell’angolo primo di facciata verso levante, la seconda nell’angolo opposto di facciata ve la pose il priore delli frati di S. Bartolomeo, P. Antonio Ravaglioli, la terza nell’angolo a levante verso il meridio, la pose il Consolo della Comunità e le altre li due capi di relligione cappuccina e francescana verso ponente colla benedizione.
Domenica Raspadori detta volgarmente : la Pianella, per essere nata nel feudo di Doccia in fondo detto li Pianelli, moglie di Giovanni Bizzi d.: Tocchino, uomo di statura pigmea all’incontro della moglie che era grande, robusta e pingue, partorì quattro fanciulli maschi in un sol parto li quali tutti andarono al S. Fonte.
Avvisato il Senato di questo puerperio donò alla familia lire cinquanta e dippiu vi pagò le fascie per li fanciulli, che morirono tutti in uno stesso giorno, ora e settimana.
Adi 11 maggio in mercoledì, ritornando dalla visita dalla S. Casa di Loreto, l’Arciconfraternita di S. Maria Maddalena di Bologna col suo Croceffisso miracoloso fu con devota processione incontrata in questo Borgo dalla Compagnia del SS.mo con molti lumi, ed indi condotta alla arcipretale dove l’arciprete Bertuzzi colla med. S. Imagine diede la benedizione al popolo numeroso. Stette tutta la notte in questa chiesa e la mattina seguente che fu li 12 cor. maggio partì per Bologna accompagnata fino al Borgo dove diedesi la seconda benedizione.
In questo mentre furono appianati li Capitoli e regole del novo ospitale, che furono in appresso aprovati nel dì 19 giugno da monsig. Giacomo Millo Vic. Gen. di Bologna ed indi stampati per il Longhi.
Questi Capitoli furono moderati ed aggiunti l’anno 1761 nella terza Missione che fece il P. Lavagni accennato e finalmente li 28 giugno rifformati nel 1765 ed approvati da Monsig. Sante Corolupi V. G. e registrati al Lib. delle Erezioni fol. 49 ad fol. 56.
Terminato il presente mese di giugno cominciò il suo governo in lulio il cap. Valerio Fabbri Consolo, che poco amministrosse per la morte sopragiunta nel di cui posto subentrò Giacomo Maria Bertuzzi, Podestà fu Carlo di Francesco Malvasia.
Domenico Campeggi di Castel S. Pietro detto volgarmente: Ballatrone, uomo facinoroso di professione, gargiolaro, avendo avuta questione con Valerio Lercari, che ferì mortalmente, non potendosi comporre per la Cavalcata fattale se non si pagava, ricorse alla Comunità acciò ella l’assolvesse dalla spesa fatta per tale Cavalcata dalla med. e pagate e (considerasse) la sua angustia e de suoi compagni p. li quali era nata una sollevazione di popolo. La Comunità compiacente di un uomo che alle opportunità per il bene della patria si faceva alle opportunità capopolo, lo assolvette colli compagni.
Nel mese di Agosto essendosi cominciata a sentire febbri maligne in modo che al termine di tre e quattro giorni le persone le persone soccombevano e si delli due e tre morti al giorno, quindi crescendo e dilattandosi il male, accadde che in un sol giorno nel seguente settembre perirono sette creature nella via di Saragozza di Sotto in Castello.
Fu tale lo spavento nella contrada non solo, ma anco per tutto il paese, che la Comunità si mosse ad interdire il conversare colli abitanti di quel quartiere e per l’effetto di ciò pose il Massaro in guardia di una parte e dall’altra il ministrale acciò niuno si introducesse e sortisse da quell’abitato. Si diede parte a Bologna alla Assunteria di Sanità, che plaudì la circospezione avuta. Durò per questa Guardia, perchè da protomedici venuti da Bologna fatte le necessarie requisizioni, si riscontrò essere stato un mero accidente le morti accadute che fu piu causata dalla miseria di quella familia che dalla influenza ed in conseguenza furono levate le Guardie. La Comunità per ciò fece ben ripulire quella strada de concimi e feci che ivi si accumulavano da paesani per assicurare vieppiu la comune salute.
Dalli 21 settembre essendo cominciata la piova,durò continuamente fino alla fine dell’anno, onde la sementazione andò male. Molti non potettero seminare ed a molti convenne seminare colle zappe, omettendo li altri instrumenti ed ordigni rurali. Crebbe perciò il prezzo alli generi. Questa pioggia durò e poco e molto, giornalmente fino al venturo aprile.
Li 27 dicembre secondo il consueto si fece l’estrazione del Consolo venturo e fu Giovan Battista Dalla Valle congiunto alli chiari religiosi serviti R.mo P. Giuseppe e R.do P. Luigi de quali se ne è parlato e parlerà secondo il caso.

(1735) Prese adunque il possesso del suo Consolato il d. primo genaro 1735 il d. Dalla Valle e Podestà fu Flaminio Maria di Agostino Solimei.
Essendo angustiata da truppe spagnole, francesi sarde ed alamanne la Italia, si facevano perciò da per tutto orazioni, onde nel dì 27 febbraro, prima domenica di quaresima, la Compagnia di S. Cattarina, anco p. le molte infirmità che regnavano nel paese, per la pace fra principi cristiani belligeranti nelli confini dello stato pontificio tra spagnoli, che erano coll’armata a Parma e li tedeschi a Modena, fece esposizione della insigne reliquia della S. Croce e dappoi una devota processione per il paese.
Nel seguente marzo morì Prospero Gordini comunista, nel di cui posto sucesse il di lui filio Domenico.
Giunto il giorno 4 di aprile finalmente cessò la continua pioggia incominciata li 21 settembre come si disse. Ne essendosi per questo neppure potuto sementare li marzatelli, si accrebbe il prezzo al grano fino a 36 paoli la corba, o siano sc. 18 moneta di Bologna. Il pane era divenuto carissimo, sedici once di bianco valevano 4 bajocchi. La providenza però fu che essendovi truppe alamanne, in guerra contro li spagnoli aquartierati nella Lombardia ed anco nel bolognese, furono quivi importati grani, risi e farine. Per sovvenire poi alla penuria del contado in queste parti, li contrabandieri di Castel Bolognese facevano trasporti dalla Romagna grani e farine in Castel S. Pietro, ma in proporzione del bisogno erano scarsi, perchè la montagna la pianura venivano a provedersi di viveri in questi mercati il lunedì e il venerdì.
Giangiacomo Bolia, o Bolis come si vole, familia milanese radicata da lungo tempo in Castel S. Pietro, la quale teneva li forni pubblici per il mantenimento della popolazione, essendo ben proveduta, mandava anco pane entro Bologna. Per mantenere questa provigione, avendo un filio in Roma, là laureato in Jure e che esercitava la Curia, scritto al med., affine di avere dal Papa e segretario di Stato la facoltà di trasportare grani dalla Romagna nel bolognese, non le fu difficile la grazia, poichè avendo adereza il d. Bolia colla Casa Albani, le fu concessa la tratta di trasportare dalla Romagna grani e biade, onde si fece onore.
Ebbe il med dott. Bolia per moglie una gentile donna romana per nome Donna Bernardina che fu filia naturale di papa Albani. Da questa ebbe tre figlioli due maschi ed una femina, che morirono fanciulli colla madre, non senza sospetto di veleno, poichè per le ragioni della nascita e parentela alta erano una spina nelli ochi alli Albani.
Il loro padre sortì fra non molto la stessa sorte provenuta da una malattia, che lentamente lo distrusse; fu governatore di Castel Gandolfo. Codesta familia Bolia durò a Castel S. Pietro fino al 1780 di dove spatriò, allorchè l’abbate D. Francesco Calderoni, ex gesuita spagnolo suo gran benefattore, partì ed emigrò medesimamente da questo loco ove stava in casa delli d. Bolia a motivo dell’arciprete D. Bartolomeo Calistri e ritirossi in Bologna sotto la parochia di S. Donato colla med. familia, ove anco presentemente nell’anno 1799 esistono colla persona di D. Alessandro poeta, D. Giacomo chierico e di Teresa, poichè Luigi secolare, filio di Giuseppe Claudio nipote del sudd. dott., morì sotto la d. parochia li 19 maggio 1794, lasciata la moglie senza filioli , che era una Caranti nobile imolese.
Prosseguendo a narrare le cose del 1735, portò nel mese di febbraro il R.mo P. Leone da Castel S. Pietro, cappuccino Provinciale, alla compagnia di S. Cattarina una bellissima reliquia del velo di M. V., per la esposizione della quale alla venerazione pubblica si fecero allegrezza e feste essendo Priore Domenico Gordini.
Li 27 d., prima domenica di quaresima la stessa compagnia fece una solenne processione col legno della S. Croce per il paese e Borgo a cui intervenne la nova Compagnia del Rosario, del SS.mo, tutte tre le fraterie e clero secolare per impetrare dal Sig. la pace fra principi cristiani e la salute delli infermi che erano numerosi nel paese.
La penuria de viveri facevano maggiore il castigo di Dio. Nel giorno di S. Croce 3 maggio Remigia Francesca Graffi moglie di Francesco Cavazza partorì un filio al quale fu imposto il nome di Ercole Ottavio Valerio, che è il raccoglitore e scrittore delle presenti memorie, essendo poi morto il chiarissimo P. Giuseppe Dalla Valle dell’Ordine de Servi di Bologna doppo avere sostenuto le primarie cariche del suo Instituto per la sua singolare dottrina e bontà d’animo, vi fu per ciò dal suo ordine, in benemerenza della sua opera, posto il seguente monumento che leggesi inciso nella chiesa di S. Giuseppe fuori di porta Saragozza di Bologna ove soggiornava per la sua quiete.
Josepho a Valle
provincia munere bis reluctanti admotes
Summa laude perfunctus
Totius ordinis Praefecturam
Primum in comitiis generalibus
Jum a Clemente XI ultra deladum
Pari moderationis exemplo
invita recusavit
Prior et Patres
Virum annalium fidei commendatum
De hoc suo cenobio egregio merito
Cuius humilem ………
Urna cum rudi Templi facie elegantius
A fundamentis excitavit
Posuerunt
Anno MDCCXXXV
Di questo illustre soggetto non ci estendiamo a scrivere dippiu avendone date altre testimonianze del med. sotto l’anno 1716 al quale si deve riportare il lettore amante de nostri scritti qualunque siano.
Adì 16 maggio Suor Marianna Graffi di Castel S. Pietro monaca nel Monastero di S. Maria Maddalena di Imola, gravemente inferma da dieci anni, a cagione di una pavura resa catetica, ne la pallidezza del volto dava a divedere quale era il male interno, essendo stata estratta in quel monastero assieme con suor Alessandra Valsalvi, nobile imolese, a portare la S. Imagine di S. Luca processionalmente per il conventoe fare le Rogazioni, la qual suor Alessandra era medesimamente da poco tempo inferma e tutta attratta, così chè ad ora per ora si aspettava la morte, nè potendo questo due monache adempiere all’inconbenza di portare la S. Imagine, piene di un santo fervore entrambe si raccomandarono alla B. V. acciò le liberasse conforme la volontà del Signore.
Furono elle esaudite e con grazia istantanea liberate in guisa che poterono alzarsi e fare riconoscere alle sue compagne chè ai medici che le avevano abbandonate ed a superiori della città, qualunque fosse la loro divozione e la grazia che p. mezo della sua S. Maria fece loro Dio.
La relazione stampata piacesi unire al racconto acciò il lettore resti maggiormente certificato de nostri asserti e delle verità che scriviamo.
La inclemenza della primavera passata e la miseria de viveri avendo spossate le creature, tornarono a ripollulare le malattie passate nel paese. In questa influenza ed epidemica circostanzali 16 giugno morì anco il medico condotto Dott. Nicola qd. Peregrino Regiani, onde p. mancanza di professore crebbero le malattie e si perdettero persone facendo strage nel Castello e Borgo la morte. Fu poi providenza, che sortito Consolo Girolamo Dalle Vache capo e fondatore di una richissima familia nel paese, ebbe il campo di lucrare p. l’anima propria e prosperità alla familia stante le sovenzioni che faceva alla povertà in ogni genere di robba e così restò sollevata la populazione miserabile nella sue angustie.
Preso il possesso del consolato Girolamo Dalle Vache, lo seguì nel suo ministero di Podestà Il Cavaliere Emilio di Matteo Malvezzi.
Nel maggior calore di agosto crebbe la epidemia onde molti andarono al sepolcro, in questo mese morì Antonio Pirazzoli capo di una familia non meno ricca ed illustre p. li capitani avuti al servigio di principi, ed antica; lasciò dopo di se tre figlioli cioè Giacoma detta la bellissima, perchè veramente fu tale, Domenica e Nicola, unico maschio coevo di me scrivente. Questi tre discendenti emigrarono dal paese e furono portati nella città di Ferrara da certo P. Alberico MM. OO., uomo di alti inpegni e che sostenne sempre li interessi di d. tre Pirazzoli. Trasportata in Ferrara cod. familia colla mediazione del d. Padre, Giacoma fu collocata in un ricco cittadino e così pure Nicola si acopiò con una ricca giovane, onde nella loro emigrazione furono fortunatissimi.
Per le guerre eccennate venero nell’autunno le truppe ispane nello Stato Pontificio da parte del modenese. In questo mentre segue la pace fra l’Imperatore, Francia e Sardegna e restò fuori la Spagna. Ciò intesosi dalle truppe spagnole presero la fuga per la Toscana. Li tedeschi le diedero dietro per ogni canto.
L’Assonteria p. ciò scrisse alli 11 dicembre alla Comunità che stesse preparata p. li quartieri per ottocento fanti tedeschi che dovevano venire li 13 dello stesso mese. La Comunità le assegnò le case delli gesuiti nella piazza e p. li cavalli le cinque osterie che erano in esercizio, cioè due in Castello sotto le insegne di S. Marco e del Moro e le altre tre nel Borgo sotto le insegne della Corona, del Montone e di S. Giorgio al Portone. Difatti il giorno precisato 13 dicembre dalla Assunteria di Milizia di Bologna arrivarono a Castel S. P. 1200 cavalli, ed indi 8oo fanti che quivi pernottarono fino alla mattina, che se ne incaminarono fino ad Imola.
Li 26 dicembre seconda festa di Natale, arrivò altro staccamento di 800 cavalli, che partirono il dì seguente. La legazione di Ravenna era piena di tedeschi perchè il Card. Alberoni Legato di quella provincia era spagnolo. Il generale tedesco p. nome Tinege si trovava in Bologna con molti soldati a svernarsi al quale li bolognesi passavano due milla lire di quattrini al giorno che erano dodicimilla scudi il mese, oltre il fieno per la cavallaria, biada e stupialia. Il fieno pagavasi sei pavoli il cento, la carne di castrato e bovino soldi quattro la libra, cosichè, essendosi tutto incarito, la gente si lagnava.

(1736) L’anno poi che seguì 1736 entrò consolo Giacomo Landi e podestà Angiolo Maria di Marcello Gassi.
In questo mentre che le truppe si svernavano nelli Stati pontifici e nella Toscana, seguì la pace fra le due potenze di Spagna e Austria che fu in conseguenza universale nella Europa. Lo sposalizio fra una filia dell’Imperatore Carlo col filio del Duca di Lorena furono il mezo.
Li 23 febbraro L’Assonteria di Governo p.ciò ordinò alla Comunità di C. S. Pietro mediante espresso, che si spedissero 109 carri vuoti a Bologna p. il giorno 26 e 27 corente, non ostante la pioggia che cadeva, ad effetto di caricare l’ocorrente p. la truppa tedesca ed andare ove le fosse ordinato.
Un tale commando così precipitoso e numeroso fece molto di impressione alla Comunità, la quale sul momento non volle aderire. Spedì p. ciò a Bologna il Capitano Francesco Vanti e Francesco Mondin,i ambo consilieri con credenziali, onde si facessero sentire all’Assunt., la quale trovandosi insistente, fu loro ingiunto ricorrere al Legato, acciò provedesse nel modo che provide il Cardinale Brighi.
Tanto operarono: si presentarono li inviati alli due Senatori deputati Graffi e Bartozzi onde intesa la ragione ordinarono che li 26 febraro delli 109 carri ve ne andassero solamente N. 20 ed in due volte, cioè dieci per settimana e colla condizione che non partissero dalla città levando il carico da C. S. Pietro p. li bisogni e che il nostro comune fosse esentato p. l’avvenire da simile peso, stanti le sovenzioni di molti altri carraggi patiti dal med. nostro Comune in questa circostanza.
Il med. giorno poi di febraro venne una grossa neve, ma p. chè era accompagnata da un gagliardo vento siroccale durò solo 24 ore in terra. Stanti poi le penurie di carni ed altri comestibili, il Papa, riguardando li suoi suditi con ochio di comiserazione, mandò un indulto, per la imminente quaresima, da carne, eccettuato il giorno delle Ceneri, venerdì, sabbato, le quattro tempora e la settimana santa.
Li 27 d. vennero a C. S. Pietro 320 usseri a cavallo di Romagna, ove fatta qui la nottata, partirono il di 28 p. Bologna.
Perchè poi l’oratorio della compagnia del SS.mo esistente appresso la canonica dalla parte della via Maggiore del Castello, ove ora tiene sottoposte le stalle p. li suoi cavalli l’arciprete, trovavasi in pericolo di cadere tanto nel coperto, che nelle pareti a motivo di terremoti passati, fu considerato che, mettendovi le mani per il rissarcimento di mura e coperti saria stata una spesa grande e poi riescito il lavoro è fabbrica cattiva, onde in una congregazione di confratelli si determinò fare un oratorio novo di pianta con chiesa unita nella pubblica piazza del Castello sopra una pezzola di terra ortiva di proprietà della stessa compagnia, aderente all’orto della Comunità et ad una casa della med. compagnia; ma perchè vi mancava il danaro in pronto, fu commesso alli Principali della compagnia ricercarne a frutto e furono deputati Giuseppe Rinaldi e D. Domenico Lugatti.
Giuseppe Amadesi nelle sue mem. MM. SS. racconta che nel dì aprile li agostiniani fecero il loro Capitolo provinciale in questo convento di S. Bartolomeo nel quale fu eletto il P. Maestro Molini di Cesena.
Li 27 maggio stante la pace universale seguita fra le potenze belligeranti di Europa sloggiarono dal bolognese e da tutto lo stato pontificio in Italia le truppe estere.
Petronio ed Angiolo Maria Gardenghi, oriundi di C. S. Pietro, stabiliti in Roma ove avevano ivi stabilito anco un loro zio, si formarono ivi p. ciò nella chiesa di S. Maria in Vallicella il loro avello ove sta sovraposta la seguente iscrizione:
Petronius et Angelus M.ra Gardenghi
Bononienses, consubrini frates
mortis memores tibi et suis posuerunt
A. D. MDCCXXXVI
Terminato il suo ministero di Podestà il cav. Angiolo Maria Graffi, subentrò Francesco Maria Marescotti e così estratto Consolo Giulio Alberici intrapresero l’uno e l’altro il loro Governo il giorno primo lulio. Fu quindi rinovato il Bando sopra il Peso e Misura per il mercato e rinovata la Tariffa.
Il cap. Francesco Vanti, moderno priore della Compagnia di S. Cattarina, riflettendo che all’occasione di farsi la esposizione del SS.mo nella sua chiesa non era troppo convenevole che ivi all’altare med. si celebrassero le messe e cose, indecente ancora la celebrazione nel vicino oratorio corispondente nella chiesa, p. le irreverenze che si commettevano avvanti il SS.mo esposto, perciò propose in una sua congregazione di edificare nella detta chiesa alla destra una capellina sopra il suolo dell’orto vicino e contiguo alla sagrestia ed ivi collocarvi poi l’immagine SS.ma di M. V..
Fu la sua proposizione gustata dal Corporale della Compagnia, fu messa a partito e ne ebbe l’esito favorevole. quindi li 12 settembre si cominciò ad edificare tostamente in modo che in brevissimo tempo fu terminata sul dissegno di Luigi Dotti, architetto pubblico.
L’arciprete il di 14 novembre ne fece la benedizione, poi il di 24 dello stesso mese vi si celebrò per la prima volta la S. Messa, fu dedicata alle glorie di M. SS.
Li frateli Tiburzio e Michele Battisti, ultimi discendenti della loro civile ed antichissima familia del paese, confratelli della stessa compagnia, donarono p. ciò una S. Imagine di Maria dipinta in tela ma non terminata dal celebre penello di Lorenzo Pasinelli, discepolo di Guido Reni, rappresentante la purissima sua maternità con il puttino in braccio scherzante con una fettuccia in mano. prima però di farne la collocazione nella destinata nicchia, determinò la congregazione di ciò effettuare con solenne pompa, onde si differì la posizione.
La petizione della Comunità al legato per la conferma della Tariffa del mercato sopra il Peso e Misura fu approvata entro questo mese, la quale per essere mancante di data del giorno, noi non le precisiamo il tempo e per ciò tale quale fu data alle stampe quivi la connettiamo.
Nel di 27 settembre poi la Compagnia del SS.mo per fabbricare il divisato oratorio e chiesa a rogito del Not. Innocenzo Mazza, spese a frutto lire tremilla quattrini; e sicome la Compagnia sud. di S. Cattarina, come si scrisse, aveva determinato di esporre al publico culto con solennità l’immagine sud. di Maria nella d. capellina, così il giorno preventivo alla di lei festa, in sabbato giorno 7 di dicembre, pose la med. S. Imagine all’altare maggiore della Parochiale avvanti li vespri e fu esposta col titolo di Maria SS. del Soccorso. Le fu fatto un bellissimo frontale di mistura inargentata a fiori col fondo sotto di veluto cremesino, fioriera o sia ghirlanda di contorno e manto verde segnato di arabeschi di argento buono.
La mattina seguente, giorno della Concezione che cadeva in domenica, alle ore 17 italiane la compagnia stessa di S. Cattarina capata venne a prendere in forma e, portata in processione pel Castello e Borgo, fu condotta alla sua chiesa ove se le cantò avvanti messa solenne in musica.
Il doppo pranzo cantatosi il vespro pure in musica fu portata dal clero secolare su le spalle fuori della chiesa in mezzo alla strada maggiore e, doppo le consuete preci, l’arciprete diede con quella per la prima volta la S. Benedizione al popolo, che numerosamente era ivi concorso. La sera stessa si fecero per ciò allegrezze con fuochi di gioia e mortaletti in quantità nella piazza pubblica entro il Castello.
E perché esternamente al Castello e contiguamente ai palazzi del Marchese Pier Luigi Locatelli e Conte Cesare Malvasia, che sono posti a levante, sopra la vecchia mura del Castello eravi terreno montuoso che formava in alcuni luoghi terraglio ed alzato, così ,all’effetto di levare questa bruttezza e fare più comodo il passaggio e transito anco ai paesani ed una spianata ad avanti ai loro edifici, ricorsero al Senato, colla intelligenza della Comunità, affinchè loro concedesse la facoltà di spianare tali montuosità che intercedeva fra loro abitazioni e di portare la terra internamente nella aggiacente fossa circondaria il Castello. Il Senato aderì alla istanza e per suo partito, segnato li XI dicembre conforme porta il cav. Conte Baldassarre Caroli il F. 23 partit.fol. 104, ne segnò la grazia.

(1737) Il di primo genaro 1737 cominciarono il loro governo di C. S. Pietro il marchese Filippo Ghiselieri Podestà ed Antonio Benetti Consolo.
Li 13 genaro il Papa avendo spedita una amplissima indulgenza in forma di Giubileo alli suoi sudditi in ringraziamento della pace seguita fra principi cristiani e pubblicò in questo il SS.mo e durò fino alli 20, facendosi il dopo pranzo processioni p. ringraziarlo ed anco perché allontanase il male de bovini che si inoltrava a grandi passi. Vi intervennero tutte le tre fraterie e le tre compagnie che si erano esse pure pacificate, li cappuccini furono in numero grande e piu del solito, perché quivi fecero una loro particolare Congregazione provinciaria.
Inerendo la Compagnia del SS.mo alle determinazioni per la fabbrica del novo oratorio e chiesa, li 12 marzo, esendo priore D. Domenico Lugatti, giorno di martedì, si principiò lo scavamento de fondamenti sul dessegno accennato. Poi li 24 d. in domenica si fece la benedizione della prima pietra precedendovi una solenne processione del clero secolare, Corpo comunicativo e delle tre compagnie cappate che se spiccarono dalla parocchiale. Venne in questa processione portato il med. miracoloso Cristo della stessa compagnia del SS.mo.
Si andò indi al loco della fabbrica, quivi l’arciprete Bertuzzi benedì prima coll’aqua santa quel sito, dappoi discese nelli fondamenti, pose egli la prima pietra con una medaglia d’argento nel fondo della colonna sopra l’altar maggiore in cornu Evangeli, la qual colonnna sostiene il Colochio sopra d. altare, nell’oposta colonna in cornu Epistola vi pose l’altra pietra Bernardino Orsolini moderno priore della compagnia di S. Cattarina. Nell’angolo della facciata a levante vi pose la terza pietra fondamentale Antonio Benetti, consolo della Comunità e nell’angolo opposto a ponente di facciata vi pose la sua D. Domenico Lugatti priore della compagnia del SS.mo. Ciò fatto si diede la benedizione al popolo col Crocefisso accennato e dappoi ognuno se ne andò alla parochiale. Questa funzione fu uno dei principali motivi p. cui le compagnie preventivamente si pacificarono doppo tante liti.
Prosseguendosi in tanto la fabbrica della chiesa, per rendere piu maestoso l’oratorio posteriore a quella, ed all’altare maggiore, che ora forma cuoro, essendo di confine coll’orto della Comunità, la compagnia diede supplica, colla intelligenza della med., di potere occupare quattro piedi in larghezza e 18 in lunghezza del terreno ortivo della Comunità stessa sopra una chiavica pubblica, ne ebbe l’intento il di 13 aprile mediante decreto del seguente tenore favoritoci dal d. Sig. Cavasi: “1737, 13 aprile, permissione al priore e confratelli del SS.mo di C. S. Pietro, Ad hoc ut nova fabbrica eorum Oratorj et Eclesiae possint de solo pubblico ocupare ped. quattuor in latitudinem et ped. 18 in long. pagando a Camera sc. 5”
Codesti P.P. Cappuccini ricordevoli ancora il corpo del loro primo guardiano fondatore di questo suo convento P. Bernardino Bolsani, detto da S. Felice, che morì in tempo del contagio nel 1630, dopo aver assistito li ammorbati e sepolto nella chiesa di S. Giacomo presso il ponte Silaro.
Li 11 maggio in sabbato con ordine di Roma li med. Cappuccini accompagnati da Francesco Mondini, proprietario di d. chiesa, di nottetempo si portarono alla med. e disumata le ossa coperte ancora dell’abito cappuccino, lo portarono con rito funereo alla loro Chiesa e quivi replicate le esequie, fu poscia sepolto nella loro Chiesa.
La compagnia di S. Cattarina,stante la collocazione della Imagine sud. col titolo di S. Maria del Soccorso, il di 19 maggio determinò la solennizazione della di lei festa annualmente ed in perpetuo mediante un triduo nelle tre feste di Pentecoste. Così eseguì la prima volta il di 9 giugno domenica di Pentecoste, in cui con solenne pompa si espose nella chiesa della med. compagnia all’altare maggiore. Vi furono molte messe,e fra queste ognuna delle tre mattine, la messa solenne in musica ed il doppo pranzo vespro ed oratorio parimenti in musica. L’ultima sera delle tre feste vi fu solenne processione p. il Castello e Borgo colla med. S. imagine accompagnata dal clero secolare e dalle altre due compagnie del SS.mo e del Rosario. In tempo della processione furono dispensati sonetti stampati, de quali ne coneto una stampa. In fine della processione, colocata la B. V. sopra un altarino in mezo alla strada maggiore ed avvanti la porta della chiesa, se le cantavano le litanie, dappoi le preci ed infine la S. Benedizione a cui seguì un copioso sparo di mortaletti e sull’ora di notte vi furono fuochi artificiali, la piazza tutta illuminata a spese della Compagnia e così il contorno dell’abitato alla sua chiesa.
Estratto Consolo per il secondo semestre Giulio Alberici e per Podestà Achille di Mario Malvezzi Angelelli, cominciò di entrambi il governo il primo lulio, procurò il Consolo che si riempisse il vano che rimaneva fra la via corriera ed il novo muraglione al ponte del Silaro con materie, onde nel dì 16 fu proclamato p. bando del Legato, che tutti li sfaccimenti di fabbriche ed altro del Castello e Borgo si trasportasse ivi dentro per l’effetto di riempire quel gran vano.
Morto D. Pietro Trochi in Bologna, che serviva di capellano ed aveva altre ingerenze nel Colegio Ispano di Bologna, colla sopraintendenza al governo del med.. Dopo aver servito egregiamente quel luogo e ministrato felicissimamente per il corso di 19 anni, li di lui eredi, che furono Pietro Trochi, D. Francesco e Barnaba Trochi di questo Castello di lui consubrini, come per Rep. di ser Nicolò Colli Not. bolognese, ottenero dal rettore di quel reale colegio la facoltà di lasciare una picola memoria nella sua chiesa in terra e fu la seguente che noi qui trascriviamo:
Petro Sacerd. Trochio
Hujus hispan. Regj Collegi Capellano
Pos. XIX annuis munera functo
MDCCXXXVII
Requiem precamini

Fu egli amato da quei grandi di Spagna che ivi sogiornarono e perciò fu degno di tanta ricordanza.
Per inserevvare maggiormente nella carità ed amor del prossimo inverso li miserabili, cod. arciprete Bertuzzi ottenne da Clemente XII molte indulgenze per li confratelli della nova unione dell’Ospitale delli Infermi parochiani recentemente eretta, furono quelle pubblicate per la stampa del Longhi come si legge nella unita.
Bisognosa la Compagnia del SS.mo di ultimare la fabbrica della chiesa ed oratorio, ottenuta la debita licenza, prese a lucro altre lire mille q.ni come p. rogito di Ser Alessandro Fabbri sotto li 13 settembre.
Perduto affatto il quadro di S. Felice capuccino, opera di Giacomo Cavedoni nella capella Malvasia in questa chiesa de cappuccini, vi fu sostituito un altro quadro bellissimo rappresentante l’apparizione noturna di M. V. col Bambino Gesu che diede da baciare li S. Piedi al Santo, opera dell’egregio Giuseppe Marchesi detto Sansone, bolognese, lavorato sul gusto di Marc’Antonio Franceschini suo maestro, che fu discepolo del grande Alfani pittore bolognese.
Li 16 novembre alle ore tre di notte si vide nel cielo un globo tutto rotondo grande che faceva vastissimo splendore e terrore dalla parte di Borea. niuno seppe atribuire il nome a questo fenomeno e fu accompagnato da una non indifferente calura, si attendeva perciò un qualche castigo.

(1738) Giunto l’anno 1738 entrò Podestà Scipione di Giacomo Fantuzzi e Consolo Girolamo Dalle Vacche.
Nel dì 15 genaro morì il P. Agostino Alberici di Castel S. Pietro dell’ordine de MM. OO. in questa sua patria e fu sepolto nella sua chiesa di S. Francesco. Egli fu il migliore e bravo corista che si avesse in tutta la provincia di Bologna, compose molti inni di S. Chiesa in canto gregoriano, fu ottimo organista e professore anco di canto figurato. La sua morte fu dispiaciuta d’assai e compianta dalla sua Relligione per avere perduto un si segnalato uomo.
Li 2 maggio di notte tempo nevicò, onde alla nostra vicina collina e montagna recò danno non che freddo per modo che il giorno di S. Croce convenne portare il tabarro e così durò alquanti giorni, recò molto danno alle viti ed arbori
Adi 18 d. li questi P:P: Cappuccini fecero un solenne triduo ad onore del venerabile Giuseppe da Leonessa per essere stato beatificato. Fu pomposamente solennizato onde vi fu grande concorso.
Nello stesso tempo Giovanni di Michele Poli di Sassoleone fu ammazzato da suoi compagni nell’osteria del Moro entro questo Castello. Questo fondo ora di P.P. de Servi di Bologna, era anticamente della familia Forni di questo Castello, sopra aveva il suo stema tanti scachi bislunghi ed acuminati nella somità, come si vide dipinto in d. casa.
In questo tempo pure nel convento di questi PP. di S. Bartolomeo di C. S. Pietro si fece dalli Agostiniani della provincia il Capitolo, secondo ci annunziano MM. SS. di D. Francesco Fiegna mio antenato.
Li 9 giugno arrivò in Castel S. Pietro la Duchessa Dorotea di Parma ritornando da Faenza, la quale era stata ad incontrare la sua nipote Regina di Napoli venuta da Ferara per andare a Napoli a trovare il marito D. Carlo infante di Spagna e Re di Napoli, fu servita in questo palazzo Caldarini a pranzo poi partì per Bologna. Nel med. giorno morì Girolamo Dalle Vacche.
Per il secondo semestre fu estratto Podestà Vincenzo Bargellini e Consolo Francesco Antonio Vanti, attesa poi la morte di Girolamo Dalle Vacche, altro de comunisti, entrò nel suo posto Giuseppe di lui filio.
Li 20 novembre morì il P. Antonio Ravaglioli agostiniano, vicario del S. Ufficio, in questo Castello ed attuale priore del convento di S. Bartolomeo, nella di cui chiesa ebbe solenne sepoltura. Alle di lui esequie intervennero con lumi li potentati ed ufficiali del S. Ufficio del paese e riuscì la funzione bella.

1739). Dell’anno seguente 1739 fu podestà per il primo semestre il Marchese Francesco Davia e Consolo per la prima volta Flaminio Fabbri.
Li 26 genaro si levò uno strepitoso scirocco dalla parte montana che sul monte alterò case ed altre ne scoprì. Atterò nel Castello e Borgo più di 40 camini e durò 24 ore e le persone ne arrischiavano andare per le strade scoperte per timore delle tegole.
Li 29 Tiburzio qd. Domenico Battisti morì d’anni 79 e lasciò erede Francesca di Antonio Fantaguzzi sua moglie; non ebbe sucessione e terminò in esso il suo casato antico del paese. Terminò pure il casato delli Albruni nella persona di Sante qd. Lorenzo Albruni marito di Lucia Farnè d’anni 70.
Le Compagnie di S. Cattarina e del SS.mo, che novamente erano tornate in discordia, furono fra di loro composte le differenze a mediazione del R.mo D. Leone Capuccino nazionale e di Sante Alberici di lui nipote e stabilita la concordia, andarono entrambe le compagnie con edificazione del paese alle rogazioni di M. SS. nel maggio seguente che cadeva nel di 13 maggio, doppo anni 14 che, ora poco ora più fra loro contendevano e si separavano e poi si reniunivano.
Il moderno priore della Compagnia del SS.mo Carlo Lazaro Andrini diede per ciò un contrassegno di vera pace al priore di S. Cattarina Sante Alberici: trovandosi entrambi alla solenne messa cantata avanti S. Imagine nella parochia la domenica, quando il diacono diede l’amplesso di pace al sudiacono, il priore del SS.mo si spicò dalla sua carega ed andò a ritrovare quello di S Cattarina e doppo averle dato l’amplesso di pace, che fu reciprocato, si bacciarono entrambi in fronte; ciò vedendo li altri confratelli dell’uno e dell’altro corporale, spicandosi dai loro posti andarono a ritrovarsi assieme e quivi fra tenerezza di lagrime e amorosi amplessi, nella chiesa non poterono li altri cattolici di coresponderle con un sovave bisbiglio che indusse moltissime persone dell’uno e dell’altro sesso a piangere teneramente, a questo fatto seguì nella piazza pubblica un copioso sparro di mortaletti, li quali stavano preparati al solo uso di darle foco quando la S. Imagine si fosse portata nell’oratorio.
Nel secondo semestre primo giugno entrò Consolo Francesco Maria Mondini e Podestà il conte Jullio Bentivoglio. La raccolta di quest’anno fu mediocre e così la vendemia.
li 30 settembre ad ore 17 italiane si sentì per due volte il terremoto.
Era costume farsi in Bologna nella estrazione delli uffici utili il di 16 dicembre la estrazione delli due podestà che dovevano servire nelle podesterie del contado, sei mesi per ciascuno, onde essendo cosa da nulla decretò il Senato che di qui in appresso si facesse la estrazione ad anno di un sogetto delli inborsati, il che seguì il giorno di S. Floriano 16 d. e per Castel S. Pietro fu il primo estratto p. tutto l’anno avvenire il Conte Ovidio Bargellini sotto del quale cominciò ad attivitare giudicialmente.

(1740) L’anno seguente 1740 in qualità di Giusdicente il Not. Giuseppe M. Bovi notaio colleggiato di Bologna. Entrò pure consolo Domenico Gordini, sotto il di lui consolato entrò in consilio Lorenzo qd. Giacomo Conti.
Li 14 febraro in sabato morì Benedetto XIII Papa di questo nome. Resa vacante la sede appostolica, il card Giulio Alberoni legato partì per Roma, onde secondo il consueto si chiamarono le truppe del contado alla guardia della città.
Li 27 d. il Senatore Sigismondo Malvezzi, bramoso d’aprire una porta nella mura del Castello di rimpetto alla porta posteriore del suo palazzo la quale corrispondesse fuori del Castello, chiese al Senato la licenza sull’esempio della licenza data a Lorenzo Conti nel di 2 marzo anno passato, con facoltà ancora di chiudere parte di un picolo viale fra le mura del Castello a levante e li propri edifici aderenti al med. Sen. Malvezzi.
Li 28 aprile morì Antonio qd. Ottaviano Benetti, in esso si estinse il suo ricco casato, fu familia facinorosa, di essa vi rimase una sola femina per nome Lucia, donna assai bella ed affabile con ogni persona senza intacco della sua onestà.
Compiuta la fabbrica dell’ospitale, fu corredato in qualche modo per essere capace di ricoverare pochi infermi.
Perciò di questo mese si incominciarono a tenere. il primo che vi andò ove vi lasciò la vita fu Antonio qd. Carlo Marchetti di anni 70.
Il di primo lulio prese il comando di Consolo Giuseppe Rinaldi. Il podestà non si annovava perchè questo fu il primo anno in cui un solo podestà doveva servire.
Li 11 dello stesso mese morì Maria Annunziata Graffi figlia di Carl’Antonio Graffi et Anna Bertuzzi in età di anni 22, con opinione comune di santità per la sua condotta di vita ed avvenimenti doppo la sua morte, donde perciò stette inumata tre giorni sempre flessibile, bella e odorosa e palpabile come mai non fosse morta.
le cose accadute furono motivo che le persone corsero a tagliare li panni di dosso come reliquie. Di questa buona serva del Sign. ne abbiamo scritto un elogio della sua vita che sta unito alli altri elogi da noi scritti sopra li uomini e donne illustri per opinione di santità ci C. S. Pietro onde omettiamo quivi la replica della nostra fatica. Il suo corpo fu sepolto nella capella di questa arcipretale del SS. Rosario con deposito a parte e sopra la seguente iscrizione in marmo:
A. M. D. G.
Hic jacet
Maria Annuntiata Graffi
Etatis sua XXII
Obiit Die 11 Juli
MDCCXL
Era ancor sede vacante per la morte di Benedetto XIII, dovechè essendo chiamata a Bologna la milizia di Castel S. Pietro sotto la condotta del cap. Francesco Andrea Vanti, le fu concessa e consegnata la piaza maggiore della città in guardia ove eravi un casone di asse in faccia al palazo pubblico.
In questo frattempo acadde che essendo in sentinella delli fucili, che si tenevano secondo l’uso di questi tempi deposti in linea sopra li gradini di S. Petronio, Omobono Varani, Annibale Bergami detto Baletto e Fausto Bergami, suo fratello detto Fastone, giovinotti belli alti di statura e coraggiosi di sostenere qualunque impegno. Portò il caso che alle estremità delli estesi fucili si tenevano sergentine e brandistochi, un birichino di Bologna audacemente si mise a saltare sopra li fucili alternativamente, dove movevano risa li altri birichini, quindi arivando ove era il Varani che caminava avvanti e indietro all’uso delle sentinelle, disse costui: ne ho passata una, alludendo al salto che aveva fatto sopra li fucili contro alla sentinella Varani, così prosseguendo a saltelare li altri fucili arivò quasi alla metà di essi, onde scherzando venne in ira alli due fratelli Bergami, cosichè uno di essi dato il segno alla sentinella Varani che stesse in parata, quando arrivò il birichino saltellatore presso a Fastone, diede questi di piglio ad uno dei brandistochi e disse a questo, se hai saltato fin ora non salterai piu altro.
Si accompagnarono altri birichini ed imitando sucessivamente il loro capo sud., quando questi arrivò al punto, esso Fastone le diede un colpo al capo che lo atterò; li birichini compagni volevano far alto, ma il Varani con Baletto, che facevano la sentinella, calati li fucili minacciarono la vita alli altri.
Se ne acorse il corpo di guardia vicino, corse tosto alli fucili, adivenne la piazza in un punto tutta in sollievo. Intanto li altri birichini fuggirono ed il ferito portato nel vicino Ospitale della Morte fra poche ore se ne andò.
Era costui uno dei primi cimentanti della piazza per sopranome Pichetto, ed aveva seguito nelle pugne ludiere della Polcellina, del Confaloniere ed in altre circostanze in cui si fa gettito di pane vino e danaro alla plebalia, che ne era esso sempre il trionfatore, ma questa volta nulla sufra polle la sua bravura, che vi lasciò la vita.
Intanto fu fatto il rapporto a palazzo e crebbe il rumore, dal rumore si passò al tumulto tra i birichini e soldati, ma fatti coraggiosi li soldati ed animati dal loro sergente Gian Giacomo Dalla Valle detto Caurone con Francesco Macagni detto Bastino familio del paese, misero in sicuro Fastone Bergami mediante aresto, lo salvarono nel loro Corpo di Guardia entro il casone, si mutarono le sentinelle ai fucili estesi e si raddopiarono per far tema alla ciurmaglia che si amutinava ed in bisogno di ressistenza.
Corse la voce alli altri quartieri e miliziotti li quali erano alle porte della città, li quali ancor essi sentendo la insolenza fatta alla Guardia primaria si alarmarono in un punto. Mentre si facevano queste cose dai militari, pervenne un avviso al Corpo di guardia in piazza di consegnare Fastone alli svizzeri, sotto pena della indignazione del Vicelegato.
Intesosi ciò dai paesani che erano in quartiere, corsero tutti alli fucili e si fortificarono nel Casone, poi radoppiarono le sentinelle alle bocche della piazza e cominciarono con tre patuglie a girarla, quindi le persone fuggivano.
Poichè temevasi che il Vicedelegato facesse scopiare canonate dalla porta del palazzo contro il Casone e il Corpo di guardia de militari di Castel S. Pietro, li quali non avevano che li fucili, con scaltrezza fecero apparentemente che le due patuglie ambulanti la piazza si incontrassero presso la porta del palazzo ove erano due canoni fuori ed altri due dentro, onde una di queste pattuglie prese d’asalto i sudd. canoni esterni e l’altra patulia, perchè li svizeri non dessero foco alli canoni interni, si misero il fucile alla faccia contro chi avesse ardito dar foco od accostarsi a quelli, fintanto che li rapiti fossero asportati al loro quartiere, li quali immediatamente a forza d’uomini furono trasportati al Casone voltando la bocca di essi contro il palazzo, poi fecero intesi li svizzeri stessi che li avrebbero dati ostaggi, ma soltanto per tenere a freno li birichini e ciurmaglia che avesse voluto soperchiarli. La piazza in un baleno fu sgombrata di ortolani e si chiusero tutte le botteghe in essa e tosto era in sollievo.
Il Vicelegato si adirò e mandò tosto a chiedere il Bergami arrestato al cap. Vanti. Questi chiamò imediatamente a consilio militare li ufficiali, fra quali erano anco li capitani di S. Giovanni e Sassoleone: furono tutti concordemente negativi.
Fece minacciare il vice legato di battere col canone che avevano li svizzeri il Casone e il corpo di guardia, risposerò che avevano anco un canone da rispondere alla porta del palazzo non chè al palazzo stesso. Fratanto che si facevano questi discorsi tosto si levò una patuglia dal quartiere e fingendo caminare la piazza, avvicinato di novo la porta del palazzo, cominciò a fare ivi coli svizzeri la sentinella acciò li birri alleati ai birichini non facessero qualche aggressione.
Tutta queste vicende furono nel novo rapporto significato al Vice legato ed al Confaloniere che era in palazzo assediato, li quali dalle minaccie passarono alli atti di dolcezza, speranzando li magistrati di soddisfazione semprechè si prestassero a concedere l’arestato non alle carceri ma alla guardia svizzera, ma li ufficiali piu forti colli loro soldati negarono come prima, anzichè per assicurarsi maggiormente della piazza corsero alla Guardiola de Sbirri, sebbene dalla parte della piazza era chiusa ed avesse solo l’entrata sotto il voltone del Torrazzo, quivi entrati dentro levano tutte le armi a Birri e li cacciarono tutti di piazza dalla parte della (…) del Popolo, non essendone potuto fugire uno nemeno dalla parte oposta p. che vi erano le sentinelle.
Tutta la piazza rimase p. ciò in potere della milizia di Castel S. Pietro composta di 100 uomini, vale a dire di (tutta) la compagnia. Altri miliziotti, che stavano alle porte della città, stavano forti ancor essi, di quando in quando passavano patuglie alla piaza per iscoprire il modo della tragedia.
Finalmente il V. Legato ritornò nelle furie di prima ed intimò l’abbandono della porte del palazzo. Ma li soldati non si vollero prestare, tantopiù che li due fermati, Bastino e Caurone, li quali tenevano uno la porta del palazzo e l’altro il Casone, facevano ressistenza e avevano fatto crescere il loro partito.
Durò molti giorni questa sollevazione, onde arrivato il termine in cui la compagnia di C. S. Pietro doveva dar loco ad altra compagnia, senza essersi determinato cosa alcuna, fu intimata la partenza alla med. dal Confaloniere. Neppure a quest’ordine si volle addattare la Guardia di C. S. Pietro. Finalmente venuta la nova che era stato eletto il Papa nella persona del Cardinale Prospero Lambertini Arcivescovo di Bologna in età di anni 68, coll’avere nel giorno 17 agosto assunto il nome di Benedetto XIV, tostamente il V. legato col Confaloniere intimarono alli milizioti sul momento l’abbandono della piazza.
Ma nessuno a ciò volle obedire quantunque fosse negata la paga ai soldati e solo fecero intendere al Vice legato che avrebbero abbandonato la piazza, la porta del palazzo e l’armi quando che fosse assoluta tutta la truppa e li coalizati alla med., perchè molti altri militari vi si erano uniti di partito e che il soldato che si pretendeva contumace, cioè Pastone, per il fatto accaduto non fossero tutti pienamente assoluti e cessati e lacerati li processi su di ciò forse fatti, anco contro quelli che si erano coalizati alla truppa di C. S. Pietro in questa occasione.
Aggiunsero dippiù che siccome il Tribunale del Torrone poteva dappoi prendere delle vendette contro li loro coalizati per delitti pasati volero per primo capitolo una assoluteria generale per tutti, eccettuati li recidivi di omicidi e di furti .
Fatta questa proposta e capitulata, chiesero prima di deporre le armi il rilascio delli contumaci tutti. Ciò convenuto e firmato dal V. legato e Confaloniere, finì tutta la scena e ritornarono in patria gloriosi ed assicurati li militari tutti.
Nel tempo che questa insurezione regeva, le familie de militari di C. S. Pietro, che avevano filioli si ridussero questi alla città con li loro congiunti e sicari paesani per darle occorendo mano colle armi.
Li 28 di agosto, giorno di domenica, Francesco Maria Gordini agente e ministro di casa Lambertini e del med. novello Papa in questo loco, per contestare il giubilo della creazione a pontefice del lodato porporato, fece celebrare in questa arcipretale quantità di messe, (…..) messa in terzo e cantata da musica scelta ed il dopo pranzo vespri in musica, tedeum e dappoi la benedizione col Venerabile, doppo la quale seguì una ben lunga, regolata sparata di mortaletti.
La sera di nottetempo vi furono li fochi di gioia artificiali, fece illuminare tutta la piazza publica, la torre del paese, palazzo pubblico e tutte le finestre del paese. Alla propria casa nella via maggiore del paese furono guarnite le finestre con torcie di cera bianca, stettero accese sempre finchè terminarono li fochi artificiali, doppo di che furono gettate in preda al popolo; furono altresì gettati danari e pane al popolo. Oltre di ciò fece fare una copiosa elemosina di pane e vino ai miserabili.
la Compagnia del Rosario che fino ad ora aveva avuto nella sua capella libero il presbitero, in cui ognuno poteva accostarsi all’altare, fu chiuso li 29 di questo mese mediante ballaustrata di ferro guarnita di raberschi di ottone. L’autore fu mastro Antonio Sultili di questo Castello, uomo capace di qualunque lavoro, invenzione e pulita esecuzione, come del lavoro med. può contestarsi.
Li 9 settembre in venerdì, questi padri agostiniani di S. Bartolomeo diedero principio nella loro chiesa ad un triduo in onore di S. Nicola da Tolentino a termine del quale che fu la domenica 11 d. fu fatto il Panegirico in onore del Santo dal D.re Maria Landini. Il dopopranzo si fece la processione colla statua del medesimo S., la quale non era più stata portata in processione per il paese dall’anno 1725-1726 per il flagello del teremoto. Questa funzione riuscì bella e fu determinato doversi fare ogni anno dai frati e dalla compagnia del Sufragio.
Erano tanto le grazie de miracoli che Dio operava pei cattolici paesani per mezzo della Imagine di Maria SS.ma sotto il titolo del bon Papa, di cui ne parlassimo l’anno 1737, nel quale fu sospeso l’altare che aveva avvante, onde essendo dipinta nel muro, nè potendosi avvanti la med. celebrare per la soppressione sud., da un canto e dall’altro dessiderandosi dal popolo il maggior culto alla med., fu interpellata la Compagnia del SS.mo SS., che ne era padrona (per) formare a parte nella stessa capellina l’altare e messe, ire sucessivamente la S. Imagine sopra quello.
La compagnia che aveva altro impegno e maggiore di fabbrica. non potendo accudire a questo desiderio, rinunciò ogni suo diritto al Marchese Pier Luigi Locatelli sopra detto altare e capellina, alla condizione che esso facesse quello addomandavasi dal popolo.
Accettò egli la rinoncia e successivamente fece fare l’altare ed ornato alla S. Imagine, la quale, per essere dipinta sul muro, fece, mediante professori venuti di Bologna, segare la stessa dalla muraglia e trasportarla nella vicina parete.
Dappoi fece abellirla d’intorno con scoltura, come si vede e ciò seguì il dì 16 novembre con somma contentezza della populazione, non meno che del lodato cavaliere, il quale essendo assai devoto, aveva ricevuto non poche grazie come avevano ricevuto altre persone per le quali era coperta tutta la mura di targhette, di voti d’argento, di oferte e di armi ed instrumenti inservienti alli infermi rissanati. Fu in appresso ordinata la sua festa annua il dì della di lei Purificazione che cade il secondo di febraro e ciò massime ad insistazione di D. Luca Gordini prete del paese, suo gran devoto.

(1741) All’incominciare poi dell’anno 1741 entrò consolo Giacomo Bertuzzi e podestà Lucio di Antonio Francesco Baldi.
Adì primo maggio in lunedì, la notte venne un gran temporale di neve, che recò grandissimo danno alla campagna. Dirammò li albori e viti. La mattina seguente vi seguì la pioggia, che dileguò tutta la neve, venuta all’altezza di una scarpa.
Li 7 d., che fu la prima domenica del mese e domenica delle rogazioni, essendo priore della Compagnia del SS.mo, Giuseppe Rinaldi, si fece la benedizione del novo oratorio e chiesa della d. compagnia nel modo seguente.
Si levò dalla processione dalla arcipretale, coll’intervento di tutto il clero e corpo comunitativo, frateria e le altre due compagnie, poi si incaminò alla nuova chiesa, ove benedetta dall’arciprete passò processionalmente.
Passò il popolo al Borgo a prendere la B. V. di Poggio nella chiesa dell’Annunziata da dove si levò la med. e portossi con pompa alla nova chiesa, quivi fermata si cantò avvanti la stessa la messa solenne in musica e si faceva le altre funzioni consuete.
Li 25 d. festa di Pentecoste, poi essendo priore della Compagnia di S. Cattarina Antonio delli Antoni, si fece colla di Lei Imagine di Maria SS.ma del S. Soccorso la processione entro il Castello e Borgo, alla quale intervennero le altre due compagnie cappate, clero e frateria, le quali furono riconosciute con capponi ed un capretto.
Entrò in consilio in questa epoca Sante Alberici in loco di Giulio di lui padre defunto. Il primo lulio entrò consolo ……… e li 28 agosto in lunedì sera arrivò in Castel S. Pietro Mons. Giampaolo Scarselli bolognese, vescovo di Monito, delegato da Benedetto XIV al Governo spirituale della diocesi di Bologna.
Cominciò la sua visita pastorale il martedì seguente. Ministrò il sacramento della cresima ad infiniti fanciulli. Stette in Castel S. Pietro fino alla domenica seguente 3 settembre di dove poi se ne partì per Bologna. Nella sua visita ordinò di particolare che, non avendo la compagnia di S. Antonio Abbate eretta nella arcipretale alcun statuto, le fossero perciò fatte le sue regole.
Visitò anco la chiesa dei SS. Giacomo e Filippo al ponte del Silaro, che spetta colli suoi terreni uniti p. diretto dominio alla chiesa di S Sigismondo di Bologna, ed ordinò che si descrivessero li obblighi inerenti alla med., che sono quattro annue messe, due cioè nel giorno de SS. Giacomo e Filippo nella med. chiesa, la terza il giorno della assunzione di M. V. e il quarto nel giorno della comemorazione di tutti li morti, colla penale di una libra di cera in caso di mancanza per ciascuna messa non celebrata e ciò in virtu di locazione emfiteutica fatta dal curato di S. Sigismondo di Bologna li 16 ottobre 1736, rogito di Paolo Antonio Cacciati Not. e Francesco Mondini.
Terminò l’anno 1741 senza altra memoria degna di annotarsi.

(1742) Il seguente poi 1742 entro podestà il Conte Federico Calderini e consolo Flaminio Fabbri, sotto il governo de quali fu ristorata la residenza del notaio giusdicente.
Usavano le compagnie di S. Cattarina e del SS.mo SS.to fare la esposizione del SS. nelle loro chiese la seconda domenica di ogni mese e dappoi davasi la benedizione al popolo, ma poichè ciò riusciva di confusione a cattolici, all’oggetto di evitare li disordini, concordarono fra loro, colla intelligenza dell’arciprete, di mutare questo ordine e fu concluso che l’una facesse la sua esposizione secondo il consueto nella seconda domenica e l’altra la facesse la terza domenica e così fu riparato al disordine.
In questo tempo fu fatto priore delli Agostiniani in questo convento di S. Bartolomeo il P. Giuseppe Dalla Valle, nipote delli prelodati P. D. Dalla Valle serviti.
Li 4 marzo si cominciò a vedere in cielo una stella di questa figura ( disegno di una cometa). Si cominciava a vedere le 2 di notte e durava fino all’albeggiare del giorno, nasceva nell’oriente e cadeva nel ponente a cui erano rivolti li raggi, faceva orrore a tutti, ella durò a farsi vedere fino alla metà di aprile.
Li 9 maggio giorno di mercoledì, dalla parte d’Imola incominciarono doppo le ore 21 italiane ad arrivare improvvisamente truppe spagnole col nome Micheletti, erano questi armati alla leggera con pistolette corte, avevano una ventriera ad uso di fascia piena di cartucce per caricare la med, colli fucili corti e leggeri portavano un sachetto a gallone, la montura era tutta azurra con filetto rosso, il taglio era corto come un giubbone. Capello piccolo, rotondo di una sola alzata, le scarpe erano, toltone la suola, tutte di corda, onde erano velocissimi al corso, andavano senza ordine, la statura era mediocre tendente piuttosto al piccolo che al grande, avevano un piccolo tamburetto e senza zuffoli. Erano tutti giovinastri di 25 alli 30 anni.
Servivano di avvanguardia all’armata grossa ed erano piuttosto esploratori e cacciatori che soldati di linea. Pernotarono nel Borgo e la mattina delli 10 partirono verso Bologna. Sull’alta ora non molto, arrivò un ufficiale detto Guartier Mastro con altri seco, visitò tutte le case buone del paese e le ordinarie, distribuendone li quartieri colla intelligenza della comunità, secondo il grado, così fece nei palazzi Malvezzi, Calderini, Malvasia e Locatelli in Castello, nel Borgo in casa Riguzzi Gini.
Li 13 d. , domenica delle Pentecoste, l’armata composta di vari regimenti che formavano un corpo di 45 mila combattenti, parte fanteria parte cavalleria, cominciò di buon mattino ad arrivare. Nel palazzo Malvezzi che è il primo edificio alla sinistra dell’ingresso maggiore del Castello presso la torre, fu collocato il generalissimo, Conte di Montemar, il Generale Castrapignano napoletano nel palazzo Malvasia, li altri ufficiali furono collocati nelle case de particolari, la soldatesca si avvanzò nelle vicine campagne del comune nostro e equamente nel comune di Liano di sotto alla possidenza Tomba del Conte Tedeschi e nelle vicine nostre praterie.
Tutta l’artiglieria, munizioni bagagli ecc. furono fermati in Castello. Per non esservi in paese bastevole previsione per la truppa, il reggimento Chiudè composto di 22 mila combattenti fra cavalli e fanti, che arrivò alquanti giorni dopo inpensatamente doppo la partenza del Generalissimo Montemar, intimò un sacheggio alle familie del paese. Lorenzo Conti, uno del Corpo comunitativo, deputato proveditore alla vettuaria, in un momento fece improntare ventidue mille pagnote e poichè non vi erano forni nel paese bastevoli , si ripartì la cottura del pane ai forni de contadini, così in poche ore fu quietato tutto il rumore e lodato il Conti da quel Generale, furono tutte a tre le soste a giungere queste truppe. Mancavano ancora li foraggi, onde la cavalleria fu sparsa sopra le vicine praterie e beni della Comenda di Malta all’Osteria Grande. In questo grande scompilio non si poterono fare le consuete funzioni e pochi andarono alla messa.
Li 14 maggio, seconda festa di Pentecoste in età d’anni 76 morì Pier Antonio qd. Ottaviano Cavazza, mio avo paterno, quale p. il gran tumulto di popolo, fu portato alla sepoltura nella chiesa di S. Bartolomeo tenendosi la stessa da fuori del Castello dietro la fossa, reintrando in Castello per porta Montanara.
Li fieni erano divenuti tanto scarsi, che la soldatesca tentava tagliare li grani verdi. p. ciò intimato alla Comunità, questa per riparare ad un tanto disordine fece un riparto di contribuzione a tutti li villani di doverne somministrare dalle loro teggie e fu una discreta contribuzione così fu quietato anco questo rumore.
Partì poi l’armata il giovedì e venerdì seguente alla volta di Bologna.
Alli 26 d. Francesco Lapi cameriere maggiore del Regimento reale spagnolo, infermatosi gravemente se ne morì e fu sepolto decorosamente nelle parochiale trovandosi ancor quivi il Colonello Besler di Legazione Elvezia.
La truppa acennata oltrepassando Bologna, passò nel modenese e si accampò in vari luoghi vicino al Panaro per poscia passarlo, ma non potendolo a cagione dell’armata tedesca e savojarda che contemporamente teneva in moto li spagnoli con scorrerie, batterie e bottino e per la artigliaria che aveva piantata in riva al fiume, fu necessitata l’armata spagnola rispedire alla volta del bolognese il miglior bagaglio guardato da non poca truppa, onde ritornandosene verso la Romagna alli 14 giugno giunsero a Castel S. Pietro inseguiti da tedeschi e la notte seguente partirono li spagnoli per la Romagna fino a Rimini.
Li 16 giugno fra le ore 21 2e 22 cadde una saetta nel campaniletto di questi cappuccini di Castel S. Pietro, che penetrando nel coro schiantò la chiave di ferro che teneva legati li muri e poscia passando nella chiesa strusciò attorno il bel quadro dell’altare maggiore , opera di Lucio Massari, che di molto patì per il fumo. Lambì tutto l’oro della cornice che vi era attorno, matrattò le scafette dell’altare, il tabernacolo e finalmente si perdette sotterra presso il palio del d. altare in cornu epistola.
In frattanto fu presa la fortezza di Mordano ed indi quella della Mirandola dalli savojardi e da tedeschi essendo generalissimo delle due armate il Re sardo Duca di Savoja e Traun generale della armata tedesca aleata e subordinata alla savojarda.
Per il secondo semestre entrò consolo Francesco Antonio Vanti e, siccome di continuo conveniva comandare li poveri contadini del nostro comune a condurre con le carra e bestiame loro li bagagli de soldati, la Comunità, comiserando la loro condizione, riccorse al legato ed alla Assunteria di Governo per essere facoltizata comprare sei carri con un paro bovi per ogni carro e di questi provasersene al bisogno. Aderì l’uno e l’altra all’istanza e si spese p. ciò la somma di lire due milla quattrocento quaranta sette e soldi 10, monete de Bologna e così ciò scelto la Comunità se ne prevalse ai bisogni pubblici per le correnti contingenze e così sollevò li suoi contadini.
Uditasi la presa delle fortezze sudd. uno staccamento di spagnoli, che si era fortificato al Bondenno verso il ferrarese, passato il Panaro si ritirarono p. non essere prese in mezzo dalle due armate nemiche e fuggirono ad Argenta.
Ciò intesosi dalli tedeschi, ussari, croatti e savojardi si rissolsero perseguitarli. Una parte di usseri e croatti le inseguì per le parti di Argenta e li tedeschi colli altri aleati, che erano de 40 mila, li inseguirono p. la parte di Bologna divisi in due colonne. La prima composta dall’armata savojarda, preceduta dal Re sardo giunse a Castel S. Pietro li 30 lulio e alloggiò in questo palazzo Locatelli, aveva seco una bellissima e numerosa artiglieria, la quale fece estendere fuori di d. palazzo su la riviera della fossa del Castello che guardava il Silaro e la via romana.
La notte seguente ebbe la marchia e partì sul far del giorno delli 31 d. col med. Re alla volta d’Imola, che fu il martedì. Imediatamente allogiata il Re colla sua armata, giunse a C. S. Pietro su le ore 12 circa italiane , l’armata tedesca preceduta dal Conte Traun, composta di 33 mila combattenti ussari e croati. Abitò egli pure nel Palazzo Locatelli, stette quivi fino alli 7 agosto, giorno di venerdì di dove partì per Imola.
In tempo che passavano queste due armate si vendette il vino in Cas. S. Pietro sc. 13 la corba.
Li soldati furoregiavano e rubbavano alli poveri contadini, facendo gran danno alla canpagna finché stettero quivi.
Li 7 agosto passò l’artigliaria maggiore col seguito di molti carra di munizioni da guerra. Il bagaglio però ed il seguito che avevano li spagnoli di cariaggi e muli fu assai migliore e meraviglioso per la quantità e richezza, ma con tuttociò fu superata da quello de tedeschi e savojardi.
Li 17 agosto venerdì cominciarono a ritornare addietro le truppe savojarde che colle tedesche si erano avvanzate fino a Rimini per inseguire li spagnoli fortificati intorno a quella città, li quali d’ivi fuggirono doppo qualche giorno. Accampati li tedeschi a Cesena co’ savojardi ritornarono in queste parti e passato direttivamente il nostro Borgo, si accamparono all’Osteria Grande verso Bologna cioè alla Quaderna.
Il giorno seguente 18 ritornò addietro la artigliaria maggiore, si fermò a Castel S. Pietro colle truppe savojarde e piemontesi, ove fece riposo. In questo mentre giunse l’artigliaria picola e li 21 d. giunsero altre truppe savojarde che stettero quivi accampate fuori del Castello fino alli 23 nel qual giorno essendo giovedì arrivò il Re sardo con altre truppe, ove pernotato nel palazzo Locatelli se ne partì per Bologna e dappoi giunsero le truppe dal Piemonte, riposarono questi fino al sabbato.
La domenica seguente poichè fu li 26 agosto giunse il generale Traun con parte della sua truppa ed alloggiò nel palazzo Locatelli, dove pernotato, partì il giorno seguente per Bologna, alla cui partenza sucesse il resto della truppa tedesca, cioè croati ed ussari a cavallo che restarono quivi fino al mercoledì mattina.
Questo ritorno reccò gran danno ai contadini, sia di campagna come nel Castello commisero molti mali.
Li 16 settembre domenica, non ostante il passaggio di queste truppe, li frati di S. Bartolomeo fecero la processione alla statua di S. Nicola per il Castello e Borgo cola sola compagnia del Suffragio e del SS.mo.
Morì li 17 settembre Taddeo qd. Giuseppe Stialti in patria. lasciò un filio maschio unico col nome di Giuseppe, che per essere di età tenera passò presso il zio paterno D. Francesco Stialti arciprete di Calcara, uomo dotto non meno che dabbene nel qual paese si fece molto amare e reidificò quasi tutta la canonica e chiesa e stette fino alla morte col nipote sud., che ora ha piantato casa in Bologna e perciò Castel S. Pietro ha perduto questa familia di bon nome ed antica.
Adi primo ottobre giunsero in questo loco 3 mila crovati ed ussari a cavallo venuti dal modenese, accamparono tutti fuori dall’abitato ed il dì seguente andarono ad Imola.
Il giorno 7 ottobre, domenica del Rosario giunsero 150 usseri a Castel S. Pietro, staccamento delli sud. 3 mila, li quali ritornavano adietro da Faenza avendo veduto ivi li spagnoli. La mattina seguente andarono a Bologna e le sud. 3 mila calarono verso Lugo.
Fintanto che si operavano li sudd. movimenti militari, fu rivocato dalla condotta militare il generale Conte di Montemar spagnolo colli altri ufficiali in Ispagna.
Il giorno delli 12 ottobre, verso le ore 22 circa giunsero a Castel S. Pietro fra fanti e cavalli spagnoli e micheletti che venivano di Imola, ritornando di dove erano fuggiti. Si fermarono tutto il dì seguente e la mattina delli 15 partirono ed il di seguente sulle ore 17, li 14 ottobre, giunse il grosso dell’armata composta di 12 mila combattenti fra cavalli e fanti.
Tutta questa truppa stette entro il Castello e Borgo e poi partì ed il giorno immediato venne altra truppa spagnola che direttivamente passando pel Borgo una parte andò verso l’Osteria grande e una parte si fermò fuori dell’abitato, motivo per cui vi fu grande confusione.
Il suo Generale fu il Principe Giovan Battista de Gages del reggimento Regina, suceduto nel posto del Conte di Montemar. Egli entrò in Castello ed abitò nel palazzo Malvezzi, poi partì il giorno seguente per Bologna ove stette fino alli 6 dicembre, nel qual giorno giunsero a Castel S. Pietro 480 cavalli con molti muli carichi di bagaglio e robbe e poi partirono la mattina seguente per dar luogo ad altri 456 cavalli spagnoli che poi stettero in questo paese tutto l’inverno.
Per questa occasione si chiusero alla porta del Castello inferiore li rastelli colle sentinelle e nel Borgo tanto nell’ingresso a levante al Portone, quanto al ponente all’ultimo portico, vi misero le sentinelle. La via Maggiore entro il Castello, a motivo del gran passaggio delli ordegni, cariagi, carra, birozze ecc., erasi guasta in tale maniera che ne tempi cattivi era impraticabile, onde ne fu fatto ricorso al Governo di Bologna, il quale pensò tosto al provedimento col farla seliciare.
Fu perciò fatto un Campione delli fronteggianti padroni di case per obligarli, come seguì, alla sola paga delle maestranze, ed il materiale fu concesso gratis dalla Comunità. Il Campione fu ultimato su la fine di novembre entro il qual mese morì M.. Annunziata Cavazza sorelle di me Ercole Cavazza, scrittore delle presenti memorie.
Non bastarono li disturbi militari alla mia familia e la perdita avuta dell’avo Pier Antonio Cavazza, come scrissi ed alli liti civili a motivo di confini e scoli di chiaviche in questo loco colla familia Lugatti, che vi si aggiunse questa amarezza, che diede l’ultimo tracollo al mio genitore, onde fra non molto vi mise ancor esso la vita.

(1743) Estratto Consolo per il presente primo semestre Domenico Gordini e Podestà Cesare Marsigli per tutto l’anno presente 1743. L’uno e l’altro acettarono la Carica.
Sotto il Governo di questi due sogetti, svernandosi quivi la Armata grossa spagnola sia pedestre che cavalleria, la quale stava sotto li portici del Castello e Borgo, che dalla parte della strada venivano diffesi con stuore dalla pioggia, neve e venti e conveniva alla popolazione caminare allo scoperto e in mezzo alla strada.
Morì nel dì 6 genaro, in meno di 5 giorni, Francesco Cavazza in età di anni 55, padre di me Ercole Cavazza scrittore di questa memoria.
Fu uomo che per la sua lepidezza, prontezza di rispetto, non pusilanime, amico del bon conversare, che fu dispiaciuto a tutto il paese, mentre era facile con ogni grado di persone, fu bravissimo cacciatore e perciò amico delle prime case nobili di Bologna, ed aveva corispondenze con Roma con case prelatizie a motivo delle rare selvaticine e delli ucelli singulari di canto, che ne alevava di qualsivoglia specie.
Tenne, finchè visse, qualunque instrumento atto alla caciagione di volatili che di quadrupedi. Fu egli il terzo di questo nome nella mia casa, era già chierico minorista ed in conseguenza pratico della lingua latina, fece li suoi studi nel Colegio Seminario d’Imola, fu amato da quel prelato vescovo, che avevalo in tale considerazione che voleva amogliarlo con una figlia naturale del Card. Aceronboni, ma egli fu sempre ritroso, per avere avuto in oggetto ” il jungo pares”. Fu sepolto nella chiesa di S. Bartolomeo. Lasciò la moglie Remigia Graffi, donna di eguale pensare, a cui fu appoggiata tutta la cura e tutella dei due filli, me Ercole Cavazza e Rosa Cavazza.
Per il gran freddo morirono ancora molti soldati spagnoli che quivi svernarono sotto il comando del Principe di Gages, alloggiato in questo palazzo Malvezzi.
Il 31 d. arrivò l’ordine della marchia alli spagnoli, onde andarono tutti a Bologna, vi tennero dietro ancor quelli che erano in Imola con parte di fanteria, la quale arrivata alla Marescotta, ebbe ordine di retorno addietro a Castel S. Pietro di quartiere.
La prima notte stettero tutti nel Borgo e la mattina seguente si distribuirono dalla Comunità anco entro il Castello nelle case delli abitanti. Li spagnoli sudd., che seguirono il Principe di Gages, prima di partire lasciarono tutte le robbe loro nelle case ove avevano prima il quartiere, perchè si stimavano di andare a battaglia.
Il giorno poi di venerdì 8 febraro su le ore 20, si sentirono canonate indicanti la battaglia che seguì fra li spagnoli avvanzati colli tedeschi e sardi a Camposanto verso la Mirandola, durò il canonamento fino alle 3 di notte. Fu sanguinoso il conflitto e furono costretti li spagnoli ritirarsi di qua del Panaro, che prima avevano passato e dappoi tagliarono i ponti per non essere inseguiti da nemici.
Il numero de morti fu maggiore quello de spagnoli che de tedeschi, avendo li primi abbandonato il campo e lasciati molti prigioni in quello. La sera del dì seguente che fu il sabbato 9 febraro giunse a Castel S. Pietro un ferito dal campo, che portò varie nove e la mattina seguente partì per Imola. Li spagnoli sudd. che si erano inoltrati dalla parte di Bologna furono costretti ritornarsene a Castel S. Pietro ed Imola.
Adi 11 marzo, giorno di lunedì, un pichetto di Micheletti spagnoli venuti la domenica sera, fecero prigioni sul mezogiorno D. Carlo Bolis, Giovanni suo fratello e Giuseppe Bolis, di lui cugino, tutti di Castel S. Pietro, per ordine portato al Generale Gages che era quivi.
La sera stessa li questi Giovanni e Giuseppe padre e filio Bolis, furono condotti in carcere ad Imola. D. Carlo fu trattenuto per un giorno nel palazzo Malvezzi quivi. La stessa mattina del lunedì il Generale lo fece guardare con duplicate sentinelle per motivo di un novo Inviato il quale era parente del Card. Alberoni legato di Bologna.
Il giorno di giovedì seguente, 14 marzo, il medesimo Inviato fece fermare la posta che veniva di Bologna e aperte due lettere fra le altre, ritrovò in queste dirette a D. Giacomo Bolis, fratello delli camerati D. Carlo e Giovanni varie notizie di guerra che le dava il med. D. Giacomo, che trovavasi nell’armata tedesca a Modena, un’altra lettera era diretta ad Alessandro Alvisi crivellino detto: il Mondatore da grani, ed un’altra diretta alla di lui moglie Giulia Mansani, che abitavano nella stessa casa di Bolis in Borgo vicino alla abitazione delli med. Bolis.
Fu perciò in seguito circondata questa abitazione dalli Micheletti ove era solo la detta Giulia, mentre il marito da scaltro se ne era fuggito alla chiesa di questi P.P. Cappuccini. Il dì seguente lo stesso Inviato con alcuni Micheletti portossi al convento di questi P.P. Cappuccini ove si era rifugiato il d. Alvisi e lo fecero levare di chiesa, d’indi fu arestato e condotto nel Corpo di Guardia che si trovava in facia al d. palazzo Malvezzi.
La domenica seguente pure il med. Inviato fece fermare le lettere al corriere della posta e ne trattenne varie, si fece indi il proceso nel quale avendo il med. Alvisi confessato apertamente il fatto.
Si scoperse che D. Carlo aveva mandato una lettera, fra le altre, a D. Giacomo concernente li affari di guerra, la quale era stata scritta da un filio del d. Alessandro di età anni dieci circa, diretta a Modena nel tempo che la truppa spagnola partì di Bologna, d’Imola e da Castel S. Pietro per fare la guerra acennata. In questa lettera si avvisava la partenza improvisa del tutto.
Provato il fatto che li sud. D. Carlo, D. Giacomo e l’Alvisi erano spioni, mentre avvisavano del tutto il Campo tedesco, nel giorno 16, vigilia di S. Giuseppe 1743, venne l’ordine di dare il guasto alli beni di D. Bolis che erano: la Panzacchia e la Pelegrina con altri tereni posti nel comune di Castel S. Pietro ed il sacco ancora a questa loro casa, posta nella via Maggiore del Borgo che è quella che forma penisola contro la strada che guarda la chiesa di S. Pietro e col suo portico ecede la linea del porticato superiore dei Landi e poscia, dato il sacco, spianarla.
Venuto il giorno di S. Giuseppe andarono li soldati spagnoli a tagliare gli arbori e viti alla Panzachia e pascolare li grani colli cavalli ed altre bestie e devastare tutto quel fondo, fecero lo stesso al fondo Pellegrina e durarono tre giorni a travagliare in questo guasto, cosa che fece compassione a vedere così maltrattati d. fondi bene arborati. La demolizione e guasto della casa fu sospeso e ritirato l’ordine perchè li Bolis pagarono alla truppa tutto il pane e vino che abbisognò ai soldati guastatori per tutto il tempo del devastamento, che furono d. tre giorni.
In questa circostanza è da notare che il giorno che vennero li Micheletti a fare prigioni di sud. Bolis, il nomato D. Giacomo Bolis era venuto a Castel S. Pietro coraggiosamente ad esplorare li movimenti spagnoli travestito da ussaro con li postachi al viso, berettone in capo e scimitarra al fianco.
Stette nascosto nel convento di questi cappuccini fino al lunedì e nel mentre che imprigionavano li fratelli e nipote se ne fuggì al campo tedesco. In tale occasione furono aperte tutte le casse , armari e altri forzieri ai Bolis e levati tutti i danari che potettero avere li soldati, con ogni manuscritto e quant’altro parve alli med. spagnoli, mettendo il tutto sottosopra.
Li 28 d. partì da Castel S. Pietro il Comandante Ajeta con un stacamento di soldati, ed alquanti capitani per Bologna, lasciando però a Castel S. Pietro il bagaglio.
Li 24 marzo vennero le trupaglie dal campo spagnolo con molti feriti e malati, li quali tutti furono con la robba sudd. spediti in Romagna il dì 26 dello stesso mese.
Rimase solo in Castel S. Pietro il Generale Gages nel palazzo Malvezzi ed il Generale Sevesi, le loro truppe si attendarono nelle vicine campagne, anco sopra li seminati, recando non poco danno.
La mattina delli 27 partì detta truppa per Imola e si condusse seco D. Carlo e Giuseppe Bolis zio e nipote ed anco Alessandro Alvisi, lasciando in libertà la di lui mogliue Giulia Mangani.
Li 28 d. la mattina giunse a Castel S. Pietro uno staccamento di 30 Micheletti Regimento Regina poi la sera andarono in Romagna; non tardò molto ad inseguirli la truppa tedesca, inperciochè li 30 d. la sera giunsero 600 militari tedesschi fra ussari, schiavoni e croati a cavallo, tutta gente cattiva. Quivi fermati una giornata partirono il dì primo aprile per la Romagna.
Le consuete funzioni della chiesa mai si tralasciarono nè in publico, nè in privato quantunque interpolatamente quivi fossero le truppe, anzichè l’ultimo giorno di marzo essendo la domenica di Passione si tenne la solita festa del X.to non velato nel novo oratorio, ma solo si tralasciò la processione pel Borgo e Castello per non dar campo alla licenza militare de cattivi soldati a comettere nelle case e campagna in tempo di tali funzioni, furti, ladronecci e tanti altri mali, solo si diede la benedizione colla S. Imagine su la porta della chiesa.
Li 7 maggio a cagione di donna fu ucciso alla via romana Bonafede di Carlo Bonetti di questo Castello da Giorgio Foschi e Giacomo di Carlo Lazaro Andrini dello stesso Castello. L’omicidio seguì in faccia alla possessione Marazzo.
Li 18 dello stesso maggio si fece la consueta Rogazione colla S. Imagine di Poggio, si andò dalla Compagnia del SS.mo a prenderla in forma e così furono solennizzate li 20, 21, 22 detto con imenso popolo.
Esendo morto il Not. Giovan Battista Dalla Valle, uno del Corpo Comunicativo, chiese il suo posto alla Comunità Lorenzo Graffi e Domenico Ronchi, questi fu escluso ed accettato il Graffi, il quale entrò immediatamente in Consilio senza dipendere dal Senato.
Estratto Consolo Lorenzo Conti il di 24 giugno prese il possesso il di primo lulio.
Essendo molto decadute le bestie, che avevano servito per il comando delle truppe, furono vendute all’incanto, sopra di esse vi fu una perdita di lire mille e venti di quattrini sc.1020, la quale fu messa in comparto a soli contadini del nostro territorio di Castel S. Pietro a ragione del Corbatico di sementazione in parte rusticale, giachè dovevano essi soministrare le sue bestie nelli comandi, de quali furono esentati per il passaggio delle truppe.
Li 27 agosto venne a Castel S. Pietro uno staccamento di 30 ussari tedeschi, li quali accomparono presso il ponte del Silaro e del canale sopra la via romana ed alle bocche della via di Castel Guelfo presso la celetta di M.V. di Loreto detto “la Madonina di Carnona” vi fecero il Corpo di Guardia nella vicina casa rusticale abitata di certo Domenico Molinari, uomo assai pingue, d’onde perciò fu detto per sopranome “Carnona” cioè carne grossa, uomo però dabbene devoto di questa S. Imagine, avvanti la quale ogni sabbato sera vi faceva ardere un picolo lumino finchè ivi stette.
In questa posizione accamparono li sudetti ussari in qualità di posto avanzato fino al giorno 6 di settembre. aspettando di bottinare in questo posto le provisioni destinate alla truppa spagnola , poichè essendo Proveditore l’accennato Lorenzo Conti faceva venire le robbe di Massa Lombarda. Dispiacendole questo incarico nella di lui persona, li ussari sudd., la notte stessa delli 6 settembre entrarono una parte in di lui casa e le fecero una rigorosa perquisizione per vedere se ritrovavano qualche intelligenza colli spagnoli, mentre egli era stato un di loro Proveditore di biade.
Nulla trovandovi, lo fecero prigione ciò non ostante e lo condussero al Campo con un sacco di carte, ma nulla trovandovi, fu messo in libertà e tutto le fu restituito il dì seguente, vigilia della Madonna e poscia gli usseri sud. partirono per Bologna.
Li 15 settembre domenica doppo l’ottava della festa di S. Nicola da Tolentino, si fece da questi frati di S. Bartolomeo la processione con la statua dello stesso santo per il Castello e Borgo senza l’intervento dell’arciprete o suo viceparente e clero nel modo dell’anno scorso e così si diede stato a questa funzione la quale si titubava volesse impedire l’arciprete e per ciò fu mai più impugnata.
Siccome le guerre per lo più sogliono portare in conseguenza contagi ed epidemie pestilenziali, si intese quindi che dalla parte del veneziano si era scoperta la peste che faceva strage nei corpi umani, massime in Messina dove che si era anco propagata fuori da quella città. La Santità perciò di Benedetto XIV mandò indulgenze grandi per li suoi Stati, così fece specialmente nel bolognese in forma di Giubileo con l’amettere ai Tesori di S. Chiesa tutti quelli che confessati e comunicati, fossero intervenuti ad una di quelle processioni che venissero intimate dal vicario eclesiastico. In seguito di ciò il giorno 22 settembre fu determinata per Castel S. Pietro questa divozione, la quale fu eseguita colla possibile divozione del clero secolare, regolare, Corpo Comunicativo e compagnie tutte laicali, le quali corporazioni tutte portavano in vece di stendardi un X.to grande inalberato colla palma in cima alla croce. Andarono tutte queste Corporazioni in forma cappata regolarmente alla visita delle sette chiese del paese cantando in voce lugubre il salmo Miserere.
Alli 2 ottobre, prima domenica del mese, venne a Castel S. Pietro un comissario tedesco con un ajutante seco in Bologna, per fare provisioni il lunedì seguente di grani ed altri generi per l’armata austriaca, che doveva arrivare a momenti.
Ordinò ancora la Tappa, dopo avere fatto la provista menzionata in bona quantità di biada, ordinò li foraggi e dispose li quartieri; sucessivamente il di seguente 3 ottobre giunse uno squadrone di 500 Schiavoni da Bologna a piedi, che stettero quivi in Castello e Borgo fino al giorno 12 nel quale, benchè piovesse fortemente partirono p. Romagna. Slogiati questi il giorno 19, vennero al med. Castello una gran parte dell’armata tedesca col generale Ludocovix col segretario della regina Sig. Martin Pagative. Qui si fermarono la sola notte e la mattina seguente 20 ottobre partirono per Imola.
Appena partiti arrivò altra truppa tedesca ed allogiò parte nel Borgo e parte nel Castello, onde seguì non poca confusione mentre da Bologna fino a Castel S. Pietro era sparsa tutta l’armata tedesca. Nelli conventi, nelle sagrestie e nelle case si stava a messa e in due giorni furono 20 mila persone che quivi si fermarono.
Dalla metà di questo mese fino alli 7 di marzo 1744 , passarono sempre reclute ora di un regimento, ora di un altro avvanzo di tedeschi, che andavano ad unirsi ad altre truppe nella Romagna.
Ma poiché, doppo la battaglia sud. erano stanchi di guereggiare, perciò seguivano molte diserzioni. A porre pertanto riparo a questo disordine, massime in queste parti per la comodità della boscaglia, fu inventata una truppa volante, a cui fu dato il nome di Guardia Franca.
l’officio di questa era di fermare ed arrestare li disertori e consegnarli alla nazione militare. Non aveva questa Guardia altro distintivo che la cocarda nel capello di quel Sovrano sotto di cui si era ingaggiata; tirava il soldo all’uso de militari, quando marciava in traccia ora di un soldato disertore o un nemico del proprio Sovrano, caminava con fucile e pistola senza uniforme e quando veniva uno o più arrestati, venivano consegnati al suo regimento. Caminava ad uso di patuglia, ora cinque ora sei ed ora sette uomini e non più. Godeva alti privilegi ed era assai rispettato ed aveva il suo capo.
In Castel S. Pietro si formò la prima, capo della quale fu Giorgio Foschi e le fu dato il nome di Caporale. Era giovine di persona adulta, agile e ben colorito, pronto ad ogni destrezza corporale, arrolò seco li seguenti giovinastri, tutti bravi di sua vista, cioè Antonio Quartieri d. Cardelino, Omobono Varani, Giacomo Marchesi detto: l’Erede, Domenico Andrini D. Taglialograno, Giovanni Neri d. Tassone, Paolo Ragni d. Boletta e Giacomo Andrini che poi fuggì a Modena per l’accennato omicidio di Bonafede Bonetti.
A questo complesso ne aggregarono altri, che formarono un altro corpo, de quali a suo loco se ne avrà menzione, chiamavansi anco cacciatori. Durante la guerra furono ardimentosi in modo che non vi era occasione militare che non vi si attaccassero ed arrischiassero la vita, così che alquanti di essi si arolarono alla truppa di linea fra non molto.
Contemporaneamente altri paesani imitando il coraggio di quelli, ed alettati dalla licenza militare, presero il soldo sotto diversi regimenti secondo il loro genio e ne servirono a suo loco.
Morì in quest’anno Francesco Mondini, uomo di molta riputazione e stima onde nel consilio Comunitativo restò vacante il di lui posto anco di segretario.

(1744) Giunto l’anno 1744 cominciò il suo consolato Giacomo Bertuzzi e fu Podestà in tutto l’anno Maria Francesco Melchiorre filio del senatore Girolamo Guastavillani e poichè il d. Bertuzzi estratto consolo non poteva attendere alle brighe del consolato e nello stesso tempo alla giusdicenza del paese essendo Notaio, fece esercitare il suo officio di consolo al Cap. Francesco Vanti col rilascio del proprio onorario.
Li 6 genaro attesa la vacanza de posto del su riferito Francesco Maria Mondini, subentrò Vincenzo Maria di lui primogenito.
La Compagnia del Conte Sinler tedesco del regimento pedestre del Conte Enrico Daun ungaro, essendo in Castel S. Pietro di quartiere fece non pochi danni alla campagna per la legna, onde scaldarsi, perchè era scarso l’assegno che le veniva fatto, onde ancor per questo morirono molti soldati come si può rillevare dal Lib mortuori della parocchiale, morì anco in questo tempo Pier Lazzaro Gattia, campanaro ed orologiere della Comunità, per tale morte , come che la Comunità eleggeva per questo ministro, pretese perciò l’arciprete di creare esso il ministro, senza presentarlo alla Comunità in compagnia di altri due soggetti, al qual effetto nominò soltanto Sebastiano Menarini.
Ciò sentendo la Comunità replicò al paroco che essendo tanto l’orologio della popolazione, come la campana nel campanile, intendeva ella come rappresentante il popolo , procedere alla elezione, conforme il consueto. Tale risposta dispiacendo all’arciprete, fu costretta la Comunità mandare il suo donzello a caricare l’orologio che esisteva in una piccola torretta posta nell’angolo della facciata della chiesa sopra il cemetero.
Inerito l’arciprete di questa rissoluzione comunitativa fece chiudere la porte al campanile, per la scala del quale si ascendeva a d. torretta ed orologio, onde stette il paese per tre settimane senza ascoltar ore.
La Comunità stancata ricorse al vescovato affinchè fosse proveduto al disordine come seguì e diremo.
In questo tempo si cominciò a vedere circa la metà di febraro dalla parte di levante un’altra stella cometa nel cielo, la quale aveva una lunghissima coda che a nostra vista sembrava di misura dieci pertiche, faceva più orrore dell’altra, si rivolgeva verso la Romagna, cominciava a nascere a mezza ora di notte e poi cadeva e si dileguava in ponente a mezanotte. Durò un mese e mezo circa a farsi vedere.
il di 26 cadente febraro Giuseppe Rinaldi qd. Giovanni e non Domenico come per errore è stato posto nella lapide, morì in questa sua patria di Castel S. Pietro, non ebbe passione alcuna ed in esso si estinse il suo ricco casato. Fu non meno devoto nella sua professione di farmacologo che di chirurgia, accompagnato da una grande carità inverso i giovani. Fu grandissimo benefattore della sua Compagnia del SS.mo della quale, comiserando le sue ristrettezze e debiti fatti per la nova fabbrica della chiesa e oratorio, le lasciò nel suo ultimo testamento tre morelli di terreno, le fu perciò fatta la seguente inscrizione dal segretario Alessandro Fabbri suo congiunto ed amico, che si vede incastrata nell’oratorio med.
AE. . . C.
MDCCXLIV — XXVIII Februari
Josepho Rainaldo Dominici filio
uni e deodecemviris Castri S. Petri
quod Paupeum. Morbis misericorditer curandi
Chirurgica Ope, qua plurimum polluit
semper presto fuerit
Quod eorumdem necesitatibus sublevandis
suis ipse rebus nunquam pepercerit
Quod locum hunc
cui primum extruendo
pro sua in deum pietate
solertissima officia, et non modicam pecuniam
vivans contulerat
honesto moriens legato ditaverit
societas SS. Corporis Christi
fra… de pauperibus aequo de se benemerentibus
hoc monumentum posuit
Cecilia Santini eiusdem conjugo procuranta
Li 7 marzo finalmente alle ore 15 l’armata tedesca, che si era quivi svernata se ne partì per Romagna alla volta di Veletri ove era il Re di Napoli colla armata sua.
La domenica poi precedente alle Rogazioni, giunse di Bologna a Castel S. Pietro una truppa di 1600 uomini armati detti: Alicani, li quali tosto partirono ed andarono ad unirsi all’armata austriaca. Medesimamente doppo due giorni arivò altra truppa di 1500 Alicani, che si unirono ad altri incaminandosi per Veletri, era tuttta cavalleria, ove stettero fino al principio di novembre facendo in quelle parti varie scaramucce.
Essendo mal diffeso codesto cemetero parochiale, non avendo alcun contorno nè siepe pure, essendo ruinato il muro, si pensò farlo novamente circondare e chiudere. Le providenze che si presero furono di ricorrere alla Comunità ed al Comendatore di Malta, possidenti vicino. Nè l’uno, nè l’altra si ritirarono di concorrere alla spesa, si cominciarono perciò a fare provviste di materiali.
Li 24 giugno sortì Consolo per il venturo secondo semestre Giuseppe Rinaldi, che per essere defunto eseguì la sua veci il proconsolo Giacomo Bertuzzi.
Adi primo lulio mercoledì ad una ora di notte vennero a Castel S. Pietro il senatore Bertozza, il sen. Orsi con molti nobili e cavalleggeri per incontrare il novo Legato Giorgio Doria. La mattina seguente andarono tutti in forma alli nostri confini, ove era preparato il solito Albergo. Quivi arrivato e fatta le solite ceremonie fu introdotto al Castello e condotto al palazzo Locatelli ove fu banchettato, poi alle ore 19 partì per Bologna.
Nel mese di agosto in questa città prese la laurea dottorale in filosofia e medicina l’egregio giovine Giacomo di Lorenzo Conti, che per essere filio di un comunista, la pubblica Rappresentanza contestò il suo giubilo al med. con poesia stampata.
Li 22 ottobre cominciossi a porre mano alla fabbrica del circondario al cemetero sud. tutta la lunghezza del muro fronteggiante la strada che porta a piazza Saragozza, ora piazza di S. Francesco, fu fatta a spese della Comenda di S. Giovanni Battista detta della Masone di Castel S. Pietro, la quale in vista di questo lavoro piantato sopra li fondamenti di altro antico muro, acquistò la padronanza già da essa (abolita) ab imemorabili; in segno di che vi fece collocare nelli angoli e nel mezo lo stema comendatizio inciso in macigno, rapresentante la croce, così pure simile croce di ferro fece inalberare sopra li due angoli accennati.
Per l’altro muro di faciata alla strada ove è l’ingresso del Cemetero, fece tutta la spesa la Comunità, la quale perchè non fosse gravata la sua popolazione, concorse e fece la spesa la med. Corporazione osiano li individui componenti della med. col rilasciare il rassegno onorario di Consolo, che era di scudi sei a soggetto che furono scudi settantadue e così rimase la Comunità in possesso delli suoi diritti; risulta ciò dalle carte ed atti comunitativi.
Rottasi la campana maggiore delli frati di S. Bartolomeo nel suo campanile, furono perciò rifatte tutte e tre per acompagnare il suono, essendo Priore il P. Giuseppe dalla Valle, che fu poi confermato per un altro triennio, essendo provinciale il P. Angiolo Conta… da Ravenna. La spesa delle quali campane fu fatta colla magior parte di sovenzioni delle due Compagnie del Suffragio e Centura, erette nella chiesa de sudd. frati, come si legge nelle falde della campana sud.
Raddunatasi la armata austriaca nelle vicinanze di Veletri, facendo in quei contorni scorrerie e scaramuccie li Alicani e Croati a cavallo contro li spagnoli, una notte fra le altre in novembre riescì a questi di sforzare le porte della città, onde entrati, cominciarono ad introdursi altri tedeschi, cosichè cominciò quivi una furiosa battaglia.
Il Re di Napoli, il Generale de spagnoli ed il Duca di Modena, che ivi pernottavano placidamente, non temendo un simile fatto, svegliati e travestiti ebbero la sorte di fuggire a motivo che li alicani, invece di attendere a questa presa, si perdettero a bottinare e molto più che tardò ad arrivare la cavallaria austriaca per soccorrere li suoi attaccati co’ spagnoli e così convenne loro la ritirata per non essere tutti sacrificati dalla moltitudine de spagnoli che si erano uniti.
Li nacque p. tanto che avvanzandosi la stagione ritornarono addietro li austriaci e fu avvisato che si sarebbe gran parte di essi svernata nel bolognese e Romagna, di fatti li 8 dicembre cominciarono ad arrivare a Castel S. Pietro truppe ed alli 13 d. arrivò l’ultimo reggimento condotto dal Generale Marulli, dove stette fino alli 23 marzo 1745, avendo seco parte della artigliaria guardata dal tenete Pajaot ed altri artiglieri.
Adi 27 decembre fu estratto consolo per il venturo semestre Sante Alberici, quale per essersi stabilito in Bologna, fu ricercato dalla Comunità acciò rimpatriasse per compiere il suo ministero, oppure rinonciasse totalmente al posto di consiliere.
Ricusò la rinoncia, anzichè speranzò il suo ritorno, nè solo acconsentì che si procedesse ad altra estrazione, ma comminò di ricorso la Comunità contro esso se prontamente non eseguiva li suoi doveri, per la qual cosa rinonciò liberamente la carica di Consolo ed il posto di pubblico rappresentante.
Stanti li pattimenti fatti da poveri soldati nelle passate fazioni militari, molti si infirmarono quivi, per cui temevasi una influenza e molti andarono al sepolcro e così si chiuse l’anno 1744.

(1745) Attesa dunque la rinoncia di Sante Alberici fu estratto Consolo Francesco qd. Domenico Dall’Oppio, recente comunista e già primo cameriere del defunto Principe Galeotto Pichi ed assunse la sua carica, fu pure Podestà il Conte Lodovico Bonfilioli.
Li 4 genaro lunedì nel campo della Baruffa, fuori di porta Montanara, adesivamente alla pubblica strada che porta alla fontana della Fegatella furono moschettati un canoniere e un disertore tedeschi del regimento Marulli, che quivi svernava.
Questi poveri sventurati furono de primi arrestati dalla nostra Guardia Franca di Castel S. Pietro nello scorso anno, per tale aresto furono premiati dal Generale. Per questo successo, fatta più ardimentosa la Guardia pred. sotto la condotta del caporale Giorgio Foschi, inventore della med. al sevigio tedesco per tutto lo stato eclesiastico, cominciò a crescere di grado, quindi si fece nominare capo squadra, avendo in conseguenza altri volontari del paese, fino al n. di diciotto suoi pari, fra i quali Antonio qd. Giovanni Varani, Giacomo qd. Pier Giacomo Cos.., Giovanni Neri detto Tassone, Domenico Passarini, Francesco Paderna detto Scanadiavolo, Antonio Camaggi detto Balatrone, Giovanni Castellari detto Mariotto e Giovanni Moretti detto Bellapunta, Giuseppe Tomba detto Pantello, con altri pezzi di carne umana cattiva.
Non andava giorno che costoro non avessero qualche novità. Avutasi notizia da questi che fuggivano quattro soldati dal reggimento Marulli verso la nostra pianura tenendo la via di Castel Guelfo, il sud. Pantello, Balatrone , Scanadiavolo con Bellapunta, armati di sola sciabola, si misero ad inseguirli e difatti raggiunti alla Torre del Gaggio cominciarono a farle alto, ma non poterono li nostri farle ressistenza, essendo tutti armati egualmente di sola arma bianca, cosichè riescì a due dissertori fuggirsene.
Abblocati li altri due rimasti nella casa della possessione sud., due della Guardia Franca venero a Castel S. Pietro a prendere rinforzo, infrattando, essendo le forze eguali, riescì alli blocati fugire e prendere la via di Romagna, ascesero senza accorgersene a (arrivare) nella vicina via romana, giungendo alla via de confini del nostro territorio con quello di Dozza.
Si incamminarono alla Toscanella, furono quivi raggiunti e con essi arrivato Giorgio Toschi, Omobono Varani e Giovanni Neri Tassone fecero alto per fermarli, ma li disertori convenne che cadessero al maggior numero, tanto piu che Tassone aveva ferito uno di quelli con una archibugiata e così fermati furono condotti a Castel S. Pietro, di dove poi furono spediti a Modena.
Furono questi poveretti di tutto svalligiati dalla Guardia, la quale oltre il bottino ripartì scudi sette per ciascuno delli 4 arrestati, che tale era la legge ed il premio.
Questo fatto seguì nell’aprile in contratempo che la truppa austriaca partiva p. Bologna dopo il giorno settimo di aprile.
Il giorno seguente che fu li 9 dello stesso mese arrivò inpensatamente in Castel S. Pietro l’avvanguardia della cavalleria spagnola accompagnata dalli Micheletti e comeche la retroguardia delli austriaci era composta di alquanti ussari e croati, li quali per la loro temerità non si erano volsuti partire opportunamente e facevano caricare in questo borgo le provisioni fatte per li spagnoli, che dovevano fra giorni arrivare, furono per ciò li d. ussari e croati colti improvisamente dalli Micheletti sud. di avvanguardia nel nostro Borgo, onde volendosene fuggire li primi, si appiccò una spietata baruffa fra loro, che furono seguiti per la strada di Bologna due miglia, ed infino alla Masone, dove rimasero prigionieri fra sani e feriti 48 delli austriaci non computando li morti al N. di 40 e delli spagnoli uno solo morto e pochi feriti p. chè li Micheletti per la loro sveltezza di persona presero li posti della strada e le sciepi, così che questa retroguardia austriaca fu dissipata e bottinata delle biade che portavano via colle altre provigioni.
Furono li prigionieri austriaci tosto condotti in Castello e furono schierati nella pubblica piazza a sedere sopra un lungo murizuolo che esisteva nella med. in linea della strada maggiore, di cui se ne vedono ora li soli fondamenti. Produssero questi diseventurati molto orrore alla popolazione nostra, poichè si vedeva chi senza un braccio, chi rotta una gamba, chi ambe le braccia, chi le mani e chi offeso il capo, tutti grondanti di sangue.
Fu providenza che la truppa spagnola fosse lenta nell’arrivo costà, poichè se affrettava un’ora il viaggio seguiva una sanguinosa battaglia in questo loco, mentreche arrivarono poscia settemilla spagnoli fra fanti e cavalli.
Per la sverna fatta in questo loco dalla truppa tedesca, la quale pressentendo l’inseguimento de spagnoli, sprovide il paese di tutti li foraggi possibili, acciò il nemico non avesse sussistenza, trovavasi p. ciò in gravissimo pericolo la populazione e tutto il paese, per la qual cosa la Pubblica Rappresentanza per riparare ad un disordine funestissimo, spedì il suo Massaro colli Esecutori a tutti li famili e cassine del suo Commune a prendere una nota di pressata del quantitativo di fieni e strami di ogni sorte.
Li 22 d. doppo essere passate varie reclute ispane, ritornò a ripassare addietro in questo Borgo tutta la artigliaria spagnola et andò ad Imola con molte carra di feriti e di munizioni di guerra.
Adì 22 d. doppo essere passate varie reclute ispane, tornò a ripassare in questo Borgo tutta la artigliaria spagnola et andò ad Imola con molte carra di feriti. Li usseri tedeschi al N. di 500 a cavallo, li inseguì fino a Castel Bolognese per varie strade facendo bottini.
Per la passata guerra essendo stata ruinata la croce di questi nostri cappuccini, che era di legno, ne fu sostituita nel suo posto, come ora si vede, un’altra di macigno il giorno 3 maggio dedicato alla Invenzione di S. Croce. Prima di inalberarla il guardiano locale fece un erudito e dotto discorso intorno all’innalberamento delle croci. Quella di legno levata fu la prima che quivi piantarono li cappuccini allorchè si stabilirono in questo loco e contava già un secolo.
Li 9 dello stesso mese arrivò a Castel S. Pietro il Generale delli Agostiniani. Andò nel Convento, fece la solita visita, fu contento de frati locali, poscia andò in Bologna per il Capitolo Santo in S. Giacomo.
Li 6 maggio giorno di giovedì accadde un misfatto in questa arcipretale e successivamente miracolo di M. V. Certo Domenico Barginelli del Piemonte abitante in questo Castello in qualità di gargione, con Giovanni Antonio Videtti fornaro pubblico di pan bianco nel forno della Comenda, si portò all’altare della B. V. del Bon Gesu in questa arcipretale nel tempo che si faceva la S. Comunione a diverse persone.
Quivi si accostò alla S. Eucarestia non conforme li altri devoti e simulando un gran fervore, prese la S. Particola in bocca come li altri cattolici. Dappoi volendo forse comettere qualche sacrilego fatto, la vomitò entro il proprio faccioletto senza che alcuno se ne accorgesse.
Fra breve spazio, simulato il ringraziamento, pensò sortire di chiesa, venuto all’atto pratico quando fu per sortire la porta maggiore della chiesa se le affacciò una bella Donna lattante un tenero fanciulino e selo oppose alla sortita. Costui credendo essere stato veduto da questa Donna vomitare la S. Particola, per non fare chiasso e così scoprire il suo reato, rivoltossi addietro e poi si trattenne qualche poco per aspettare che la donna opposta selo si svanisce e così egli sortire sicuramente.
Doppo mezo quarto d’ora tentò la sortita di chiesa dalla porta laterale della chiesa, ma eccoti di bel novo la stessa Donna col fanciullino che senza far parole se li oppone alla sortita. Cerca egli di andarsene per l’altra porta opposta di volo, che corrispondeva nella sagrestia, sottopassando il campanile dove che la Donna, per forza e virtù umana, non poteva assolutamente affacciarsi al med. per la distanza del viaggio e tempo che ci voleva, quivi pure imediatamente ed in un baleno si vide la stessa Donna affacciarsi ad esso vietando il passo, fece egli forza a se per sortire senza alcun insulto, ma indebolito da un tremore che tutto lo coperse, si sentì nel momento di alzare il piede sulla soglia dell’uscio una resistenza al piede e ripulsa al passo senza vedere da chi non potesse effettuare il suo dissegno.
Riconobbe da questi tre atti il suo enormissimo sacrilegio. Venuto in se stesso fece chiamare da un chierico il sacerdote custode della chiesa che era D. Luca Gordini, prete di singularissima pietà e divozione a questa S. Imagine del Bon Gesù, che prontamente si prestò alla chiamata. Manifestò il suo acaduto: di non potere sortire cioè di chiesa.
Ma come che il bon prete non era abilitato al ministero della penitenza, ricusò sentire il resto del fatto, onde fu chiamato il capellano parochiale D. Giuseppe Fantaguzzi. riferì al med. tutto l’accaduto e della particola vomitata e della ressistenza avuta per sortire dalla chiesa e di quanto aveva intenzionato esso Barginelli d’operare; restituì la particola al sacerdote, che collocolla con destrezza e sanza scandalo nella pisside della capella del Rosario, che fu poi fatta consumare al sacerdote D. Sebastiano Vanti senza sua saputa. Interogato poi il sacrilego se aveva cognizione di questa Donna e della particolarità di aspetto e vestito della med. lo manifestasse prontamente, rispose assomiliarsi tutta alla S. Imagine del Bon Gesù, anzi che fermamente credeva essere quella trasfigurata in questa bella Donna lattante il fanciullo che se le oppose, tanto più che colle (ostie) sagramentali del suo divin filio prese avvanti, lo med. aveva intenzionato comettere la maggiore enormità possibile, che nella propria patria diabolicamente l’era stata insegnata.
Ciò deposto in confessione, pregò il sacerdote confessore a svelarlo poscia che fosse partito da Castel S. Pietro, mentre già si era licenziato dal padrone Violetti, all’effetto di perfezionare la sua enormità e fuggirsene per non esser punito.
Volle il sacerdote assicurarsi di ciò, per non essere egli accusato di frazione di segillo ed a questo effetto tutto ciò fece ratificarlo avvanti il pred. pio sacerdote D. Luca Gordini. Divulgatosi poi a maggior gloria di Dio un tal fatto, crebbe la divozione di questo verso la S. Imagine in modo che quotidianamente orava avvanti la med. e finchè visse rado fu il giorno che non vi celebrasse avvanti ed insinuasse le persone a ricorrere a questa S. protettrice e dispensatrice di grazie, dalla quale ognuno che fiduciosamente vi riccorre resta consolato.
Avuta notizia Giorgio Foschi, capo squadra sud., nel mese di giugno che al ponte della Ronca sul faentino eravi un ingagiatore spagnolo con gente seco, ove reclutava volontari per servigio della sua truppa, il med. Foschi, colli accennate persone cioè Tassone, Varani, Bonetti, Gualtieri, Taglialopiano e Pandello, come già coraggiosamente azzardosi e fidi, presero il partito di portarsi collà ad arrestarlo.
Quindi diedero esecuzione il loro dissegno in questa guisa: nel dì 17 giugno presero 17 usseri tedeschi seco per retroguardia, che stavano distanti da essi un quarto di miglio, ed alle volte meno secondo la posizione de siti, poi si incaminarono a piedi a quella volta sul faentino. Giunti a portata del luogo, declinarono dalla via romana tanto che arrivarono di fianco all’ingagiatore, quindi intimanolle l’aresto, egli fu negativo.
Fu tosto dato il segno con una archibugiata di pistolla a li usseri li quali pionbandosi data la mossa ai cavalli, con strepito di voci spaventarono in tal guisa li reclutati che parte fece fuoco e parte si diede alla fuga. Nella fazione del foco fu solo l’ardore della Guardia, che avilito l’ingagiatore spagnolo si costituì prigione in mano della Guardia.
Li reclutati temendo che venisse l’armata grossa austriaca si unirono ad altri stacamenti spagnoli, che vedendo una così precipitosa fuga delli altri e credendo ad una falsa voce sparsa ad arte che veniva il grosso dell’armata tedesca, fugirono fino a Rimini, essendo inseguiti dalli usseri sudd. e loro partitanti che seco si unirono fino alli confini di Cesena, dove erano li corpi avvanzati dell’armata grossa spagnola, che era di campo a Rimini.
Intanto l’ingagiatore fu condotto al campo austriaco accompagnato dalla sola Guardia sud. che oltre al plauso riportò bon premio e quanti danari aveva seco l’ingagiatore furono ripartiti alla med. Guardia.
Doppo questo fatto il d. Foschi passò alla truppa di linea tedesca in qualità di caporale di una banda di uomini italiani, la maggior parte reclutati e tedeschi, seguì l’armata onorevolmente et andò alla gran battaglia nella Machia della Fajola poco distante da Veletri, la quale fu decisiva per la pace fra le potenze belligeranti.
Doppo di che sloggiarono le armate d’Italia, il Foschi abbandonò con bon servito del Generale Taun e si stabilì in Ancona l’anno 1758, dove ammogliossi con buona sorte, apprendo quivi negozio da canape.
Estratto Consolo Alessandro Sarti li 24 giugno, entrò in officio il dì primo lulio, nel qual tempo essendo divenuto vacante il posto di consiliere che copriva Giacomo Maria Bertuzzi, subentrò Giovanni Ventura Bertuzzi, parimenti notaio di lui congiunto col solo rescritto del Card. Legato.
Alli 10 novembre morì in Ferrara il P. Gian Francesco Castellari sacerdote capuccino da Castel S. Pietro in ottima opinione, per modo che in breve tempo nel quale visse nel suo instituto, operò quel che in lungo tempo non seppero operare, di esso ci risparmiamo quivi ripeterne lo elogio, avendone del med. fatta diffusa menzione nel nostro Raccolto di elogi alli Uomini e Donne di Castel S. Pietro chiari per opinione di santità.
Però affinchè il lettore di questi nostri scritti non abbia a mendicare una qualche indicazione del med., replichiamo quivi ciò che il Necrologio Cappuccino di esso ne parla: Die 10 9brj 1745 Ferrariae obiit P. Jo. Franciscus a Cas. S. P.ri Sacerdos studens, qui consumplus in brevi, explevit tempora multa.
Si cominciò novamente a sentire l’epidemia nelli bovini, onde si replicarono ancora le precauzioni passate in ogni luogo.
Lo spirito bellicoso e pugniale di partito nelle persone, massime nella gioventu facile a correre pericoli, si deve in questo luogo ed circostanze espresso.
Oltre li fatti militari sotto la condotta di Giorgio Foschi, vi furono anco altri giovani del nostro Castello, che avidi di gloria e trasportati dal Genio di Partito, presero le armi ed il soldo dalla Corona ispana nel tempo stesso che Giorgio Foschi serviva l’Austria e durarono nel soldo finchè fu terminata la guerra.
Fra questi furono Battista Mazzanti detto vulgarmente Orano, per essere stato al conflitto e presa di quella ben guardata piazza e fortezza coll’armi spagnole, del quale ne parlaremo a suo loco per trattarsi di una guerra posteriore alla presente.
Prosseguendo dunque il filo della presente guerra vi fu in essa a militare ancora sotto li stendardi spagnoli Giacomo Filippo qd. Michele Marchesi del nostro Castello, familia chiara per la sua origine ma oscura per li beni di fortuna. Questi adunque trovandosi in età di anni 17 abbandonò in questa epoca la patria, la familia e congiunti, si accompagnò con altri 2 patriotti cioè Antonio Passarini e Domenico Besoli, andati a Cesena dove era la cavalleria leggera spagnola del Regimento Regina, presero l’ingaggio in questa sotto il Colonello Silva e Capitano Marin, passarono di quivi in guarnigione a Pesaro, ove doppo 15 giorni vi sopravenne il Duca di Modena ed il Generale Gages per fare quivi la massa dell’esercito.
Nel mese di settembre, avendo questi principi poco distante l’armata austriaca che soggiornava in Rimini sotto il comando del generale Ludocovix tedesco, pensarono andare a batterlo ivi. Difatti formate otto colonne di cavalleria a dodici file in figura di battaglia, andarono alla volta di quella città tenendo la strada sopra le vicine montagne, ma come che sopravennero dirotte pioggie, non potendo salirlo conforme il divisato dissegno, ritornarono a Pesaro.
Nel seguente novembre cessata la pioggia arrivò l’ordine di marciare alla battaglia con 3.000 combattenti. L’avvanguardia fu comessa all’ajutante Santomengo sotto cui era passato il Marchesi co suoi colleghi Besoli e Passarini, andarono verso la Cattolica ove, giunti mezo miglio lontani da quella, trovarono le guardie avvanzate di un corpo di 2.000 usseri.
Si attaccò quivi colle sentinelle la baruffa su quella strada corriera romana, dalla parte superiore montana essendo calati li Micheletti e granatieri spagnoli, attaccarono di fianco li usseri, che già combatevano colla cavallaria spagnola. Non potendo resistere all’impeto e foco spagnolo, convenne alli austriaci abbandonare il campo, impadronitisi li spagnoli delle vettovaglie e minizioni che potettero avere, inseguirono li usseri fino al fiume Conca. Doppo questo fatto il campo spagnolo ritornò a Pesaro carico con bottino, feriti e prigionieri e d’indi passarono a Sinigalia.
In questo viaggio ritrovato un corpo volante di 60 usseri nel piano di sotto, li spagnoli che erano in magior numero declinarono dalla via ed assalirono novamente li austriaci e le diedero la fuga. Si portò così bene il Marchesi in queste due azioni, che giunto a Loreto fu dichiarato Capo squadra di 50 cavalli a convogliare li infermi, li feriti e le vittuarie spagnole alla volta di Fermo.
Nel viaggio sopragiunto da un eguale numero di usseri tedeschi, si appicò quivi una nuova baruffa nella quale internatosi il Marchesi temerariamente , le fu scagliata una sciablata da un ussero tedesco che doveva portarle via il capo, ma, sotramendosi con la cherubina, restò scavalcato, non si perdette d’animo come che era scarica la carabina, diede una pistoletata all’agressore ussero ufficiale, che sul punto l’uccise.
Animati li suoi coleghi e rimesso a cavallo prosseguirono l’azione con maggior ardore al segno che li usseri non potendo far fronte di diedero alla fuga, lasciandone quindici prigionieri ed alquanti morti sul campo. Fu la perdita maggiore delli usseri, che quella de spagnoli in questo fatto, doppo il quale andarono questi sul far del giorno alla città di Fermo.
Tenevasi questa città guardata da un piccolo corpo di tedeschi ove avevano le provisioni. Chiese il Marchesi l’ingresso nella città ai custodi, le fu negato, anzi risposto con archibugiate, onde adirati li spagnoli, mandarono un pezzo di artigliaria in socorso e batuta la porta, entrò il campo spagnolo in quella città ove arivati alla piazza il Marchesi si impadronì di quelle provigioni e per la parte opposta fuggirono li tedeschi e prima della partenza diedero il foco a tutti li foraggi e fieni solo, le vittuarie rimasero a spagnoli. Di qui passò il Marchesi ad Aquila colla sua truppa, il qual luogo era guardato dal Duca Monteleoni napoletano con poche persone, il quale sentendo li progressi vantaggiosi de spagnoli e l’avvicinamento di tutta l’armata e che già alle porte arrivava l’avanguardia Marchesi, impaurito fece aprire le carceri di quella città ed unire li contumaci alla sua truppa per fare una maggior ressistenza al vicino nemico.
Doppo ciò fece spalancare le porte e con un battaglione di napoletani mandò ad incontrare l’avvanguardia, la quale ciò vedendo si impostò su la strada e tenne in assedio il battaglione finchè potette avere soccorso. Durò questo un giorno e mezzo osservandosi li corpi nemici di petto a petto, aspettandosi il momento di dar segno alla battaglia. Al tramonto arrivato il soccorso spagnolo, il Monteleoni abbandonò la città e si ritirò al monte in un castello.
Presa la città, passarono più oltre fino al ducato di Sora, giunti a Val Montone con un corpo di 4.000 combattenti, attacò 150 usseri, che li disfece, poscia andato a Pindoli ove erano 1400 usseri e croati accampati di la del Tevere, su cui avevano formato un ponte di barche.
Fece quivi il Marchesi una veloce scoreria inguisa che si impadronì del ponte ed in appresso vi sopragiunse un corpo di 4.000 spagnoli, che presero li posti opportuni, ma poco vi stettero. Passò egli come capo de Standardieri alla Fajola, ove seguì la gran battaglia, finalmente dovendo cedersi al gran foco tedesco, il campo spagnolo si arrese.
Seguì in appresso la pace ed egli avuto il ben servito di caporale di Stendardieri benome servito, se ne tornò in patria dove finì fra non molto li suoi giorni.

(1746) L’anno che seguì 1746 fu podestà il Conte Giacomo Bolognetti e Consolo Lorenzo Graffi per la prima volta. Nel ogetto di assicurare poi la salute nelle persone a motivo del male che regnava ne bovini, la Comunità ordinò nel giorno 2 genaro la visita alle bestie prima di essere macellate ai marescalchi e si durò per tutta la primavera.
Defunto Giuseppe Rinaldi, come si disse, rimaneva vacante il suo posto di consiliere nel Ceto comunicativo. Giovanni Alessandro Calanchi qual pronipote del med. avvanzò la sua suplica al consilio per essere sostituito al prozio. Non fu ascoltato a motivo di non avere l’età stabilita dalle leggi.
Fatto il Campione e Misura della strada maggiore del Castello per essere selciata, si cominciò il lavoro in questo tempo.
Venuta la fine del passato semestre senza novità di rimarco, fu estratto Consolo per la prima volta Vincenzo del fu Francesco Mondini. Vestì la carica il dì primo lulio; sotto il suo governo il giorno 8 lulio in venerdì, fu rotto il ciborio dell’altar maggiore nella chiesa di questi frati MM. OO. di S. Francesco, ove fu rapita l’ostia sagrosanta, ed alquante particole, senza punto molestare li argenti.
Fu di gran stupore questo fatto non solo ai frati, ma ancora di spavento a tutta la popolazione, tanto più che l’eccesso era accaduto di giorno sul meridio. Li frati per tale misfatto fecero molte divozioni e penitenza per iscoprire l’autore.
La domenica seguente fecero la esposizione del SS.mo, che stette tutto il giorno alla venerazione del popolo. La sera vi fu la S. Benedizione dopo breve discorso. La domenica poi delli 24 l’arciprete Bertuzzi fece fare ancor esso una devota processione di penitenza coll’intervento del clero secolare e regolare, corpo della Comunità e compagnie le quali tutte col capuccio e capo coperto recitavano con vera (sincerità) il Miserere. Andarono queste Congregazioni tutte alla visita della sette chiese. Li frati sudd. francescani caminarono tutti a piedi scalzi e nudi con un capestro al collo. La funzione cominciò nella parochiale e terminò in essa doppo un sermone di penitenza fatto dall’arciprete e alla benedizione del SS.mo S.to, eppure nulla si potette scoprire.
Ritornando a farsi sentire la epidemia ne bovini col fare strage nella Lombardia, il Papa ordinò processioni di penitenza ne suoi stati con indulgenza plenaria.
In Castel S. Pietro fu eseguita li 14 agosto nello stile della sopra indicata.
Essendo morto Alessandro Sarti altro de consilieri di questo loco, subentrò nel suo posto il suo figlio maggiore Lorenzo li 11 settembre col solo rescritto della Comunità senza dipendenza dal Senato.
In qusto tempo cominciarono le missioni del P. Leonardi da Porto Maurizio, stato genovese, dell’ordine de Minori Rifformati, che si dicono volgarmente dell’Osservanza e del Cavichio, poichè invece di bottone o uncinello ed altro capio, nel mantello che si congiunge avvanti il petto per tenerlo serato, usano questi rifformati tenervi un piccolo legnicuolo o sia bachetto ad uso di bottone.
Queste sante missioni partorirono di gran profitto. Il medesimo P. Leonardo era di statura picola, ossatura grossa, canuto di età cadente, caminava per lo più a piedi scalzi, le giornate di buon tempo predicava nella pubblica piazza del Castello e le giornate cative nella parochiale il doppo pranzo sopra di un palco e avveva avvanti uno steccato per li due cleri, secolare e regolare.
Quando saliva il palco, attesa la sua estanuatezza e spossatezza di forza, conveniva ajutarlo ascendere, lo che eseguiva un di lui compagno per nome P. Mario, ma quando poi era nel palco non sembrava quello di prima e superava la agilità di un giovane frate, tanto era l’ardore e spirito che il Sig. sa soministrare.
Tanto al principio quanto al termine della med. incominciava con questa invocazione il suo parlamento: “Viva Gesù, viva Maria, Gesù misericordia” e così faceva replicare al popolo. La qual giaculatoria lasciò per memoria fra le altre al paese.
Un giorno si e l’altro no prima di abbandonare il palco e terminare la sua pratica, faceva a vista di tutti la disciplina a sangue con un flagello intreciato di freccie di ferro su la nuda carne. In tale occasione, siccome io, scrittore di queste memorie, vestivo l’abito clericale in compagnia di altri miei coepueli e servivo la chiesa nella funzione, vedevo quanto ho fin qui scritto. Prima della disciplina, per farla su la nuda carne nelli omeri , facevasi aprire l’abito dal suo compagno posto inferiormente, fino alla metà della vita, essendo tale abito stato fatto appositamente a questo ogetto con tale apertura nel modo che sono le camicie delli uomini nel petto. Si batteva ivi disperatamente al segno che grondava il sangue come accadeva, ed a me et ad ognuno vedere. Durava a battersi presso un quarto d’ora e fintanto che, mosso l’uditorio a comiserazione e tenerezza, gridava basta. Si vedevano le cicatrici e le lividure. Fra tutte le volte che si battette, svenne una volta dal soverchio disciplinarsi, onde non suffragandole grida popolari del basta! basta! fu costretto l’arciprete ascendere il palco e chiederle genuflesso il flagello con cui si batteva; prima dello svenimento gridò fortemente che fra li suoi ascoltanti essendovi un impenitente indurito, egli voleva per quello farne penitenza.
Terminata la disciplina si faceva ricoprire li omeri colla nuda lana dell’abito su la carne viva. Durarono queste missioni fino al dì 23 settembre, al termine delle quali che seguì il dì 24 d. si fece una solenne processione col SS.mo alla quale vi intervennero tutte e tre le compagnie cappate, le tre fraterie, il clero secolare e tutta la popolazione fatta in questa guisa.
Precedevano li putti della dottrina cristiana colla croce, li scolari collo stendardo della pubblica scuola dipintovi S. Nicolò di Bari, indi tutte le donne poi la compagnia del SS.mo, quella del Rosario, quella di S. Catterina, Cappuccini, MM. OO., Agostiniani. Corpo Comunitativo, clero secolare coli parochi del vicariato, indi l’Augustissimo Sacramento portato dall’arciprete, il baldachino sopra fu portato dal P. Leonardo ajutato da un lajco suo compagno che procedeva alla destra, ed alla sinistra il suo P. Mario sacerdote, li altri portantini del Baldacchino furono tutti uomini neutrali delle compagnie, vestiti in cotta bianca. Si operò in questa forma per evitare questioni fra le compagnie cappate e per non ledere le loro ragioni per le preminenze. La processione fu diretta tutta dai preti paesani e del Vicariato.
In questa circostanza delle Missioni accadero vari prodigi, il primo fu che predicando entro la chiesa arcipretale la Dilezione dei Nemici, Angiolo Magnani, nemico capitale da lungo tempo di Antonio Frassini, per cui più volte avevano fatte le archibugiate, trovandosi il primo nella capella laterale del Rosario ed il secondo nella capella dell’altare maggiore in un angolo, in modo che non potevansi vedere l’uno coll’altro, intendendo dalle parole del missionario santo, in uno stesso punto spiccando dal sito e posto che erano, corsero ai piedi del palco del P. Leonardo e quivi abbraciandosi con vera effusione di cuore cattolico si fecero la pace, baciandosi assieme.
Appena terminato questo fatto, ne seguì immediatamente un altro simile più luminoso. Erano sette anni che il prete D. Baldassarre Landi senior e sacerdote, aveva contratto un odio e concepita una dimicizia implacabile col sacerdote D. Giuseppe Fantaguzzi, capellano di questa arcipretale, per affari di parentela al segno che il primo declinava in disperazione e quantunque uomo di talento, aveva cessata la celebrazione della messa, ne erano stati bastevoli le interposizioni di persone autorevole e nemeno de superiori, onde sull’esempio delli sudd. Magnani e Frassini, trovandosi ancor eglino alla predica sudd. ed in logo distante l’uno dall’altro in modo da non vedersi fra essi loro, si spicarono dalle loro ubicazioni e venendosi a ricercare per la chiesa, si imbatterono avvanti lo stesso palco poco distanti dalli sudd. pacificati, quindi il sacerdote Landi piangendo amaramente si genuflesse avvanti il suo nemico Fantaguzzi e prendendolo per la mano glie la bacciò e si umiliò al segno anco di bacciarli il piede, ma sollevato dall’altro si reciprocarono entrambi li amplessi di pace a vista del clero ed uditorio intero.
Il P. Leonardo a vista di questi due fatti, si riscaldò maggiormente di foco supremo ed animò susseguentemente tutti a pacificarsi assieme e colla voce alzata, sembrando un leonino ruggito, atterì li cuori induriti e la chiesa non risonava altro che di singulti e sospiri, cosichè convenne al missionario accorciare la predica al terminare della quale ordinò che al tocco dell’Ave Maria della stessa sera, incontrando l’uno coll’altro, o prossimo congiunto, o non congiunto, dovesse abbracciarsi e chiedendole perdono delle offese passate, si rapaceficassero assieme. Tanto fu eseguito ed il paese restò consolato.
Il sacerdote Landi poi tornò tosto a celebrare la S. Messa nella prima celebrazione che fece dopo questa reconciliazione, volle il P. Leonardo assistere la messa come coadiutore, ed il sacerdote Fantaguzzi volle servirla.
Le tenerezze e (…) in cui si stemprava il P. Leonardo furono infinite. Il popolo ascoltante si mise in commozione, ne altro sentivasi dire che il missionario era un uomo santo, mentre avia nei quattro paesani sudd. saputo vincere il loro cuore miracolosamente.
Un altro prodigio accade in d. chiesa nel tempo che predicava sopra la Parola di Dio, facevasi nel presbitero dell’altar maggiore certo sussuro fra pochi ascoltanti per modo che egli accortosi di ciò che disturbava ancor li altri, acceso del suo solito ardente foco quando udiva o vedeva cose dispiacevoli, si voltò a questa gente inverso sussuranti e gridando ad alta voce: Olà sussuroni, olà, il demonio disturbatore è quello che fra voi ora si pascola e diverte; e tu spirito inquieto in nome del Mio Gesù, parti da questo loco, che è casa di Dio, viva sempre Gesù.
Appena ciò detto e fatto il segno di Santa Croce inverso quella parte, cadde dalla soffitta della chiesa un pezzo largo di incrostatura appunto sopra il sito ove sussuravasi e bisbigliava, ed in tal maniera cadde che niuno delli ascoltanti e bisbiglianti restò offeso. Soplicò tosto allora il P. Leonardo, non vi sbigotite, ve l’ho detto che era il demonio sopra di voi. E’ già partito, poi replicando la sua solita giaculatoria: Viva Gesù!, viva Maria!, Gesù mio misericordia!, ripigliò il suo discorso.
Finalmente soggiungesi che tutto il tempo delle missioni, visse di carità e providenza, nulla esso e li suoi compagni addomandando per la loro sussistenza. Ogni familia benestante però mandava giornalmente il pane e il vino, ma egli non prendeva che il solo pane suficiente per quella giornata e rimandava addietro il superfluo colla benedizione; molte altre cose e più minute si potrebbero di esso raccontare ma ciò sarà stato notato da chi ha scritto la sua vita.
Lasciò per ricordo al paese, che ognuno ne suoi bisogni e sue messe sempre: Viva Gesù, viva Maria, Gesù mio misericordia. Insinnò dippiu’ che sopra la porta delle sue abitazioni, ed anco nelle case esternamente, tenesse impresso o dipinto o in altromodo lo stema col nome di Gesù e sottoposta la giaculatoria sudd. che così quella casa sarebbe assicurata sempre della prestazione superna, onde ognuno, che non potessero fare inprimere il Nome SS.mo, ne faceva affissare uno di carta stampata su la porta del suo domicilio, cosichè il paese e tutto il territorio di Castel S. Pietro era insignito di questo stema. Se ne vedono in moltissimi luoghi di questi nomi dipinti color rosso con marca fatta apposta per li muri.
Andò poscia il P. Leonardo a Bologna a fare le sue prediche, ove stette fino all’ottobre seguente, verso la fine del quale ritornò quivi, ove pernottò una sola notte nel suo quartiere del palazzo Malvasia. In questo contratempo portandosi egli a Faenza a fare le sue missioni, io ebbi la sorte portare a quella città il suo convoglio colla belissima sua B. V. dipinta, mentre per la prima volta andai alli studi in quel Colegio primario.
Doppo essersi terminate le missioni sudd. in Castel S. Pietro, attesa la canonizazione di santità dichiarata delli Beati Fedele da Signuringa e Giuseppe da Leonessa cappuccini, si cominciò quivi un quatriduo solenne nel dì 25 settembre. Fu da essi esposto alla pubblica venerazione un bellissimo quadro o sia pallione dipinto in tela in questa arcipretale di Castel S. Pietro rappresentante li sudd. santi, avvanti li quali nella mattina stessa ne furono quantità di messe, ed il doppo pranzo alle ore 21 si diede principio alla processione alla quale intervennero tutte le corporazioni del paese cioè le tre fraterie, le tre compagnie cappate, il ceto comunitativo ed il clero secolare. Si levò quindi la solenne pompa ed imediatamente fu portato il sudd. palione alla chiesa de Cappuccini nobilmente apparata, ove cantossi l’Inno ambrosiano in musica e la sera vi furono fuochi artificiali.
Li seguenti giorni di lunedì, martedì, mercordì e giovedì mattina e sera fuvi messa solenne e vespro in musica, benedizione del SS.mo e panegirici recitati da diferenti soggetti e cosi de mastri di capella e delli artifici di fuochi artificiali e finalmente l’ultima sera una Accademia Litteraria in sede de Santi e così terminossi l’anno felicemente.

(1747) All’ingresso poi dell’anno 1747 prese il possesso di Podestà il marchese Nicolò Riario e fu consolo Francesco Dall’Oppio.
Essendosi novamente resa bisognosa le seliciata della via Maggiore del Castello, fu fatta instanza al governo perchè venisse ristorata, fu p. ciò spedito l’archtetto pubblico Gian Giacomo Dotti, il quale fatta la livellazione e comparto delle tangenti ai proprietari confinanti la med. strada, si procedette fra non molto al lavoro. La Comunità pagò la livellazione e diede li materiali.
Si era in questo frangente progettato di sottomettere tutte le chiaviche esterne in un solo condotto maestro sotteraneo, a spese pure di ogni possidente, ma perchè si opposero molti, altro non ne seguì e perciò si diferì il lavoro incominciato fino al dì 31 maggio. Furono infatti li fronteggianti a ragione di s.c 3: 5 la pertica per la pura maestranza.
Si prevalse in questa circostanza la Comunità, per suplire a tante altre spese, del ricavato della vendita delle bestie vendute e de carri, che avevano servito per il passaggio delle truppe. Li materiali che si impiegqrono in questo lavoro , che cominciò dalla porta Montanara fino alla porta inferiore, ottocento carra di materiali. Il capo salcino fu Gio. Domenico Calegari piemontese. sopraintendente al lavoro e depositario delle riscossioni fu Lorenzo Graffi.
Li 4 giugno la Compagnia della Morte di Cesena col suo crocefisso venne a Castel S. Pietro in giorno di domenica, si portò nell’arcipretale, ove pernotato, la mattina seguente di lunedì se ne partì per Bologna alla visita della B. V. di S. Luca, di dove ritornò li 12 dello stesso mese in lunedì ed arrivò alle ore 21 incontrata da tutte tre le fraterie e le tre compagnie col clero secolare. La S. Imagine fu novamente portata nell’arcipretale, di dove la mattina seguente del martedì 13 d., festa di S. Antonio da Padova, se ne partì per Imola, dando in prima la S. Benedizione al popolo nella pubblica piazza.
Li 24 d. fu estratto consolo per la prima volta Flaminio Fabbri, fratello del segretario Alessandro doppo la rinoncia fattale liberamente del segretario med.
Morì in quest’anno Agostino Torri di Castel S. Pietro, sua patria, in età avvanzata con per sopranome: Pilita, fu uomo di smisurata altezza e corporatura che sembrava gigante. era lo spavento de ragazzi ed imponeva a ciascuno timore, essendo anche di faccia burbera, che per acrescerla portava sotto il naso due baffi lunghi.
Egli nell’anno 1711 fu nella truppa del cap. Valerio Fabbri a S. Agostino contro li imperiali dove essendo stato fermato da quattro tedeschi, nel condurselo al campo, bravamente si sviluppò da essi coll’abbraciarne due in un colpo e levate l’armi, per il cui me ne ucise uno e l’altro ferì di scimitarra nel braccio così che si riscatò da solo e fece fuggire li disarmati valorosamente Di esso altro non sapiamo, lasciò dopo se due femine di statura ancor esse gigantesche, ma povere che per essere tali limosinavano non trovandosi mai sazie, onde la prima per nome Domenica si aquistò il sopranome di: Plorona, dal soverchio plorare e l’altra per nome Maria si aquisto il sopranome di: Piangolona, dal soverchio piangere de sua miseria. Furono donne di una forza grande, così che operavano da fachini come se fossero stati uomini nel portare e levare grosse some di generi.
Ebbe il sudd. Pilita un altro fratello per nome Giovan Battista, uomo ancor esso di particolare statura e forma gigantesca detto vogarmente: Rubicano, questi col suo torvo aspetto terrore, ed imponeva timore e ribrezzo col solo sguardo, andava fornito di lunga scimitarra al fianco, portava parimenti sotto il naso due lunghi ma rabbufati postachi, aveva il possesso di lingue tedesche, polache ed aveva anco qualche parola otomana, il francese e spagnolo lo sapeva francamente quantunque non avesse mai studiato.
Fu al servigio del Re di Napoli in qualità di primo sergente nel regimento Rè, militò nella Sicilia per il suo Re contro li tedeschi, poi abbandonata la milizia passò per guarda portone de Principi Carafa. Finalmente venne a Roma ove servì li Principi Colonesi, Ruspiliosi e Savelli, fu gran sicario di queste familie, finalmente restituitosi in patria, fornito di Ben Serviti e patenti, morì dopo il fratello sul confine della Toscana ove si era portato a Piancaldoli nel finire di ottobre.
Quando accadevano tumulti e risse egli si infraponeva a petto scoperto fra rissanti e colla sciabola alla mano spartiva li fazionari, li pacificava e facevasi dare la parola di non estendersi. Non ebbe giamai moglie. La altezza di questi due fratelli fu di cinque piedi e mezo misura nostrale.
Novamente cominciarono a suscitarsi fra le due compagnie del Rosario e del SS.mo SS.to le passate differenze a cagione della compagnia del Rosario per la preminenza della quale secondo li accidenti ne parleremo.
Morì pure in quest’anno in Roma il dott. Giuseppe di Christoforo Fabbri detto: Naso di Stucco, di cui se ne parlò addietro qualche poco essendo egli stato mischiato nella famosa baruffa contro li sbirri in Bologna per il comesso omicidio del Senatore Graffi, ciò non ostante ci piace riferire in questo loco quel che in addietro non abbiamo segnato essendoci giunte posteriormente notizie del med.
Egli fu dunque giovin di alto talento e di spirito tale che alle occasioni, come in quella dell’omicidio sud., si faceva capo della scolaresca onde, terminata la vicenda sudd., passò alla pratica del tribunale civile e criminale, perfezionandosi nell’una e nell’altra facoltà. Andò per uditore cavalcante del Cardinale Marini di Ravenna, sotto del quale, essendo stato spedito a processare Pier Paolo Budriesi di Castel Guelfo, che serviva in qualità di fattore in Imola la Contessa Machiavelli favorita del Cardinale, per latrocini imputati dalla med. al d. Budriesi, che già era stato carcerato in Imola.
Fu ciò per vendicarsi di quello, perchè non aveva volsuto concorrere a trattare, in tempo delli raccolti, porzioni di granelli e darne il ricavato alla med. Dama.
Pertanto accadde, che riconosciutasi dal Fabbri cavalcante la malignità e la insusistenza de reati imputati, fece vedere al Legato l’enorme calunia data al Budriesi, onde per ciò non esservi loco alla condanna. Il Legato che voleva pure compiacere la Dama, fece una sgridata grande al Fabbri, il quale rissentito si prese congedo dalla Legazione.
In questa emergenza il Legato fece rinovare lo processo che andò contro il Budriesi, onde il cavalcante Fabbri riconoscendosi ancor esso (indagato) abbandonò imediatamente Ravenna, andò in Roma e quivi, fattosi per ordine pontificio comunicare il novo processo contro il Budriesi, lo diffese in tal guisa che fu dichiarato innocente questo povero uomo e condanati li accusatori alla ressezione de danni.
Non si partì per ciò piu’ di Roma ed in questa città finì li suoi gloriosamente ed onoratamente. Quanto dispiacesse al Cardinal Marini Legato ed alla favorita si lascia riflettere a chi leggerà questi nostri scritti, se passeranno nelle mani di chi abbia piacere delle vicende mondane trarne qualche lume delle familie e persone.

(1748) Nell’anno poi che seguì 1748 fu podestà il principe D. Egano Lambertini nipote di N. S. Benedetto XIV e console Domenico Gordini. Li 7 febraro morì in Bologna F. Giuseppe Galanti di Castel S. Pietro laico cappuccino, fu uomo dotato di un prudentissimo silenzio, di una solitudine mirabile e di una singolare divozione che si rese lo spechio di relligione a suoi coevi nel med. convento, onde meritò il seguente elogio che trovasi notato nel necrologio Cappuccino: “Bononie 7 februari F. Josephe laicus capuccinus a C. S. P.ri, silentio, solitudini et orationi singularis”. Di questo soggetto ne abbiamo fatto a parte il suo elogio con altri compatriotti, onde quivi ci risparmiamo il ripetersi le sue lodi.
Nel seguente aprile fu accomodata la mura del Castello dalla parte di levante, in confine della casa delle fornaci di pentole.
Li 18 dello stesso mese morì Angelo Michele Battisti qd. Domenico e qd. Tomasa Martelli d’anni 74 senza sucessione ed anco questo colonello restò estinto.
Cresceva sempre il rumore della epidemia ne bovini onde fatto credere al legato che fosse attaccato questro nostro comune di Castel S. Pietro, egli tosto vi spedì soldati di Bologna con commisari a rintracciare il vero. Visitarono questi tutte le stalle del comune. ma ritrovata falsa la voce se ne ritornarono a Bologna. Non per questo però stette il legato ed assunteria di sanità a produrre bandi e provisioni per la vigilanza ed opportuni remedi.
Li 4 maggio, giorno di S. Monaca, si fece in questo convento di S. Bartolomeo delli Agostiniani Congregazione Capitolare. Fu in essa eletto il P. Agostino ……… da Bologna.
Essendosi, come si disse in addietro, coperto l’ingresso della porta maggiore del Castello vi rimaneva perciò dal fondo a coppi un altissimo vano. Fu riflesso che luogo opportuno era questo per formarvi un Teatro onde divertire la populazione. Il progetto fu di Lorenzo Graffi, fu piaciuto e restava solo il modo di effetuarlo. Fu in seguito proposto in Consilio l’affare e si convenne da consilieri di rinonciare tutti il loro onorario di Consolo, allorchè fosse sortito dalla Borsa de Consolati, ed erogato nell’edificio, che appunto nella spesa ascendente a tale somma di sc. 772.
Ciò determinato, fu incaricato il d. Graffi eseguirne l’opera, alla quale tostamente vi si mise mano ed in breve tempo fu formata una gran sala atta appunto a farsi rappresentazioni.
Nel med. tempo vari giovani del paese dilettanti di musica figurata si produssero al pubblico per la prima volta e fu nella festa di S. Antonio 13 giugno.
Fu l’inventore Angiolo Galassi uomo povero ma di gran talento, egli fece da maestro di capella, instruì moli giovani nel canto e nel suono di organo, violino ed altri instrumenti musicali. Aveva due fratelli per nome uno Benedetto, che presentemente vive ed è riescito eccelente sonatore di contabasso in Bologna, l’altro per nome Gianfranco sonatore di violino, non si dilettò mai onde passato alla città ritrovò miglior sorte nell’impiego di sartore.
Angiolo poi sudd. passò per Mastro di Capella nella chiesa de Servi della stessa città, d’indi per le sue prerogative passò Mastro di Capella al sevigio del Re Sardo, come diresse al fine di sua vita e di quando in quando sarà duopo parlarne di esso.
Li 24 giugno fu estratto Consolo il Cap. Francesco Antonio Vanti che il dì primo seguente lulio cominciò il suo governo.
Li 4 agosto, prima domenica del mese, avendo il papa concessa plenaria indulgenza destinata ad onor di S. Antonio Abbate per placare l’Ira divina acciò allontanasse la mortalità ne bovini, che faceva strage ne vicini paesi, così il giorno d’oggi solamente si diede esecuzione a questa divozione il doppo pranzo col SS.mo SS.to, portandolo per il Castello e Borgo alla quale intervennero le tre relligioni regolari, le tre compagnie cappate, il corpo cominitativo ed il clero con infinito popolo.
In tale occasione la statua di S. Antonio Abbate, che in figura gigantesca esisteva ad un altare alla sinistra della porta maggiore della arcipretale, fu levata e trasportata all’altar maggiore onde solennizare la festa e comechè la epidemia si era anco propagata nelli altri animali dall’unghia bipartita e spacata, fu per ciò pubblicata una notificazione del Card. Legato che proibiva l’introduzione di bestie dalla Romagna e Ferrara senza li dovuti riquesiti di sanità.
A questo fine anco li 8 agosto si fece un triduo a S. Antonio da Padova da questi P. MM. OO. di S. Francesco esponendo la statua del med. ed ogni sera si diede col Vener. la S. Bened. al popolo, l’ultima sera poi del triduo, che fu li 13 agosto giorno dedicato alle glorie del Santo, si fece per il Castello e Borgo la solenne processione colla d. statua e terminò la funzione colla benedizione della med. nella pubblica piazza del Castello.
Il giorno consecutivo alla d. festa, che cadde in martedì, alle ore 20 italiane venne una corrente d’aqua così spaventosa nel nostro Silaro che, non potendola comportare e sgombrare faticosamente il ponte, gonfiò talmente l’aqua e crebbe che inondata la vicina pianura arrivò fino al molino, allagando tutto il vicinato da un canto all’altro coprendo e superando il lungo muraglione dalla parte di levante presso il ponte. Scopertasi per ciò la statua del d. Santo ed intonando il Risponsorio, cominciò a vedersi il prodigio di calare l’aqua, in modo che terminato il Risponsorio, si vide calata per piu’ di due terzi l’aqua.
Fu osservata l’altezza della innondazione nei muri del ponte e fabbriche vicine, si ritrovò essere stata l’escrescenza sopra l’alveo del fiume alta dieci piedi ed in altri luoghi 12, in modo che sembrava divenuto tutto il fiume un lago.
Li 11 settembre la Compagnia del Suffragio eretta nella chiesa di S. Bartolomeo cominciò ad andare novamente cappata alla processione della statua di S. Nicola da Tolentino suo protettore.
Li 26 d. fu proclamato un novo bando dal governo di dovere ogni comunità eleggere quattro uomini pratici sopra li bovini per visitarli, in secondo loco di dovere dare nota di tutti li marescalchi de (rispettivi ) paesi, in terzo loco che mandassero sei uomini di ogni comune, che non fossero ammogliati, alle confine del ferrarese e finalmente di dovere dar nota di tutti li uomini in genere dall’ età di anni 18 compiti fino alli 40, che non fossero aggregati alla milizia; tanto se fece prontamente quanto che lo richiedevano le circostanze presenti.
La Compagnia del SS.mo non fu tarda ancor essa a ricorrere al Signore per le attuali circostanze che devastavano il mondo ne bestiami. Quindi li giorni 26, 27 e 28 ottobre fecero un triduo di penitenza avvanti il suo miracoloso Crocefisso nel novo oratorio pregandolo mantenere preservato il nostro comune dall’epidemica lue, come fino al presente punto era stato dal Signore presservato.

(1749) L’anno seguente 1749 fu Podestà il Conte Pier Luigi Maria Baldassarre nipote del Conte e Senatore Francesco Marescotti e Consolo Giovanni Ventura Bertuzzi Notaio, essendo poi stato estratto Priore della Compagnia del SS.mo SS.to D. Domenico lugatti, propose questi alla congregazione, che essendo stato preservato il nostro comune dalla epidemie ne bovini, credeva per ciò essere questi il tempo opportuno di portare processionalmente il suo miracoloso X.to alla S. Casa di Loreto per la quarta volta, giacchè era molto tempo che ivi non si era portato.
La Congegazione plaudì il pensiero e conseguentemente determinò di intraprendere tal viagio nel prossimo aprile e perchè la S. Imagine non aveva la nichia per riporvela e molto meno l’altare particolare in d. oratorio, così si determinò contestualmente di farvi un altare nella corsia della chiesa alla sinistra.
Per il che, essendo la compagnia senza erario, fu fatta una tassa particolare di danaro de confratelli ed in seguito allo spirar di genaro si pose mano al lavoro, che fu eseguito dalli acettanti professori Cassiano e Antonio Quercia imolesi.
Il dottor Giacomo di Lorenzo Conti, cognato del fratello di D. Domenico Lugatti e nazionale di questo loco, giovane laborioso non meno bravo teorico di filosofia e medicina, che ecellente pratico nella med., avendo fatta le sue publiche conclusioni, per cui si era meritata una cattedra medica in Bologna, fece perciò nel seguente febraro la pubblica anatomia nel liceo e pubblico teatro anatomico della Università di Bologna con molto applauso; in tale contingenza le furono dedicate molte poesia in istampa.
La Comunità di questo loco non fu restia a contestare ancor essa il suo giubilo, tanto piu’ che era filio di un comunista.
Infermatosi mortalmente il molto R. P. Leone Cappuccino della familia Alberici di questo Castello ed in questo suo nazionale convento, doppo avere condotto una vita santa nell’Instituto suo e sostenuto le prime cariche, colmo di meriti rese l’anima santamente nel Signore il giorno 10 marzo in lunedì alle ore 23 italiane. La sua malattia fu di soli tre giorni, al principio della quale palesò la sua morte, fu divotissimo della Immacolata, lasciò odore di santità, ebbe il sepolcro nell’area comune de frati, ma in cassa appartata di rovere.
Di questo spettabilissimo religioso ora non facciamo quivi alcun elogio per essere alla stampa la di lui vita scritta dal P. Domenico da Faenza ed in questa città pubblicato per l’Archi impressore. Vi fu fatto tosto il suo ritratto che è l’unito e colpito al naturale.
L’autore del Necrologio Cappuccino ha esposto laconicamente il di lui caratere che qui apponiamo per compiacenza del lettore: “Die 10 marti 1749, in Castro S. P.ri admodo R. P. Leo Concionatori, qui suavissimis moribus et relligiosis virtutibus novitios educavit benigno zelo, (..) prudentia triennio romana, sexennio nostra Provincia et instante Rinaldo primo Duce estense, cui erat acceptissimus mutinensem custodia, ut supremus Moderator gubernavit”.
Prefissa la partenza per Loreto, come si disse, della Compagnia del SS.mo, si cominciò pel 14 aprile a suonare anticipatamente alquanti giorni tutte le campane del paese ed ogni sera si faceva uno sbarro di mortaletti. Venuto poi il giorno 15 dello stesso mese all’imbrunire del giorno si espose all’altar maggiore della nova Chiesa dell’Oratorio.
Fa luogo sapere in questo loco quanto accadde prima di questa S. Imagine, qual culto se le prestava e dove tenevasi. Ella adunque esisteva in una nichia sopra l’altare dell’Oratorio vecchio, questo abbandonato dalla compagnia, fu portato nel nuovo Oratorio e tenevasi appesa nel prospetto dell’altare nel coro e si teneva coperto con tenda la maggior parte dell’anno.
Pochi però vi offerivano orazioni, solo una doniciuola nomata Maria Giacoma Costa Poggipollini, la quale pressochè ottagenaria ogni sera si portava alla venerazione di questa S. Imagine col recitarle avvanti cinque Pater ed Ave, ed ogni venerdì la terza parte del Rosario.
Interrogata una volta perchè tanta assiduità prestasse in questo culto, se pel voto ciò facesse o per sua pura volontà, rispondeva essere volontà sua ed essere sempre meritorio più il culto a quelle imagini che venivano poco considerate di quelle che all’altre, compiacendosi il Signore di essere egualmente onorato in tutte le sue figure. Finalmente aggiungeva che andando alla visita di questo X.to niuno sapeva quel che fosse quella Imagine, stanteche aveva inteso da suoi vechi essere stata prodigiosa nei tempi del contagio.
Ciò posto, ritornando a narare della S. Imagine, questa adunque fu levata dal novo oratorio e, comeche era divenuta tetra, sembrava che abbisognasse di essere ripulita. Difatti per questo effetto fu portata alla casa del priore Lugatti nel Borgo, ove era Giuseppe Chiarini pittore bolognese.
Quivi volendo il med. abbellirla fu necessario schiodarla di Croce, per riporla poi in altra Croce nova. Si accinse all’opera ma eccoti, nel mentre che cominciò a schiodare la S. Imagine, si sentì ricoperto tutto di un gelo insolito che declinò in una universale paralisi per cui fu necessitato sospendere lentamente il lavoro.
D. Antonio Farnè sacerdote e capellano della compagnia, che ivi era presente, credendo che fosse una lentezza naturale ed acidentale del pittore, sollecitò il medesimo al travaglio ma acusando egli non potere prosseguire assolutamente per un inesplicabile ribrezzo, convenne al sacerdote Farnè levare egli la S. Imagine e ripulirla dalla polvere incrostata e da alcune machie che la deformavano.
Ciò terminato, riavutosi un poco, il pittore volle formare l’apertura del costato, nulla rifletendo che l’Imagine era effigiata agonizante, ma nel momento stesso che voleva ciò effettuare si sentì per tutta la casa Lugatti uno scotimento che atterì tutti ed il meschino pittore fu sorpreso da un bollore di sangue che le produsse sudore e successivamente degenerò in una paralisia universale per modo chè convenne al med. adaggiarsi in una sedia.
Riconobbero quindi li astanti che ciò derivava da un miracolo di Dio, che in quella Imagine non voleva altre persone secolari e mani impure. Li inquilini della stessa casa impavuriti dal tremito di tutta la casa, corsero al dissopra dalli padroni Lugatti e trovata tutta quella familia in iscompilio, non sapevano a qual partito prendersi, tantopiù che nello stesso contratempo si era alzato un gran temporale di tuoni, tempesta, aqua e vento che niuno aveva coraggio sortire di casa.
Finalmente riconosciutasi la causa si corse alla casa dell’ottimo sacerdote e pio D. Luca Gordini uomo di santa vita, acciò egli, anco come custode della arcipretale, si portasse a levare d’ivi la S. Imagine. Tanto si fece ed ivi giunto avvolse in una veliera il Crocefisso schiodato e lo portissi alla parochiale nella sagrestia del Rosario ove sono tante altre reliquie.
Appena portato il X.to il lume dei lampi celesti che incendiavano l’aria cessò tutto, il temporale, il vento e la pioggia. Riconobberero tutto ciò essere fatto di Dio l’acaduto, a cui furono presenti il D. Chiarini, D. Domenico Lugatti, D. Antonio Franè, Giuseppe Lugatti ed Antonia sua moglie, Matteo Farnè e Donata Dall’Oppio sua moglie, Domenico Gattia sacristano della Compagnia, Carlo Lazaro Andrini ed altri che la matina seguente attestarono quanto lo era acaduto e che non erano accidentali ma mozioni di Dio, che non voleva fosse profanata questa S. Imagine da mani impure.
Tutto il tempo che l’Imagine restò nella sagrestia sud. se le tennero sempre lumi accesi fino al giovedì 13 d.. Volle pure Iddio che questo fatto non restasse occulto ma si divulgasse a tutta la popolazione, mentre che la gran pioggia e tempesta non ecedette il fabbricato del paese e perfino a tutta la mattina seguente stette la tempesta ferma nelle strade fino all’ora tarda, cosichè fu anco ciò osservato dalli intervenienti a questo loco onde maggiormente crebbe la venerazione e culto a questa S. Imagine. Il sacerdote D. Luca poi accomodò nella nova croce il X.to con quella divozione e rispetto che si può ognuno ideare dovendo travagliare intorno ad un santuario.
Nel piantarvi poi i chiodi confessò lo stesso D. Gordini, che quantunque purificato, sofferse un calore universale unito ad un ribrezzo che mai in tempo di sua vita aveva soferto. La sera stessa poi delli 13 fu portato di nottetempo alla sua chiesa dell’Oratorio.
Il venerdì 15 dello stesso aprile si espose alla pubblica venerazione del popolo precedendo il suono delle campane parochiali ed un copioso sparo di mortaletti avvanti la chiesa. Congetturi quivi ognuno la tenerezza della popolazione, l’affluenza delle genti ed argomenti l’ardenza in orare avvanti il med per modo che convenne tenere la chiesa aperta anco di notte.
Il sabbato successivo che fu li 16 si cominciò il triduo e durò fino al lunedì 18 dello stesso mese. Ogni sera
si dicevano cinque pater ed ave dopo il canto della compieta ed indi la benedizione col venerabile. Il martedì finalmente si partì per la S. Casa. Vi andarono molti confratelli tutti cappati e forniti di un bordone coll’insegna superiore del SS.to di lamina di ottone. Fu accompagnato dall’arciprete e clero colle Compagnie processionalmente fino alla chiesa di S. Giacomo di là del ponte Silaro, ove fu incassata. Prima di partire dal Castello, l’arciprete fece un sermone al popolo e dappoi recitate le preci di S. Chiesa diede la benedizione al numeroso popolo, che alla funzione era intervenuto.
In questa contingenza fu fatta incidere la S. Imagine in Roma da dispensarsi nella città e luoghi ove fermavasi, copia della quale è l’unita.
Nel viaggio operò Iddio infiniti miracoli, come dall’itinerario fattole in questa contingenza si può raccogliere assieme colli onori ricevuti dalla Compagnia med. e dalle composizioni offerte delle quali ne abbiamo alcune copie nella fascia di documenti attinenti al paese.
Nel tempo che facesi questo viaggio fu compito l’altare sud. e nel ritorno che fece alli 27 aprile , dopo essere stato incontrato solennemente dal clero regolare e secolare ed altre corporazioni nel modo che fu congedato, fu esposto alla venerazione del popolo nella sua chiesa e d’indi collocato nella nova nichia foderata di tela imbotita con entro la sua stessa cassa di legno entro la quale fu portato alla S. Casa, acciochè non venisse dall’umido pregiudicato. se si osserva bene questa S. Imagine vedrassi il taglio del costato che intese inciderle il siocco pittore, nulla riflettendo alla agonizazione che rapresenta la S. Imagine.
Li 5 maggiò si celebrò la prima messa al novo di lui altare. L’itinerario di questo trasporto a Loreto fu scritto da Giovanni Dall’Oppio, condotto a Loreto a questo effetto ed a spese del priore Lugatti.
Per assicurarsi poi dal malore de bovini forastieri, intervenienti a questo mercato che facevasi nel mezo alla via corriera del Borgo, la comunità ordinò che non più ivi interinalmente si facesse ma entro il Castello, come di fatti li 2 giugno si eseguì e prosseguì fino alli 14 lulio sotto il consolato di Giuseppe Dalle Vacche Consolo del secondo semestre.
Perchè poi novamente fu presservato il nostro Comune dell’accennato malore, la Compagnia di S. Antonio Abbate del paese, composta nella massima parte di contadini, dessiderando ancor essa fare la processione col suo santo, per chè non aveva statua opportuna ed a proposito, fu progettato di farne una di stucco atta al portamento su le spalle. L’arciprete non fu tardo, anziche si prese il pensiero di ciò effettuare prontamente, ne diede perciò l’impegno a Filippo Scandelari bolognese, ecellente scultore ed alievo del chiarissimo Angiolo Piò. L’altra statua che era di gesso in figura gigantesca, impossibilitata a portarsi su le spalle fu regalata alla chiesa di S. Lorenzo della Gaiana.
In questo stesso mese di lulio fu fatto il ponte di pietra sopra il Rio detto della Masone nella via Romana presso il nostro confine, così pure furono fatti li altri ponticelli sopra la d. strada colli morelli di pietra alle sponde, cominciando dai confini di Doccia, così prosseguendo fino a Bologna.
Quello che è di confine fra Castel S. Pietro e il Marchesato di Doccia, che divide il bolognese dalla Romagna, fu fatto a metà dalle due comunità confinanti cioè di Castel S. Pietro e di Doccia.
La Compagnia del Rosario volendo pure essere distinta dalle altre due Confraternite del SS.mo e di S. Cattarina, diede ocultamente e colla massima segretezza, suplica a Benedetto XIV Pontefice per essere eretta in arciconfraternita. Il Papa prese in considerazione la petizione presentatale med. Donna Imelde Lambertini di lui nipote e monaca di S. Maria nova. In fratanto che ciò si machinava a Roma fu, ad istanza della Compagnia di S. Cattarina, ordinato dal superiore apostolico di Bologna che nelle funzioni pubbliche fra le compagnie non si facesse novità alcuna, ma si osservasse il solito.
Terminata la statua sud. di S. Antonio, volendosi dall’arciprete e compagnia produrla al culto e scansare le questioni delle altre due compagnie nel fare le funzioni e processioni della med. statua, perchè la compagnia di S. Antonio o sia congregazione non aveva distintivo, fece p. ciò una convocazione in casa sua della Compagnia del Rosario, come quella che ancor essa era composta nella massima parte di quelli stessi individui, che compongono la Congreg. di S. Antonio non capata.
In questa adunanza fu proposto doversi fare un Triduo ad onore di d. Santo, quale dovendo procedere la esposizione di d. nova statua mediante processione solenne, non avendo cappa ne distintivo la Congregazione di S. Antonio, la quale non alzava Croce e per anco non formava corporazione, era necesario che una qualche corporazione servisse in questa contingenza, onde p. ciò lo stesso arciprete si estrasse che la sua intenzione era che tale funzione si facesse dalla Compagnia del Rosario, anzichè egli stesso donava alla med. Compagnia del Rosario non solo questa funzione ma anco tutte le altre processioni e funzioni che da qui in poi si fossero fatte colla d. statua dalla Congregazione di S. Antonio e così la direzione di essa.
Stipulò ed acettò la determinazione acennata il Priore della Congregazione Antonio Mattia Bergami e così fu anco acettato dalle stesse due compagnie partecipanti cioè del Rosario e di S. Antonio. Per la qual cosa il 15 settembre la Congregazione del Rosario andò a prendere la nuova statua che esisteva nella chiesa dell’Annunziata nel Borgo con tre officiali della Congregazione, priore de quale era il d. Bergami e poscia fu solennemente portata alla chiesa arcipretale per ad onore di d. Santo le fu celebrato un Triduo di messe la mattina e la sera la benedizione del SS.mo. Terminato il triduo fu posta la statua nella nichia ove stava l’altra di gesso.
Ritornando alla Congregazione del Rosario, in seguito della petizione da essa fatta al Papa per essere eretta in arciconfraternita, fu segnata la grazia con bolla apostolica li 20 settembre anno corrente, colmandola di indulgenze grandi e di prerogative e perfino di potere agregare a se altre confraternite dello stesso instituto, onde il di 4 ottobre prima domenica del mese dedicata alla Gloria del Rosario, questa compagnia divenuta Arciconfraternita, che prima portava la cappa azura alzata a traverso e legata con un cordone simile, fu comutata in sacco lungo coll’aggiunta della mantetta rossa e cordon rosso. Precedette a tale funzione la lettura della Bolla pontificia.
Questa comutazione di vestiario si fece con molta pompa e col rito eclesiastico, data la benedizione al novo uniforme dall’arciprete avanti l’altare del Rosario nella arcipretale ove stava esposta la Imagine di M. V.. Per questo fatto cominciò a salire nelle altre due compagnie del SS.mo e di S. Cattarina l’invidia e molto più la discordia a motivo della precedenza che si doveva dare a questo novo istituto.
Si ricorse per ciò a Mons. Cattogni Vicario G. del vescovato all’effetto di avere qualche providenza. Egli per ciò nel giorno 31 ottobre formò alcuni Capitoli li quali furono proposti alla compagnia di S. Cattarina come quella che faceva maggior foco e furono li seguenti.
Nell’accompagnamento de cadaveri alla chiesa, se il defunto sarà confratello della Arciconfraternita del Rosario e che siano invitate le altre compagnie, vada avanti pel primo stendardo con due scalchi del Rosario e poi prosseguiscano le confraternite del SS.mo e di S. Cattarina ed in fine il Tronco della Arciconf. sudd. del Rosario, la quale debba levare il cadavero e portarlo alla chiesa e diriggere l’accompagnamento come di proprio fratello defunto oppure di persone che avesero data la direzione alla Arcic. sud. del Rosario.
Se il defunto sarà confratello delle due confraternite del SS.mo e di S.Cattarina, quella di cui è confratello vada avvanti e diriga e l’altra prosseguisca e resti in fine l’arciconfraternita.
Nelle processioni del Rosario spettanti e cedute alla Arciconfr. sud., andarà avvanti il X.to e confalone con due scalchi, come funzioni proprie; prosseguisca la confraternita del SS.mo, poi quella di S. Cattarina ed in fine la Arciconf. del Rosario, quale in chiesa dovrà sempre restare in mezo all’altre due compagnie.
Nella processione del SS.mo, come che l’Insegna del X.to potesse dispiacere, si contenta l’Arciconfr. sudd. che vada avvanti nelle processioni il Gonfalone con due scalchi e poi prosseguisca e dirigga e comandi la confraternita del SS.mo, indi seguiti quella di S. Catta. ed in fine l’Arciconfr. del Rosario, senza che nessun corpo della confraternita diretrice resti addietro alla med. e che questo debba trovarsi in tutte le processioni, siano delle Rogazioni e del Corpus Domini o di penitenza o pro Gratiarum Actione, alle quali vole il superiore intervenghi la sunominata Arciconfr..
Non fu accettato questo progetto dalla compagnia di S. Cattarina, la quale anzi chiamò in giudizio l’Arciconfraternita nel vescovato e così andò tutto a monte. La compagnia del SS.mo non fece alcun movimento.
Il principe D. Ajano Lambertini nipote del regnante pontefice, Senatore Conte Federico Calderini, Marchese Alfonso Ercolani, Marchese Luigi Tanara e Marchese Giuseppe Banzi in seguito della suplica data alla compagnia del SS.mo per essere aggregati alla med., nel dì 6 dicembre all’occasione che si faceva nell’oratorio di essa un Triduo in ringraziamento della presservazione dalla epidemia ne bovini, fecero la loro solenne professione vestendo cappa ed altre uniformi della comp. con funzione singolare e messa cantata in musica, alla quale vi intervenne il Corpo comunitativo.
Il doppo pranzo, che fu li 8 dicembre si fece una solennissima processione per il Castello e Borgo col crocefisso, avvanti il quale si era celebrato il Triduo. Vi intervennero le tre fratterie, la sola compagnia di S. Cattarina, il Clero e la Comunità in forma. La sera fu illuminato tutto il paese e vi furono fochi di gioja. In questa occasione si distinse il priore D. Domenico Lugatti, quale oltreche aveva egli fatto tutta la spesa del proprio, col fare suonare di allegrezza a tutte le chiese del paese, regalò ogni individuo ancora della corporazione sud.
In questo mentre l’Arciconfraternita del Rosario per non immergersi in liti per la questioni promosse, ricorse al Papa onde egli colla pienezza della sua maestà prendesse le providenze opportune e così terminò l’anno.

(1750) Il di primo genaro entrò Consolo Lorenzo Conti e fu Podestà per tutto l’anno il Marchese Francesco Manzoli.
Fu iniziato quest’anno santamente coll’apertura delli riti di S. Chiesa che profuse largamente indulgenze, mediante la pubblicazione di un giubileo Universale. Tenutasi udienza dal Papa in questo giorno primo di genaro, presa in considerazione la petizione della nova Arciconfraternita del Rosario, comunicò il suo Oracolo all’I.mo Livizani segretario de memoriali nel modo seguente: “Ex audentia SS.mi die p.ma Januari 1750. SS.mi inherendi ressolutioni sac. Congregationis rituum ac non recendo a dispositis in Brevi sub die 20 7bris 1749 in quo confraternitas SS.mi Rosari erechi quidem fuit in Archiconfraternitatem sed sine cujusquam judicio, dicit atque declaravit p. dictam eractionem nullam Archiconfraternit. maius quam autem aquisitum puisse jus precordenties super abiis Confraternitatibus in audem Archi presbiterali Eclesia Castri S P.ri erctis precedentis vero regulandam fere, et esse juxsta majoram antianitatem vel juxta(..) actenus servatum, quodque etiam imposterum servari, mandavit (..) Livizani Secret. L+S.”
Non piacque troppo questo reserto alla Arciconfraternita del Rosario, anzichè dispiacendole, ommise di più intervenire alle pubbliche funzioni colla sudd. Compagnia di S. Cattarina, la quale pure voleva che vi intervenisse quella del Rosario, fece fare varie legalità per congellarla, ma furono tutte senza alcun frutto. Fra tali legalità ve ne fu una dell’Avvocato Alfonso Periclo spagnolo, ma stabilito in Bologna nella cui città fu stampata e noi ne abbiamo una stampa fra le altre notizie e documenti del Paese.
Il 24 febraro la compagnia della SS.ma Trinità di Pavia eretta in S. Luca della Med. città, per approffitarsi delle Indulgenze del corrente giubileo in Roma, doppo aver scritto a questa compagnia di S. Cattarina per l’alloggio di 25 confratelli e fermarsi quivi nel suo viaggio col suo X.to , giunse li 24 febraro , fu perciò incontrata processionalmente dall’arciprete, compagnia sud. e clero al ponte della Crocetta fuori di questo Borgo, avendo il X.to inalberato.
Ivi fu consegnato all’arciprete, che d’indi poi fu portato alla chiesa di S. Cattarina. Li confratelli forestieri, procedendo in linea, caminavano a mano destra et a sinistra quelli di S. Cattarina con lume. Stette alla pubblica venerazione fin al di seguente 25 febraro, poi partì alle ore 13 processionalmente per la via romana accompagnato collo stesso metodo col quale fu ricevuto. Giunta la processione sul ponte del canale, che taglia la via romana, si rivoltò l’arciprete col X.to nelle mani e diede la bened. al popolo, poi al Borgo ed al Castello, congedandosi così l’una con l’altra compagnia.
Li 21 aprile giorno di martedì morì nel convento della Grazia di Rimini il P. Gian Andrea Ronchi da Castel S. Pietro, filio del fu Sabbatini Ronchi e di Domenica Dal Pane, in età di anni 81 e 64 di relligione claustale dell’ordine de MM. OO. in concetto di santità. Di questo soggetto ne parliamo più diffusamente nei nostri Elogi alli Uomini e Donne illustri del Paese. Fu dotato non solo di virtù temporali necessarie al suo instituto, ma anco di virtù spirituali, fra le quali si distinse nella mortificazione. Fu compagno del ven. P. Tomaso da Sogliano, alle cui veci supplì nella educazione de novizzi, fu sepolto nel med . convento nell’area comune, ma in cassa separata. Prima di essere sepolto, le furono tagliate le vesti dalle persone, tanta fu l’opinione di santità nella quale finì li suoi giorni con dispiacere universale.
Trovavasi da molti anni la Signora Cattarina figlia di Giuseppe Vachi o Dalle Vacche di questo Castello gravemente travagliata da convulsioni, per modo chè era continuamente obligata al letto, onde divenuta alli estremi di sua vita si portò da essa il Padre Pietro da Bologna di cognome Lambertini, denominato universalmente Petruccio da Bologna, per la sua miserabile struttura e parvità di personale, ma sacerdote di S. Vita e dotato di una esimia divozione a S. Diego D’Alcalà, che rare erano quelle grazie che domandandole non le ottenesse e le impetrasse per le persone, anco con miracoli di credenti, per la gran fede che aveva in questo suo S. Avocato.
Quindi arrivando la med. inferma presso che alli estremi di sua vita, la consolò tanto e la insinuò a portare fede al Santo, non dando essa altri segni di vita che quello del volto, il sacerdote applicata la reliquia del santo alla testa col segno di S. Croce, si riavette in un baleno, balzò dal letto e genuflessa esclamò: grazie Santo, gran Santo è S. Diego, Grazia, Grazia, Miracolo, Grazia. Ciò sentitasi dalli altri della familia, che l’avevano già abbandonata al sacerdote, corse ognuno a vederne l’instantaneo prodigio.
Si corse imediatamente alla chiesa di S. Francesco a farne dare un segno al pubblico mediante il suono delle campane a doppio. Corsero per ciò le persone alla chiesa sud. a ringraziarne il santo colla recita del suo Responsorio. La sera dello stesso giorno la familia Vachi fece darne all’altare maggiore la benedizione del Signore col venerabile. La mattina seguente si portò in chiesa la giovanetta graziata a piedi dell’altare senza alcun sostegno, a rendernele dovute grazie al Santo e stemprarsi in tenerissime lacrime.
Fu dipinto il Miracolo in tavoletta dall’egregio giovinotto Ubaldo Gandolfi, che divenne poi quel celebre professore, le di cui opere lo manifestano per tale. Noi ne abbiamo in casa la tavola stessa favoritaci dalla casa Vacchi, compadrona dell’altare delle Stimate in d. chiesa fece fare un sotto quadro rapresentante S. Diego, per vieppiù produrre ed aumentare le glorie e culto al santo.
Nel seguente giugno, Lorenzo del cap. Francesco Vanti prese la laurea e dotorato in Bologna nel jus cesareo. La Comunità di Castel S. PIetro per essere filio di un comunista le fece il solito onore di poesie stampate. Questi doppo due anni passò per Podestà a Castel Bolognese dove piantò casa e vi stette finchè visse, ivi giunto ad età avanzata fu giubilato per il bon servigio prestato.
Consolo del secondo semestre di quest’anno fu estratto Francesco dall’Oppio.
Benedetto XIV sin dal principio del suo pontificato per liberare dall’aque stagnanti nel bolognese in confina del ferrarese, ordinò un taglio reale, per effettuare il quale fu mestieri interporvi grandi lavorieri, per li quali fu ordinato alle comunità del territorio bolognese mandare interpolatamemte a fare spesa operari che però la Comunità di Castel S. Pietro in seguito di una notificazione publicata li 11 lulio mandò per tutto agosto e settembre li indicati sogetti: Giuseppe Sassatelli con tre compagni: Antonio Ronchi, Sabbatino Castellari, Carlo Romani, Sabbatino Marzocchi, Domenico di Bartolomeo Molinari, Bartolomeo Bergami, Marco Zuffa, Pietro Dalfiume, Alessio Damiani, Domenico Dalla Cà, Alessandro Nonini, Michele Oppi, Petronio Marzocchi, Innocenzo Galavoti, Antonio Da Valle, Angiolo Baroncini, Natale Masini e Guido Marabini. Questo taglio reale che fu poi detto: Cavo Benedettino dal suo autore, come nella d. notificazione, non ebbe quell’effetto che si aspettava onde col tempo restò inabile.

(1751) Sull’entrare del novo anno 1751, prese il governo di Consolo l’Alfiere Lorenzo Graffi, fu Podestà il Conte Giacomo Isolani.
Li 24 marzo presso l’ora di notte fu strangolato nella propria abitazione Messer Giovanni Torchi settogenario, ultimo di sua familia. Li autori furono Antonio di Carlo Bonetti detto: Tejno e Lodovico di Antonio Lelli d. Ghinone, tutti di Castel S. Pietro. Questi due assassini essendo venuti di gallera osservarono che il Torchi era solo e che l’opinione comune era di essere quello uomo danaroso mentre aveva servito lungo tempo L’arcivescovo di Ravenna in qualità di Cappa Nera e suo cameriere, dal quale il med. Torchi ne aveva riportato doppo la di lui morte le spolie.
Per la qual cosa presero colloro il tempo che il di lui nipote Giuseppe Battilani sortisca secondo il solito di casa per essere domestico e difatti ciò accadendo, entrarono nella abitazione ove era a sedere presso il foco quel povero vecchio che recitava il rosario e tosto le gettarono al collo un cappio per oprimerlo al momento, senza che potesse chiamare ajuto, ma non le riuscì poichè alzò tosto la voce, gridando ajuto, onde li inquilini sentendo strepito poco caso ne fecero prontamente, ma dappoi accorsero e solo quando fu strangolato.
Li assassini, sentendosi scoperti dal socorso che veniva da alcune donniciuole, si diedero a fugire spegnendo il lume alle donne che benissimo conobbero li malfattori, li quali non poterono far nulla e tosto fuggirono dal paese nè più si seppe altro di loro, lasciando così miseramente soffocato e morto quel uomo dabbene.
Poco tempo prima che accadesse questo fatto, il d. Torchi testò e lasciò li suoi capitale alla Compagnia del Rosario, tra quali il bellissimo Creocefisso agonizzante, che si porta in processione alle orazioni e funzioni. Egli fu uomo devotissimo del Rosario e mai prese moglie ed aveva un solo cugino dell’ordine de MM. OO. di S. Francesco in questa sua patria col nome di Padre Lorenzo, uomo di probità e virtu relligiose che morì in Rimini.
Stante poi la cessione che aveva fatto l’arciprete Bertuzzi della funzione della Congregazione di S. Antonio Abbate alla Arciconfraternita del Rosario, determinò la medesima che ogni anno la prima domenica del mese di giugno si facesse la processione alla nova statua di d. santo, in memoria della sua traslazione.
Li 15 aprile l’Assunteria di Governo mediante una lettera ordinò alla Comunità di eleggere sei omini de più pratici a visitare terreni di campagna e farne la rinovazione dell’estimo de med. per la rinovazione de Campioni per la coletta. Furono per ciò esatti li seguenti, cioè Lorenzo Graffi, consolo, Giuseppe Dalle Vacche o Vachi, Vincenzo Mondini, Domenico Gordini Francesco Dall’Oppio. Lorenzo Sarti, quali in seguito presero il giuramento di fare secondo la loro pratica e coscienza l’estimo ai tereni di questa comunità di Castel S. Pietro e villa di Poggio.
Fu poi estratto Consolo per il secondo semestre Domenico Gordini, tosto dal quale si diede fatto al d. Campione. Adi 9 ottobre seconda domenica del mese morì in Bologna il Dott. Giacomo di Lorenzo Conti acennato chiaro medico, lettore pubblico ed anatomista, con dispiacere universale della città e di questa sua patria per la grande aspettazione che colle sue laboriose cure e operazioni mediche dava alla Università. Fu sepolto nella chiesa di S. Maria del Baraccano essendo di quella arciconfrat. confratello. Doveva egli fare nell’anno seguente, 1752, la anatomia pubblica la seconda volta nel liceo e teatro anatomico di Bologna ad istanza della Assunteria di Studio, perchè coreva pericolo nel med. anno 1752 che la Cattedra anatomica rimanesse priva di un Professore cattedratico, stantechè il destinato anatomico Dott. Giuseppe Guglielmini ne aveva chiesta la dispensa per la sua salute ed età avanzata.
In questo medesimo tempo Giovan Tomaso Nessi nativo forlivese d. volgarmente: Tibacco o Tabbacone, bravo professore di latine lettere, doppo una lunghissimo servigio prestato a questa Comunità per anni, chiese ed ottenne la giubilazione nel suo ministero, grato a tutto il paese. Alevò molto giovenni nello belle arti, onde per la di lui ottima educazione molti paesani presero la via ecclesiastica, lasciò un filio per nome Domenico che per la morbidezza nulla attese allo studio , ma solo al mecanismo e, spatriata la sua familia, si andò a stabilire nel veneziano e ferarese colli fratelli Dalfiume.
Lasciò Giantomaso varie poesie stampate in ogni genere e fu grato al segretario Alessandro Fabbri, col quale ebbe stretta confidenza nelli studi.

(1752) Girato l’anno 1752 entrò Consolo per il primo semestre Flaminio Fabbri e Podestà il Conte Francesco Caprara.
Per la nova erezione in Arciconfraternita della Compagnia del Rosario, furono novamente ecitate le discordie fra le altre due Confraternite di S,. Cattarina e del SS.mo. Quest’ultima ritornò ad primera jura riprodusse in Roma, alli atti Vitali, un lunghissimo processo di 600 carte fabbricate alli atti Vanolti nel vescovato di Bologna li anni 1658 e 1659. Per tali motivi trovandosi il paese sconvolto, non solo fra le corporazioni sud., quant’anco per li partiti di opinione fra le familie, pensò l’arciprete ad una providenza e si fu di procurare una venuta di Missioni. Non fu) sordo il Vescovato e prudentemente convenne nella massima di spedire, a giornate lunghe e sciolte da facende rurali, religiosi eficacissimi per quietare li animi discordi.
La Compagnia di S. Cattarina, come quella che era più facoltosa delle altre due e più antica nella cappazione, pensò potere ancor essa ottenere dal Papa un privilegio conforme a quello del Rosario, ne diede per ciò la suplica a Benedetto XIV per l’inalzamento ancor essa di un Gonfalone. Il Papa, che penetrado aveva la mente dalli confratelli instanti, rescrisse al Memoriale Lectum.
Adì 19 marzo, ricorendo la domenica di passione, si fece solenne processione del X.to dell’Oratorio della Compagnia del SS.mo per il paese con Veletto, secondo la Rubrica. Tutta questa giornata fu piovosa ma, giunto il tempo della processione si rasserenò il cielo e si vide il patente miracolo, restò la serenità finchè la S. Imagine fu ritornata alla sua chiesa e dappoi data la S. Benedizione, si ammassarono le nubi e ritornò la pioggia, che durò continuamente fino alla domenica seguente della Passione.
Quantunque fossero in discordia fra di loro le Compagnie di S. Cattarina e del SS.mo, ciò non ostante si fecero le consuete Rogazioni colla S. Imagine di Poggio assieme, così che il di 9 maggio fu ricevuta la B. V. dalli confratelli di S. Cattarina nella loro chiesa con tutta la decenza possibile, ed il di seguente 10 maggio, che fu il mercoledì, fu portata alla chiesa de P.P. Cappuccini ove, essendo stata accolta colle solite formalità, accadde, che trovandosi una ossessa di Piancaldoli di nome Angiola Pradini, che appostatamente era stata quivi tradotta per visitare la miracolosa Imagine, nell’entrare che fece in chiesa la B.V. , diede la predette Angiola Pradini in alti strepiti e smanie che mise sossopra tutto il popolo; ma rinchiusa la paziente nella vicina capella dedicata a S. Antonio da Padova presso la porta, fu confortata la meschina dal sacerdote P. Paolo Mattioli, cappuccino da Castel S. Pietro, a confidare in quella S. Imagine, sicura che ne avrebbe riportata la grazia.
Stette la paziente quieta tutta la messa cantata, contemplando la B.V. colla vista, ma nel sortire dalla chiesa la S. Imagine, allorchè fu rincontro la capella ove era la ossessa, questa alzandosi strepitosamente, che niuno la poteva fermare, (prese) la sua fuga verso l’altra capella non trovandola serrata. Convenne stare nella sua situazione di prima finchè la B.V. fu sortita di chiesa e nel pasarle avvanti diede due spaventosi urli a guisa di rugito e stralunando li ochi si gettò bocconi a terra, dove stata pochi momenti si alzò e disse che stava assai meglio e però gridando: Viva Maria della grazia, si spiccò dalla capella ed inoltrandosi fra il popolo seguace della processione accompagnò la S. Imagine fino alla sua chiesa, dove vedendola si comosse al pianto ed alli ringraziamenti.
Interogato del suo operato e della cagione e se più ne sentiva in sè, rispose che il motivo di tanti strepiti egli era stato una opressione e palpitazione di petto che il demonio le cagionava, allorchè si vedeva appressarsi all’Imagine di Maria e che da molti anni ella era a questa parte stata invasa a cagione di una spavento sofferto in un turbine del tempo.
Si dedusse quivi realmente il miracolo averlo fatto il SS.mo mediante la B.V. di Poggio. Per verificarsi maggiormente il fatto la mattina seguente, giorno della Ascensione, si portò la sudd. avvanti la S. Imagine ove stette genuflessa per lungo tempo a ringraziarvi la sua benefattrice, senza dar segno di essere più invasa. Se ne partì sola senza ajuto d’alcuno, manifestando a chiunque il prodigio ad essa accaduto, cosichè pensava essere sgravata di un gran soma e rinata al mondo.
Li 24 giugno, fu estratto Consolo Lorenzo Conti, sotto il di cui governo imediatamente fu afficato l’Avviso delle Missioni per il prossimo agosto.
Venuto il qual tempo l’arciprete Bertuzzi, intento sempre a beneficiare la miseria delle sue pecorelle, essendo egli l’aministratore ed esecutore testamentario di Agostina Fabbri e di Giovan Battista di Castel S. Pietro in virtu’ de testamento rogato dal Notaio Giovan Maria Pedini di Bologna ed Antonio Carboni Not., trovandosi nell’asse ereditario una casa posta nella via di Saragozza di sotto in questo Castello il di cui frutto dovevasi applicare ai poveri della Parochia, il med. arciprete per ciò vendette questo fondo urbano a Omobono Serantoni per sc. 400 ed il prezzo ritratto fu aplicato all’Ospitale dell’Infermi di questa Parochia li 3 agosto con vari dichiarazioni per Rogito di Ventura Bertuzzi.
In seguito poi delle istanze fatte all’arcivescovo per fare le Missioni in questo loco il giorno 8 del corrente agosto arrivò il P. Angiolo di Costanzo, sacerdote gesuita di nazione napolitano, con altri due gesuiti compagni su le ore 21 circa. Prima di introdursi nella chiesa arcipretale, fu il popolo condotto dall’arciprete nel Borgo alla chiesa della Annunziata, che dopo essere stata chiusa alquanti giorni, si aperse e si ritrovò tutta apparata a lutto. Eravi nella med. un Christo in grandezza del vero deposto dalla croce sopra un cattaletto, tutto piagato coi capeli umani, quivi, essendovi il missionario, fu levato sopra le spalle del clero secolare il X.to morto, ed indi, nel modo che si usa de cadaveri, fu accompagnato con lumi alla chiesa arcipretale ed ivi deposto.
Cominciò quindi la predicazione il missionario col addurre che: Filius Hominis era così morto per li peccati comuni. Seguitò il suo discorso e d’indi si infiamò a parlare del rispetto alla Casa di Dio, declamando acremente contro li profanatori del Tempio. Finalmente dopo avere perorato per lo spirituale, passò a perorare anco per il materiale addimostrando che Iddio si compiaceva avere ricettacoli convenienti alla sua divinità.
Finalmente concluse il discorso che, essendo questa arcipretale chiesa simile ad un granajo perchè tutta tassellata d’abeti, toltone la capella maggiore costruita anni sono dalla Compagnia del SS.mo e dalla Comunità, era un obbrobrio che si faceva anco a pena, onde persuase il popolo a prosseguire la incominciata fabbrica e stimolò in tal modo l’arciprete, che fu messo all’impegno del lavoro, tanto più che ne aveva due dissegni uno di Alfonso Toreggiani e l’altro del famoso Giancarlo Bibiena, architetto reale della corte di Portogallo, il quale, nel tempo che era venuto in casa del mio avo Pier Antonio Cavazza per affari ed interessi pecuniari ove la state se la pasava presso il med., ne aveva fatto il suo dissegno, il quale non fu poi eseguito a motivo della grande spesa.
Per vieppiù animare il popolo soggiunse il missionario, che tutte le lemosine che si fossero raccolte nel corso di queste sue missioni voleva aplicarle a questa fabbrica, come eseguì fedelmente.
La popolazione sentì con piacere queste preposizioni tutte così che, doppo alcune prediche, si portarono li capi di familie del paese al quartiere del missionario, che aveva nella Casa di Ospizio della sua relligione de Gesuita, anticamente casa de Morelli.
Si unirono a questi capi di familia li preti e la arciconfraternita del Rosario, come quella che aveva la sua ressidenza nella chiesa arcipretale, ed alla quale l’arciprete aveva addossata la assistenza di tutte le funzioni che si fossero fatte nel corso di queste Missioni.
il missionario poscia in appresso invitò una congregazione universale di paesani nel palazzo Malvasia, nel quale luogo trasferì fra non pochi giorni il suo domicilio per maneggiare il proposto lavoro. Vi Intervennero tutti li capi di familia del paese, fu deputato per segretario di questa unione il Not. Giovanni Ventura Bertuzzi a scrivere quest’atto come notaio. Nella med. congregazione fu rissoluto doversi eseguire il dissegno Torreggiani per le ragioni addotte. Ognuno poi delli congregati si tassò di una oferta a suo piacere.
La Compagnia di S. Cattarina, essendo priore della med. Domenico Antonio Vanti, si tassò per sc. 300, la Compagnia del SS.mo, perchè povera e perchè non era stata considerata nelle funzioni delle queste Missioni, non si volle tassare, aggiungendo dippiù che ella aveva dato dippiù delli altri nella fabbrica della capella maggiore.
Animato il missionario delle offerte che di primo balzo ammontarono alla somma di scudi novecento, sc. 900; per impegnare vieppiù l’arciprete e popolo volle esso, finchè era quivi, incominciare il lavoro.
Terminate perciò le missioni, in giorno di domenica che fu il di XX agosto con la papale benedizione, il dì seguente XXI agosto giorno di lunedì, pose esso la prima pietra fondamentale e testimoniale nel fondamento della colonna angolare alla destra della porta maggiore ove era il battistero, nella colonna angolare alla sinistra della d. porta, ove era la capella di S. Antonio Abbate, vi pose la seconda pietra l’arciprete Bertuzzi. Queste deposizioni di pietra si fecero co riti di S. Chiesa.
Furono nella d. congregazione fatti quattro fabbriciari ed un depositario per la coletta e così anco furono distribuiti altri offici in modo che col maggior fervore in breve tempo si alzò il lavoro interno della chiesa.
Perchè poi nell’angolo esterno della facciata della chiesa, alla sinistra respiciente il cemetero e la strada maggiore del Castello, vi era edificata la torre dell’orologio pubblico, per caricare il quale, come si disse in addietro, conveniva all’orologiaro e donzello della Comunità passare sopra li volti della capella del Rosario e sopra il tassello della stessa parocchiale, fu creduto non conveniva lasciarvi questa torreta come quella che avrebbe deformata la facciata della chiesa, perciò alcuni male intenzionati contro la Comunità, anco per espellerla da questo diritto nella parocchiale, fu pensato, da capi fabbriciari unitamente all’arciprete, di levare affatto detta toretta e orologio ivi esistente, furono questi D. Francesco Abbate Dalle Vacche, Domenico Ronchi, D. Giuseppe Fantaguzzi e D. Francesco Trocchi unitamente all’arciprete fecero istanza alla Comunità e pregarono di atterare la torretta e levarla affatto adducendo essere cosa necessaria la demolizione per potere poi alzare il coperto della chiesa. Non potendo la Comunità ciò effetuare senza la intelligenza del Senato, rispose che avrebbe annuito, sempre che in questo luogo non si fosse potuta sostenere la torre per un orologio e che il senato avesse prestato l’assenso, dal che se ne sarebbe tantosto dato sfogo alla petizione.
A questo effetto si consultò intanto l’architetto Torreggiani ed il capo mastro della fabbrica Domenico Petrochi imolese, li quali entrambi asserirono potersi benissimo sostenere la torre nello stesso loco senza gravare di ulteriore spesa la Comunità, la quale ciò non ostante si offerse di prestarsi alla petizione di levare totalmente la torre, quallora il Senato di Bologna vi aderisse. In frattanto la Comunità diede parte di ciò alla Assunteria di Governo.
La compagnia di S. Cattarina poi, che aveva da un altro canto lasciata imperfetta la capella laterale nella sua chiesa dedicata a M. V. del Soccorso a motivo che la esecuzione di un cattivo dissegno faceva bruttura e non corrispondeva alla chiesa, venne alla risoluzione di fare un miglior lavoro, per la qual cosa venuto l’architetto Toreggiani in loco emendò li difetti che accadevano e fece egli nova idea su li fondamenti della preparata fabbrica. Restava solo avere dal V. Generale di Bologna la facoltà di fare la spesa che ammontava a lire mille, onde portata l’istanza avvanti il med., questi per li atti di Gaspare Sachetti del 19 dicembre diede con decreto la facoltà alla compagnia di fare la spesa colli avanzi dei rediti della med. e così si chiuse l’anno.

(1753) Nel 1753 fu Podestà il Conte Carlo Cesare filio del senatore Antonio Giuseppe Bianchini. Consolo per il primo semestre fu Lorenzo qd. Alessandro Sarti.
Impazienti li fabbriciari della arcipretale, se non si vole dire maliziosi, per ispoliare la Comunità nel jus che aveva sopra la chiesa intorno alla torre dell’orologio publico, mentre si protraeva con lentezza la Rissoluzione del Senato, non andò molto che alcuni sufficienti et aderenti a fabbricieri senza più partecipare istanza alla Comunità, procedettero ad un de facto.
Quindi nel dì 18 genaro, in tempo che tutto il paese tranquillamente se ne stava al pranzo in casa e contemporaneamente puro fioccava grossa neve onde poche persone caminavano, fu levata la campana dall’orologio sudd. et in un punto estratto l’orologio med., fu demolita affatto la torre.
Lorenzo Sarti consolo, si portò dall’arciprete lagnandosi della prepotenza usata ed affronto fatto alla pubblica Rappresentanza ed alla popolazione nel mentre che si attendeva la Rissoluzione del Senato. L’arciprete a tali verità non ebbe che replicare se non che era necessaria questa demolizione.
Fu convocato tosto il Consilio e si ebbe su ciò non poco diverbio, ma nulla si concluse, differendosi la riflessione a piena Comunità convocata. Replicato il consilio il giorno 21 d. furono in esso deputati quattro consilieri a sostenere li diritti e Jus della med. Comunità e furono Flaminio Fabbri, Lorenzo Conti, Lorenzo Graffi e lo stesso consolo Sarti, a quali dal Consilio fu attribuita ogni facoltà per agire tanto civilmente che criminalmente in ambi li tribunali del Torrone o Vescovato contro li Operari e loro capi Mario Prospero Fontana e Barnaba Trochi Ingegnere del paese e se ne diede contemporaneamente l’avviso alla Assunteria di Governo, la quale tostamente ottenne, avvanti il V. Generale di Bologna Mons. Francesco Cottogni per li atti Sachetti Orolini, precetto diretto all’arciprete di restituire in pristino la torre demolita coll’orologio fatto in pezzi da manuali muratori.
La campana fu restituita alla Comunità. Per tal fatto inaspettato il paese restò privo del suono dell’ora per molto tempo. Li frati di S. Francesco, mossi dal clamore del paese, fecero apporre sopra il loro campanile dalla parte che guarda la loro piazza una Mostra de Ore. Imitarono li Agostiniani lo stesso fatto nel loro campanile. Li Capuccini che avevano la campana al loro orologio picola, la fecero ingrandire perchè fosse udita da paesani, insomma il paese per questo accidente restò fornito di orologi, di quel che fosse stato il passato.
Informata novamente l’Assunteria dalli acenati quattro deputati per maggior foco la facenda. Il P. Luigi di Costanzo intese tutte queste novità si inpose col maggior calore possibile perchè si quietassa tutto il rumore e reintegrare la Comunità de suoi diritti.
Ottenuta tale parola dall’arciprete, si presentò in Consilio, promosse calma delli animi esacerbati in modo che li 28 del med. genaro la Comunità scrisse alcuni progetti all’Assunteria di Governo, acciò prendesse l’affare con prontezza, anzichè approvasse li progetti dell’arciprete. Annuì l’Assunteria alle lamentazioni della Comunità, la quale in seguito il giorno 10 febraro stipulò l’atto di composizione coll’arciprete per rogito del Not. Giuseppe Nanni attuario dell’arcivescovato, del quale noi ne abbiamo fra li nostri documenti del paese l’autentico.
Ciò fatto, li comunisti interessati nella azienda della fabbrica , che avevano dimesso per ciò il loro ministerio, lo riassunsero e procurarono che la stessa fabbrica parochiale vieppiù si inoltrasse.
Mentre si agitavano le accennate cose, il Conte Senatore Federico Calderini confratello della Compagnia del SS.mo, vedendo la chiesa dell’Oratorio di essa fornita di un solo altare laterale che era quello del X.to, per accompagnarlo di prospetto fece fare l’altro e dedicollo alla Immacolata. La scoltura fu fatta da Antonio Gamberini Bolognese, era la figura dell’egregio scultore Antonio Schiassi ed il quadro dipinto in tela era di Antonio Rossi, scolaro del chiaro March’Antonio Franceschini, tutti bolognesi.
Il seguente aprile fu ucciso in Borgo Domenico Poli di archibugiata, l’autore non si potette scoprire perchè di note oscura. Accorsero li sacerdoti per confessarlo, ricusò l’indegno Poli detto per sopranome: Babullo, prestarsi alla raccomandazione dell’anima, anzichè bestemmiando il nome di Dio e santi, col coltello che aveva nelle mani si finì da se stesso di vita, vomitando così la indegna anima in braccio al demonio, fra bestemie eretiche e maldicendo a Dio ed al bon sacerdote D. Luca Gordini che si affaticava perchè salvasse l’anima. Perciò privo di sepoltura apostolica e fu collocato il suo cadavere esternamente al Castello presso la Roccazza nel terrapieno.
Fu uomo di statura alta, faccia furba, facinoroso e poco catolico per la trista e male educazione materna, mentre la med. professava l’arte di fattucchiera ed era denominata : la Morina, che più fiate stette al S. Ufficio per le sud. stregarie e ognuno la fugiva, morì ancor ella fra non molto fori del grembo cattolico. Le imprecazioni che uscivano dalla boca di costei furono così esecrabili, che non ne acceniamo alcuna per ribrezzo. Iddio, per una imprecazione data ad una sua figlia maritata in certo Neri detto: Campanone, che faceva il pescatore, a motivo di averle essa denigrato un pesce che tra gli altri teneva in vendita, le fece vedere l’effetto funesto de suoi auguri, poichè essendo ella gravida, quando fu al termine del parto, attaccata da fierissimi dolori, la Morina, che faceva da mamana, ricevette in grembo dalla filia una creatura umana, ma solo col capo di un brutissimo luzzo, onde ciò vedendo ella prontamente lo strangolò e sepellì in casa propria presso la chiesa e convento di S. Bartolomeo. Veduto tale spettacolo la misera partoriente non potette altro che riconoscere il castigo di Dio ed il miracolo fatto (vista) la imprecazione ricevuta dalla malnata madre.
Compiuto l’altare Calderini sud. vi si celebrò la S. Messa li 26 maggio sabbato avvanti le Rogazioni. Prosseguendosi la fabbrica della chiesa arcipretale ma con tiepidenza de limosinieri e d’altri contribuenti a motivo che anco il Papa non fornisce oracolo per la demolita torre, ne si concludeva rifarla nello stesso loco della demolita e molto più per chè si facevano novi progetti di edificarne una nella pubblica piazza presso la residenza comunicativa, nè questo pure si concludeva per la spesa, onde si sentivano spesso rimprocci. Fu perciò determinato che l’arciprete pagasse scudi cento, come fece, alla comunità per tale orologio e torre, che la torre si edificasse fuori della arcipretale.
Visitò l’architetto Dotti il sito della torre, ne fece il dissegno, ed in conseguenza fu plaudito da tutti.
Li 24 giugno fu estratto Consolo Vincenzo Mondini, sotto il cui governo del mese di agosto fu diviso il luogo dormentario delli infermi della parochia, mediante un muro ed un altare, poichè prima li uomini e le donne si vedevano di letto, li uni colli altri. In questo tempo il Consolo protempore, secondo li statuti dello ospitale, era interessato nel governo di quello.
Credevansi tutte appurate le differenze fra la comunità e l’arciprete a motivo della torre del novo orologio, quand’ecco alcuni mali intenzionati del clero e di quelli che conducevano il bon arciprete, suscitarono novi cavilli e discordie, le quali a riferirle non servirebbero.
Per finire questi, che andavano anco a disturbare la quiete del superiore eclesiastico, pensò bene il vescovo Mons. Lotanzio Sipa, delegato dal Papa al governo della Diocesi, di portarsi a Castel S. Pietro col pretesto della cresima e visita pastorale e digià li 2 settembre venne a Castel S. Pietro e doppo li uffici boni usati colla Comunità tutto restò confirmato e ritornata la pace coll’arciprete.
Li 8 settembre M.ro Pietro Fontana Capo mastro muratore della arcipretale sudd. doppo avere terminati li suoi lavori, andando alla volta di Imola verso l’ora di notte con quattro muratori seco, allorchè furono giunti alla capellina della madonna del Cozzo nella via romana furono assaliti da genti mascherate con armi, questi, difendendosi colli righetti ed arnesi murari, non furono sufficenti a tenere l’ira delli agressori, per la qual cosa andarono archibugiate contro li muratori, li quali vedendosi perduti contro una ciurma di assassini gridando alla B. V. , ed accorrendo li vicini villani, furono liberati, ricevendo legeri ferite Domenico Cassina.
In seguito della concordia seguita fra l’arciprete e la Comunità sopra l’orologio, furono nel di 27 ottobre affissi li proclami del governo di Bologna per chi voleva attendere al lavoro per li atti di Ippolito Villa, notaio di Governo all’imposta. In appresso fu deliberato tutto il lavoro a Domenico Petrocchi Capo Mastro muratore imolese, che assunse in se tutta la fabbrica. Immediatamente al terminare della novembre furono fatti li fondamenti giusto il dissegno Dotti, che stettero posati fino al venturo agosto.
Confirmato priore in questo convento di S. Bartolomeo il P. Giacomo Giacomelli, fino al novo Capitolo Provinciale, dal P. Nicola Borgia generale dell’ordine agostiniano. Si cominciò in questa sua chiesa di S. Bartolomeo, la Divozione alla B. V. di Genzano detta volgarmente: del Bon Consilio, per li tanti miracoli che Iddio operava per mezzo di questa Imagine. Fu perciò con solenne festa li 8 dicembre esposta al pubblico il di lei ritratto e vi fu fatto solennissimo panegirico dal P. Luigi Penacchi, che fu poi Provinciale col tratto del tempo e così terminò l’anno.

(1754) Per il corrente anno poi 1754 fu estratto Podestà il Marchese Gio. Nicolo filio del Senatore Frangiollo Tanara e Consolo per il primo semestre fu Giuseppe Dalle Vache.
Nella chiesa di questi P.P. Capuccini fu esposto il bellissimo quadro opera di Ercole Graziani bolognese rappresentante S. Giuseppe da Leonessa agonizzante in braccio a due angioli deposto dal martirio, si vole che questo quadro sia uno de migliori escito dal suo penello. Fu pagato per metà dalla casa Malvasia e l’altra metà per elemosina. Codesti P.P. Cappuccini nazionali di Castel S. Pietro, memori delle virtù singolari ed atti di santità del P. Leone Alberici di questo loco, sacerdote dell’instituto loro, per cui fu sepolto in cassa separata nell’avello comune, curiosi di vedere come si era conservato il di lui cadavere, ottenuta la licenza de suoi superiori, lo levarono fuori.
Schiodata la cassa , doppo averla visitata in ogni sua parte, lo ritrovarono intatto, bello, flessibile, con faccia illare ed odoroso in modo che sembrava sepolto di poche ore. Fu riposto entro nova cassa di rovere e recolocato entro lo stesso avello dove era prima con ammirazione di molti che vi erano concorsi ad osservarlo.
Li 3 maggio fu celebrata la Congregazione capitolare delli Agostiniani in questo convento di S. Bartolomeo dal Maestro Piccini bolognese Priore provinciale essendo Pressidente il Maestro Egidio Tirati, del quale si diede il possesso al P. Maestro Nicola Pigia, provinciale eletto nell’anno scorso in Bologna dal Diffinitore generale P. M.ro Francesco Vasquez.
Morì in questo tempo il sempre commendabile Gio. Tomaso Nespoli in età di anni 88, già pubblico precettore giubilato da questa Comunità doppo l’esercizio di anni 40 e fu, benchè cadente di età, dispiaciuto da tutti.
Nella fine del seguente giugno fu estratto per il venturo semestre Consolo il Capitano Francesco Antonio Vanti.
Entro questo mese li dazieri del Dazio Orto di Bologna tentarono mettere in uso tal Dazio ancora in Castel S. Pietro. La Comunità ricorse per ciò al Card. Doria, ed ottenne per gli atti del Not. Giuseppe Bovi nel Civile di Bologna il Monitorio di doversi mantenere esente come lo era Castel S. Pietro.
Furono fatti in seguito alcuni atti giudiciali ma la Comunità rimase in tasessa.
Li 5 agosto si cominciò in giorno di lunedì a fabbricare la nova tore dell’orologio nella piazza entro il Castello.
In questo mese facendosi le Missioni dal P. Angiolo di Costanzo nella vicina parocchia di S. Martino in Petriolo, tutti li calzolari di Castel S. Pietro radunati al Numero di 40, processionalmente si portarono in cappa bianca a quella chiesa cantando inni e lodi al Signore. Avevano inalberato il loro quadro dipinto di S. Chrispino e Chrispiniano che si conservano nella chiesa di questi P.P. Francescani sopra la parte laterale, ove hanno costituito il loro Juspatronato sotto la statua della B.V. di Loreto.
Li calzolari cappati avevano tutti il loro bastone uniforme in mano e quattro lanternoni attorno al santo, fece loro da capellano un sacerdote dell’ordine sud. francescano. Nel partirsi intonarono in canto gregoriano l’inno : Sanctorum meritis inclita gaudia. Nel ritorno la sera furono incontrati da tutti li frati francescani processionalmente e ricondotti nella loro chiesa col quadro del santo, che esposto all’altar maggiore alla pubblica venerazione, fu indi esposto il SS. SS.to col quale fu data la benedizione al popolo numeroso concorso.
Nella chiesa di d. P.P. furono modernate tutte le mense alli altari, eccetto l’altar maggiore e costruite all’uso romano come si vede, levandovi li palli che erano di scaliola rabescati.
Nel fine di ottobre restò compita la fabbrica della nova torre dell’orologio in piazza. Fu in questa circostanza rinovata la campana dell’orologio, la quale era prima di libre 254, fu accresciuta fino a libre 381. Il fonditore fu Domenico Fornasini di Bologna, il quale fece di novo quasi tutto l’orologio. Alla spesa della campana vi concorse tutta la Podesteria di Castel S. Pietro e perciò nel contorno della stessa campana vi si legge la seguente memoria: “Renovata et aucta pubblico aere huius (…) Castri S. P.ri anno D.ni MDCCLIV Consule Francesco Antonio Vanti.” Nella metà di d. Torre vi fu poscia collocata una imagine di M. V. Imacolata fatta di terra cotta da F. Geremia da Bologna ( con altra calligrafia : dal P. Sigismondo da Bologna) sacerdote cappuccino degente in questo convento, prima che fosse collocata nella sua nicchia fu benedetta dal capellano parrochiale D. Sebastiano Bertuzzi, posta al suo loco seguì un copioso sparo di mortaletti. La spesa dell’orologio, campana e torre ascese alla somma di lire duemille cinquecento, soldi tredici e danari quattro moneta di Bologna. sc.2500: 13: 4 come rilevasi nell’archivio comunitativo.
In questo tempo il chiaro pittore Angiolo Carboni bolognese ornatista, doppo essere stato nel Portogallo ove fece belle operazioni, dipinse la sagrestia di questi P.P. Francescani alla clunese (…), così fece il loro refettorio, ma poco vi è rimasto per la pazzia fatta da un guardiano, che fu poi rimosso. Contemporaneamente si cominciò la fabbrica dello scalone delli d. Francescani nel loro convento, sul dissegno dell’architetto Antonio Ambrogi bolognese, in loco ove era già la scala di due rampanti. Tutte queste novità le fece il P. Giuliani da Bologna che indebitò molto il convento, onde non è più risorto.
Perfino la libreria ove erano anco codici, fu levata dal suo sito, che era in faccia all’ingresso di d. scalone e corrutò tutto il ben ordine di quel bel convento, facendo anco imbiancare molti dipinti interni di bona mano nella loggia inferiore ove esistevano molti miracoli di S. Antonio con li stemi sottoposti delle familie che ne avevano fatta la spesa, si vedono anco li segni nella parete del dipinto a fresco in alcuni luoghi.

(1755) Anno 1755, fu podestà il Conte Giuseppe Maria di Giovan Maria Marsili e consolo il Not. Giovanni Ventura Bertuzzi.
Abbelita la piazza colla nova torre, si pensò quindi anco ad accomodare la ressidenza consolare per li comizi comunitativi, fu prevenuta l’Assunteria di Governo, la quale non si oppose punto. Restava solamente poi la piazza da ridursi ad un piano comodo per trasferirvi ivi li mercati da polami, erbaggi ed altri comestibili, mentre quella era tutta prativa, senza scoli, così che in tempo piovoso non era praticabile. La Comunità perciò diede supplica al Senato per ridurla a livello non solo ma anco per seliciarla.
Fu presa in considerazione la suplica, la quale fu accompagnata dalle premure del Conte e Senatore Cesare Malvasia. A questo effetto fu spedito il perito pubblico e architetto Bartolomeo Bonacorsi, il quale il 17 aprile, prese la dovuta livellazione e riferì favorevolmente molto più perchè le aque superiori della via d. Piazza Liana non si potevano scolare quando non si abbassava la superfice della piazza che era inferiore.
La chiesa della madonna di Poggio, che per la sua antichità abbisognava di ristoro, il beneficiario D. Giovanni Battista Ballarini, coadunati li compadroni delli altari esistenti entro quella, acciò ancor essi dal loro canto accomodassero quelli, la fece accomodare, abbellire e ridurre in quella figura e forma che ora si vede.
In conseguenza di ciò vi fece apporre sopra la porta interna la seguente iscrizione in luogo dell’altra già perduta perchè dipinta sul muro come abbiamo segnato nel secolo scorso alla sua epoca:
Templum hoc
ex fide obblationibus
et altaria a suis compatronibus
restaurata fuere
Anno D.ni MDCCLV
Rectore
D. Sa. Bactista Ballarini
In occasione che facevasi a Bologna il Capitolo Generale de Domenicani, venne predicatore a Castel S. PIetro per la seguente quaresima il P. Luigi Clerici domenicano, nobile milanese già Vicario del S. Ufficio di Pesaro che nel di 17 febraro cominciò con gran fervore, giorno primo di quaresima, le sue apostoliche fatiche, il med. albergò in casa Calderini. Terminata la quaresima passò a Bologna al Capitolo, di dove ritornato fermossi alquanti giorni in Castello, dove veduti certi abusi intorno alle funzioni della Arciconfraternità del Rosario, insegnò ed ordinò a quella il modo di onorare la S. Vergine dello stesso Rosario. Fra le cose che promosse, furono che ogni sabato mattina si facesse un picolo discorso al di lei altare e dappoi recitate le orazioni delli quindici Misteri con tre Ave Maria per ciascuno, si dovesse dare la benedizione al popolo, almeno colla reliquia della B. V. , se non si dava il SS.mo SS.to.
Tanto fu eseguito e si prosseguì abitualmente finchè visse l’arciprete Bertuzzi.
Trovandosi la campagna bisognosa di pioggia, non essendosi potuta ottenere la grazia sebbene si recitava la coletta nella chiesa pro pluvia, molti abitanti nel borgo di questo Castello mossi da straordinario fervore verso il loro antico crocefisso esistente nella chiesa della SS. Anunziata, lo esposero il dì 25 aprile all’altar maggiore di questa chiesa facendovi celebrare molte messe avvanti. Il terzo giorno che fu li 26 d. in sabbato fu portato processionalmente pel Borgo e doppo data la benedizione al popolo, del che non v’era memoria d’uomo, benchè veccio del paese, che si ricordasse simile funzione terminata la quale la notte seguente si vide il miracolo mediante abbondante pioggia, che inaffiò esuberantemente tutto il nostro comune.
Dalle memorie di Domenico Gordini e Giuseppe Amadesi scrittori delle cose de suoi giorni nel paese, si legge che erano più di centocinquanta anni che non si era mossa questa santa Imagine dal suo posto.
Li 24 maggio il P. Giuseppe Maria Cappuccino nazionale di Castel S. PIetro della familia Venturoli doppo il corso di sessanta anni di sacerdozio rinovò solennemente il suo primo Sagrificio in questa sua chiesa dove che il di lui fratello Antonio fece fare grandissime allegrezze per il paese.
Essendo stato estratto consolo li 24 cadente giugno Lorenzo Conti, assunse il carico il di primo lulio, nel qual mese il giorno 8 andando a Bologna il P. Petruccio MM. OO. di cui si parlò avvanti, ed essendo stanco per la sua età e viaggio, ascese sopra di un carro carico di formento condotto da Alessandro Brini. Giunto che fu presso l’osteria del Gallo, impavoriti li bovi congiunti al carro, cominciarono a fuggire, il povero fraticello rivoltosi al suo gran protettore S. Diego, nell’atto che voleva estrarre la reliquia del med. dal mantello per segnare le bestie fuggitive, cadde giu’ dal carro, il quale soprapassandolo a traverso, colle ruote doveva restare se non segato a meza vita almeno stritolato.
Cominciò a gridare colla reliquia in mano, salvami Diego! salvami Diego!, onde al suono di tali parole le bestie tutte sul momento si impostarono nè più oltre prosseguì la loro intrapresa fuga. Levatosi il fraticello di soto al pericolo da se solo, fece vedere ai villani quanto era potente Iddio per mezo di questo santo. Portatosi nella vicina osteria, si spogliò affatto per farsi curare le lividezze ed amaccature almeno, ma nulla di segno si ritrovò nella sua persona, onde lodando vieppiù Iddio mirabile ne suoi santi, prosseguì il viaggio a Bologna.
Questo fatto fu dipinto in una mediocre tavoletta, che fu dappoi apposta all’altare del santo in questa chiesa di S. Francesco.
Li 10 agosro si cominciò a spianare la piazza maggiore del Castello ed a porla a livello. Il travaglio e lavoro fu addossato a Barnaba Trocchi, il terreno poi che era superfluo e doveva trasportarsi fori del Castello e colocato nella fossa del med. dalla parte di levante entro la intercapedine di due lunghi muri a guisa di ala fatti fabbricare dal Conte Cesare Malvasia quattro anni sono.
Cominciarno li frati di S. Francesco, come confinanti al Conte Malvasia, a dolersi perchè prevedevano la di lui idea, cioè di chiudere il passaggio posteriore al loro convento ed alli palazzi vicini, ove è la migliore veduta e passeggio del paese che guarda il Silaro, la colina, la pianura e la via romana per la qual cosa il P. Giuliano Giuliani bolognese, moderno guardiano del d. convento, ricorse ad un ripiego coll’impedire al trasporto del tereno sud., per la qual cosa essendo sottoposta al vicolo che intercede la chiesa e l’orto de frati fra li due portoni, una conserva di neve, il cui fornice poggia da un canto il campanile e dall’altro una stalla de med. frati, fece egli di notte tempo rompere la volta della conserva sull’apice, onde fattosi un largo schianto, funecessariamente sospeso il trasporto del su divisato terreno, adducendo dippiù che tale rovina era accaduta per il soverchio transito delle birozze cariche di terreno e steramenti.
Sdegnato il Cavaliere per questo sottomano si impostò vieppiù nella sua idea e cominciò a far passare tutte le birozze cariche per meza loggia del suo palazzo, corrispondente appunto nel destinato loro per la idea sudd. Restò quindi beffato il Guardiano ed adirati li altri frati, a quasi tutti dispiaque un tale contrapunto perchè prevedevano la perdita di tante elemosine, che le faceva quel signore.
In conseguenza li frati si convenne tacere e servire al guardiano, il quale fece tostamente chiudere entrambi e tenere serati li portoni, onde niuno passava più per detto vicolo. Li paesani pure vedendo chiuso questo transito, sussurravano, la onde fatto inteso il Senato di quanto accadeva, trattandosi di un passaggio pubblico, chiamò in giudizio li frati ed il convento e fece sospendere alla Comunità la lemosina di sc. 26 annue per il voto fatto a S. Bernardino in occasione del contagio. Il guardiano , oltre avere fatto rompere la volta sud. fece anco doppo porre una iscrizione sopra il primo portone all’interno, ove annunziava spettare quel vicolo a solo uso de frati, non contento di ciò sopra d. transito vi fece edificare un muro di traverso, che si congiungeva dalla mura dell’orto al muro della chiesa e fece altra pazzia, che a suo loco la descriveremo.
Li 22 d., essendo terminata la volta della chiesa parocchiale, li muratori fecero festa colle loro armi ed arnesi murari di cazola, martelli, calledri e fu scoperta al popolo, che corrispose alli loro: Eviva!
Le impetuose pioggie che seguirono in ottobre in alcune città di Italia, recarono non pochi danni alle campagne ed a fabbricati.
Li frati di S. Francesco prosseguivano la lite col Senato sopra il passaggio de portoni in questo loco.
Li teremoti accaduti in vari luoghi e provincie spaventarono non poco. Fra tutti il più strepitoso fu quello di Lisbona al quale vi si aggiunse il foco e grandi ruine, delle quali se ne può il curioso letore dalle unite relazioni, stampate presso il Saffi in Bologna, sincerare a minuto. Fu talmente formidabile questo castigo, che per consenso, si sentirono anco nella nostra Italia non solo, ma anco nella nostra provincia qualche scotimento e così terminossi l’anno, al cadere del quale fu estratto Podestà per l’anno avvenire il Marchese Rafaele Riario e per il primo semestre , essendosi rinovata la imbustazione de consoli, il capitano Francesco Antonio Vanti

(1756) Entrato l’anno novo 1756 li Tribuni della Plebe di Bologna fra non molto vennero in visita a Castel S. Pietro per li comestibili ed annona, in tale circostanza pretesero e tentarono di sottomettere il paese alla sogezione delle Arti di Bologna. Quindi primieramente furono querelati li gargiolari nel loro foro dal magistrato per la innoservanza de bandi dell’arti della città e per la mancanza della ubedienza o sia licenza di poter lavorare in quel tal mestiere, onde la Comunità si mosse contro il magistrato e ne riportò la vittoria come nelli atti del d. Tribunale, essendovi nell’archivio della Comunità il processo fabbricato e la sentenza.
Li 18 maggio nella chiesa di questi P.P. di S. Francesco fu esposto alla pubblica venerazione all’altare del Beneficio Graffi il quadro rappresentante S. Antonio Abbate e S. Pietro d’Alcantara, opera di Pier Andrea di Carl’Antonio Giorgi de Castel S. Pietro; il paese e dipinto dall’egregio penello di Paolo Dardani bolognese.
Aveva l’arciconfraternita del Rosario ottenuto dal Papa la grazia dell’erezione del Gonfalone per suo particolare distintivo e temendosi dalle contrarie compagnie un qualche sfregio ed ostacolo, per ciò l’Arcivescovo Card. Vincenzo Malvezzi, al quale era stato comessa la esecuzione del Privilegio, il di 8 maggio di sabbato, in occasione della sua pastorale visita in Castel S. Pietro diede esecuzione alla Grazia di potere inalzare come suo particolare distintivo il d. Gonfalone o sia Padiglione in tutte le processioni, ed il med. Arcivescovo per maggiormente addimostrare alla med . Arciconfrat. li più sinceri attestati del suo affetto, volle essere accompagnato alla arcipretale chiesa dalli Arciconfrati della stessa nel loro abito di penitenza col far precedere avvanti il d. Gonfalone, che lo andarono a ricevere nel palazzo Malvasia ove era di albergo per la visita pastorale.
Tanto fu il giubilo comune che al primo inalzamento della Insegna ne venne dato pubblico testimonio di gioja mediante il suono di tutti li sacri bronzi del Castello. In oltre volle che li med. arciconfrati così vestiti assistessero a tutta la sagra funzione, che tenne l’Em.za sua nella Arcipretale Chiesa, compiuta la quale, si come alla sagra adorazione de fedeli ritrovavasi la miracolosa Imagine del SS.mo Rosario, ordinò che da med. si facesse una divota estraordinaria processione per il Castello e Borgo colla d. S. Imagine , intervenendovi numeroso clero secolare e le tre Relligioni claustrali del paese. assistette il Card. a tale funzione, la quale terminossi colla benedizione della S. Imagine nella pubblica piazza del Castello sopra un alto parco a questo effetto preparato.
Esistendo lite fra il Marchese Marc’Antonio Ercolani, padrone del molino di Medicina da una parte ed il Marchese Sigismondo Malvezzi , padrone del molino di Castel S. Pietro dall’altra a motivo delle aque della chiusa che nel Silaro si introducono in questo canale di Castel S. Pietro e si mandano diritivamente al molino di Medicina, alla manutenzione della qual chiusa non voleva concorrere l’Ercolani quantunque ne sentisse il beneficio dell’aque.
Perciò il med. Ercolani ad effetto di esimersi dal contribultare il ristoro proporzionato al Senatore Malvezzi, pensò egli, senza farsi altra chiusa, ricevere le aque del fiume Silaro imediatamente presso il ponte che passa sopra la via romana distante sei pertiche dalla sponda del med., col fermarvi, come fece, un novo paraporto ed un novo canale che intemediando li terreni detti della Boldrina, desse le aque al canale che porta a Medicina.
Data esecuzione a questa sua idea, cominciarono a riddursi molto la aque del Silaro a questo novo paraporto e recipiente. Per la qual cosa cominciò la affluenza dell’aque, che tutte quivi si riducevano a minacciare la sponda della strada romana e dello stesso ponte, onde in breve tempo seguì una corusione vistosa e slamazione di terreno che fu duopo darne l’imediato avviso al Governo di Bologna.
Per riparare al qual disordine, che minacciava di tagliare la strada e prendere in mezo il ponte furono, spediti due professori di idrostatica, Giacomo Gambarini e Giacomo Dotti alla visita, proposero entrambi fare un muraglione diffensivo sottante la strada, tenendolo poggiato alla sola strada a diferenza dell’altra opposta che obbliguamente porta le correnti all’ochio del ponte e non le riceve in grembo.
Fu questo loro pensiero una svista assai grande per la quale ricevendosi il novo proposto muraglione in grembo le aque facevano gorgo al piede del med.. Ciò non fu totalmente svista, ma fu creduto che questo dissegno fosse così ideato per fare servigio all’Ercolani, mentre diversamente facendo si ripellevano le aque, ne potevansi così facilmente ricevere nel novo paraporto fabbricato dal med. Ercolani per incanalarlo nel alveo del canale che scorre a Medicina passandole per mezo li di lui terreni della Boldrina.
Venute per ciò alquante piene doppo essersi incominciato a iscavare li fondamenti, secondo il dissegno lungo la strada sud. et adesivamente alla med., slamò in alquanti siti ed il fondamento si riempì, nè si potevano sostenere li laterali del med. perchè di ghiara, nè suffragavano nemeno li sbadachi ed assate con pontelli a sostenere le loro sponde, tanto più che l’aque vi sorgevano dentro. Convenne per tanto abbandonare questo dissegno e soffrire il danno. Per tal cagione ancora le aque corendo fluentemente a questa posizione portaronsi via anco il novo paraporto, in questa maniera andò a monte il dissegno fatto in questo loco.
Non andò molto che lo stesso Ercolani ne fece fare un altro dalla parte inferiore del ponte sotto strada distante pertiche quaranta e formò un canale novo, ma questo pure fu inutile, ed andò ancor esso a monte.
Il dì primo lulio entrò consolo Giovanni Ventura Bertuzzi Not., sotto il di cui governo fu fatta la chiavica scolatizia la fossa pubblica adesivamente alli muraglioni di sopra pennati, quale sottopassando la via circondaria la fossa mediante un ponticello a spese del Conte Cesare Malvasia fatto, sottopassa d. chiavica il canale e mette nel Silaro sopra li beni attinenti al Molino di Castel S. Pietro, alla spesa della qual chiavica vi concorse anco la casa Malvezzi padrona del molino.
L’Arciconfraternita del Rosario per contestare a Benedetto XIV le obbligazioni sue per la segnalata grazia e Privilegio del Gonfalone fece apporre nel spresbitero della sua capella la seguente inscrizione collo stemma pontificio:
Benedicto ++ XIV P.O.M.
Qui XII Kal. octobris anni
MDCCLVI
SS.mo Acsari Castri S. Petri sodalitium
Amplissimo archiconfrat. honor decoravit
Omnesque eius instituto obseriantes sodalitates
sibi ipsi agregare posse
Insigni adeo benignitate concesserit
Laurentius Graffi, ac coniux M. Cattarina Cappi
eiusdem pro secluram gerentes
In perenni grati animi argumentum
A partire dalla parte del’epistola: la croce con due traversi, come si vede ed in fine li stemmi delli due priori; i coniugi Graffi acidentalmente sortiti in questo anno
Queste iscrizioni sembrano incise in marmo tanto sono belle, ma sono in scaliola marmorata, fatta dalli fratelli Quercia imolesi su indicati. Dalla parte opposta poi medesimamente collo stemma pontificio e di fatto al med. vi si vede il gonfalone e si legge la adicontro inscrizione
Benedicti XIV P.O.M.
Munificentissima Liberalitate
Quod VI Idus Juli anni
MDCCLVI
Archiconfraternitati SS. Rosari Cas S. P.ri
Vexillum vulgo Gonfalone noncup..
Perpetuo in supplicationibus deferre indulg….
nec non id unquam prohiberi posse san….
Laurentius Graffi Prosecli munere funger….
Eternum valut Gratiarum actimis…
Monumentum
La pubblica piazza entro il Castello fu di novo livellata.
Avuta la sentenza favorevole in grado di apellazione li gargiolari di Castel S. Pietro nel Magistrato di Bologna, essendo Notaio Filippo Guermani, si fecero nel paese da med. allegrezze ed onore del loro santo protetore S. Vincenzo martire, esponendo la di lui insigne reliquia nella arcipretale alla venerazione de fedeli.
In questo anno, Io Ercole Cavazza, scrittore delle presenti memorie, fui fatto Notaio di Bologna all’uso de Fumanti.
Li 13 ottobre la gran pioggia seguita al monte produsse improvvisamente una esorbitante piena nel Silaro, che colpì e circondò Francesco di Giovanni Conti in mezo l’alveo del fiume, quale non potendo per verun canto guadarla, tutta la gente che era corsa a vedere la gran corrente, lo vedevano perduto.
Onde, mossa a pietà, la Contessa Anna Stella, che era in villeggiatura in questo loco, fece immediatamente scoprire la Imagine di S Antonio da Padova a questi francescani ed al suono delle campane intonarono il di lui Responsorio, per la qual cosa animato il ragazzo di anni 12, preso un grosso bastone che le trasportava contro la fiumana, si poggiò su questo a guisa di remo poggiandolo in terra, fendendo le aque resistette per una buona ora coll’aqua a metà vita, quindi raccomandandosi al santo, li di cui Religiosi pregavano per esso, fu tosto liberato e si vide il miracolo.

(1757) L’anno che seguì 1757 fu podestà il nobil uomo Girolamo Fontana Bonolli e consolo per il primo semestre Giuseppe Dalle Vache, estratto priore della compagnia del SS.mo SS.to D. Domenico Lugatti, propose al Corporale la gita alla S. Casa di Loreto col miracoloso crocefisso, plaudì la compagnia la proposta e fu decretato il viaggio nella prossima primavera ed in segno della compiacenza, doppo la recita dell’officio, si intonò: S. Maria Lauretana e tutto il popolo rispose lietamente: Ora pro nobis.
Riddotta la Casa della Comunità in buon stato da quel che era prima, li pubblici rappresentanti per ridurre a miglior essere e per un comodo proprio al primo piano superiore, chiese all’Assunteria di Governo la licenza di abbellirla e trasportarvi sopra nella sala la sua ressidenza per li Comizi Consolari. Aderì l’Assunteria e ne estradò la licenza per li atti del Not. di Governo Ipolito Villa e scurì nel mese di marzo colla facoltà di spendere li rediti ed avvanzi comunicativi.
Li 19 aprile la compagnia del SS.mo, inerendo alla Rissoluzione presa del principio dell’anno sopra la gita a Loreto col suo X.to miracoloso, intraprese in questo giorno per la quinta volta il viaggio col med., il quale operò infiniti miracoli per la strada.
Le funzioni e pasate furono le stesse della volta passata e ritornò doppo tredici giorni in patria, che fu il giorno di S. Croce, incontrato al ponte del Silaro da tutta le corporazioni ecclesiastiche e secolari del paese; vi intervenne ancora il Corpo comunitativo il quale regalò la S. Imagine di due torcie. La Compagnia di S. Cattarina e quella del Rosario un mazzo di cadele e fu condotta la S. Imaginealla sua ressidenza.
Avendo machinato nel dì 5 genaro di questo anno Roberto Francesco Damiens francese di uccidere il Re christianissimo di Francia Lodovico XIV mediante coltellata, fu al med. assassino fatta la giustizia dovuta come si legge nella unita stampata relazione per il Saffi di Bologna.
Questo fatto produsse amarezze tali, che col progresso del tempo animarono li malcontenti ad una funesta rivoluzione, che si estese anco ad una enorme persecuzione della chiesa.
Nel mese di giugno si terminò la sala della residenza comunitativa alla quale si aggiunse anco il quartiere e ressidenza per il Giusdicente. Vennero contemporaneamente le Missioni del Dott. D. Rolando Dal Monte, prete bolognese, che dalli 20 maggio durarono fino alli cinque del mese di giugno con molto profitto e fu la prima volta che egli venne quivi a predicare.
Il Cardinale Fabbriccio Serbelloni novo Legato in Bologna, bramoso di vedere li mercati di grani e bestiami che si fanno in Castel S. Pietro, si portò in questo stesso giorno nel paese, alloggiò incognitamente nella casa de Conti Stella fuori del Castello nella via che porta al fiume fronteggiante la fossa pubblica.
Il di primo lulio entrò consolo per questo secondo semestre Flaminio Fabbri, sotto del quale consolato non abbiamo altro degno di memoria, se non che li comizi comunitativi si cominciarono a fare nella nova ressidenza.

1758) Giunto l’anno 1758 fu Podestà il Senatore Primaldo Beccadelli e fu Consolo Lorenzo Sarti, sotto il di cui consolato Domenico Ronchi, Giovan Alessandro Calanchi ed Ercole Cavazza, scrittore di queste memorie, fecero istanza di entrare nel numero de consilieri ne posti vacanti, furono acettati dal Consilio ed il Senato fece la approvazione.
Il pio sacerdote D. Luca Gordini, avendo formate due devote unioni nella arcipretale di cui ne era il Tabulario, l’una dedicata a S. Luigi Gonzaga, composta di tutti giovanetti e l’altra di S. Maria Maddalena de Pazzi, composta di donne conjugate e nubili, il dì 2 febbraro fece la festa solenne ad onore di d. Santa per la prima volta con Panegirico e messa solenne in musica e così proseguì fin che visse.
Li 11 marzo, sabbato avvanti la domenica di Palme, fu regalato il miracoloso Crocefisso della Compagnia dell’Oratorio, dalla Contessa Ghini di Cesena di un bellissimo diadema d’oro del valore di dieci zechini romani, col quale fu tosto incoronata dal buon servo di Dio D. Luca Gordini, in quantochè fuori di questo ottimo sacerdote niuno ardiva appressarsi a toccare la S. Imagine per le circostanze passate e così accadute.
Li 3 maggio ad ore tredici morì in Roma Benedetto XIV Lambertini.
Li 14 li P.P. di S. Francesco levarono in questa sua chiesa il quadro della Concezione già dipinto da Alvaro da Ferrara nel 1612, come si legeva in cartello e vi fu sostituito un altro quadro dipinto per carità da Pier Andrea Giorgi rapressentante S. Pascale Rajlon e S. Francesco Solano, nel mezo de quali santi vi fu fatta nichia per la statua di M.V. Imacolata colla quale si facevano le novene di Natale e stava riposta nella sagrestia vicina. Questo altare era della familia Mondini, che lo donò ai frati.
Li 25 d. entrarono in consilio per la prima volta li sudd. tre sogetti Ronchi, Calanchi e Cavazza e fu il giorno del Corpus Domini. Nello stesso giorno celebrò la sua prima messa in questa arcipretale il sacerdote D. Luigi di Pietro Conti che fu poi arciprete di S. Agata; si fecero perciò grandi allegrezze.
Atteso l’abbandono al Paese del Cap.no Francesco Vanti che andò colla familia nel ducato di Sora essendo stato eletto Capitano del Paese, Lorenzo Graffi volle nel di 4 giugno fare la sua prima rassegna a tutta la sua truppa, doppo di che fece colla med. l’accompagnamento a tutta la processione del SS.mo colla bandiera spiegata di due colori, verde e bianco; terminata la quale funzione, al momento che fu data la benedizione col SS.mo seguì la scarica di tutta la fucilaria militare schierata nella pubblica piazza entro il Castello.
Li 6 lulio fu esaltato al solio pontificio il Card. Arcivescovo di Padova Carlo Vezonico veneziano col nome di Clemente XIII in età d’anni 65.
Prosseguendosi anco le vertenze fra li frati di S. Francesco col Senato di Bologna per il passagio delli due portoni, fu necessaria la visita di Mons. Vicario Gen. di Bologna Francesco Cattogni, quale venne col suo segretario D. Girolamo Galerati imolese e Gasparo Sachetti Not. attuario nel vescovato. L’esito di questa visita non si potette penetrare, tanto più che il sud. guardiano, per intorbidare maggiormente l’affare, oltre il sudd. muro fatole per traverso, come si scrisse, aveva ancora dippiù sopra tale passaggio trasferita la capella di S. Antonio da Padova e, col trasporto della mensa, ivi faceva celebrare le messe.
Li 8 ottobre terminato l’altare di S. Vincenzo Martire nella arcipretale, giuspadronale dell’Arte de Gargiolari del paese, fu in esso esposto il quadro rappresentante il martirio del d. dipinto da Giuseppe Marchesi pittor bolognese d. Sansone.
Li 28 dicembre questi cappucini di Castel S. Pietro fecero levare il coretto esistente in corno evangeli ove era il deposito del Principe Galeotto Pichi sopra terra e lo fecero umare ove presentemente esiste nel presbitero colla sua informazione nella parete superiore.

(1759) Nel di primo genaro 1759 entrò consolo il cap.no Lorenzo Graffi e podestà il Conte Guido Ascanio Orsi.
Per evitare le impertinenze che si emettevano dalla plebalia nella platea del Teatro della Comunità in tempo di rappresentazioni, dovendosi le persone pulite framischiare con ogni sorta di persone, fra le quali vi erano ubriachi, pensò il consolo Graffi formare nel contorno del teatro una ringhiera alta, ed in questa separare, come si suol dire il grano dal lolio, fu proposto in consilio il progetto, fu da tutti approvato e tostamente si diede mano all’opera e fu terminato il lavoro prontamente, che oltre di servire di abbellimento al teatro si allogavano molte persone e fu cosa da tutti comendata.
17 maggio li francescani cominciarono a fabbricare sopra l’orto, internamente al Castello un pezzo di dormentorio per comodo della Contessa Maria Felice Ghini di Cesena che abitava in questo loco e fra non molto fu teminato a di lei spesa, lavoro da dichiararsi poscia da essa il motivo di tale spesa.
Il Conte Giuseppe Stella bolognese, che villeggiava ogni anno in questa sua casa nel Borgo nella via che lungo la fossa pubblica porta al Silaro ove facevasi il mercato dei majali, diede suplica alla Comunità per la traslazione di tale mercato dalla parte opposta, offrendosi dappoi fare seliciare tale strada a sua spesa. La Comunità diferì la risposta fino al novo consolato, quale ottenuto dal consiliere Vincenzo Mondini, si passò l’istanza al Legato.
Contemporaneamente fu ricorso alla Comunità acciò prevedesse alle riscossioni che faceva il ministrale da contadini per il grano, del quale ne faceva la racolta fino a corbe 20, dove che doveva solo averne (sedici) ripartitamente, come rissulta dalla legge ne Capitoli e Statuti dalla Comunità. Questa prese in osservazione il tutto e conseguentemente fece rinovare il Riparto della coletta del grano, della quale ne fu fatta la copia nel Campione delli estimi nell’archivio della Comunità.
Atteso il ricorso fatto dal Conte Stella per la trasmigrazione del mercato de majali, si scrisse dalla Comunità all’Assunteria di Governo per la approvazione. Questa scrisse favorevolmente nel di 6 lulio, fu comunicato al Conte Stella il rescritto conchè pensasse egli per la approvazione del Card. Legato.
Li 15 agosto giorno della assunzione di M.V. , fu messo alla pubblica venerazione il quadro dell’altar maggiore di questa arcipretale che fu la prima operazione del celebre Ubaldo Gandolfi. Rappresenta l’assunzione di M.V., li S. Pietro, S.Nicolò di Bari, S. Luigi Gonzaga e S. Maria Maddalena de Pazzi. Questi tre ultimi santi vi furono fatti dipingere dalle tre unioni cioè di S Luigi, di S.M. Madalena e dalla Scolaresca del paese che concorse alla spesa. Costò il quadro lire duecento, o sia scudi quaranta, moneta de pavoli.
Ottenuto il rescritto per la trasmigrazione sud. del mercato de majali, fu nel di primo settembre pubblicato in istampa il di cui esemplare è l’unito.
Fu in questo tempo rissarcita e rinovata la capella o sia oratorio della Pulcina nel nostro confine verso Bologna, che fu il beneficio di Benedetto XIV di eterna memoria fino presso li scismatici dove che intra nella galleria di Milord Walpol e di Miledi d’Oxfor, erettavi una statua, vi fece appore sotto la medesima la seguente iscrizione che ci piace quivi da noi riportare a di Lui gloria ed onore tanto della nobilissima sua familia che della nazione bolognese..
A Prospero Lambertini / Vescovo di Roma col titolo di Benedetto / il quale benchè Principe Dispotico /regnò con la moderazione di un Doge di Venezia / Ristorò il Lustro della Tiara / solo con quelle arti / per mezzo delle quali unicamente le attiene / cioè / colla sua virtude / Amato da Cattolici, Stimato da protestanti / Prete senza superbia e senza interessi / Papa senza nepotismo, Scrittore senza (vanità) / Il figlio / d’un Ministro favorito ma che non adulò / Un principe / Offerisce in un paese libero e protestante / questo ben meritato incenso / al miglior di tutti li Papi.
In questo tempo fu dipinta la volta della Capella del Rosario nella parocchiale dal pittore Pietro Scandellari, a spese della Compagnia.
Contemporaneamente li 6 ottobre si accese un gran foco alla possessione della Peschiera in questo comune di Castel S. Pietro che consumò tutti li edifici.

(1760) Anno 1760. Adi primo genaro entrò podestà il Conte Annibale de Bianchi e Consolo Francesco qd. Domenico Dall’Oppio e il di primo genaro entrarno per la prima volta in Consilio Domenico qd. Giusepe Ronchi, Gian Alessandro qd. Marco Calanchi, ed Ercole Cavazza qd. Francesco, se bene eletti li 25 maggio l’anno 1758, il motivo si fu p. che li consilieri vechi volero evacuata prima la loro imborsazione di Consoli.
Entrati in Consilio si spiegò avere ottenuta la Comunità la grazia del Senato di potere selicciare la piazza entro il Castello a sassi colla permuta della inghiarazione in tanta sabbia e sassi delle comunità sogette alla podestaria di questo Castello cioè del comune di Liano, Casalecchio e Varignana e perché la piazza era tutta a tereno erboso. Ottenne altresì la Comunità dal Senato la facoltà di levare il terreno superfluo e trasportarlo nella fossa dietro il palazzo Malvasia, passando colle birozze nello stradello d. dei Portoni che intermedia la chiesa e l’orto de frati francescani.
Non avendo poi la Comunità danaro con che fare le spese, fu ritrovato il conpenso di permutare la sola inghiarazione del Comune di Castel S. Pietro nel trasportare fuori del Castello il tereno superfluo e per il pagamento poi delle maestranze fossero estratti invece della condotta della ghiara al pagamento di quella.
Le altre comunità sogette alla podestaria conforme praticossi nella riscosione della campana dell’orologio, ove e nella quale sta impresso nel suo contorno la memoria. Fu pure tassata la comunità di Castel S. Pietro al pagamento della stessa inghiarazione l’anno successivo colle seguenti comunità, come rilevasi dal riparto fatto dall’agente di Camera Felice Marchi, esistente presso il Cap. Lorenzo Graffi al quale fu addossato l’impegno, tanto delle riscossioni e pagamenti, quanto della sopraintendenza al trasporto deli materiali sud.
Il tenore del qual riparto vine così iniziato:
Riparto per la seliciata della piazza di Castel S. Pietro:
Il comune di Castel S. Pietro deve fare: inghiarazione pertiche 249 e carra 4 de sabbia p. ghiara, detratti li esenti sono 937. La piazza è pertiche 176 quadre. Per il trasporto del tereno furono tassati birozzi 5 per ogni carro di sassi e sabbia. Così fu ordinato: quelli che pagarono la spesa a ragione di sc. 2 la pertica seliciata furono poi le seguenti comunità:
Casalecchio de Conti di sotto……………………………sc. 77: 8: 4
Casalecchio de Conti di sopra…………………………..sc. 127: 5: 8
Liano di sopra ………………………………………………….sc. 138: 12: 9
Liano di sotto…………………………………………………..sc. 79: -: 11
Importò la maestranza adunque……………………sc. 422: 12: 8
Il Capo mastro muratore fu destinato Pietro qd. Giuseppe Canetti, che aveva poi altre maestranze sotto il suo governo.
Ma perché li frati di S. Francesco soffrivano di malavoglia il transito della terra superflua nella d. via intermediante il loro orto e chiesa, sotto è sottoposta una loro conserva da neve e vedevano di malavoglia che il Senatore Conte Cesare Malvasia intendeva allargarsi posteriormente il suo palazzo, con animo ancor di chiudere quel passaggio ai frati ed al paese.
Di notte tempo rovesciarono un pezzo di muro che esisteva sopra l’arco esterno della via, corrispondente nella fossa del Castello, nel quale muro, che serviva di parapetto ad un picolo terrazzo, essendovi in macigno lo stema del Senato di Bologna, fu questo contemporaneamente gettato a terra, quale nel cadere ruinò anco la volta apostatamente della conserva, cosichè per questa rottura ad arte fatta, ma che però si voleva accidentale dai frati, fu percluso il trasporto del tereno sud..
Dispiaque all’ecesso questo sottomano al Sen. Malvasia, il quale però ciò non ostante essendo impegnato nel suo dissegno, fece che la condotta di tutto il tereno seguisse per entro la loggia del suo palazzo.
Ne venero in seguito amarezze tali fra li frati, la Comunità, paese ed altri nobili partigiani del Malvasia, che le sospesero molte elemosine, ed il convento patì molto e restò per questo incaglio sospesa molti mesi la seliciata. Si accese lite in Roma fra la Religione ed il Senato ed in seguito ne naquero vari fatti che si diranno a suo loco e tempo.
Nel di 25 aprile fu poi celebrata in Castel S. Pietro nel convento di S. Bartolomeo delli Agostiniani la Congragazione Capitolare dal P. M.ro Egidio Tirati Provinciale, fu presidente il P. M.ro Piccini, nella qual Congregazione fu eletto provinciale il P. R.mo Vasquez di tutto l’ordine Agostiniano.
In questa Congregazione fu eletto priore a triennium di questo convento di Castel S. Pietro il P. Baciliere Giuseppe Vechi del med. Castello e così fu rotta la lunga serie delli priori Giacomelli e Dalla Valle, che alternativamente per moltissimi anni di seguito durarono a coprire la carica priorale e li effetti del convento andarono di male in peggio per le loro crapole. Durò la funzione di questo Capitolo per tre giorni continui con musica e panegirici
Li P.P. vocali che intervenero, non potendo stare nel convento per mancanza di comodi, molti furono allogiati nelle case de paesani.
Essendosi fatta la nova inborsazione de consoli, fu estratto in Consolo Domenico Ronchi il di 24 giugno per il secondo semestre ed il di primo lulio incominciò a sedere. Il Conte Giuseppe Stella possessore di un lungo casamento in questo Borgo nella via che porta al Silaro contro la fossa del Castello, ove viene ogni anno a villeggiare, bramando farsi una larga piazza, avvanti la med. abitazione, di dove fino dall’anno scorso fece bandire il mercato de majali e trasportarlo nella piazza opposta, chiese alla Comunità il terreno della fossa lungo il fosso scolatizio le imondizie del paese, cominciando dal cassaro della porta e prosseguendo fino al Torrazzo a levante.
La Comunità deputò il Consolo novo Ronchi, il cap. Graffi e Gian Alessandro Calanchi a trattar l’affare coll’obbligo di farvi poi costruire il seliciato e coprire la fossa con volto di pietra e fare altresì ciò che avessero creduto non meno per la bellezza del paese che l’interesse pubblico comunitativo, ma in vista delle pretese del consilio il conte, doppo aver trattato, ricusò l’aquisto.
Il lavoro della piazza, che fino alli 29 lulio era rimasto sospeso, fu intrapreso colla assistenza del Cap. Graffi ed Ercole Cavazza dopo jude del Consilio.
Come che fino dall’anno scorso la chiusa delle aque nel Silaro che vanno a macinare in questo molino, era stata portata via dalla veemente fiumana, in modo che fino a questi giorni non si era potuto macinare li grani ed era convenuto macinare fori di provincia e per lo più ai molini d’Imola, fu rissarcita dal molinaro Giuseppe Banzi e costruita in altra forma da quella che ella era prima con forte battuta di aguchie e legnami in guisa di una fortificazione militare, cosa bella da vedersi e ottima al ricevimento delle aque con proporzione al canale, onde molti molinari forestieri ne venero a prendere il dissegno.
Non è meraviglia poiché quest’uomo in genere di mecanismo aveva pochi eguali e possedeva molte prerogative. Inventò egli e si fece colle proprie mani un organo segreto da fiato con spinetta, il quale instrumento si poteva sonare facendosi sentire tanto unitamente il clavicembalo collo stesso organo, quanto separabilmente in modo che era un singolare diletto ai professori di musica e di amaestramento alla gioventù che voleva apprendere il suono di cembalista ed organista.
Questo instrumento passò nelle mani del cap. Graffi, indi nelle mani della familia Savini, ove si portavano in Bologna li mastri di capella Zanotti, Badiali ed altri a sperimentare le loro composizioni.
Si cominciò dunque a macinare nel di 28 agosto con concorso di persone e così fu rimarginato l’incomodo patriottico di dovere andare nelli altrui Stati.
Attese poi le novità che giornalmente si facevano da questi frati MM. OO. fra le altre una si fu che fecero fare una statua di S. Antonio da Padova di legno grande al vero e fu riposta la picola antica fatta fare tempo fu da Carlo Antonio Graffi. Questa nova statua di legno riuscì poco gradevole ai confratelli della Compagnia di S. Antonio, si perché il suo Antonio Filippo Collicci napoletano l’aveva fatta con poca naturalezza e su di un gusto cattivo e spoporzionata e senza saputo della Compagnia, si perché la Compagnia amava più la picola vechia che questa nova, onde essendosi esposta vi fu qualche titubamento.
Molto più poi accrebbe questo perché in una notte quei frati inalzarono una lunga capella sopra il sud. passaggio, che fu tutta apparata e ridotta a chiesa, pensando così schermirsi della lite col Senato sopra il transito fra li due portoni. A ciò si aggiunse la demolizione dell’altare vechio di S. Antonio che esisteva alla sinistra dell’ingresso maggiore della chiesa e, dove era la mensa, vi fu costrutto l’ingresso alla capella posticcia e novamente fatta. Per vieppiù poi sostenere il loro contrapunto si cantò messa solenne e tutti li altri giorni venne santificato questo loco dai sacrifici incruenti dell’altare e dalla S. Benedizioni del’augustissimo SS., quale vi si teneva continuamente per fare onta al Senato.
Intanto che si facevano queste pazie dai frati, capo delli quali era certo P. Giuliano da Bologna che indebitò d’assai il convento, dall’altra parte il Senato agiva con tutto il calore giudicialmente in Bologna e dalla Comunità si prosseguì a fare la seliciata della piazza che fu compiuta li 12 settembre avendo poi lasciato addietro la linea superiore di strada alla piazza dall’Oratorio del SS.mo avanti la casa delli gesuiti, fino alla discesa della med. linea che inferiormente mette capo nella via de Pistrini.
Il Magistrato dei Tribuni della Plebe di Bologna, essendo poi venuti in visita co loro esecutori in questo castello, pretesero caturare li gargiolari del paese, onde avendo cominciato il giudizio nel loro foro, la Comunità, unita colli med. gargiolari ed artisti, ricorse a Roma e fece circoscrivere tutti la atti. Vedendo il magistrato non poter far colpo spronò il Tribunale della Grascìa, che totalmente dipendeva dal Legato e la decisione in quello fatta era inapellabile.
Venero p. ciò li Birri di questo tribunale e ritrovate lane manifaturate e naturali nel mercato, furono caturati li proprietari, ed in questo officio convenne pure alla Comunità comparire per la difesa.
La Compagnia del Rosario che aveva ottenutodal Papa Clemente XIII la conferma delle sue prerogative del Confalone, la prima domenica di ottobre, giorno della festa di M.ra SS. del Rosario, dispiegò la sua Bolla e di qui cominciò a fare portare nelle processioni pubbliche da un fanciullo cappato avvanti la insegna del Gonfalone allora che si porta processionalmente. L’altar maggiore nella parochiale, che finora questo tempo era stato senza veruno ornato, si cominciò a sculturare da Gian Matteo Canepa milanese di nazione e così fece delli altri altari.
Il di 4 d. essendosi spianata la sud. linea di piazza, fu portato via tutto il terreno superfluo colli altri materiali inutili nella fossa didietro il palazzo Malvasia, passandovi per entro la loggia novamente, stante la clausura dei frati francescani del vicolo intermediante la loro chiesa e orto come si disse.
Non cessando li Birri ed esecutori della Grascìa di perturbare li forestieri venienti a questo mercato, si per li lavori, che per le robbe terriere che dovevano circolare colle manifatture nostrali liberamente, fu costretta la Comunità rispondere legalmente. Rispose e replicò nell’ufficio grascia tanto che ebbero li opportuni rilasci dei catturati nel di 17 novembre anno cadente.
Ottenuto e messo in sicuro l’interesse dei particolari e ridotta a consilio di legali, intraprendeva un giudizio in Roma. Prima però di effettuare questo, si premunì di due documenti troppo interessanti e furono la Bolla di Eugenio IV sopra li uomini di Castel S. Pietro e l’altro il Breve di Paolo III, che le costarono più di scudi 74.

(1761) Giunto l’anno 1761 entrò Podestà Mario Senatore Casati e Consolo Ser Ercole Cavazza scrittore della presente storia.
Arrivò in questo tempo un nipote del papa Razonico vivente, che fu poi senatore a Roma, colla propria moglie e fermossi li 14 genaro a pranzo a casa del sig. Lorenzo Conti ove fu trattato splendidamente e furonvi li figli di esso Conti, cioè Carlo, Domenico e Francesco, che cortesemente furono corisposti dal d. principe Rezonico per nome Carlo a la di lui consorte Maria Savoiniani. Nel tempo che soggiornarono quivi questi principi furono (ossequiati) dal Corpo comunitativo e serviti colle guardie militari del paese sotto la condotta del cap. Lorenzo Graffi e suoi ufficiali tutti in gala, di che ne furono contenti li principi e, con atti di gratitudine sensibili, mostrarono compiacenza e rese le grazie di tali complimenti se ne partirono per Roma.
L’acenato Conti poi, per contestare la sua amorevolezza inverso la Compagnia del SS.mo SS.to della quale ne erano confratelli li sudd. Carlo e Domenico, fece dipingere al chiaro penello di Francesco Orlandi, pittore bolognese rinomato, l’ornato e prospetto ad achitetura dell’altar maggiore della Chiesa ed Oratorio di d. Compagnia a proprie spese. Ai fianchi della base del dipinto furonvi , in argomento di tanta beneficenzia, dipinti ancora lateralmente li stemi di sua familia, dove che in oggi 1797 furono levati d. stemi e sostituite le iscrizioni seguenti nelli scudi, cioè in cornu Epistola: Ex Munificentia Laurenti Conti e in cornu Evengelli: Anno D.ni 1760.
Nel giorno 22 fu esposto nella parochiale il Martirio di S. Vincenzo all’altare dell’Arte de Gargiolari dipinto in tela dall’egregio e rinomato Giuseppe Marchesi detto Sansone, discepolo del famoso Marc’Antonio Franceschini gran discepolo dell’Albani. Questo quadro è situato nell’altare primo alla destra dell’arcipretale di questo Castello ed è di un impatto assai bello.
Alla metà del successivo aprile fu totalmente terminato il lavoro della piazza entro il castello e li giorni 25 dello stesso mese si espose alla pubbblica venerazione nell’Oratorio acennato del SS.mo la Comunione degli Apostoli nel Cenacolo fatta da X.to, in un grandioso quadro dipinto dal med. Sansone e fu collocata nell’ornato dipinto da questo Francesco Orlandi.
Prosseguendosi le angustie del paese dalli tribuni della Plebe, Grascia e dal gabelliere locale Domenico Sarzechi filio del qd. Nescit, fu in necessità la Comunità ricorrere a Roma e perché li ricorsi per via economica si mandano sempre pro informatione e la informazione va sempre prevenuta dalla corutela di danaro, giusto il detto di Lucretio Arbitro che: Quiquis abet numos secura navigat aura / Justitiam suo temperat arbitrio.
Così fu rissoluto in Consilio che si dovesse dalla Comunità appigliarsi alla via contenziosa in questi tribunali, quindi fu instruitto il pregiudizio coram A. S. mediante inibizione di doversi mantenere la Comunità nella esenzione de suoi Privilegi e, sul principio di maggio, si acese la lite, alla assistenza della quale furono deputati li due pubblici rappresentanti Lorenzo Conti e Domenico Ronchi.
Alli 30 poi di questo maggio venne per la terza volta il P. D. Gian’Andrea da Lavagna, uno dei sig. della Missione a fare le sue apostoliche predicazioni e fu chiamato universalmente l’Apostolo de nostri tempi. Si cominciarono li 31, giorno di domenica e durarono fino al di 13 giugno in sabato, giorno di S. Antonio da Padova con una comunione generale, per effettuare la quale fece fare un altare in faccia la piazza del Castello sotto l’alto portico della casa Fabbri tutto apparato. Vi fece fare ivi la musica solenne con messa cantata, poi vi seguì un discorso fervoroso sopra il SS.mo SS.to, terminato il quale, fece schierare il popolo in due lunghe linee.
Li uomini erano estesi fino alla Chiesa di S. Bartolomeo, le donne dalla piazza sudd. fino alla porta maggiore del Castello. Vi erano dodici fanciulli vestiti da paraninfi che portavano le torce, la velliera e purificazione per chi ne voleva. Vi erano quattro sacerdoti, che comunicavano di mano in mano, uno per ciascuna linea ed altri facerdoti portavano le ombrelle sopra il SS.mo. Si comunicarono in questa funzione quindicimilla anime fra paesani e forestieri, anco di Romagna, per partecipare della Indulgenza.
Nel frattempo che si faceva la S. Comunione, si cantavano inni in musica: del Porge linguam. Terminata la funzione ne seguì un picolo fervore. In questo frattempo sopraggiunse un temporale di vento e pioggia così che convenne spostarsi la S. Comunione sotto li portici.
Il doppo pranzo poi nella Arcipretale si cantò il Te Deum in musica e si diede la S. Benedizione col SS.mo da Monsign. Vescovo Rondinelli ferrarese, ma ordinario di Comacchio, albergato in casa Malvasia e qui stette per otto giorni alla Missione, ascoltava le confessioni sulla sagrestia parochiale e quando diede al popolo la benedizione la diede in abito pontificale colla intelligenza dell’arcivescovo di Bologna. Quella funzione chiamò in Castel S. Pietro infinito popolo e riuscì di culto a Dio ed onore al paese, in modo che ne fu contentissimo il missionario.
L’Ospitale delli Infermi di questa parochia eretto ad instuzione fino dal 1735, dal missionario sud., trovandosi quasiche disperato il sostentamento e sussistenza, non mancò il P. Lavagni di infervorare non solo li paesani per il suo sostegno, ma anco a sussidiarlo animando li paesani concorrere colle elemosine ed opere per che si erano non che intiepiditi ma totalmente quasi abdicati dalle sovenzioni a motivo che l’arciprete e li suoi preti volevano essi dispoticamente disporre sopra l’ospitale e ministero del med.. Fu perciò quindi intimata una congregazione dal Lavagni, che si tenne in casa del pubblico rapresentante Domenico Ronchi, ove abitò il missionario colli suoi coleghi tutto il tempo delle Missioni.
Vi intervenero nel giorno 15 corrente giugno li pubblici rappresentanti la Comunità e molti capi di famiglia e benestanti e si riformarono quivi le Regole, in seguito delle quali la Comunità andò in giro pel paese e fece una bona coletta di danaro e robbe per li malati. Si presero altre providenze (…) che sono già stampate colli dovuti permessi e approvazioni per il Longhi.
Contestata la lite a Roma contro la Gabella, si fece il mandato nell’altare Domenico Faraga. Per mantenere poi questa lite, non avendo forze questa Comunità per se sola da farla, chiamò in consilio li capi familia principali del paese, questi fecero fra loro una tassa particolare ed una obbligazione di concorrere alla spesa della lite pro rata a competenza della Comunità. Furono deputati fra loro Giovan Battista Gianoli speciale e Gerolamo Poggipollini per colettore e loro depositario Giuseppe qd. Felice Farnè.
Li 24 giugno fu estratto Consolo per il secondo semestre Domenico Gordini, che intraprese il suo officio il primo lulio.
Sotto questo consolo cominciossi a battere la campana dell’orologio per la estrazione dei consoli e per tutte le altre pubbliche funzioni alle quali doveva intervenire il Corpo Comunitativo, non ostante dopo si battesse a martello la campana grossa nel campanile pubblico presso alla parocchiale.
Quantunque fosse accesa la lite in Roma fra la Comunità e Gabella di Bologna per la manutenzione delle sue immunità e privilegi del mercato, non di meno cessavasi di inquietare il paese e li intervenienti al mercato, inperciochè venuto il di 6 lulio, giorno di lunedì in cui si fa il solenne mercato in Castel S. Pietro, il magistrato de Tribuni della Plebe, capo de quali era il Conte Ugo Albergati ed il suo Not. il Dott. Carlo M.ra Negrini, pretesero questi caturare alcuni venditori di pollami provenienti di Romagna, onde ricorsi alla Comunità, fece la med. intendere al magistrato che si rilasciassero li polli fermati, ricusarono li tribuni.
La Comunità a vista si cittò per Roma, coram Prefecto Justitie Signature, per la purgazione delli attentati e circoscrizione di ogni altro fatto nullamente in spreto della pendenza della lite e delle inibizioni di Roma. In vista di ciò fu restio il magistrato.
Si comosse la plebe del paese, capo della quale si fece Domenico Campeggi detto Balatrone con quattro suoi figlioli e circondato il magistrato nella piazza, credendo questo la malaparte che lo sovrastava, se ne incaminò alla volta del convento di S. Francesco. Un valetto del Conte Ugo che volgarmente si dice Lacchè, volle fare il bell’umore e diede colla frusta una frustata ad uno dei ragazzi che seguivano il magistrato, a tale sferzata si acrebbe l’ira nelli amutinati che dato di piglio ai sassi cominciarono una tempesta di sassate contro li serventi dela magistratura, che per salvarsi lo stesso magistrato e suoi serventi fugirono tutti nella chiesa e convento di S. Francesco ove si rinchiusero per assicurarsi dal furore popolare. Ricorse poscia il magistrato alla Comunità per sedare il tumulto. Questa si infrapose a patti che il magistrato non facesse alcuna mozione contro li insurgenti e che in carta facesse la pace a medesimi e viceversa la Comunità garantiva il magistrato per quella giornata da ogni insulto popolare.
Ciò si fece e tutto fu composto, riducendosi la cosa ad una sola fischiata. In questo fatto il magistrato avendo anco lesa la imunità apostolica, il Card. Arcivescovo Malvezzi fece fare il processo a cod. arciprete D. Bertuzzi, che si terminò il di 18 d. e colla rinoncia alla querela, furono anco li tribunali del Vescovato e del Torrone quietati e assoluti li insorgenti.
Essendo poi in Proservato la causa delle esenzioni in Roma, la Comunità ricorse alla protezione divina per averne un esito favorevole. Fece il di 21 d. esporre l’imagine miracolosa del X.to della Compagnia del SS.mo e vi fece celebrare molte messe e poi la sera si diede la Bendizione col SS.mo SS.to.
Continuandosi la lite in Roma fra li frati di S. Francesco ed il Senato per l’apertura delli portoni chiusa, il Senato spedì li 22 agosto il suo architetto Gian Giacomo Dotti col notaio Gaspare Sachetti del Vescovato ed un mazziere con inibizione ed ordine di Roma da eseguirsi alli frati. Si presentarono al convento, furono ributtati ed il dì seguente 13, domenica mattina di bon’ora all’alba, si viddero spalancati li portoni dalla parte entro il Castello ed in faccia alla estremità del vicolo un altare colla statua di S. Antonio da Padova fatta recentemente dal Collicci accennato. Era tutto apparato questo luogo di damasco, la mattina sul meridio si cantò ivi la messa solennemente in (…) e certo P. Elia carmelitano scalzo vi celebrò le lodi del Santo con Panegirico. Nella stessa giornata li Capuccini di questo loco esposero alla pubblica venerazione il quadro dipinto in tela del celebre Ercole Graziani bolognese rapresentante S. Giuseppe di Leonesa agonizzante in braccio a due angeli sotto il martirio.
Li frati agostiniani d. di S. Bartolomeo modernarono la loro chiesa con scultura all’altar maggiore fatta da Cesare Giloni bolognese.
Mancando alla Comunità il primo fondamento ed origine dell’esenzione del mercato che settimanalmente si fa ogni lunedì in questo loco, ne potendosi avere dall’archivio segreto del Senato, fu in necessità mediante compulsoria di Roma costringere li giudici della Gabella a produrre il processo del 1638 sopra questo affare fatto alli atti di P. Dal Bono notaio della Grascia.
Si ricorse al vescovato e per li atti franchi furono estradate le Cominatorie, in seguito delle quali fu prodotto solamente il decreto del Cardinale Midosio del Titolo di S. Cecilia del 1510 col quale si prova la sola introduzione e traslazione del mercato che si faceva allora entro il Castello dal Borgo.
Dal mese di agosto prossimo scorso, continuando la pioggia fino al presente giorno 19 novembre, in modo che li villani non potevano fare le loro facende rurali ed era un cattivo sementare, si fecero p. ciò orazioni e poi si fece un devoto triduo a Maria SS.ma del Rosario ed in capo del quale la domenica seguente si portò l’imagine nella piazza e quivi si diede la benedizione al popolo che con affluenza vi era concorso. Fra pochi giorni si cominciò a rasserenare il tempo.
Nello stesso giorno di domenica 22 novembre, perché la macelleria di carne grossa veniva chiusa da macellari nè si sbancavano carni, si radunarono coll’arciprete i capi di relligione con 74 capi di familia e fecero istanza alla Comunità per avere non solo carni grosse in una macelleria, che bene spesso era mancante di tale genere, ma anco per chè ne fosse aperta un’altra, in modo che essendo mancante una, suplisce l’altra. Non fu sorda la Comunità, spedì la suplica relazionata al Governo d’onde in seguito fu proveduto il paese.
Li 24 d. venne per queste parti da Roma il novo Legato Card. Spinola per nome Girolamo, che pernottò in Castel S. Pietro nel palazzo Caldarini incognitamente e partì la mattina seguente.
Tornarono li macellari di carne grossa, non solo a lasciar sproviste le loro banche, ma anche rifiutarno prestarsi a volere più oltre macellare. La Comunità di novo stimulata, deputò due Consilieri, cioè Lorenzo Conti e Lorenzo Sarti a fare quanto serviva. Li med. infrattanto fecero sbancare carni per conto della Comunità, poi passarono le istanze al novo Legato, il quale tosto provise al bisogno e fu quietato il paese.
Li 17dicembre Gio. Alessandro Calanchi fu estratto per Consolo del venturo prossimo semestre 1762 e così terminossi il 1761 a gloria di Dio.

(1762) Entrato in possesso il novo Consolo Calanchi e per Podestà estratto Conte Girolamo Ranuzzi, essendo venuto in loco il Not. coligiato Dott. Pier Paolo Rugani per suo giusdicente, conferì provisoriamente la sua carica al Not. Ser Ercole Cavazza, al quale poi sucesse il Not. Giovanni Bertuzzi.
Terminata la ristorazione alla chiesa di S. Bartolomeo, fu dipinto la suffitta (de) la capella maggiore dal chiaro abbate Giovanni Anderlini discepolo del sig. Antonio Bibiena.
Terminata pure la fabbrica della ressidenza cumunitativa, venne in sentimento la Comunità di edificarvi nella sala la capellina, onde ascoltarvi la S. Messa. Si decretò questo e fu cominciato il lavoro il di 19 febraro da due fondamenti all’angolo della colonna settentrionale verso la piazza, vi fu posta la seguente iscrizione incisa in macigno a lettere romane: XII VIRI CSP COSS. / IO CALANCHIO / XVIIII PRIM. FIN. / (..) Gra.
La Comunità che era solita nelle sue pubbliche funzioni, quando vi andava in forma, precedere il clero secolare colli abiti propri, credendo ciò non convenire perché chi era di un colore vestito e chi di un altro ed a proporzione della propria facoltà, decretò che da qui in appresso, dovesse ogni consiliere farsi l’abito nero con colare diviso all’uso civico di Bologna e così poi vestire il donzello con livrea pavonazza fornita di lista lavorata bianca e verde, il che seguì con comune piacimento.
Li frati di S. Francesco rinovarono li stalli del coro e l’intagliatore fu Francesco Obrici bolognese, come ne risulta da miei rogiti.
Prosseguendo li frati a litigare col Senato sopra il vicolo acennato e ridotto da essi a chiesa, vedendosi la Comunità ancor essa priva del comodo di questo passaggio e nulla di convenienza aversi per essa, decretò che la consueta elemosina delle lire 26 annue per il voto di S. Bernardino, fatto l’anno 1630 per ocasione della pestilenza, dovesse sospendere, colla visita pure all’altare della stessa Comunità esistente nella loro chiesa, tanto più che era spirata la centinaria votiva.
Così pure fecero la compagnia di S. Cattarina e del SS.mo, che cessarono ancor esse nell’offerta che facevano di una torcia ciascuna all’altare di d. santo, che si veniva a visitare processionalmente ed ivi ascoltare la S. Messa la Domenica in Albis per lo più o altra festa. Fece poi anco tale rissoluzione la Comunità sul riflesso che essendo la elemosina ed offerta volontaria, oltrepassando il termine di cento anni senza interruzione, poteva passare in prescrizione e divenire di volontaria obbligatoria, al che aderì anco il Senato.
Sul principio di marzo, avendo il Sig. Lorenzo Conti fatta dipingere a proprie spese dal citato Orlandi le laterali della Capella del Rosario prima scoperti. Il P. M.ro Nicola Zagatti agostiniano si distinse nelle predicazioni in questa quaresima, fu poscia fatta dorare la Capella del Rosario nei bassi rilievi a spese della Compagnia.
La causa della Comunità in Roma fu spedita passivamente contro la med..
Li 11 aprile che fu giorno di Pasqua, in cui in ogni chiesa si espongono le reliquie dei santi e le imagini, nella chiesa de sud. frati di S. Francesco fu esposta la statua picola di S. Antonio che dal P. Giuliani e P. Giacomo da Veggio era stata ocultata e si voleva da questi prescritta colla formazione dell’altra statua del Collicei. Il motivo che diede a ciò impulso fu che la compagnia di d. santo erasi da se presso che distrutta e per la trasmigrazione dell’altare nella capella, fatta clandestinamente da frati, come si disse, nel vicolo de portoni e tutto fu ripristinato e così li confratelli, che si erano abdicati, si restituirono alla primiera essenza senza alcun ministero.
Il fonte battesimale in questa arcipretale, che finora era stato portatile e provisorio in vari siti della parochia, fu colocato nella sua nichia e recipiente fra la capella di S. Vincenzo martire e quella di S. Vincenzo Ferero della familia Vachi. L’abate D. Francesco Vachi del proprio fece fare tale fonte in marmo rosso venato.
Il primo nascente che si levò a questo S. Fonte fu una filia di Sabatino Gallanti detto per soprannome: Paradiso e fu il secondo giorno di Pasqua 12 aprile, a cui fu imposto il nome di Pascalina ed ora è maritata nella familia Ponti di questo Castello.
Testò anni sono la sign. Teresa Benazzi Vanti di questo loco, per rogito di Vincenzo Mazza Not. di Bologna, quale avendo fatto legati a favore dell’Ospitale delli Infermi di questo Castello, furono aditi dalli aministratori del med., stanti le justanze fatte dalla sign. Eleonora Benazzi Piletti di Bologna per gli atti di Giuseppe Nanni in quest’anno, avesse prodotto tale testamento.
La Comunità e rappresentanza pubblica sud., inerendo alle acennate determinazioni, il giorno 10 giugno dedicato al Corpus Domini escì per la prima volta in cappa nera all’uso di città col suo donzello, in livrea da ministri tutti accompagnati alla solenne processione del SS.mo. Li rappresentanti che vi intervennero furono Giovanni Calanchi consolo, Domenico Gordini, Francesco Dall’Oppio, cap. Lorenzo Graffi, Domenico Ronchi, Lorenzo Sarti ed Ercole Cavazza. Il medico Dott. Antonio Maria Fracassi, che era laureato alla cittadinanza di Bologna, era in toga nera, li altri due ministri chirurgo e maestro di scuola in abito nero alla francese.
Fu questo Corpo comunitativo ricevuto dalla Congregazione del SS.mo capata con 4 trombettieri e due tamburini inanzi la processione generale, fu condotto all’Oratorio ad ascoltare la S. Messa, ciò eseguito si andò nella arcipretale ove era il suo banco con tapeti pavonazzi, d’onde, spicata la processione dalla chiesa, fece il solito giro e poi si diede al popolo la S. Benedizione, il che riescì a tutti gradevole ed onorifico.
Entrò Consolo Francesco Dall’Oppio.
La offerta, che fu sospesa alli frati di San Francesco per la festa di S. Bernardino a motivo delle vertenze del Senato, essendosi queste composte, l’Assunteria di Governo ordinò che si passasse novamente alli d. frati sotto il dì 7 lulio a titolo di elemosina arbitraria a S. Bernardino, non più a titolo di voto ma di divozione.
Erasi posto in oblio l’osservanza del bando dei Consumi e dei Majali, in modo che il paese era divenuto una sentina. Ricorse la Comunità al Governo per la rinovazione del Bando coll’aggiungervi ancora la situazione della pescaria.
Furono deputati a questo affare li rappresentanti Domenico Ronchi e Giovanni Calanchi, li quali, presentatisi al sovraintendente della Comunità Senatore Vitale de Buoi, ottenero nel di 7 lulio l’approvazione del Governo e del Card. Legato, eccetuata la visita delle botteghe, risservata al magistrato di Bologna. Il Bando emanato tutto chiarisce in data delli 12 settembre essendosi scoperto poi che, per ottenere la Gabella e li Tribuni della Plebe, vi erano stati 12 paesani che avevano deposto ed attestato in favore della med. Gabella e Dazieri, che furono li seguenti subornati ed ingannati dal gabelliere Domenico Sarzochi, cioè Giovanni Grandi speciale, Pietro Conti, detto della Bottega nova, Giuseppe Calnchi, Giuseppe Farnè, Antonio Facendi, Francesco Monti ed altri.
Furono tutti dal popolazzo marcati per traditori alla patria ed amutinati molti populari si portarono alle case e botteghe delli sud. e loro coleghi, con sassi e bastoni in modo che convenne chiudersi in casa e così accade al gabelliere Sarzocchi. Questi temendo, come doveva il popolo provocato, se ne fugì a Bologna il dì secondo di settembre per la posta.
Si fece presentare dal sindico della Gabella al novo Legato Spinola e, raccontatole l’accaduto, il cardinale ordinò la carcerazione ai capi popolo.
Furono questi Domenico Nimbeni, ultimo di sua antica familia, uomo di alta e piuttosto gigantesca statura, coraggioso ed astuto, Domenico Campeggi d. Balatrone con tre valentissimi figlioli, da farsi temere da chiunque, cioè Silvestro, Giuseppe ed Adamo e finalmente Domenico Paderna detto: Scannadiavolo, con li suoi tre figli e due generi.
Il tenente de Birri, che era Giacomo Castrosini, trovandosi alla Molinella con ordine di Marchia Sforzata venne di volo a Castel S. Pietro, prese le porte unitamente con vari Saliari detti comunemente Guardiani, cercarono catturare tutti li sudd. insorgenti, pochi però ne ebbero e furono solo il d. Domenico Campeggi e Domenico Nimbeni detto (….), gli altri non si poterono arrestare perché fecero alto, onde li birri condussero li due solo carcerati a Bologna. Sopra di essi non si potete fare processo perché niuno volle presentarsi a deporre contro essi sebbene venissero armati di spiedi, bastoni e sassi con molta ciurmaglia dietro alle abitazioni e botteghe delli suposti traditori e così in breve sortirono di carcere.
Li frati di S. Bartolomeo che avevano acomodata la chiesa internamente, fecero anco esternamente salicare avvanti la med. la piazza picola e levarvi molto tereno.
Stabilitasi in questo Castello la Contessa Maria Felice Ghini cesenate, che era madre dell’E.mo Chiaramonti vescovo di Imola e prozia del Pontefice Pio VI, già Angiolo Braschi, facendo vita privata votiva a S. Francesco di Paola, la di cui imagine collocò e donò a d. frati all’altare de Malvasia, ad oggetto di essere in comodo ad ascoltare la S. Messa, perché nulla caminava e facevasi continuamente portare in una portantina, si fabbricò un quartiere appresso alla chiesa delli d. frati di S. Francesco sopra il colochio delli acennati portoni internamente fin dall’anno 1759 come si disse, da usarsi e posedersi per essa vitaliziamente.
Questa, volendo partire da Castel S. Pietro, rinonciò per mio rogito delli 20 settembre anno corrente, l’abitazione fabbricatasi alli d. frati, ove ora sono stanze colla corsia del chiostro che guarda entro il Castello nella via Framella, colla condizione che vi si apponesse internamente alla fabbrica sud. nel corsio o sia dormentorio la seguente inscrizione, allorchè si fosse messo all’uso de frati questo fabricato, (come) unito il Rogito.
Questa aggiunta di dormentorio costò trecento scudi e fu fatta per carità dalla Contessa Maria Felice Ghini cesenate. Questa Contessa M. Felice Ghini cesanate a frati diede seco altro bene per divozione a S. Francesco per altro solo officio da morto con elemosine.
Il chirurgo condotto della Comunità di Castel S. Pietro Simone Gordini, avendo presa la laurea in medicina nella Università di Cesena, si fece approvare anco dal Colegio de Medici in Bologna, per effetto di esercitare la professione, nel di 28 settembre di questo anno.
La notte di questo stesso giorno, alle ore 3 il Guardiano delli frati di S. Francesco demolirono totalmente il terazzo che esisteva sopra il portone esterno del vicolo conteso al Senato.
Nel di primo ottobre, volendosi trasportare la mensa dell’altare di S. Antonio da Padova al suo sito, di dove tutta in un pezzo era stata levata per farvi la comunicazione della chiesa alla nova capella premeditata sopra il vicolo dei portoni, essendo a farvi orazione Fra Felice Capelli da Budrio laico avvanti l’imagine di S. Antonio, nel pogiare la mano alla mensa le cadde tutta addosso, lo coprì fino a mezza vita, vi fu semisepolto per più di meza ora, dovendosi restare stritolato, invocò il nome del Santo, di cui era gran devoto e restò illeso per suo miracolo.
Le fu levato il gran peso di dosso dalli Trochi ed altri e tutto il paese corse a vedere questo prodigio e vi si cantò, con tutti li frati, presente il med. F. Felice, il respensorio al Santo liberatore. Il graziato non si andò nemeno in letto per avere medicatura alcuna. Ne fu fatta la tavoletta della grazia ed aposta a fianco dell’altare come si vede.
Il mercato de majali, che persisteva per anco nella strada che porta al Silaro, avanti la abitazione delli conti Stella, fu di novo proibito, come si legge nell’unito bando delli 18 novembre 1762 registrata nella Camel. del Legato Spinola al Lib. delle espedizioni 18 novembre.
Essendo nate questioni in Consilio sopra la conferma delli stipendiati, fu sospesa la balotazione dalla Assunteria di Governo. Giovanni Calanchi, uno de rapresentanti fece la mozione delle questioni.
Li 22 dicembre fu estratto consolo sig. Giovanni Bertuzzi notaio che andò a sedere il di primo genaro 1763, Podestà fu il Conte Giovanni Zambeccari.

(1763) Codesti Capucini che davano per addietro sepoltura ai cadaveri, che volevano essere sepolti nella loro chiesa, ora qua ora là col rompere il terreno determinarono ricavare nella chiesa alla destra lateralmente alla Capella di S. Felice due avelli, uno per li uomini e l’altro per le donne, onde (fare) ricerca di elemosine e (contributi) a sufficienza dai benefattori. Il di 26 febraro intrapresero il lavoro, che in buona misura restò perfettamente compito.
Attesa la sospensione della elemosina ed offerta alli frati di S. Francesco per la festa di S. Bernardino, trovandosi avere in deposito il danaro, decretò la Comunità passare questa offerta alli Capuccini col peso di celebrare alcune messe, salva però l’approvazione del Governo al quale si fece la istanza.
Vertendo la lite in Roma per le esenzioni, fu chiamato in giudizio anco il Senato e la causa fu portata in Rota e, per che fosse meglio patrocinata la causa, la Comunità elesse in Protetore il Cardinale De Rossi prefetto del Concilio, il quale di bon grado accettò la Protetoria. Cod. rapresentante Lorenzo Conti, avendo anco interessi mercantili questionabili in Roma, spedì il di lui figlio Ser. Francesco a quella Dominante. Colla stessa ocasione la Comunità appogiò al med. la sollecitazione e guardia della causa comunitativa.
Li capuccini sud. avendo in cattivo stato la saliciata della loro chiesa a motivo dei depositi sepolcrali qua e la sparsi, si (decise) rinovarla e perché fra li depositi eravi anco quello del Conte Pompeo Ramazzotti, sotto il pulpito, il di cui teschio conservava anco la capiliatura bionda con treccia puntata e ritrovavasi pure, verso l’altar maggiore, anco il deposito del P. Bernardino Bonfini da S. Felice capucino che assistette li poveri contagiosi di questo loco l’anno 1630, come si è racontato al suo tempo, così ancor questo cadavere e scheletro, riunito in una cassa, fu di novo soterato nella platea della chiesa in cornu Evangeli fuori del Sancta Sanctorum, facendosi rogito di tale deposito per me Notaio scrivente le presenti memorie.
Al di sopra poi di questo deposito vi fu fatta la seguente inscrizione dal P. Giulio Feraresi, sacerdote capucino, fratello del P. Innocenzo, capucino guardiano contemporaneo in questo convento, del tenore che segue in macigno, alla quale ne fu poi sostituita un’altra in marmo, di rincontro ad altre simili in cornu Epistole, sopra il scheletro del Conte Ramazzotti, come diremo a suo loco.
D. O. M.
Pat. Frat. Bernardini a S. Felice Sacer. Capuc.
Qui relicta huius Conventus Edificab. cui praebat
et gentibus huius.. Castri dira pesto opressis
MDCXXX
Septimu Septembris sacra solus pene max charitate
ministranda, sanctis eo conflichi in D. incoavit dies
Hic anno 1763 essa transferi benem populos curavit.
Il Senato, che mal soffriva sentirsi rampognato nel tribunale in Roma per le grandi angarie che si facevano da suoi officiali per vieppiù snervare le Comunità di forza pecuniaria, mediante li Tribuni della Plebe fece angustiare ora l’uno ora l’altro artista del paese. Non si sgomentì la Comunità, anzi vieppiù si incoraggì e chiamò il Senato in Roma col Magistrato de Tribuni, alla qual lite vi concorsero tutti li artisti del paese per multarsi di una causa comune.
In sospeso il comercio de bovini colla Lombardia, attesa la influenza scoperta nel mantovano e se ne pubblicarono li editti.
Li 10 aprile, Domenica in Albis, in questa chiesa de Capuccini celebrò il suo primo sacrificio il P. Giuseppe filio del fu Giuseppe Gattia di questo loco, relligioso di una pietà singolare, di modestia santissima, che per la sua austera vita che menava finì li suoi giorni nel tempo che era guardiano in patria e fra i predicatori del suo ordine era distinguibile nello zelo apostolico.
La causa delle esenzioni fu proposta in Rota il di 18 corrente aprile, ed il di 25 fu decisa passivamente alla Comunità.
Li 25 d. arivò a Castel S. Pietro l’Immagine miracolosa del Christo di Varlungo, stato di Toscana, acompagnato da molti fiorentini, fu ricevuta processionalmente nel Borgo dalla Compagnia di S. Cattarina con lumi e se lo trasportò nella sua chiesa entro il Castello ove stette alla pubblica venerazione fino al di seguente in cui levata questa S. Imagine dal clero nostro secolare e compagnia sud., portatasi nella pubblica piazza, l’arciprete del paese ne diede al popolo la S. Benedizione, poi andossi al Borgo ed, alla facciata dell’oratorio della SS. Anunziata, lo stesso nostro arciprete Bertuzzi replicò la S. Benedizione e consegnò la S. Imagine a quei confratelli di Varlungo che, riposto in cassa, se ne incaminarono alla volta di Loreto.
La gioventù di Castel S. Pietro, divertendosi ogni sera al Gioco del Palone nella pubblica piazza dentro il Castello, furono inibiti dalli gesuiti, padroni delle case Morelli di prospetto, a motivo che il pallone infastidiva li inquilini di quello e per sostenere vieppiù il precetto, fecero configere nel muro, come si vede, tanti rampi di ferro.
La gioventù, che nol sofriva questo, ricorse alla Comunità per averne un luogo atto al suo divertimento. Ascoltò la Comunità la instanza e assegnò il suolo della fossa alla sinistra dell’ingresso maggiore del Castello, che in breve fu adatato al gioco ed appianata la fossa ed una parte del terapieno fino al torazzo, in cui vi fu la seguente epigrafe incisa in macigno, che poi fu levata dalli Conti Stella, cui dispiaceva il rumore avvanti la loro abitazione.
Hic ubi cum rabide luctans victoria (..)
sollicibus taderat milesia arma necem
hastunc duodena cohors florenti pace, juventae
laeta pugillati ludere folle tedit
Anno 1763.
Costumavasi giornalmente sull’alba del giorno, nella chiesa delli P.P. Agostiniani di S. Bartolomeo dare la benedizione al popolo lavorante ed operario colla S. Pisside, onde ogni operante poi potesse alla giornata attendere alle sue ocupazioni, ed ciò in vigore di legato fatto da Francesco Mon. Vanti. Il P. Nicola Giacomelli, essendo in questo tempo priore del convento, permutò l’ora della benedizione al meridio.
Non essendo piovuto da molti mesi a questa parte, il di 13 maggio venne un temporale grandissimo sopra le nostre montagne inprovvisamente, che fu tanta la copia dell’aqua che portò via legnami, sradicò albori, annegò bestie minute, che portandosela seco la corente del Silaro fece compassione alli inspettori; crebbe la fiumana al segno che tutto l’alveo del fiume, non potendola comportare, si estese per la vicina campagna, coll’eminenza di coprire per fino questo macero fronteggiante due piedi sopra il tereno lavorativo ed argini.
Durò in appresso poi a piovere giornalmente in modo che le facende rurali non si potevano fare, onde comossa la gente fece fare un devoto triduo a questo miracoloso X.to della Compagnia del SS.mo ed il di 9 giugno, in giorno di giovedì, accadde una si copiosa pioggia che escrescendo il vicino Silero ascese sopra le pille del ponte, sopra il muraglione difensivo la via corriera, estendendosi fino al molino, inalveandosi nel canale (fece) non poco danno e fu misurata la escrescenza dell’alveo del fiume fino a dove lasciò il segno di livello, fu di tre uomini di altezza, da questo punto cominciò a rasserenarsi il cielo. Durò due ore la escrescenza e la pioggia che sembrò un diluvio.
Ruinò li lavori nel Silero, si scoperse il lungo fondamento di un antico muraglione che, spicandosi dalla buca dell’ochio primo del ponte dalla parte di levante, mette capo alla riva e sponda del teraglio vicino; egli è largo 3 piedi abbondanti e di quando in quando secondo le fiumane si scopre per qualche tratto.
Li 24 giugno fu estratto consolo il sig. Giuseppe Dalla Vacche, che intraprese il suo ministero il di primo lulio. Pretese questi al principio del suo governo che la offerta della elemosina a S. Bernardino dovesse novamente passarsi alli frati MM. OO., sospesa come si disse.
Vi fu in Consilio chi si oppose, onde tosto si scrisse al Governo per averne la determinazione, tanto più che trattavasi anco di salvare la convenienza pubblica per le vertenze del vicolo acenato. Rispose p. ciò l’Assunteria di Governo il di 16 d. che se alla Comunità piaceva fare la festa di S. Bernardino, la facesse pure e si dispensasse la elemosina a tutt’altri fuori che a francescani per quest’anno.
Sul principio di questo mese morì Giovanni di Domenico Ronchi, uno de pubblici rappresentanti. Il giovane fu di grande aspettazione per le virtù che possedeva di lingua latina, di poesia e prosa, delle quali se ne trovano molte (…..), morì in età d’anni 26. Sua madre fu Domenica Morandi cittadina di Bologna, fu di brutto aspetto, di vista breve, personale picolo e la sua morte fu per lo studio di astronomia, onde morì ella.

Il Senato di Bologna, per avere un’esatto conto della sua popolazione col pretesto di volerla esentare dalli agravi o almeno allegerirla, proclamò fuori in istanza ad ogni massaro e capo di Comunità il dover denunziare tanto li maschi che le femine, sacerdoti e regolari, mediante notificazione estradata dall’agente di camera Felice Marchi nel giorno secondo di agosto.
La volta del coro de sud. frati zocolanti, che era poco sicura, fu modificata e fatto di novo il fornice colla vela sopra l’altar maggiore.
Li 22 dicembre fu estratto Consolo Flaminio qd. Giovan Paolo Fabbri, fratello del segretario Alessandro Fabbri celebre poeta e prosista come dalla di lui opera stampata si rileva.

(1764) La prima seduta che egli fece fu li 2 genaro 1764, nella quale espose il dessiderio di vedere riatata la mura del castello, al quale effetto aveva anco avuta parola col novo Podestà estratto per l’anno presente Marchese Andrea Bartazza, ma non essendosi potuto nulla risolvere in consilio per mancanza di sogetti, diferì la nova proposta alli 9 genaro, seguì questa e si scrisse al Governo, ma nulla rispose.
Scopertasi nella Dalmazia l’influenza pestilenziale nei corpi umani, ordinò l’Assunteria di Sanità che si invigilasse per le persone, robbe e bestiami provenienti da quella parte.
Malsoddisfatto il conte Cesare Senatore Malvasia delle ostilità che le avevano fatto li frati zocolanti di questo loco per il passaggio su li due portoni e per la provoche, che ne sentiva giornalmente da sussuroni, pensò chiudere il transito esterno avanti il suo palazzo di dietro sopra il teraglio del Castello, quindi fece alzare li due muraglioni che ora si vedono traverso la fossa e congiugerli sopra la riga al suo palazzo, cosa che spiaque a tutta la populazione ancora.
Li cappuccini paesani, avendo terminato il selciato della loro chiesa, vi incastrarono le seguenti memorie sopra le ossa del P. Bonfini una, levando l’altra che già trascrivemmo e l’altra sopra le ossa del Conte Ramazzotti im marmo bianco come siegue:
P. Bernardini a S. Felice
exuvic.
huc delate Anno 1737
qui anno 1630 conventum hunc excitans
et Populo Castri S. P.ri
crassunte peste succurrans
charitatis victima occubuit
abibi in edicula tumulatus.
L’altra lapide sepolcrale poi posta in cornu Epistole al Conte Ramazotti fu la seguente, come si può ognuno chiarire, scolpita in egual marmo:
Co: Pompejo Ramazzotto
Huius Convent. Cappucinor. C.S. P.ri
Fundatori
Et post numus Junera huc excepto
Benefactor perpetuo
Capucini ad huc merented
P. P.
Anno 1763.
Li 8 marzo si publicò un Indulgenza in forma di Giubileo stante le angustie che soffriva la chiesa per la premeditata oppressione della Relligione de Gesuiti e per le altre contingenze della chiesa.
Perché la popolazione era travagliata molto dalla penuria di grani, il cui prezzo ordinario era di 30 paoli la corba, né potendo il Senato suplire alle tante provisioni che ocorevano, concesse la facoltà a tutte le Comunità del contado di potere prendere danaro a frutto per provedere al bisogno e ne fece il segnatore S. C: Die 9 Aprilis 1764./ Congregatis Ill.mi et ex.ti D.D. Reformatoribus Status Libertatis Civitati Bononiae in N. XXV in camera E.mi et R.mi Cardin. Legati in eius gratia et de ipsius consensu, et voluntate inter ipsos inclune fortisum positum er legitum sorten. fuit vid. P.P. conscipti facultata., p. suffragia omnia affirmativa tribuerunt.
Consulibus, Massariis et Hominibus Cammunitatus qurumcunque agri Bononiens., quem Bona, ut dicit comunalia possidentet, et Annona Caritate premantur, eadem Bona pro (…) et legitionis contraetibus obbligandi, quibus haidi necesitati provideant, non autem tamen perficiendis, quam D.D. Annone Praefector Cognitio, et consensus acceptavit. Contrariis haud obstatibus quibuscumque. F.ta Flamunius Scarsellius ill.mi er ex.ti Bonon. Sen. secret.
Perché poi le raccolte erano in brutto aspetto, il Card. Arcivescovo li 20 aprile ordinò che si facessero le processioni e benedizioni alla campagna per le feste comandate. Mancando la farina nel paese il popolo cominciò a tumultuare, onde fu mestieri ricorrere alli Tribuni perché sforzassero li farinotti a mantenere il paese.
Li 14 maggio la Comunità spedì a Bologna due consilieri che, uniti al Consolo Flaminio Fabbri, operarono in guisa che fu proveduto tosto all’ inconveniente.
Il Rev.mo P. Abbate D. Stanislao Vachi, canonico regolare di S. Giovanni in Monte, nativo di questo Castello e filio del fu Girolamo Dalle Vache, ora detto Vachi, fratello del Consiliere comunista Giuseppe Vachi vivente, fu eletto in questo mese per visitatore generale delli monasteri della Relligione sua.
Stante il timore di essere attacati dalla pestilenza li stati pontifici dalla parte della Marca, il Papa ordinò che si guardassero le spiaggie maritime, quindi avendo ordinato ancora alli soldati delle fortezze distribuiti nelle città maritime, si levarono uomini dalle med.. L’Assunteria di Milizia di Bologna nel dì 19 ordinò per sua lettera nel mese di giugno alla Comunità di Castel S. Pietro provedere il bisognevole ad uno staccamento di 50 soldati, provenienti da Fort’Urbano, che furono destinati alla guardia di Sinigaglia per la fiera onde guardare la spiagia marina per la peste, che si unirono poi con 100 soldati di Ferara ivi spediti con altri militari papalini.
Venero il giorno 20 cod. giugno, la metà si albergò nella osteria del Portone in Borgo e l’altra metà entro l’osterie del Castello. Il loro capitano pernottò in casa Calderini, ora Ghiselieri e partirono di buon mattino li 24 detto.
Il dì 24 secondo il consueto fu estratto Consolo Vincenzo Mondini, che il di primo lulio si fece riconoscere per tale med.
Nel di 6 agosto fu esposto in questa Capella Vachi nella parochiale il quadro rappresentante S. Vincenzo Ferario che resuscita un fanciullo, opera di Carlo Genari, filio del rinomato Genari da Cento cognato del Guercino.
Lorenzo di Gianbattista Mazzanti, detto volgarmente Loreno, morì in questi giorni avendo lasciato dopo di se 4 figli, un maschio per nome Battista e tre femine delle quali ne vive solo una per nome Madalena. Il detto Lorenzo l’anno 1742 si arrolò al regimento italiano al soldo del re di Spagna per la guerra che aveva qui in Italia contro l’Austria per li ducati di Parma e Piacenza, una volta feudi della chiesa.
Il detto Lorenzo si trovò nella famosa battaglia avuta sotto Veletri nella Fajola dove seguì questo fatto d’arme in danno de spagnoli, che ritirati in Veletri ove era anco il Re di Napoli. Ma lasciarono li tedeschi la vittoria incompleta, mentre una notte fra l’altre le sortì entrare nella città, ove appiccata nova battaglia, potette appena fuggire il Re fra le archibugiate che si davano fra li usseri tedeschi e li spagnoli ed il Regimento Italiano che guardava quel Re.
Lorenzo, che era nella guardia del Capitano Camos, si portò, in guisa con altri suoi compagni patrioti cioè Omobono Varani e Giorgio Spinetti e Francesco Passarini, che salvarono la vita ad altri officiali ed ajutarono alla fuga del Re. Per questo suo valore ocupò il Mazanti il posto del (…) sergentato nella guardia e colonna dello stesso Camos, che restò poi uciso nella baruffa, che in apresso divampò.
Partito l’esercito spagnolo da Veletri, inoltrandosi verso li stati napoletani, fu fatta un imboscata ad uno stacamento spagnolo di 200 uomini, fra i quali essendovi il d. Camos col Mazzanti, fatta non poca resistenza, tanto che si potette questa truppa unire ai suoi, restò egli morto dalli ussari tedeschi.
Parve in questo fatto d’arme l’occasione apportuna al Mazzanti di disertare colli compagni patrioti, vedendo le cose della Spagna andar male, ed approfitatosi di ciò, svestito l’uniforme, se ne incaminò verso la Francia col Passarini e li altri due compattrioti lo abbandonarono.
Si assoldò in quella truppa che teneva abblocata la piazza di Orano, doppo alquanti mesi di abbloco si vanno all’assalto ed alla scalata. Il med. Mazzanti, che era giovane di alta statura, robusto e coraggioso, entrò per la barriera, con arma bianca, fra li primi assalitori e fu premiato col posto di caporale di 50 pedoni sotto il sergente maggiore francese Chemis, che restò di pressidio poi in questa fortezza per alquanto tempo.
In questo corso le accadero diverse fazioni dove valorosamente si portò e riportò onore e premio. Fra le altre una si fu che, essendo egli di guardia con una patuglia di cacciatori, avuta notizia che un corpo di 40 persone, parte disertori e parte contrabandieri di Orano, portavano polveri, tabachi ed altre merci fori dallo stato ove era in pressidio, ardì con uno staccamento di 50 francesi alla volta delli contrabandieri col suo sergente Chemis.
Nel tempo che si avvanzavano li med., appiccarono una focosa baruffa che durò per ben quattro ore non volendosi arrendere li forusciti, finalmente convenne a questi cedere stante esserne fra morti e feriti al N. di trenta, che furono fatti prigionieri. Dalla parte del Chemis ne morirono molti, che con quelli feriti furono in N. di ventitre. Condotti li cattivi nella città, la preda fu abbruciata nella piazza, ecuata la polvere, il resto delle spoglie suddiviso fra soldati. Il Chemis di sergente avanzò posto ed il Mazzanti occupò la carica del sergentato.
Stanco p. fino di guerreggiare, finalmente una notte del mese di maggio l’anno 1754 calò le mura della città con altri cinque soldati e se ne venne alla patria, come fecero li altri alle sue patrie. Le lettere patenti che seco aveva delli posti ottenuti le conservò fino a che visse, come ho io riscontrato colla sua famiglia di “Loreno”, che così tuttora si chiama e nomina ritenendo ancora il cognome vero di Mazzanti.
Li frati MM. OO. di S. Francesco di questo loco vedendo andare le cose di male in peggio per la vertenza del vicolo dei portoni, demolirono il fabbricatovi sopra, et il di 22 agosto riaprirono il passaggio come prima.
Li soldati di Forturbano che erano andati alla guardia della spiaggia verso Sinigalia, ripassarono e tornarono al loro pressidio al terminare di questo mese.
Essendo poi priore dell’Ospitale delli Infermi di questo Castello il sig. Giuseppe Vachi, a petizione del P. Gian Domenico Trochi Cappucino e compatrista, fece dire per la la prima volta la S. Messa nel d. Ospitale li 9 settembre, che si ascoltò da quelli infermi e il primo fu il d. capucino promottore.
Li 16 d. fu ripristinato il tutto nel passaggio fra i due portoni di S. Francesco e levato via quel pietrizzo, mediante concordia seguita col Senato. Era quivi guardiano certo P. Domenico da Bologna detto volgarmente Lupelio, uomo veramente religioso e nemico alli contrasti e così si guadagnò l’amore di tutti e reintegrò il convento di tutte quelle elemosine che erano state sospese e levate.
Li 7 ottobre poi, stante la posizione della causa in Roma per esporre alla venerazione il servo di Dio P. Leonardo di Porto Maurizio dell’ordine de li Osservanti di Scalzetti di Spagna, altri del Cavichio per portare un picolo cavichiolo nel mantello in vece di anzinello, si presentò in questo giorno, che fu la domenica del SS.mo Rosario, un sacerdote (che fu) compagno dello stesso padre Leonardo e che da giovinetto lo aveva servito quando fu in questo paese a fare la missione l’anno 1746, il cui nome è Padre Illario.
Espose, in un palco fatto a posta nella pubblica piazza del Castello, essere egli venuto di Roma accompagnato con lettere credenziali della Rotaria all’effetto di raccorre elemosine dalla pietà de fedeli massime in quei luoghi ove aveva predicato il padre Leonardo all’oggetto di esporlo al culto per la beatificazione, tanta era la copia di miracoli che faceva in Roma. Predicò adunque, al popolo diede la benedizione colla S. Imagine del Rosario dopo la processione e fece una abbondante raccolta, poi il lunedì seguente, la sera, dopo aver narati in parochia li prodigi che Dio operava per mezo di questo suo venerabile servo se ne partì il martedì imediato 9 ottobre per Bologna.
Cominciò subito partito questo elemosinante, una grossa piova, che durò lungo tempo ed ogni giorno prosseguì fino alli 17 novembre per cui si sentirono rotture dei condotti e fiumi arginati.
Li 16 dicembre fu estratto per Podestà avenire del 1765, l’avvocato Giuseppe Albini.
Li 20 del med. mese si portò a Castel S. Pietro l’architetto pubblico Gian Giacomo Dotti d’ordine del Senato a rincontrare l’apertura e passaggio ripristinato fra li due portoni di S. Francesco, alla qual visita vi intervennero quattro consilieri del Corpo Comunitativo locale cioè Cap.no Lorenzo Graffi, Gian Alessandro Calanchi, Lorenzo Sarti ed il cancelliere Ercole Cavazza. Fatto il rincontro, se ne partì e così fu terminata ogni questione.

(1765) L’anno poi che seguì 1765, entrò consolo Lorenzo Conti e per podestà il Dott. Paolo Ragani, che sostituì Gio. Ventura Bertuzzi.
Non ostante la pendenza della lite in Roma per la (impunità) dell’arti, il magistrato di Bologna condannò Antonio Gardi tentore del paese, onde fu duopo citarlo per la purgazione dalli attentati in Roma. Poichè in ogni luogo vi sono sempre invidiosi e traditori, così molti gargiolari lavoranti all’uso di Bologna dispiacendole che altri lavorassero le canape alla schiantina, fecero istanze al magistrato sud. per che venisse loro vietato questo modo di lavorare. Si oppose la Comunità e fece unire questo articolo alla lite in Roma per tutte le altre arti, ma poco sufragò come dicemmo a suo loco.
Li 14 aprile venne una gran galiverna, che fece secare la maggior parte de pampini delle viti, come seguì li 19 aprile 1725, onde fu carestia d’uva. La sera med. alli 3 di notte si vide dalla parte boreale ed occidentale un fenomeno in cielo tutto rosso che illuminava il mondo, fece spaventare tutti e durò due ore.
Essendo terminate tutte le differenze fra il Senato e li frati di S. Francesco a cagione del passaggio sudd. coll’avere il med. Senato riportato obbligazioni e dichiarazioni, la Comunità di Castel S. Pietro si deliberò ancor essa ritornare alla chiesa de med. frati per fare ivi, come in adddietro, la festa ed offerta a S. Bernardino al proprio altare sotto diversi patti come ne appare da scrittura nel suo archivio e nelli altri posti a Campione, fra quali li più interessanti sono li seguenti:
1) che li frati debbano il giorno della festa celebrare all’altare della Comunità la messa cantata in terzo, alla quale interverà la Comunità e secondo la intenzione della med.
2) Che ogni festa domenicale dell’anno li frati debbino prestare al d. altare una messa di presenza.
3) che, quando si farà la funzione sud., sia adornato l’altare di sei candelotti accesi, che la messa sia accompagnata dal canto gregoriano e coll’organo e a qual messa dovrà assistere il Corpo Comunitativo in forma, sicorando li frati li soliti riti di S. Chiesa cioè assenso ed amplesso di pace da reciprocarsi poi fra essi comunisti, che il giorno precedente a tale funzione debbano li frati fare sonare ed alzare il doppio delle loro campane poi, il giorno in cui interverà la Comunità alla loro chiesa, sia ricevuto il Corpo comunitativo alla porta della chiesa da un secolare colla stola e cotta e presenti l’aqua benedetta così pure, terminata la funzione, debbano li frati accompagnare la Comunità fino alla porta della loro chiesa, alzando il doppio delle campane tanto nell’arivo che nella partenza dalla chiesa dove deve la pressidenza del convento preparare il genuflessorio e sedile per comodo de Comunisti.
Che alla mutazione di ogni guardiano debbino li frati addomandare alla Comunità il prosseguimento di tale funzione ed elemosina annua di Lire ventisei, queste con altre dichiarazioni.
Fatta tale convenzione cominciò ad effettuarsi il di 13 giugno e fu molto aplaudita la funzione si dai frati che dalla popolazione e dalla Comunità stessa.
Li 24 d. stesso mese fu estratto Consolo, secondo il consueto, Lorenzo Sarti, che intraprese il suo officio il dì primo lulio.
Il principio di questo mese cominciò a piovere fortemente e durò di continuo per tutto il mese in modo che bagnati li grani e ne campi e nelli barchi, a chi nasceva ed a chi semava in modo che si temevano incendi e la racolta fu di cattivo odore. Li 18 d di questo mese infra le pioggie si levò un turbine si grande che portò via li coperti a molte case, si levò in aria pagliari, sradicò grosse quercie, alzava uomini e bestie da terra, cosichè le persone per assicurare la vita si sdraiavano a terra e simile turbine, che fu detto bisciabora seguì l’ottava di S. Lorenzo del prossimo agosto, nel qual giorno in questo nostro quartiere della Lama portò in alto un birozzo con una coppia di bestie congiunte al med. che erano di Guido Serantoni, lavoratore della possessione di S. Cattarina d. La Laura. La casa delle Mascarelle fu colla vicina del Valesino tutta scoperta.
Nel di 31 agosto anno presente morì in Ferara il P. Mariano Gallanti di Castel S. Pietro le cui prerogative stanno così descritte nel mortologio de Cappuccini 1765 : “31 augusti obiit P. Marianus a Castro S. P.ri concionator, guardianus et episcopi Comaclensis actualis theologus in nilus pari studio, et de propria vita perfectione et animarum salute avidus et sollicitus.”
La chiusa dell’aqua nel nostro Silaro, che fino ad ora era stata in poca distanza dal Castello incontro la Valetta e Fornacetta, già de Gesuiti, tutta di legnami, fu trasportata più superiormente infra la possidenza di Croce Cocona e Dozzo e fu edificata di pietra col dissegno e direzzione di Giuseppe Tartaglia, fattore del Senatore Marchese Piriteo Malvezzi proprietario del molino di Castel S. Pietro e ciò seguì nel 15 settembre, ma fu poi interotta dalla pioggia.
Nel sabato avvanti la festa del SS.mo Rosario, che fu li 6 ottobre si (diede) la dote di sc. 150 dal suffragio di S. M. della Morte di Bologna allo Castello di Castel S. Pietro per il legato Villa, abitante nella casa del testamento allorchè puntualmente paghino li suoi genitori e lo med. le pigioni della casa p. essa abitata alla forma del testamento.
Stanti le vertenze che regnavano fra la Compagnia del SS.mo e quella di S. Cattarina su le preminenze, li 10 ottobre venne il Vicario Generale vescovile a Castel S. Pietro, Monsig. Sante Corolaggi, oriundo di questo loco, fece invitare la Congregazione di S. Cattarina e prima di tutto ordinò a essa il riattamento e la modernazione della chiesa, giusto il dissegno di Giovan Battista Canepa e poi ordinò che nelle funzioni colla congreg. del SS.mo, secondo l’uso antico e che le Prioresse del SS.mo andassero ancor esse in processione, ma posteriormente alli uomini che seguivano le immagini o il Santissimo nelle processioni, ove che prima seguivano esse dietro posteriormente al clero.
Li 11 di questo stesso mese venne una grossissima piena nel Silaro, che sormontando li muraglioni diffensivi la via consolare, allagò le vicine campagne e durò tre quarti d’ora a crescere.
In virtù dell’ordine sud. di Monsig. Vicario essendosi posta mano alla ristorazione della chiesa di S. Cattarina, essendo priore Pietro Gattia detto: l’Avvocato, fu fatto memoriale da 28 confratelli diretto al Vicario col quale, chiedendosi la conferma nel priorato per il venturo 1766, il Vicario ordinò che si mettesse a partito quella addomanda. Tanto seguì ma il Gattia ebbe l’esclusiva.
Nel dì primo poi di dicembre, essendo giorno dell’Invito statutario della Compagnia, il doppo pranzo si fece nova congregazione, se ne rogò l’atto il Not. Giovanni Bertozzi e restò confermato il Gattia per priore e per l’assistenza alla fabbrica per il 1766. Fu di novo ricorso al Vicario per la cessazione di questa rissoluzione, fu dedotta la causa ad viam juris per gli atti Franchi nel Vescovato. L’esito fu che il Gattia restò escluso.
La Comunità avendo in vista li sconcerti che acadevano li giorni di mercato nel luogo ove si faceva quello de bovini, cioè in mezzo al Borgo nella via corriera, diede suplica alla Assunteria di Governo affinchè questo mercato di bovini si trasferisse alla destra dell’ingresso maggiore del Castello ove si faceva il mercato de majali.
L’Assunteria ricevette l’istanza, ma niuna conclusione si ebbe, si ottenne bensi dal Governo li materiali di sassi e sabbia, mediante la permuta della ghiarazione del nostro comune, per riatamento della via maggiore del castello tutta rovinata e di questo mese si incominciò a ristorarla, pagando le maestranze li rispettivi possidenti.
Erano restie le prioresse della Compagnia del SS.mo mutare il loro posto antico che però, fatta la instanza di novo al Vicario da alcuni nemici della compagnia, decretò in forma per li atti di Ser Antonio Franchi la comutazione del loro posto come si è detto e ciò sotto pena della sopressione del loro oficio, onde condannò ad adattarsi al volere supremo, che non volle attendere la consuetudine.

(1766) Essendo chè poi stato estratto per podestà di Castel S. Pietro per l’anno prossimo, il 1766, l’avvocato Lodovico Montesani e per Consolo il Cap. Lorenzo Grafi, questi investirono il loro officio servendo di sostituto per il primo il Not. Bertuzzi.
Aveva il teatro pubblico di questa comunità una ringhiera ad uso di palco, che girava per il circondario della platea, venendo questa benespesso occupata da chi non vi doveva entrare per che era stata costruita per comodo de soli comunisti e loro familie, il consolo Graffi pensò dividerla in tredici palchi, ne fece noto alla Comunità.
Lorenzo Conti vi ostò né altro potette effetuare il Graffi, il med. bensì, come uomo destro e facoltoso, aspettò a miliore tempo effetuarsi li suoi dissegni ed infratanto nella propria casa e poco alla volta formò le divisorie dei ponti di legno e le tenne chiuse, aspettando la opportunità e disposizione delli animi delli rappresentanti pubblici, li quali vedendosi gravati nelle convenienze curassero poi aderire alle idee del Graffi come seguì, ed infrattanto restò sospeso ogni lavoro.
Il med. Graffi poi unito al fratello suo Dott. D. Ercole, sacerdote e protonot. apostolico infrattanto eressero un beneficio semplice laicale in questa parochia all’altare di S. Rosa di Lima già delli Marchesi Locatelli, ora sotto l’Invocazione di S. Francesco di Paola unitamente alla med. Santa, ove vi fecero dipingere il bel quadro del Calori detto: il Sordino, di Bologna, come diremo a suo loco. Questo beneficio ha per dote una porzione di casa posta in Castel S. Pietro nella via di Saragozza di sotto; qual casa viene denominata: il Conventino, col’obbligo al Rettore di celebrare o far celebrare tante messe nell’Ospitale delli Infermi di questo loco e altro all’altare sud. ma numero precisato. Il rettore deve essere uno di Castel S. Pietro, di onesti parenti ed il primo rettore fu D. Francesco Dalfiume, famiglia vecchia del paese, di tutto ciò ne appare per Rogito ed alli atti sud. Franchi.
Regnava poi in questo tempo una influenza febbrile putrida e di cattivo carattere, per modo che potendo resistere poco il chirurgo, ed essendo cresciute le brighe, la Comunità accrebbe al medico il suo salario in lire cinquanta ogni anno. Non bastando questa influenza ne corpi umani, se ne scoperse un’altra nelli bestiami detta cancrena volante ed era una piccola vessica che se le formava sotto la lingua; venne perciò fuori un bando e la ricetta per medicarla.
La Compagnia di S. Antonio Abbate o sia Congregazione, composta di tutti villani, non avendo uniforme venne in capo a certuni di capparla e darle il titolo di Sufragio. Non piaque questa novità e suplente di nome di Sufragio alli frati di S. Bartolomeo per avere essi la Compagnia dello stesso titolo di Sufraggio, fecero alto e provando che per decreto di Clemente 7 non si puole erigere sotto il med. titolo specioso in un medesimo loco più di una Compagnia, si providero di una inibizione papale per gli atti di Antonio Gotti. Ed essendo stata eseguita altro non si fece.
La Compagnia di S. Cattarina per rendere più decorosa la sua chiesa comprò dalli eredi Locatelli un piccolo tratto di terreno in un loco posto posteriormente alla chiesa per una larghezza di quattro piedi e alta la dimensione del prospetto della med. chiesa, come appare da pub. rogito del sud. Bertuzzi e così la chiesa restò più lunga e guadagnò quel pezzo di ambiente che ora forma il coro dell’altar maggiore, ove fu tutta la capella anco modernata con vela, dove che prima era formata a crociera.
Michele Marabini detto Prati, di questo loco, essendosi per pazzia gettato in un pozzo fu miracolosamente salvato da un fanciullo al sugerirli che chiamasse il S. Crocefisso in ajuto e, tenendo calata una corda, nel pozzo pubblico di S. Bartolomeo gridò tanto che afferata la corda il Marabini si sostenne sopra l’aqua attacato alla corda del fanciullo finchè giunse gente per sostenerlo e liberarlo.
Giuseppe Gattia figlio di Pietro, bravo sonatore di violini, medesimamente in maggio, volendo smorzare il foco aceso in un camino di casa sua, corse nelli coppi con aqua, ma druciolato cade sopra un pozzo della vicina corte che al vederlo così cadere, invocata Maria SS.ma del Rosario, non morì e scansò il pericolo dell’aqua per il foco che voleva smorzare; se ne vede la tavoletta nella Capella del Rosario.
Adi 24 giugno fu estratto Consolo per il secondo semestre Ercole Cavazza sotto il cui consolato poco e nulla di momento ne cadde, toltone la miseria e penuria de generi per la povertà che era molto angariata, il med. Cavazza attendeva all’archivio patrio.
Li 12 ottobre il P. Remigio di Castel S. Pietro capuccino apostata, come diremo a suo loco, compiuta la feriata della Compagnia del Rosario sul dissegno del celebre Casal Grandi bolognese, li 14 ottobre fu collocata al suo posto nell’ingresso della capella e costò più di settemilla lire.
Essendosi fatta una scarsissima raccolta di grano e di ogni altro genere, il Senato di Bologna acordò alla Comunità di poter prendere danari a frutto come nel seguente:
S. C. Die 5 Dicembre 1766:
Congregatis Ill.mi et Ex.tis D.D. Refformatis Status Libertatis Civitatis Bonon. in N. XXVII in Camera E.mi et R.mi D. Carolus legatus in ejus gratia, ac de epsius consensu et voluntate intra partitum positum et segnis ostantus fuit videlicet. P. (..) conscripti facultatem per suffragia (..) affiermativa (..)runt consulibus, massariis et hominibus comunitatum quarumcunque agro bononien., que bona ut dicit,comunalia possiden(..) et Anones caritate pro mantue eadem bona pro oportunis et legitimis contractibus obligandi, quibus (…) necessitati provideant non antea tamen perficiandis quod D.D. Anones prefectis cognitio et consensus acesserit, contrariis (..) ostantibus quibuscunque. Itu est Flaminius Scandellarius ill.mi et ex.ti Senatu Bonon. et sacretis.
Vertendo la lite fra la Comunità e le arti di Bologna in Roma avanti il Prefetto della Signatura, comparve l’arte de fabri e protestò non volere agire contro Castel S. Pietro, ma bensì contro le altre comunità subordinate alla giurisdizione di d. Castello; su ciò fu fatto il decreto che fu da entrambi le parti acettato e così restò assicurata la imunità delli fabbri entro il Castello e comune.
Cresceva di giorno in giorno il prezzo di grani e biade, onde fu inventato una certe spezie di pane tutta formentone, come fanno li contadini ad uso di mica e furono perciò chiamati zaletti, uno di questo valeva mezzo bajoco, fu dato il peso dalli magistrati ed indi formata la stampa in legno bollata. Il formentone si vendeva pavoli 16 la corba ed andò fino alli 30 alla fine di quest’anno. Il grano pavoli 36 ed andò fino alli 40, la fava, il miglio pavoli 26 la corba e questi due generi si macinavano tutti assieme colla marzola ed orzo che in ottobre si vendettero pavoli 20 la corba. il vino medesimamente, benchè novo, si vendeva pavoli 19 la corba.
Dalli 17 novembre fino alli 13 dicembre sempre e giornalmente piovette e recò il tempo così umido molte coltivazioni al ceppo e rastredere.
Li 16 dicembre fu estratto per Podestà dell’anno avvenire 1767 il Conte Antonio Gandolfi, che sostituì il Dott. Paolo Pagani e li 22 d. fu estratto consolo Francesco Dall’Oppio, che l’uno e gli altri esercitarono i loro ministeri nell’anno successivo 1767.

(1767) Il febrato seguente morì Lorenzo Conti altro de consilieri e rappresentanti; fra li tre di lui figli Carlo, Domenico e Francesco, fu eletto quest’ultimo nel mese di marzo per essere notaio ed anco informato delle cause litigiose pendenti in Roma.
Li 25 febraro si pubblico in Bologna l’Indulto di carni per la prossima quaresima per così anco solevare la povertà. La Notificazione è la unita, da cui più si rileva.
Li 2 marzo, stante la facoltà antecedente del Senato di potere prendere danari in frutto per erogarli in sovenzione della popolazione, propose il cap. Lorenzo Graffi al Consilio di prendere a frutto sc. 5 mila e di erogarli nella compra di tanto formentone e dispensarlo poi a tempo ai bisignosi, oppure altra sorta di granelle.
Il Consilio attendendo il progetto incaricò il med. Graffi ed il colega Domenico Ronchi a prendere tale somma a frutto e fare ciò che avessero creduto in beneficio della popolazione nostra di Castel S. Pietro, al quale effetto le fece il Consilio ampla procura, come nelli atti del med.
Li 13 d. in Roma la Rota decise contro la Comunità la lite della esenzione dai dazi. Li 25 med. morì in Roma il Card. Gallo, familia originaria di questo castello, come tante volte esso asserì avere avuto li suoi maggiori il domicilio nella via Framella contro il palazzo Malvasia.
In questo stesso mese li sud. due deputati presero a frutto le dette sc. 5 mila da certo sign. Canè a rogito di Ser Giovanni Monsignani di Bologna.
Essendo vacata l’arcipretale di S. Agata nel bolognese di collazione della Mensa di Bologna, li 13 aprile fu fatto arciprete di quella pingue chiesa D. Luigi Conti filio di Pietro nostro compatriota e fratello di Franco Conti e del P. M.ro Filippo Conti dell’ordine de Servi degente in Bologna. Era egli era in questo tempo capellano domestico dell’arcivescovo Card. Vincenzo Malvezzi in Bologna.
Li 25 d. giunse l’avviso come erano stati cacciati di Spagna li gesuiti da quel re, per avere tentata, come si vociferò, una insurezione in Madrid contro il loro sovrano.
Dalla parte di Firenze a questo nostro confine furono sospese le comunicazioni di traffico per una influenza epidemica, per la quale quel duca si era portato in Livorno. In Parma regnava discordia fra li nazionali e li francesi domiciliati ivi nelle massime catoliche, onde furono presi di sospetto li gesuiti, per lo che le fu accelerata la espulsione da quei Stati.
Li 17 cadente cadde una gran tempesta nel quartiere di Granara del nostro comune ed in parte nel quartiere della Lama, grossa come le noci che schiantò alberi, pampini, canape ed ogni racolto e si alzò alta un piede da terra, donde si riempirono le conserve; faceva orrore quando cadeva, perirono molti polli, porcelletti ed altre bestie minute.
Li 22 maggio il magistrato de Tribuni della Plebe di Bologna venne nuovamente a perturbare la tranquillità delli artisti di Castel S. Pietro, catturarono per ciò li calzolari di Borgo; allora la Comunità citò il magistrato nella R. Curia a purgare li attentati e rilasciare liberi li lavoranti. Il magistrato per ciò nel dì 25 rinonciò alla sua cattura, ma senza pregiudizio di agire in Roma.
In questo oggi, giorno di mercato, il grano si vendette pavoli 40 la corba, il formentone paoli 30, il pane era di oncie 18 per ogni quattro soldi, la farina di formentone si vendeva due bajochi la libra e quella di grano soldi due e mezo e poi ad arbitrio.
Li abitanti del Borgo diedero suplica alla Comunità per selciare quella parte di Borgo che spicca dalla chiesa della Annunziata ed introduce nel Castello e volerle concedere li materiali mediante la permuta della inghiarazione e che essi pagheranno le maestranze. La Comunità spedì la suplica a Bologna al governo, quale niente solvette.
Essendo anni 163 che le aque morte pregiudicano il territorio bolognese, il governo di Roma, nel mese di giugno, ordinò un taglio reale doppo infiniti che se ne erano fatti, ora sopra un dissegno, ora sopra l’altro.
Li 9 giugno corrente ultima festa delle Pentecoste, facendosi la processione colla imagine di Maria SS.ma sotto il titolo del Soccorso dalla Compagnia di S Cattarina per il Castello e Borgo, improvvisamente ed in un momento si alzò un temporale di vento e pioggia che non potendosi progredire fu necessario fermarsi sotto il portico destro nel Borgo, avvanti l’ingresso del Castello, ove stette mezora su le spalle de confratelli, la quale di poi fu portata come si potette all’arcipretale ed ivi diede la S. Benedizione a quel poco di popolo che la potette accompagnare.
Li 20 di notte del sabato venendo alla domenica si fece sentire alle ore sei italiane il teremoto, poi replicò altre due volte, senza però far male alcuno. Ciò fu creduto effetto della lunga e grossa piova che, doppo gran sicità, venne e durò giorni continui più di quindici, onde fu necessario mettere fuori la coletta “ad Petendam Serenitatem in Missa”, per lo che non si poteva mietere e tutti li grani e biade erano covaciati a terra e giacevano sepolti nell’erba. Per tale motivo li 22 d. si espose alla pubblica venerazionel la imagine di Maria SS.ma del Rosario, alla quale si fece un triduo di messe e benedizioni col SS.mo ogni sera.
Li 24 d. fu estratto Consolo Domenico Ronchi di Giuseppe, che durò poco nel suo consolato, mentre nel primo mese finì li suoi giorni. Per tale morte fu fatto ricorso alla Assunteria di Governo, acciò si venisse dalla Comunità all’estrazione di un novo Console, stante la decrepita età del Proconsolo Francesco Dall’Oppio e le sue corporali indisposizioni. Si venne perciò alla nova estrazione e fu estratto novamente io Ercole Cavazza.
Essendo vacata la pubblica scuola di umane lettere per rinuncia di P. Lodovico Dall’Oppio, la Comunità elesse il chierico D. Alessandro Camaggi faentino, giovine si ma bravo in ogni genere di lettere, venne alla sua condotta alla fine di settembre.
Essendosi rotto il campanello pubblico della Comunità esistente nel campanile presso l’arcipretale e questo rifuso, non si volle riconsegnare all’arciprete Bertuzzi se prima non confirmavansi la legislazione sopra il jus di nominare il campanaro. Stette il med. molti mesi perplesso e negativo, ma sentendo le rissoluzioni comunicative di voler unire il campanello all’oriolo pubblico per farle battere li quarti, si prestò tosto e sottoscritti li patti, fu consegnato il campanello e posto in suo loco primiero nel di 8 ottobre.
Li 16 dicembre la piena signatura di Roma decretò, nella lite della Comunità col Senato di Bologna, che si osservasse il Monitorio dell A. C. di Roma imponendo che si conservassero e mantenessero li uomini ed artisti di Castel S. Pietro nel suo pacifico possesso della imunità ed esenzione di ubedire all’arti di Bologna si virtualmente che pecuniariamente e personalmente. Tale decreto fu fatto con 8 voti favorevoli e due contrari.

(1768) Li 22 d. fu estratto Consolo il Cap. Lorenzo Graffi che investì la carica il di primo genaro 1768 e così pure fece il novo Podestà il Cavaliere Lorenzo Antonio Sampieri.
Li 19 febraro ad ore 21 morì la sign. Ginevra Fabbri qd. Valerio Fabbri Capitano, vedova del fu Giovan Battista Dalla Valle notaro di Castel S. Pietro, che fu ultimo rampollo della antichissima familia civile e nobile di Bologna, che si stabilì quivi fin dal 1200 per le fazioni Geremee e Lambertazze. Fece testamento due anni sono, lo confermò in forma segreta al Notaio Giovanni Bertuzzi e fu publicato per lo stesso Not. il giorno d’oggi.
Fece molti legati pij a favore del paese ed ordinò tra li altri la erezione di un ritiro per le oneste citelle del paese. Instituì erede il Dott. Anibale Bertolucci filio di Giuseppe Bertoluzzi di questo Castello, familia antica ma spatriata a nostri giorni, a li suoi eredi in infinito, estinti li quali, sostituisce nella proprietà l’ospitale di questo castello per poveri infermi.
Dal medesimo testamento, che è l’unito, si rilevano tanti altri oblighi e disposizioni delle quali il lettore di questi nostri scritti può informarsi. Lasciò pure sc. 100 per l’(…) della chiesa arcipretale che il moderno arciprete trascura e si ritiene il contante in mano.
Ma perché Otavio Fabbri, uno delli ascendenti della testatrice nel suo testamento rogato l’anno 1637 per il Not. Scarselli, come si narò alla sua epoca, lasciò per fede comessa alla compagnia del SS.mo SS.to di questo Castello, di cui ne era confratello, tutta la sua eredità, della quale ve ne è unito l’inventario al d. testamento, affinchè colli rediti di quella si estraessero tante doti ogni anno per le cittelle del paese e così essendovi ritrovato nello Intro di divisione Fabbri che la casa abitata per d. testamento e lasciata per la costruzione di un conservatorio, la Compagnia del SS.mo, prese tosto il possesso della eredità sud. giudicialmente per gli atti del Notaio ………. .
Li 22 corrente febraro fu agitata la lite nel vescovato di Bologna dove si instituì il giudizio sud. possessorio, che poi fu ridotto a partitorio in Roma dalli sud. eredi Bartoluzzi.
Li 25 d. Gaetano Rondoni ultimo della sua familia antica di questo Castello, essendo in Bologna, cadde precipitosamente da una scala, fu portato nell’Ospitale della Morte e qui col finire li suoi giorni finì ancora il suo casato di Castel S. Pietro, chiaro per quattro secoli adietro nel suo paese.
Facevansi sussuri nella città e teritorio di Bologna sopra il passaggio, che doveva seguire fra breve della Arciduchessa Maria Carolina d’Austria figlia dell’imperatore Carlo che si conduceva sposa al Re delle due Sicilie a Napoli, a motivo che il Senato era stato prevenuto con lettera della Corte Imperiale col titolo di Repubblica di Bologna, onde per tale titolo taluni intenzionavano essere ridivivi repubblicani. Avvaloravano queste sue opinioni per la opressione de gesuiti essere il Papa in poca bona vista alla corona, onde era facile ancora la smembrazione di Bologna dalla soggezione a Roma.
Pervenuto ciò a notizia della corte romana. ordinò questa rinnovazione del giuramento di fedeltà alli senatori e di ciò fu commissionato il Card. Legato Spinola, al quale fu anco ingiunto per breve apostolico, che in nome pontificio ricevesse la nova sposa in Bologna.
Intanto essendo giunto avviso che fra giornate saria giunta in città, il Cardinale, mediante li ufficiali maggiori di milizia, ordinò che si preparassero al ricevere questa signora e a scortarla fino fori stato.
Quindi avvisato il Cap.no Lorenzo Graffi colla sua compagnia di Castel S. Pietro il dì 13 agosto partì colli officiali Giovan Francesco Andrini, alfiere colla bandiera nazionale del paese bianca e verde inquartata, sergente Fedele Gattia e 185 uomini e li 14 d. si portarono a tamburo battente e zuffolotti alla volta di Scarilasino.
In questo stesso giorno passarono da Castel S. Pietro 160 cavalli spediti dal Papa dalla Marca e Romagna per equipaggiare la Regina. La truppa sud. di Castel S. Pietro fu drapelata dalli solo tre officiali nazionali.
Il martedì che fu il 15 d. giunse in Bologna la Regina, fu ricevuta al confine modenese da Monsig. Millo nunzio pontificio e Mons. Boncompagni vice legato. Allogiò in casa Pepoli e partì la mattina del mercoledì alla volta di Firenze.
A Sesto, luogo distante da Bologna 6 miglia, ricevette un novo complimento dal vicelegato che ivi l’aveva preceduta, ove eravi un stacamento di 50 militari bolognesi. Monsig. Nunzio Apostolico acenato avendola altresì esso preceduta ai confini ove era la nostra truppa e officiali di Castel S. Pietro a Scarilasino prima di entrare nella Toscana, novamente la complimentò, ove erano schierati li nostri soldati, che doppo averle presentata l’arma e fatto il Gioco di Bandiera come usavasi abbassare la med. a terra, gradì quella sovrana un si cortesse oficio dandoli segno col baciamano alla ufficialità nostra in argomento della sua sensibilità.
Prima del suo arrivo a quel loco furono sparatte sei canonate dai nostri canonieri bolognesi fra i quali servì per coadiutore Angiolo Tomba di Castel S. Pietro, cancelliere della milizia nazionale, che ivi col Cap. Graffi si era portato.
Ritornarono le nostre truppe di Castel S. Pietro a Bologna tutti gloriosi e ricevettero dalla Assunteria della Milizia le meritate lodi.
Mons. Millo nunzio pontificio ne diede ancor esso segni di gratitudine alli nostri officiali, che ebbe il piacere rivederli prima della loro partenza. Ritornarono in patria l’ultimo del mese di aprile con attestato amplissimo di benservito fattole da Monsig. Vicelegato Boncompagni. La relazione delle feste fatte si è qui unita.
Antonio di Angiolo qd. Antonio Palassi di Castel S. Pietro in età di anni 20, doppo uno studio singulare di contrapunto in musica fatto nella città di Bologna, sotto Angelo Santelli cembalista inimitabile, venne condotto da sua Maestà il re di Spagna per cembalista e contrabasso al teatro, il suono del qual intero aveva appreso dal padre e ciò per un anno coll’emolumento di sc. 280 e qualora abbia la sua salute in quella capitale di Madrid sarà condotto ivi a vita, come è poi seguito avendo ivi piantata la sua familia.
La Comunità di Castel S. Pietro memore della origine della gloriosa grazia fatta da Maria SS.ma mediante la S. Imagine di Poggio alla nostra popolazione, della quale ne era patrona, la Comunità volendo contestare anco alle genti la sua devozione alla med. S. Imagine, massime nelle S. Rogazioni che con essa annualmente si fanno, determinò la med. Comunità portarsi in forma col Corpo comunitativo il giorno 8 maggio, che fu la domenica preventiva alle rogazioni, a ricevere la S. Imagine nel Borgo all’oratorio della SS. Annunziata ove è solito ogni anno fermarsi e così il giovedì, giorno dell’ascensione doppo il vespro, decretò la Comunità che si dovesse accompagnare la S. Imagine al Borgo e rinovare le consuete benedizioni alla condizione però che la Comunità avesse salve le sue convenienze.
Le amarezze (subite) nella Spagna, Francia, Portogallo e in altre monarchie a cagione delle insurezioni machinate da gesuiti, per le quali cose essendosi apprenzate istanze al Papa per una providenza a questa Relligione ed avendo il medesimo sempre tenuto l’orecchio chiuso, ne partorì quindi un funesto effetto, imperciò, sdegnando le imunità eclesiastiche, alcuni potentati cacciarono li gesuiti, altri li carcerarono ed altri si impossessarono de loro beni, per modo che il Duca Filippo di Parma, nipote del re di Spagna, seguendo il malo esempio della corona, mise mano nelli interessi eclesiastici col sequestrare tutte le rendite beneficiali e le pensioni che pervenivano allo stato eclesiastico, alli beneficiali e pensionati fori de suoi frati, pretendendo che dovessero darsi a suoi nazionali.
Mossero queste cose a scomunicare D. Filippo e la sua corte. La Spagna prese perciò in diffesa il nipote D. Filippo e si impadronì quindi di Roncilione e Castro, feudi e stati della chiesa, li francesi di Avignone e Benevento. Il Re di Napoli, per il patto di familia borbonica, si protestò di assistere il Duca Don Filippo, a questo oggetto richiese che il Papa dovesse rivocare il Monitorio di Scomunica mediante schedule affisse alla porta di S. Pietro in Roma, ma il Papa fu rinovente, il che partorì male maggiore.
Li 21 giugno, lunedì notte venendo il martedì, morì il chiaro Alessandro Fabbri di Castel S. Pietro, segretario del Senato in età di anni 78, sotto la parochia di S. Michele de Leprosetti in strada maggiore, fu chiaro poeta a suoi giorni e lasciò non poche opere inedite. Nel primo tomo delle stampate per Dalla Volpe in Bologna avvi la di lui vita scritta dal Cav. Conte Giovanni Fantuzzi, le di lui opere sono indicate dallo stesso Fantuzzi nella sua opera delli scrittori bolognesi stampata in Bologna in folio dalla stamparia di S. Tomaso soto la lettera F articolo Fabbri.
Doppo lungo servigio al Senato fu giubilato il di 16 agosto 1762 , come da Sen. Cons. copia del quale è fra li mie filcie de doc. attinenti a Castel S. Pietro.
La giubilazione le fu data, senza richiederla per le sue vere prerogative, fu spiaciuto da tutta la città e suoi coleghi nonché della nobiltà per essere uomo faceto e tagliato sul modello antico. Le fu fatto il ritratto da diversi intagliatori, specialmente dal Ferri e dal Benedetti fu la delinoazione di Giacomo Calvi chiaro pittore detto volgarmente il Sordino delle Madonne. Io che avevo stretta amistà col med. Fabbri e pratico delle sue fattezze dirò che la migliore stampa e naturale è la unita del Ferri.
Fu sepolto nella sua parochia di S Michele, in deposito a parte, nel pavimento della qual chiesa in mezo, vi fu poscia apposta la iscrizione sepolcrale im marmo bianco a spese di Giovan Paolo e D. Francesco fratelli Fabbri e di lui figli, il modello della qual iscrizione li stessi fratelli originalmente fecero affigere e murare in questa chiesa di S. Bartolomeo delli Agostiniani di Castel S. Pietro in cornu epistole dell’altare di S. Stefano juspatronato della familia Fabbri il cui tenore è nella seguente pagina:
Alexandro Fabris
Bononiensis Senatus Cancellario emerito
cantaque probitatis vivo
quem
suis ipse
in epistoles, in orationibus, in carminibus
sive italicis, sive latinis / scriptor vero candilus referebat
Flaminius Scarsellius Senatum secretis
Monumentum hoc observantis et amoris
collega suavissima
inscripsit
filii plorentis
patri amantissimo
Posuerunt
vix vita LXXVI menses V dies XV
obiit XI Kal. Julii MDCCLVIII.
Naque in Castel S. Pietro li 4 febraro 1692 dalli jugali Giovan Paolo Fabbri e Maria Vittoria Nicoli familie antiche e patrizie del Castello, not. med., fu battezato colla sola aqua dall’arciprete Ottavio Scherlatini ma le funzioni e riti di S. Chiesa furono poi fatte in Bologna per fruire delli offici della cittadinanza come usarono tante altre familie del paese, motivo per cui se ne sono perdute e spatriate assai.
Li 24 giugno fu estratto Consolo Vincenzo Mondini, che investì il suo officio il di primo lulio.
In questo mese il Duca di Modena seguendo le tracce del Duca di Parma e della Spagna, abolì molti conventi ne suoi stati alla campagna. In agosto espulse li Agostiniani forestieri e tenne solo i nazionali de suoi stati, poscia si mise in armi. Il Re sardo fece lo stesso.
Il Papa vedendo andare male le cose della chiesa a cagione de Gesuiti, deputò una Congregazione di quattro teologi per la rivocazione della scomunica fulminata a D. Filippo duca di Parma, ed infrattanto cominciossi a buttare seriamente e colla maggior sollecitudine la sopressione dei Gesuiti.
Usavano li farinotti e contrabandieri di Casalfiumanese portare farina di grano nei mercati di questo Castello S. Pietro, massime in tempo estivo a motivo della macinatura, perchè quivi scarseggia d’aqua il nostro Silaro a diversità del Santerno, che è sempre copioso d’aqua e costeggia la via di Casale ove sono i molini, per la qual cosa soffrendosi ciò di malavoglia dai farinotti del paese, presero l’espediente di osservare e notare li contumaci dalla giustizia di Bologna poi, avendone date le notizie alli sbirri cavalcanti, procurarono le catture, ma vanamente imperciochè li contrabandieri, fedeli fra di loro, accortisi di ciò vennero sempre armati ed in buon numero.
Ciò non ostante, essendo la tenacità dei sbirri grande e il coraggio delli altri maggiore, si fecero intendere le parti, che volevano un giorno far bordello se non si lasciavano catturare. Tanto accadendo conciosiachè li 22 agosto, giorno di lunedì, vennero molti armati di Casalfiumanese muniti di armi e bravi all’archibugio, ove essendo pure presenti due squadre di birri condotte una dal tenente Giacomo Casalini e l’altra dal tenente Pelegrino Mei detto Vajna, terrore di ladri e contumaci, uomo assai cattivo.
Li armati di Casal Fiumanese fecero intendere ai birri che non arischiassero disturbarli il loro mercato, altrimenti si saria fatta della carne.
Sprezzò il Vajna l’avviso, onde calate le armi vennero nel Borgo alla baruffa, contorniarono quelli di Casale dalle ore 10 fino alle 11 della mattina li birri e li fecero rincolare dalla chiesa della Annunziata fino allo stradello morto, avendo li contrabbandieri preso li passi della via di S. Pietro, della strada consolare e dell’altra del Castello, in modo che loro restava solo il vicolo storto fra la casa Landi e Bolis in faccia alla chiesa di S. Pietro.
Durò la baruffa con ardenza, venero feriti alcuni birri, finalmente Giovanni Nardi, detto Nanino di Casale, giovane coragiosissimo avezzo a baruffe, prese la strada della porta del Castello e di mano in mano, a tempo a tempo, ed a salto a salto, prese le colonne del porticato Facenda, Dalfiume e delli Landi finchè giunse all’ultima che fa angolo e rivolta allo stradello e vicolo sud. torto.
Quindi con la vita sempre bassa le venne fatto di dirigere l’archibugio al petto ed alla vita del Vajna, ma nel mentre che si addatava e voleva porsi con tutta la vita in sicuro, le fu data una archibugiata da uno sbirro introdotto nella bottega ultima delli Landi vicina allo stradello, quale scoperta la costa destra del Nanino, le scopiò a quella l’archibugiata a tiro brucciato.
Con palla infetta rimasto ferito fu questo un motivo di lasciare così l’attacco, per che li birri erano stati introdotti nella casa per un portone Landi, ove travagliarono a coperto li contrabandieri, che militavano a corpo scoperto. Si inasprirono li contrabandieri per tal fatto e volevano incendiare la casa dalla parte oposta, ma infraposti paesani e fatti fugire li birri per le vicine case, si cominciò a dare campana a martello e finì la guerra.
Il povero e valoroso Nanino fu portato nello Spedale delli Infermi, cominciò a divenire tutto nero ed in meno di 10 ore, resa concrenosa la coscia e la gamba, morì subito tutto enfiato. Certo è che se allo sbirro detto Corbolo, non si fosse dato il comodo di tradirle il nemico, niune de birri si salvava.
Si sospese quindi tutto il mercato ed il paese gridava per le farine che non erano più per venire. Fu fatto ricorso dai popolani alla Comunità acciò la med. si interponesse presso il vicelegato Boncompagni onde provedesse alla temerità delli birri. Non mancò questi interporsi ed il di 26 agosto ne fece la suplica, ma senza frutto per che li birri, essendo Ministri del Tribunale, andavano esenti da ogni pena.
Il Duca di Modena minacciando lo Stato ferarese per la aderenza al Duca di Parma contro la chiesa, il Papa fece fortificare di mano in mano la città di Ferara, temendo in quella qualche tradimento, onde li 28 d. spedì il Cap. Costa di Imola con 100 soldati da Faenza, che andarono ad unirsi alli sei milla uomini spediti in Ferara, da quest’altro canto furono spediti li miliziotti di S. Giovanni col Cap. Saletti, quelli di Crevalcore, di Bazzano e di Castel Franco a pressidiare Forturbano.
Intanto che si facevano questi preparativi l’Imperatore, che prevedeva uno scompiglio grande nelli Stati, che se lo dovevano pervenire e nella Cristianità, fece una solenne dichiarazione di neutralità col Papa, cosichè il Duca di Modena, vedendosi mancare questa sponda, richiamò le sue truppe e così fece il papa, che alla metà di settembre licenziò li suoi soldati ancora esso.
La chiesa o sia oratorio della Madonna del Cozzo, esistente nella via Romana in questo territorio di Castel S. Pietro verso Romagna in loco d. anticamente Croce Pelegrina come accenamo ne primi secoli di questo paese, essendo angusta e picola in modo che ricoverava poca gente ad ascoltare la S. Messa, le monache di S. Cattarina di strada Maggiore di Bologna, proprietarie del fondo su cui esiste l’oratorio, per la molteplicità delle grazie che Dio operava mediante questa S. Imagine scolpita di rilievo in macigno col X.to morto su le ginochie, fecero ampliare la capella per un tratto di 15 piedi posteriormente in modo che l’ampliazione forma il coro, poi fu coredata di decenti supelletili, aredi e vasi sacri per li sacrifici della med.
La compagnia del SS.mo, che aveva accesa la lite in Roma contro il Dott. Bartolucci per la eredità Fabbri in Roma, patì con Ap. decreto contrario.
In questo contratempo, colpito di male acerbo, il primo ministro del Duca D. Filippo di Parma, sedutore e autore delle ostilità fatte alla chiesa, morì miseramente senza sagramenti e scomunicato, vi fu sostituito un simile sogetto francese per nome Monsu Ditelioff, secondo ministro che ancor esso essendo del complotto scomunicato morì in pochi giorni miseramente e frenetico.
Alli parmeggiani fece impressione non poca questo caso e perciò cominciarono a sussurare per avere l’assoluzione dalla scomunica, ma fu sempre sordo il Duca che per la sua ostinazione non andò guari che fece una morte infelicissima.
Essendo già stati diportati li gesuiti dalla Spagna e mandati nelli Stati della Chiesa, così distribuendosi di mano in mano nelle abitazioni papaline, ne furono destinati molti a Castel S. Pietro, onde li 19 settembre venne espressamente spedito dal Vicelegato Buoncompagni a Castel S. Pietro Antonio Vaccari Mastro delle Poste di Bologna, con ordine diretto allo scrivano pubblico di dare nota di chi vorrà ricevere a dozena gesuiti deportati ed espulsi dalla Spagna con la esenzione del Dazio della Tesoreria del Vino e colla paga di scudi cinque per ogni frate, ed il pasto due volte al giorno cioè la mattina: minestra, lesso e frutta; la sera: zuppa ed insalata sola sollamente, biancheria da tavola e letto fatto. Li primi che giunsero sono stati provenienti dal Messico colle credenziali.
Li 26 d. giunsero li primi in N. di trenta, furono allogiati nella locanda del Portone nel Borgo per alcune sere poi si divisero, venti de quali andarono in casa delli fratelli Giovan Francesco e Giulio Andrini in Borgo col suo rettore e qui formarono colegio, li altri dieci col vicerettore rimasero per 4 sere nella osteria poi passarono in casa di Carl’Antonio Giorgi nel Borgo medesimo, vicini alla chiesa dell’Annunziata; poi li 29 d. ne giusero altri 54, trenta de quali ne andarono a Castel Bolognese ed il rimanente si sparse in alquante case del paese. Ogni trenta aveva il suo Rettore e fra essi vi erano signori di rango, nobili e principi ancora.
Stabiliti infrattanto questo settanta e più messicani nel paese, li 16 ottobre vennero visitati da Mons. Vicelegato Boncompagni nelli rispettivi quartieri.
Li 19 d. si sentì una scossa grande di teremoto su le sei della notte, durò mezo quarto d’ora e ruinò il Castello di S. Soffia sopra Forlì con morte di 100 persone. Qui in Castel S. Pietro il maggior danno fu nelli camini. La gente fuggì tutta fori delle abitazioni.
30 ottobre N. 22 gesuiti che si erano stabiliti nella osteria della Corona in Borgo, non potendo godere la quiete per il passagio de forestieri, si stabilirono nelle case di Anibale Dalfiume e Sante Facenda nella via maggiore del Borgo facendovi una comunicazione di una casa all’altra, alla pigione annua di scudi 65.
Essendo già partito il Card. Spinola Legato nostro di Bologna e sostituito in suo loco il Card. Lazaro Opiaro Pallavicini, questi se ne passò da Castel S. Pietro diritiramente incognito. Il giorno quinto poi di novembre, in sabato, li gesuiti qui domiciliati fecero un anniversario funebre nella arcipretale apparata tutta a lutto nella capella maggiore coll’invito generale a tutti li preti e sacerdoti per li defunti gesuiti del Messico.
La strada consolare che da Castel S. Pietro porta a Bologna, essendo montuosa e ruinata per un tratto di 15 pertiche contro la possessione Marazzo nel territorio di Castel S. Pietro, fu questa fatta appianare dalla Comunità per comodo de viandanti.
Li 13 d. due gesuiti messicani per nome uno D. Antonio Galindo e l’altro D. Pietro Svarez vollero fare la loro solenne professione di relligione gesuitica. Fu questa così eseguita , si cantò la messa in 3 da tre sacerdoti gesuiti messicani col canto, sigurato da nazionali cantori ed instrumenti del paese. Quando il celebrante fu prossimo alla consumazione dell’ostia, si rivoltò con questa in mano verso il popolo, fra il dito medio ed il dito annulare della mano con cui teneva la S. Ostia aveva la carta e formola del giuramento scritto nella mano destra. Fu questa letta in latino dalli due professanti concordemente a chiara voce, poscia letta ad udire de circostanti, fu dalli due candidati confirmata col tatto della mano destra. Ciò fatto il celebrante si rivoltò con l’ostia alla mensa e fece la consumazione, vi furono presenti col lume in mano acceso cento venti gesuiti.
Fu in questi giorni pubblicato alle stampe di Lellio Dalla Volpe in Bologna, il poema della concezione di Maria in versi liberi, opera del Dott. D. Ercole Antonio Graffi protonotario apostolico e di S.T. Dottore mio zio materno.
Li 10 dicembre, memori li gesuiti della loro portentosa Imagine di Maria SS.ma di Guadaluppe nel Messico, ne fecero in questa arcipretale solenne la festa.
Li 28 d. il pubblico Maestro di Scuola D. Alessio Camaggi fece per la prima volta una solenne accademia literaria co’ suoi scolari in N. di 14 ad onore del loro protetore S. Nicolò di Bari nella arcipretale di questo Castello; esso ne fece la elegante orazione, oltre la scolaresca recitarono altre persone del paese composizioni, alle quali si unirono ancora molti gesuiti e così, con molto di onore al Santo e di decoro al paese, si terminò ancora l’anno 1768 di nostra salute.

(1769) L’anno poi che seguì 1769 entrò Podestà il Conte Enrico Ercolani e consolo Flaminio Fabbri, estratti l’anno scorso secondo la consuetudine alle giornate statuite.
Nella prima notte di genaro, venendo al secondo giorno su le ore otto si sentì notabilmente il teremoto.
Li 16 d. partirono da questo loco ventidue gesuiti messicani per Forlimpopoli, ove si fecero ordinare al sacerdozio da Mons. Antonio Maria Colombani, vescovo di Bertinoro delegato dal Papa.
Nell’appianare la via consolare, come si disse, contro la possidenza d. Marazzo, essendosi da me scoperta in una colonna di pietra serena ivi sepolta la seguente inscrizione,
M. AEMIL
LEPID
C .
Il di 18 di questo mese, essendo nevicato, fu trasportata a Bologna nella specola ed unita alli altri monumenti di antichità nell’atrio della sala della Accademia Clementina, ove la notte si esercita la gioventù nel dissegno del nudo.
Una simil colonna, o sia termine miliare, piantato ai tempi di Augusto si vede troncata e poggiata alla sponda del fosso aderente la via consolare alla sinistra, andando da quivi a Bologna, presso li due Portoni di la dal novo ponte sopra la nova Varena inalveata.
Il Senato di Bologna li 26 cadente genaro ardinò alli contadini del Comune di Castel S. Pietro per comando che andassero con 70 carra e suoi bovi a condurre formento da questo loco alla città per conto della Annona, comprato dalli negozianti Barbieri di Castel Bolognese, detti li Bochini, di 12 mila corbe di grano.
Li contadini ricorsero alla comunità per la lunghezza del viaggio, affinchè si interponesse presso il Legato novo di avere tale condotta fino a meza strada fra Bologna e Castel S. Pietro. La Comunità ascoltò li suoi contadini, scrisse al Legato ed ottenne la grazia.
Fu contemporaneamente affissato un bando papale che imponeva il pagamento del Dazio alla Macina, ma il pubblico di Bologna non volendolo accettare, passò in silenzio il comando, né altro si fece. Questo fu l’ultimo bando pontificio che Clemente XIII intimò a Bologna, poiché li 2 febraro, in giorno di giovedì, dopo aver retto la chiesa pochi anni, alle cinque di notte finì li suoi giorni inaspettatamente, mentre il giorno stesso della Ceriola aveva assistito al ricevere le solite tocie dalla Relligioni e Basiliche di Roma.
La sera stessa non aveva dato alcun segno di malattia ed indisposizione, ma postosi in letto dal suo solito affanno sorpreso al petto, mentre era asmatico, in poco tempo mancò, senza che vi potessero giovare due sollecite consecutive sanguigne.
Li 4 d. fu portato dal Quirinale colla solita lugubre pompa a S. Pietro e, posto dentro la capella Paolina, si lasciò vedere per breve alla popolazione romana.
Nel mese scorso di genaro ebbe solenne ambasciata dalli ambasciatori di Francia, Spagna e Portogallo per che suprimesse la Relligione dei Gesuiti, lasciandoli pochi giorni da parlarvi sopra, colla minaccia in caso di rinuenza di vedersi coprire tutti li suoi stati di truppe straniere, onde se ne accorò, talmente le fu sensibile l’ambasciata.
Li 18 febbraro otto gesuiti in giorno di mercordì celebrarono la loro prima messa in questa arcipretale di Castel S. Pietro, li quali abitavano nel Borgo in casa di Carl’Antonio Giorgi.
La Compagnia del Rosario con sedici bastonieri, mastro de novizzi a suono di tamburo, li andarono cappati a prendere e, tolti nel mezo, furono condotti alla d. Chiesa. Quivi apparati tutti in un punto coll’abito sacerdotale in pianeta, sortirono dalla sagrestia ed entrati per la porta maggiore colli calici e chierici che li precedevano nella chiesa, attorniati dalli pred. confratelli capati, si distribuirono alli altari della med. col rispettivo padrino assistente e due delli confratelli per ciascuno. Cominciarono le loro messe a suono di violini ed organo. La funzione rescì bella e vi fu gran consenso.
Li 19 d. altri otto gesuiti, che abitavano nell’ospizio della loro relligione presso la piazza del Castello, celebrarono pure il Santo Sacrificio nella chiesa di S. Francesco de MM. OO. Il guardiano, che era il P. Giacomo di Veggio, con quattro suoi sacerdoti e sedici bastonieri o siano scalchi, ad imitazione della funzione sud. parochiale, colla cappa o sia sacco della loro Compagnia di S. Antonio da Padova, andarono a prenderli.
Li accompagnarono alla chiesa, ove preparati escirono processionalmente in pianeta li novi celebranti per la porta del convento ed entrati per la porta maggiore nella chiesa ciascuno di essi andò alli respettivi altari, secondo la loro anzianità, celebrarono le loro messe bassamente alli altari bassi.
Il celebrante destinato all’altare maggiore, apparato colli diacono e sudiacono andarono all’altare maggiore, il sacerdote ottavo entrò nella sagrestia presso il coro ove è l’altare atto a celebrarvi. Quindi il supremo sacerdote dell’altar maggiore cominciando l’Introito, tutti li altri cominciarono il proprio respettivamente in uno stesso punto e momento, la messa in terzo fu cantata con instrumenti e musica colli riti di S. Chiesa; e così fecero li altri celebranti, toltone però l’alzare la voce, che solo l’alzarono quelli dell’altar maggiore, lo che fu cosa degna di amirazione e santo spettacolo.
Terminata tutta la S. Messa li stessi celebranti, tutti vestiti in cotta e stola si presentarono alla ballaustrata dell’altar maggiore e sedendo diedero le S. Mani da bacciare al popolo, che ivi in affluenza grande era concorso. La tenerezza e la divozione fu tale e tanta che tutti lacrimavano di consolazione.
La sera stessa poi si diede la S. Benedizione coll’ augustiss. SS.to da uno di d. celebranti, preceduto prima il Tantum Ergo in musica e dappoi l’Inno ambrosiano in ringraziamento.
Li frati francescani ebbero per il loro incomodo una particolare elemosina in cera per la Chiesa, oltre l’avere pagate tutte le altre spese, con una altra gratificazione al convento. La mattina stessa di questa funzione si vide affissa alla porta della chiesa l’epigrama che segue in due fogli, uno per ogni lato della stessa porta e fu gradito d’assai dalli stessi gesuiti messicani li capi de quali ringraziarono in forma il poeta.
Societatis Jesu
Nonnulli R.R.P.P.ex messicana provincia
in Castro S. Petri
agi bononiensis depentibus
prima Deo sacra offerentibus
XI kal. Marti 1769
Epigramma
Victima secta sacris veniat deducta Ministris
fumentem pingui sanguine tingat humum
Plena mori festas fundantur pocula ad avos
Thara faboa crepent, nec vacat igne focus
Ter pueri plaudent circum, innupteque puelle
Spargant purpureis lillia mixta rosis
Fallor ego: veteris cassarunt tempora legis
Presentumque giant nonc nova sacra Deum
Victima adest: primum ut sonuit divina sacerdos
Abdit se psrvo panis in Orbe Deus
Discite nonc gentes nivea sub imagine Amoris
Vera Dei soboles pignora quanta dedit
Discite nunc Numen poperi que comoda . Vosque
bandita jam patres ab bona tanta sinus
et geminet latu hinc, atque hinc pia horba bealam
Numen, et insolito murmure sempla sonant
Id C. cecinit
Li 12 marzo in giorno di sabato alle ore 17 l’Imperatore romano Giuseppe secondo su le ore 17 venendo di Bologna passò incognito alla volta di Roma sotto il nome di Principe d’Amburg, seguito da quattro cocchi e quattro cavalli per ciascuno ed il suo legno al tiro di sei cavalli colli corieri a fianco e stafette precedenti.
Li custodi del legno bene montati portavano evaginate le scialbe. Quando fu al nostro Borgo gettò denaro alla povertà, poi arrivato sul ponte del Silaro si fermo, sortì di legno, amirò e si compiaque molto della veduta del Castello e dell’orizonte del medesimo famigliarizandosi con alcuni del paese che erano ivi per ossequiarlo, fra quali il Consolo della Comunità, il Cap. Lorenzo Graffi ed altri, poi riasceso il legno partì.
Li 17 d. giorno di venerdì dedicato alla passione e morte di X.to Sig. nostro, l’arciprete Bertuzzi di Castel S. Pietro benedì la chiesa o sia oratorio della Madonna del Cozzo essendosi terminata la fabbrica. Esso dappoi vi celebrò la S. Messa in questo giorno che fu il venerdì di Passione.
Rassettandosi la via romana dalla parte di ponente fino al nostro Borgo, fu interamente demolita la celletta che esisteva nella sponda della med. strada alla destra contro il crociale della strada che dicesi comunemente della Crocetta, da cui ne conservano tuttora la denominazione li terreni e possessione vicina denominata la Crocetta. Era questa una celletta in cui comodamente vi poteva stare un altarino, entro per la ferata si introducevano persone cattive di molto tempo, servì molte volte di asilo a donne di malavita. Era dedicata a Maria SS.ma. Eravi dipinta in essa la B. V., S. Giuseppe e S.S. Stefano e Bartolomeo nel muro a fresco dal penello di Domenico Dalfoco, nostro compatriotta sul gusto del Bagnacavallo e facilmente doveva essere una copia, la faciata guardava il meridio. Li Conti Cesare e Massimiliano Gini pretendevano avervi ragione soprà, ma la Comunità nulla attendendo le sue premure, totalmente la spianò e portossi via li materiali, per che li Gini non ebbero prove concludenti, ma solo la poca distanza da suoi beni dalla parte di borea.
Essendo poi stato deputato a fare li conti alla Comunità il Conte Filippo Gregorio Casali Senatore ed ad altri affari della Comunità, il dott. Pier Paolo Pagani giusdicante di questo paese fece istanza al Corpo comunicativo per avere nella pubblica ressidenza consolare la reintegrazione del suo quartiere ed officio. La Comunità ne fece tosto la proposta all’Assonteria di Governo che la prese in considerazione nel mese di aprile.
In questo stesso mese essendo stato preventivamente intimato il Capitolo Provinciale delli Agostiniani, si cominciarono nella chiesa e convento di S. Bartolomeo le sessioni il di 14 aprile in venerdì e furono terminate il di 16 in giorno di domenica colla elezione del Provinciale nella persona di P. M.ro Regente Florido Panetoni riminese, zio materno della sign. Barbara Cerè moglie del nostro concitadino Giovanni Calanchi di Castel S. Pietro. Tutti a tre questi giorni preventivi vi fu messa solenne nella chiesa di S. Bartolomeo in musica, la sera la Benedizione del SS.mo. Il primo giorno si intonò il Veni Creator, il secondo giorno, cioè il sabato, si celebrarono in chiesa, con una orazione academica fatta e recitata dal P. Lettore Amoratti, le lodi delli relligiosi chiari che aveva dato questo paese alla Relligione agostiniana, fra quali comendò il P. M.ro Cherubino Ghirardazzi, autore della Storia di Bologna frate del convento di quella città, sebbene originario del nostro Castello della famiglia Ghirardacci e filio del Not. Ser Andrea Ghirardaci; poi comendò il P. Regente Nicola, moderno di questo paese, in fine lodò il P. M.ro Ignazio Andriaz, che servì lungamente doppo il magistrato de novizzi in Bologna da giudice di quel convento, finchè visse ed ordinò l’archivio di quello che era il suo deplorabile stato, con amirazione de suoi superiori, massime del P. Torelli autore delli annali agostiniani, al quale comunicò infiniti (dati) e documenti attinenti alli monasteri della provincia.
Il sabato fu fatta altra orazione academica dal P. Letore Agostino Fornasari, figlio di questo convento e degente nel med., in lode de relligiosi recenti e così terminossi poi la domenica seguente il tutto.
Nel qual giorno il P. Lettore Agostino Mariani fece un elegantissimo panegirico ad onore di S. Nicola da Tolentino, nel quale inserendovi la protezione dell’anime purganti, encomiò ancora la nostra Compagnia del Sufragio, eretta in questa chiesa di S. Bartolomeo, sotto la protezione di S. Nicola.
Fu onorata questa funzione ancora da Mons. Sante Corduggi V. G. del vescovato di Bologna, il quale essendosi qui portato a posta colli curiali Dot. Nicola Minelli e Dott. Filippo Tacconi, eletti dalli confratelli della Compagnia di S. Cattarina, che trovavasi divisa in due partiti sopra il riattamento ed abbellimento della loro chiesa.
Fu il d. prelato trattato da questi agostiniani a proporzione del merito. Il doppo pranzo poscia il med Mons. in esecuzione delle sue incombenze colli legali sud., Minelli intreveniente per la parte di Rocco Andrini capo di un partito, ed il Dott. Tacconi per la parte di Pietro Gattia, capo dell’altro partito e con essi loro Il Not. attuario vescovile Gaspare Sachetti.
Entrarono tutti nella chiesa ed oratorio di S. Cattarina dove stava radunato tutto il corporale della compagnia. Quivi proposto qual dissegno doveva eseguirsi, se quello dello scultore Gianbattista Canepa prodotto dal Gattia, oppure l’altro dell’architetto Tadolini, ne seguì indi un rumor tale che poco mancava che non si venisse alle mani, presente il superiore.
La conclusione si fu che si facesse la fabbrica ed abbellimento su quel dissegno che era meno gravoso e perché non si avesse a temere di qualche mangeria sopra questa chiesa, fu deputato economo Ottavio Dall’Oppio confratello, né si decise punto se il primo o il secondo dissegno dovesse eseguirsi e quale fosse di minor spesa.
Li contrabandieri di Casalfiumanese, che per anco non si erano dimenticati della baruffa avuta colli sbirri e squadra del Vajna, avendo intelligenza con alquanti di Castel S. Pietro che trafficavano in farina e grano, si prevalsero della reciproca amicizia e corrispondenza per levarsi di sotto l’ochio il tenente Vajna con una imboscata.
Quindi il primo giorno di maggio su le 4 e mezo di notte, avendoli fatta la posta nel tempo che era nell’osteria della Corona nel Borgo, le furono sparate due archibugiate per uno spiraglio della porta d’avvanti nel tempo che il med. tenente andavasi a letto, essendo accompagnato con uno sbirro, questi venne colpito ed il Vajna restò mortalmente ferito in faccia nella mandibola e nella spalla destra. Caddero entrambi li feriti nella loggia della osteria, si cominciò dare all’arme ma niun paesano vi accorse né si potette scoprire l’autore di questo fatto sul punto.
Gli altri sbirri fugirono alla città ed il di seguente ne vennero altre due squadre che formarono un corpo di 20 uomini che vivendo sospettosi della loro vita, caminavano solo il giorno ad archibugio sempre montato e calato.
Nello stesso stesso giorno delli 2 maggio, in cui vennero li birri, passò un pichetto di 50 soldati di Macerata, che accompagnarono, al comando di Carlo Giovanardi di Bologna, due birozze ed una sedia coperta con due casse, entro le quali eranvi centomilla pezzi messicani d’argento più i bauli con cento milla scudi e più 50 milla scudi in oro provenienti dalla Spagna per la sussistenza e pensioni dei gesuiti deportati nello stato di Bologna.
Li 9 maggio, prima della Ascensione nel Borgo di questo Castello, Maria Teresa di Giuseppe di Giovanni qd. Giangiacomo Bolis, o sia Bolia, di questo luogo, in casa propria esendo da due anni inferma e alocata nel letto per cagione di una mamella che, per lo spasimo, le produceva di quando in quando convulsioni.
Doppo 50 giorni scorsi, nel presente giorno perdette la sensazione al braccio destro, se le era chiuso l’ochio destro con timore di essere affatto perduto non potendosi aprire né vedervi il male onde curarlo.
Fu ridotta al segno, la med. Teresa di anni 20 circa, di abbandonarsi totalmente da professori alli sacerdoti avendo già avuti li sacramenti di penitenza ed eucarestia, onde la med. sentendo passare sotto la propria finestra la processione colla S. Imagine di Maria di Poggio esclamò: Regina del cielo che vi ho fatto mai che sono due anni che vi chiamo per mia adjutrice e non ho la consolazione di potervi mirare essendo inchiodata in questo letto e non vi ho potuta più rimirare.
Ho perduto un occhio e nemeno con questo che mi resta non potrò io più vedervi; Vergine almeno liberate me e la mia familia dal mio incomodo ed in grazia del vostro divin filio fate che chiuda ancor quest’altro. Poscia cosi piangendo se le mosse una alta convulsione che la sopì interamente per mezza ora.
Svegliatasi poscia aprì li ochii entrambi e vedendosi scemare la enfagione che la copriva, gridò con voce chiara: Grazia, grazia, attoniti li circostanti e tutta la famiglia videro la verità.
Il giorno seguente, che fu della Ascensione 4 maggio, la med. Teresa voleva andare in chiesa entro il Castello a rendere testimonio al popolo di si segnalata grazia e ringraziare la B. V., ma li suoi genitori e familiari ciò si contesero, né vollero che neppure si alzasse dal letto. Il doppo pranzo poi della Ascensione partendo la S. Imagine dal Castello per andare al suo soggiorno a Poggio, nel ripassare che fece avvanti la casa di d. Teresa, questa essendosi preventivamente disposta, corse da se sola alla finestra sana senza alcun appoggio a ringraziare la B. V. ed a mostrare alla infinità di popolo, che era accorso alla S. Benedizione, quanto sia Maria prodigiosa in verso chi la tiene per Avvocata.
Radunati li Cardinali nel Conclave per la elezione del nuovo Pontefice, il Re di Spagna fece scegliere alli Cardinali conclavisti mediante foglio, che prima della elezione del Papa voleva dai capi d’ordine la soscrizione delli seguenti Capitoli:
1°, che si approvasse l’abolizione della Relligione de Gesuiti, 2°, che per l’avvenire Parma non si riconosca più per feudo di S. Chiesa e si rinunci ad ogni diritto sopra la med. 3° che si richiami il Monitorio fulminato contro la med. 4° che siano esclusi dal pontificato tutti quei Cardinali che concorsero per la estradazione del Monitorio, altrimenti non sottoscrivendosi queste Capitolazioni, il Papa che sarà eletto non sarà dalla Corona di Spagna riconosciuto.
In vista di tale addomanda come lesiva le autorità eclesiastiche ricusarono molti cardinali firmare ed acettare tale pretesa della Spagna.
La Compagnia del SS.mo, che veste il sacco bianco con mozzetta turchina, cominciò in questo giorno a portare il colare bianco diviso al collo e sopra la mozzetta, da non più usata dalle compagnie e fu la prima domenica di maggio, giorno settimo.
Li 19 del med. mese, primo venerdì doppo le pentecoste alle 2 di notte, fu eletto in pontefice Lorenzo Cardinale Garganelli filio di un medico condotto in S. Arcangelo di Rimini dell’ordine de Conventuali, nato in d. luogo li 20 genuaro 1705, fatto poi cardinale da Clemente XIII li 24 settembre 1759. Assunse il nome di Clemente XIV. La elezione seguì nel Conclave adunato in N. di 42 Cardinali preti, egli solo frate.
Se ne diedero in appresso li soliti segni nei Stati della Chiesa li 4 giugno, prima domenica del mese, giorno destinato alla processione di S. Antonio Abbate per la sua traslazione in questo Castello colla nova statua di stucco, opera di Filippo Scandellari.
Doppo essersi terminata la funzione nella parocchiale, li Cappuccini del paese fecero cantare in questa loro chiesa un solenne Tedeum in musica figurata con instrumenti da fiato e corda in ringraziamento dell’Altissimo per la esaltazione al soglio pontificio del Card. Garganelli per essere dell’ordine francescano. Al termine della qual funzione e benedizione coll’Augustissimo SS.to, seguirono copioso sparo di motaletti e la sera si fecero fochi di gioja.
Il giorno 7 ed 8 del med. mese il Marchese e Senatore Filipo Pregadio Casali, unitamente al segretario Marchioni ed architetto pubblico, vennero a Castel S. Pietro a visitare la ressidenza della Comunità per acomodarvi la abitazione del Podestà, la scuola pubblica.
Li 9 giugno la Comunità determinò riddurre ad esecuzione il progetto del Cap. Graffi pel teatro pubblico comunitativo, cioè di distribuire la ringhiera in tanti palchi da assegnarsi alli consilieri pro tempore secondo la loro anzianità ogni anno.
Fu tosto ciò eseguito e fu la spesa di scudi settanta fatta dal capitano, da alcuni comunisti, che rinonciarono al loro onorario di Consolo allorchè sortivano dalla Borsa delli Consoli.
Fu ancora ristorato il med. Teatro e dipinti due teloni, non essendovi che un semplice tendone e l’autore fu Francesco Parmegianini, bolognese, avvanti il parapetto del palco di mezzo, destinato al Consolo pro tempore, vi fu fatta la seguente descrizione in verso elegiaco:
Alludesi alli origini del Castello, fabricato nelle guerre civili e coerentemente alla inscrizione della fondazione.
Hic ubi dum Veterum civilia bella calebant
omnia solliciti preda latronis erant
hic sibi jacerunt nostri Pugnacula Patris
hostis inofensi ne foret usque locus
Pax modo cum placidas nobis fuger extulit alas
hic dederunt dodecem laeta Theatra Viri
Anno Cas. condita DXLVIII
et D.ni nostri MDCCXLVIII
Kalendis Octobris
Lo stesso giugno li frati MM. OO. di S. Francesco di questo loco, fecero ancor essi il ringraziamento al Signore per il novo pontefice nel modo che fecero li Cappuccini.
Lo stesso giorno del 9 giugno, adunato il Consilio d’ordine di Flaminio Fabbri Consolo ed adunato colli consilieri Domenico Gordini, Francesco Dall’Oppio, Cap. Lorenzo Graffi, Ser Giovanni Beruzzi, Lorenzo Santi e me Ercole Cavazza, si presentò al Consilio il segretario Giuseppe Marchini del Senato di Bologna, presentò egli lettera credenziale del Governo per dovere ricevere il Senatore Casali deputato agli affari di questa Comunità nella sessione comunitativa. Letta la lettera tutti li d. consilieri unitamente si portarono a ricevere il senatore alloggiato in casa del Dott. Anibale Bartolucci in facia alla piazza del Castello.
Poscia fu introdotto nella stanza del Consilio, fece in nome del Governo le seguenti ordinazioni, cioè che li Capitoli della Comunità essendo in due parti, siano questi presentati al giudice Castelli per rifformarli, onde poscia coretti e riformati, previa acettazione della Comunità siano stampati. Che riguardo ad accomodare la abitazione del Podestà ed ampliare la scuola pubblica, si è riconosciuto ascendere la spesa a ottanta zechini; che rispetto all’esposto fatto altre volte al governo per riattare il campanile pubblico l’architetto Dotti ha riferito essere la spesa circa di otto doppie.
Dal Consilio poi si fecero altre istanze che non essere in appresso il suo effetto, come a suo tempo dirassi. Ciò fatto e decretato con altre cose di lieve momento, si congedò dal Consilio e fu accompagnato al suo albergo da tutti li rapresentanti. Il med. poi il doppo pranzo si portò alla visita della strada de Medazoli, che per le aque cacciatevi dai gesuiti era inpraticabile, fu concordato ivi la (costruzione) di un pozzo di scolo col Dott. Bartoluzzi, padrone della possessione Medazzoli affine di collocarvi la detta strada adavante alla già ruinata dai gesuiti ed in appresso fu accomodata al passaggio di tutti.
Li 24 giugno poi fu estratto Consolo per il seguente secondo semestre Lorenzo Sarti. in questo Consilio furono deputati alla formazione de Capitoli Flaminio Fabri e Graffi sudd.
Perché in ogni luogo ove regna l’avarizia e la invidia vi sono ancora nemici della med., che cercano smascherarla, così essendosi scoperto un oculto, ma fino maneggio, in un capo di questi ministri Gesuiti, che per mangiare ed ingegnarsi sopra le pensioni de suoi coleghi, ritrovò la maniera di farle frentare nella cibaria.
Così fu certo Padre Dionigi Perez messicano della città di Sacateca il quale, per angustiare li suoi frati e ridurli all’abbandono del paese e confinarli in un luogo segreto dalla società secolare e civica, ritrovò il modo di diminuirle la sussistenza, inperciochè le fece diminuire la pietanza che la ridusse a meza libra di carne per ciascuno, quattro tochi di pane al giorno e tre bichieri di vino e non più, sebene la carne si pagava tre bajochi la libra, onde con sei bajochi il giorno voleva che vivessero, profittandosi esso del di più che le soministravano.
Venuto ciò a notizia di alquanti paesani e delli altri gesuiti che erano a dozena, li quali con cinque scudi al mese erano trattati al doppio, fecero una suplica alla Comunità acciò la med. la accompagnasse al Vicelegato Boncompagni per la rimanenza di questi povereti angustiati dal loro ministro, che voleva far credere non potersi vivere se non miseramente, adducendo che tutto era a carissimo prezzo.
Li paesani nella suplica fecero constare due vantaggi, l’uno alla popolazione che, girandosi nel paese più di scudi 700 il mese, era tutto danaro che lucrava il paesano, l’altro vantaggio era che li frati, levatole un tal sordido ministro, molti si offrirono di averli nelle proprie case a farle maggior dozena.
Il frate ministro ciò penetrato andò di volo a Bologna dal senatore Conte Filippo Ercolani e stabilì con esso l’affitto della di lui villeggiatura, fori di S. Stefano in loco d. Azzolino. Infrattanto la Comunità, intesa la verità del fatto, diede li passi opportuni al Vicelegato, ma furono troppo ferotini, così che non potette fermare li frati in paese, onde li 27 lulio il sud. ministro con 26 studenti che abitavano nel Borgo nelle case Dalfiume e Facenda partirono et andarono alla villa sud.. Di 160 messicani che erano quivi ne rimasero solo in N. di 134 oltre il ministro.
Li 22 agosto cominciossi a vedere una stella cometa verso l’orsa maggiore, avea una coda o sia raggio lungo più di una pertica, al nostro aspetto, che riguardava il meridio; nasceva tra le 4 e le 5 di notte dalla parte di levante e poi svaniva fra le 8 e le 9 tutta palida.
La Comunità in questo tempo fece fare le piante a piano tereno del Castello e Borgo al perito Vitorio Conti che le incominciò il di secondo di settembre.
Essendosi santificato il B. Serafino di Montegranaro ed il B. Bernardo da Corleone capucini, questi relligiosi di Castel S. Pietro pubblicarono con avviso per un triduo festivo li 11 corente settembre. In tale occasione venne in pensiero anco alla Comunità per chiamare gente al paese di condurre una compagnia di comici nel Teatro. Tosto seguì e si fece una tragicommedia in musica titolata : Le vicende del caso e durò 13 giorni coll’avere mandati li cedoloni stampati alle vicine Castella e Città. fu per ciò di bon gusto ed in tale contingenza si accomodò tutto il teatro.
Il giorno nono poi del corrente settembre al triduo de Capuccini si incominciò così la funzione. Su le ore 10 in sabbato, si levò dalla parocchiale il pallione o sia quadro (rappresentante) S. Serafino opera del Pavia defunto, che esorciza un ossesso. Precedente alla processione la Compagnia di S. Cattarina, come quella che era stata prima autrice a prestare in ospizio la sua chiesa allorchè nel 1608 fondavansi quivi li capuccini come si è detto alla sua epoca, prosseguirono le tre religioni di regolari, secondo la anzianità loro, cioè li capuccini, francescani e clero secolare, poi si fece la processione per il Castello e Borgo ed indi fu portato il pallione alla chiesa de Capucini apparata sontuosamente dal valente Antonio Cevolani, apparatore bolognese, ad arbusti e fiori ad uso di una brillante galleria.
La soffitta della chiesa era tutta coperta, di dipinto in centro, che rapresentava le gesta del santo e del beato. In mezzo della chiesa nel fornice vi si vedeva dipinta la storia delli med. con li trofei di penitenza delle loro virtudi, esposti al vivo dall’egregio penello di Nicola Bertuzzi bolognese, li ornati del chiaro Francesco Orlandi, le pareti coperte di damaschi cremisi con festoni a cascate di velo in modo bizarro.
Entrata in chiesa la solenne Congregazione, fu cantata in musica da valenti professori l’inno Iste confessor. Dipoi data la benedizione colla reliquia di S. Serafino, si cantò il solenne Te deum musicalmente, il quale terminato vi seguì uno sparo di 600 mortaletti. La mattina seguente poi, che fu la domenica 10 corrente settembre, fu consegnata la chiesa e la porta del convento alla Guardia Nazionale del paese regolata dal cap. Lorenzo Graffi, Alfiere Giovan Francesco Andrini e Nicola Bernardi primo sergente.
Il teatro fu medesimamente guardato da med. militari e così la casa dei Conti Stella ove soggiornava il Vicelegato Boncompagni. Nella chiesa vi era lo steccato per la nobiltà, che concorse copiosamente. La messa solenne su musica del celebre abbate Lanci bolognese, cantarono quivi li primi professori della provincia ed anco forestieri cioè il famoso Potenza soprano e Manferdini, Cicognani contralto e Bonifaci tenore, eranvi due orchestre doppie guarnite d’ogni instrumento musicale. Il doppo pranzo vi furono solenni vespri e benedizioni coll’augustissimo SS.mo.
Il lunedì seguente 11 d. si vantò solenne messa battuta dal famoso M.ro Angelo Sandrelli bolognese. La sera, doppo il solenne vespro e benedizione del SS.mo, vi fu una accademia literaria di 20 recitanti scielti alle lodi di entrambi li glorificati servi di Dio. Fu oratore il P. Lettore Agostino Fornaciari di Bologna, conte Giuseppe Malvasia, colli senatori Bartolomeo Bolognini, Vitale de Buoi, senat. Guastavillani, conte Giuseppe Stella oltre moltissimi altri nobili di Bologna e della vicina Romagna.
Martedì poi ultimo giorno, la matina fu esposto all’altare maggiore de capuccini il quadro del B. Bernardo opera del valente Bianconi, ma poco decente a motivo della rappresentazione di un miracolo fatto ad una partoriente nell’atto del puerperio, cosiche poi il quadro fu sospeso alla veduta e culto del popolo. La messa fu battuta in musica dal maestro di capella Mazzoni, attuale maestro della cattedrale di S. Pietro di Bologna, fu acompagnata dalli acenati professori. La sera vi fu la benedizione del SS.mo doppo il vespro solenne. In questi tre giorni ogni mattina vi furono dispense di stampa. La prima fu delle Imagini delli santi, la seconda del ristretto della loro vita e l’ultima finalmente di ovazioni e giaculatorie ai med.
La prima giornata celebrò la messa l’arciprete Bertuzzi, la seconda il Priore dell Agostiniani P. Giuseppe Dalla Valle e l’ultima dal guardiano di questi francescani MM. OO. P. Giacomo da Veggio. Ogni sera del triduo vi furono fochi artificiali e machine, l’ultima sera vi fu un bellissimo oratorio. Questa ultima machina artificiale fu collocata sopra il terapieno del Castello in faccia la piazza de cappuccini.
Il dipinto rapresentava due grandi baloardi che battevano una fortezza in mezzo, li fochi erano tutti a quella diretti colle batterie che di quando in quando vi si scaricavano contro ora ad un loco, ora all’altro per la breccia, finalmente alzatosi un impetuoso vento scompigliò il tutto nel più bello e fu grazia del cielo il riparare all’incendio della machina che minacciava il vicino abitato.
Avuto l’ordine di Bologna intorno alla fabbrica delle residenze pubbliche, si cominciò il 4 ottobre a travagliare per la Podesteria e nova scola.
Li 17 novembre si cominciò a rinovare il Campione delle Possidenze, stante la instanza fatta dalla Comunità per li tanti erori che vi erano.
Li 28 d. il novo Legato di Bologna Card. Braciforte passò dalla Romagna a questo Castello, ove si riposò per poche ore in casa Malvezzi, che è la mia presentemente.
Li 30 del med. mese Giovan Francesco Alfiere Andrini sopranominato, sentendo che si assoldavano dal nostro bragadiere Sante Monti soldati e persone all’effetto di ben guarnire la Corsica sottomessa al Re di Francia, per ufficiale nel quartier mastro del reale regimento italiano comandato dal detto generale Monti.
Erano tali le dissolutezze nella infima plebe di Castel S. Pietro che, avute varie instanze, li 15 dicembre mandò a fare le missioni in questo loco il Dott. D. Bartolomeo Dal Monte di Bologna. Accadde che, il med. missionario venendo dalla villa di S. Biagio di Poggio con comitiva di popolo, l’arciprete imprudentemente fece dare li segni di sua venuta al popolo colla campana. Il P. Floredo Panettoni provinciale agostiniano, essendo quivi predicatore dell’Avvento nella parochiale, sentendo questa novità, fece intendere all’arciprete ed al missionario che, prima si incominciassero le missioni, voleva esso terminare il suo ministero, (accedendo) a questa giusta pretensione il missionario Dal Monte se ne ritornò a Poggio dal curato D. Alessandro Dal Bello e vi stette fino al giorno 27 cadente dicembre, in poi ritornando a Castel S. Pietro fu ricevuto con somma allegrezza dal popolo per la seconda volta avendo già fatto qui un’altra missione nel 1757 in giugno.
Fu estratto consolo in questo giorno Domenico Gordini, che cominciò il suo governo il di primo genaro 1770.

(1770) Cosi fece il Dott. Paolo Ragani nominato e sostituto del Marchese Carlo Pepoli podestà estratto per l’anno presente.
Partita la Contessa Ghini di Cesena da questo loco e rinonciata la fabbrica alli frati di S. Francesco, questi unironla al dormitorio loro col dissegno ed esecuzione di Vincenzo Parozza di questo Castello capo mastro muratore.
La Missione del Dott. D. Bartolomeo qd. Orazio Dal Monte durò fino alli 12 genaro, giorno di domenica nella quale cessò le sue apostoliche e zelanti predicazioni. Predicò con molto calore contro il furto per cui ne seguirono restituzioni per più di mille lire, parte fatte a Bologna, parte fatte in Castello e parte altrove, senza le tante altre restituzioni fatte in mano delli di lui coadiutori confessori e di confesori locali del paese.
Nel corso di queste missioni, attesi li scandali, li sconcerti ed inconvenienti che accadevano nella Compagnia di S. Cattarina nella chiesa ed oratorio fra confratelli, furono promosse al med. missionario instanze acciò le rappresentasse al Card. Malvezzi. D. Luca Gardini, tabulario della parochia, D. Alessandro Dal Gallo, paroco di S. Biagio di Poggio, D. Francesco Trochi ed arciprete Bertuzzi, e due nostri secolari ne fecero la mozione.
Nel medesimo tempo è da sapere che, il giorno 16, 17, 18 corente genaro, si vide in cielo dalla parte di borea un fenomeno che cominciava alle due di notte e terminava alle 4 che illuminava il mondo, aveva quattro colonne, due per ogni parte, tendenti più al lume bianco che al rosso, color del fenomeno che da alcuni fu dichiarato per aurora boreale, la quale parve ardesse il mondo, ed internandosi poi la colonna a poco a poco nel seno del fenomeno inverso l’oriente si dileguavano.
Sucesse a questo la stessa cometa che si vide l’anno scorso , ma di un colore più acceso del passato e durò poco. per tale apparenza il missionario Dal Monte fece gran diologhi e predisse funestà al mondo fra non molto; fu di terrore a tutti molto più che prorompendo in un lagrimoso entusiasmo, espresse che alla fine di questo secolo si dovevano sentire e veder castighi di Dio, massime nel grembo di S. Chiesa.
Partì il giorno 23 di Castel S. Pietro accompagnato da Lorenzo Sarti proconsolo nella di cui casa abitava presso la facciata di S. Francesco, in vece di Domenico Gordini, di lui zio materno per essere infermo. Lo accompagnarono ancora li altri capi del Consilio cioè Giuseppe Vachi, Lorenzo Graffi e Flaminio Fabbri. Aveva seco il med. missionario per compagni li Dott. D. Natale Dalgini, D. Luca Bartolotti, bolognesi e Dott. Grassi, valentissimi preti.
Li 14 febraro in giorno di domenica, la notte venendo alli 5 del lunedì in casa di Bartolomeo qd. Antonio Giorgi morì un esemplarissimo sacerdote spagnolo gesuita messicano per nome D. Giuseppe Mirandola, il suo malore fu asma. Questi due mesi sono predisse la sua morte ad Aurelia Fabi di questo Castello, donna dotata di cristiana virtù, colla quale venuto a discorso delle di lui vicende e delle costumanze del Messico nella di lui relligione quando mancava un loro sacerdote.
Le rispose il P. Mirandola: figlia mia si sono fatte belle funzioni e voi poveretta non le avete vedute. Prega forte la mia prega Dio per me, che in me ne vedrà la funzione per non molto in questo loco coll’abito che io ora porto di S. Ignazio e non con quello di militare, che del 1743 io portavo in questo paese nella truppa spagnola col padre mio, che era capitano.Se ne vide l’effetto in vero, riscontrossi da vechi del paese che veramente egli fu militare e albergava nella locanda del Portone, nel quartiere del Generale Conte di Montemar ,(..) professo lajco. Morto adunque da lì si seguì a tutte le chiese del paese. La Compagnia di S. Cattarina in bon numero capata prevenne la sepoltura colli sette penitenziali salmi poi, unita a tutto il clero secolare, venne a ricevere il cadavere alla casa del d. Giorgi, vi erano preparato 80 lumi, trenta de quali erano distribuiti fra li cappati, li altri 50 erano tutti portati dalli gesuiti in lungo ordine e accolti avanti il clero.
Levato il cadavere da 4 gesuiti, tutti nobili, fra i quali eravi il conte Giacomo Aguir e il M. Giuseppe Castagnizzo, fu portato fino alla metà del viaggio. Arrivati all’ospizio delli gesuiti nostri di Bologna, sortirono alquanti R. P. di S. Ignazio dalla porta ed intonato il deprofundis fu lasciato novamente alla compagnia delli spagnoli e portato indi alla parochia dove la matina le fu cantato l’oste di requie e messa di morte assistita da tutti li spagnoli con torcia sempre accesa, fu sepolto nell’arca de sacerdoti, sebbene non era tale.
Fu deputato pressidente alli affari di questa Comunità il senatore Conte Giuseppe Malvasia. Li 30 febrajo in occasione di accomodarsi la casa pubblica del Consilio, fu distrutta la carcere corrispondente sotto il portico e vi si fa ivi l’officio dell’esattore camerale ed era tolto l’ultimo ochio del portico. In questo tempo si scoperse
l’epidemico nelli cani pumeri che le marciva le glandole jugulari in modo che ne morirono infiniti, né andò molto che si propagò in diverso modo nelli bovini.
Li 7 marzo morì Domenico Gordini essendo consolo della Comunità, alle ore 16.
Li 15 d., attese le critiche circostanze della chiesa per l’abbolizione dei gesuiti, abbandonata dalle Corone come si disse, il Papa ordinò un indulgenza amplissima e facoltà a tutti li confessori per 15 giorni di assolvere tutti li peccati, eccetuato il voto solenne di relligione e il pecato di scomunica in iusum fori, all’obbligo di tre giorni di digiuno.
In questo stesso giorno 15 marzo, il concitadino Giovanni Francesco Andrini ritornò di Corsica, dal servizio francese con titolo e patente di commissionario dei reggimenti di Francia di guarnizioni militari per la Corsica, come da diploma segnato li 19 scorso genaro da Bartellet consolo francese, riconosciuto dall’Ambasciatore Giuseppe Marchese di Barbantar nel di primo corrente marzo.
Li giorno 20 di questo mese Francesco Dalfiume figlio di Annibale con Lorenzo Giorgi, Domenico Aloisi e Matteo Lasi, carcerati sino all’anno scorso nel mese di maggio per sospetto delle archibugiate sparate contro il tenente Vajni e per l’omicidio accaduto nello sbirro all’osteria della Corona, sortirono di carcere coll’esilio dallo stato, doppo avere sofferto li primi due per un ora la tortura in esame.
Li 19 aprile per opera di Antonio Marzochi da Docia detto comunemente: Quello del cesto e l’Omo del Cesto, famosa spia, a motivo che usava raccogliere il consume nella strada con un cesto e poi esplorava e scopriva alla Curia tutte le mancanze altrui, tendeva aguati, dava lumi.
Procurato avendo di far carcerare Domenico Soglia detto: Furberia, uomo valentissimo nell’archibugio e bravo di sua vita nelle fazioni, corse pericolo di essere scannato dal med., imperciochè introdusse cinque sbirri nella abitazione dei figli del Furberia che abitavano in qualità di garcioncelli rustici in un fondo rurale delli Vachi, sopra la (….) detta: Cabianca.
Costoro carcerarono tutta la famiglia e stettero ivi tutta la notte. La mattina due ore avvanti giorno il Furberia, secondo il solito bussò alla porta, le fu aperta e da uno sgherro afferratosi il Furberia, questi coraggiosamente si (svincolò) con una rivolta e calata una pistola fece alto tanto che si scostò in modo dall’uscio di potere alzare al giusto tiro l’archibugio.
Li sbirri spararono archibugiate ma indarno, fattosi un poco di campo il Furberia, messa in sicura la vita ebbe spalle minaciare li sbirri e li tentava ad arrendersi sostenendo di essere incendiati vivi, durò il rumore fino a giorno chiaro. Il Furberia avrebbe incendiato la casa, ma tenuti in ostaggio li figli dai birri altro non seguì se non a patti di cacciare fori l’Omo del Cesto, fu ciò eseguito e se lo fece venire avanti fino alla chiesa di S. Maddalena e li altri birri fugirono in un drapello unito.
Stretto in modo di non rivoltarsi addietro, sotto pena di essere prima archibugiato, che avesse tentato di rivolgersi colla faccia. Così restò liberato il uomo bravo ed il vigliacco traditore spia ebbe tanti pugni e calci, che sofrì una malatia di più mesi e poi sloggiò da Castel S. Pietro, ove fu poco tempo la vita.
Nel di 23 d. si pubblicò il Bando di Epidemia nei bovini scoperta nel Trentino e che si avvanzava nel bolognese, era questa una piccola vessica che le sopraveniva sotto la lingua, infiammava la trachea ed espandendosi alle glandole jugulari, uccideva le bestie. Si riparò poi al male con precauzioni di espurghi alla lingua.
Essendo vacanti due posti di consilieri nella Comunità per la morte di Domenico Gordini e Francesco Dall’Oppio, naquero questioni civili in Consiglio sopra li eligendi, cioè Ottavio Dall’Oppio figlio del defunto Francesco e Luca Gordini figlio del defunto Domenico; ne furono portate le difficoltà alla Assunteria di Governo per la discussione. Intimò questa il termine di tre mesi la nomina, ed infratanto fece le veci di Consolo Lorenzo Gattia proconsolo, ma di presalvare, come diremo in appresso ed il motivo di questo.
Era molto tempo che solo freddo e pioggia seguiva in modo che arrivata la metà di maggio si andava vestiti di verno e la peggio era che non si vide alcuna spica. Esattamente li 4 giugno, festa di pentecoste cominciò a rasserenarsi, donde in poi la campagna cominciò a fiorire e si fecero devozioni molte.
Li 24 fu estratto Consolo Giuseppe Dalle Vache.
Su la fine di questo mese si vide nel rio della Scania un serpe con lunga coda e le orechie di gatto, le fu fatto l’aguato ma indarno. E’ da notare che questa serpe si lascia vedere ogni (tanti) anni, dove che sono da 15 anni che altra volta si vide, viene chiamato volgarmente Magnano, ha quattro zampe ed è grosso a guisa di un pesce salmone.
Una stella oltremodo grande si vide dalla parte di borea, senza coda ma assai risplendente, durò fino al 7 lulio.
Il tenente Giovan Francesco Andrini per comodo de borghigiani fece una meridiana nel suolo del di lui portico, coll’occhio verticale posto sopra il mezo dell’arco del suo portico sud.
In questo mese si fece il Campione delle strade del teritorio di Castel S. Pietro con una pianta demostrativa di tutti li andamenti della med..
Nella chiesa di questi agostiniani e di S. Bartolomeo all’altare primo destro (……..) delli Fabbri, di dietro S. Stefano Prete martire e dove eravi S. Imagine di S. Stefano, meza figura dipinta dal famoso poeta Giampietro Zanotti, fu levata e sostituita nel suo posto il quadro grande che ora vi si vede del P. Agostino Levoli agostiniano, scolaro di Ubaldo Gandolfi, ove si vi riscontrono alcune penellate del Maestro. Un errore fu notato ed è quello del S. Paolo apostolo, dipinto in figura di vecchio che custodisce li panni dei manigoldi, quando che abbiamo dalla storia che S. Paolo ai primi giorni della chiesa era giovine scapestrato e che egli si prendeva il pensiero di scoprire li seguaci di X.to e delle suoi apostoli.
L’altro quadro vechio, rappresentante S. Stefano meza figura grande dal vero con palma in mano, fu restituita al segretario Alessandro ed a Flaminio fratelli Fabbri. Fu dipinta questa dell’anno 1722 e si conserva ora nella casa di Floriano Fabbri quivi.
Nel volersi formare il Campione delle strade come si è detto, venne in animo al Notaio Francesco Conti di ostare alla elezione dei deputati pretendendo che la deputazione fatta dalla Comunità fosse nulla e si dovesse fare da una convocazione di tutta la popolazione, come se il governo presente fosse democratico. Si aggitò la causa legalmente ell’ Assunteria dell’aque e ne patì esso il decreto contrario.
Antonio e Francesco Dalfiume del fu Anibale, essendo contumaci per il fatto del tenente Vajna come si disse e per complicità con Domenico Soglia detto Furbaria, trovandosi questi domiciliati fori di patria, cioè Bartolomeo in Doccia ed Antonio a Castilione de Pepoli, li 4 settembre venero armati con 8 siccari e fecero cancelarre via da questo loco li suoi capitali e robbe. Trovossi per accidente in paese il tenente Casalini sbirro, onde volendo esso fare ressistenza fu costretto ritirarsi alla osteria del Rio della Masone colli 5 suoi birri, così convenuto colli sbirri e tenente.
Avuto il decreto a rinvio il Not. Conti per la causa del Campione delle strade nel di 15 settembre, appellò al Legato ma non fu poi ascoltato e così si procedette alla formazione.
Adi 12 ottobre ad ore 20 nell’anno 1766 è da sapere come il P. Remigio Giorgi di Castel S. Pietro, figlio del fu Carlo, al secolo per nome Giacomo, essendo sacerdote cappuccino e malcontento della relligione, sollevato anco dalla madre Maria Madalena Rondi, essendo di abitazione in questo convento, prese l’espediente per fuggire ed appostatare dalla religione andandosene fuori dalli Stati pontifici.
Quindi per tanto chiesta licenza al Guardiano di andare alla chiesa di Monte del Re a celebrare colla compagnia del P. Felice di Castel S. Pietro della familia Vachi, sacerdote attempato e di poca salute per essere offeso nelle pudende, se andò alla volta della strada più dolce che a quella della vicina Romagna per il territorio di Dozza.
Ottenuto ciò, si che durò la via romana andarono benissimo, ma cominciando ad assalire la colina il frate attempato non potendo tenere dietro al giovane, arrivati alla vicina boscaglia di (alberelli) si smarì il P. Remigio, quindi dachè (uscì) dalla strada sempre si imboscò nella selva delle Pianelle ove era atteso da certo Antonio Cembaloni, familiare della casa di Lorenzo Sarti, cognato del frate.
Ritrovatosi assieme si apperse un fagotto, ritrovato l’abito da prete, il frate spogliò l’abito capuccino, si vestì l’altro e si radette la barba con rasojo e spechio appeso ad un alberello e si pose parucca preparata
poi vestito da abbate nel più recondito del bosco, declinò infra nella via romana alla volta di Imola ed era impossibile ravvisarlo per frate.
Li abiti tutti da frate e per fino le ciabate tosto furono per lo stesso Cembaloni portati alla casa del Sarti sud., ove soggiornava ancora la madre Maria Maddalena Rondi, la quale per maggior dilegio alli capuccini accomodato un bel fardello con soprascritto, lo mandò per lo stesso Cembaloni al P. Paolo Mattioli, capuccino in questo convento, il quale facendo le veci del guardiano restò stupito ad un tanto fatto.
Il povero padre Felice Vachi, beffato a questa maniera, giunto a Monte del Re dove aveva in quel Convento e Religione de MM. Conventuali un fratello, ricercando del P. Remigio, né avendolo veduto, diede il povero frate in un dirotissimo pianto e si rese inconsolabile da tutti.
Il P. Remigio infratanto si incaminò alla volta di Napoli ad una di lui sorella maritata in Antonio Bassi di Castel S. Pietro colà domiciliato, di dove poi chiese l’assoluzione al Papa e nello stesso tempo il breve di essere sfratato, col patrimonio fattole dal d. Sarti stette alquanti anni e poi ritornò a Bologna finchè fu preveduto anco di una chiesa, che fu S. Antonio della Gaiana.
Sono da notare ed amirare molte cose acadute in questa contingenza, nella quale si vide la mano suprema che toccò tutti quelli che vi avevano avuto mano in tale fatto. Appena fuggito dunque d. Religione la madre corse a Bologna a procurarsi ingegni alti onde evitare essa ed il genero la processura, tanto più che la med. aveva qualche attinenza per cagione di un di lui sorella colla casa del March. Albergati.
Giunta in città tosto Dio la lasciò cadere a terra piana e incosse, senza speranza di guarigione, la coscia destra e sono 4 anni che sta inchiodata miseramente in un letto. La figlia Francesca, sorella dell’apostata e moglie del Sarti, si portò tosto in allora a Bologna a visitare la madre, vi stette un mese e poi rimpatriata venne pazza e fino a questi giorni ella prossiegue con una tetraggine estrema, del massimo della sua pazzia durò fino a Natale scorso di dove poi, appena mostrando lucidi intervalli, cominciò il marito li 24 giugno anno presente giorno del Corpus Domini a decadere in reumatismi funesti.
Il med. Lorenzo Sarti adunque in questo stesso giorno 12 ottobre anno presente 1770, doppo il corso di 4 anni morì in termine di 4 mesi, gravato di una malatia spasmotica, aveva le vermini che lo rodevano vivo e quanto più di medicamenti corosivi se lo opponevano per estinguersi, tanto più duplicavansi e fu da questi divorato prima vivo che morto. In letto non potete stare per due mesi e li altri due le convenne stare nella terra sopra paglia coperta di lenzuoli. Perdette in prima l’ochio destro, nelle gambe aveva tre fori, oltre le piaghe, che solo marcia menavano, non poteva sentire nemeno caminare li astanti per la stanza al segno che conveniva a questi andare senza scarpe, cosa che fu di grande amirazione.
Portato il cadavere alla chiesa occultamente la sera stessa della sua morte, che seguì nello stesso giorno delli 12 ottobre, nella stessa ora delle ventuno quindi in cui apostatò il capuccino. Le fu imediatamente data sepoltura per il gran fettore, onde non potette il suo corpo ricevere nemmeno la funzione di S. Chiesa.
Antonio Cembaloni non andò esente, che ancor esso attacato da reumatismi che dopo verarono in tabe, come acade allo steso Sarti, finì li suoi giorni cadendoli in meno di 20 giorni, come al Fabri, li denti ad uno ad uno. Li medicamenti usati dal chirurgo furono prima precipitato, dippoi fiori di zolfo, ma tutto indarno.
Trovandosi in Civitavecchia condannati alle gallere alquanti di Castel S. Pietro per il fatto del tenete Vajna, cioè Antonio Cava detto Monfrone, Pietro Lasi detto Pavaresi, Battista Fiorini detto l’Ussarino, Sebastiano Giorgi detto Pirischino e Christoforo Rochi fabbro ferajo di grande ingegno, tramarono una solevazione contro il capitano della loro galera.
Le riesce fino nel dì 23 scorso agosto, ma poscia posti nei ferri nella stessa città di Civitavecchia nel loro seraglio, riescì Christoforo Ronchi con lima liberarsi e unito ad altri relegati con acetta ed altri instrumenti sferarono molti altri, corsero all’armi e venero colla guardia a battaglia, onde convenne rivolgerli il canone.
Durò ore 24 l’attacco, si erano già fatta una breccia per sortire, ma la metraglia contro essi sparata ed il foco che si faceva convenne arendersi; restarono morti il Manfrone ed il Pirischino, Cristofaro Ronchi, Battista Fiorini detto l’Ussarino restarono illesi, li altri feriti. Credevasi che la città andasse tutta a rumore, stante il gran foco e l’ardore col quale si combatteva. La socombenza de relegati la fu ocasionata da tropo mancanza di munizioni da foco non essendosi potuti impadronire delli magazeni.
Li 21 ottobre cod. capuccini avendo una imagine Maria SS.ma lasciatale dal P. Fedele da Castel S. Pietro della familia Gallanti già missionario, della quale se ne serviva nella sue predicazioni appostoliche per esporla al pubblico culto.
Avendo fatto apparare la loro chiesa in giorno di domenica, il doppo pranzo coll’intervento del clero secolare, la levarono dall’altar maggiore poi trasportata in processione per il Castello e Borgo e, data dall’arciprete con quella la S. Benedizione al popolo, fu trasportata alla sua chiesa nella capella di S. Felice juspadronata della Casa Malvasia, fra suoni e canti musicali, dove che allocata tutt’ora si vede. Fu omaggiata con panegirico del P. Lorenzo da Bologna Capuccino e tutt’ora si venera col titolo di S. Spei.
Furono dispensate imagini in carta con orazioni e con questa S. Imagine ogni sera festiva, in cui non è impedita la chiesa da altre funzioni se le recitano le laudi di S. Chiesa.
Li 21 novembre la Comunità di Budrio chiese a Castel S. Pietro la unione per avere due macellari di carne grossa. La Comunità vi aderì e si riportò con lettera al volere di Budrio.
La famosa torre di Facciolo Cattani di Castel S. Pietro posta nel confine fra Liano e Castel S. Pietro nella vicina collina, in oggi detta la Torre delli Moscatelli per essere stata ristorata, duecento anni e più sono, da certo Abbate Ercole Moscatelli romano, la quale in oggi si possiede dalla signora Francesca Santini Cingari Cevenini, viene in parte demolita e ribassata al pari del tetto della casa padronale congiuntavi.
E’ posta nella facciata a levante che guarda il Silaro e la opposta collina e montagna, era alta 47 piedi da terra, larga di dentro piedi 26, le sue mura sono grosse di piedi 3. Vi erano dentro le sue carceri e fornelli sopra le scale, le sue bombardiere guardavano il Silaro dall’oriente, da borea Castel S. Pietro e dal meridio la parte montana di Sassoleone, Liano ed altri luoghi superiori. Dispiaque a molti una tale sciocaria, sopra la porta della abitazione padronale eravi la seguente iscrizione senza epoca:
CENIA
GENTIA
Blanchinia
Nel tetto poi a coppi eravi scritto nei tavoloni che la coprivano scomposti de muratori, la seguente in caratere corsivo e scoretto:
Lontan da voi
sia ogni rissa miei fiol
Perch il fio pagherete poi
al Signor se non a noi.
Vi erano altri moti ed iscrizioni le quali, scomposte nello scomporre le tegole o siano tavelloni di creta cotti, furono queste definitivamente scomposte, frante e mischiate con altri materiali.
Sabbatino Gallanti e Sebastiano Tomba gargiolari di questo loro male soffrendo: che li lavoratori di canapa alla schiantina travagliassero la materia all’uso schiantino per tirare filati sotilmente, diedero memoriale al Card. Legato affinchè con bando abbolisse questa arte.
Non tardò molto a consolare li instanti. Proclamato il Bando, ricorsero li schiantini alla Comunità, la quale vedendosi ledere le ragioni di comunità furono tosto fatte deporre citazioni camerali avvanti la signatura di Roma per la inosservanza di tal bando dirette ai Massari, ad arti e Tribuni della Plebe di Bologna e poscia furono lacerati tutti li bandi che erano affissi in paese.
Nello stesso tempo essendo stato affisso Bando che proibiva ai pizzicaroli del contado di investire carni porcine, il popolo ricorse alla Comunità onde ottenere la moderazione di questa nova legge.
La Comunità presa in considerazione la supplica, scrisse alla Assunteria di Camera e fu in appresso consolata la popolazione.
Li 16 dicembre fatta la estrazione delli ufici utili e della podesteria del Contado, fu estratto per Castel S. Pietro il Marchese Antonio Pastorini nel di cui officio fu sostituiti il Dott. Ragani Pier Paolo, che nominò Francesco Conti Notaio.
In tale frangente in Roma Mons. F. Carara pronunciò sentenza contro il Dott. Annibale Bartolucci in favore della compagnia del SS.mo.
Attesa la morte di Lorenzo Sarti col’avere lasciato dietro se un fanciullo, la Comunità elesse in di lui posto per consiliere Giovan Antonio Bolis e ne spedì la nomina al Senato di Bologna.
Perché Sebastiano Tomba e Bartolomeo Gallanti non cessano di perturbare la Comunità e li individui della med., fu necessitato il Corpo comunitativo procedere criminalmente contro quelli, poscia furono citati avvanti il Prefetto della signatura di Roma per gli atti Moroli, Carlo e Francesco padre e figli Monti, li detti Tomba e Gallanti con Ottaviano Ronchi perché desistessero di perturbare li schiantini.
Fu poscia li 17 dicembre estratto Consolo per il primo genaro 1771 Giovanni Alessandro Calanchi che accettò l’officio sebbene sordo all’ecesso.

(1771) Entrato nel suo officio di Consolo Giovan Alessandro Calanchi, avuta notizia della elezione fatta di Giovan Antonio Bolis in Consilio, chiamò li pubblici Rappresentanti nel dì 14 genaro e poscia diede il possesso al med. Bolis in loco del posto vacante di Lorenzo Sarti.
Questa familia Bolis proveniente dal milanese e che fino al secolo scorso si fece chiamare Bolia, fu abilitata alli uffici pubblici del paese, rilevasi ciò dalli statuti della Comunità fatti l’anno 1713 nei quali avvi deferito nel numero de consilieri Giovan Giacomo Bolia, prozio dell’acennato Giovan Antonio.
Alli affari di questa Comunità per l’anno presente fu eletto il Senatore Conte Giuseppe Malvasia.
Li frati di S. Francesco mediante supplica chiesero alla Comunità la elemosina di S. Bernardino.
Li 16 d. si fece sentire il teremoto preceduto prima con lampi e tuoni.
Li 13 febraro primo giorno di quaresima, su le ore 13 e mezo il sacerdote D. Luca Gordini prete in età di anni 61 morì con dispiacere universale di tutto il paese per essere stato uomo di Dio, relligioso illibato e che colla sua esemplarità e bon esempio teneva in sogezione tutti li preti e chiestrasia del paese. Da ragazzo fu chierico impertinente, nemico giurato della Compagnia del SS.mo, onde poi essendo stato di nottetempo bastonato da certo Giuseppe Beltramelli al principio del governo dell’arciprete Bertuzi dopo il 1730, per modo che perdette quasi la vita, si diede dappoi alla bontà che fu lo specchio di ammirazione in ogni ceto.
Fu caritatevole massime in verso chi era abbandonato collo spogliarsi delle vesti e del vitto, ridusse molte donne di mala vita al ben vivere senza pubblicità, fu tutto il tempo di suo sacerdozio sagristano e tabulario di questo arciprete di Castel S. Pietro, al quale furono consegnate superbe sagre supeletili e richezze della Compagnia del Rosario della quale esso era confratello juiscorato e devoto di Maria SS.ma.
Quantunque fosse stato messo nelle inbustazioni delli Priori di questa compagnia in ogni volta che si rinovava, mai sortì; dicendo nelle sue lepidezze catoliche che quando sarò Priore morirò. Difatti questo anno tanto le accade.
Il primo giorno dell’anno in cui si suole allocare nell’altare alla pubblica venerazione la S. Imagine del Rosario di questa arcipretale miracolosa, assistendo il med. alla messa solenne in qualità di Priore capato con molta tenerezza ed effusione di lagrime continovamente, le fu inteso dalli suoi due compagni capati e dal Capitano Lorenzo Graffi suo cugino, se aveva il suo solito dolor di calcoli, di che ne pativa, rispose no cugino io non so che mi abbia, poi si rivolse alli due compagni così le parlò: Possibile che questa mia Madonna sia si bella agli occhi di tutti questi che sono in chiesa come alli miei ? Questa è l’unica volta che me la godo con quiete.
Egli fu promottore delle due compagnie di S. Luigi Gonzaga e di S. Maria Madalena de Pazzi erette all’altar maggiore di questa arcipretale. Egli in tempo della fabbrica della chiesa provide, senza spilorciare alcuno, tutti li gessi e scaliole che vi abbisognarono, fu conservatore non solo, ma puntuale e fido esecutore delli cristiani ricordi che lasciarono li missionari Lavagni e P. Costanzo gesuita, fra quali il più singolare fu la lezione spirituale nella chiesa arcipretale la sera d’ogni festa di precetto dopo le S. Funzioni collo smodolare alli ascoltanti le proposizioni catoliche, facendole dippoi la sua insinuazione e glossa.
Nell’ultima lezione che egli fece e fu nella terza dopo Natale, cioè delli S. Inocenti, che fu la precedente all’ingresso del suo priorato del Rosario, predisse alli ascoltanti la sua morte a chiare note col dirle: Questa è l’ultima lezione che io vi faccio fratelli e sorelle. Sento la morte su le spalle, Dio non mi vole che più l’offenda, preparate ascoltanti cari per me l’ultima domenica di carnevale, che fu li 10 dello stesso febraro.
Replicò similmente l’avviso di sua morte prossima essendo in letto all’arciprete Bertuzzi che lo visitava in questi termini: Signor arciprete quante volte vi fu mai fatto inquietare, finiranno le mie debolezze più presto di quel che mi lusingate. Voi veniste a questa vostra Chiesa Sposa l’ultimo dì di carnevale, il primo di quaresima andaste a visitare la stessa sposa, ed io andarò in tal giorno all’eternità a rendere conto, Oh conto, oh conto, al mio creatore, sit nomen D.ni benedictus.
Quantunque l’arciprete fosse di un animo e naturale intrepido, non potette resistere alle lagrime, confortò il malato e lasciarlo volendo con affetti di sensibilità e coraggio. Riprese l’infermo: e che, caro il mio padrone, così partite? e non mi benedite? datemi la S. Benedizione. Lo compiaque l’arciprete teneramente piangendo e ricevuta la benedizione le volle bacciare la mano con dirle: Questa è l’ultima volta che ti baccio la mano e ciò detto si compose di letizia.
Chiunque andava a visitarlo, ammoniva essere volere di Dio la sua malatia, ed invece di consolarsi, consolava li altri a prepararsi sempre alla partenza dal mondo per cui si può dire essere egli stato uomo giusto e uomo di Dio.
Li 15 febraro, primo venerdì di quaresima ad un ora e meza di notte Rocco Andrini andandosi a casa fu assalito da due e fu bastonato nel Borgo prima di entrare in casa contro l’ospitale delli Peregrini. Fu attribuito il fatto alli uomini del sud. Sebastiano Tomba a motivo della lite vertente in Roma per causa delli gargiolari alla schiantina.
Doveva ad un simile attentato soggiacere il Cap. Lorenzo Graffi ed ad altri del Consilio. Ne andò la relazione al tribunale colli idizj di malfattori.
Li 20 dello stesso mese furono affissi alla porta superiore del Castello cartelli che dicevano: Non più bastonate, ma schiopettate, perciò li 28 detto furono catuorati Domenico Campeggi detto Balatrone, colli due figli Adamo e Silvestro.
Li 2 marzo in venerdì, attese le istanze e premure fatte da Bastianone Tomba e Sabbatino Gallanti, detto Paradiso, per la aggressione de schiantini e per contrapuntare tutta la Comunità nell’esercizio delle Arti, vennero a Castel S. Pietro sul far del giorno li Tribuni della Plebe con due squadre di sbirri, li quali furono appostati uno per ciascuna bottega si di lavoranti che di altri bottegari, ed a tutti fu fatta cattura in modo che portassero via dal paese più di quaranta scudi. Li pescivendoli furono pure catturati, pretendendosi il pagamento del Dazio quantunque incamerato, in modo che niuno andò esente dalla soverchiaria.
Li 4 marzo la Congregazione di Gabella unita alla Assunteria di Camera, spedì due architeti ed agrimensori alla confina del Comune di Castel S. Pietro verso la Romagna, a visitare se vi era posto per edificarvi una piccola dogana per lo officiale di Gabella e dazj, stante le frodi che si comettevano di introduzione di robba e merci non daziate e moltopiù che Pellegrino Coppi e Lorenzo Graffi cognati avevano sulla vicina Toscanella aperto un bon negozio di tutti li generi e vittuarie, furono li periti Giacomo Dotti per il Senato e Agostino Ciotti per la Dogana.
Li 22 marzo venerdì di Passione si scoperse la Imagine Di Maria SS.ma Addolorata col X.to morto in grembo nell’oratorio reidificato ed ampliato nella via romana verso imola detto: la Madonna del Cozzo e vi fu un gran concorso a visitarla e vi si celebrarono molte messe, la sera vi furono le litanie ed il canto in musica dello Stabat Mater; finì la funzione con sbarri di mortaletti doppo la benedizione colla reliquia di M. V.
Li 28 dello stesso cadente marzo, giorno di giovedì santo, si pubblicò un amplissimo Giubileo, senza obbligo di digiuno, per giorni otto con facoltà a tutti li confessori di assolvere ogni peccato eccetuati li peccati pubblici che meritano pubblica pena ed assoluzione pubblica, come si legge più diffusamente nella sua notificazione.
Questo tesoro di Indulgenza è stato emanato dal sommo pontefice, per quanto comunemente si ragiona, a motivo di non leggersi il giovedì santo la Bolla in Cena D.ni, consueta funzione pontificia, atteso che molte potenze secolari non vogliono ammettere nel Pontefice tante risserve che esso, qual capo visibile della chiesa, tiene nella autorità pontificia.
Nel dì 7 aprile essendosi fatta ed instituita in Bologna la privativa delli ogli oliva, fu per comodo de Sampierani nostri aperto nel Borgo da Nicolò Giorgi il negozio al quale ognuno deve ricorere pel suo bisogno.
Fu presentato contemporaneamente all’Officio dell’Imposta il Campione delle strade del teritorio di Castel S. Pietro e così pure all’Officio dell’Aque. Nello stesso giorno 25 aprile venero ad abitare nella casa del fu Lorenzo Fabbri, già una volta palazzo del principe Pico, N. ventidue gesuiti di Spagna.
Li 29 dello stesso mese il Senat. Conte Giuseppe Malvasia avendo questa mattina sposata la Marchesa Eleonora figlia del March. Giacomo Zambeccari, venne in Castel S. Pietro a fare le sue nozze, fu accompagnato dal Sen. Conte Girolamo Legnani, March. sud. Giambeccari, Don Giovanni Lambertini, cognato della sposa, Contessa Ginevra Gozadini madre dello sposo ed altri nobili. Arrivati in Castello andarono alla arcipretale a visitare la B.V. del Rosario, che fu scoperta, gettarono dappoi danaro alla povertà, ed al popolo.
Il Cap.no Lorenzo Graffi per la servitù che aveva con la Casa Malvasia dispensò varie poesie stampate da esso fatte fare e la sera si fece in casa Malvasia una brillante festa da ballo. Il giorno seguente 30 aprile vennero molti altri nobili a corteggiare la donna conjusa, fra quali il Sen. Conte Odoardo Pepoli zio della med., il Conte Giuseppe Malvezzi, il Sen. Conte Gaetano Beccadelli, il Conte Carlo Malvasia e tanti altri.
Il di primo maggio in martedì, Bastianone Tomba fu camerato per la vicenda delli schiantini e bastonate date all’Andrini e fu poi escamerato con sigurtà di 200 scudi, parola regia di non offendere e di presentarsi esso colli di lui fratelli al tribunale tante volte quanto durante la processura. Li Balatroni accenati furono in appresso con parola regia escarcerati.
Per fare poi nascere tumulto nel popolo e far credere patire incalcolabile danno, li capi di bottega lavoranti all’uso nostrale, a motivo delli lavori fatti alla schiantina, adducendo che restava per questi inesitata la sua manifattura alla nostrana, chiusero li loro negozi e licenziarono li lavoranti Battista Castellari d. il Pritino, Giuseppe Magnani d. Barattino, Bastianone accenato ed altri in modo che giravano più di 50 familie oziose.
Fatto constare al Principe il manopolio e stratagema, ordinò che a vista si riaprissero li negozj sotto pena alli sud. negozianti di mantenere del proprio, ciò non ostante, le familie e lavoranti licenziati. In vista di tale providenza presa dal Legato si riaprirono le botteghe già chiuse.
Vittorio del fu Dott. Giacomo Conti pubblico perito, idrostatico ed agrimensore, per la sua virtù in tale professione fu dichiarato capo delli altri professori dal famoso P. Lecchi sopra il taglio dell’aque stagnanti del ferarese.
Don Giacomo Giorgi già apostata Capuccino, ottenuto il breve di assoluzione celebrò la sua prima messa il giorno 26 maggio festa della SS. Trinità in Bologna. In questo tempo fu eletto in Consiliere della Comunità di Castel S. Pietro Ottavio Dall’Oppio in loco del fu Francesco suo padre defunto e così pure Agostino Ronchi in loco del defunto suo padre Domenico Ronchi.
Li 15 giugno il Colonello Salvioli della truppa di Castel S. Pietro avendo nominato all’Assunteria di Polizia per Alfiere Fedele Gattia, calzolaro mancante di quelle prerogative che richiede la costituzione miltare, fu motivo che molti ufficiali della stessa compagnia di Castel S. Pietro rinunciarono al loro posto addomandando il ben servito. Il Capitano Lorenzo Graffi l’ottene nel dì 18 con Sen. Consulto.
Dalli giorni 15 fino a tutto li 19 corrente giugno, si alzò un impetuoso vento montano che digranò infinità di formento nelle nostre colline, stralciò le viti e fece danno infinito alla campagna. In appresso seguì pioggia che produsse gran freddo, a segno che le persone vestirono di verno e portarono li tabarri.
Pretendeva Luca Gordini coprire il posto paterno nella Comunità, il che essendole impugnato per essere debitore della Camera oltre li scudi 400, avendo voluto tentare la sorte sua giudicialmente per gli atti Scuri in Bologna, patì nel di 20 corente decreto contrario e fu escluso dal Consilio.
Nel di 24 fu estratto consolo Vincenzo qd. Francesco Mondini, che prese il possesso nel di primo lulio. Il giorno settimo poi di questo mese furono ammessi alla prima seduta in Consilio li due novi consilieri Ottavio Dall’Oppio ed Agostino Ronchi.
La notte poi delli 9 lulio venendo alli 10 su le ore sei notturne morì l’arciprete D. Giovanni Bertuzzi di S. T. Dott. Esaminat. Sinodale e relligioso prete veramente catolico, doppo breve infermità in età di anni 79, fece il suo testamento e rogito di Ser Francesco Conti, nel quale, non ostante essere egli stato il promotore dell’Ospitale delli Infermi della parochia e della fondazione di un ritiro per le oneste citelle del paese mediante beneficenza della fu Ginevra Fabbri come si scrisse, niente lasciò a questi due luoghi pii.
Lasciò a suoi fratelli uno stato di dieci milla scudi e più forse siene avria lasciati se non avesse pagati li loro debiti, mentre nel corso di anni 41, che ha governato questa parochia ricca di rendite alla somma annua di scudi mille compensato un anno per l’altro e senza spesa e facendo una vita miserabile, poteva di più avvantaggiarsi.
Altri legati pii non fece se non lasciare corbe diecisette grano in tanto pane per una sol volta alli poveri della parochia ed uno staro grano in altrettanto pane alli poveri di ciascuna parochia di questo suo plebanato. Lasciò l’oratorio vecchio del SS.mo al novo arciprete, che ora serve di fenile sopra le sue stalle nella via maggiore del castello presso la chiesa in confine delli fratelli Bertuzzi anticamente delli Serpa, alla condizione di non fare alcuna perizia a suoi eredi.
Ma fu deluso perché l’arciprete novo acettò il legato e poi fece la perizia e da questa aurora cominciossi a dubitare dalla popolazione di un governo infelice. Fu sepolto nella sua arcipretale e fu il primo che entrasse nella sepoltura nova de preti che è quella di mezo nella capella maggiore, una volta delli Orsolini.
Li 17 lulio poi le furono fatte solenni esequie col titolo di settima, alle quali vi intervenne il corpo comunitativi in forma. La chiesa fu tutta apparata a lutto, all’ingresso maggiore della porta eravi in maestosi caratteri la seguente iscrizione a caratteri romani:
Joanni Battista Bertuccio
Archipresbitero S. M.ra majoris huiusce Castri
S. Theologie Doctori, Sinodali examinatori
Viro in omni scientiaras genere
Inseractissimo
Qui post Rectoratus hujus eclesia
Magna cum Laude fortitudine et piatade rexerit
Per Annos XXXXI
Plenus meritis obiit VII Ides Julij MDCCXXI
Frates Nepotes et Amici
Optimo patrono viduati
Justa persolvunt
Si cantò la messa in musica con infinità di messe. Il celebrante fu il Dott. D. Giuseppe Baldi bolognese uomo insigne che era quivi deputato per economo della chiesa e fra pochi anni divenne arciprete di Borgo Panicale, fu assistito dalli due curati più anziani di questo plebanato cioè il paroco Cavallari di S. Maria della Capella e Paroco Butelli di Casalecchio de Conti. Il catafalco grandioso colli trofei delli carateri che portavano il defunto disposti con ordine pitorico ed apparato facevano meraviglioso spicco in mezo ad un contorno di 50 torcie e li stemi gentilizi della familia. Le messe furono numerose.
In fine della messa il sacerdote D. Alessio Camaggi pub. Precetore della scuola del paese, prete dotissimo faentino nelle belle lettere, recitò una orazione funebre, indicando le gesta e lodi del defunto e suo casato, nel quale vi sono stati prelati come si è scritto alle sue epoche, furono dispensate ancora poesie del med. Camaggi sotto il nome anagrammato di Alfiseo Latonio Pas. Arc. e del P. Prospero Maria da Bologna MM. OO. sotto il nome pastorale della Accademia delli Improvisi a cui era agragato, cioè Peritense.
Li amici luminosi che assisterono a tutta la funzione oltre il Ceto comunitativo ed un concorso di popolo, di sacerdoti e di regolari, furono il paroco di Linaro, quello di Selustra Tarito, d’Imola, di S. Martino del Medesano, di S. Maria di Varignana, di S. Giorgio di Varignana, quello di S. Giovanni de Boschi. arciprete di Tossignano, prevosto di Dozza, arciprete di S. Lorenzo di Doccia, Vicario del S. Officio e priore di Monte del Re, priore di S. Maria del Sabioso ed altri parochi al N. di 27 onde può paragonarsi questa funzione ad una di un vescovo tanto fu amato finchè visse e considerato ancora doppo morto.
Vacò la chiesa fino al di primo di agosto., in cui a mezora di notte comparve il novello arciprete D. Santo Bartolomeo Calistri filio del Not. Sig. Antonio Calistri, di nazione montana de Boschi di Granalione, di S. T. Dott. e Jus Canonico, in età di anni 26, che nepure era mai stato abilitato al confessonario.
Fu portato a questa chiesa l’unico merito di essere stato in corte dell’arcivescovo Malvezzi in qualità di capellano. Il possesso le fu dato dall’arciprete Cervellati di San Martino di Petriolo commissionato mediante credenziali dell’arcivescovo dirette all’economo Baldi accenato, il quale se avesse concorso a questa chiesa, infallantemente e per la sua dottrina, merito età ed esperienza, le sarebbe sortita.
L’arciprete novo dunque ascese l’altar maggiore della chiesa in abito semplice di prete, lo bacciò nel mezzo della mensa, vi battette la destra sopra, discendendo poscia li gradini dell’altare le furono presentate le chiavi delli Ciborj e della chiesa in una bacinella d’argento le quali toccate passò alla sagrestia e d’indi al campanile, ove dati due tochi alla campana ritornò in chiesa e con un segno di croce benedette il popolo e recitato il salmo Deprofundis in voce dimessa se ne andò nella sua canonica.
Essendo in questo tempo priore della Compagnia di S. Cattarina Prospero Orsolini, ultimo della sua chiara familia originata due secoli sono da Tossignano in questo Castello, promosse di volere novamente colla sua compagnia intervenire alle funzioni pubbliche cole altre due compagnie del Rosario e del SS.mo colle quali erano anni che non si univano per le pretensioni di preminenza. L’arciprete novello ascoltò ma non diffinì nulla, onde ne naquero poi in appresso quelle funestà che saranno segnate ai suoi tempi.
Infratanto l’arciprete organizava le sue cose. Quindi nel dì 30, venerdì ultimo di agosto, essendo incorsa la Compagnia del SS.mo nella censura a motivo di non avere adempito l’annuo deposito pecuniario per la estinzione delli debiti contratti in ocasione della fabbrica del novo Oratorio e Chiesa, si portò il novo arciprete a questa e recitato il salmo Miserere in voce dimessa, a chiesa serata con N. 22 confratelli le diede l’assoluzione col Confiteor in cotta e stola, come delegato dal Card. Arcivescovo. Nel seguente ottobre poi il giorno secondo il med. arciprete fece una elemosina a tutti li poveri grandi e picoli della parochia con un pane a testa, che amontò a N. due milla e trecento pani di farina grano. il popolo gradevole di questa sovenzione volontaria si comosse contro li due comissari testamentarj del fu arciprete Bertuzzi, cioè Ser Francesco Conti e Lodovico Montini per non avere adempiti il legato delle 17 corbe grano lasciato in tanto pane, onde furono costretti fra non molto ad adempirlo.
Adi 7 ottobre, prima domenica dedicata alle glorie di Maria SS.ma del Rosario in questo Castello per la prima funzione del novo arciprete, fece questa popolazione spicare il suo giubilo per la elezione fata di tale sogetto con bella e pomposa gara.
La mattina fu incominciata la funzione dal numeroso clero, che unito al Corpo della pubblica rappresentanza in figura consueta di magistrato in cappa nera, assistita da varji bastonieri della Confraternita del SS.mo Rosario di questo loco, a suono di trombe e tamburi misti ad un copioso sbarro di mortaretti, fu ricevuto il novello pastore nella propria canonica e da questi corpi accompagnato alla chiesa arcipretale, ove apparata dai sacri aredi e assistito dai paroci del plebanato fu cantata da esso la messa solenne avvanti la S. Imagine di Maria del Rosario esposta all’altar maggiore della chiesa nobilmente apparata, con isquisita musica di eccellenti professori bolognesi condotti dalla arciconfraternita sud. del Rosario.
Terminata la S. Messa si fece la generale processione col venerabile per il Castello, precedendo il gonfalone del Rosario condotto dalli scalchi della Confraternita del SS.mo SS.to ai Corporali della Arciconfraternita del Rosario sud. e del SS.mo SS.to, le tre numerose religioni claustrate del paese, cioè Cappuccini, MM. OO. ed Agostiniani secondo la loro anzianità poi il Corpo della pubblica Magistratura col suo regalo di cera collo stema pubblico fatto al novo arciprete, indi il numeroso clero colli parochi del vicariato plebanale e tutti con lumi portati da riguardevoli personaggi e nobili bolognesi, che in questa circostanza erano al palazzo delli Conti Stella.
La processione per essere alquanto lunga l’arciprete fece posa nella chiesa di S. Cattarina, il quale con molti confratelli capati e fanciulli vestiti da angioli, turrificando il SS.mo e spargendovi fiori avvanti, fra suoni di trombe e tamburi e dallo sbarro di mortaletti, fu incontrato e ricevuto in chiesa. Quindi cantato solenne tantum ergo in musica, la processione con solenne Tedeum in ringraziamento se ne andò alla arcipretale, ove data la benedizione col venerabile ne seguì una copiosa sbarata di mortaletti preparati della compagnia del SS.mo SS.to.
Il doppopranzo fu parimenti fatto cantare dall’ arciconfraternita del Rosario vespro solenne in musica e poscia ne seguì doppo la processione di Maria SS.ma del Rosario, che condotta nella piazza pubblica in un palco, il novo arciprete fece una erudita orazione alla S. Imagine e poscia con essa ne diede la S. Benedizione al numeroso popolo con successivo sbaro di mortaletti. In tempo della S. Messa furono dispensate dalle compagnie, da benevoli ed altri affetti all’arciprete moltissime stampe di poesie.
Tanto il sabato preventivo di sera , quanto questa sera, fu il paese e Borgo illuminato alla torre maggiore ed al palazzo della Comunità con fochi artificiali di gioia in ringraziamento per la elezione di questo soggetto. La funzione riuscì così decorosa e bella conforme l’aspettazione comune che ne trasse in questo loco Mons. Ignazio Boncompagni Vicelegato con moltissimi nobili cavalieri, senatori e dame di Bologna e della vicina Romagna, nonché infinito popolo di circonvicini paesi.
Li Conti Stella che trovavansi costì a villeggiare, pieni di giubilo fecero ancor essi le loro singulari rimostranze tanto al novo arciprete con fochi artificiali e poesie, quanto anco alle dame e nobili ed a tutti li principali del paese, dando loro la sera medesima una pomposa e brillante festa da ballo nel loro palazzo, onorando ciascuno di rinfreschi.
Le familie nobili bolognesi furono Don Gio. Lambertini nipote di Benedetto XIV senatore, Sen. Malvasia, Sen. Angelelli, Conti Tedeschi, Conte Caprarini. Sen. de Buoi, Marsili, Ghisleri, Cospi, Orsi di Imola. Li Sassatelli, Genasi, Machiavelli ed altri. Le poesie furono di 15, fortunatamente delle quali ne fece in bon numero racolta Gio. Battista Fiegna.
Li 19 ottobre il novo arciprete ordinò che tutti li sabbati dell’anno la mattina di bon ora si dovesse dire il Rosario alla B.V. nella sua chiesa indi recitare le sue allegrezze poi la S. Messa, ed infine dopo breve sermone la benedizione col SS.mo avendo scoperta la S. Imagine, ed oggi ciò si eseguì per la prima volta.
In seguito delle declamazioni popolari che si facevano dalla povertà per il legato delle 17 corbe grano fatto dal defunto arciprete, il giorno d’oggi 26 ottobre li esecutori testamentari ser Francesco Conti e Lodovico Mondini ne fecero la elemosina dando due bajochi di pane ad ogni e ciascun povero del paese.
Abbisognava l’Ospitale delli Infermi di questo Castello avere un qualche sfiore per la biancheria e panni, onde ottenuta una linea di terreno posteriormente alla casa del Sen. Conte Federico Calderini nel di 3 novembre si diede principio al recinto della mura. Alla spesa di questo fabricato vi concorsero D. Alessandro Dalbello curato di S. Biagio di Poggio con 4 milla pietre, al resto suplirono le familie richissime del paese, cioè Vachi e Graffi. D. Francesco Trochi e Barnaba suo fratello operarono assaissimo, li paesani ancor essi vi concorsero con elemosine.
Dopo la morte dell’arciprete Bertuzzi avendo li due comissari Lodovico Mondini e Francesco Conti spogliato l’archivio parochiale furono chiamati il di 20 corente novembre dall’arcivescovo Malvezzi e dal suo vicario generale Sante Corolugi, furono sottoposti ad un giuramento ed in breve rissarcito il mancante.
Li 3 dicembre Floriano di Flaminio Fabbri di questo Castello avendo ottenuto un posto nella guardia del Re di Spagna partì tosto per Madrid capitale di quel regno.
Nel di 16 di questo mese fu estratto per podestà di Castel S. Pietro il Senatore Adriano Magnani che per suo notaio nominò il Dott. Paolo Pagani. Li 27 d. fu estratto Consolo per il venturo semestre Ser Francesco Conti. Questi di bene affetto che egli era alla Comunità ed al paese, sedotto da P. Gattia e da altri suoi compagni, cominciò a farsi avversario alli suoi coleghi, come dirassi a suo tempo.
Li 18 cadente dicembre cadente anno, prospero Orsolini priore della Compagnia di S. Cattarina doppo avere messo in posto Nicola Bernardi suo sucessore nel priorato per il 1772 propose la riviviscenza delle antiche questioni sopra la anzianità contro le altre due compagnie del SS.mo e del Rosario, pretendendo la preminenza nelle funzioni pubbliche. Li confratelli adunati in N. di 42 fra loro fecero diversi progetti, non prevalendo il partito dell’Orsolini, fu determinato che si ricoresse prima all’arciprete e se le facesse l’esposto del tutto, al quale effetto furono deputati per procuratori a (…) d. Conti il sud. Orsolini e Gattia ambi cugini, entrambi, quanto parenti, altrettanto di uniforme pensare, per mantenere la questione sempre viva.
Fatto l’esposto delle partensioni della Compagnia di S. Cattarina all’arciprete e specialmente di volere costantemente intervenire alle processioni del SS.mo mensilmente nel primo posto ed ottenuta la risposta dell’arciprete che tali processioni sono sue e non della Compagnia del SS.mo, però dovere soggiacere alla sua autorità, partirono sconsolati ma coraggiosi di esperimentare le ragioni antiche e sopite della compagnia.

(1772) Entrato il novo anno 1772 si sentirono tremori nella terra; quindi la notte della Epifania, giorno sesto del mese, cadde un pezzo di mura del Castello dalla parte di levante per un tratto di piedi 30 circa in altezza di sette in dieci piedi, che serve di recinto all’orto de frati di S. Francesco.
Il giorno 8 d. dall’ora di notte alle 2 cominciò a lampeggiare grandemente dalla parte del meridio e verso Monte del Re con spavento di tutti sebbene la neve era alta un piede nella vicina montagna e collina.
La Compagnia di S. Cattarina mal soffrendo la risposta avuta dall’arciprete sopra le preminenze e l’intervento alle processioni ricorse alli sotterfugi, citò per tanto li priori delle altre due compagnie cioè Domenico Conti , priore del Rosario e Mariano Manaresi priore del SS.mo, per gli atti Sachetti, nel Vescovato a volere di doversi osservare il Rescritto di Benedetto XIV, altre volte fatto sopra la precedenza acennata. In vista di tali citazioni estradate per eludere le altre determinazioni fatte dall’Arcivescovato, il priore Manaresi ricorse con suplica all’arcivescovo med. onde riparasse a tanto disordine che sovrastava nella quiete, fu la supplica accompagnata anco da comendatizia dell’arciprete novello, che la sentiva assai male onde ne accadde ciò che in appresso sarà scritto.
Li 19 genaro trovandosi una luppa di smisurata grandezza con figli qua e la sparsi nei nostri contorni ed audace al segno di venire nel Silaro sotto il Castello ed indi dietro le mura presso il torregiotto Locatelli. Questa non ostante la neve infestava il vicinato, fu inseguita da paesani cacciatori su le orme impresse nella neve, ma indarno.
Tenne le parti del Quartiere della Lamma, andò al fondo Colombarina ed al Valesino, ove trovati li temporali rinchiusi, cominciò a rodere l’uscio. Li vilani, sentendo il rumore, sortirono credendo ladri, ma non la inseguirono. Andò alle Mascarelle e trovata una pecora sepolta la dissoterò e la mangiolle, poi si fece la cava nella vicina boscaglia di un mio fondo detto: il Rio, passò d’indi nei prati inferiori del Cereto.
Vi fu posta la taglia di 6 scudi morta e 10 viva. Due nostri cacciatori e cioè Sebastiano Magnani e Francesco Neri, tenedo dietro alla pedata le riuscì prenderla nel mezo alli vicini prati della Comenda di Malta, presso il rio della Masone e Sebastiano Magnani, fattole l’aguato in una fossa, la ucise con archibugiata. Fu portata al Castello dalli due cacciatori che ne guadagnarono la taglia, inseguirono poi li figlioli ma indarno fino al Medesano.
Il giorno 4 febraro l’arciprete novo pubblicò la visita pastorale dell’Arcivescovo Malvezzi, fu ordinato che in tale frattempo si sospendessero le comedie e feste da ballo nel paese. Si ubidì prontamente a diversità de Budriesi che non si vollero prestare all’ubidienza in simile caso, che poi furono sospesi ivi per quindici giorni li divertimenti carnevaleschi ed alcuni carcerati per essersi impertinentemente opposti a levare il cartellone de comici aducendo averne dal legato la licenza dovuta.
Essendosi di corto inventata l’olearia dal governo secolare con privativa, riesce di cattiva qualità e dispiacevole alla popolazione perchè era ancora di prezzo, mentre l’olio mezano vendevasi per ottimo senza tariffa, l’altro non ardeva nemeno nelle lampade.
L’arcivescovo ricorse per ciò a Roma ed ottenne dal Papa la facoltà di potere erogere una olearia per li ecclesiatici. Conseguì la grazia, per ottenerla procurò attestati dalle relligioni claustrali e dalli parochi delle castella, ma perchè in tutte le belle oppere avvi sempre chi le sofre di malgrado e sonovi traditori, così Mons. Becadelli, fratello del sen. Gaetano, per contrapuntare l’Arcivescovo, procurò contro attestati delle monache della Badia, delle Capuccine, dai frati della Carità e da altri conventi al N. di sei contradicenti alli attestati prodotti dall’Arcivescovo.
Sentì egli con amarezza questo fatto, per ciò diede la casa per carcere al prelato Becadelli per avere cospirato contro per alquanti giorni. Fu fabbricata in appresso la Notificazione del vescovato sopra la nova olearia eccelsiastica per lo stampatore dalla Volpe.
Partorì questo fatto scompostezza nella città onde ne naquero odj e vendette. Tutti li interessati e ministri che avevano in educazione citelle nei monasteri , furono le med. licenziate dalla educazione e così fu dalli giovani ed altri esistenti in conservatori.
Il tesoriere abbate Pietro Odorici per sostenere l’arcivescovo le offerse 100 milla ducati onde agire contro Antonio Gnudi inventore e capo della olearia secolare, che faceva alto in Roma. Ne derivarono ancora per questo fatto nemistà fra le familie.
Li corrente febraro su le ore 21 arrivò in Castel S. Pietro l’E.mo Card. Arcivescovo Vincenzo Malvezzi per la visita pastorale intimata. Aveva fatto un ristretto equipaggio, il suo segretario di visita fu il dott. Gio. Battista Palmieri bolognese paroco di S. Michele del Mercato di mezzo di Bologna.
Fu incontrato da quattro comunisti e dal novo arciprete. Il di seguenet 9 d., giorno di S. Apolonia, fu visitato dalli d. quattro comunisti deputati dal Consilio che furono Francesco Conti Not. e Consolo, Giovanni Calanchi. Ercole Cavazza ed Ottavio dall’Oppio tutti vestiti in cappa nova secondo l’uso. Furono amessi, in casa dell’arciprete ove era d’albergo, al bacio della S. Porpora con particolar distinzione e poi licenziati per dar luogo alle altre visite, che con particolare affetto accolse li capi di relligioni con la benedizione.
Appena ciò fatto, passò alla cresima che in meno di un ora ne cresimò 136. Finita la cresima fece chiamare li sudd. quattro comunisti, se le offersero li due più anziani che erano al corteggio, cioè Flaminio Fabbri e Cap. Lorenzo Graffi, a motivo che li primi quattro rappresentanti il Cetto comunitativo erano partiti. Gradì l’offerta ma volle che le ritornassero li quattro indicati figuranti la Municipalità, ritornarono prontamente.
L’Arcivescovo preso per la mano il Conti Consolo lo introdusse colli altri nella canonica a fianco coll’arciprete Calistri ed il dott. Palmieri, segretario di visita. Ciò fatto disse queste parole: voglio beneficare questo vostro Castello, provedere alla quiete e sollevare la povertà, la compagnia di S. Cattarina è troppo torbida e infesta alla mia tranquillità da lungo tempo ed alle familie del paese.
In questo punto io la soprimo. Le rendite della med. le voglio dare all’ospitale de vostri poveri infermi di questa parochia che è tanto bisignosa. Questa è la beneficenza che vi faccio. Manderò periti per la separazione de fondi, farò procuratori ed amministratori li principali del vostro paese. Quanto prima ne vedrete l’effetto.
Intanto voi Consolo e coleghi pubblici rappresentanti fate noto alla vostra popolazione questa mia determinazione, Voi arciprete fate ciò noto alli componenti la Compagnia di S. Cattarina onde non alleghino ignoranza.
Cio detto il consolo Conti, siccome era fautore della compagnia volle dispensarsi dall’ingiontoli colla scusa che come Consolo non entrava nelle affari della compagnia e che poi la med. non credeva avesse tanto demerito se non su quello di avere intentata lite contro le altre due compagnie nel foro del Vescovato per intervenire alle processioni.
Ciò non ostante, benchè incongrua la risposta, ripigliò il Cardinale: Così voglio, così sarà e li rumori di questo Ceto per le funzioni, massime del SS.mo SS.to saranno ultimate.
Parlato in questa guisa in aria da Principe, licenziò li Comunisti colla benedizione. Poscia senza admettere altre visite di complimento, disse all’arciprete andiamo ad altre visite pastorali, bene avvertito di non andare alla chiesa di S. Cattarina.
Preso il capello cardinalizio tosto andò alla chiesa ed oratorio della Compagnia del SS.mo accompagnato dalli comunisti, non ostante essere stati licenziati, col clero e sei bastonieri capati della compagnia del Rosario e sei della compagnia del SS.mo. Fatta la visita a questo luogo andò all’Ospitale delli Infermi, non volle nemmeno osservare la chiesa di S. Cattarina, sulla cui porta vi erano li caporioni della med. capati, cioè Roco Andrini, Nicola Bernardi, Pietro Gattia, Prospero Orsolini ed altri.
Visitato l’ospitale ritornandosene fu invitato dalli sud. ad entrare nella loro chiesa. Li ributtò dicendo che nelle chiese da esso sopresse non vi entrava. Ritornando alla parochia, veduto l’altare bene ornato di argenti e sagre supelletili comandò la divozione de confratelli nello spendere il danaro ad onore di Dio e non nelle contese. Si pregiò avere esso favorito questa compagnia nell’avere eseguita la grazia dell’uso del gonfalone conferitole da Benedetto XIV a fronte di tante ostilità.
Biasimò acremente l’aministrazione e condotta della compagnia di S. Cattarina annoverando le liti recenti fra essi confratelli, fra le quali la lite per una mensa di scaliola che costò scudi 56. La lite che non si voleva priore un sagristano, sebbene imborsato nel bussolo de Priori. La lite sopra la restarrazione della chiesa. La lite per la colazione della capellania ultimamente fatta dopo la morte di D. Gregorio Conti. La lite per dotare le loro consorelle. La lite per la dispensa del pane fra loro invece della biacciatella. La lite per la capellina nova della loro S. Imagine del Socorso e finalmente la lite che in oggi viene promossa contro la Compagnia del Rosario e del SS.mo che è stata l’ultimo crollo ed impulso al Card. med. per suprimento.
A questa supressione le fu un forte stimolo l’avere il med. Arcivescovo prescritto, a capo dell’annuo consueto calendario, un metodo intorno alle processioni per quello riguardo alle compagnie del SS.mo SS.to, ordinando la preminenza a questa giusto le determinazioni della S. Congregazione de Riti.
Li 11 febraro Rocco Andrini e Nicola Bernardi si portarono tosto a Bologna per opporsi al decreto. Ritornarono il di seguente e riferirono che il Card. era stabile nel suo operato, nè voleva sospendere altrimenti le sue pastorali rissoluzioni, lo stesso avea eseguito il Vicario generale, ne si volle admettere il richiesto perdono, anzichè le fu intimato portare a Bologna li libri di aministrazione. Non ottennero altro che la chiesa non rimanesse inofficiata.
In questa contingenza non stettero colle mani alla cinta ciò non ostante, ma scrissero a Roma li supressi e ritrovarono nella segretaria de memoriali dati al Papa un memoriale del novo arciprete Calistri postulante l’oppressione della compagnia. Altro non mancovvi alli supressi della Compagnia per rivolgere tutta la loro ira ed odj contro il med., se ciò si fosse penetrato da essi prima forse non si sarebbe pervenuto dall’arcivescovo al fatto comesso di opprimere la Compagnia.
In questo tempo accadde nel comune di Campiano sopra Bologna un gran lavino originato dal torrente Sambro che formò un lago di circa due miglia, con gran danno di quel paese. La relazione di questo avvenimento si ritrova scritta da Vincenzo Bella nelle mie colettanee di MM. S.
Li 13 d. giunse ordine all’arciprete dall’Arcivescovo che si spedissero a Bologna libri, instrumenti e tutti li recapiti della supressa compagnia per farne la dovuta distribuzione delle rendite. Li 15 del med. mese giunsero due squadre di sbirri, una del vescovato e l’altra del foro lajcale detto del Torrone, spedita dal Vicelegato Ignazio Boncompagni in ausilio e susidio al bisogno delli sbirri del vescovato.
L’ordine che aveva l’una e l’altra familia armata si era di carcerare chiunque o con fatti o con parole ed anco con cenni, osasse parlare della oppressione seguita dalla compagnia in dispregio del superiore volere. Tutta la notte stette il paese in sospetto, molti emigrarono dal medesimo.
Li 16 d., terza domenica del mese, si fece solenne festa in musica all’altare di S. Vincenzo martire nella parochia, trasportata in questo giorno a motivo delle differenze nate fra li lavoranti canape alla schiantina e li lavoranti canape alla nostrana, come si disse.
In questo giorno celebrandosi la S. Messa dal prete D. Gio. Tomba all’altare dello stesso santo, trovandosi numeroso popolo, avvanti la lettura del S. Vangelo, si presentò al med. altare l’arciprete Calistri e pubblicò al popolo il decreto della supressione della Compagnia del seguente tenore:
In Dei Nov. An. Die IX Februari MDCCLXXII. E.mnis et R.mas D. D. Cardinalis Bo.nie Arch. Ocasione suae personalis pastoralis nove visitationis habite de ecclesia Archipresbiterali C. S. P.ri, et de locis piis sub illa paretia existia, relate ad Confraternite S Cattarine V. et M. in d. Castro, et subilla paretia exit ttunc sequens fecit decretus vid.: I ex causis justis moventibus animum sua R.ma, eadem (…) sua R.ma decrevit omnimodem supresionem istius Confraternitatis, ita ut hodierno die fit et reputari debent omnino extincto, ad quam esse mandat D. Archipresb. Cas. S. P.ri ut tamque execut hius decreti et cum ordinibus cidem p. d. Vicarius Gen. de Mand. Entig. sua R.mo expediens transportare faciat omnes libros scripturas et documenta quovis noto ad d. modo supressa confraternitas. pertineas ad acta Not. S. Visit in iisdem acti osservantur utensilia vero sacra, mobilia et alia supelectilia, que comodo asportavi
poterunt ad civitat. Bonon. valuit per d. D. Archipresbit., quo citius fieri poterit transferi facere et p,. ipsum consignari D. Cancell. S. Visit ad (…), ut eo vendantur summag. retrahenda erogatus ad comodo incti Hospitalis. Quo vero ad usu e.cctag d. Confrat. modo supresse orim eidem adnoxu, aliaque si qua sint adjacentia, Em.tia sua Rev.ma resservavit sibi omnimodo facultatem de illis disponendi juxta illius mentem et placitu.
Alia vero bona stabilia cuiuscumque generis vel (…) stabilibus equipcarentes, itemque alii effectus fortasse non comprehensi in superiori decreto, juraque actines tam achives, qua passivas cadens Em.tia sua transtulit et aplicavit hospitali infirmorum non cupat S. Francisci de Charitate (…) Castri S. P.ri cum omnis onoribus oneribus piis. Dispotionibus legatis: quibus sortasse subiecta event bona p.ta ex gravis dispone juris vel hominibus, resservavit: sibi Em.tia sua Rev.ma facultatem prescrivibendi, decernendi et denandandi methodo que ad economia et bonon. quod personas et numeros presidentius eidem hospitali, et alia (..) que concernere possint tam plenaria executionem istorum decretant tam alias quascumque ordinationes qual in futurum quoad hoc Em.tia sua Rev.ma appatrenas arbitrabiter.
Da M.to Em.tia sua Rev.ma Io Batt. Palmieri S. Pastoralis visitationis Cancell.
Fatta tale lettura in cornu epistole e pubblicata la sostanza nel nostro dialetto toscano del med. decreto, se ne partì.
Quali fossero poi li ultimi confratelli della compagnia si riscontrano in Mandato di Procura, fatto l’anno scorso dal Not. Ser Francesco Conti. Con tale sopressione venne abbassata l’alterigia di un corpo potente per le sue rendite che, o poco o molto, teneva in disturbo le familie del paese onde si può aplicare il versetto: Deposuit potentes de sede et exaltavit humiles. E per che erano tardivi li due Principali della Compagnia supressa, cioè Nicola Bernardi priore e Roco Andrini suo direttore, a consegnare le chiavi della chiesa all’ora fissata delle 16 all’arciprete, per poscia levare d’ivi le scritture, così volendosi usare della forza, furono chiamati li birri oer atterare le porte, vedutisi alle strette li supressi consegnarono le addomandate chiavi.
Il di seguente poi che fu li 16 febraro non ostante la pubblicazione fatta come si è detto del decreto di supressione, allegarono li sud. due capi l’ignoranza del medesimo e, nell’atto della consegna delle chiavi dell’oratorio, ne vollero l’instrumento pubblico di tale consegna allegandosi in esso la sua ignoranza e convenne all’arciprete farne la ricevuta delle chiavi.
Furono in appresso incassate tutte le supeletili, damaschi, cappe, vasi sacri ed altro de quali se ne fece pria l’inventario a rogito del d. Conti. Si fece medesimamente l’inventario a mano dello stesso notaro di tutti li capi e robbe destinati all’Ospitale delli Infermi e si inventariarono ancora le robbe dell’Ospitale per li Pelegrini in Borgo.
Per tale fatto si cominciarono a vedere satire, cartelli e pasquinate contro l’arciprete, contro li frati ed amici del med. ed anco contro l’arcivescovo in rima e parte in prosa.
Adì primo marzo, giorno di domenica, Francesco di Lorenzo Conti notaio sud. prese in moglie Ausonia di Ser Giovanni Bertuzzi parimenti notaio, fratello del defunto ultimo arciprete.
In questo stesso giorno si pubblicò l’Indulto da ova e burro per la quaresima e per che erano nate amarezze fra il d. Conti Not. e l’arciprete novo Calistri non volere li due sposi congiungersi e celebrare il matrimonio in questa sua parochiale, onde però andarono a Varignana ove la sposa aveva congiunti.
Li 11 marzo fu proclamato avere il Card. Arcivescovo ottenuto dal Papa facoltà per li eclesiastici di potere provedersi l’oglio ove le fosse in grado ed essendo molestati dal foro secolare, si sarebbe proceduto secondo le disposizioni de S. Canoni. ciò pose in giubilo la città e tutta la diocesi.
All’effetto poi di riviviscere, li confratelli supressi di S. Cattarina ricorsero a Roma, intendendo di impugnare il decreto. Ma per che per fare liti la prima base è il contante, così fecero li med. un conciliabulo in casa di Nicola Bernardi ed ivi fecero una tassa per cento zechini.
Interposero in Roma la autorità del Card. Alessandro Albani e colla sua protezione domandossi al Papa la reitegrazione ex Grazia; fu dato alla suplica un “lectum”, molto più perché, ciò penetratosi dall’arciprete Calistri, il med. ancora con suplica ricorse affinchè niuna novità accadesse e tanto ne seguì.
Si vide dappoi affisso alle porte dell’oratorio de supressi il seguente versetto che molto li amareggiò: Fecit flagellum de funiculis et ejacit foras. Alle case pure di Pietro Gattia, di Francesco Conti Not., del d. Nicola Bernardi e Rocco Andrini si videro li stessi versetti.
Il Cardinale Arcivescovo oltre avere riparato a li scandali ed alle profanazioni della casa di Dio ed all’ingojamento che facevano dei rediti della compagnia li supressi, che erano più mercenari che veri servi di Dio, mentre mensilmente li officianti la loro chiesa percepivano tre paoli, oltre altre sovenzioni.
Volendo il med. Cardinale usare del proprio una carità al paese, scrisse all’arciprete che farebbe noto al popolo che era stato incaricato dal med. di ritrovare una fanciulla povera, la più dotta nella dottrina X.tiana e così pure un fanciullo nati di onesti parenti che entrambi voleva dottarli e beneficarli, che però fra breve tempo ne auria esso fatto in pubblico la esperienza. Piaque molto alla Povertà una tale determinazione.
Il giorno 11 d. morì l’alfiere Giuseppe Bartolucci in Castel S. Pietro sua patria, fu uomo di somma pietà, fu l’erede delli famosi Fabri estinti in Ginevra come si disse e fu sepolto nella chiesa de Capuccini.
Li 15 d.,giorno di domenica, l’arciprete novamente impose a tutti li maestri e maestre della dottrina cristiana dar nota dei loro fanciulli e ad intruirli bene per il conseguimento della beneficenza dell’arcivescovo, quali, poi esaminati che fossero, ne avrebbe fatta una imbostazione per indi farne la estrazione.
Perchè furono attribuite le affissioni dei versetti antescritti contro li supressi provenire dalli preti e dalli dipendenti dell’Arcivescovo, si vide la mattina delli 20 corente marzo affisso alla chiesa parochiale il seguente epitaffio o sia piutosto inscrizione e memoria in contrapunto delli versetti.
Vincentio Malevitio Bononie Archiepiscopo
Maximo societatum persecutori
Qui nedum Societatis S. Catharinae Castri Sampetri
Sed societatis quoque Jesu Bononie, eiusque
Pastorali abhorrente sollecitudine
Assidua abolitionis Audacia
Apud Ponteficem Promotor magnus extiterit
Societates Lugentes
Eximio Destruetionis Piorum Patrono
Mem. Eter. hoc argumentum esto
Fu levata tosto e spedita al Cardinale, che vieppiù montò in ira e si impegnò nella sua volontà. Li 28 d. il med. cardinale fece il decreto per gli atti Nanni della Deputazione delli Aministratori delle robbe e beni della supressa compagnia e furono come si legge nella unita copia.
Eletti intal guisa per aministratori l’arciprete Calistri e li signori Savino Savini moderno priore della compagnia dell’ospitale, D. Francesco Trochi, li sign. Giuseppe Dalle Vache o Vacchi, Lorenzo cap. Graffi, Giuseppe Forni, Mariano Manaresi, a quali unì ancora due del corpo de supressi, cioè S. V. Ottavio Dall’Oppio e Francesco di Pietro Conti, li quali rifiutarono l’impiego.
Adi 19 d. si fece la imbustazione di 14 citelle delle 14 classi della dottrina X.cristiana; furono in appresso estratte tutte ad una a una per evitare l’accusa di parzialità e l’ultima che venne estratta fu Tomasa di Battista Castellari, alla quale fu data la dote di scudi 60.
Si procedette in egual guisa colli fanciulli e di 17 classi estratto uno in ultimo fu Giuseppe Bergami, a questo il porporato le fece passare eguale riconoscenza. Poi fu spedito a Bologna ove il Cardinale ne fece raccomandazione alli frati teatini che lo presero per loro chierico, dove poco rimasto passò presso il dott. Palmieri sud. che lo fece intruire nel latino.
Li 5 aprile, domenica di Passione, nella compagnia del SS.mo SS.to si benedirono 54 donne fra le quali ve ne furono tutte delle migliori case del paese cioè Maria Cappi Graffi, Cattarina Bochettoni Cavazza nipote del Monsig. Gio. Antonio Bachettoni vescovo di Loreto e Recanati, Maria Mazzanti Farnè, Cattarina Lugatti Andrini, Antonia Tobatoi Giordani ecc.
Perchè nelli sacelli dell’Oratorio di S. Cattarina molti confratelli vi avevano la loro rispettiva cappa, furono per ciò invitati li proprietari a riceverli, furono negativi per non dar stato all’arcivescovo di avere acettata la supressione. Quanto poi all’altre cappe che erano della compagnia, furono queste levate e portate all’Ospitale delli Infermi.
Aveva la compagnia due campane sopra il tetto della chiesa colle quali si invitava il popolo e la compagnia ai divini offici. La mattina delli 25 d. furono levate entrambe, ma poichè la chiesa doveva restare apperta, si rimise la picola in loco della grande, come si vede oggi giorno. Li armari della sagrestia, manifattura particolare delli Alberici di Castel S. Pietro d. per sopranome: li Lavori per la ingegniosità delli loro manufatti, furono trasportati nella sagrestia della parochia una volta capella di S. Cattarina, come si vede.
In tale frattempo che si asportavano questi mobil dalla chiesa di S. Cattarina alla parochiale non mancarono insulti alli operari, prima con (urla) poi con sassate da persone nascoste, fu attribuito ciò a Nicola Bertuzzi, abitante in faccia a S. Cattarina e confratello d. Niccolone o Nicolazzo, uomo populare, in per lo chè fu carcerato da birri del vescovato.
Il senatore Marsili, uno della Assunteria di Governo, venne a visitare il Silaro che minacciava la via romana.
Non passava giorno che non si sentissero insolenze, provocazioni e cimenti provenienti dalli supressi, contro li aderenti all’arciprete, si vedevano continuamente sattire e cartelli contro l’arciprete massimamente e contro li superiori.
In tale frattempo ricorsero di novo li supressi al Papa con suplica, che fu raccomadata al Card. Alessandro Albani, loro protettore, detto Albanone, per diffendersi dalle opposizioni datele dall’arciprete e coadiuvato dall’arcivescovo.
Assediato il Papa fece il rescritto seguente: Ad prefectus S. Concili qui scribat E.mo Archiep. pro intructione et noto. Ottenuto tale rescritto il prefetto della Congregazione adempì prontamente e perchè temevano li supressi che il Card. Arcivescovo potesse occultare e dissimulare la ricevuta del med., essi lo volevano presentare, ed infrattanto prosseguirono li disturbi, in modo che fu costretto spedire una cavalcata a Castel S. Pietro che , doppo alquanti giorni che stette quivi l’uditore di Cento Stefano Sachetti col Not. Varini, partì li 30 aprile.
Furono attribuite le sattire al P. Gio. Maria da Bologna MM. OO. degente in questo convento di S. Francesco et al maetro di scuola D. Alessio Camaggi. In seguito li 5 maggio furono carcerati Rocco Andrini come capoposto per avere franto il precetto avuto dal criminale vescovile di non sparlare dell’arcivescovo, secolui Gio. Francesco Andrini fratello e Bartolomeo Giorgi, che si erano vantati volere seminare scritti sopra la inutilità del fare presentemente elemosine all’Ospitale delli Poveri Infermi ed a levare dalla parochia le due congregazioni di S. Luigi Gonzaga e S. Maria Madalena de Pazzi col trasportarle, mediante emigrazione de componenti, le med. congregazioni alla chiesa di S. Francesco.
Essendo più di un mese che continuamente pioveva dalla metà di aprile fino alli 13 maggio fu fatto un triduo alla B. V. del Rosario colla esposizione della S. imagine, terminato questo fu portato processionalmente dalle due compagnie unite del Rosario e del SS.mo nella pubblica piazza e si ottenne la sospirata serenità e essendo le piogge che di giorno e notte cadevano in modo che, non solo li uomini non potevano procacciarsi il vivere, ma nemeno le bestie e li lavori rurali non si effettuavano, li frumenti già cerano e le erbe li opprimevano.
Il giorno seguente 14 maggio furono scarcerati dal vescovato li tre sogetti, Rocco Andrini con la condanna di scudi 60, Bartolomeo Giorgi di 10 e Gian Francesco tenente Andrini di 20. Questi due ultimi rimasero in Bologna per alquanti giorni a confrontare il d. P. Gio, Maria M. OO. per le sattire da esso fatte e ritrovatele, il di lui cognome è della familia Panbiani.
Il med. giorno su le ore 24 venne un temporale all’improvviso che scopiando una saetta colpì questo Ospitale delli Infermi nel dormitorio delle donne dalla parte di ponente offendendo il solo tetto ed alle inferme niun male fece. Per tale accidente non mancarono li supressi di fare schiamazzi e vieppiù insolentire con lo scruttare la suprema volonta divina.
Li 25 maggio si intese che la lite pendente in Roma fra la Compagnia del SS.mo ed il dott.ore Anibale Bartoluzzi era stata da questo superata in Rota.
La S. Imagine di M. V. detta del Socorso che veneravasi nella chiesa di S. Cattarina fu trasportata nel dormitorio dell’Ospitale delli Infermi e collocata sopra l’altare in nichia ben custodita, più di quello che era nella sua chiesa di S. Cattarina che stava appesa a un chido da cavallo.
La med. Imagine è parto del celebre penello Lorenzo Casinelli, scolaro del famoso Guido Reni, ella è appena bozzata, ma lo spiritoso puttino che tiene su la ginochia sinistra scherzante con benda e croce è fornito. Aposta che fu nell’ospitale niuno de supressi andò pure a mirarla.
In questi giorni cominciò novamente e continuamente a piovere. Li 17 d. acrescendo vieppiù la pioggia, la compagnia del SS.mo determinò andare processionalmente alla visita della altre chiese ove è il SS.mo SS.to per implorare la serenità. Li 18 cominciarono il triduo ed ogni sera nell’oratorio scoperto il miracoloso X.to si diede la benedizione col SS. SS.to. Non furono neglienti li contadini conponenti la compagnia di S. Antonio Abbate, che terminato d. triduo ne fecero essi pure il suo avvanti il loro protetore. Ciò non di meno cadevano piogge dirottisime mischiate anco a gragnuola.
Il grano e marzatelli si alzarono di prezzo per un terzo di più, il pane da pavoli 17 la corba andò in pochi giorni alli 24, il formentone dalli 10 andò alli 17 pavoli.
Nicola Bertuzzi che fino ad ora era stato distenuto in carcere nel vescovato, colla condanna di cento lire fu messo in libertà sotto rigorosissimi precetti.
Li 13 d. si videro fuori nove satire contro l’arcivescovo e sua nipote maritata nel Sen. Scappi, ma dal marito allontanata, contro l’arciprete e il Cap. Graffi.
Adi 10 maggio morì donna Ida Baldazzi, al secolo Lorenza di Castel S.Pietro figlia della fu Camilla Cavazza ed Antonio Bertuzzi, monaca del monastero di S. Leonardo di Bologna, doppo avere sostenuto più volte tutte le cariche primarie di Abbadessa e camerlingato del monastero con somma lode e piacere comune.
Il regimento di Bologna doppo aver con tutta la energia procurato la sospensione delli atti giudiciali in Roma con questa Comunità sopra li artisti col pretesto di una composizione, diede per via di sottomano una supplica al Papa implorando la diffinizione a suo favore, cercando di far constare il nocumento che inferivano li lavoranti canape alla schiantina di Castel S. Pietro a tutti li lavoranti canape all’uso nostrale. Il Papa attese la pendenza giudiciale, non volendo strazzare “auctoritati supremae” la causa rimise la instanza all’A. C. “pro infirmatione ut de jure.”
Vedendo li supressi che le loro cose andavano di male in peggio, per atterire li suoi contrari cominciarono ad andare armati ed a formare congregazioni, per effetuare le quali, a scanso dell’accusa di amutinamento, presero dal legato licenza di potersi unire e formar corpo. La ottenero ma l’arcivescovo per questo nulla si atterì e mosse ancor esso la sua familia armata che di quando in quando faceva a Castel S. Pietro sorprese.
Infrattanto diedero nova suplica al Papa per la rivisione della sua causa, in seguito di che li 3 giugno ne venne lettera dall’arcivescovo pro infirmatione. Perchè pure questa lettera non fosse ignorata, il d. Francesco Conti li 13 corrente coll’Avvocato Ruggieri fu presentata a sigillo volante all’arcivescovo. Il contenuto della lettera imponeva che si dicesse la causa e le ragioni per cui si era mosso a suprimento la compagnia.
L’arcivescovo sentito tale tenore diede in ira contro il Conti e promise al med. che fino alla morte voleva sostenere il suo operato. In frattempo si interposero li arcipreti D. Luigi Conti curato di S. Agata e l’arciprete D. Domenico Cervellati curato di S. Martino in Petriolo affine di calmare lo sdegno del porporato da una parte colli supressi e dall’altra ordinò l’arcivescovo all’arciprete et alli novi amministratori inprontare documenti contro l’operare delli supressi.
Il giorno 15 d. essendo venuto l’arciprete di S. Agata a Castel S. Pietro dunque, come quello che aveva per la parentela partito nella sopressa compagnia, propose che dessero supplica al Card. per conporsi e la soscrivessero li capi. Fu fatta dal med. arciprete la estensione, fu acettata, anzichè tutto all’opposto fu estesa.
Chiesero questi in primo loco la reintegrazione, poi la restituzione ex integro di tutto quanto mancava e resazione di danni, facoltà di fare le funzioni senza canone al paroco, ed ahimè, per avallare la quale procurarono attestati, per fino dalle tre Relligioni locali. Le quali furono negative e solo il guardiano di S. Francesco P. Simone da Reggio fece attestato della utilità di questa compagnia. Li aministratori infrattanto accumularono notizie e furono date all’arcivescovo, che da me furono inprontate le copie.
Quando, dovendo l’arcivescovo rispondere a Roma e non bastando le notizie avute, ordinò novamente alli aministratori farne una colettanea senza la quale non poteva fondatamente rispondere.
L’arciprete Conti, in adempimento del suo assunto, presentò all’arcivescovo la supplica de supressi, ma per essere ella troppo ardua e vergognosa al porporato stesso se la approvava, il med. la segnò un Lectum, ed infrattanto giacchè vedeva in qualche modo umiliati li supressi fu pensato dall’arcivescovo fare alcune proposizioni.
Domenico Soglia detto Furbaria, contumace della giustizia di Bologna, frequentando la Toscana con trasporto di grano unitamente ad altri contrabandieri di Casalfiumanese, ed avendo altresì ottenuto dalla Regenza di Toscana un salva condotto per 18 mesi, fu nel di 17 corente giugno arestato in Barberino nel tempo che andava alla fiera di Prato. Non fu però agevole la cattura alla familia armata; mentre egli, quantunque rinserato nella stanza di udienza avvanti quel giudice, non avendo che un picolo colteluccio ed un cane di mediocre quantità, fece argine tale alli famigli che fra li morsi del cane e le ferite del coltello, andarono segnati in cinque ed il famiglio che le gettò un laccio al collo fu più di tutti mastratato dal cane.
Il giudice che si trovò presente a tutto ebbe molto a fare al segno che temette di essere egli colpito, si sottopose sotto il banco della udienza finchè fu finito il rumore. Carcerato il Soglia ebbe in Prato unqa prigionia di 80 giorni poi fu consegnato a Bologna ove fattole processo per il fatto del tenente Pelegrino Mei detto il formidabile Vaina, avendo egli provata la coartata con una finissima furberia, non potette che il tribunale che condannarlo in vita alla gallera.
Attesa poi la rimissione del materiale dato al Papa e da questo rimesso all’A. C. per la vertenza de schiantini, fu decretato che non si impedisse la esenzione de bandi fino all’exitum litis, che però ottenuta questa provisione, ricorse il Senato alla segreteria di Stato, quale in seguito ordinò al Legato la unita notificazione stampata li 16 giugno anno corente, che tosto fu affissa ai luoghi soliti del Castello e Borgo nel dì 19.
Li 20 d. ritornato a Castel S. Pietro l’arciprete D. Luigi Conti, d’ordine dell’arcivescovo il med. chiamati li capi dei supressi, le presentò un foglio di moderazione sopra le loro riviriscenze esteso con intelligenza del Cardinale stesso, li cui Capitoli più importanti furono che non si parlasse più di cappazione, che la aministrazione de beni rimanesse secondo il decreto, che quanto alla ufficiazione della chiesa ed apertura della med. dovessero stare alle leggi del diritto vescovile, che tutti li contumaci sarebbero stati assoluti da pena e colpa nel suo tribunale. Non volero essi acettare alcun capitolo, dicendo bensì che le loro prime domande erano troppo giuste e che la cappazione doveva essere il primo punto di concordia e così resto l’affare indeciso per alquanti giorni spirati li quali nel di 27 fecero una congregazione in casa di Nicola Bernardi, nella quale furono fatti li seguenti progetti da presentarsi al porporato in ossequio ancora della venerazione al med., cioè che si apra la chiesa come prima sotto il titolo di S. Cattarina., che la imagine della madonna, trasportata nell’ospitale, sia trasportata da sopressi con piena libertà nella sua prima capella e chiesa, che l’aministrazione de beni si ritorni in mano de supressi ed essi passino una annua prestazione all”ospitale a piacere del superiore, detratti l’obblighi e le altri assegni per la chiesa. Che ogni giorno festivo sia celebrata la messa nella d. chiesa. Che la terza domenica di ogni mese si dia la benedizione del SS.mo in d. chiesa conforme l’uso e si restituisca la campana levata.
Fatta tale capitolazione fu nel di 28 presentata dall’avvocato Ruggeri al Card. in seguito della quale cosa il cardinale soggiunse che accordava la chiesa aperta col suo primo titolo, le messe e le funzioni addomandate, che la campana sarebbe restituita, che l’aministrazione de beni non voleva ammoverla dal decreto, ma che avrebbe nel numero delli aministratori intromesso numero sei de supressi, finalmente quanto al trasporto della imagine dall’ospitale alla sua chiesa primitiva, come pure l’apertura della chiesa, voleva che la funzione fosse fatta dall’arciprete e ciò fu l’ultima rissoluzione del Cardinale.
Essendo stato estratto Consolo per il prossimo secondo semestre Gio. Alessandro Calanchi si presentò il di 5 lulio al Card. arcivescovo che quivi per un ora si fermò dall’arciprete e dopo averlo complimentato con due comunisti fu congedato e se ne partì alla volta di Martino in Petriolo alla visita pastorale.
In questo frattempo si li supressi si procurarono dal Card. Albani una comendatizia per essere ascoltati dall’arcivescovo troppo irritato, non avendo essi coraggio di presentarla interposero il Senat. Bartolomeo Bolognini, che pure negò prestarsi all’impegno sapendo il tutto.
Finalmente Pietro Gattia, uno de supressi, si fece coraggio e portatosi ad Ozano ove era passato l’arcivescovo a benedire quella chiesa, fece l’istanza di presentarsi al porporato. Negò questi l’accesso e perchè colà vi erano l’arciprete Cervellati e l’arciprete Calistri fu concesso al primo ricevere l’ambasciata colla lettera, che letta dall’arcivescovo la portò in sensi di bona grazia e per fare costar questa, incaricò il med. arciprete di proporre ai supressi la soscrizione di una nova capitolazione.
Fra li capitoli più importanti furono che non si parlasse di cappazione, ma di applicazione de beni., che si riaprisse la chiesa, che si trasportasse la Madonna nei termini già dichiarati, che tutte le feste vi fosse la celebrazione della messa, che la benedizione del SS.mo si desse le domeniche prescritte secondo l’uso antico e che si facessero li aniversari per li morti loro e le sepolture, esistenti nella parochiale ove ora è la sagrestia, servissero per li confratelli e consorelle supressi.
Fra pochi giorni venuto a Castel S. Pietro l’arciprete di S. Martino col foglio della capitolazione sud. per farla sottoscrivere a tutti li supressi, fece loro una chiamata a questo effetto. Niuno si volle prestare eccetuato D. Lodovico Oppi perche prete e capellano della parochia, che unitamente con Francesco di Pietro Conti, per essere stretto dell’arciprete di S. Agata D. Luigi Conti, si sottoscrissero.
Li portò indi il med. arciprete Cervellati dal M. Francesco Conti capo popoli e direttore delli supressi, che guardava il letto per risipola, all’effetto di rinovarlo all’impegno, fu egli negativo. In seguito di che passò l’arciprete ad una gagliarda strillata a nome del cardinale soggiungendole per fino che l’arcivescovo aveva tanto in mano contro di esso nel suo tribunale onde farlo marcire in una carcere, al che replicando il Conti essere egli notaio e stipendiato de supressi, questo in loro nome faceva, non poteva l’arcivescovo impedirlo per giustizia. Crebbero le altercazioni in modo che le repliche divenero criminali.
Ciò pervenuto a notizia del cardinale non la passò sotto silenzio ed il Conti da un altro canto temendo, avendo avuto notizia che la familia armata dell’uno e dell’altro tribunale di Bologna veniva a Castel S. Pietro, se ne fuggì nel convento de capuccini con Pietro Gattia a quale vi tennero dietro quasi tutti li supressi in N. di 30.
L’arciprete intanto di S. Martino ritornato di Bologna, vedendo stare li supressi ritirati per le minaccie fatte, li notificò da parte del Cardinale che sebbene erano in loco imune, quando li avesse volsuti, li avrebbe anco avuti se fossero stati entro il Tabernacolo, per che esso comandava anco nelle chiese e monasteri, che per ciò potevano tutti andarsi alle loro abitazioni e famiglie che esso li garantiva dalli suposti e temuti aggravi.
Li ritirati non fidandosi di simili parole volero in iscritto la sua garanzia a nome del cardinale. Egli la fece e se ne rogò l’atto il Not. Giovanni Bertuzzi con parola regia. Ciò ottenuto li ritirati, preso un poco di repiro, soggiunsero che volevano di tutto farne inteso il Card. Albani e che infrattanto suplicavano il Card. Arcivescovo ascoltarli, che avrebbero umiliato le loro instanze.
Non ostante che il calmiere del grano fosse a scudi 11 la corba, attese la grandi pioggie passate, temendosi di una scarsa raccolta passò il prezzo a scudi 14 e 15 la corba, onde il legato temendo che li grani potessero andare nella Toscana, fece sigillare tutti li magazeni di grano di Castel S. Pietro. Dappoi nel di 17 agosto mandò fuori il Notaio della Grascia Bernardo Monti, ad aprire li magazeni, ed in pena alli contrabandieri d’avere alterato il prezzo del grano fino a scudi 17 la corba, ne volle esso 40 carra per uso della città, poi fece vendere all’incanto una quantità considerevole di formentone al prezzo piacevole del d. Monti.
Fu miracolo che non si sentissero amazzamenti fra li birri e contrabandieri. Poi li 26 lulio si publicò un bando del Card. Legato in cui ordinò che tanto li grani quanto li marzatelli di qualunque persona anco del contado fossero introdotti nella città, stante la presente penuria.
Per tale bando si sentì gran bisbiglio nella popolazione. Ordinossi pure in tale bando che tutti li contadini dovessero imediatamente battere perchè si voleva terminare la introduzione delle granelle a tutto il 15 prossimo agosto, perchè poi si pressentivano grani nascosti nel contado.
Fu concesso alle sbirraglie ed alli soldati di marcia fare ricerche e requisizioni nel territorio. La miseria era tanto grande che il vescovato ordinò a tutti li consoli delle castella fare una questua per li mendicanti di grano e di danaro per il riscatto delli cristiani schiavi del turco e di Terrasanta.
Li supressi più destri dell’arcivescovo informarono tostamente il loro protettore Card. Albani da una parte e dall’altra avvisarono il suo legale in Roma Gio. Barttista Pasanisi afinchè prendesse egli le misure opportune e le spedirono la scrittura inita coll’arciprete si S. Martino.
Il legale finchè conobbe il tempo propizio si presentò con scrittura legale al Cardinale de Rossi prefetto della Congregazione del Concilio e lo indusse scrivere al card. arcivescovo come fece a nome della Congregazione imponendole novamente dar conto delle cause e ragioni della supressione, poichè li supressi volevano diffendersi dalle calunie e dalla oppressione fattale dall’arcivescovo.
Il Cardinale de Rossi fu alquanto restio condiscendere a si ardita petizione, pure convenne seguire la traccia della giustizia, ma con tutta la lentezza possibile per dar campo all’arcivescovo di premunirsi, ed infrattanto per lettera estraordinaria fu avvisato di ricercare ed improntare strumenti, come di fatti fece.
Scrisse all’arciprete che la informazione datale non era sufficiente ma che faceva duopo inpugnarla, per far la qual cosa impose a me erede Cavazza fare uno spoglio di tutte le omissioni delli confratelli passati della compagnia e dei presenti e della loro mala aministrazione e littigi fatti, inquietudini tanto al particolare che all’universale del paese corredandolo di documenti ed in fine autenticandolo col segno pubblico di notaio.
Siccome poi li birri e familia armata del Card. Arcivescovo, pendenti queste questioni, trattenevasi quivi, cominciarono essi andare alla campagna del nostro teritorio a questuare formento e grano, cosa non più praticata.
Li contadini male la sentivano, onde ricorsero alla Comunità. Questa sentendo le giuste lagnanze si rivolse all’arciprete novello, che come vicario foraneo ancora impedisse una tale birbaria. Egli scrisse all’arcivescovo, ma con fredezza tale per non inimicarsi, che poco fu curata la instanza e solo al termine di lulio cessarono li birri dopo di avere di già fatto il suo interesse.
Avendo li supressi ottenuto, come si disse, la parola del cardinale Prefetto della Congregazione del Concilio di imporre all’arcivescovo rendere ragione del suo operato, fu loro spedita la lettera della Instruzione e nota. Rocco Andrini ed il Notaio Conti, avuta in mano la lettera originale da presentarsi al Cardinale, tosto li 13 agosto andarono di volo dal med., si presentarono facendole noto la lettera del Card. Prefetto.
Li ricevette ma in aria di principe, aggiungendo loro che la udienza che le dava veniva in grazia dell’amistà fra esso ed il Prefetto, poi avendole soggiunto che volendo qualche cosa lo esponessero, egli si saria prestato a farla purchè non si trattasse dei due punti primari di supressione e di applicazione de beni, mentre era pronto piuttosto perdere la porpora, che recedere dal determinato.
Non seppero che aggiungere li due ambasciatori, se non che avrebbero comunicato il tutto al resto de supressi e ne avrebbero data cattegorica la risposta e sollecitamente semprechè esso Card. avesse accordato la convocazione di tutti li confratelli, annuì esso per assicurarli da una processura di amutinamento; infrattanto fecero avviso a Roma.
Li 20 d. essendo morto in Castel S. Pietro il P. Gioachino Calano, ex gesuita spagnolo di nazione messicana in casa di Bartolomeo Giorgi presso il palazzo del sen. Malvezzi, di anni 80 della città di Angelino, rettore e capo delli ospiti in d. casa, le fu ordinato un solenne funerale dal P. Giuseppe Silva a tutte sue spese.
Così la sera di questo giorno con 200 lumi, fu trasportato il cadavere alla parocchiale accompagnato dalle tre frattarie e compagnia del SS.mo, eslusa quella del Rosario a causa della predicazione dell’arciprete e solo vi andarono otto capati della prima, non ostante che l’invito fosse prima di tutto il corporale, il mattino si fu che venne tal ordine dal vescovato di Bologna procurato dall’arciprete Calistri.
L’acconpagnamento riescì pomposo e la estenzione della pompa funerea cominciava dalla porta maggiore del Castello e si estese fino alla porta della chiesa arcipretale. Tutti li gesuiti avevano il lume in mano come lo avevano tutti li altri regolari. Lo splendore era tale che pareva ardesse il castello. La mattina seguente che fu li 21 agosto si fecero le esequie con pompa tale, come se fosse stato qualche prelato.
La chiesa fu tutta apparata a lutto, assistettero alle esequie li gesuiti sempre con lume acceso in mano fino alla fine della funzione con infinito numero di messe.
Saputosi dell’arcivescovo che li supressi operavano ocultamente, fece sorgere alli due deputati Andrini e Conti che dessero la risposta promessa, ubidirono prontamente e fu tale che si voleva dalli supressi la reitegrazione di tutto.
Furono perciò dal vescovato spediti li suoi birri a Castel S. Pietro col pretesto di vedere se si osservava il bando sopra l’osservanza delle feste, tanto più che dovevasi fare il giorno 24 d. festa di S. Bartolomeo la consueta fiera in Castello. Difatti cominciatasi la fiera, quando si giunse all’ora dei divini offici furono tutti li merciari fermati e scompigliato il tutto dalla familia armata, che sembrò il paese messo a sacco vedendosi fuggira chi qua chi la, paesani framischiarsi a forestieri, chi nelle case, chi nelle chiese e dove si potesse per la meglio.
Il card. Arcivescovo poi non volendo esso stare colle mani alla cintola, finalmente fece la sua risposta all’E.mo prefetto de Rossi, che la coredò di una colettanea di raggioni improntata da me, coroborata del segno pubblico di Notaio per la sua validità, sotto il di 25 corente agosto, la quale nel sommario stampato in Roma per il Lazarini si vede.
Pendenti queste cose e mancando danaro alli supressi per prosseguire l’intrapresa lite, sparsero voce che quanto prima si saria veduta la chiesa di S. Cattarina aperta, officiare l’oratorio come prima e li aderenti all’arciprete carcerati e sotoposti alla restazione di ogni danno, spese ed interessi, che per ciò faceva luogo improntare danaro affine di suplire alle enormi spese corenti in Roma nelli tre legali Lippi, Pasanisi e Zucchini famoso avvocato.
Furono perciò pieghevoli li supressi e le loro familie ancor più miserabili de supressi al segno di privarsi dei loro ori ed argenti inservienti al proprio ornato, molto più perchè venivano speranzate di essere reintegrate, avuta che avessero li beni della compagnia colle rendite e colla reffezione delli danni e spese, che dovendole l’arciprete, il Cap. Graffi ed altri aderenti imbarazzati in questa causa.
Accrebbe più la loro speranza e profusione di danaro il vedere che il dì primo settembre partirono per Bologna l’arciprete ed il Graffi sud. chiamati dal vescovo, ma il vero motivo si fu che l’arcivescovo e vicario generale volle fare consapevoli li med. della informazione. Vedendosi poi anco che la permanenza in Bologna delli due soggetti oltreppassava il consueto, accrebbesi la voce sparsa, che quelli erano distinati in città in luogo della carcere, fino a novo ordine di Roma.
In questo stato di cose si accrebbero all’arciprete li contrapunti.
Imperciochè facendosi in questo giorno primo settembre la processione della B. V. della Centura per il Castello e Borgo dalli agostiniani senza l’intervento del clero secolare, si volle questa fare con maggiore e più solenne pompa del passato, si invitarono per ciò tutte le altre due frattarie di S. Francesco e Capuccini e Compagnia del SS.mo SS.to, ed alquanti capati della Compagnia del Sufragio eretta nella chiesa delli d. agostiniani di S. Bartolomeo e si fece pomposa processione più del solito.
L’arciprete che amaramente soffriva questo affare promosse avvanti l’arcivescovo istanze calorose. Lo ascoltò il Card. al segno di scrivere a questi capi Relligioni che nell’avvenire si astenessero da simili novità e quindi naquero maggiori le amarezze in paese.
Li supressi per accrescere viepiù le loro doglianze e far costare le soverchierie del novo arciprete il di 5 entrante settembre fecero girare pel Castello un attestato che la chiesa e oratorio di S. Cattarina si era si sempre officiato con funzioni edificanti e decorose, che niun scandalo avevano mai dato li supressi, che essi facevano elemosine ai poveri del paese ed esercitavano quelli offici di pietà che mai l’arciprete aveva usate con alcuno nè in pubblico, nè in privato e che troppo era necessaria la riviviscenza della compagnia per bene della popolazione si in spirituale che in temporale.
Penetratosi dalle tre Relligioni paesane che dall’arciprete novo si facevano ricerche per abbatere li loro capi e scemare le loro funzioni, fecero fra di loro una lega di andare sempre assieme nelle processioni ed uniti e che in avenire niuna Relligione sottoscrivesse materiali od attestati senza la comune intelligenza e consenso, dovendo sempre precedere la firma delli agostiniani.
In prova di ciò li 14 settembre, che fu la festa consueta di S,. Nicola da Tolentino, si fece solenne processione delli agostiniani essendo priore del convento il P. Giuseppe Dalla Valle di Castel S. Pietro, alla quale intervennero le due frattarie, la compagnia del SS.mo e li capati del Sufragio, non ostante il divieto su esposto e convenne all’arciprete suo malgrado vedere amplificarsi le funzioni, che esso cercava diminuire.
Doppo queste cose si sentirono nuove satire e si videro cartelli denigranti sparsi per il Castello e Borgo. L’arciprete poi, per disimulare l’odio concepito contro li frati, corendo la festa anniversaria traferitasi dalli uniti devoti a S. Luigi Gonzaga, ordinò che alli 20 corente settembre si facesse con maggior lustro e ne incaricò per il panegirico il P. Lettore Christiano Christiani agostiniano degente interinalmente in questo convento di S. Bartolomeo, che doppo pochi anni ebbe la dignità di prelato nella corte pontificia.
Medesimamente il di 21 facendosi la festa di S. Maria Madalena de Pazzi dalle donne unite nella parochiale, si fece il panegirico dal P. Giovan Maria da Bologna MM. OO. degente in questo convento di S. Francesco, poeta singolare, che si scoperse poi autore di satire.
Li 26 settembre la fama di D. Antonio Rubbi, paroco e prevosto di Sorisola nella Lombardia transpadana, essere uomo miracoloso, portò a questo loco il nostro consolo Gio. Alessandro Calanchi per essere liberato dalli insulti di epilessia, ne conseguì la grazia e fu liberato.
La mura del castello all’orto de PP. di S. Francesco trovandosi ruinosa, la comunità la fece riattare colla spesa di scudi 25.
Il raccolto dalla canepa essendo andato male al segno di vendersi soldi sette la libra il gargiolo, fu motivo che molte boteghe furono chiuse nella città e nel contado. Non solo fu scarsa la racolta nella canepa, ma anco nelli altri generi, cosiche al principio di ottobre il grano si vendeva pavoli 30 la corba, il formentone 20, il miglio 20, la fava 21, li altri marzatelli 18 e l’uva scudi 70 la castellata nel contado, nella città andò fino a 100.
Stante la penuria di viveri e la mancanza della canapa, trovandosi molti oziosi, pensò il V. Legato Ignazio Boncompagni impiegarli, quindi mise fuori un proclama e purchè avesse vanghe e badili chi voleva andare al taglio benedettino saria tosto ivi impiegato.
Il sempre ricordevole Barnaba Trochi uomo non meno sagace e industrioso, essendo amante di scoperte oltre la professione che aveva di machinista, ma semplice e chiaro nelle invenzioni sue e facile nella esecuzione delle med., doppo essersi fabbricata una decente casa nella via di Saragozza di sopra che fa coll’orto angolo, si fabricò anco un molino da olio e, perchè vi mancavano le macine, scoperse egli nella vicina collina, sotto il Castelleto in loco d. la Ghisiola alias : la Chiesola, una durissima vena di sasso atto a fabbricare macine e moli. Ottenuta la licenza dal proprietario del fondo ne cavò due bellissime e per la grandezza e per la qualità, che se le fece condurre in Castello su di un attreccio di nova sua invenzione. A questo sogetto siamo anco in obbligo di questa ritrovata. Le ruote si conservano nel suo molino e pistrino da olio in questo Castello presso casa sua.
Aveva la Comunità determinato di andare ad ascoltare le prediche tanto di Quaresima che di Avvento e sedere nel proprio banco a fianco dell’arciprete. Accade che nel di 14 Not. Nicolò Bernardi, priore già de supressi, avendo la propria banca in vicinanza del banco della Comunità, pretese che non si dovesse movere dalla sua ubicazione, si ricorse per ciò al V. G. di Bologna per averne il suo oracolo, rispose che si osservasse il solito.
Li 5 d. giorno dedicato alla gloria di S. Cattarina V. e M. la chiesa de supressi che, fino a questo punto doppo la supressione era stata chiusa, si aperse d’ordine dell’arcivescovo e si fece la festa colla celebrazione di sei messe, ma l’oratorio stette chiuso.
Minacciava da molti mesi la corente del Silaro la via romana, onde essendo venuto alla visita per ben due volte il sen. Marsigli col perito Agostino Ciotti, si cominciò in questo tempo il riparo con tre penelli verso ponente a fronte del macero e della via romana, fu incaricato il Cap. Lorenzo Graffi e la spesa amontò a scudi 2 milla.
Il P. Francesco del fu Giuseppe Canetti di Castel S. Pietro MM. OO. primo calealerista della Provincia, essendo stato promosso al provincialato della Lombardia, ricusò solennemente a tale carica.
La Comunità, che aveva determinato andare alle prediche nel proprio banco a fianco dell’arciprete e doveva sedere la prossima domenica di Avento, li supressi malsoferenti l’onore all’arciprete ed anco per intorbidarle il governo e sua quiete, si unirono sopra la mozione delle banche. Quindi il Dott. Sincero Gordini, Antonio Gordini fratelli, Nicola Bernardi e Bartolomeo Giorgi, che avevano banche nella parochia nella linea ove si dovevano accomodare li sedili per la Comunità a fianco dell’arciprete, fecero eseguire al med. arciprete ed a D. Francesco Trochi sagristano della arcipretale inibizione di Roma di non dovere movere dal loro sito le proprie banche. Fu estradate la inibizione in Roma per gli atti Giacobucci, notanti l’A. C. registrati al fol. 66.
Non fu però atteso questo monitorio e prosseguì l’arciprete a fare la mozione delle banche tutte per comodo delle predicazioni secondo il solito. Si agitò la causa e fu superata dall’arciprete per due ragioni, l’una perchè quid contiavat non attentat, contro la purgazione delli attentati pretesa, l’altro perchè non essendo stabilmente abicati li banchi ma mobili, poteva e vuole il paroco o chi altro possessore di chiese addatare le banche al comodo della chiesa, come si legge nella sentenza sopra questo fatto sul dubbio Bononiensis Scamnov. E così il di 29 la Comunità andò al suo consueto posto.
Nello stesso giorno si fece la rassegna della truppa nazionale di Castel S. Pietro dal novo colonello Toniolo Savioli, lo servì l’aiutante Giuseppe Marchesini che abitarono in casa del Sen. Conte Federico Calderini in Castello. Questa rassegna fu fatta per organizzare la truppa di Castel S. Pietro, la quale era tutta sconvolta per la rinuncia fatta dal cap. Lorenzo Graffi e tenente Giovan Francesco Andrini per che si era messo nei primi officiali Fedele Gattia calzolaro, in concorso di altri sogetti più meritevoli.
Adi primo dicembre la notte scorsa, per atterire le persone deboli di talento, fu inventato che si sentivano voci in tempo noturno presso la chiesa ed oratorio di S. Cattarina, onde, fra le altre troppo creduli, vi fu certa Francesca Sarti detta vulgarmente: la Cagadina, donna di ottima cristianità e pia, abitante in poca distanza da quella chiesa.
Sentì ella adunque a notte avanzata uno strepito di catene e poi susseguenti singulti, indi a voci interrotte gridare: misericordia vindica sanguine nostrum, vindica, vindica, in voce lagrimevole, onde sbigotita con una palpitazione di petto non potè chiamare ajuto, solo bussò nella vicina parete, che udita dai vicinanti inquilini, cominciarono ancor essi a temere e a farsi coraggio l’un l’altro.
Durò poco la scena ma la mattina seguente, alzatasi di bon ora, la pia credula si portò dal vicario del S. Ufficio locale P. Giuseppe Dalla Valle, priore delli agostiniani, che animatola le fece fare la deposizione giurata del fatto. Fu tosto spedita al tribunale di Bologna, ed una copia legale simile compagnata alli supressi che la spedirono a Roma. Si riconobbe questo fatto per una spiritosa invenzione di Nicola Bertuzzi vicinato detto: Nicolone Reale, onde, a pensare di chi ebbe talento, si argomentò esere questo uno dei soliti fermenti contro l’arciprete.
Adì 6 d. il Lettore P. Agostino Fornaciari frate di questo convento di S. Bartolomeo predicatore dell’Avvento pubblicò in pulpito una indulgenza di anni sette plenaria concessa dal regnante pontefice a chi tutti li sabbati del corente Avvento cantava le laudi di M. V. nelle sue parochiali per li torbidi in cui trovavasi la S. Chiesa.
La sud. Francesca Sarti li 12 dicembre fu chiamata legalmente al S. Ufficio di Bologna per formale processo, come seguì, dell’accadutole.
Li 16 d. fu estratto per Podestà di Castel S. Pietro il consultore pubblico Avvocato Lorenzo Casanova per il prossimo anno 1773. Nel di 22 d. fu estratto Consolo per il prossimo primo semestre Ercole Cavazza scrittore delle presenti memorie.
Perchè minacciava fortemente la via romana dalla parte di ponente la corrente del Silaro né, per la staggione avvanzata con pioggie ed escrescenze, essendosi potuti terminare li lavori prescritti dal perito Ciotti, fu necessario lavorare anco li giorni festivi di precetto, a quest’effetto fu dal Vic. Generale del Vescovato concessa licenza al Cap.no Lorenzo Graffi, sopraintendente ai lavori, di poter far travagliare le persone anco li giorni festivi, come di già aveva fatto per l’urgente bisogno e così terminossi l’anno presente 1772.

(1773) Adi primo genaro fu invitato Consilio da Ser Ercole Cavazza, consolo estratto per questo semestre, ove proposto che avendo rinunciato la carica di scrivano di questa Comunità Angiolo Tomba detto: Fischijno, volle porre il concorso per Cedula, si risolvette per tanto la affissione della Cedola. Fu anco proposto che il senatore Malvasia voleva essere esentato dalla manutenzione della via della Collina che però o la Comunità rissolvesse di soccedere lei o abbandonare la via e che esso più non voleva ascendere alla manutenzione. Su ciò niente si rissolvette per difetto di numero legittimo in Consiglio.
Fu altresì proposto che essendo pervenuta lettera in figura di suplica a questo Consiglio di Pier Paolo Nanni apaltatore della posta d’Imola e da Carlo dal Pozzo, mastro di posta della med. città, che avendo sogetto questo nostro officio di posta nel Borgo del Castello alla Corona, volevano rimosso tal officio e collocato all’ostaria del Portone, ove altre volte era stato e ciò ad istanza dei Corieri de Nosirali.
Francesco Conti colli colegati Gio. Bertuzzi suo socero, Ottavio Dall’Oppio, Agostino Ronchi e Gio. Calanchi, impugnarono tale permesso dicendo ciò non spettare alla Comunità, non ostante che la med. paghi scudi 23 al deputato Matteo Farnè e gia scudi 3 per il portalettere di regaglia, oltre il quattrino per piego, che se le da al portatore di lettere alla casa.
Il consolo Cavazza insistette volendo darne parte all’Assunteria di Governo per averne provisione affine di oviare a sconcerti, massime che li sud. Nanni e dal Pozzo volevano tale permuta fosse fatta e preparato ogni comodo dall’ostaria del Portone per il primo corso di posta 1773. Ciò non ostante il Conti impegnò colli altri aderenti; il Cavazza però non poteva operare in nome comunitativo, perciò a scanso del proprio officio e come consolo ne diede aviso al senat. Marchese Prospero Marsigli, deputato dal Publico a questa Comunità.
Adi 4 d. giorno di lunedì furono affisse le cedole per il concorso de scrivani.
Adi 8 d., sicome l’anno scorso il Cap. Lorenzo Graffi qd. Carlo Antonio Graffi aveva rinonciato al capitaniato di questa truppa pedestre di Castel S. Pietro a motivo che il Colonello Toniolo Salvioli, senza soddisfazione del med. capitano, aveva fatto passare dal sergentato all’alfierato Fedele Gattia di professione calzolaro lo che disdiceva al resto dell’officialità maggiore, per cui Gio. Francesco tenente Andrini anco esso rinonciò al tenentato di d. Compagnia. Così in oggi per Senato Consulto è stato creato capitano di questa truppa Pier Andrea di Carlo Antonio Giorgi, mio cognato di sorella e nipote del sud. Cap. Graffi e del Capitano Francesco Vanti, antecessore del Graffi, per impegno del Conte Camillo Malvezzi.
Adi 10 d. Il cap. Lorenzo Graffi giubilato manda questa mattina giorno di domenica a reverire per li due tamburini a suon di tamburo il novello capitano a casa e per il di lui paggio, tutti in uniforme, li manda a regalare il bastone o sia canna da mano in segno di comando e più il di lui bello spuntone tutto dorato, che fu quello che servì nel passaggio della Regina Carolina di Austria moglie del Re di Napoli e sorella dell’Imperatore Giuseppe d’Austria. Tal atto fu gradito molto e piaciuto nel paese e ne seguì paricolare aplauso dopo il saluto de tamburri alla casa Giorgi in Borgo.
Adi 9 d. la notte venendo alli 10, giorno di domenica morì in Bologna il sindico Francesco Delli Pistorini del Senato, con dispiacere delle comunità del contado per esser uomo capace di ragione e amante della pace, lo che spiaque anco alla Comunità di Castel S. Pietro per essere cognato del Sig. Giuseppe Dalla Valle nostro comunista.
In questo quadrimeste entrò di Coleggio per Porta Ravegnana il Dott. Anibale Bortolucci rimpatriato in questo Castello per godere della cittadinanza.
Li 7 genaro fu chiamato Consiglio, quale congregato in N. suficiente, fu esposto essere stato eletto e confermato per senatore presidente a questi affari comunitativi il Sen. Marchese Prospero Marsigli Rossi Lombardi per il corrente anno come da lettera delli Assonti di Governo, indi sicome Angiolo Tomba detto Fischiino, aveva rinonciato alla scritoria di questo loco fu proposto dal console Ercole Cavazza per scrivano Teodoro Vechi, poscia furono letti li memoriali per (concedere) la colettoria di questo Libro Camerale di Castel S. Pietro che anualmente frutta scudi 300 d’emolumento e sicome nei postulanti eravi Domenico Giordani chirurgo condotto di questo loco, il quale offriva alla comunità scudi 100 quattrini entro un anno se lui si concedeva tal Libro colla sigurtà di Antonio Inviti, così Gio. Giorgi mediante Ottavio Dall’Oppio, uno dei consilieri offrì fino a scudi 130 a competenza dell’altro. Quindi aumentandosi l’oferta fu rissoluto le dessero in iscritto per riflettere poscia, per che tali danari collavano una volta a beneficio del console pro tempore.
Così essendosi fatte spese gravose per le liti del mercato ed arti per le quali Lorenzo Conti, Domenico Ronchi, Lorenzo Graffi, Giovanni Calanchi ed Ercole Cavazza avevano preso a frutto la soma di scudi 500, così per estinguere questi tali debiti fu pensato bene erogare tale profitto del libro sud. lo che fu da tutti aprovato.
Sicome Francesco Conti con Ottavio Dall’Oppio, Agostino Ronchi e Giovanni Calanchi havevano in idea di caciare D. Alessio Camaggi, maestro di questa publica scuola a motivo di essersi esso difeso dalla calunia delle sattire oppostole dalli aderenti dei supressi di S. Cattarina coll’avere esso indiziato essere in presunzione Francesco Conti per satirico, così, non essendo questo motivo di levarli la condotta di maestro, si oposero il console Ercole Cavazza, Graffi, Vachi e Bolis non doversi nemeno porre a partito oggi, si per essere cominciato l’anno, onde era una tacita proroga, si per che lo statuto comunitativo, nelle rubriche adizionali alla XIII, si disponeva doversi licenziare li stipendiati publici due mesi avanti il termine dell’anno come anco perchè ciò era di obligo del console mio antecessore.
Impugnò molto il Conti, ma non riuscendoli, fu rissoluto a voce viva che l’ultima domenica di ottobre si dessero le conferme alle esclusive al qual effetto fosse ciò ingiunto nelli rescritti de memoriali, come si fece e la balotazione si facesse con qualunque numero si fosse, lo che è iregolare e nullo, ciò non ostante fu accordato per oviare ai clamori del Conti. Io però come console ne diedi di aviso al Senatore Marsigli deputato di tutto l’ocorso.
Adi 22 genaro fu spedita la patente a me Ercole Cavazza per vice governatore di Casalfiumanese e sue comunità unite, dal Card. Antonio Branciforte Legato di Bologna come al fo. 224.
Il 28 genaro fu fatta la Congregazione dell’Ospitale de Poveri di questo Castello ove, essendo priore il sig. Giuseppe dalle Vacche, fu esposto esservi molti de congregati che avevano ricusato e ricusavano le elemosine mensili all’ospitale di soldi 5 quattrini, atteso che l’ospitale ora si trova in bonis molti effetti e speciatamente li aplicati dalla compagnia di S. Cattarina, li ricusanti erano la maggior parte dipendenti de supressi e supressi stessi, che però, anco per oviare a disturbi intestini che avrebbero potuto promovere li supressi med. per l’aministrazione di tali effetti e per che li ricusanti sono tutti di animo nemico della pace, fu rissoluto che spirato l’anno che non avessero pagato fossero perpetuamente esclusi nè più invitati alle congregazioni per fugir i disturbi.
Adi 29 genaro Ercole Cavazza per lettere patenti del Protomedicato di Bologna viene dichiarato Vicecancelliere di quel Collegio per fare formale processo a Girolamo Rossi chirurgo venturiero di Sassoleone per avere eceduto nei limiti della sua professione.
Adi primo febraro da grossa sbiraglia furono carcerati in questo Castello Antonio e Giacomo fratelli e figli di Giuseppe Lugatti d’ordine supremo papale, appena carcerati questi furono condotti per la posta in Bologna, ove contemporaneamente fu caturato Sebastiani Lugatti, altro fratello di quelli che ivi stava a studio e furonvi trasportate nel Torrone tutte le carte che aveva in casa e fu il motivo per che questi non lasciavano vivere il curato di S. Martino del Medesano e lo perturbavano fino in chiesa nelle funzioni scandalosamente col pisciarvi pubblicamente, metter corna sull’altare e mille altre insolenze, onde il paroco med. vedendo non poterli frenare per parte del Vicario generale Sante Corolupi del vescovato perchè loro intriseco, ricorse al Papa e ne fu perciò astradata la carcerazione contro tutti. Vittorio che era il secondo si ritirò nell’ospizio della Crocetta col zio D. Domenico.
Adi 5 d. fu spedito perciò notaro a Medicina a fare la causa formale.
Adi 6 d.giunse a Castel S. Pietro sull’ave maria il Card. Vitaliano Boromei Legato di Ravenna che andava a Bologna dal Vicelegato Boncompagni per lo sposalizio del Duca Grilli, allogiò in S. Bartolomeo ed il priore di questo convento P. Gaetano Giacomelli impetrò la grazia a Bartolomeo Dal Fiume di potere caminare sicuro per la legazione di Ravenna , stante che era sospetto complice dell’omicidio perpetrato al tenente Vaiina, Pelegrino Alesi e per occultatore di furti.
Adi 7 d. all’ore 16 partì il d. Cardinale per Bologna dopo avere ascoltato messa.
Adi 8 d. si pubblicò la notificazione dell’arcivescovo in cui si faceva noto al popolo come N. S. Clemente XIV dispensava dal digiuno l’ultimo giorno di carnevale, vigilia di S. Matteo e questa la trasportava al sabato antecedente, ultimo di carnevale.
Adi 24 febraro giorno di S. Matteo e primo di quaresima fu pubblicato l’indulto da ova e laticini e per che l’anno è calamitoso, concesse il S. P. ai parochi della Diocesi la facoltà di dispensare a poveri bisognosi l’indulto della carne, qualvolta glie ne facessero richiesta, ingiungendo a med. parochi procedere con tutta la facilità senza rigorosi esami di coscienza.
Il predicatore quaresimale in questa parochia è il dott. Petronio Guarini prete secolare.
E’ da notare come Nicola Bernardi priore de supressi di S. Cattarina, Sebastiano Gordini, Bartolomeo Giorgi e Dott. Simone Gordini, tutti delli supressi, sofrendo di mal animo il paroco per la supostala da lui promossa supressione ad istigazione del Cap. Lorenzo di Carl’Antonio Graffi e di Ercole di Francesco Cavazza, zio e nipote, quali sicome sono nel Corpo di Comunità, avendo inibito l’arciprete li supressi sud. a non movere le banche della chiesa per orasione di prediche fino dall’ingresso dell’Avento scorso 1772, acciò non desse posto alla Comunità per farla all’arciprete sud e alli d. Graffi e Cavazza, massime per quest’ultimo che n’è Consolo, si erano premoniti, colla mediazione di Francesco Conti, di Inibizione nova consecutiva al decreto ottenuto in Roma, che la causa collà si vedesse da farsi eseguire all’arciprete e Comunità per ostare alla mozione di tali banchi.
Ciò venuto ad orecchio delli sud. dissimulando il fatto, fecero venire per la posta di Bologna piego rilevante e sparsero voce essere decreto ed ordine SS.mo che il paroco facesse alto e busso delle banche qualunquemente. Li contrari credendo il vero sospesero la esecuzione loro e così il paroco ripose il banco della Comunità per comodo de Comunisti al fianco destro, ed al sinistro quello de regolari ed eclesiastici come più nobile per la vicinanza all’altare, onde restarono delusi li contrari e la Comunità ebbe col paroco salva la sua convenienza intervenendovi io come Console, Cap. Graffi, Gio. Antonio Bolis e li stipendiati della Comunità. Per tal fatto con più calore si acese la lite in Roma.
Adì 12 marzo essendo morta Maria qd. Francesco Andrini vedova del fu pietro Tomba consorella di S. Cattarina, li supressi uniti in N. 12 con Antonio e Francesco, fratello e figlio, Bartolomeo Giorgi, Giocondo Oppi, Antonio Dalmonte, Marco Mazzanti, Mariano Ponti, Giuseppe Ponti, Pietro e Giuseppe, padre e figlio, Gattia, Giacomo e Floro, padre e figlio, Tomba andarono alla casa della morta e col capellano essi levarono la morta senza cappa, con lumi però acesi dandosi la muta fraloro e così fu portata dal Borgo dalla tinta Vachi a S. Francesco, ove erasi lasciata la sepoltura la defunta. Il capellano sudetto D. Lodovico Dall’Oppio serviva la chiesa arcipretale non ostante che fosse fratello e capellano di S. Cattarina. Tal fatto produsse non poca amirazione benchè seguito dopo l’ora di notte ed incognitamente.
In questo tempo vengono affisse ai luoghi pubblici per chi vole prender formentone dal Pubblico di Bologna per i poveri contadini al prezzo di pavoli 24, con sigurtà de padroni abitanti nel teritorio e, volendone a contanti , a pavoli 23.
In Bologna pure si faceva pane di monizione publica e questi bancaroli di Castel S. Pietro ne andavano a prendere birozzate e qua si trasferiva, come pure il formentone, senza dazio, gabella, pedagio al ponte e senza paga nemeno alla porta della città.
A questa publica cura presiedea indefessamente in persona il Sen. Conte Giuseppe Malvasia e si meritò gran lode ed amore dal popolo di Bologna e del contado ancora per essere giovinetto poco meno di 26 anni.
Adi 21 d. furono pubblicati bandi sopra li abiti ed altre robbe che avessero servito nelle malatie de tisici, d’ordine del legato e Assunti di Sanità, stante che si è fatto tanto frequente tal male nel contado, ordinando ed incombendo, sotto pena di carcere, alli consoli, massari ed altre persone principali del contado andare intesi colli chirurghi affinchè si denunzino all’Officio di Sanità li morti di tal male e le case delle loro abitazioni.
Li 22 d. il grano si vende pavoli 34 la corba, pane bianco è di oncie 17 ed il nero di oncie 25 e per che il pane venale di Castel S. Pietro è cattivo e brutto, così Rocco Andrini uomo negoziante ne manda a prendere a Bologna birozzi di 500 tiere l’uno alli forni di pubblica monizione e qua viene estrato da Bologna senza dazio e gabella, ed esso vi lucra il cinque per cento nella vendita che si accorda dal publico ed è bello e bono e si vende nel borgo alla casa dei Villa, ora della Compagnia della Morte di Bologna.
Adi 2 aprile viene la nova come sua Santità ha fatto rescritto alla suplica dell’E.mo Arcivescovo per l’approvazione e sanatoria della supressione ed aplicazione dei beni della già compagnia di S. Cattarina, qual rescritto approva in tutto e per tutto il decreto di visita pastorale del’arcivescovo prespiciente all’acenata supressione ed aplicazione de beni, da ridursi poscia in figura di Breve, ed intanto l’arcivescovo ha ordinato la spesa del contante che era in cumulo di vendite della supressa compagnia in beneficio delli ospitali della parochia e di quello de forastieri.
Adi 10 aprile Sabato Santo avendo fin qui goduto ab imemorabilis il paese l’esenzione di potere chiunque scortichino mazzellare agnelli pel Castello e venderne a tutti senza pagamento di dazio, così Domenico Bellisi, genero di Mariano Manaresi detto Carozzino, oste del Portone avendo questo il dazio retaglio di Castel S. Pietro pretendeva riscuotere due soldi per ogni agnello da scortichini, questi stante che il sig. Francesco Conti uno de comunisti fazionario e notaio li aveva assicurati che potevano macellare liberamente senza paga stante che il bando dell’anno 1759, 12 aprile dell’E.mo Serbelloni non parlava niente del contado per il retaglio ad agnelli, così li birri catturarono Giuseppe Andrini, uno de carnaioli. Fu gran bisbiglio e rumore nel Castello, fu fatto ricorso alla comunità e tenutosi Consiglio si risolvette sentir il bando e poscia rissolvere per mantenere l’esenzione di tale agravio.
Adi 13 d. giunse avviso come il P. P. aveva scritto all’arcivescovo che quanto egli aveva fatto nella visita pastorale circa la supressione di S. Cattarina e applicazione di beni, tutto era stato fatto bene, che (quindi) procedesse avvanti nell’esenzione delli decreto e distribuzione delle rendite ed offici delli amministratori.
In seguito di che fu fatto un foglio dall’arciprete e cap. Lorenzo Graffi petente che la capella nell’arcipretale delli supressi si riduca ad uso di sagrestia, che l’ornato porfilato d’oro, già esistente nella chiesa di S. Cattarina levato d’ivi nella fabrica, si colochi nella arcipretale in un capellone alla sinistra, ponendovi il bel quadro del (…) o, come altri vogliono, di Prospero Fontana, già esistente in d. capella anessa all’arcipretale, che si accomodi l’ospitale di Borgo pe’ viandanti, che facino le tende e coltri alli letti dell’ospitale della parochia.
Nel med. giorno essendosi convocato il consiglio , dopo avere accompagnato il predicatore quaresimale alla questua, fu indi riproposto l’affare delli scortichini per cui n’era stato carcerato Giuseppe Andrini.
Fu dibatuto l’interesse, precipitato per causa di Francesco Conti che, insciente la Comunità, aveva animati li scortichini mazzare agnelli che li avrebbe esso diffesi, rissoluto che li scortichini facessero essi la lite, che la Comunità l’auria data mano.
Al sortire della ressidenza eranvi 22 capi di scortichini e famiglie tumultanti quali furono quietate con parole che si saria procurato il ben comune, onde nel di 18 d. fu escarcerato il d. Andrini per rinoncia.
Adi 21 d. furono escarcerati li d. Lugatti fratelli, avendo pagato in Curia per processi scudi 60 oltre le male spese di cibarie per le loro colpe, altro le fu enunciato nel diario dell’anno scorso furono anco di (lazzonerie), d’armi proibite, incesti, prepotenze ed erano stati condannati alla galera, ma l’intercessione della Marchesa Cospi, moglie del Conte Ercole Orsi, favorita del Card. Legato Branciforti Colonna intercesse la assoluzione; per questo le regalarono due bellissime cavalle di razza ed un bellissimo orologio, valsente in tutto di ducento zecchini, ma il Marchese Filipo Ercolani e curato Lorenzo Antonio Corticelli di S. Martino del Medesano ciò mal sofrendo fanno novi ricorsi per essere sortiti li carcerati senza loro scienza e cauzione.
L’esenzione del retaglio per li agnelli come sopra si è perduta per che né il Conti volle socombere, nè li querelati e nepure la Comunità.
Adi 10 maggio le suore terziarie di S. Domenico di Bologna prendono possesso di tutte le case della Compagnia del SS.mo di questo Castello per essere creditrici di certi decorsi e non pagati, come alli Atti di Gaspare Sarchetti nel vescovato.
Oggi il formentone vale pavoli 26 la corba ed il grano 34 per che le piove sono continue ed hanno ridotti li seminati di grano in molta erba e Dio ci guardi dalla calamità che si prevede.
Adi 16 detto ariva ordine dall’arcivescovo all’arciprete e Cap. Graffi che vadino dopo le rogazioni a Bologna a ricevere le di lui determinazioni per l’interesse della supressa compagnia di S. Cattarina, stante che il Papa per suo Breve in data delli 8 maggio 1773 corrente, ha determinato ed aprovato l’operato dell’arcivescovo come segue:
Clemens XII, Ad futura rei memoria. Nuper pro parto dilecti filii ( continua testo in latino)
Adi 17 maggio fu affissa Notificazione come era stato deputato il nostro V. Podestà a ricevere la denunzia delle bestie contrastate in questo mercato, la quale prima si riceveva in cancelleria del Legato.
Li formenti patirono molto e si trovarono nelle panotte loro verminetti come pulci che li divorano.
Li 20 d. il Card. Arcivescovo chiamò in Bologna l’arciprete Calisti e Cap.no Graffi per ultimare l’affare di S. Cattarina e li 21 partirono, poscia li 23 d. ritornati a casa, chiamò l’arciprete Rocco Andrini, Nicola Bernardi e Pietro Gattia ordinando loro che andassero in Bologna.
Rifiutarono tutti, ecetto l’Andrini, col dire che non potevano servire il Cardinale, ma se li voleva li processasse, l’Andrini andovi e li fu letto il Breve e fu ben visto con ordinanza di novo che li acenati andassero a Bologna a sentire le determinazioni del Card. e se volevano grazia glie ne dimandassero, purchè non andassero a ledere il Breve. Essi ciò non ostante rifiutarono tutto.
Adi 2 giugno viene a Castel S. Pietro il Senatore Marchese Gio. Luigi Marescotti, colli prosidente alla nostra Comunità sostituito in loco del defunto Marsigl,i a visitare li tre penelli difensivi la via consolare fatti nel Silaro sul dissegno del perito Agostino Ciotti, che era seco. Visitati li tre penelli, che costarono 400 scudi, si passò in Castello accompagnato da me console e d. Graffi e poscia fu introdotto in Comunità dove furono manifestati alcuni abusi. Fu promessa la distruzione della mura dell’orto verso l’oratorio del SS.mo, ed esso la ordinò, fu promesso il riatamento del campanile e se lo risservò all’Assunteria; se le penetrò che vertendo lite per li banchi della Comunità col paroco si erano tutti attestati contro la nostra Comunità da comunisti Agostino Ronchi., Ottavio Dall’Oppio, ed esso ne prese in se il rissentimento.
Adi 5 d. giunse nova come il card. Arcivescovo avendo intimata a nostri gesuiti italiani la dimissione dell’abito a carissimi e che avendo qualcuno col rettore rifiutata l’ubidenza datale a nome pontificio, la notte delli 4 venendo li 5 d. furono introdotti li miliziotti di rinforzo d. di Marino ed uniti colla sbiraglia e svizzeri circondarono il collegio di S. Lucia così:
Al torrazzo di Castilione la sbirraglia vescovile, alla portaria delle carra la sbiraglia del Torone, le truppe di marino nella piazza della chiesa una parte e l’altra parte dalla parte del collegio di S. Luigi, li svizeri entro il monistero col vicario Generale, Uditore Criminale e Notaio con sostituto vescovile e, prese le porte delle stanze de carissimi e quella del rettore, furono tutti fatti prigioni ed in tante carozze con soldati dentro e fuori ad arme calate furono a vista condotti fori di porta Mascarella al palazzo Casaralta sotto bona guardia. Il rettore fu condotto alle carceri, il concorso del popolo fu infinito e tumultuante, ma nessun atto seguì di sgomento.
Adi 8 d. Rocco Andrini si presentò all’arcivescovo e riferì a nome de supressi che essi non credevano al Breve e che se il Card. voleva composizione, essi volevano l’aministrazione totale de beni, la restituzione delle cappe, che quanto alli obblighi poi che esso avesse volsuto imporvi li avrebbero acettati. il Cardinale congedò l’Andrini ed ordinò dopo al Vicario generale col cancelliere la pubblicazone del Breve in Castel S. Pietro col Notaio in forma.
Adi 12 giugno fu conferita la chiesa arcipretale di S. Nicolò di Calcara al Dott. Luigi Antonio Guirini, già nostro predicatore nella quaresima scorsa a competenza di un certo Franco Fabri racomandato dal Papa. La d. chiesa era prima governata da D. Francesco Stiatti da Castel S. Pietro, compatriotto, quale dopo il corso di anni 76 di sua vita e anni 40 di cura eclesiastica morì nel di 19 maggio. A questa chiesa fece molto bene, la rinovò quasi tutta, modernò la canonica e l’arichì di aparati e fu bravo oratore avendo predicato l’anno 17.. in patria con molto aplauso.
Adi 16 d. in Bologna furono chiuse le chiese de gesuiti di S. Ignazio e S. Lucia e fu portato via il SS.mo sotto le (rispettive) parochie di S. Giovanni in Monte e SS.ma Madalena.
Nel med. giorno fu ordinato al consolo di questa Comunità di dover convocare il Consiglio d’ordine del S.V. Card. Arcivescovo per il giorno di dimani alle 12 come fu eseguito tosto alli consiglieri Vachi, Graffi Bertuzzi, Calanchi, Bolis, Dall’Oppio e Ronchi di dovere radunarsi in Comunità per portarsi poscia d’ivi al palazzo Malvezzi a sentire da Mons. Vicario generale le determinazioni del Sign. Card. Arcivescovo.
Li 17 d. all’ore 11 giunsero quivi vari notari del vescovato e sostienti, cioè del Fabri e Sachetti ed andarono da tutti li inquilini dei gesuiti ed alla campagna a prendere il possesso delli beni di quelli a nome dell’arcivescovo delegato apostolico.
Su le 12 arivò Mons. Vicario gen. Sante Corolugi, il Prevosto canonico Lucio Natali Cancelliere dell’Arcivescovo, il notaio Gaspare Sachetti, l’Avvocato Rugero Rugeri, avocato de poveri nelle cause civili del vescovato, l’architetto Tudalini e canonico Zanolini con molti altri ed andarono al palazzo Malvezzi. In appresso io come console in compagnia delli altri coleghi sud. Francesco Conti e Ottavio Dall’Oppio andassimo da Monsignore adunati con l’arciprete, curato D. Alessandro Del Bello di S. Biagio di Poggio, curato D. Domenico Cavallari di S. Maria della Capella, tutti di questo plebanato.
Fu tosto per Monsignore fatto un elogio a questa comunità dal Sig. Card. Arcivescovo e poscia, fatta spiegare una larga pergamena, fu letto il breve di N. S. sopra la supressione di S. Cattarina, ingiunse di poi alli consiglieri far noto alli sopressi star lungi a conventicole e frenar la lingua sotto pena di indignatamento del superiore.
Ciò fatto ringraziassimo il Vic. gen. suplicandolo interporsi presso E.mo conservarci la sua alta protezione, giachè con tanta gentilezza aveva guardato questo nostro Ceto. Poi per che Francesco Conti non volle venire da Mons. ad effetto del suo strivo, così poscia partì per la Crocetta col pretesto di andar dal cognato Lugatti ne per un momento si volle intratenere a sentire Monsignore; così fu ordinato al cancelliere Bertucci farsi un attestato del discesso del Conti e della intimazione del Consiglio affine di non far numero legittimo.
Io pertanto, come capo di Comunità, scrissi in tal guisa al Porporato a nome comune: E.mo Principe, all’altissima clemenza della E.mza V.ra R.ma con cui gli è piaciuto di abolire li torbidi perniciosi che aumentavansi e di cooperare al sovenimento de poveri infermi di questo nostro popularissimo paese, medesimamente la supressione della Compagnia di S. Cattarina aplicando li beni di quella al povero nostro Ospitale, per cui ne riscuoterà continui ringraziamenti e merito presso Dio e ne risulterà una tranquilla pace, non sapiamo contrassegnarla la nostra più viva riconoscenza se non con contestarle le maggiori obligazioni e le più distinte grazie. A tali luminose comprove dell’ecelso Animo di V. E. verso noi altro le è piaciuto aggiungere, che è stata quella di parteciparci il Breve pontificio a cui del pari ce ne riconosciamo in particolar modo tenuti. E sicome il dover nostro verso l’E.nza V. non restringesi tutto in questo rispettosissimo Atto, così a quello vieppiù soddisfara la Deputazione del nostro Ceto che si daranno l’onore di umiliarsi all’E.nza V.
Quello che grandemente ci sta a cuore si è che continui l’E.nza V. coll’autorevole alto suo Patrocinio riguardare questo nostro Ceto e poveri onde avremo tutto il motivo in ogni circostanza di tempo di vieppiù assicurarla della profondissima venerazione e rispetto con cui ossequiosamente ci umiliamo al Bacio della S. Porpora.
Tanta la pubblicazione del Breve sud. che dalli possessi presi da beni de gesuiti ne fu da me spedita la relazione allo stampatore Novelista di Firenze che le impresse ne foglietti.
Adi 19 la via che va al canale d. dei Mori alla sinistra del Castello avanti la casa Stella eredità Riguzzi fu apianata, esendo trabochevole, a spese delli Conti Stella.
Questa sera è giunto uno sbirro con ordini in scritto che chiamavano Francesco Conti con Ottavio Dall’Oppio, Nicola Bernardi e Pietro Gattia a Bologna dal Card. Arcivescovo e furono tosto eseguiti.
Adi 22 d. Francesco Conti andò dal card. e dal med. ricevette una strillata orida e precetto dalla Città per carcere, in vista di ciò si gettò a terra piangendo e chiese perdono e tanto disse e pregò che fu assoluto dalla carcere con precetto però di non parlare nè di S. Cattarina, nè dell’arciprete.
23 d. si presentarono al med. Card. Ercole Cavazza consolo, Flaminio Fabri, Lorenzo cap. Graffi e Giovanni Calanchi tutti comunisti che a nome publico ringraziarono il porporato del bene fatto a poveri per l’aplicazione de beni di S. Cattarina all’Ospitale delli Infermi, dove accolti con somma gentilezza dal porporato ed acarezzati dall’offerta di sua protezione, li med. umiliarono in nome publico una suplica continente che avendo Giovanni Morelli di questo Castello fatti molti legati pii e profani a favore della povertà e del paese, che si dovevano compiere da gesuiti di Bologna, eredi di quello, suplicavano per ciò il sig. Cardinale a fare novamente adempiere tali legati. Il sig. Cardinale acetò la suplica, asserendo pronto far di tutto quall’ora dal S. Padre le venisse ordinato l’adempimento di d. legati, che però ricoressimo al med. che essendo esso incaricato faria di tutto.
Adi 24 d. fu estratto consolo per il secondo semestre Giovanni Bertuzzi Notaio.
Adi 25 d. li altri chiamati dal Cardinale cioè Bernardi, dall’Oppio e Gattia andarono a Bologna dal med. e ne riportarono la ben dovuta strillata.
Adi 29 d. si cominciò a sentire suonare la campana grande di S. Cattarina posta nel campanile della parochia per uso dell’ospitale e morti di esso e l’altra picola fu posta nel campanile di S. Cattarina secondo il decreto del Cardinale (redatto) per gli atti Nanni.
Nel med. giorno fu incantato il dazio del mercato e de la fossa, la quale andò per picca fino a scudi 60 e soldi 50 per li frati di S. Bartolomeo, a cui fu deliberata ed il mercato a scudi 32.
Li 30 d. fu spedito memoriale al S. Padre da me Ercole Cavazza come consolo, di scienza però delli coleghi sig. Flaminio Fabri, Cap. Lorenzo Graffi, Giuseppe Dalle Vache e Gio. Antonio Bolis, tutti comunisti, a nome del Corpo della comunità, postulanti l’adempimento tralasciato da P.P. Gesuiti già espulsi di Bologna, cioè tre messe la settimana in questa parochia e la festa di S. Ignazio, S. Francesco Saverio e S. Lucia ed un aniversario il dì della morte del testatore Morelli e finalmente la dispensa di corbe 12 grano ogni anno ai poveri del paese. E come che tale suplica era stata racomandata al sig. cancelliere Natali dal sig. Card. Arcivescovo si per la sicurezza della presentazione al Papa, si per averlo favorevole nel voto del sig. Card., ne fece perciò esso moto al med. affine di caminare di concerto.
Il sig. Cardinale replicò che più non ocoreva la spedizione della suplica al Papa, mentre esso aveva avuto di Roma le facoltà apostoliche di aplicare e disporre dei beni de supressi gesuiti e che intanto si producessero in forma li documenti.
Il sig. Graffi che era per altro affare in Bologna disse che avria quanto prima ciò fatto. Ottavio Dall’Oppio, già creato dal sig. Card sud. uno degli aministratori per la robba di S. Cattarina, non avendo voluto acettare la carica, fu chiamato in Bologna dove oggi, essendovi andato, fu arestato per la disubedienza nè si sa per quanto tempo.
Adi primo lulio venero li avisi di Firenze a Francesco Conti nei quali, essendovi la relazione della supressione di S. Cattarina e pubblicazione del Breve costì seguita come sopra, le venne fastidio e fu posto in letto dove è stato tre giorni.
Adi 4 d. si apre la chiesa di S. Cattarina e si dice la messa all’altare della B. V. restituita dall’ospitale al suo primo loco secondo il decreto sud. e la messa la disse il sig. D. Mauro Calisti fratello dell’arciprete e così si farà tutti li giorni di festa.
Questa notte scorsa di sabbato venendo alla domenica nella strada di Bologna, fra il Gallo e questo Castello in loco d. Marazzo fu assassinata una carozza di viandanti e levato tutto il danaro nè si sa per ora da chi, la valigia rotta fu trovata alla Crocetta con vesti da uomo guarniti con croce di Malta.
Fu questi un cavaliere che tornava a rimpatriare venendo dal servizio della Polonia, dopo avere accompagnata a casa l’eletrice, ove a quella corte era stato ciambellano, et fu il gran Balio Caval. di Malta Marchese Branchini di Fano.
Adì 6 lulio fu levato il quadro della disputa di S. Cattarina V. e M. che esisteva nella capella unita alla parrochiale e trasportata nel capellone grande presso il campanile coll’ornato dorato in legno che fu acomodato, ed era quello che esisteva nella chiesa di S. Cattarina. L’ornato poi che adornava quel bel quadro, opera di Prospero Fontana, fu portato in casa dell’arciprete ed era un (lavoro) antico con quattro rosette tutto dorato di macigno.
Adi d. sicome il campanile della parochia è guasto, così venne l’architetto del publico a visitarlo, che fu il sig. Giacomo Dotti per riferire all’Ec.ma Assunteria lo stato, affine di accomodarlo se conveniva.
Adi 18 d. si pubblicarono in Comunità li Statuti novi della med. stampati e fatti dal Regimento, il med. giorno il sig. cap. Lorenzo Graffi, come vice colonello del sig. Conte Antonio Maria Antoniolo Savioli colonello del terzo regimento della truppa pedestre di Bologna, affine di metere in sesto militare la trupa di Castel Bolognese che fino dal 1745 sotto l’E.mo Doria non era stata riveduta, partì con l’ajutante Colonello Giuseppe Marchesini ed andarono al detto Castello ove furono allogiati da quel Cap. Francesco Vanti.
La perizia militare e la destrezza de sud. due soggetti in regolar li animi di que miliziotti fu tale che se bene vi erano persone facinorose ed armigere non sucesse punto di disturbo, anzichè tutta la truppa volle in forma
far mostra di se stessa per tutto il paese, ove trovavasi anco per acidente Mons. Antonio Bandi vescovo di Imola in casa Tassinari per ocasione di visita pastorale.
Il nostro sig. Graffi che era stato accompagnato da credenziali del d. colonello come siegue, cioè: Conoscendo Noi esser (necessario) per il publico militar servizio passare una particolar rivista alla Compagnia di Castel Bolognese nè potendo noi collà portaci, ne diamo p. tanto al sig. cap. Lorenzo Graffi la comissione, l’esperienza del quale è ben nota e del suo zelo militare ne ha dato esso in moltissime ocasioni evidenti riprove. Li attribuiamo per tanto tutte quelle autorità che a Noi apartengono, ordinando a qualunque officiale , sott’officiale e soldato di ubidirlo pontualmente nel modo stesso che fosse la nostra persona sotto la pena di que’ castighi ai quali sono sottoposti li trasgressori militari, in fede viene la presente da noi sottoscritta e munita del nostro segno. Maria Antoniolo Savioli, Coll. del 3° Regimento. dato in Bologna questo dì 8 lulio 1773.
Si diportò in guisa che si conciliò l’amore universale per modo che un pichetto di soldati guidati dal caporale Majolo, uomo di gran soggezione nell’armi in quel paese, lo volero scortare fino alla porta del castello ove si congedarono tutti.
Adi 2 agosto furono pubblicati due rigorosissimi bandi dellE.mo Legato continenti rispetto ad uno di fermare qualunque persona che asporti fuori stato grani, marzatelli e simili armata mano col premio della metà della robba, concedendo a Consoli, Massari ed altri officiali primari delle Comunità chiamar il popolo all’armi caso ocorra, l’altro di dovere dare esatta notizia di tutti li racolti e del numero delle persone, patria e luogo.
Ciò è stato a motivo della scarsa racolta che universalmente si è fatta per modo che il frumento si vende in questo tempo fino a pavoli 32 la corba e dio ci ajuti.
Li 15 agosto giorno di domenica e festa della SS. Assunta, titolare dell’arcipretale di questo Castello, si cominciò a celebrare la messa all’altare della Compagnia dell’Ospitale fatto erigere in d. arcipretale col (..) e quadro di S. Cattarina già delli supressi.
Il P. Giuseppe Vechi, sacerdote agostiniano, figlio di questo convento di S. Bartolomeo di Castel S. Pietro passò alla cura dell’anime della parochia di S. Giacomo di Castelfranco, sucedendo al P. Pier Maria Scarelli, detto P. Vechi fu quivi un confessore, riformò la chiesa di S. Bartolomeo, ristorò il campanile, rinovò le campane, acrebbe la fabrica del convento, rimise a pristino la Compagnia del Sufragio, che era dispersa e fece molte opere bone nel tempo del suo priorato, avendo levati molti abusi.
Adi 24 agosto il novo cap. Pier Andrea Giorgi, mio cognato andò in Bologna (per la) prima volta con un pichetto di 25 soldati, quasi tutti di questo Castello per assistere alla festa popolare solita nella piazza maggiore.
Questo med. anno non si fece più la fiera in Castello e così fu sospesa totalmente. La sera med. vi fu consiglio nel quale li P.P. di S. Francesco chiesero elemosina per il riatamento del campanile loro che si rinovò tutto nella cima. (Giunse) altresì ordine della E.ma Assunteria di accomodare il campanile della parochia che minacciava ruina col valersi e delle rendite comunitative o fare una imposizione alli abitanti del castello, fu acettato il primo progetto quando sianvi avvanzi e rigettato il secondo per non dar stato nè cominciare un agravio sopra li abitanti che mai vi è stato nè per questo, nè per qualunque altro accidente e bisogno e la spesa fu considerata dal perito ed architetto publico Giacomo Dotti di scudi 249:10, secondo la sua perizia.
Si pubblicò la nova come la Religione de Gesuiti era stata abolita dal Papa come da sua Bolla in data delli 21 lulio 1773 e fu gran scompiglio.
Adi 27 agosto giunse in Castel S. Pietro, giorno di venerdì, Gio. Paolo Fabri Notaio e Cancelliere del Card. Legato e portatosi alle case dove habitano li gesuiti spagnoli, coll’esecutore di questo loco, eseguì a ciascuno di essi il seguente ordine, cioè:
Mandato SS. D.N.D. Papa Clementi XIV, sommi pontifices; Precigimus et mandamus omnibus R.R. P.P. gesuitis in hac domo depentibus quabenus post presentia presentationem domi seu personaliter facta, non andant discedere ab eorum solita habitatione pro esseche se ad alia regionem aut urbem, vel etiam Roma conserendi se nate quam de alia SS. D.N.D. Clementis XIV dispone fuerint notis rediti cortiones in casu autem in hobedientia sciant se in gravissimas penas inconsures. Dat. Bononie ex palatio nostra solita residentia die 26 Augusti 1773. Antonius Cardinali Columna Bonciforti Legatus et Deputat. Ap.licus. Jo Paulus Fabri Not. et Canoct.
Le case poi ove furono fatte tali esenzioni sono quelle del fu Lorenzo Sarti in Castello, l’ospizio o sia casa già di S. Ignazio di Bologna, eredità Morelli in Castello, in Borgo quella de fratelli Giuseppe e D. Giacomo Bolis e quella di Domenico Sanzechi gabellino, già casa del Vanti e Calanchi.
Sucessivamente giunse esecutore vescovile all’arciprete con 4 copie di Bolla e Brevi stampati per la supressione de gesuiti con ordine della imediata Intimazione e solene pubblicazione a ciascuna casa colla presenza di esso arciprete , testimoni e notaio, quale fatta si dovesse riferire alla curia arcivescovile di Bologna alli atti di Gaspare Sachetti, deputandosi giudice ed (agente) locale il d. sig. arciprete, quale tosto elesse per notaio me Ercole Cavazza per l’esecuzione delli ordini pontifici; in seguito di che (si fece) medesimamente.
Su l’ora di notte il d. sig. arciprete Calisti unito con me notaio e Dott. D. Ercole Antonio Graffi protonotario apostolico e sig. D. Mauro Calisti andarono tutti nella casa di Lorenzo Sarti posta nella via di Saragozza di dietro la parochia, nella piazza di S. Francesco, ove introdotti primariamente nella stanza del Retore di quei gesuiti della Provincia di Castiglia, furono tutti ivi chiamati a suono di campanello e fatto il seguente Atto:
1773, Die 28 augusti ad essectione exeguendi prompius mandata suprema E.mi ac R.mi Archie.pi Vincentis Malvetis Bonon. ill.mus ex.mus ad modo R. D. Bartolomeus Calisti S. T. et juris canonoci doctorarchipresbit. et vicar. foraneus S. M. majoris Castri S. Petri super publicatione et solemni notificatione Bulla et Brevi SS.mi D. N. D. Clementis XIV pro abolitione omnimodo Societatis Juesu tamquam (…) ab Em.tia sua R.ma p.ta, una cum me Not. et testibus se consulit ad domus approd. olim D. Laurenti Sancti ubi degnat nonnulli Jesuitis in figura colegi de Provincia Castilie, quo pervente et interpellato R. P. Rectore scierre eodumdem, instetit convocari per eundem omnes jesuites sub eius regentia depentes per essu g.to, qui R. P. Rector auditis mandavit eiusdem R. D. deputati premisso sono campanelle cederisque solitis de mores illico, et imediati mines et singuli sacerdotes et fratres nemine excepto convocavit et adunavit in eius camera, quondam nomina
R. P. Rector Franciscus Sciera
R. P. Joseph Torri
R. P. Safgar Braigares
R. P. Egnatius Belcart
R. P. Joanes Sancristoforo
R. P. Sebastianus Mendivort
R. P. Jocundus Lozano
R. P. Joseph Minier
R. P. Joachim Menticara
R. P. Joanes Briguelles
R. P. Hieronimus Ovesto
R. P. Antonius Garzia
Omnes et singuli sacerdotes.
Frates vero
Emanuel Rodriguez
Joseph Martines
Alfonsus Garzia
Ioannes Garzia
Franciscus Arce
Michael Miner
Danieles Martinez
Quibus sacerdotobus et fratribus jesuitis sic ut supra congragati p.mis (..) deputatus jussit et imposuit mihi Not. publice persone legere et publicare eistem Bulla SS.mi D. N. Clementis XIV dat. die 21 juli at Breve successiv(..) dat. die 23 augusti 1773. (..) Bononie archiep. copelibus impressibus, prout ego imediata clara voce publicavi legi et timari usdem Bulla et Breve (..) quorum tenor (…) seguit.
Quibus factis et dimisssa copia in manibus eiusdem R. T. Rectoris sucessive d. R. D. deputatus juddit eistem demittere abitu cito et quam citius (..) ab Eminentiam sua demandat, (…) sic d. patres et frates (..) aceptantes promiserunt (…)
Presentibus in d. Castro domi (..) ac in ultima camera super lumen (…) a via d. Framela.
Ill.mo Ex.mo et (…) D. Hercule Ant. qd. Caroli Antoni Graffi sacerd. S. T. Doct. ad Protonot. Ap.lico nec R. D. Mauro. D. Jo. Antoni Calisti sacerd. (…) in d. Castro qui cum me testim. Ita refero D. Gaspari Sachetta pub. Bonon. Not. in foro Archi.epla Actuario ego Hercule Octavio Valerius Cavatia Npt. pub. Bonon. (….) deputatus.
Un simile atto fu fatto nel 28 agosto corente ad un altro ceto di gesuiti adunati e conviventi in figura di Colegio nella casa Morelli già edifizio de P.P. gesuiti di S. Ignazio. I nomi di que gesuiti ivi manenti e conviventi sono questi e sono di provincia di Messico
R. P. Ignazio Ibarburu Rettore
R. P. Antonio Cib.
R. P. Raffaello Pallacio
R. P. Atanasio Portiglio
R. P. Emanuele Cosio
R. P. Gio. Luigi Maneiro
R. P. Domenico Rodriguez
R. P. Michele Scierra
ne Borgo ove erano li seguenti:
R. P. Giovanni Guintanilla Rettore
R. P. Lorenzo Echavo
R. P. Emanuelle Colazzo
R. P. Franco Vibar
R. P. Giusepe Agnaz
R. P. Giuseppe Guerera
R. P. Francesco Calderoni
R. P. Eligio Fernandez
R. P. Pietro Vachera
R. P. Gabriele Cellevaria
R. P. Giuseppe Ravanilio
poi li fratelli F. Gio Ventura e Giuseppe.
Simile atto fu fatto in casa del sig. Domenico Sarzechi officiale di questa gabella in Borgo, nella via romana ove erano li seguenti:
R. P. Sanzio Rainos Rettore
R. P. Saverio Losano
R. P. rancesco Miranda
R. P. Lodovico Marin, tutti sacerdoti.
Fratelli poi
F. Gio. Antonio Aguirre
F. Raimondo Farò
F. Agostino Real
Tutti questi tre Colegi erano della provincia del Messico.
Ciò fatto il di 8 settembre si videro tutti d. gesuiti in abito da prete quanto a sacerdoti e quanto a laici in abito secolare e tutti primi e secondi in abiti di scialo e gala per modo che non si riconosceva in loro più il pretismo.
Adi 13 si pubblicò il bando dell’E.mo Legato ed Arcivescovo che ordinavano la colta dell’uva per li mendicanti di Bologna. Notasi in quest’anno una copiosissima abbondanza d’uva talmente che vale l’uva scielta di queste coline scudi 20 la castellata.
Li marzatelli pure, massime il formentone, è stato abondantissimo e contemporaneamente furono visitati dalli assonti del Senato di Bologna per l’Abazia di S. Stefano tutte le terre emfiteutiche ed eravi il perito Dotti, segretario Zanotti, notaio Cesare Maroni e senatore de’ Buoi.
Adi 3 ottobre, domenica del SS.mo Rosario si dispensò per la prima volta il bel rame della compagnia del Rosario, esprimente la Beata Imelde Lambertini, l’Imagine di M. SS.ma e S. Domenico, la manifatura è di Gio. Battista Fabri e fu dedicata alla sig. D. Imelde Lambertini come protetrice di d. Compagnia per averle essa med. intercessa la grazia segnalata dell’uso del gonfalone da Benedetto XIV Lambertini di lei zio, nel qual rame avvi lo scherzo di un puttino che in aria veleggia il vessilo e spande rose sopra la B. Imelde.
Adi 9 d. sicome la milizia di questo Castello non era per anco stata consegnata dal cap. Graffi giubilato al Capitano novo Pier Andrea Giorgi, mio cognato, così, essendovi intervenuto in Castello l’ajutante maggiore Giuseppe Marchesini, questi, in nome del colonello Antonio Salvioli, chiamò la truppa tutta a casa del Cap. Graffi e poi, fattala girare pel Castello con tutta l’officialità in gala, andarono col cap. Graffi a bandiera spiegata con suono di zuffoli e tamburi alla casa del cap. Giorgi nel Borgo presso la Annunziata e qui, replicata la rivista (e) pressata la banca con colazione del novo capitano e rinfreschi alli officiali, promisero tutti la riconoscenza di sogezione al novo capitano in casa del quale si fece alto.
Adi 12 d. l’ospitale del Borgo per li viandanti fu fatto ristorare non solo ne coperti e muri, che minacciavano ruina, ma fu anco fattovi un bel camerone di sopra, ove si collocarono poi li letti e si levarono dal tereno ove marcivano co’ cristiani.
Adì primo novembre si tenne consiglio per la balotazione de stipendiati e fu la prima che si mutò il giorno poichè per l’adietro li balotavano tutti a Natale. Li stipendiati tutti ottenero il partito pieno, ecetto l’abatte Alessio Camaggi, mastro di scuola che per essere malvolsuto dal Conti, rimase escluso con due voti soli bianchi.
Adi 9 d. venne l’obedienza a due frati di S. Bartolomeo non ostante che fossero questi figli del convento e furono P. Lett. Agostino Fornaciari e P. Nicola Giacomelli e fu ragionato ciò fosse impegno del Card. Arcovescovo, per che questi facevano bozzoli ed elogiavano li supressi di S. Cattarina in tempo della pendenza della controversia col Card. Arcivescovo.
Tali padri fecero gagliardi impegni co’ frati per non partire, ma furono vani, ed in questo contratempo fu trovata una satira o sia cartello che diceva: che si lasciasse i frati a stare, altrimenti farebbesi l’arciprete bastonare, onde l’arcivescovo più restò inviperito contro essi.
In questo med. tempo e mese li schiantini fecero ricorso al card. Legato per avere licenza di lavorare canape e canepazzi alla schiantina. Il Legato intendendo che la cancellaria del Senato dava fuori tali licenze, ancor esso cominciò alla sua cancellaria ad estradarle, onde Domenico Oppi, sig. Roco e Giulio Andrini ebbero per li primi tali licenze di lavorare alla schiantina.
Ciò venuto a notizia de gargiolari di questo castello, fecero non poco sussuro e scrissero med. a Francesco Conti a Roma per averne una sospensione, l’esito per anco pende.
Adi 16 dicembre fu estratto per Podestà di Castel S. Pietro il Marchese Gio. Carlo Fabbri Fibia da cui fu nominato per notaro Giuseppe Nanni.
Adi 17 il sig. cap. Lorenzo Graffi comprò dal Senato la via torta che passava fra suoi beni al Borgo e quelli del sig. Gini e sbocava contro le fontanelle, per prezzo di scudi ventuno e rogò l’Intro il sig. Pietro Riviera.
Adi 21 d. fu tagliata d. strada e atterrate le siepi e tolta via di sotto.
E perchè li uomini della podestaria di Casal Fiumanese non volevano Francesco Conti per notaio sostituto conforme l’anno scorso e ne tengono il dott. Pier Paolo Ragani, così presentarono al cavalier Pelegrini suplica con un somario di delitti comessi dal d. Conti in tempo di suo governo.
Li istanti, come deputati del corpo della Comunità, furono D. Domenico Cervellati filio di Bartolomeo, arciprete di S. Martino di Piè di Riolo e D. Luigi di Alessandro Zuffa del Comune di Bello, inseguito di che il cavaliere si portò dal Legato, che prima era stato impegnato dal Card. Palavicini, segretario di stato e dalla Contessa Bosi, favorita del Legato, affine di rimuoverlo dall’impegno per il Conti. Il legato in vista di tali istanze sospese la nomina del Conti ed ordinò si fabricasse il processo criminale dall’uditore del Torrone, sospendendo per ora e il Conti e il Ragani dalle d. due podestarie.
Adi 27 d. fu estratto consolo per il primo semestre e per la prima volta il sig. Gio. Antonio Bolis ed il di 28 il Conti fu chiamato a Bologna dal legato per la detta causa, quale subito partì ed il primo genaro 1774 ritornò a casa, ma solo per due giorni, poichè richiamato ritornò a Bologna.
Adi 11 d. li due deputati arciprete D. Domenico Cervellati di S. Martino di Piè di Riolo e D. Luigi Zuffa, con mandato amplissimo della podestaria uniti con diciotto uomini di quelle respetive comunità, andarono a Bologna affine di presentarsi non solo al cav. Pompeo Pellegrini con novi documenti, ma anco al Cardinale Legato.
Adi 15 d. essendo li uomini sud. della podestaria a Bologna ed essendosi presentati al cavaliere affine di escludere il Conti, il med. cavaliere si presentò al legato con le istanze de ricorenti, ma per che ciò dipendeva ancora dal governo, il Conti aveva fatti alti impegni per gettarli polvere nelli ochi delli Assonti di Governo, ma fu vano poichè si presentarono li ricorenti e a significare con documenti alla mano le pessime qualità dell’aversario. Il sindico Gavaggi da bon legale rispose che non potendo il governo intradersi nella giudiecchira criminale contro il Conti, conveniva riportare al legato la decisione del fatto, riconoscendo ancora il Governo la malvagità del Conti.
Li ricorenti medesimamente legale fecero informazione all’E.mo quale, stomacato non ostante avesse pressanti impegni pel Conti e dal segretario di Stato e da dame bene affette al med. legato, non potè altro che, per salvare capra e cavolo, assicurare li ricorenti coll’ordinare che il Conti, per le sue iniquità, venisse non solo questa volta escluso dalla sostituzione di comotare nella podesteria p.ta, ma anco che, fintanto sarebbe esso E.mo stato Legato a Bologna, mai e poi mai il Conti avrebbe servito da Assonto nella podesteria.
Da tali alte rissoluzioni il Conti diede in ecessive espressioni di rancore che lo lasciarono per la sua bile in preda alla furia, molto più per che era stato dal legale Pizzardi dipinto a penello si per questa facenda, che per le iniquità, sussuri e capo discordi del nostro paese in ocasione della supressione della Compagnia di S. Cattarina e per altre inquietudini inventate nella patria e nel Consiglio med.
Infine il d. Conti le convenne chinare il capo riconoscendosi troppo lordo e rinunciare alla pretesa giustificazione criminale che intendeva avere. Li capi di accusa erano ingiustizie comesse, visite fatte fare per persona inabile di Nicola Bertuzzi, uomo di egual caratere del Conti e semplice gargiolaro, del quale se ne valeva per inquisitore, danni dati al terzo per stadere, bilancie e misure fatte riconoscere e bolare al d. Bertuzzi, le quali davano dalle tre e quattro oncie di meno per libbra, concessioni fatte a carnajoli di Sassoleone di vendere la robba a talento purchè lo mantenessero a sero per la famiglia, usurpazione di danari per la lite vertente contro dazieri e molt’altre cose di fatto, senza le cominatorie di volere distrugere il mercato di Sassoleone esente a poco a poco col far osservare li bandi di Bologna, massime all’arti di canape, gargioli e sete. Il med. Conti rinvenuto per tanto in se stesso fuggì di notte da Bologna a casa e l’officio fu conferito al d. Ragani colla privazione però del Conti.
Adi 16 d. nella Congregazione del Sufragio in S. Bartolomeo, sotto il novo priore di D. Giovanni qd. Sante Tomba, fu rissoluto fare una nova statua di S. Nicola affine di assicurarsi da scandali per la statua vechia nelle processioni introdote dal 1752 che prima non si facevano, contemporaneamente si pubblicò in Consiglio la sopraintendenza per il corente anno alli affari pubblici di Castel S. Pietro nel Senatore Piriteo Mavezzi, uno delli Assonti.
Adi 13 d. fu asportato a Bologna alle Monache di S. Mattia l’organo che già era della compagnia supressa e da quelle monache fu posto nella cantoria sopra la porta. La capella vechia, che era di d. compagnia annessa alla parochia, si cominciò in oggi a ridurla con fabrica ad uso di sacrestia.
Adi 24 d. fu spedita in Roma la causa delle banche per gli atti Giacobacci, con facoltà al nostro paroco della onnimodo mozione facoltativa in ogni suo piacere e comodo eclesiastico della banche come si legge ne seguenti decreti:
Citatus D. Costantinus liggi exad. Prov. afferm. D.D. Simonis, et aliorus de Georgis exad. principalius, ac alias omnibus ad videns (…) B. D. istantam manutenteri in quieta et pacifica professione vel quasi omnimode libertatis movendi, removendi ac ubi libet collocandi quocumque tempore, ac guari ocasione omnia et singula scamna, seu sedilia existens in ec.ta Archipreobiterali Castri S. Petri et mandat. de manutinen. seu aliud quamdunq. desuper (…………..) concedi, decerni ac relaxari et decreta ac primo diem. Instante R.D. Sancti Bartolomeo Calisti Archipresbit. Ecta Parochialis C. S. Petri er litis principalibus sive Jacobius. Relatione facta comparuit D. Joseph Giansimeoni (…), petiit et obtinuit ( continua)
Adi 16 febraro, primo giorno di quaresima, fu pubblicato l’indulto da ova e laticini.
Adi 24 d. sicome fino dall’anno scorso fu presentata dal Console e compagni all’E.mo sig. Card. Arcivescovo, suplica esponente li legati Morelli omessi dai gesuiti e ciò affine di ottenere dal d. sig. Cardinale la reintegrazione de med. legati, perciò il med sig. Cardinale qual delegato apostolico in questa parte per l’administrazione non solo ma anco per la diposizione de beni già della supressa Relligione, ordinò per suo decreto che avanti la solennità di Pasqua di Rissurrezione si facesse la dispensa di corbe N. 12 formentone in tanto pane a poveri del paese di famiglie onorate e dabbene e questa dispensa andasse a conto della dispensa dell’anno scorso.
Quanto ppoi alle messe che volevansi dire nell’arcipretale, queste ordinò pure che si celebrassero colli aniversari in d. arcipretale per quei religiosi piacevoli al paroco e così si dovesse in avenire sempre fare a norma di detto testamento, copia del quale è inserta nella cronica nostra del 1634. Il memoriale poi che fu dal consolo sud. dato e la copia del decreto fatto dal sig. Cardinale è il seguente, cioè:
E.mo e R.mo Principe, Il Consolo e Consilieri della Comunità di Castel S. Pietro oratori ossequiesossimi della Em.za V.ra espongono con tutta venerazione esserli state fatte instanze a pro della Povertà del Paese nelle presente contingenza de P.P. Gesuiti, che fino dall’anno 1637 il fu Sig. Gio. Morelli di Castel S. Pietro abitante in Bologna fece solenne Testamento , nel quale instituì eredi li P.P. Gesuiti di S. Lucia e S. Ignazio di Bologna egualmente fra di loro nella di lui pingue eredità, gravando li med. eredi a vari Legati.
Fra questi legatò una di lui Capella in cod. Arcipretale alla Compagnia del SS.mo col peso perpetuo di tre messe ebdomadarie e dippiù tre feste ogni anno, cioè di S. Lucia, S. Ignazio e S. Francesco Saverio, da celebrarsi almeno con dieci messe per ciascuna. In oltre ordinò che nel giorno anniversario della di lui morte ogni anno in perpetuo si facesse un officio da morto con molte messe.
Finalmente ordinò con particolare premura che d. P.P. Gesuiti facessero tre volte l’anno le missioni in Castel S. Pietro conforme il loro instituto a beneficio di queste anime, imponendole che nella circostanza e tempo di d. missioni dispensassero dodici corbe di formento ridotte in pane ai poveri del Castello med.
Tali Legati furono dall’anno med. 1634 in cui morì d. testamentario per il capo più di un secolo puntualmente adempiti, ma poscia a poco a poco diminuendosi per li disturbi intestini del paese, aprofitandosi di questa occasione, tutto in un tempo cessarono le elemosine e missioni. La povertà del paese priva di forze ed appoggi, non potendo compettere li avversari potenti di tutto, convenne gemere la disaventura.
Il paroco solo e la Compagnia del SS.mo fece qualche movimenti giudiciale, ma a forza di cavilli essendo l’uno e l’altra strascinati pel tribunale, furono in necessità abbandonare la causa ed in questo modo restò privo il paese del bene spirituale e temporale.
All’E.mo Lambertini, che fu poi Benedetto XIV di S. M., nella sua visita pastorale fu proposto un tanto fatto, esso per ciò decretò che li P.P. Gesuiti adempissero il loro obligo. Fu vano il decreto, per che di novo chiamarono in giudicio il paroco e compagnia sud. Non trovandosi per tanto chi volesse assumere la briga del litigio con un corpo potentissimo di tutto, restò l’affare aterato.
In oggi che si prevede tutto l’asse di questa supressa relligione in mano di comendabili amministratori eletti dall’Em.za V.ra, ricorrono li Oratori all’autorità e protezione di V. Em.za acciò vogliasi degnare come Padre e Pastore amoroso rivolgere l’occhio di clemenza al nostro povero Popolo, coll’ordinare all’amministrazione sudd. l’adempimento di d. Legati, mentre per tanta grazia ne sarà sempre memore questa Nazione nel vedersi reintegrata dal fin qui denegato bene spirituale e temporale. Che della grazia.
Determinò l’arcivescovo prontamente l’esecuzione de legati sud., la quale nel di 24 sud. fu pubblicata in questo pulpito della arcipretale del paese. La Comunità in appresso spedì all’Arcivescovo quattro del suo Corpo a ringraziarlo, che vi andarono in forma e furono Cap. Lorenzo Graffi, Giuseppe Dalle Vache, Flaminio Fabri e Giovanni Calanchi.
Adi 6 marzo essendo stato licenziato il publico maestro di scuola D. Alessio Camaggi faentino sacerdote al quale, per salvare il di lui onorifico, fu trovato il ripiego dal Not. Francesco Conti, altro de consilieri e serviente a quel tempo da cancelliere in mia vece, di farli fare una rinoncia onde esso la fece, ed in essa chiese tempo a provedersi e fu rissoluto dal Consiglio darli tre mesi di tempo, oltre il bimestre stabilito dai statuti.
Il Conti non fece alcun rescritto al Camaggi e ne tampoco li notificò la rissoluzione comunitativa, solo nello scorso febraro fece il Conti istanza per la pubblicazione del concorso.
La Comunità nel di 16 caduto fece per ciò affiggere le Cedole d’Aviso della vacanza di scuola; il Camagi a si repentina rissoluzione, come quello che non aveva avuto alcun rescitto per il tempo di provedersi, ricorse all’Assunteria, la quale avendo in vista le sue istanze scrisse alla Comunità che si sospendesse il concorso ad elezione del maestro.
In vista di questo mal sodisfatto il Conti alli aderenti, molto più perchè avevano fatto un monopolio a favore di D. Lodovico Dall’Oppio di questo loco per investirlo in d. carica, fece alto e sollecitò il Bolis Giovan Antonio console portarsi a Bologna come in se assunse la briga di parlarne in Assunteria.
Ciò fatto in Consiglio si pubblicò altra lettera del Sen. Periteo Malvezzi riguardante il solievo de nostri contadini, li quali sicome venivano bene spesso precetati dal cancelliere di Governo a condur grani da Castel S. Pietro a Bologna nulla avendo riguardo alla stagione, viaggio e con poco prezzo, per far essi lucro sul sudore de poveri associandosi con contrabandieri a quali consegnavano d. Precetti di Comando in iscritti senza giorno, mese nè anno notati, lasciando un pieno arbitrio a contabandieri med..
Così essendosi fatto ricorso al d. Senatore affine di averne il giusto e con degno ristoro, il med egregiamente si diportò in Assonteria, facendoli note le ragioni de poveri, la corutela de ministri ed altre insolenze. per modo che la stessa Assonteria determinò in questa guisa:
Che d’ora in apresso non siano considerati li comandi estradati da questa nostra Cancelleria di Governo se non quando sieno a tergo segnati dal nome di due Assonti, cioè di due Senatori attualmente Assonti di d. Assonteria e ciò affine di evitare ogni aggravio che contro il volere della Assonteria potesse esser fatto da ministri a questa povera gente. Come si vede in letera del Senatore nella quale assicura anco di qualche regolamento per il tempo di verno.
Adi 6 marzo naque un figlio a Lorenzo di Barnaba qd. Lorenzo Trochi e della Madalena qd. Alessandro Sarti; questo fanciullo naque con un bel velo bianco in capo a guisa di capello e le fu imposto il nome di Giuseppe Maria.
Pendente la circostanza dell’elezione del Maestro di Scuola, fu fatto ricorso all’Assonteria dal sig. Giuseppe Vachi, Lorenzo Cap. Graffi e me Ercole Cavazza affine di oviare a monopoli, che prima si procedesse all’esame per discutere l’abilità de concorenti.
Ma l’Assonteria nel di 16 d. pensò diversamente, per questa volta si provasse procedere senza esame, ma che in avenire si saria proveduto come da sua letera delli 16 andante, onde nel di 20 fu chiamato Consiglio e per lo monopolio fu eletto con dispiacere del paese D. Lorenzo Dall’Oppi a motivo della sua imperizia.
Successivamente nel di 24 fu conferito l’oficio della Podestaria di Casale in piena libertà a me Ercole Cavazza per la giudicatura di quella scelta Comunità alto però il nome di conotaro del dott. Paolo Ragani Not. Colegiale, come da rinunzia in casa mia.
Adi 26 d. l’Abbate Clò, uno delli aministratori delli beni de supressi gesuiti essendo venuto in questo loco, dispensò alle famiglie bisognose del Borgo e Castello le corbe N. 12 farina formentone in vece di grano e ciò per esecuzione del rescritto dell’E.mo Arcivescovo per il legato Morelli.
Adi 24 aprile nella congregazione tenutasi dalli confrati del Sufragio in S. Barolomeo fu esposto il modello della nova statua di S. Nicolà da farsi per il celebre Nicola Toselli e come che questa fu interamente piaciuta così furono deputati per assonti a maneggiare il contratto della spesa li signori Nicola Bernardi, Gio. Antonio Bolis e Lorenzo Cap. Graffi, purchè non ecedessero la spesa di dieci zechini da pagarsi per il depositario della compagnia colli avanzi di quella.
Adi 25 d. si cominciò a fabricare il novo dormitorio superiore per li pelegrini nell’ospitale del Borgo, il quale era inferiormente in tre stanze assai cattive e malsane e fu il Graffi sud. l’inventore e dessignatore coll’approvazione delli altri aministratori.
Adi primo maggio, in giorno di domenica, D. Lodovico Dall’Oppio novo precettore publico cominciò una congregazione spirituale nella chiesa di S. Cattarina di tutti li suoi scolari, facendo ivi un picolo discorso e poi fattole dire l’Officio della B. V. le fu recitata la S. Messa; ciò spiaque molto a confrati sopressi, ma come che ciò ha fatto di consenso del paroco, li supressi si sono quietati con simulazione per ora.
Adi 20 maggio fu publicato un somario di indulgenze in istampa a questa arcipretale, contemporaneamente si ebbe aviso come, dovendo partire nell’entrante giugno pe Roma l’E.mo Arcivescovo Malvezzi per servire in qualità di datario la S. Sede per la morte del Card. Cavalchini, il med. E.mo Malvezzi aveva eletto per Vicario generale il canonico prevosto Lucio Natali suo cancelliere, in luogo di Mons. Sante Carluggi e qui se ne abbe gioia per esser favorevolissimo al paroco nostro.
Adi 30 si terminò la fabrica dell’Ospitale di Borgo e sopra la porta di quello, in una nichia, vi fu collocata una imagine di M. V. con Cristo morto in grembo e con un angioletto contemplante le piaghe, opera di Antonio Schiassi celebre scultore di Bologna. l’imagine è di terra cotta e costò sei zechini effettivi romani che sono scudi 63. Le donne per ciò del Borgo cominciarono a cantarvi tutte le sere le litanie ove evvi gran concorso e si fecero rumori e maldicenze.
Adi 2 giugno, giorno del Corpus Domini, su le 9 morì in questo Castello nel suo palazzo d’etisia la Marchesa Olimpia qd. Marchese Pier Luigi Locatelli, una delle quattro sorelle in cui si estingue questa nobile famiglia. Fu moglie de Marchese Ercole Bonadrada di Rimini. Li 3 d. fu sepolta in S. Bartolomeo nella sua sepolcrale avanti l’altar magiore in cornu evangeli, presso l’altar di S. Andrea da Villanova juspatronato di d. Sig. marchesa, le fu fatto un sontuoso funerale con messe infinite Fece un codicillo per rogito di ser Francesco Conti.
Adi 7 d. su le 12 venne un orido temporale di turbini ventosi, fra quali, sopra il Silaro ascendendo, un folgore detto biscia buora e passando sopra il ponte rettamente alla montagna, sopra le fornaci, il luogo Pistuzzo e ritornando nel fiume andò a scopiare nell’aqua sotto li beni Malvasia, contro la Baruffa.
Questo folgore fu veduto da molti, aveva il capo a guisa di bue, acuminato come biscia, lungo da 6 pertiche e più, la coda come serpe che dibatteva or alto or basso, dalla bocca gettava or fumo or foco e quanto ritrovava avanti ove passava lo recideva, ruinava e portava seco. Levò un olmo grosso dalla chiesa di S. Giacomo e lo passò ne beni d. il Pistuccio, al luogo d. la Sega di Sopra de Gini raddette a terra 6 quaderni di marzola lasciando la terra arida, scoperse due case a contadini dell’eredità Locatelli e fece gran’orore di chi la vedeva e nello scoppio parve una saetta.
Adi 9 d. si acomodarono le mura dalla parte ocidentale che avevano tre aperture dalla parte superiore alla Roccazza, il baloardo di questa che aveva le vie coperte ove si nascondevano genti e (…), furono ammuniti di pietricci e, per che niuno valicasse la mura sopra detti bastioni, fu abbasata la sua superficie di 4 piedi, nel che fare si scopersero li archi della prima porta antica (….) de quali fu uno disfatto e l’altro si vede per che essiste nella parete che serve di mura; era questa porta, come dalle misure, egualmente che la porta di sopra d. Montanara.
Adi 10 d. sopra Pizicalvo in un loco detto: alle Casazze, fu chiuso in una casa Antonio Marani, detto per sopranome Bromblino, filio di Giovanni Marani alias il Bolognesazzo, costui faceva la vita da vari anni in qua in quelle parti da assassino e teneva in soggezione tutto quel paese da solo; era giovinastro grande, di molta forza ed orido aspetto, era nativo di Castel S. Pietro, oriundo bolognese.
Sei birri non lo poterono fermare quando lo volsero legare nella stanza per che con un solo bastone li fracassò tutti di bastonate, onde dandosi all’arma, concorendo popolo e gettandovi adosso coperte, lenzoli ecc. tanto fecero che avilupato, non potendo servirsi di sua vita e bravura fu fermato, legato e condotto a Bologna. Le donne che esso incontrava quando era in libertà erano necessitate darle ori, pane e ciò che voleva
da esse, le quali poi non violava nell’onore; Era in età di 22 anni: e, se restava fuori, anco molto tempo da far compagni guai !
Adi 15 d. fu posta nella chiesa di S. Bartolomeo la lapide sopra il sepolcro della Locatelli cosi cantante:
HIC JACET
MARCH. OLIMPIA LOCATELLI
UXOR MARCH. HERCULIS DIOTALEVI BONADRATA
ARMINENSIS
OBIIT DIE II JUNI MDCCLXXIV
Adi 24 d. fu estratto console per il secondo semestre il sig. Flaminio Fabbri. Aveva l’Assonteria fatto affissere una notificazione per la costruzione di un nuovo ponte sopra la Gaiana al Passo de Forni nella via che va da Medicina a Budrio con intenzione di gravare le comunità che di quello si servono, così essendo stato nominato Castel S. Pietro, la Comunità fece ricorso e per ciò fu sospeso l’agravio.
Adi 6 lulio F. Gio. Andrea Grandi filio di Giovanni speciale di Castel S. Pietro e di Cattarina Andrini, che al secolo aveva nome Nicola Minore Osserv., in Forli sostenne con aplauso singulare conclusioni filosofiche e li 8 d. in S. Pietro in Bologna fece lo stesso Luigi di Giuseppe Farnè e Giulia Andrini di questo Castello, more academico dando loco a quinque di argomentare sopra Logica, Fisica e Metafisica, riportandosi un aplauso grande.
In questo tempo per che erano insorte questioni in varie comunità del contado per la nova formazione del Campione delle vie fatto l’anno 1770, così il Legato e Assonti al Governo ordinarono la riforma di tal Campione mediante perito pubblico col farne una pianta dimostrativa di tutte le vie. In seguito di tal notificazione fu convocato Consilio e furono elettio Ercole Cavazza scrittore della presente, in loco del Console, Bartolomeo Negroni, Michele Baroncini, Teodoro Vechi e Antonio Frascari.
A tale elezione si oppose Francesco Conti, nel modo che fece l’anno 1770, impugnando l’elezione come fatta irregolarmente, perché dicendo il bando si dovessero convocare tutti li uomini del comune e così essendosi convocati li consiglieri, questi non erano altrimenti li enonziati nella materialità del bando, ma dovevansi chiamare tutti li contadini. A ciò si oposero vari comunisti e la facenda fu devoluta all’Assonteria la quale disse che la deputazione era fatta vite et recte e che li uomini del comune erano li publici rapresentanti.
Essendo stata supressa la Compagnia de Gesuiti ed essendo li loro beni in mano delli aministratori, così essendo passati a S.Lucia, al Governo de Colegi, li Barnabiti che governavano il seminario, fu per ciò a med. barnabiti assegnato tanto de stabili di quelli in queste parti, quanto era per la rendita di lire ventiduemilla l’anno, libere dalli agravi che restavano alla aministrazione.
Adi 11 settembre si mise alla publica venerazione la nova statova di S. Nicola nella chiesa de padri di S. Bartolomeo, opera di Nicola Toselli bolognese, celebre statuario in ogni materia.
Adi 21 d. venne il perito publico e cominciò la mappa delle strade a norma della notificazione.
Adì ventidue d. morì avelenato il Papa dopo aver retto la chiesa anni cinque, mesi quattro e giorni tre, lo che fu atribuito a parciali de gesuiti.
Trovavansi molte reliquie attribuite a vari santi sparse da certi vescovi, le quali in realtà non erano reliquie, ma robbe ed ossa purtroppo di bestie Essendo stati condannati que vescovi, così venne in Castel S. Pietro, d’ordine dell’arcivescovo di Bologna, il di lui reliquialista D. Dardani a farne le dovute perquisizioni, il quale ne trovò molte e le diede al foco.
Essendosi fino all’anno scorso fatta istanza per il ristoro del campanile della Comunità presso alla arcipretale, cosi venne ordine di accomodarlo e fu fatto il dissegno dall’architetto Giacomo Dotti.
Domenico Sarzechi, gabelliere di questo Castello, erano tali li abusi che aveva introdotti e tutt’ora cercava introdurre, nemico acerrimo delle nostre esenzioni, fece catturare molti montanari che vendevano maroni e li birri, dopo averli caturati, asieme col d. Sarzechi fecero loro la condanna col farsi pagare quello loro piaque sul fondamento che non li avevano denunziati, pretendendo introdure il Dazio dell’Orto, che non ivi è.
Fu la cosa dedotta col tribunale e ne risultò la cassazione. In seguito di che fu data suplica da vari agravati del Castello alla Comunità con serie delli agravi affine di unirsi colla med. e far si che venissero restituiti li esatti indebitamente La cosa fu scritta all’Assonteria e si ottenne per risposta che si sarebbe dato mano alla Comunità per il ristoro non solo delle indebite esigenze ma anco per la provisione alli Assonti.
Adi 18 dicembre morì in Bologna l’abbate Carilla exgesuita spagnolo, che fu uomo di gran maneggio e sapere, onde li suoi compatrioti annualmente lo riconoscevano con corisposte pecunarie. Questi, professando gran divozione alla B. V. adolorata ed essendo stato in Castel S. Pietro molto tempo ove faceva ben di spesso nella parochiale funzioni e feste in onore della med. B. V., prima di morire fece testamento per rogito di Scandiani notaio colegiale e legatò cento scudi a questa arcipretale di Castel S. Pietro affine di erigere un altare in un capellone della d. chiesa sotto il titolo e invocazione della med. B. V. Adolorata; onde le fu asegnato il capellone in cornu epistole, levando via la cantoria quall’ora si procedesse a tal lavoro, legatò pure i di lui aredi sacri, cioè un calice compito d’argento, pianete e simili che furono consegnati.
Adi 27 d. fu estratto consolo per il primo semestre 1775 il sig. cap. Lorenzo Graffi.
Contemporaneamente in Roma fu data suplica al Card. camarlengo Rezonico generalissimo di tutte le Poste dello Stato eclesiastico, ad istanza di Domenico Frascari mastro di posta di S. Nicolò fra Bologna e Imola ed a istanza di Carlo Dal Pozzo, mastro di posta d’Imola, affine di rimuovere il mercato de bovini dal mezo del Borgo nella via romana e trasportarlo altrove dietro la fossa alla destra del Castello per li molti scompigli che nascono in d. via fra postilioni e vilani, bestie e cavalli.
Fu pure data suplica al signor Confaloniere di Bologna Giovanni Leganni con informazione sopra il mal governo del V. P. di Castel S. Pietro dott. Paolo Ragani e suoi sonotati Francesco Conti e Giovanni Bertuzzi e di più per la indebita esazione usurpata delle bolette, per le misure da grano e finte, essendovi bandi in contrario. Copia della qual informazione è la seguente colla suplicazione:
Eccelenza , la possidenza primaria (…) al Governo della Città, che del contado ora appogiato meritevolmente all’Ecc. V.ra, esigge che vari Zelanti del ben pubblico interponghino la suprema Autorità sperimentata da V. E. e protezione affine, come Capo del Senato e delli magistrati di Governo, si interponghi alla estirpazione di più mali che signoreggiano in Castel S. Pietro. Dalla annessa informazione, che si prega l’Ec.za V.ra proporre all’ecelso Senato ed a chi crederà proficuo, ne avrà un saggio e si sarebbe la med. diretta imediatamente all’Ec.ma Assonteria se non si fosse temuto che venisse ocultata o intercetta da qualche ministro per l’intrinsechezza che intercede colli acusati, onde li esponenti hanno pensato per il meglio affidare l’affare all’Ec.za V.ra imediatamente perché ne hanno troppa esperienza della incorotta giustizia. Li informanti ocultano per ora il loro nome non per altro che per isfuggire ulteriori discordie con le acusate persone, troppo perniciose alla quiete comune, ma a suo loco e tempo tanto l’Ec.za Vostra che all’eccelso Senato serano manifestati. Degnasi dunque Sua Autorità suprema fare li oportuni confronti dell’esposto che le proverà in tutto e per tutto conformi e quindi implorando la sua alta Protezione come Capo e Principe in questo emergente, devotamente si umiliano su all’Ec.za V.ra D.mi ed Osseq.mi Ser.ri vari Zelanti del bene pubblico.

(1775) Adi primo genaro 1775 si diede il possesso al novo Consolo estratto per il presente primo semestre Sig. Cap. Lorenzo Graffi.
9 d. sicome il daziere del Dazio Orto di Bologna ha fatto istanza di porlo a Castel S. Pietro, così la Comunità deputò il d. sig. Graffi e Flaminio Fabri a parlar seriamente ed a costituire anco prove al lites, come già fecero e furono intanto sospesi gli atti e Dazio.
Essendo morto il curato D. Alessandro Piaggi di Liano e cosi vacando d. chiesa, la nomina della quale è de parrochiani, fu pertanto deputato e delegato giudice alla elezione il nostro arciprete Calisti di Castel S. Pietro, come per notificazione emanata agli atti Gio. Gotti e Sachetti nel vescovato, quindi restò concluso il concorso il dì 29 febraro
17 genaro essendo il Casano o sia Battaglione in piazza grande di Bologna delle milizie pedestri, vi andò il nostro novo capitano Pier Andrea Giorgi per 10 giorni.
22 d. fu eletto presidente alli affari di questa Comunità il senat. Piriteo Malvezzi come lo era l’anno scorso e ambasciatori di abiconoscenza furono deputati il sig. Graffi e Fabri. Essendo stato estratto per Podestà di questo Castello il Senat. Giovanni Fantuzzi e doppo lui il Conte Lodovico Francesco Malvasia insorse lite fra entrambi, pretendendo il secondo escludere il primo per non essere, aducendo, di linea Fantucci ma Fantuzzi, che però ciascuno nominò il suo notaio, li quali notari cioè Schiassi e Locatelli nominarono il Dott. Ragani che agisce in nome d’ambi.
Essendo fino l’anno scorso stata affissa notificazione per la costruzione di un novo ponte alla Gajana nella via di Medicina che va a Budrio, ed avendo resistito questa nostra Comunità di ascendere alla spesa, in oggi viene citata la Comunità per gli atti di Governo a far resistenza altrimenti a porre in comparto la spesa metatamente. Su ciò fu deputato d. sig. Graffi e Fabri, li quali per ciò elessero il Dott. Cosimo Protti a far le istanze agli atti di Governo come fece e protestò che, non essendo questo ponte niente a noi utile né necessario e che sopra d. Gaiana vi abiamo altro ponte a cui non ascendono le comunità aversarie, per ciò non volere noi socombere.
Adi 5 febraro domenica in S. Mamante di Liano, essendo intervenuto il nostro arciprete qual Giudice delegato da Mons. Vicario generale per l’assistenza ed elezione del novo curato di quella chiesa, doppo breve ragionamento, furono messi al partito li quattro concorrenti fra i quali essendovi D. Matteo qd. Floriano Baldazzi di questo nostro Castello, esso ottenne il partito favorevole di N. 103 voti bianchi inclusivi e 13 neri esclusivi. Fu tale il giubilo di quei parochiani che per ogni parte si sentivano sparate di mortaretti e massime a casa Conti ove la stessa giornata, essendo preparati li sonetti stampati furono tosto affissi e dispensati.
12 d. Monsig. V. Legato attesa la rimissione a lui con facoltà di levar il mercato de bovini dal Borgo, fece scrivere a questa Comunità che ne ritrovasse il sito apposito. La med destinò per tanto la via larga alla destra dell’ingresso inferiore del Castello, quallora al med. così piacesse.
Nello stesso tempo fu eseguita notificazione per parte dell’Arte de Muratori a questa Comunità affine che comparisse a mostrar se era esente e che le saria fatto buono il privilegio, onde si incaricò il sig. Graffi a pregare il Protti far tale comparsa. Fu altresì data alla Comunità da possidenti del Borgo suplica per selciarlo offerendosi alla paga della maestranza semprechè le venisse dal publico dato sasso e sabbia, su ciò niente per ora si risolvette.
Adi 22 d, Alessio Poggi di questo Castello, essendo scomunicato con cedolone, volendosi fare assolvere, fece la sua penitenza e bussando alla porta della chiesa le fu aperta dall’arciprete, quale assiso in catedra, doppo breve amonizione dandoli la assoluzione secondo il rito e delegazione fattole da Mons. Vicario generale, lo introdusse in chiesa e cantando in voce dimessa il miserere e deprofundis fu amesso alla Comunione de Fedeli.
Nell’anno scorso essendo stato cassato dall’officio di gabelliere di questo loco Domenico Sarzechi e sostituito in di lui posto il cap. Pier Andrea Giorgi, li dazieri Valerio Morelli e compagni imposero al med. la esazione del Dazio Pesce in questo loco, il qual Dazio trovasi incamerato fino dal 1555, come si vede dal libro de Dazi, che però, per oviare al danno comune, fu scritto dalla Comunità al sig. Fabri sud. proconsole, abitante in Bologna, acciò si portasse col Dott. Nicola Minelli, procuratore in simil causa delli bottegari l’anno 1771 nel Tribunal de Coleggi, a far costare a sig. dazieri che tal pretesa fu altre volte ecitata ma che non fu altrimenti riconosciuta per equa e in conseguenza ne furono sospesi li atti e le esazioni del dazio sud.
Adi 18 febraro in sabato, giunse nova come era stato assunto al pontificato Giovanni Angelo Braschi cesenate, uomo di età fresca cioè anni 58, questi appena eletto si pose il nome di Pio VI, spedì l’aviso a suo zio Mons. Giovan Carlo Bandi vescovo in Imola col titolo di Em.za.
L’elezione seguì li 15 in giorno di martedì ad ore 16 e sicome erano stati introdotti molti salumi in questo Castello e massime infinità di aringhe, così Valerio Morelli e Compagni, generali apaltatori di dazi di Bologna pretendendo imporre il dazio a Castel S. Pietro, incamerato già fino dall’anno 1555, come si vede nel libro de dazi, per cui la Comunità paga ogni anno scudi 3: 7: 6, quindi la Comunità, per oviare a tanto progiudizio, ricorse a Mons. Boncompagni V. Legato per il provedimento, onde esso nel dì 21 corente estradò per gli atti di Pio Diolaiti Notaio nel civile, la seguente inibizione:
Nos Egnatius Boncompagni Lodovisi at Princibus Plumbini Prothonotarius Apostolicus ac huius Civitatis Bononie eiusque Comitatus V. Legatus. Votis omnibus et singulis ad que seu quod p.ntis nostre pervenerint et,
Tale inibizione fu eseguita nel di 24 in persona a codesto officiale.
Adi 26 d. fu posta alla capella di S. Vincenzo Ferari nella arcipretale, jus patronato Vachi, la feriata di fero fornita di ottone affine di oviare alle scandescenze.
Attesa la determinazione della Comunità per il posto del mercato de bovini dietro la fossa del Castello e comunicata a Monsig. Prolegato, il med. prontamente nel di 4 marzo segnò l’ordine, che a vista fu stampato, copia del quale è l’adecontro, la quale fu spedita alla Comunità dal Not. Ragani V.G. con obbligo alla med. di denonziare li inobedienti e sicome tale bando si ebbe solo nel di 19 corente così si ritardò la publicazione al lunedì venturo per essere giorno di mercato.
In questo med. giorno giunse lettera del Dott. Nicola Minelli avisante che nella causa Dazio Pesce fu acerimo contraditorio e in seguito nato decreto di comissione al suo uditore di Monsig. e di più che si vedesse la causa in meritis.
Contemporaneamente l’Assonteria di Governo scrisse che dava facoltà alla Comunità per il riatamento del campanile parochiale per scudi 500 quali rendite e avvanzi comunali.
Adi 27 fu pubblicato il bando per la tramigrazione del mercato de bovini.
Quelli della supressa compagnia di S. Cattarina non contenti vivere nella sua sorte, essendosi fatto loro capo Francesco Conti, Roco Andrini e D. Lodovico Dall’Oppio, interposero Mons. Gio. Carlo Bandi vescovo di Imola, zio dell’odierno Pontefice, ma esso ricusò l’impegno. Fecero per tanto alti impegni in Roma dando al sommo Pontefice suplica di vedere la loro causa. Il Pontefice, a più non vista, tratandosi di supressione fatta in visita pastorale dall’arcivescovo e di conferma apostolica per breve, diede alla suplica il Lectus.
Adi primo aprile in venerdì, attesa la scarsezza di formenti e formentoni che si pagavano i primi scudi 16 la corba e li secondi 9, il Conte Senat. Giuseppe Malvasia essendo uno delli Assonti della Annona di Bologna fece venire a Castel S. Pietro quantità di formentoni, ponendoli nel suo palazzo e si davano a scudi 7: 14 la corba e, per che la cosa venisse meglio regolata fu spedito nel di 9 d. Pietro Bachelli, ministro publico di Bologna, al cap. Lorenzo Graffi con lettera d’Assonteria incaricandolo come console ed insieme come privato alla dispensa di d. genere con apoche dirette all’agente del senatore Malvasia, dichiarato Granarolo publico per avere nel suo palazzo quantità di formentone per conto pubblico; la lettera fu in questi termini:
( la lettera non è stata scritta, lasciando lo spazio bianco)
Nel med. giorno, sicome la Comunità per le liti delle esenzioni generali aveva soltanto grandi spese e non avendo essa avuto del proprio, presero a questo tempo quantità di danaro a frutto cinque consilieri sul proprio e furono Cap. Lorenzo Graffi, Lorenzo Conti, Domenico Ronchi, Giovanni Calnchi ed Ercole Cavazza, scrittore delle presenti memorie, con animo poi di rimborsarsi in caso di vitoria.
Ora essendo andata alla peggio e venendo faliti li primi dissegni, fu trovato il compenso da d. Cavazza e Graffi di valersi del profitto che getta il libro della Colettoria di Castel S. Pietro al console pro tempore, qual volta esso vorsi farsi tale esazione col dare questa ad un terzo e che gli utili da quello provenienti all’esatore vadino in parte alla rimborsazione delli sud. cinque obbligati; quindi ciò proposto in Consilio fu abbraciata la proposizione e susseguentemente dalli altri coleghi rinonciato allo jus di farsi tale coletoria cedendo il loro consolato, che però fu locato tale jus a Matteo Farnè per scudi 150, come risulta da sua suplica. Il debito in tutto è di scudi 799: 30 oltre altre minute spese.
Adì 9 d. il P. Angelo Lombardi regente agostiniano in S. Giacomo di Bologna, predicatore in questo loco quaresimale, propose l’adorazione del SS.mo SS.to distributivamente per ogni quartiere del Castello e Borgo un ora delli giorni in cui sta esposto nella arcipretale per le 40 ore la settimana santa, fu cosa abbracciata e lodata.
Radunatosi li quartieri delle persone del Castello nell’oratorio del SS.mo nella piazza e d’ivi andando di mano in mano processionalmente all’adorazione del sud. li giorni di martedì e mercordì. Il lunedì che fu li 10 d. vi andò tutta la campagna distribuita ne 4 quartieri radunandosi questi, cioè quelli della Lama all’oratorio della B.V. del Cozzo, quelli di Granara all’oratorio di S. Giacomo al ponte Silaro, quelli del Gaggio all’oratorio della SS. Annunziata nel Borgo, quelli del Dozzo all’oratorio della B. V. ad Nives detta della Scania e così si diede principio il dì sud. 10 aprile giorno di lunedì, essendovi stata la domenica il Corpo Comunitativo in forma colli regolari all’Adorazione.
In questo med. giorno si cominciò a fare il mercato de Bovini dietro la fossa del castello, levato dalla via romana in vista dell’antecedente bando. In questo stesso giorno si cominciò a dar fori il formentone dell’Annona che si era fatta in questo palazzo Malvasia presso S. Francesco.
Adi 11 d. verso le 16 dopo pranzo in martedì morì il Dott. D. Egidio Antonio Graffi, fu uomo assai literato tanto in teologia scolastica, morale che in belle lettere e massime in poesia, di cui avvi alla stampa un poema in verso sciolto titolato: La concezione di Maria. Lasciò molti altri suoi manoscritti in tal arte latini e toscani, con orazioni, fu tenotario apostolico dal N. di partecipanti, Dott. teologo; acade la sua morte in tempo che era stato estratto priore dell’Arciconfratenita del Rosario di questo Castello, di cui, col fratello germano Cap. Lorenzo qd. Antonio Graffi, furono acerimi difensori, benefatori e promotori delli privilegi di quella come si legge nelle lapidi laterali nella capella del Rosario, era in età d’anni 65 e fu sepolto con deposito a piedi dell’altare di sua famiglia.
Adi 22 in sabato su le 19 morì il sacerdote D. Benedetto Fiegna in età d’anni 75, fu religioso dotto, esemplare.
Non essendosi potuto fare l’esequie al dott. Graffi per essere accaduta la di lui morte nella settimana santa, il di lui fratello per ciò cap. Lorenzo Graffi preparò solenni esequie per il dì 26 d. e furono un apparato sontuosissimo nella arcipretale consistendo in un alto tumulo sopra quattro gradini aparati di nero con 70 torcie in essi, il tumulo figurava una gran base quadrata dipinta a marmo, sopra d’esso un piedistallo ove stava un urna con aguglia sopra, nei quattro angoli di d. piedistallo vi erano quattro puttini grandi al vero uno con le insegne del caratere sacerdotale, cioè pianeta e stola, con moto in mano: ad sanctione tantum, dall’altra parte eravi la dignità del protonotariato, cioè rochetto e veste pavonazza, con puttino tenete in mano il moto: Honor et Onus, nell’altro angolo oposto eravi un putino con libri a piedi e laurea insegna del dottorato col moto sopra in mano: devorat umbras e finalmente nell’altro angolo eravi altro putino con la cappa del Rosario a piedi e con moto in mano: labor omnibus unus, perché egli era della compagnia priore e più alto sopra l’urna a piedi della gulia eravi un putino con capello e fiochi insegna della dignità che portava di protonotaio. Nella gran base eranvi quattro vasi dorati nelli angoli con fanali acesi sopra che bruciavano tutta la mattina. Il resto della chiesa era tutto apparato lodevolmente e con isfarzo a lutto, sopra la porta della chiesa eravi la seguente iscrizione:
Hospes ingredere
Pietatem fraternam intuere
Acta respice
Requiemq. procare
Oltre l’abondanza di lumi di bella cera, copia infinita di messe ove eranvi concorsi moltissimi preti di vicini luoghi e della Romagna, vi fu solenne messa in musica, fra le cui solennità recitò una lodevole orazione funera D. Giacomo Beltramelli, fatica però del dott. Calisti arciprete. Alla qual funzione fu infinito popolo per esser fatta con scialo di tutto. Il defunto ebbe la laurea in Roma li 18 maggio 1760 e fu anco allora insignito del protonotariato e aggregato all’Arcadia col nome di Alcadeo Doristeo come si vede ne suoi privilegi nell’archivio della sua famiglia. Visse veramente da religioso niente curandosi delle sue richezze delle quali ne fu erede il fratello Lorenzo cap. Graffi.
Adi 28 Maggio avendo proposto l’arciprete la processione del Corpus Domini in tanti quartieri e in tanti anni per questo Castello e Borgo, anco affine di rassettare il paese, ciò piaque estremamente a tutti, onde fu chiamato per ciò consiglio dal sig. Cap. Lorenzo Graffi console per sentirne anco il savio parere di questa Comunità, ed acciò la med. concoresse tanto coll’esemplarità nel riattare la ressidenza publica, quanto nel procurare che li publici rappresentanti cooperassero colli paesani per il riattamento delli fabricati respettivi e delle strade assai guaste.
Non furono tardi li med. rapresentanti ad eseguire tanto, imperciòche fecero accomodare la med. ressidenza e procurarono altresì che li abitanti e possidenti del quartiere primo destinato intraprendessero una tale determinazione.
Quindi il di 29 cominciossi dalla parochiale e venedo giù pel Castello nella via Magiore, voltando a sinistra dietro la mura del castello e la casa di me Ercole Cavazza, scrittore di queste e incaminandosi per la via de Pistrini alla piazza fino alla med. chiesa, furono riattati da tutte le parti le case ed imbiancate e accomodata la via per la ventura processione del Corpus domini e furono li padroni questi: alla destra. Comenda di Malta, Dott. Anibale Bartoluzzi erede della familia Fabri, Giovanni Fantazzini, Antonio Gordini, Dott. Simone Gordini, Vincenzo Mondini, D. Giovan Battista Vanti, Flaminio Fabri, Giuseppe Farnè, Giuseppe Vachi, Carlo e fratelli Conti Bartolomeo Giorgi e senatore Malvezzi. Alla destra: Comunità, piazza eredi Rinaldi cioè Luigi Tassinari da Castel Bolognese, Giovanni Calanchi
P.P. Barnabiti, sucessori delli ex gesuiti, Cap. Lorenzo Graffi, eredi del fu Antonio Venturoli, senat. Caldarini, Pietro Vergoni, Ottavio Dall’Oppio, P.P. de Servi di Bologna, Giuseppe Schialti, Antonio Lugatti, Giulio Andrini ed Ercole Cavazza, indi la Compagnia dell’Ospitale della Parochia, d. Andrini, eredi Fontana Cavazza sud. Bergami, Compagnia del SS.mo, orto Calderini, P.P. de Servi sud., Palazzo Caldarini, Graffi sud, Vachi sud., P.P. Bernabiti da ambe le parti e la piazza pubblica. Oltre ciò si determinò anco l’apparato per le vie con padiglioni e tele sopra la detta via.
Adi 31 d., sicome li abitanti del Borgo mediante il tenente Giovan Francesco Andrini avevano dato suplica alla Comunità acciò la med. si interponesse presso l’Ec.sa Assonteria di Governo affine di avere dalla med. la permuta di tanta inghiaratora del nostro comune in sassi e sabbia per erogarla nella salciata pubblica dalla chiesa dell’Annunziata fino alla porta maggiore del castello, essendosi obligate le rispettive padronanze aggiacenti la strada socombere solo alla spesa della maestranza, così per che ve ne mancavano tre de possidenti, fu restituito il memoriale colla rissoluzione che quando fossero tutti concordi li abitanti si saria fatta l’istanza.
Contemporaneamente fu fatta istanza dal console al Not. V. P. di far oservare il Bando de Lettami, acomodatura delle vie a norma delli statuti della Comunità, onde in seguito fu fatto girare il messo con la tromba per tutte le vie, le quali in un subito furono nettate e accomodate.
Adi 15 giugno 1775, giorno del Corpus Domini, perché non erano compite le imbiancature delle case e l’acomodo delle vie per la processione, così fu diferita alla domenica infra l’ottava che fu li 18 ove si fece un belissimo apparato per mezzo la via maggiore con padiglioni di seta tirati e telone sopra dalla arcipretale fino alla torre della porta di sotto del Castello ove era costrutto un altare con baldachino.
Quindi all’ore 13 si cominciò la processione dalla Compagnia del SS.mo. che avanti costodiva il gonfalone dell’arciconfraternita del Rosario, poi susseguiva l’arciconfraternita med., indi le religioni regolari cioè Capucini, Osservanti e Agostiniani, poi il Corpo della Comunità in forma, tutti con torcia, dopo la comunità seguiva il clero in cotta, indi sei diaconi con tonicelle e due altri assistenti l’arciprete che portava il SS.mo, fra li sacerdoti e celebranti eranvi sei fanciulli vestiti superbamente da angioletti, quattro de quali spargevano de fiori per tera dove andava il SS.mo e gli altri portavano la navicella per gli incensi che profumavano duplicatamente il SS.mo, seguivano posteriormente al Venerabile infinità di torcie per il popolo numeroso.
Giunto il SS.mo alla torre eravi quivi l’altare acennato, dove essendo una spalliera di sonatori e cantanti, fu cantato musicalmente il Tantum Ergo e poi quello finito, si riassunse la processione per la via de Pistrini direttamente alla piazza e poi alla arcipretale all’entrar della quale il SS.mo vi ficavano dal cielo li fiori sopra. Ciò fatto si cantò solenne Tantum ergo in musica e si diede al numeroso popolo la S. Benedizione.
Tutto l’apparato stette il giorno tutto fatto a piacere delle genti che godevano della quadratura e dipinti esposti a capo dell’apparato ed in prospetto alla via eravi un gran cartello scritto in figura di lapide indicante il riatamento del Castello, vie e la funzione di replicarsi ogni anno così cantante:
A. M. D. G
Felsineum cure hoc Castrum, volventibus annis
Deciderunt, priscum perdideratq. Decus
Hincque Domos ollineque vies comploverat horror
Nullaque de primis signa decorit erant
Ipsa loca a nostris quondam celebreta Poeti
Horrebant turpi squallida facta situ
Omnia tempus adax sic deturpavit ut Hespes
undique querebas que fuit ante decor
Cura modo concorstergit vultusque priotes
Induit et primo nunc dat honor frui
et jam cum redeant nobis haec sacra novannis
cernere erit parili cuncta novare vice
L’autore del qual cartello fu …………… ; e perché la funzione fu piaciuta estremamente da tutti, massime per la maestria de fanciulli vestiti da angioletti., fu fatto tosto altro epigramma da altro autore ex gesuita spagnolo, uomo di gran talento e fu affisso alle porte della chiesa e Castello in poco d’ora e così cantante e diretto all’arciprete, facendone in calce di quello la dedica a nome di Carlo Savini e Francesco Cavazza mio figlio, due degli angioletti.
Ex.mo et Admod. R. D. Bartholomeo Sancti Calisti S. T. ac juris Canonici doct. S. M.re Majori Castri S. Petri moderno Archipresbitero ob in reptam solemniorem Pompa SS.mi Corporis X.ti, qualem viventes hic nusquam viderit, habita.., die XVIII quintitis anno Jubilei 1775.
Epigramma
Porge pater patriae pompam sacrare quotannis
hance triahanphanti, pane patente, Deo
Et pergat tecum elarus, Populusque, Senatus
Ut Castrum, arx Petri nomine, fit fidei
Ascescat tenere etas sic adolescere caeptis
vivat et ut semper meritus angelicis
Laetitiae ac gratiarum actioni ergo Carlus Savini et Franciscus Cavatia Alites Domp… Solemniori consubrini D.D.D. Petrus Galiardus sacer. mexicanus ex gesuita canebat.
Adi 24 d. fu estratto console per il secondo semestre il sig. Giueppe Vachi, questi nell’ingresso del suo consolato propose la tralazione del mercato de pollami, ova, frutta, solito farsi sotto li portici del Castello dalla porta di sotto fino verso la piazza, da doversi fare nella piazza, lo che fu abbracciato da tutti e dippiù si dovesse trasportare la pescaria sotto la porta del Castello lateralmente e li 29 d. si risolvette ancora sbassare la via che circonda la fossa all’ingresso del Castello e gettar la terra nella fossa per ridurla a piazza per il mercato del bestiame e cosi di qui in appresso si dovessero portare in d. fossa li pietrizzi e tera che si cavano dal Castello per interire la med. fossa.
Adi 6 agosto, essendosi fino ad oggi avuta la privativa del pan bianco di Giacomo Antonio Violetti, oriundo milanese affituario del forno della Comenda, ed essendo a termine non solo della locazione di d. forno ma anco della privativa del pan bianco, dazio camerale di Roma.
Insorse il Conte Lodovico Ponlio Caprara procomendatore di questa Comenda di Castel S. Pietro, pretendendo fosse privilegio locale del forno, quindi d. Violetti diede suplica alla Comunità acciò essa levasse d. apalto offerendosi esso pronto ad ogni spesa al prezzo a cui fosse levato l’apalto, molto più perché il paesano ciò bramava e si avevano notizie essere stato levato d. appalto altre volte dalla Comunità. Questa per ciò in seguito deputò Gio. Andrea Bolis, altro de comunisti, a levar d. apalto in nome publico, ciò inteso il Caprara insistette e ne cominciò la contesa legale.
Adi 15 d. fu data suplica alla Comunità dalli abitanti del Borgo affine di selciare la strada maestra dalla chiesa della Annunziata fino alla porta del Castello, suplicando intercederl sassi e sabbia mediante la permuta della nostra inghiarazione dal Senato di Bologna, offerendosi li abitanti pronti alla paga delle maestranze. Aderì la Comunità e tosto ne fece l’istanza al Senatore deputato Periteo Malvezzi che trovavasi a villeggiare in Castello nel suo palazzo e ne consegno al med. la suplica comunitativa mediante Francesco Conti comunista.
Fu altresì data suplica da Paolo Andrini alla Comunità affine di avere esso la privativa di raccorre li consumi del novo mercato de bovini esibendo scudi cinque alla Comunità per tale privativa da imporsi mediante bando. La Comunità aderì e tosto ne procurò il bando come si vede agli atti Fiandrini nel Torrone di Bologna, che fu poi publicato in Castello li 20 d.
Contemporaneamente la Comunità per far comodo alli intervenienti a questo mercato con bestiami, decretò che si dilatasse la via del mercato sopra la fossa coll’interirla mediante pietrizzi, facendosi rilasciare dalli affituari di quella tanta parte fino alla voltata delle mura, quanto possi corrispondere al presente bisogno col bonificarle il prezzo di scudi sette, lo che si ottenne.
Adi 21 d. fu levata la cantoria grande nel capellone maggiore della parocchiale in cornu epistole affine di erigervi l’altare da dedicarsi alla B. V. dei Dolori secondo il legato di D. Giuseppe Carilla exgesuita messicano, che lasciò per ciò cento zechini romani come per rogito di ser. Rampionesi notaro.
In questo med. giorno fu pubblicato per la prima volta il bando de letami o sia privativa del mercato de bovini data ed affittata a Paolo Andrini e si cominciarono li fondamenti di d. altare.
Essendosi perduta la lite del sale dalla Podestaria di Casale ed essendosi, in virtù di mandato da Roma, proceduto ad una gran rapresaglia di bestiami ne comuni di Fiagnano e Bello per la spesa della lite ascendenti a scudi 401 e con gran sbiraglia condotta a Castel S. Pietro con animo di sotostarla, si fece per ciò da quelle genti ricorso a Bologna per evere il rilascio dando sicurtà. L’Assonteria di Camera negò alquanto, finalmente interpostosi il Cap. Lorenzo Graffi per fidejussore e sborsati scudi 150 furono rilasciati li bestiami, subentrando esso nelle ragioni della Camera di Bologna come ne appare negli atti di Ignazio Clemente Scandiani Not. di Bologna nel foro della Rota.
Ma per che al campanile di questa arcipretale non si era anco messa mano, fece per ciò istanza il novo console Vachi acciò si ponesse mano all’opera collo spendere delli avanzi comunitativi la somma di scudi 100.
Francesco Conti, spirito della contradizione, si oppose accanitamente, furono per ciò necessitati il Console e li deputati Graffi e Fabbri a tal negozio ricorrere all’E.cta Assonteria affine di torre di mezzo tutte le questioni, quindi ne segue che venne ordine al Cavalier Malvezzi Presidente ordinare alla Comunità a procedere per via di balotazione all’accomodamento di d. torre sul dissegno Dotti, altrimenti si sarebbe andato avvanti manu regia.
Il Conti sentendo questo, molto più perché veniva cominato di cassazione dal posto di consiliere per le sue cabale e monopoli, riunissi co suoi partitanti Bolis, Dall’Oppio e Bertuzzi e nel di 20 settembre si pose il partito tanto per d. riattamento, impendendo scudi 100 come sopra, quanto per la deputazione de Sig. Graffi e Fabbri incombendo loro il peso di fare far tale fabrica coll’alzar la torre otto piedi di più e abbelirla come nel dissegno Dotti senza però la cima o sia agulia e così, con sommo rossore del med Conti, convenne rasegnare la determinazione.
Adi 27 d. l’arciprete Calisti essendo stato deputato dall’E.mo Malvezzi a portar lettera di congratulazione al novo Card. Carlo Bandi vescovo di Imola, zio ex sorore di N. S. Pio Papa sesto, si portò in persona da d. E.mo novello, non per anco porporato ma solo nominato, ed inviata la lettera med. fu accolto con segni tali di distinzione che restarono ammirati il Card. Legato Vitaliano Boromei di Romagna, l’Arcivescovo Cantoni di Ravenna, il vescovo di Cervia e molti altri altri nobili che vi si trovavano presenti in tale ocasione in cui si licenziò da questi per accorre l’arciprete delegato sud. con singulare distinzione.
Su la fine di questo mese si sentirono in questi parti, verso Liano, Casalecchio e su Castel S. Pietro, vari banditi che in figura di corpi militari o siano patuglie, assasinavano le genti , fra tutti erano 57, capo de quali era Cerè di Castel S. Pietro detto Peschiera di Limbruno, altro da Castel S. Pietro detto Saetta, Giuseppe Mingoni detto Mazza l’Omo e Giusepone Ruggi alias Jussone, tutti di d. Castello, che uniti con altri ora in un loco ora nell’altro fermavano genti e si facevano dar danaro.
Alle case de contandini volevano alloggio e cibarsi, facevano vergogna alle maritate che alle ragazze secondo loro andavano a genio, una delle quali perché fu restia nel lascirsi deflorare le recisero le mamelle, per nome aveva Maria Ramenghi di Casalecchio di sotto e la moglie di Battista Bragaglia Angiola Dal Forno dopo essersela goduta l’un dopo l’altro, per che aveva contrastato molto, la lasciarono nuda senza camicia nei nostri prati d. della Comenda. Per tali cose stavasi in sospetto da ognuno sì in casa che fuori.
Furono per ciò costà spedite tre squadre di sbirri che, simulando far ricerche, niente operarono e da vigliacchi, temendo l’incontro, diedero tutto il campo a malviventi passare parte nella Romagna parte alla volta del ferarese.
Adi 5 ottobre li supressi della Compagnia di S. Cattarina, gente nata alle inquietudini, diedero suplica al Papa per avere la facoltà di oporsi e contradire al Breve di loro supressione, ma il rescritto si fu: Lectu. La rabbia di Francesco Conti promotore e padre delle sedizioni fu tale che visse molti giorni ritirato in casa fremendo come bestia, Roco Andrini, Pietro Gattia ed altri andavano come stolidi per le strade.
Adi 8 d. si fece in Imola nel duomo la solenissima funzione di por la beretta rossa in capo al novo cardinale Bandi dal Card. Giraud, Arcivescovo di Ferara delegato apostolico, berettante fu Monsig. Roverella Cesenate, assistettero alla funzione 7 vescovi ed apresso si fece un triduo di ringraziamento con fochi, musiche ecc. Imola era in tumulto, Castel S. Pietro restò presso che voto dal concorso di persone a d. città.
Giovan Battista Grandi di questo Castello dopo avere aquistata la speccieria antichissima di Rinaldi presso la piazza di questo loco, ebbe il duodecimo figliolo, il quale vivendo cogli altri, i cui nomi sono Antonia, Nicola, ora religioso M.M. O.O. col nome di P. Francesco, Andrea che ha sostenute egregiamente tesi teologiche in Ferrara, Luigi, Gertrude, Filippo Andrea, Mariana, Stefano, Margarita, Francesca, Luca e Antonio Giuseppe, fece istanza al Senato per avere l’esenzione, il Senato a vista spedì il segretario Cesare Zanetti il quale fece processo di detta filiazione, in seguito del quale fu concessa poca esenzione.
E.mo e R.mo Principe
Dall’anno 1694: L’E.mo Sig.re Cardinale Marcello Durazzi Legato a latere di Bologna in virtù della commissione fattali dalla S. Memoria di Papa Innocenzo XII, allora felicemente regnante, concesse la Fabrica del Pane bianco chiamato: di Ruzzolo, alli fornari del contado a beneficio dell a Re.vd. Camera Apostolica, ad effetto di sollevarla da debiti e spese che giornalmente le conviene sopportare si in pagare le provisioni mensuali a ministri della med., alimenti che si prestano a poveri carcerati, spese d’artisti e serviggio del palazzo,d’alloggi del sig. Cardinali Principi ed altri SS.ri Grandi, che altri, a quali è tenuta detta “Renda Camera Soccombere”, come di ciò consta nella Cancellaria Maggiore della Legazione al libro: Degli Appalti, del sud. anno 1694 al fol. 1.
Prima della sud. concessione e persino dell’anno 1566 dalla S. Memoria di S. Pio V e sucessivamente secondo le occorenze e contingenze de tempi fu conceduta e levata a detti fornari del contado la fabbrica del sud. pane come rilevasi segnatamente e dalla Bolla del surriferito Sommo Ponteficee dalla narrativa della surriferita imposizione 1694. esistente nella Cancellaria Maggiore della Legazione. Per l’esecuzione poi delle sud. concessioni si pubblicavano Notificazioni per chivole pigliare in appalto li forni del contado di Bologna e suoi castelli per erroganre poi il ricavo nelle cause espresse nelle concessioni, come rilevasi nella Bolla sud., dalle notificazioni segbnatamente della Chiara Memoria dell’E.mo Lomellini l’anno 1652 e dagli instrumenti d’appalto de quali, nella surifferita Cancellaria Maggiore della Legazione.
Lo stesso fu praticato doppo l’ultima concessione sud. dell’anno 1694, come segnatamente si può vedere dalla notificazione d’ordine dell E.mo e R.mo Sig.re Cardinale Serbelloni Legato, pubblicata in data delli 4 settembre 1759 per gli appalti de forni di Quinzano, Lojano e Scaricalasino, della quale nella Cancellaria Maggiore sud. Dall’anno poi sud 1694 a questa parte d’anno in anno è stato conceduto l’appalto di Castel S. Pietro agli infrascritti fornari del
Comune di detto Castello come da successivi instrumenti fattili e li quali nella sud Cancellaria Maggiore
1694 A Pompeo Palmieri
1695 Al suddetto
1696 Al sudetto
1697 Ad Antonio Calanchi in un suo forno in Borgo
1698, 99 e 1700 D’anno in anno il suddetto
1701 A Gio. Alessandro Calanchi nel sud. forno
1702 Al sudetto
1703 A Carl’Antonio Graffi, che di anno in anno l’ottenne per tutto il 1709 in un suo forno
1710 A giacomo Leoni che l’ottenne come sopra per tutto il 1712
1713 A giacomo Bolis che l’ottenne anche il 1714
1715 A Gio Giacomo Boglia, che d’anno in anno l’ottenne per tutto il 1725, fornaro del Comune di Castel S. Pietro e conduttore del forno della Masone
1726 A Gio. Antonio Violetti che l’ottenne anche il 1727 come sopra
1728 A Giuseppe Violetti che d’anno in anno l’ottenne per tutto il 1733 come sopra
1734 A A Gio. Antonio Violetti che l’ottenne come sopra per tutto l’anno 1769 come sopra
1770 A A Gio. Antonio Violetti in annol’ha ottenuto per tutto li 14 agosto dell’anno venturo 1776, fornaro in Borgo in un suo proprio forno e conduttore del forno “ della Masone” il quale con detti due forni nelli scabrosi anni scorsi con sua grave perdita aha mantenuto sempre abbondantemente provvisto il paese del pane necessario.
Dal soprariferito fatto consta spettare al solo E.mo Legato pro tempore , in virtù di apostolica concessione il diritto di concedere in contado gli appalti della fabrica del pane sud. a beneficio della R.da Camera Apostolica
cosichè niuno, quantunque privilegiato può arrogarsi la facolta di fabricare detto pane senza everne il permesso dell’E.mo legato, mediante l’appalto da ottenersi dal medesimo.
Ciò non ostante essendosi vociferato in detto Csatello che in occasione che Giacomo Antonio Violetti, ultimo appaltatore sud., fornaro in d. Castello nel forno detto : “della Masone” Commenda della Sagra Religione di Malta e in Borgo in un suo proprio, essendosi vociferato dissi, che in occasione che il medesimo deve partire alli 8 maggio venturo 1776 dal sud forno della Commenda, dal nuovo conduttore di d. forno si fomenta il possessore di d. Commenda e forno a voler pretendere che a lui solo competi la privativa della fabbrica del d. Pane di Ruzzolo in d. Castello. Locchè non si può pretendere, né in vista che dall’anno 1776 a questa parte li affituari del suo forno abbino avuto l’appalto sud. né in vista dell’essere il suo forno privilegiato, sì perché li fornari sud., non come conduttori del forno della Commenda, ma come fornari del Comune di Castel S. Pietro, hanno ottenuto l’appalto sud ed intanto hanno fabbricato sud. pane, in quanto che d’anno in anno hanno ottenuto l’appalto, come risulta dagli instrumenti d’appalto, si perché come privilegiato non può fabricare se non se con li formenti della Commenda pane venale da vendere solamente nel di lui forno e da spacciare anche a Medicina e Villa Fontana.
Locchè tanto è vero, quanto che per potere fabbricare il Pane di Ruzzolo hanno sempre, come sopra si è detto, d’anno in anno levato l’appalto; e per potere fabbricare Pane Venale con altri formenti fuori di quelli della Commenda e per poterlo somministrare alle poste più vicine al forno sud., hanno sempre pigliata la solita licenza che si da per la fabrica di d. pane, come consta nella Cancelleria Maggiore della Legazione più volte come sopra nominata. Perlocchè quando mai, sia detto in dannatissima ipotesi, dovesse spettare tal diritto al forno della Commenda, restarebbe sogiogato il paese, li cui abitanti sarebbero astretti a prendere quel pane, o buono o cattivo, che ivi fosse fabricato, onde avendo li medesimi abitanti fatto ricorso al Console e Consiglieri di d. Castello per ottenere un opportuno provedimento, perciò li medesimi Console e Consiglieri umilmente prostrati, attesa la incontrastabile verità del sopraesposto non tanto in vista del ricorso fattoli, che per il comune vantaggio, ossequiosamente supplicano la Paterna Clemenza ed innata Bontà dell E.nza Sua acciò graziosamente voglia degnarsi concederli detto appalto durante il tempo della legazione dell’Em.za V.ra, come in altri casi è stato praticato dagli E.mi Legati precedenti dellEm.za V.ra e segnatamente l’anno 1715 al fornaro del Consiglio di Castel Franco, come consta nella Cancellaria Maggiore della Legazione dell’Em.za V.ra, onde possino gli O.ri procurare il bene e vantaggio delli abitanti, dividendo anche detto appalto in due forni, come si pratica in altri Castelli, mentre facendo a garra li fornari nel fabricare buono pane venghino meglio serviti gl’abitanti e popolo del Castello e Comune suddetto.
Adi 15 ottobre essendo novamente suscitato Pelegrino Facci daziere del Dazio Orto di Bologna, la Comunità fece consiglio e deputò per ciò Flaminio Fabbri, Cap. Lorenzo Fabbri e Francesco Conti a parlare e maneggiar tutto mediante anco legale.
Adì 2 dicembre il fratello del Re d’Inghilterra passò di quivi andando alla volta di Roma, furono perciò fermati tutti li cavalli da vettura, il detto colla moglie, con seguito di otto carozze, giunto sul nostro ponte colla moglie smontò di carozza e rimirando il paese e sua bella veduta se ne compiaque dicendo se fosse nei nostri stati questo luogo saria la nostra ottima villegiatura e che pocaggine de bolognesi lasciarlo e così trattarlo! Era uomo assai bello, di statura ordinaria, la moglie assai bella, come era tutto il seguito di gente bella e li uomini tutti vestiti di scarlatto rosso.
Adi 3 d. ad ore 17 in punto, l’E.mo Card. Vincenzo Malvezzi nostro arcivescovo morì e fu trasportato in Bologna ove si fecero in S. Pietro solenni esequie,. Fu bon pastore e amante de poveri. Fatta la sezione del suo cadavere se li trovò nell’esofago una galla detta da medici Siro, conglutinata da passioni e ingiustizie fatteli dicesi da ………… ..
In questo tempo pendente la questione dell’apalto del pan bianco, fu dato dalla Comunità all’E.mo Legato Branciforti l’annessa suplica informativa , su la med fu rescritto favorevolmente che: volendo la Comunità l’appalto fosse ella preferita. Ma per che i fornari si composerò restò così l’affare e la comunità non prese altro appalto. In essa suplica si vede non essere privilegio della Comenda far pane bianco, ma diritto della Camera di Roma e la Comunità anticamente, come si vede dai Campioni del 1600 avere ella tenuto d. Dazio.
Adi 8 dicembre essendo stato promesso alla porpora Mons. Ignazio, Boncompagni, questo nostro arciprete ne dette pubbliche rimostranze col far esposizione del SS.mo, cantar Tedeum in musica, alla quale funzione vi intervenne il Canonico Petronio Cospi Camerlengo del Capitolo di S. Pietro ed il canonico Morandi, che fece la funzione essendovi intervenuti a questa molti altri nobili bolognesi per la bella stagione che coreva dalla solennità di tutti li santi e che durò fino alla metà di genaro sempre serena.
Alla d. funzione vi intervennero tutte le religioni de regolari, li corpi delle compagnie e la Comunità in forma, la sera vi furono fuochi artificiali con illuminazione per tutta la piazza publica e le torri illuminate, seguì poi un copioso sparro di mortaretti, indi il dì seguente il paroco fece publica elemosina ai poveri della parochia dando loro due pani a testa e fu la moltitudine da due milla persone.
Adi 15 d. fu pubblicato bando o sia notificazione del Canonico Petronio Cospi Camerlengo di dovere pregare N.S. Iddio per la scielta di un bon pastore e successivamente esortando li sacerdoti e pievani a dire ed ordinare la orazione nella messa dello Spirito Santo. Finalmente esortava tutti li sacerdoti a celebrare per il defunto pastore almeno una volta.
Adi 16 d. fu estratto podestà per Castel S. Pietro Il Senatore Giacomo Vassi Pietramelara e fu nominato il dott. Pagani Not. per Vice podestà.
Adi 18 d. venne nova come era stato eletto per pastore nostro all’arcivescovato di Bologna in qualità di aministratore e suffraganeo l’Abbate Andrea Giovanetti camaldolese nativo di Bologna, per tale scielta li canonici della metropolitana cominciarono a sussurare sopra la di lui nascita essere uomo di grado infimo a loro, il Papa ciò sapendo fece far noto alli canonici che li uomini non portano la nobiltà dalla nascita, ma dalla virtù e loro azioni, che però si quietassero e che avendo egli ricosciuto la qualità del soggetto fatto vescovo haveva con ciò fatta palese quella nobiltà che dalle sue virtù aveva seco il Giovanett e che a nobilitare le famiglie poco costava a Principi e che però da li in appresso dichiarava nobile tutta la famiglia Giovanetti.
A tale notizia amutarono li canonici e loro parziali. Per tale scelta e per la morte dell’E.mo Malvezzi, li supressi di S. Cattarina parve loro opportuno far novità e far nascere sconcerti e dubbi. Quindi si cominciò a sparger voce che nell’oratorio di S. Cattarina si sentivano di molto tempo rumori, voci lamentevoli e scotimento di catene. Una tale fanatica impostura veniva coadiuvata, per non dir fomentata, da alcune doniciuole alli usci delle quali et alle vicinanze di loro abitazioni si veniva da confratelli supressi a bussare.
Alcuni di questi andarono per un orto vicino alla sacristia di d. chiesa e, franti li vetri, introdussero un gatto il quale per l’inedia la notte urlava e il rimbombo faceva qualche impressione, ma cacciato il gatto e stati (alla posta) alcuni, parte per diletto, parte per iscoprire le fanatiche invenzioni, non si sentì per qualche notte alcun strepito.
La notte finalmente delli 19 essendo stato alla posta Giovanni Galanti detto Paradisino, in una bottega contro la chiesa dell’oratorio, affine di ascoltare quello che si asseriva sentirsi in d. chiesa, essendo notte buja fra le 6 e le 7 della notte, sentì strepito di feramenti che dibatevansi assieme, quindi aperta la bottega ove era rachiuso in compagnia di ……… , da coragioso sortì per andare alla porta della chiesa, ma aperta la bottega vide un imbacucato nel tabarro alle porte di quella che scotteva un mazzo di chiavi o catene o simili, il quale accortosi d’essere scoperto si diede alla fuga giù per il Castello, attraversando la piazza, inseguendolo sempre a passo violento il d. Gallanti, ma costui giunto nella piazza si nascose nella voltata dello stradello de Pistrini ove si fece forte con sassi; il Galanti ravisò questi per ………… ..
Ciò fatto non si sentì più altro, il sud. impostore fu anco riconosciuto da ………… ..
Adi 27 dicembre fu fatta la nova imbustazione de consoli e fu estratto il sig. Agostino Ronchi per la prima volta.
Solevansi in questa giornata accompagnare dalla Comunità il Predicatore avventuale alla questua per il Castello e il Borgo ed avendo questo Avvento predicato egregiamente il P. Lorenzo Politi marchiano, provinciale della Romagna, niuno vi andò e solo Giovanni Calanchi ed Ercole Cavazza co’ donzelli vi andarono col paroco, il motivo di ciò non si sa e fu cosa che diede molto a dire non solo, ma produsse anco amirazione.
Furono in questa giornata anco estratti li soliti priori delle confraternite e della compagnia del Sacramento, fu estratto D. Domenico qd. Sebastiano Lugatti il quale promise all’ingresso del suo officio di far congregazione per il viaggio col SS.mo Crocefisso a Loreto.
Adi 30 d. Pietro Gattia, Francesco Conti e Gian Francesco tenente Andrini girarono con un memoriale di suplica al S. Padre circa la supressa compagnia di S. Cattarina, facendo costare in esso il bene che faceva al paese la med. e ciò ad effetto di potere reviviscere e fu spedito a Roma, l’esito del quale si sentirà nell’anno avvenire 1776.

Trascrizione di Eolo Zuppiroli 2018