L’Ospedale di Castel San Pietro Terme
pubblicato nel 1967
Articoli di Mario Maragi , Vincenzo Sgarzi, Oddone Mirri
Gli antichi istituti ospitalieri castellani.
Una tradizione insistente, plausibile nella sostanza, ma che si dovrebbe quanto meno postdatare, vuole che, intorno al 45 d.C, Sant’Apollinare, l’evangelizzatore della regione bolognese, costruisse un tempietto dedicato al Principe degli Apostoli all’incrocio fra la Via Emilia ed il Sillaro. Consolidatasi la diffusione del cristianesimo, il modesto villaggio, ivi sorto, prese il nome di « Vicus Sancti Petri »
Nel succedersi delle vicende politico-militari e specialmente dopo la distruzione di Claterna (verso il 396 d.C), nel corso di una delle tante invasioni barbariche , il villaggio stesso venne a trovarsi, per la sua ubicazione, in funzione di posto avanzato per la difesa di Bologna e tale rimase fino ai primi del ‘500, allorché sia Bologna che Imola entrarono a far parte dello Stato Pontificio.
Nel 1199, per motivi di sicurezza confinaria, il governo bolognese vi costruì un impianto fortificato che, dal nome dell’antico villaggio, si chiamò Castel San Pietro. E il villaggio divenne « borgo »: nome dato, come si sa, ai nuclei abitati immediatamente prossimi a luoghi cinti di mura.
Ma preesistente alla fondazione del castello era un « ospedale di ponte », a destra del Sillaro (oltre l’incrocio con la via. Emilia per chi va verso Imola), ubicato perciò separatamente sia dal castello che dal borgo.
Facendo testamento, il 31 ottobre 1199 a rogito del notaio palatino Guglielmo, il « magister medicinae » Giacomo da Bertinoro disponeva un legato a favore di esso. Nel 1294 tale ospedale appare dedicato ai Santi Filippo e Giacomo (ma denominato comunemente « di San Giacomo ») e doveva essere assai ricco perché tale data risulta da un atto con cui il Senato bolognese ne acquistava diversi beni, ivi elencati.
Nel 1300, l’ospedale passava sotto la diretta giurisdizione senatoria a motivo della sua ubicazione confinaria : fu, però, mantenuto in loco un rettore al quale, nel 1384, era rinnovato ancora l’incarico della manutenzione del ponte.
Nell’aprile 1376 fu saccheggiato dalle bande di Giovanni Acuto, di parte papale, essendosi Castel San Pietro ribellata al governo del Cardinale Vicario. In seguito a tale vicenda l’istituto languì per diversi anni fino a che ne prese le redini la Confraternita degli Agostiniani di San Bartolomeo, costituitasi a Castello nel 1344.
Dell’antico istituto è rimasta traccia nella denominazione del luogo ed in una chiesetta, dedicata a San Giacomo, demolita nel 1804.
Essendo la zona del ponte troppo esposta alle continue offese belliche, l’Ospedale fu per ovvie ragioni di sicurezza trasferito in Borgo, sempre sulla Via Emilia, e, più precisamente, nello stabile in angolo con la Via che conduceva alla stazione della soppressa tramvia Bologna-Imola. (Via Curiel)
Successivamente la Confraternita degli Agostiniani fu assorbita dalla più potente Compagnia di Santa Caterina, che assunse pure la gestione dell’Ospedale. La Compagnia, da parte sua, aveva costruito nel 1566 un ospizio per sacerdoti, entro il castello, sulla Via Maggiore (ora Matteotti), nella terza casa a destra per chi entra dal Cassero (casa già Andreoli poi Acquaderni). Nel 1572, l’ospizio venne fuso nell’Ospedale e, nel 1599, questo appare costituito da due sezioni: una per sacerdoti ed una per laici, con complessivi nove posti letto.
Con Decreto Arcivescovile 9 febbraio 1772, la Compagnia di Santa Caterina fu soppressa ed i suoi beni furono costituiti in gestione speciale affidati ad altra Compagnia, detta della Carità, sorta nel 1730 e fondatrice, come diremo, dell’attuale Ospedale Civile. L’ospizio-ospedale del « borgo » seguiterà ad esistere e fu ancora restaurato nel 1816, come si rileva dai verbali della Compagnia anzidetta.
Altri ospedali ed ospizi esistevano nel territorio castellano.
Entro il Castello, un grande ospizio fu costituito nel 1616 dai Frati Minori, accanto alla loro Chiesa di San Francesco. Un altro ospizio francescano è ricordato dal Frati in località « Croce Pellegrina ». Nel 1310 si trova esistente un ospedale sulla Via Emilia, dov’è la borgata tuttora detta « Magione ». Il luogo si chiamò « Borgo nuovo » quando i bolognesi lo fortificarono ai primi del 1300, per distinguerlo dal « Borgo » contiguo al Castello. Fu detto anche « Borgo nuovo dell’Ospedale di Gerusalemme » perché l’Ospedale stesso apparteneva agli Spedalieri Gerosolimitani (che costituirono poi l’Ordine di Malta), i quali, fin dal XII secolo, ebbero qui residenza ospedale e Chiesa. L’ospedale della Magione conferiva anche una commenda detta « di San Giovanni Battista della Magione »; l’ultimo ad esserne insignito fu il Conte Lodovico Caprara (che aveva beni in Castello) nel 1769. (Anche l’Ordine di Malta aveva beni in Castello, nella Via Saragozza — ora S. Martino —, di cui fu espropriato con la « nazionalizzazione » del 1797).
A ricordo dell’antico Istituto non rimane che un edificio, rimaneggia- tissimo, dove si vuole appunto che esistesse quell’Ospedale ed un oratorio, costruito da un privato nel 1817 « ad rei memoriam », sul lato opposto della Via Emilia e dedicato ai Santi Giovanni Battista e Filippo Neri (in quest’ultimo dopoguerra è stato trasformato ad uso civile).
Il Masini (« Bologna perlustrata ») ricorda un ospedale a Varignana, detto « della Stella »; parlando dell’Ospedale di S. Procolo in Bologna (brefotrofio) dice che « nel contado sono ospitali che ricevono bastardini » e, fra questi cita gli « ospitali di Vergnana (sic) e di Castel San Pietro ».
Negli « Ordinamenti generali », emanati nel 1595 dalla Curia Arcivescovile bolognese per la disciplina degli istituti ospitalieri, sono ricordati, presso Varignana, gli « hospitali di S. Giorgio e di S. Bartolomeo, sotto la Pieve di Montecenere »; quelli di « Liano e di Montecalderaro, sotto la Pieve di Castel San Pietro » e l’« hospitale di Abello, sotto la Pieve di Pidriolo ». Infine ricordiamo che, in frazione Gallo, sempre sulla Via Emilia risulta esistente dal secolo XIV, l’Ospedale di San Marco, dipendente dall’Abbazia di Nonantola, la cui ultima sede fu il grande edificio con porticato, tuttora esistente.
L’Ospedale della Carità (dalle origini all’età napoleonica).
Gli istituti di cui si è finora parlato, non avevano esclusiva natura nosocomiale, ma, conforme alla più diffusa tradizione istituzionale del medioevo, erano piuttosto degli « ospizi » che praticavano tutte le forme di assistenza (ivi compresa, naturalmente, quella sanitaria) in favore non solo dei malati acuti, ma anche dei cronici e degli invalidi.
L’attuale Ospedale Civile è, invece, sorto nella forma specifica di nosocomio.
Nel 1730 si costituì, presso la Parrocchia di Santa Maria Maggiore, una Confraternita denominata « Compagnia della Carità sotto la protezione di S. Francesco da Paola e del Beato Vincenzo de’ Paoli ». Scopo della Compagnia, dichiarato nell’atto costitutivo, era quello di « provvedere al bisogno dei poveri infermi del paese… riunendoli in uno spedale, per ivi assistere alla loro cura, e perché sieno loro somministrati gli aiuti spirituali non solo, ma il convenevole cibo, letto e medicamento, con carità e ben regolato servigio ». Ciò è ritenuto dai confratelli come « l’opera più bella della carità, per decoro di questa illustre Terra e molto più a gloria dell’Ottimo Dio, sommamente amatore de’ Poveri e Padre del Santo Amòre ».
A tale scopo si doveva provvedere mediante il pagamento di quote da parte degli associati (5 soldi il mese) e la raccolta di oblazioni.
Anima dell’iniziativa era stato il lazzarista P. Andrea da Lavagna, che già nell’ottobre 1722, aveva qui predicato una missione incitando anche alla fondazione di un ospedale per malati. Quando tornò la seconda volta, nel 1734, potè vedere compiuta la sua aspirazione. In tale anno, infatti, l’Ospedale della Carità cominciò a funzionare in uno stabile appositamente costruito, subito fuori dalla Porta Montanara di fronte allo sbocco della « Via Maggiore » che attraversa il Castello provenendo dal Cassero, su area in parte donata dal Conte Federico Calderini ed in parte ceduta dal Senato Bolognese.
L’istituto era amministrato da un « direttorio » di otto membri, presieduto dall’Arciprete protempore col titolo di « Rettore perpetuo », e comprendente sette « direttori » o « regolatori »: il Capo della Municipalità, due cittadini di Castello e quattro di comuni viciniori, sempreché tutti iscritti alla Compagnia e « chiaramente inclini alle opere della carità ». I « direttori » si eleggevano ogni anno il giorno di San Giovanni Battista mediante un sistema di suffragio ristretto; analogamente si eleggeva un Segretario, mentre il « direttorio », a sua volta, nominava il « depositario » (cassiere-economo), anch’esso per la durata di un anno, e due « ospitaglieri » (infermieri), a tempo indeterminato. Le votazioni si facevano « a viva voce » o con voto segreto e, per l’elezione, occorreva la maggioranza di due terzi.
Il servizio sanitario era affidato allo stesso « medico della comunità », sia perché questa era la tradizione ospitaliera, sia perché ciò era conforme al principio sancito nelle tavole di fondazione dell’Istituto: l’Ospedale doveva servire i poveri del comune, i quali fruivano delle prestazioni della condotta medica e, quindi, l’ospedale costituiva la prosecuzione ed il completamento di tali prestazioni.
Il medico era coadiuvato dai due « ospitaglieri », nominati come si è detto, in persona di due coniugi; il marito, oltre che servire il reparto maschile, fungeva anche da custode; la moglie serviva il reparto femminile ove, se per esigenze di servizio avesse dovuto accedere il marito, ne doveva essere avvertito l’Arciprete Rettore.
Il regolamento sanitario contiene norme (come quella ora citata) che ai nostri occhi possono sembrare umoristiche, ma erano, invece, perfettamente conformi ai tempi. Cosi come le norme che disciplinano la separazione dei sessi; quelle che dispongono che nel reparto maschile sia solo personale maschile e in quello femminile solo personale femminile; quelle che prescrivono di mettere un solo malato per ogni letto, riflettono tutte problemi vivi anche presso i grandi ospedali fino al finire del 1700. È, perciò, rilevante che una tale disciplina fosse già formulata da tempo negli ospedali castellani, come appare anche dal regolamento del 1566 dell’Ospedale di Santa Caterina. L’ospedale della Carità raggiunse presto buona fama. Il primo sanitario fu il dottor Fracassi, di cui esistono cospicui carteggi all’Archivio di Stato e che, ai suoi tempi, ebbe chiarissimo nome.
L’Istituto non accoglieva solo i « poveri del Comune » ma chiunque abbisognasse di soccorso d’urgenza. Troviamo notizia che vi si accoglievano numerosi « forestieri di passaggio » e nell’Archivio dell’Ospedale sono conservati anche attestati di gratitudine da parte di costoro, per le buone cure ricevute. In uno di questi atti redatto addirittura per ministero notarile nel 1762, il malato dichiara che « l’Ospedale di Castello è uno dei boni et meliori, da Roma in qua ».
L’Ospedale era sorto sotto l’egida della carità e viveva coi mezzi fornitigli dalla carità. Gli amministratori della Compagnia facevano la questua mensile, ciascuno in una zona che gli era particolarmente affidata; la prima domenica di ogni mese, la questua si faceva anche sulla porta della Chiesa Parrocchiale, mentre la terza domenica di Quaresima era celebrata come « Giornata di Carità », con riti solenni di ringraziamento e di propiziazione « allo scopo dicono le antiche carte di meglio insinuare negli animi di tutti li maravigliosi mezzi della carità e le maniere più facili di praticarla ».
Ma la carità, per sua natura, non sopporta lo sforzo prolungato e, nel 1765, l’Istituto si trovò in grave crisi finanziaria tanto da ridursi a sei letti soltanto e con un deficit di 257 lire e 9 soldi. Ci fu allora una vertenza col Comune che la Compagnia accusava di disinteressarsi dell’Ospedale, tanto che come appare anche dai documenti il Capo della Municipalità, per lungo tempo non partecipava alle adunanze del Corpo Amministrativo dell’Ospedale né il Municipio provvedeva a nominare i due amministratori di sua spettanza, come prescrivevano, invece, le tavole di fondazione.
E cosi, il 13 giugno 1765, la Compagnia deliberò una modifica allo Statuto che eliminava dal Consiglio dell’Ospedale i Rappresentanti del Comune. Ribatteva il Comune che la Compagnia non aveva diritto di far questo perché l’Ospedale era sorto su suolo pubblico e col frutto di pubbliche sottoscrizioni. La vertenza durò un ventennio e fu decisa dal Cardinal Giovannetti, in seduta pubblica 12 luglio 1789, col rigetto delle ragioni del Comune, essendo stato riconosciuto che le modifiche statutarie del 1765 erano formalmente legittime e giustificate nel merito; che l’area su cui era sorto l’Ospedale nella parte già di proprietà del Senato Bolognese era stata da questo donata non al Comune ma all’Arciprete protempore di Castel S. Pietro, con l’espresso scopo di erigervi l’Ospedale, e che il danaro con cui si era provveduto sia alla fabbrica che alla gestione, non era stato stanziato dal Comune, ma raccolto tra i fedeli, privatamente, durante la « predicazione » delle « missioni ».
Fra queste difficoltà e polemiche, tuttavia, la Carità fece maturare ancora i suoi frutti poiché, proprio in quegli anni, vari benefattori fecero all’Ospedale cospicue donazioni, anche immobiliari, cosi che si potè costituire un efficiente patrimonio.
Abbiamo rintracciato nomi e documenti ed è auspicabile che, nel nuovo Ospedale, una epigrafe ricordi la generosità di Francesco Pagani, di Maria Benacci, di Elisabetta Benati, di Ginevra Fabbri, dell’Arciprete Bertucci, di Sebastiano Menarini, di Francesco Bartoletti e di Gian Paolo Mansani.
Un altro notevole complesso di beni rustici ed urbani venne ad arricchire il nostro patrimonio nel 1772 per effetto della già accennata soppressione della Compagnia di Santa Caterina. Questo sodalizio, assai ricco, aveva assunto atteggiamenti « molto turbolenti », cosicché era stato lo stesso Arciprete con istanza 27 gennaio 1772 a proporne all’Arcivescovo Malvezzi lo scioglimento e la devoluzione dei beni a favore dell’Ospedale. Quelli di Santa Caterina fecero una controistanza il 3 febbraio, ma, il
9 febbraio, l’Arcivescovo decretava l’accoglimento delle proposte dell’Arciprete. Ricordiamo che l’Arcivescovo, prima di assumere tale decisione, aveva fatto compiere un sopraluogo da un (allora) semplice prete: don Giovannetti, il futuro Cardinale. La relazione Giovannetti, che è un lucido e prezioso documento per l’analisi della situazione locale, ben al di là ed al di sopra del pettegolezzo fra le Compagnie religiose.
Il 9 maggio la Compagnia di Santa Caterina impugnò il decreto Arcivescovile avanti la Congregazione del Concilio. Ma qui avvenne un piccolo colpo di scena.
Mentre la causa stava introducendosi presso la Congregazione,
lo stesso Papa (Clemente XIV), con Breve 8 maggio 1773, con-
fermava solennemente il decreto Malvezzi. Quelli di Santa Ca-
terina impugnarono allora il provvedimento papale per motivi
di « manifesta ingiustizia » e di « falsità ed inganno nei presupposti » e, il 26 giugno 1777 (anche allora si andava per le lunghe!), ottennero la rimessione della causa avanti la Congregazione. Resiste l’Ospedale patrocinato in Roma dagli Avvocati Francesco Mazzei e Melchiorre Taragnoli ed ottiene ragione con decreto 19 febbraio 1780. Ricorre « Santa Caterina » in seconda istanza (il 29 aprile), ma, finalmente, il 3 giugno 1780, la competente Congregazione, con decreto a firma del Cardinale Lazzaro Pallavicini, rigettava l’istanza di Santa Caterina « cum mandato de illa amplius non proponenda ». (smettetela di rompere le scatole)
Il reddito annuo dei beni acquistati cosi dall’Ospedale, era di lire 506, ma la causa era costata lire 5.100 (compresi due ceri che gli avvocati dichiarano, in parcella, di aver acceso in una chiesa di Roma per la grazia della favorevole sentenza!).
L’Ospedale Civile dall’età Napoleonica al 1945 – Sotto la Cispadana.
L’ordinamento e le vicende dell’Ospedale castellano non riscontrano alcuna novità durante la Repubblica Cispadana, sia perché questa ebbe vita breve (proclamata il 17 ottobre 1796, il 18 luglio 1797 deliberava di fondersi con la Cisalpina), sia perché in questo periodo anche Castel San Pietro era zona di guerra e, in un paese per le esigenze militari, bastava ai nuovi dominatori il controllo del Municipio.
D’altra parte il partito, per cosi dire, francofilo, non appariva numeroso né organizzato: ancora il 13 novembre alcuni che vollero alzare l’Albero della Libertà, furono messi in fuga da altri della fazione opposta. Il contegno della popolazione riflette l’incertezza derivante dalla discordanza tra quello che aveva raccomandato il Cardinale Legato in diverse notificazioni (non doversi, cioè, temere i soldati francesi che venivano come « amici » ed erano solo di passaggio) e quello che sollecitava l’Arcivescovo (inventariare e nascondere tutti i beni preziosi).
I francesi giunsero a Castello il 22 giugno con un corpo di 800 uomini. Si costituiva la Guardia Civica comandata dal Dott. Francesco Cavazza, figlio del Notaio Ercole (Segretario Comunale), che era, invece, tenuto per conservatore e che, per questo motivo, alcuni anni dopo fu spedito in carcere a Milano; ma l’8 settembre il Comune partecipa ufficialmente ai tradizionali festeggiamenti in onore della « Madonna di Poggio » e il 15 ot-tobre, a formare la delegazione bolognese che parteciperà al Congresso di Modena per la proclamazione della Repubblica Cispadana, è scelto lo stesso Notaio Cavazza.
Del resto è noto che la Cispadana pur ispirandosi nella sua Costituzione agli ordinamenti francesi del 1795 riconobbe ufficialmente la Religione Cattolica come religione di Stato, batté moneta con l’effigie della Madonna di San Luca e, in fatto di istituzioni ecclesiastiche, si limitò a « ridimensionare » il numero dei Conventi, e se in un primo tempo pensò di far quattrini vendendo i beni dei monasteri soppressi, preferi poi ricorrere al prestito forzoso. Era, in quel tempo, Rettore dell’Ospedale l’Arciprete Dottor Bartolomeo Calistri, Segretario il Dottor Filippo Cuppini, Medico il Dottor Gaetano Muratori e Depositario Domenico Grandi. Il Calistri, figlio del Notaio Giovanni Antonio (nativo di Boschi di Granaglione) dottore in utroque jure, aveva ventisei anni allorché, il 1° agosto 1771, venne a reggere la Parrocchia di Castello e, con essa, l’Ospedale.
Discusso dai contemporanei delle opposte fazioni, si può, a distanza di tempo, valutarne l’opera con più sereno equilibrio. Egli fu l’uomo della situazione: energico difensore della fede e della disciplina ecclesiastica pur con l’animo aperto ad esigenze di rinnovamento civile e politico. Senz’altro si deve a lui se l’Istituto rimase fuori dalle calamità e dalle procelle, aspettando prudentemente che il consolidarsi delle nuove esperienze separasse il grano dal loglio.
Il 4 dicembre nella soppressa Chiesa di Santa Caterina (di proprietà dell’Ospedale) fu posto il seggio per l’elezione dei Deputati al Parlamento Cispadano: furono eletti lo stesso Arciprete Calistri insieme ad altri, che furono più volte Amministratori dell’Ospedale (Rocco Andrini, Francesco Conti, il Notaio Antonio Giorgi ed il già ricordato Domenico Grandi). Il 1° novembre 1797, il Comune invitava « tutte le Compagnie e Congregazioni del suo Distretto a render conto delle rispettive aziende ». In quella circostanza « furono… riveduti e liquidati e fu anche formato un inventario di tutte le sostanze ed effetti appartenenti a tali corporazioni… » . « Nell’accennato rendiconto mancò solamente quello dei beni della soppressa Compagnia di Santa Caterina applicati allo Spedale degli Infermi ». « Tale fu la mole degli oggetti sopravvenuti, tale la piena delle straordinarie incombenze addossate alla Municipalità » che non si ritiene di poter « investigare chi possa averne la colpa ». Fatto è che il 12 gennaio 1798, il cittadino Sebastiano Lugatti, invitava la « Municipalità a chiamare il cittadino Arciprete Calistri a giustificare la supposta sua amministrazione delle proprietà come sopra applicate allo Spedale ». La Municipalità risponde che l’Arciprete non è amministratore dei beni in questione; ma il cittadino Carlo Savini erede Graffi, dichiara constargli ufficialmente che tale amministrazione fu approvata nei suoi rendiconti dalla competente Autorità Diocesana fino a due anni avanti. Il Comune rimise la questione all’Amministrazione Dipartimentale, che provvide alla revisione dei conti anche per il 1796 e 1797.
La vicenda diede luogo a qualche polemica in cui i francofili ed i laicisti più accesi, accusarono la Municipalità di essere « figlia dell’Arciprete »!
Sotto la Cisalpina.
I mutamenti istituzionali cominciarono sotto la Cisalpina.
Con decreto 4 messidoro anno VI (22 giugno 1798) del Direttorio Esecutivo, furono avocati allo Stato i beni delle confraternite e delle Associazioni Religiose, nonché quelli delle istituzioni da esse dipendenti, e tutte le Opere Pie esistenti in ciascun Comune che avrebbero dovuto essere sottratte ad ogni ingerenza ecclesiastica, per essere affidate ad un’unica amministrazione di emanazione comunale e denominata: « Deputazione Municipale sui beni di pubblica beneficienza ». Anche questa volta, però, la situazione generale non appariva ancora tanto salda da consentire, in provincia e nei piccoli centri, l’attuazione delle nuove leggi.
A Castel San Pietro si era riordinata l’Amministrazione Civica nel giugno 1797 e ulteriori modifiche si ebbero con l’emanazione, il 31 marzo 1799, dell’« Ordinamento Amministrativo del Contado di Bologna ». Castel San Pietro divenne allora capoluogo di Circondario e di Distretto (con quest’ultimo nome fu designato il Comune). A capo del Circondario fu nominato « Agente » Luigi Cardinali, il cui nome ricorre spesso nel primo decennio dell’800, fra gli amministratori dell’Ospedale; a capo del Distretto fu nominato il Dott. Angelo Lolli, da Budrio, che dal 1798 era medico della condotta di Castello, e perciò medico anche dell’Ospedale.
Non si costituisce ancora la « Deputazione di Pubblica. Beneficienza », ma scompare di fatto l’Amministrazione ospedaliera dell’Arciprete: ora è il Municipio che emette i mandati di pagamento e gli ordinativi di incasso per l’Ospedale.
Intanto le forze militari della Coalizione antifrancese premono di nuovo. Il 31 maggio, il Dott. Lolli e gli esponenti più compromessi della parte francofila, debbono rifugiarsi a Bologna poiché le truppe austro-russe incalzano; anche l’Arciprete deve fuggire; il 2 giugno gli avamposti austriaci bruciano l’albero della Libertà; il 3, un reparto francese del generale Hulin combatte aspramente per riconquistare la posizione; invano interviene, per salvare il paese dalla distruzione, il Vescovo di Imola (il futuro Papa Pio VII); il 20 giugno si combatte per le vie del Castello e solo il 28 gli austriaci ne consolidano il possesso. In quella circostanza andò completamente distrutto l’Archivio comunale.
Il 26 agosto, l’Imperiai Regia Reggenza Provvisoria di Bologna pubblica il Decreto imperiale dell’11 avanti, che ripristina
Lo stato di diritto esistente il 1° gennaio 1796, abrogando tutte le leggi emanate dalla Cispadana e dalla Cisalpina. L’amministrazione dell’Ospedale rimane in una incerta situazione di fatto.
Il 2 settembre ritorna l’Arciprete Calistri, ma prosegue la diretta gestione dell’Istituto da parte del Comune. Si dimette il Depositario dell’Ospedale Domenico Grandi (che l’1 gennaio 1800 viene sostituito da Lorenzo Trocchi: il Grandi riprenderà l’incarico nel 1801 fino al settembre 1804 e lo ritroveremo dal 1810 al 1821). Prosegue pure il sistema di affidare il servizio sanitario al medico condotto, come appare dal bando di concorso del 21 settembre 1799.
Nel Consiglio comunale, ripristinato il 16 novembre 1799, troviamo diversi nomi di amministratori (passati e futuri) dell’Ospedale: il Dott. Francesco Cavazza, Paolo Farne, Lorenzo Tracchi, Giuseppe Sarti, Nicolò Giorgi e Francesco Conti; il Giorgi dall’I gennaio 1800 è Capo del Comune, col titolo di « Console » e la stessa carica ricoprirono il Cavazza, il Farne e il Conti. Osserviamo, una volta per tutte, che questi nomi e gli altri che si citeranno non dicono forse nulla a coloro che non si occupano espressamente della storia locale. Ma il loro ripetersi ed il loro avvicendarsi, dimostra l’esistenza di una élite locale sufficientemente stabile per preservare il paese da deprecabili disordini; e a costoro, come vennero affidate le sorti del Comune, cosi vennero affidate anche quelle dell’Ospedale.
Il 14 giugno la vittoria napoleonica a Marengo riapre l’Italia a quelle forze, a quelle istituzioni ed a quelle idealità che furono almeno in ordine cronologico il primo alimento e la prima esperienza verso l’unità e la libertà della Nazione.
Il 29 giugno 1800, truppe francesi sono di nuovo a Castel San Pietro: ma di nuovo il paese deve subire per ben sei mesi il martirio della guerra in prima linea. Solo il 10 dicembre, i Francesi possono cantare sicura vittoria su questo dilaniato territorio. Si instaura finalmente quella stabilità di regime che consente l’attuazione ordinata delle civiche istituzioni.
Castel San Pietro diventa « Municipalità Distrettuale », con a capo un Presidente; la carica è affidata al già nominato Dott. Lolli che, nell’aprile del 1801, aveva potuto rientrare nel paese. Senonché il Lolli, per la sua esuberanza, non era l’uomo adatto alle situazioni pacifiche: nel settembre fu dimesso dal Comune e nell’ottobre anche dalla condotta medica e dall’Ospedale. Invano, nel 1802, e anche in anni successivi, tentò di riaverla.
Il ripristinato Consiglio comunale, fra tutte le sue gravi incombenze, dovette occuparsi anche delle opere pie. E nella seduta del 13 gennaio 1802, istituì formalmente la « Deputazione per i beni di pubblica beneficienza », già prevista nelle leggi di messidoro del 1798. La Deputazione si insediò tre giorni dopo, deliberando, per prima cosa, il Regolamento d’Amministrazione per l’Ospedale e, successivamente, il 20 gennaio, stabilì che la carica di Presidente fosse tenuta per turni bimestrali da ciascuno dei suoi componenti. Il 16 gennaio 1802 cessa pertanto ufficialmente l’amministrazione della Compagnia della Carità. Ma il pio sodalizio non scompare: sotto il titolo di « Pia Unione di San Francesco di Paola dell’Ospedale degli Infermi », continua ad esistere, e i suoi aderenti versano regolarmente i contributi sociali al Depositario dell’Ospedale.
Intanto, il 2 febbraio 1802, i Comizi di Lione proclamano la Repubblica Italiana alla quale, fra gli altri, aveva dato opera un illustre cittadino castellano: il medico Dott. Gaetano Conti già distintosi, oltre che nella professione e nell’insegnamento universitario, anche in pubblici uffici ed incarichi diplomatici fino all’avvento della Cispadana.
Il 14 gennaio 1803, la Deputazione che gestiva l’Ospedale deliberava il richiamo della già estromessa Compagnia della Carità sia pure per affidarle il solo governo interno dell’Istituto. Rispose la Compagnia che intendeva essere reintegrata nel pieno possesso dell’Ospedale e la Deputazione, addirittura, ne fece al Comune proposta favorevole rilevando come le finalità specifiche di un Istituto ospitaliero sarebbero state meglio perseguite da una gestione speciale che non da un organismo, quale appunto la stessa Deputazione, cui meglio si addicevano compiti di beneficienza generica. Il Comune, però, fu di avviso diverso. Con delibera consigliare 25 gennaio 1803, soppresse la Deputazione sostituendola con un nuovo corpo amministrativo denominato « Commissione Amministrativa dei beni di pubblica beneficienza » e dando a questa un preciso regolamento.
Le conseguenze furono meno radicali di quanto si potesse ritenere. Fra gli amministratori si riscontrano i nomi di persone già note e che ritroveremo in seguito. Dai verbali si riscontra per altro che la presidenza non è sempre tenuta dal Delegato Municipale, ma da ciascun componente della Commissione per turni di tre o quattro mesi ciascuno e cosi fino al 1808. Notevole la circostanza che la Compagnia della Carità propone al Comune i candidati alla carica di consiglieri dell’Ospedale, non solo, ma la stessa è anche autorizzata a fare proposte per la buona gestione dell’Istituto. Del resto, i rapporti fra la Chiesa ed il Comune si mantennero sempre buoni: il Comune partecipa ufficialmente alle manifestazioni religiose tradizionali e solenni; in Chiesa si canta il « Te Deum » per le vittorie di Napoleone, e l’Arcivescovo ringrazia per l’entusiastica accoglienza ricevuta a Castello il 23 ottobre 1805.
Il 7 marzo 1805, la Repubblica divenuta Regno ed il 5 giugno ne viene emanata la costituzione.
Nel quadro della destinazione dei beni delle istituzioni religiose soppresse, l’Ospedale acquista dal Demanio in quel medesimo anno la Chiesa ed il Convento dei Cappuccini: due istituti non privi di interesse per la loro storia (vi fu Cherubino Ghirardacci, castellano ed autorevolissimo storico di Bologna), per opere d’arte e per la biblioteca in essa conservate, e per attività e vicende collegate anche con l’assistenza ospitaliera (come avvenne, ad esempio, durante la peste del 1630-31) . La Chiesa continuò ad essere officiata anche dopo il 1805. Nel 1806 una parte dell’orto fu ceduta al Comune che vi costruì il pubblico Cimitero a norma del Regolamento Sanitario del Regno, emanato il 5 settembre di quell’anno. Nel 1812 l’Ospedale cedette al Comune anche il Convento.
Con Decreto Vicereale 5 settembre 1807 n. 154 (sull”« Amministrazione Generale della Pubblica Beneficenza »), fu stabilito che in ogni Comune si costituisse un apposito Ente, denominato « Congregazione di Carità », al quale si dovesse affidare la gestione di tutte le Opere Pie. A Castel San Pietro la Congregazione di Carità fu insediata il 2 marzo 1808 in seguito a dispaccio 22 febbraio 1808 n. 3242 del Prefetto del Dipartimento del Reno. Ne fu Presidente, dopo una breve reggenza, il conte Pietro Pasi (dal 19 luglio 1808 al 26 ottobre 1814).
I Pasi erano originari di Medicina ma avevano possidenze cospicue ed un Palazzo gentilizio a Castel San Pietro; la famiglia diede vari e degni esponenti alla Pubblica Amministrazione locale.
Sotto la presidenza di Pietro Pasi (che fu anche, più volte, a capo del Municipio), il nostro Ospedale fu saggiamente amministrato ed organizzato. Furono compilati tutti i Bilanci (in arretrato dal 1803) e l’accordo fra gli Amministratori fu sempre molto sereno. Alla Congregazione di Carità prestò fattiva opera anche l’Arciprete Dott. Pietro Taruffi il quale dovette essere molto operoso e stimato poiché si rileva dagli Atti che aveva poteri di firma in sostituzione del Presidente e tutti i conti sono da lui controfirmati.
Per i Bilanci ed i Consuntivi, dal 1809, si cominciò ad usare moduli statali a stampa e questo è un particolare degno di nota perché dimostra che anche nei centri minori e non solo nelle grandi città si venivano, realmente, attuando i provvedimenti per una organizzazione unitaria ed uniforme della pubblica amministrazione. Si volle pure che il posto di Segretario della Congregazione fosse « un ragionato » e, con tale requisito, il posto medesimo fu ricoperto dal 1812 con la nomina di Francesco Bocciardi.
Il nostro Istituto ebbe anche un nuovo « Piano disciplinare », deliberato il 4 marzo 1808 e, nel 1812, un « Capitolato per il Servizio dell’Infermiere ». L’ordinamento sanitario continuava a far perno sul Medico Condotto del Comune. Il citato Bando di Concorso del 21 settembre 1799 per la condotta medica di Castel San Pietro, fra i « pesi annessi a tale carica » dichiara che il titolare assisterà « gratis », « personalmente e giornalmente agli infermi dell’Ospedale e cosi pure agli ammalati miserabili del Castello e del Borgo ». In un rapporto del Comune per l’ufficiosa « Statistica medica » del 1827, il servizio medico in Ospedale è ancora dichiarato « obbligo inerente alle condotte » e poiché c’erano due condotte (una medica ed una chirurgica), si assicuravano cosi entrambe le forme di prestazione.
La restaurazione pontificia.
Nuovi rivolgimenti si ebbero in seguito alla caduta di Napoleone. Già il 27 Aprile 1814 Gioacchino Murat, durante il suo effimero governo bolognese, riordinava l’amministrazione delle Opere Pie di Bologna e sul medesimo Decreto fu modellata anche l’amministrazione delle Opere Pie nei centri provinciali. Notevole la circostanza che l’ordinamento murattiano sopravvisse all’infelice suo autore ed anzi, sulla base di esso, fu impostata l’organizzazione della pubblica beneficenza nel risorto Stato Pontificio. Il che possiamo agevolmente verificare attraverso le vicende del nostro Ospedale.
In primo luogo il Decreto Murat prevedeva la riduzione delle Congregazioni di Carità a Enti gestori della beneficenza generica, e la costituzione di separate amministrazioni per gli Istituti aventi finalità specifiche quali, fra gli altri, anche gli Ospedali. Il decentramento dell’Ospedale di Castel San Pietro dalla Congregazione di Carità fu formalmente sancito con decreto dell’Arcivescovo (Cardinale Opizzoni), in data 29 ottobre 1816 con effetto dal successivo 15 novembre. L’Ente assumeva la denominazione di « Amministrazione Arcivescovile del Pio Ospedale di Castel San Pietro » sotto la presidenza dell’Arciprete. Con dispaccio 30 ottobre stesso anno, indirizzato al Podestà di Castello, il medesimo Arcivescovo demandava al Comune, unitamente all’Arciprete, di promuovere il trapasso di gestione e di provvedere l’Ospedale di nuovi regolamenti interni. Il 5 gennaio 1816 furono deliberati i Capitolati di Servizio per Medici in servizio nell’Ospedale, in armonia con le norme emanate dal precedente regime « sulla disciplina delle Professioni e delle Arti Sanitarie ».
Nessun riflesso ebbero a Castel San Pietro i moti 1820-21. Per quelli del 1831, ci fu un certo fermento. Dall’aprile ai 15 luglio, il paese dovette accogliere un presidio austriaco di 800 uomini. L’adesione al moto fu palese da parte di molte persone, generalmente possidenti ed artigiani; fra questi, il fabbro Alessandro Inviti, padre di Pietro Inviti che tanta parte ebbe a Bologna ed in Romagna nel Risorgimento nazionale. Anche l’Arciprete e Presidente dell’Ospedale il Dottor Francesco Faldi fu seriamene compromesso come autore di vari scritti politici contrari alla dominazione austriaca ed ispirati a sinceri sensi di unità nazionale. Egli dovette, insieme ad altri, abbandonare Castel San Pietro dove non tornò più anche perché, nel 1832, fu nominato Vescovo di Fabriano. Gli successe, nella Parrocchia come nella presidenza dell’Ospedale, il Dott. don Ignazio Biagi, diligentissimo erudito, autore di una fondamentale opera sulle « Chiese Parrocchiali della Diocesi di Bologna », brillante oratore e scrittore molto apprezzato; non repubblicano come il suo predecessore Calistri, ma pure animato da idee di indeclinabile patriottismo; del Calistri, tuttavia, difese in molti aspetti l’atteggiamnto e le opere mentre fu polemico verso Ugo Basso e, più ancora verso il correligionario di questi Padre Gavazzi ammonendo entrambi contro i pericoli del fanatismo.
La Congregazione « Cipriani » e l’unità nazionale.
Con gli eventi del 1859-61, la Romagna fu probabilmente la regione d’Italia in cui la nuova legislazione sulle Opere Pie apportò i più radicali mutamenti. Nelle vicende del ’59, troviamo ancora, in prima linea a Castel San Pietro, uomini che appartennero all’Amministrazione dell’Ospedale. Federico Dal Monte (che ne divenne poi Presidente), nel maggio di quell’anno aveva dovuto riparare a Bologna ma tornò a Castello il mattino medesimo del 12 giugno quando Bologna si proclamava finalmente libera dallo straniero e recò la nuova della « caduta » del potere pontificio ed il primo tricolore italiano. Insieme al Medico Condotto, Dottor Domenico Grandi, percorre il centro del paese, fa issare il Tricolore sulla Residenza Municipale e sulla Torre del Castello mentre il Corpo Musicale (di cui era direttore) accompagna i canti della folla che, via via, si raduna festante; intima, infine, le dimissioni al Priore Pontificio (Podestà) ed assume l’Amministrazione Civica col titolo di Intendente di Piazza. Si costituisce il Governo delle Romagne con a capo un Regio Commissario straordinario ed un Governatore Generale. Il Commissario, con decreto 25 luglio 1859 e successiva circolare 28 luglio, dispone che tutti gli Istituti di Beneficenza Pubblica siano sottratti all’ingerenza dell’autorità ecclesiastica e posti « sotto l’alta tutela del potere governativo ». In esecuzione di questa norma, il Governatore (Leonetto Cipriani) con ulteriore decreto 19 agosto, ribadisce il principio della competenza governativa in materia di Opere Pie e di Pubblica Beneficenza ed ordina la « concentrazione di tutti i beni spettanti agli spedali, luoghi pii, orfanotrofi e stabilimenti elemosinieri sotto qualunque forma e denominazione e da chiunque dipendenti » sotto un’unica amministrazione da costituirsi in ogni Comune e denominata Congregazione di Carità. È, in sostanza, il ritorno ai sistemi laicali ed accentrativi del regime napoleonico.
I membri della Congregazione dovevano essere nominati dalle « Commissioni Municipali » (Consigli Comunali) ed a questi si aggiungevano, quali componenti di diritto, il Sindaco, un rappresentante del Prefetto ed il Vescovo (o il Parroco del capoluogo nei comuni che non fossero Sede Vescovile).
In adempienza del Decreto Cipriani, il Comune di Castel San Pietro proponeva all’Intendente (Prefetto) di Bologna la nomina dei Membri della Congregazione di designazione comunale Bartolomeo Lasi, Girolamo Dal Monti già Tesoriere dell’Ospedale —, Vittorio Lugatti e l’Avv. Massimo Oppi. La nomina fu accordata senza difficoltà. Ma le complicazioni sorsero nei confronti dell’Arciprete (il già ricordato Dott. Biagi) che fino a quel momento aveva retto l’Amministrazione dell’Ospedale. Egli non accettò di far parte del nuovo Corpo Amministrativo in obbedienza ai « sacri canoni » e, quanto alla « consegna » della sua gestione e dei beni dell’Ospedale, « sopportò » che venisse effettuata unilateralmente dall’Autorità Comunale. I fatti, tuttavia, si svolsero con molta moderazione e tatto da ambo le parti. La Congregazione di Castel San Pietro fu retta prima da un Delegato Governativo (l’Avv. Emidio Chiaradia) dal 25 giugno 1860 al 6 gennaio 1862, poi da un Presidente che, dal gen¬naio 1862 al 20 luglio 1865, fu il Dottor Rocco Baroncini. Questi era castellano e medico; nelle Campagne del 1848 e 1849, aveva prestato servizio nell’esercito Piemontese; nel 1849 era Ufficiale Medico presso il Quartier Generale e, il 23 marzo, alla battaglia della Bicocca (la « fatal Novara ») ebbe occasione di prestare le sue cure allo stesso Duca di Savoia che, la sera, sarebbe divenuto Re.
Durante il 1859-1860, l’Ospedale di Castello fu parzialmente militarizzato. Ricoverò fanti, artiglieri, bersaglieri ed anche « papalini capitolati ».
La « Commissione Speciale ».
I decreti del 1859 erano stati provvedimenti di carattere eccezionale emanati da Autorità straordinarie in circostanze speciali. Normalizzatasi la situazione politico-militare, si dovette normalizzare anche lo stato della legislazione. Con Regio Decreto 9 ottobre 1861 n. 249, fu estesa all’Emilia, alla Romagna ed alle Marche la Legge Sarda sulle Opere Pie (Legge 20 novembre 1859 n. 3779) « provvisoriamente, come diceva il preambolo, e fino a che le nuove leggi organiche di ordinamento amministrativo del Regno siano approvate e poste in vigore ».
L’applicazione delle nuove Leggi all’Ospedale di Castel San Pietro ha dato luogo ad una complicata questione di diritto che abbiamo cercato di ricostruire con la maggior chiarezza possibile sulla scorta specialmente degli Atti dell’Archivio Comunale.
Anzitutto fu fatta confusione anche presso la Prefettura e lo stesso Ministero dell’Interno fra le « Congregazioni di Carità », quali erano previste nel Decreto Cipriani, e le « Congregazioni di Carità », quali erano previste nella Legge dello Stato (la citata Legge Sarda, prima, la Legge nazionale 3-8-1962 n. 753, poi). Il Comune di Castello avendo, appunto, fatto questa confusione e scambiata l’una Congregazione per l’altra, si limitò — con delibera 29 novembre 1861, a conservare la Congregazione Cipriani, integrandola nel numero e nel titolo dei componenti in base alle norme della Legge Sarda. La competente Sottoprefettura di Imola non avverti l’equivoco e solo per altri motivi (che esamineremo) rilevò che le due Congregazioni (quella Cipriani, che esisteva, e quella Comunale, che si sarebbe dovuta costituire) non erano incompatibili fra loro a norma della Legge ed avevano fini istituzionali diversi.
Dopo intercorse varie e diffuse corrispondenze fra il Comune, la Sottoprefettura, la Prefettura ed il Ministero, venne finalmente stabilito (con disp. 28-12-1862 n. 9140 del Segretario Generale del Ministero dell’Interno) che le Congregazioni Cipriani si sarebbero denominate « Congregazione di Carità con Poteri Commissariali » distinguendole, cosi, dalle « Congregazioni di Carità Comunali » previste dalla Legge organica e fu, altresì, stabilito che le prime continuassero a sussistere, salva la possibilità di loro « trasformazione » ai sensi degli articoli 29 e 32 della nuova Legge del 1862.
In relazione a questa eventualità di trasformazione, si ebbe un secondo motivo di disputa fra le Autorità interessate.
Già prima che la Legge del ’62 fosse formulata, il Ministro dell’Interno (Ricasoli), volle rendersi conto anche della singolare esperienza delle Congregazioni Cipriani e con disp. 19-12-1861 n. 3349, chiedeva al Prefetto di Bologna che gli inviasse un rapporto in merito.
La « singolarità » delle Congregazioni Cipriani consisteva nel fatto che in esse si unificavano amministrativamente tutte le Opere Pie esistenti in ciascun Comune, mentre il Ricasoli aveva mente alla Legge Sarda che distingueva tra una « Congregazione di Carità » (competente per la beneficenza generica ed elemosiniera) e le « Commissioni Speciali » per la gestione di istituti di beneficenza con finalità specifiche.
Su questa base va collocato il rilievo della Sottoprefettura di Imola alla deliberazione del Consiglio Comunale di Castel San Pietro. Giustamente la Sottoprefettura rilevava che le due Congregazioni avevano fini diversi perché l’una competente per la beneficenza generica e l’altra per la beneficenza specifica. (Osserviamo, però, che, a Castel San Pietro, la Congregazione Cipriani aveva svolto entrambe le funzioni). Esse non erano, inoltre, fra loro incompatibili in quanto « l’art. 32 della Legge (1862) stabiliva che le Amministrazioni create dai Governatori e Commissari straordinari avessero a continuare… fino a che non fossero costituite speciali amministrazioni o che, in seguito di deliberazione consigliare, non (si fosse) ottenuto decreto reale » di concentrazione di tutte le Opere Pie nella Congregazione Comunale.
E, infatti, il Ministero dell’Interno, con circolare 10-5-1864 numero 37601 invitava i Comuni a volersi pronunciare espressamente in relazione all’Art. 32 della Legge: se, cioè, intendessero lasciare intatte le Amministrazioni Speciali (ritenendo tali le Congregazioni Cipriani), oppure concentrarle nella Congregazione Comunale.
Anche qui va notato il perdurare di un equivoco: la Congregazione Cipriani aveva svolto tutte le attribuzione inerenti alla pubblica beneficenza e non attribuzioni specifiche, quindi, a rigore, non poteva considerarsi « amministrazione speciale » nel senso già inteso dal Ricasoli e conservato dal Ministero.
Comunque il Prefetto di Bologna rimise la questione alla Deputazione Provinciale che, a sua volta, la impostò in questi termini: « Se convenga o meno mantenere de diverse Opere Pie esistenti nel Comune, riunite per ragioni di economia o d’analogia di scopo, ovvero se ogni Opera Pia debba avere una propria separata amministrazione » ferma restando la « Congregazione Comunale » per la beneficenza generica. Su questo tema il Consiglio Comunale nella seduta 19 dicembre 1864 deliberava che le Opere Pie di Castel San Pietro esercitanti forme specifiche di beneficenza (cioè l’Ospedale e l’Orfanotrofio) fossero raggruppate, lasciando alla Congregazione Comunale il compito della beneficenza generica.
La delibera fu approvata dalla Deputazione Provinciale il 10 gennaio 1865 (Relatore Avv. Enrico Sassoli; Oggetto n. 14). Ma il Ministero dell’Interno la rinviò « pel motivo che un tal partito avrebbe troppo sminuito il prestigio della Congregazione di Carità, sottraendole la gestione di due cosi importanti Istituti ». Ribatté la Deputazione (Seduta 21 febbraio 1865; Oggetto n. 9; Relatore Avv. Enrico Sassoli) che « la Congregazione Comunale di Carità (di Castel San Pietro) non ebbe mai legalmente l’incarico di amministrare le Opere Pie (Ospedale ed Orfanotrofio)…e soltanto per una confusione di idee venne di fatto a prendere il luogo della Congregazione Cipriani la quale… dovrebbe trovarsi ancora in possesso di quelle Amministrazioni, mentre non si è finora pel Comune di Castel San Pietro applicato quanto è previsto dall’Articolo 32 della Legge 3 agosto 1862 ». « Cosicché, proseguiva il Relatore, l’attuale Congregazione (Comunale) non ha alcun diritto acquisito, né verrebbe quindi spogliata di alcuna attribuzione ».
Tali motivazioni furono accolte e sancite col Regio Decreto 30 aprile 1865, in virtù del quale l’Ospedale di Castel San Pietro, unitamente al locale Orfanotrofio, fu costituito in « Commissione Speciale Amministrativa ». La Commissione si insediò il 20 luglio 1865.
A questo punto si potrebbe dire: «… et de hoc satis ». Invece la medesima questione ritornò a galla nel 1891 quando si trattò di applicare la nuova Legge sulle Istituzioni di Pubblica Beneficenza (Legge 17 luglio 1891 n. 6972).
In quella circostanza la Congregazione di Carità di Castel San Pietro (forse in considerazione che fra i suoi componenti annoverava tutti i membri della Commissione Speciale) concentrò in sé anche l’Amministrazione dell’Ospedale e dell’Orfanotrofio. La Sottoprefettura quando si vide recapitare i Bilanci dell’Ospedale redatti dalla Congregazione di Carità anziché dalla Commissione Speciale, domandò chiarimenti al Comune (lett, 3 settembre 1891 n. 2206). Rispose, invece, la Congregazione (lett. 12 settembre 1891 n. 289) rilevando che essa aveva deliberato il concentramento dell’Ospedale con approvazione del Comune. Ma il Ministero dell’Interno respinse la delibera rilevando che l’Ospedale e l’Orfanotrofio non potevano essere concentrati nella Congregazione a norma dell’Art. 59 della Legge tenuto conto della notevole entità dei loro patrimoni. La Congregazione ricorse al Consiglio di Stato e solo nel 1897 la vertenza fu composta, avendo il Consiglio di Stato accolto le ragioni del Ministero.
Veniva, cosi, ripristinata la Commissione Speciale insediata dal Sindaco il 20 giugno 1897. La lunga e complessa vicenda giuridico-amministrativa non aveva, però, distolto gli Amministratori succedutisi, dalle più assidue cure per il buon funzionamento dell’Ospedale.
L’esigenza di posti letto si era notevolmente accresciuta e, il 18 luglio 1876, essi deliberarono « l’impianto di un nuovo e più vasto Ospedale ». Fu cosi acquistata l’attuale sede che, dal 1855, ospitava l’Orfanotrofio (il quale, a sua volta, nel 1878, si trasferi dove oggi ancor si trova, col titolo di « Istituto dell’Immacolata »). Alla spesa di acquisto si fece fronte con la vendita della vecchia sede, con l’utilizzo anticipato dei proventi di un legato espressamente destinato dal Benefattore (l’Avv. Aldobrando Donini) per le esigenze edilizie dell’Ospedale e con il concorso del Comune. Si trattava della residenza gentilizia, costruita verso il 1650 dalla famiglia Dalle Vacche (originaria di Liano ed arricchitasi notevolmente nel commercio del bestiame esercitato per più generazioni). Essa si era estinta con una Maddalena che aveva portato in dote il palazzo al marito Giampiero Zanoni (dal quale la residenza prese poi il nome). Della dimora gentilizia, che nel 1912 fu assoggettata a vincolo monumentale, restano la bella facciata settecentesca in cotto ed un salone al primo piano adorno di stucchi e tempere originali.
Nel 1882, acquistandosi altri stabili e terreni contigui, fu ampliato il complesso ospedaliero e, nei detti stabili sistemati ex¬novo, fu istituito il Ricovero di Mendicità di cui sarà fatto cenno a parte.
Altri lavori di sistemazione, ampliamento e ammodernamento furono fatti fino al 1906, mentre anche gli Ordinamenti Sanitari e le attrezzature scientifiche stavano al passo con le moderne esigenze. A tal proposito, va ricordata l’opera del Prof. Gino Bianchi che, formatosi alle Scuole di Ruggi, di Charcov e di Pasteur, prestò qui la sua preziosa opera di Chirurgo e di Direttore Sanitario dal 1886 fino al 1920. A lui si debbono anche, in particolare, l’istituzione del Reparto di Isolamento (1914) e l’ordinamento della Sezione Chirurgica (1902 e 1915).
Nel 1892 fu istituito un regolare Servizio di Esattoria e Tesoreria conforme alla Legge del 1890 sulle Opere Pie, affidata dapprima alla locale Banca Cooperativa Agricola, poi, (dal 1914) alla Cassa di Risparmio in Bologna, che lo svolge tutt’ora. Pure nel 1892, ampliandosi l’Organico, fu assunto, per la prima volta, Personale Religioso: tre Suore per i Servizi di governo interno, Cucina e Guardaroba.
Quanto all’Assistenza Religiosa, essa era svolta, allora, dalla Parrocchia a mezzo di un Cappellano e gratuitamente « considerandosi l’Ospedale una famiglia come le altre della Parrocchia ».
Solo dal dicembre 1911, l’Ospedale istituì nel proprio Organico il posto di « Cappellano ».
Ancora nel 1892 fu deliberato l’apposito Regolamento per il Servizio Ambulatoriale e, l’anno successivo, quello di Amministrazione. Nel 1915, l’Ospedale fu nuovamente concentrato nella Congregazione di Carità (poi Ente Comunale di Assistenza), riprendendo la sua autonomia nel 1939: in questo regime amministrativo tuttora si trova.
In questo periodo si possono rilevare quattro avvenimenti fondamentali:
1) La sistemazione del Ricovero e la istituzione di una apposita Infermeria (Padiglione « Manaresi »);
2) La creazione di un Organico proprio del Personale Medico, svincolando, in tal modo, l’Istituto dalle Condotte;
3) L’acquisto di una Farmacia esterna per lo svolgimento anche del servizio interno;
4) Una radicale sistemazione dei Reparti Ospedalieri (Padiglione « Bentivoglio ») con istituzione di ulteriori Servizi Specialistici. Si è già accennato all’istituzione del Ricovero nel 1882. L’iniziativa era partita dal Comune « venuto in determinazione di provvedere di ricovero i miserabili cronici del paese » che, fino ad allora, giusta un ordinamento provinciale del 1850, si dovevano mandare al Ricovero di Budrio: « amando possibilmente collocarli in questo Civile Ospedale pagando per ciascuno ricoverato la retta di centesimi 90 ».
L’Amministrazione dell’Ospedale accolse pienamente la proposta deliberandola il 9 febbraio 1882 e sostenendo una spesa, per sistemazione di locali ed arredamenti, di lire 1.500. I locali erano quelli prospicienti l’allora Via Tintoria (ora Silvio Pellico) ulteriormente ampliati nel 1894 per fronteggiare le crescenti domande di accoglimento. Nel 1930 il Ricovero fu dotato di una propria Infermeria acquistandosi l’adiacente proprietà Ma-naresi, nella stessa Via. La questione dell’Organico dei Medici si pose inderogabilmente nel 1920, allorché nel capoluogo esistevano due Condotte Mediche, in luogo di una Medica e di una Chirurgica. In quell’anno, cessato anche il servizio del Chirurgo-Operatore Prof. Bianchi (incaricato), l’incarico stesso fu affidato ad altro « esterno », il Professor Enrico Musini.
Essendo poi vacante una delle due Condotte Mediche, l’Amministrazione dell’Ospedale affidò il Servizio Medico ospedaliero all’unico titolare in modo esclusivo. Ma, nel 1923, anche la seconda Condotta fu coperta ed il suo titolare reclamò per essere stato « illegalmente » escluso dal Servizio ospedaliero. Per troncare definitivamente ogni vertenza, la Congregazione di Carità, amministratrice dell’Ospedale, deliberò un Organico proprio di Personale Medico con a capo un « Primario Chirurgo » al quale veniva conferita anche la Direzione Sanitaria. A seguito di pubblico concorso, nel 1928, l’Ufficio veniva conferito al Dottor Giuseppe Monti che vi è rimasto fino al febbraio 1959. Per l’approvvigionamento dei medicinali, l’Ospedale della Carità si era sempre valso dell’antica « Spezieria di Piazza ». Dai verbali del Corpo Amministrativo rileviamo che l’Ospedale, non avendo potuto pagare le forniture di medicinali dal 19 febbraio 1748 al 27 giugno 1755, ne fu interamente bonificato impegnandosi, però, con Atto pubblico, « di proseguire in perpetuo a servirsi degli occorrenti medicinali … da levarsi dalla (detta) Spezieria ». E cosi sempre avvenne finché, nell’aprile 1923, l’Ospedale acquistò l’immobile e la stessa Farmacia. Questa fu gestita in affitto fino al 1934; da allora è in gestione diretta. Sotto la Direzione Sanitaria del Dottor Monti, l’Ospedale ha registrato ancora innovazioni, ammodernamenti ed ampliamenti.
Dopo che, nel 1923, era stato costituito il Gabinetto Radiologico, nel 1928-29 si ebbero:
— l’istituzione del Gabinetto Analisi
— il completo rinnovamento della Sala Operatoria e dell’armamentario chirurgico.
— l’attrezzamento di una nuova Cucina
— il completamento del riscaldamento a termosifone.
— l’istituzione dell’Ambulatorio Otorinolaringoiatrico, la dotazione di Autolettiga
— l’istituzione di un Consultorio per gestanti e puerpere (in collaborazione con l’ONMI).
Nel 1929-31 segui la già detta costruzione del Padiglione Manaresi; l’attrezzatura ex-novo della Camera Mortuaria e relativi Servizi; il restauro della facciata monumentale di Palazzo Zanoni, l’impianto di ulteriori attrezzature per la cucina.
Con la costruzione della Cappella (1932), l’Istituto apparve completamente rinnovato ed in grado di rispondere, con la migliore efficienza, alle esigenze dell’epoca. Negli anni che seguirono, l’Ospedale prosegui felicemente la sua missione, riacquistando nel 1939 la sua autonomia amministrativa.
Ma, in un drammatico mattino del dicembre 1944, quando già sul paese incombeva la triste sorte della prima linea del fuoco, per ordine dell’autorità militare tedesca, l’Istituto fu fatto immediatamente sgomberare con tutte le sue attrezzature e col suo dolorante carico umano di malati e di vecchi. Quindi l’edificio fu minato alle fondamenta e fatto saltare.
Ciò che l’esercizio secolare della carità e della scienza avevano faticosamente accumulato, fu distrutto in pochi istanti di furia selvaggia che neppure l’abbrutimento indotto nell’uomo dalla guerra poteva obiettivamente e soggettivamente giustificare.
Trasferiti in una sede di fortuna a Bologna i malati ed i vecchi, a Castel San Pietro rimase (installato entro le mura della cittadina) un semplice posto di Pronto Soccorso. Instancabile e veramente degno di ammirazione, il Dottor Monti faceva continuamente la spola in bicicletta fra Bologna e Castello sulla Via Emilia mitragliata e bombardata.
Più di ogni commento valgano queste telegrafiche parole a ricordare e ad ammonire.
Si chiude cosi il capitolo della Storia dell’Ospedale castellano poiché ciò che avvenne in seguito, la ricostruzione che solo ora praticamente si conclude, appartiene ancora alla vita dei nostri giorni. (1967)
Mario Maragi
L’Ospedale di Castel San Pietro Terme, situazione e sviluppo.
Lo sviluppo dell’Ospedale di Castel San Pietro è stato determinato dalla necessità di corrispondere, in modo adeguato, alla aumentata richiesta di ricovero sia da parte della popolazione di questo Comune che di quelli limitrofi, ed il notevole incremento di tutte le attività istituzionali (ben superiore agli indici nazionali di aumento delle spedalizzazioni) è stato determinato da un complesso di circostanze favorevoli che vai la pena di analizzare.
Nel 1948 l’Ospedale era sistemato nei locali della palazzina storica, insufficienti e del tutto inadeguati. La disponibilità del padiglione « Bentivoglio » permise di destinare alle degenze idonei locali a 2 e 6 letti, con ambienti ubicati razionalmente per i vari servizi di reparto e di diagnostica, per gli ambulatori specialistici e per i servizi generali. Sotto la spinta del progresso anche le attrezzature sono state rinnovate e completate. Un « Recapito INAM », istituito presso l’Ospedale, ha evitato ai mutuati
della zona il gravoso ricorso alla Sezione territoriale di Imola.
Nel 1959, resosi vacante il posto di Primario chirurgo-Direttore sanitario, veniva chiamato a ricoprirlo a seguito di pubblico concorso il Prof. Bruno Musconi già in servizio, con qualifica di Aiuto, presso la Divisione chirurgica dell’Ospedale di Imola. È qui doveroso riconoscere che il Prof. Musconi, con la sua preparazione e pratica professionale, e con la appassionata dedizione al servizio sempre dimostrata, ha dato un valido ap-porto allo sviluppo dell’Istituto di cura. L’Aiuto chirurgo Dott. Giuliano Spadoni si è sempre prodigato con competenza per affiancare l’attività del Primario, e per sostituirlo durante le sue assenze dal servizio.
A seguito della istituzione della Divisione di Medicina generale, avvenuta nel 1961, il Prof. Franco Giungi assume servizio con qualifica di Primario. La solida preparazione scientifica e dottrinale acquisita durante il servizio di Assistente universitario prestato presso l’Istituto di Clinica Medica diretto dal Prof. Giulio Sotgiu, le doti di cuore e la naturale facilità di comunicativa con i pazienti e loro famigliari, assicurano ben presto un notevole sviluppo alla Divisione medica, e viene ad essere completata una branca di prestazioni che lo stesso Ospedale non aveva mai avuto occasione di curare in modo particolare.
Anche i « Servizi » resi autonomi vengono affidati a sanitari qualificati e preparati: il Dott. Dino Coltelli è preposto alla direzione del laboratorio di analisi cliniche e del gabinetto di cardiologia, il Dott. Renato Rizzoli a quello di radiodiagnostica e terapia fisica, mentre al Dott. Giancarlo Sandrini viene affidata la direzione del servizio di anestesia e rianimazione.
Attivamente frequentati sono gli ambulatori specialistici conferiti, per incarico annuale, a professionisti noti ed apprezzati che, con la loro frequenza nell’Istituto, contribuiscono ad accrescerne il prestigio.
Il personale religioso femminile, appartenente all’Ordine « Pie Madri della Nigrizia » di Verona, si prodiga con zelo encomiabile, e con sincero spirito di carità cristiana, nelle corsie e nei servizi.
Tutto il personale dipendente impiegati, tecnici, infermieri, inservienti ha sempre dimostrato attaccamento all’istituzione,
e si è reso disponibile anche oltre i normali obblighi di servizio, dimostrando sempre sollecita premura e cortese interessamento verso i pazienti ed i frequentatori in genere dell’Istituto.
La riforma ospedaliera, già approvata da un ramo del Parlamento, e la programmazione economica determineranno profonde modificazioni nella secolare e tradizionale vita degli Ospedali italiani. La loro autonomia sarà salvaguardata, ma per la loro gestione è prevista una maggiore ingerenza da parte degli Enti Locali territoriali; i loro patrimoni e le disponibilità economiche non saranno vincolati, ma le determinazioni dei singoli Istituti per modificare o ampliare la propria attività dovranno, per essere ap-provate, rientrare negli indirizzi generali fissati dalla programmazione. La legge di riforma, giustamente intesa a coordinare l’assistenza ospedaliera ed a garantirne, in ogni caso, un adeguato livello, fissa dei requisiti minimi per il riconoscimento degli Istituti di cura esistenti. L’Ospedale di Castello, in linea di massima, ha tenuto conto di tali prescrizioni, ed è predisposto per assolvere ai compiti che la stessa legge potrà assegnare agli ospedali di zona.
Anche la possibile creazione di un nuovo « Pensionato » per l’accoglimento dei vecchi e inabili del tutto autonomo e distaccato dal complesso ospedaliero rientra fra quei provvedimenti, già considerati dall’Amministrazione, che si renderanno forse opportuni per dare all’Ospedale la totale disponibilità degli immobili esistenti, consentendo in tal modo una più razionale sistemazione dei servizi, una più idonea ambientazione della sezione ostetrica, la istituzione particolarmente richiesta dall’opinione pubblica di una sezione pediatrica, e la creazione di un reparto ospedaliero per convalescenti o lungodegenti.
L’Ospedale di Castello potrà cosi essere uno strumento più efficace e maggiormente qualificato non solo per la cura, ma anche per la prevenzione delle malattie e per la corretta applicazione delle terapie riabilitative.
Castel San Pietro Terme, col suo popoloso centro abitato, con gli importanti stabilimenti termali che vi sono installati, confluenza naturale della vallata del Sillaro, sede di una attiva Azienda di cura e soggiorno, centro di un Consorzio di igiene e profilassi comprendente i Comuni di Dozza e Castel Guelfo, può ora vantare anche la disponibilità di un ospedale moderno e at-trezzato. Nell’assistenza sanitaria in genere, ed in quella ospedaliera in particolare non vi sono, però, punti fermi né traguardi raggiunti: è una continua evoluzione imposta dal progresso tecnico e dalla ricerca scientifica; un accertamento dinamico di sempre nuove esigenze organizzative e funzionali; un rinnovamento incessante di metodi e mezzi volti alla migliore tutela della salute dell’uomo.
Anche dopo il passaggio dalla fase caritativa ed assistenziale alla attuale normativa, che sancisce il dovere della collettività di assicurare l’assistenza sanitaria, l’ospedale deve essere considerato un bene comune; una istituzione pronta a lenire qualsiasi sofferenza; un ente che per la sua gestione non può accontentarsi di formali enunciazioni programmatiche, ma deve fare sicuro affidamento sul calore umano di una opinione pubblica sensibilizzata ai suoi molteplici problemi, e sulla comprensione delle Amministrazioni pubbliche chiamate democraticamente a rappresentare gli interessi della popolazione.
Vincenzo Sgarzi
L’Ospedale di Castel San Pietro Terme, situazione al 1967.
L’anno 1967 segna una data importante per l’Ospedale di Castel S. Pietro; vengono infatti portati a compimento i lavori relativi alla costruzione dell’Istituto di cura, e l’occasione si presenta favorevole per puntualizzare le realizzazioni conseguite nell’ultimo ventennio.
L’Ospedale, privato della sede per cause belliche, fu costretto a svolgere la sua attività a Bologna, dal 1945 al 1947, precariamente alloggiato presso il Liceo Righi di Porta Saragozza; un modesto servizio di pronto soccorso, allestito nell’immobile Pantaleoni di Via Matteotti, costituì il solo presidio per fronteggiare, sul posto, le esigenze sanitarie più urgenti della popolazione di Castel San Pietro.
La costante abnegazione, ed il senso del dovere dimostrati in queste circostanze da tutto il personale, laico e religioso, consentirono di superare un tragico periodo di inauditi disagi, e di avviare la lunga e impegnativa ricostruzione degli Istituti.
È lo Stato che provvede a ripristinare gli immobili distrutti dalla guerra, ma l’opera di ricostruzione, nonostante le migliori intenzioni, risulterà compiuta solo nel 1958.
Nel marzo 1947 il Genio Civile termina il primo lotto di lavori: è cosi possibile utilizzare nuovamente la Palazzina centrale, capace di 30 letti ospedalieri, e l’ala di Via S. Pellico che permette l’alloggio di un centinaio di vecchi e inabili della « Casa di riposo ».
Con il rientro dalla sede di sfollamento di Bologna, e la contemporanea chiusura del « Pronto soccorso » di Via Matteotti, gli Istituti riprendono la loro attività nella Sede di Via Oriani; nel 1948 è completato il fabbricato ad uso lavanderia che, oltre alla sistemazione di tale servizio, consente di allestire dormitori capaci di ospitare una trentina di vecchi e inabili.
Il Padiglione « Manaresi », della capienza di 80 posti letto e destinato agli infermi della Casa di riposo, può essere utilizzato dal 1951, dopo la sua riedificazione iniziata nel 1950.
Per cancellare le conseguenze delle distruzioni belliche, e per ripristinare il complesso degli edifici in uso prima della guerra, manca la ricostruzione del Padiglione « Bentivoglio » che, prospiciente la Via Oriani, si stacca a levante della Palazzina storica.
Il progetto, approntato dall’Ing. Aldo Zerbetto, prevede un fabbricato su tre piani fuori terra, capace di 60 posti letto e comprendente adeguati servizi specialistici, di diagnostica radiologica e di analisi cliniche; i lavori, iniziati nel 1953, sono portati a compimento nell’anno 1958. Il costante incremento delle attività istituzionali, oltre ad un ampliamento e ad una radicale sistemazione della « Casa di riposo » attuata nel 1961, ha reso indispensabile ed urgente la realizzazione di un progetto di completamento dell’Ospedale; le opere di cale progetto, predisposto dall’Ing. Alberto Parenti, sono state suddivise in due lotti: il primo, dell’importo di oltre 50 milioni e finanziato direttamente dall’Amministrazione, è stato ultimato nel 1965 ed è consistito nella sopraelevazione, per due piani, del Padiglione « Bentivoglio »; il secondo, dell’importo di lire 98 milioni assistito da contributo dello Stato e finanziato con un mutuo della Cassa DDPP., costituisce l’opera realizzata nell’anno in corso e comprende l’appendice, su numero sei piani fuori terra, a levante dello stesso Padiglione Bentivoglio. Le Amministrazioni, ordinarie e straordinarie, che si sono succedute dal 1945, hanno sempre posto ogni cura per far seguire, alla ricostruzione degli immobili, l’aggiornamento ed il completamento degli impianti e delle attrezzature tecnico-sanitarie:
— 1954, rifacimento totale dell’immobile di Via Matteotti ove ha sede la « Farmacia dell’Ospedale »;
— 1956, meccanizzazione del servizio di lavanderia;
— 1958, installazione di un nuovo e completo impianto di radio-diagnostica;
— 1960, rinnovo totale delle attrezzature del reparto operatorio e del servizio di anestesia;
— 1963, nuovo impianto del servizio di cucina;
— 1965, impianto centralizzato per la erogazione dei gas medicali, e per l’aspirazione;
— 1966, oltre alla realizzazione del nuovo laboratorio analisi, è stato acquistato un moderno respiratore automatico a completamento delle dotazioni del servizio di anestesia e rianimazione.
Nel primi mesi dell’anno 1959, dopo il collocamento a riposo per raggiunti limiti di età del Dott. Giuseppe Monti, assume servizio il Prof. Bruno Musconi con la qualifica di Primario chirurgo-Direttore sanitario; nel febbraio 1961, a seguito della istituzione della Divisione di « Medicina generale », il Prof. Franco Giungi è chiamato a coprire il posto di « Primario medico ».
Successivamente sono stati istituiti i servizi autonomi di radiodiagnostica, di ricerche cliniche e di anestesia, mentre per le principali specialità si è provveduto mediante il conferimento di incarichi annuali a professionisti particolarmente qualificati.
P.Musconi Bruno – Primario chirurgo Dirett. Sanitario
P.Giungi Franco – Primario medico
D.Spadoni Giuliano – Aiuto chirurgo
D.Coltelli Dino – Aiuto addetto laboratorio analisi
D.Rizzoli Renato – Aiuto addetto gab. Radiologico
D.Sandrini Giancarlo – Aiuto anestesista
D.Magistretti Marco – Assistente medico chirurgo
D.Sasdelli Giulio – Assistente medico chirurgo
D.Grandi Giuseppe – Assistente medico chirurgo
D.Rinaldi-Ceroni Angelo – Otorinolaringoiatra
D.Pollidori Franco – Oculista
P.Alivisi Bruno – Urologo
D.Gori Enrico – Neurologo
Zona di degenza
OGNUNO DEI QUATTRO PIANI DESTINATI ALLE DEGENZE, OLTRE A COMPRENDERE I POSTI LETTO, DISPONE DEI SEGUENTI SERVIZI:
— DUE GRUPPI DI SERVIZI IGIENICI;
— UNA CUCINETTA DI REPARTO;
— UNA CAMERA DI MEDICAZIONE, O GUARDIOLA;
— UNA CAMERA, CON SERVIZI IGIENICI, PER IL PERSONALE;
— UN RIPOSTIGLIO PER BIANCHERIA SPORCA E MATERIALI DI PULIZIA;
— UN LOCALE PER IL DEPOSITO DELLA BIANCHERIA PULITA;
— UN ALLOGGIO PER IL PERSONALE SANITARIO;
— UN LOCALE DI SOGGIORNO.
LE SEZIONI « OSTETRICIA » E « OTORINOLARINGOIATRIA » SONO COLLOCATE, NELL’AMBITO DELLA DIVISIONE CHIRURGICA, NEI LOCALI DEL 1″ E 2″ PIANO DELLA PALAZZINA CENTRALE; ANCHE 1’« ISOLAMENTO » TROVA ADEGUATA SISTEMAZIONE NEI LOCALI D’ANGOLO, AL 1° PIANO, FRA LE VIE ORIANI E SILVIO PELLICO.
Reparto operatorio
COMPRENDE UNA SALA OPERATORIA, CON LOCALE PER LA STERILIZZAZIONE E BOLLITURA FERRI; UN LOCALE PER LA PREPARAZIONE DEGLI OPERANDI, L’ARMAMENTARIO, ED UN LOCALE PER LA PREPARAZIONE DEI CHIRURGHI E DEL PERSONALE DI ASSISTENZA.
IL BLOCCO OPERATORIO HA PAVIMENTI E PARETI IMPERMEABILI E LAVABILI, ED È DOTATO DI IMPIANTO AUTONOMO PER IL CONDIZIONAMENTO D’ARIA.
Reparto di ricerche cliniche
È SISTEMATO AL PIANO RIALZATO; COMPRENDE CINQUE LOCALI, OLTRE AI SERVIZI, ADIBITI A STUDIO PER IL DIRIGENTE DEL REPARTO, PRELIEVI, ESAMI CHIMICO-CLINICI, MICROSCOPIA, METABOLISMO BASALE, STERILIZZAZIONE E LAVAGGIO, DEPOSITO E ATTESA.
LE COMUNICAZIONI CON IL PIANO SOTTOSTANTE, E CON QUELLI SOVRASTANTI, SONO ASSICURATE DALLA SCALA E DALL’ASCENSORE PER GLI AMBULANTI, E DAL MONTALETTIGHE PER I DEGENTI.
Reparto di radiologia
È POSTO AL PIANO RIALZATO, NELLA PARTE CENTRALE DEL CORPO PRINCIPALE DI FABBRICA, CON ORIENTAMENTO A SUD.
SI COMPONE DI UNA RADIODIAGNOSTICA GENERALE, CON ATTESA ANTISTANTE; DI UNA CAMERA OSCURA, E DI UNO STUDIO PER IL DIRIGENTE DEL SERVIZIO.
IL REPARTO È UBICATO NELLE IMMEDIATE VICINANZE DEL PUNTO DI ARRIVO E DI PARTENZA DEL MONTALETTIGHE CENTRALE.
E DI IMMINENTE REALIZZAZIONE UNA SECONDA RADIODIAGNOSTICA, CON IL CONTRIBUTO DI 15 MILIONI CONCESSO DAL MINISTERO DELLA SANITA’; L’OCCASIONE DI TALE INSTALLAZIONE CONSENTIRÀ, INOLTRE, DI COMPLETARE E DI AGGIORNARE I SERVIZI ACCESSORI ,SPOGLIATOI, LETTURA LASTRE, ARCHIVIO , PER ADEGUARLI ALLE ACCRESCIUTE ESIGENZE DEL SERVIZIO.
Gabinetto di terapia fisica
È SISTEMATO AL PIANO TERRA, CON ACCESSO DIRETTO DALLA PORTINERIA; COMPRENDE, OLTRE AI SERVIZI IGIENICI, CINQUE LOCALI ESPOSTI A SUD, ED UNA ATTESA. È DOTATO DI APPARECCHIATURE MODERNE PER MARCONI E RADAR-TERAPIA, ELETTROTERAPIA, BAGNI DI LUCE, ECC.
LE COMUNICAZIONI CON I PIANI SUPERIORI SONO ASSICURATE DAL MONTALETTIGHE.
Ambulatori di visita e specialistici
OPPORTUNAMENTE ARREDATI E DOTATI DELLE NECESSARIE APPARECCHIATURE, ESSI SONO COLLOCATI NEL PIANO RIALZATO; L’ACCESSO COMODO E RISERVATO DEGLI AMBULANTI È ASSICURATO DALLA SCALA E DALL’ASCENSORE UBICATI NELL’ATRIO DELL’ISTITUTO.
LA DOTAZIONE ATTUALE È LA SEGUENTE:
— OLTRE AD UN AMBULATORIO PER LE VISITE GENERICHE, VI SONO DISTINTI AMBULATORI PER IL PRIMARIO MEDICO, PER IL PRIMARIO CHIRURGO, E PER LE SEGUENTI SPECIALITÀ: « OSTETRICIA E GINECOLOGIA », « CARDIOLOGIA », « OTORINOLARINGOIATRIA », « OCULISTICA », « UROLOGIA » E « NEUROLOGIA ».
Accettazione e pronto soccorso
SONO SISTEMATI AL PIANO TERRA IN PROSSIMITÀ DEL NUOVO ACCESSO, RIVOLTI A EST, E PROSPICIENTI SUL CORTILE INTERNO.
L’ACCETTAZIONE È COMPOSTA DA UNA ATTESA, E DA UNA STANZA PER LA VISITA DIRETTAMENTE COLLEGATA CON LA PARTE AMMINISTRATIVA DI TALE SERVIZIO.
IL PRONTO SOCCORSO, FORNITO DI INGRESSO INDIPENDENTE PRATICABILE DAGLI AUTOMEZZI, COMPRENDE UNA SALA PER VISITA, MEDICAZIONI E PICCOLI INTERVENTI, COMUNICANTE CON UN LOCALE DI SOSTA TEMPORANEA DEI MALATI.
LE COMUNICAZIONI CON I PIANI SOVRASTANTI SONO ASSICURATE DAL MONTALETTIGHE, E DA UN ASCENSORE AD USO DEL PUBBLICO.
L’ARREDAMENTO DEL NUOVO INGRESSO, E DEI SERVIZI DI PORTINERIA E ACCETTAZIONE, È STATO REALIZZATO SU PROGETTAZIONE DEL PROF. CARLO TROCCHI.
Servizi generali
Gli uffici amministrativi CONSERVANO L’ATTUALE UBICAZIONE, AL PIANO TERRA DELLA PALAZZINA CENTRALE ED IN PROSSIMITÀ DELLA DIREZIONE SANITARIA; PER ACCEDERVI, OLTRE AL PERCORSO INTERNO CHE DALLA PORTINERIA PASSA LUNGO IL CORRIDOIO DEGLI AMBULATORI, È PREVISTO UN INGRESSO RISERVATO, DAL CORTILE DELL’ISTITUTO, SUL LATO NORD DELLA STESSA PALAZZINA CENTRALE.
Il servizio farmaceutico È ASSICURATO DALLA « FARMACIA DELL’OSPEDALE », DI PROPRIETÀ DELL’ENTE, APERTA AL PUBBLICO E GESTITA DIRETTAMENTE NELLA PIAZZA XX SETTEMBRE DI QUESTO CAPOLUOGO; LA PIANTA ORGANICA DI TALE « AZIENDA » COMPRENDE I SEGUENTI POSTI:
— UN POSTO DI « FARMACISTA – DIRETTORE »;
— UN POSTO DI « FARMACISTA – COLLABORATORE »;
— UN POSTO DI « APPLICATO AGGIUNTO »;
— DUE POSTI DI « INSERVIENTE ».
La cucina COMPRENDE UN VASTO LOCALE PER LA COTTURA DELLE VIVANDE, E SEPARATI AMBIENTI PER DISPENSA CON TRE CELLE FRIGORIFERE , PER LA PREPARAZIONE DEI CIBI, PULIZIA DELLE STOVIGLIE, E MAGAZZINI DI DEPOSITO; LE APPARECCHIATURE INSTALLATE SONO MODERNE ED EFFICIENTI, ADEGUATE ALLE ESIGENZE DEL SERVIZIO, CON ALIMENTAZIONE A VAPORE, ELETTRICA ED A GAS. IDONEI CARRELLI TERMICI ASSICURANO L’ARRIVO DELLE VIVANDE, AI PIANI DI DEGENZA, NELLE CONDIZIONI PIÙ FAVOREVOLI DI CONSERVAZIONE.
II sevizio di lavanderia e guardaroba È COLLOCATO IN UN FABBRICATO ISOLATO, PROSPICIENTE IL NUOVO PIAZZALE DI ACCESSO ALL’OSPEDALE; OLTRE ALLE APPARECCHIATURE PER LA LAVATURA MECCANICA, SISTEMATE IN IDONEI LOCALI, SONO DISPONIBILI AMBIENTI ADEGUATAMENTE ATTREZZATI PER LA STIRATURA, LA MANUTENZIONE, IL DEPOSITO E LA DISTRIBUZIONE DELLA BIANCHERIA; UN LOCALE ADIBITO A MATERASSERIA COMPLETA LE DOTAZIONI DEL SERVIZIO.
La Chiesa È SISTEMATA, AL PIANO TERRA, NEL CORPO CENTRALE DELL’ISTITUTO, IN POSIZIONE FACILMENTE ACCESSIBILE DA PARTE DEI DEGENTI E DEGLI OSPITI DELLA « CASA DI RIPOSO ».
PER OVVIARE ALLE GRAVI DEFICIENZE DI SPAZIO DETERMINATE DALLE DISTRUZIONI BELLICHE, LA CHIESA FU LIMITATA NELL’ALTEZZA MEDIANTE LA COSTRUZIONE DI UN SOLAIO; IL SUO RIPRISTINO, PERÒ, PUÒ RITENERSI ORMAI IMMINENTE.
Recapito I.N.A.M.
DA ALCUNI ANNI L’AMMINISTRAZIONE HA CONCESSO ALL’LN.A.M. L’USO DEI LOCALI NECESSARI PER IL FUNZIONAMENTO DI UN PROPRIO « RECAPITO » AMMINISTRATIVO E SANITARIO; TRATTASI DI UNA INIZIATIVA DI PARTICOLARE VALORE SOCIALE CHE CONSENTE A TUTTI I MUTUATI DEL COMUNE, ALTRIMENTI COSTRETTI A RECARSI ALLA SEZIONE TERRITORIALE DI IMOLA, DI DEFINIRE SUL POSTO LE VARIE PRATICHE INERENTI L’ASSISTENZA SANITARIA: IMPEGNATIVE PER RICOVERI E PRESTAZIONI AMBULATORIALI; ACCERTAMENTI SANITARI E FISCALI; PERFEZIONAMENTO DEL DIRITTO AMMINISTRATIVO; RAPPORTI BUROCRATICI CON I DATORI DI LAVORO, ECC.
Casa di riposo
L’AMMINISTRAZIONE, OLTRE ALL’OSPEDALE PER MALATI ACUTI, GESTISCE UNA « CASA DI RIPOSO » PER VECCHI E INABILI ISTITUITA, A SUO TEMPO, COME SEZIONE OSPEDALIERA PER « MALATI CRONICI »; NON HA PROPRIA PERSONALITÀ GIURIDICA, NÉ PROPRIO PATRIMONIO.
OLTRE A QUELLI DEL COMUNE DI CASTEL SAN PIETRO, LA CASA DI RIPOSO OSPITA I VECCHI E INABILI ASSISTITI DA CIRCA VENTI AMMINISTRAZIONI COMUNALI DELLA PROVINCIA DI BOLOGNA.
L’ASSISTENZA DEI VECCHI E INABILI È ASSICURATA DAL PERSONALE SANITARIO OSPEDALIERO, MENTRE, PER L’ASSISTENZA AUSILIARIA E GENERICA, SI PROVVEDE CON APPOSITO PERSONALE QUALIFICATO PERALTRO COMPRESO NEL NUMERO COMPLESSIVO DEI POSTI D’ORGANICO.
I SERVIZI GENERALI SONO COMUNI ALLE GESTIONI DEGLI ISTITUTI DI CURA E DI RICOVERO AMMINISTRATI.
Oddone Mirri
( Testi tratti dal libro “L’Ospedale di Castel San Pietro Terme” edito nel 1967)
( Le 36 foto a corredo della pubblicazione sono disponibili presso l’archivio dell’Associazione Terra Storia Memoria )