ERCOLE OTTAVIO VALERIO CAVAZZA

RACCOLTO DI MEMORIE ISTORICHE di CASTEL SAN PIETRO Volume 6°

Trascrizione a cura di Eolo Zuppiroli.

Prefazione

Cavazza arrivato alla fine del 1796 ha deciso di interrompere il suo “raccolto”.
Purtroppo è finito il pacifico e piacevole governo della apostolica sede, i tempi sono cambiati e li scrittori sono ammutoliti o per lo meno raffreddati sul tema di essere gravemente puniti se annunziano il vero e presagiscono il male. Anche lui è stato per un po’ di tempo sospeso ma poi animato da onesti cittadini e probi amici a non desistere si è arreso alle loro premure.
Quindi riprende il racconto dall’inizio del 1797 fino alla fine del 1801. Poi fino alla morte, avvenuta nel 1813, non riprende più a scrivere. Forse non trova più probi amici che lo sollecitino oppure si è stancato, comunque si avvicina agli 80 anni.
Alla fine del precedente volume eravamo arrivati all’approvazione della Costituzione della Repubblica Bolognese, repubblica che non si attuerà perché nel frattempo continua il progetto della unione tra Bologna, Modena, Reggio e Ferrara che diverrà la repubblica Cispadana che il 7 febbraio sceglie come sua bandiera il futuro tricolore italiano.
L’atteggiamento dei castellani rispetto alle novità va, al momento, da una cauta diffidenza ad un minoritario e contenuto entusiasmo. Le votazioni, una completa novità, per la Costituzione Bolognese sono state un successo. Quelle sucessive per la repubblica Cispadana invece sono state di segno diverso ( 52 si, 58 no). Verranno ripetute ripetute con risultato di 100 si e 17 no.
In Aprile si fanno le elezione per la nuova rappresentanza comunale. Nessuno dei vecchi rappresentanti è eletto.
Il Cavazza verbalizzando il passaggio di consegne termina così: doppo tali cose si sono messi in libertà li consilieri (precedenti) poiché, ricevuti li debiti onori e complimenti de novi Municipalisti, è terminato il Governo aristocratico di questa nazione. Il nuovo consiglio il 19 giugno, ad un anno dall’arrivo dei francesi, pianta con gran pompa in piazza l’albero della libertà.
In ottobre cessano le ostilità in Italia con la Pace di Campoformio ed inizia un periodo di relativa tranquillità per quanto riguarda le armi nel nostro territorio.
Si applicano con maggiore rigore i principi giacobini, si attua la chiusura dei conventi e la loro spogliazione e vendita dei beni. A Castello la popolazione in varie occasioni protesta anche in modo violento per la mancanza di sacerdoti per le confessioni, per tentativi di chiudere non solo le chiese dei conventi ma addirittura la chiesa del Crocefisso.
Nel febbraio del 1798 viene occupata Roma dai francesi e dichiarato decaduto il potere temporale del Papa.
Il furore antireligioso poi comincia a colpire le tradizioni della religiosità popolare. Vengono eliminate 18 feste religiose, quelle degli apostoli e dei santi più popolari. Vengono proibite le processioni, che devono avvenire solo all’interno delle chiese, quel po’ di cerimoniale che riguardava il viatico ai moribondi e quello dei funerali, il suono delle campane.
Quando per Natale si proibì l’apertura delle porte principali delle chiese e il suono delle campane ci fu la ribellione. A Castello fu sfondata la porta del campanile e furono suonate a forza le campane. Poi seguì la repressione, con arresti e fughe dei responsabili.
In Romagna e nella pianura bolognese si sviluppò sempre più il fenomeno dell’insorgenza, bande di ribelli antifrancesi che in nome della chiesa e contro le spogliazioni francesi, assaltano paesi e attaccano le truppe francesi e cisalpine.
Intanto è di nuovo iniziato il conflitto tra la Francia e l’Impero austriaco, l’Inghilterra e la Russia. In aprile i cosacchi del generale Suvorov hanno occupato Milano, I francesi hanno abbandonato tutta la Lombardia. Bologna resiste ma il suo territorio è preda di scorribande di insorgenti e truppe imperiali.
Castello nei mesi di maggio e giugno 1799 cambia diverse volte colore politico, viene occupato da tedeschi e insorgenti che poi se ne vanno all’arrivo di francesi o cisalpini da Bologna. Il risultato è un paese aspramente diviso che, ad ogni cambio di occupanti fa fuggire gli avversari e ne saccheggia i beni, con intenti di sanguinose vendette che per fortuna non si attueranno. Gli unici caduti saranno 5 dragoni tedeschi in uno scontro con la guardia civica castellana a cui seguirà poi il saccheggio del paese da parte degli imperiali e insorgenti.
La confusione è tanta che il Cavazza, che con altri ha tentato in qualche modo di fare da paciere, sarà arrestato dai francesi il 3 giugno, portato a Bologna e liberato solo dall’arrivo degli austriaci il 30 giugno.
Sembra tornato il vecchio regime anche se sotto il comando austriaco. Muore il vecchio papa Pio VI, arrestato dai francesi ed ora liberato, succede il vescovo di Imola Gregorio Chiaramonti col nome di Pio VII.
Nel frattempo Napoleone, tornato dall’Egitto , con un colpo di stato si è fatto nominare Primo Console. Nella primavera del 1800 torna in Italia e sconfigge la coalizione antifrancese.
Il 29 giugno i francesi sono di nuovo a Bologna ma gli insorgenti e i tedeschi sono ancora in Romagna. Il 17 settembre sono di nuovo a Castello da cui se ne vanno dopo una settimana per l’arrivo di cisalpini da Bologna. Ritornano truppe ungheresi il 10 dicembre e arrivano alle porte di Bologna.
Alla fine di dicembre si ritirano definitivamente. Anche il questo periodo lo sport preferito dei castellani è ridiventato quello delle fughe e ritorni, con relativo abbattimento e ripristino dell’albero della libertà.
Nel febbraio del 1801 con la Pace di Luneville finiscono le ostilità, per il momento. L’anno ricomincia a scorrere abbastanza tranquillamente e il “raccolto” di Ercole Valerio Cavazza termina con la notizia che l’orologio della torre è stato finalmente convertito al metodo francese.
Eolo Zuppiroli
Maggio 2020


Le Memorie Istoriche o siano Anni Repubblicani
di Castel S. Pietro Dipartimento del Reno
dall’anno MDCCLXXXXVI sino al MDCCLXXXXXII
da Ercole Ottavio Valerio Cavazza brevemente descritte

Al leggitore
Le memorie istoriche di Castel S. Pietro nel bolognese da che fu fondato abbiamo fin qui scritto sotto il pacifico e piacevole governo della apostolica sede, né si è potuto di più desiderare. In oggi prevenuti da uno scompiglio lagrimevole di cose per la rivolta de popoli quali, su la traccia di Francia che declinando da quel bello che l’adornava, mascherati quei popoli deviarono dalle loro contrade colla bandiera di Libertà ed eguaglianza abbandonando il retto sentiero di vita, hanno soprafatto tutte le nazioni, ed infettato di grave massime le Nazioni italiane che queste nel pensare calpestando il governo monarchico sono degenerate in anarchia ed a passi giganteschi giornalmente si vede il tentativo di una fiera persecuzione alla chiesa col manto di Libertà.
Mostro il più spaventoso del mondo quale, opprimendo la probità delle genti, vengono ocultamente ed implicitamente oppresse le belle arti e relligione, lo studio è posto in oblio, la menzogna trionfa, la ignoranza signoreggia, la carità manca. Le stragi, le vendette, li latrocini ed ogni altra sorte di malefici ormai copre tutto il mondo.
Li scrittori sono amutoliti o per lo meno raffredati su la tema di essere gravemente puniti se annunziano il vero e pressagiscono il male, onde conviene piuttosto darsi ad un profondo letargo che comparire e fare produzioni.
Condotti noi da queste osservazioni, essendoci determinati di obbliare la storia, per non compromettere la persona, la familia e sostanze, siamo stati alquanto tempo sospesi a trascrivere li avvenimenti giornalieri. Ma animati da onesti cittadini e probi amici a non desistere ove maggiore è la messe e raccogliere li manipoli dispersi dall’impeto di furiosi venti, in tempi li più dificili, ci siamo arresi alle loro premure. Quindi ripigliata la penna e raccolte quelle poche cose che abbiamo saputo e potuto, abbozzeremo le cose sudette.
Non si maravigli però il legitore di questi nostri scritti se male vengono esposti e tallora mancanti di quelle leggi proclamate che avvalorerebbero il racconto mentre, essendo stati scacciati dal governo cessato pontificio, ci è convenuto prestarsi a quanto solo abbiamo veduto e vedremo in osservanza per l’inanzi.
Un discreto uomo deve di ciò contentarsi, se fra la tempesta portiamo a salvamento la vita e compiacersi sentire ciò che giornalmente accadrà e scriveremo in queste carte epilogate titolate diversamente dalli primi nostri fogli cioè
Anni Repubblicani
di Castel S. Pietro nel
Dipartimento del Reno
dall’ anno MDCCLXXXXVI
fino al MDCCC…
brevemente descritti
da Ercole Cavazza

Sappiamo che per dare un’opera completa ci sarebbe convenuto osservare ed avere in mano tutti li atti comunitativi non che le leggi municipali e le comuni repubblicane, ma come potremo ciò fare se, scaciati vituperosamente e senza colpa dall’uficio, ci viene tutto ora ed in appresso veracci negato di osservare e molto più di annotare essendo suspiciosi li novi governatori?
Lettori amici giudicate e decidete se manchiamo.

Al nome del figlio di Iddio
Adi primo genaro 1797, anno primo della Repubblica Cispadana, essendosi radunato il Consilio nella solita sua ressidenza per soliti affari di governo su le 23 ½ italiane, si amutinò il popolo attorno la casa consolare.
Uomini, donne, vecchi, giovani, ragazzi di ogni sorta e classe ed alzando la voce e schiamazzo si voleva il popolo introdurre, onde con tutta la maniera li assistenti alla porta, cioè il donzello, il massaro, lo scrivano ed il ministrale o sia esecutore fecero sì che chiusero le porte onde, introdotti per ordine del Consilio quattro delli insorgenti e cioè Pascale Bertuzzi e Luigi Musi per li castellani e per li borghesani Luigi Turtora e Giuseppe Rossi capipopolo, coll’avere serate le porte, furono introdotti all’udienza.
Esposero questi le lagnanze del popolo unite alle preghiere popolari relativo che dal Governo di Bologna si voleva l’oppressione delli conventi regolari al che questo popolo reclamava contro tanta prepotenza.
A queste lagnanze si aggiunsero ancora minaccie se la Comunità non si infraponeva per la permanenza delli regolari e sussistenza di questi tre conventi. Mentre l’ogetto del popolo era di avere il pascolo spirituale mentre, per le tante e diverse angustie fatte dall’arciprete Calistri alli eclesiatici, era sfornito il paese di sacerdoti paesani e confessori, aggiungendo mille altre ragioni.
Il Consilio intesa la petizione pacificò li capi popolo e le indusse a calmare li rumori populari e li confortò a stare in quiete mentre la Comunità avrebbe fatto quanto avesse potuto col Senato e coll’arcivescovo e così fu calmata la insurezione.
Il Consilio poi in seguito ordinò alli sud. capipopolo che improntassero una ragionata suplica, che fosse altresì sottoscritta da chiunque, per averla alla opportunità da far constare al Senato le brame pubbliche ed infrattanto la Comunità così scrisse:
Cittad. Senato,
si sono presentati in Consilio, in nome del Populo ammutinato nella strada, Luigi Tortora, Giuseppe Rossi a nome de nostri borghesani e Pascale Bertuzzi e Luigi Musi a nome de castellani ed hanno a nome del loro popolo di ogni sesso adunato alle porte di questa ressidenza la instanza e brama che si ricorra onde si conservino nel paese le relligioni a beneficio spirituale delle anime, tanto più che il N. di preti confessori si riduce a soli tre preti, cioè arciprete Calistri, D. Francesco Landi capellano stipendiato e D. Luigi Sarti, che non ha obbligo alcuno, onde si penuria a confessori. Che se si levano li regolari, che assiduamente attendono al confesso, alla S. Eucarestia ed alli infermi, non potrà essere che un pregiudizio grande spirituale, essendo li med. troppo necessari alla populazione numerosa.
Hanno aggiunto ancora che il popolo med. fa instanza della sola permanenza de frati per soccorrere alla propria indigenza e non intende il popolo penetrare nelle disposizioni republicane sopra li beni temporali, protestandosi ubidiente alle leggi del Governo.
Questa instanza presenta il nostro Consilio a Voi cittadini senatori per implorare come vivamente si implora la permanenza delli Regolari in questo loco per la conservazione della fede catolica, che voi avete sempre sostenuta. Abbiate in considerazione che tre soli preti non bastano ad una popolazione che monta presso a quattromila anime senza le Comunità vicine della montagna e pianura che discendono e si affolano quivi ne giorni festivi a ricevere il Pascolo spirituale e tante indulgenze che si ricevono mercè questi regolari a cui sono affidate, le quali così mancando si intiepidirà vieppiù il Culto. Questo è l’ogetto del popolo e la relazione del Consilio che con pienezza di venerazione si conferma.
Essendosi poi chiuse le botteghe di macellari di minuti e sentendosi esclami per il paese la Comunità, essendo stata avvisata, ordinò che le tre botteghe di minuti, come pure i lardaroli macellassero carni porcine affine di sedare ogni tumulto e poi ne diede l’avviso al Senato. Perché poi non avesse a patir danno il daziere del Retaglio, ordinò la Comunità al Cap. Pier Andrea Giorgi segnare tutte bestie che fossero macellate siano porcine che di qualunque altra sorta per riportarne poi il dazio consueto.
Non bastò questo che il macellaro di carni grosse si impostò pure esso a non volere più macellare. La Comunità replicò il ricorso ed in seguito fu ordinato dai Tribuni della Plebe a cui fu rimessa la instanza che la comunità facesse ella a proprio conto macellare bestie. Non piaque questa providenza al consilio per che voleva che si macellasse apposta, onde replicossi da quella che il paese, come tutti li altri del contado, avevano in consuetudine ed anco per Leggi e Riudicate di macellare a tassa e non a peso e poi la comunità, non avendo peculio non poteva a ciò prestarsi e molto meno poi per che non aveva soggetti per questo impiego. In seguito di che portata questa nova instanza al magistrato, il med. ordinò mediante suo precetto a macellari tutti ed a lardaroli la macellatura, come rilevasi dall’unito ordine. [A.1]
E perché arte de pellacani di Bologna pretendeva avere le pelli, che si fanno in queste macellarie il che veniva inpugnato dalli macellari, come ne risulta al Tribunale delli Tribuni, così la Comunità fece instanza di volere salve le sue ragioni per l’esercizio dell’arte calegaria, poscia presentata.
Adi 22 genaro al Consilio suplica del popolo nella quale si domandava la sussistenza delle tre Religioni. Fu questa sottoscritta da infinità di persone al N. di 219 famiglie, le quali tutte si vedono anoverate nelli atti della Comunità. Nella stessa suplica, che fu poi spedita a Bologna in tre copie distinte, una cioè al Senato, l’altra al card. Arcivescovo accompagnata con preghiere della Comunità e finalmente la terza fu spedita alla Giunta sopra li eclesiastici, copia della quale è la unita, d’onde rillevasi le origini di tali Religioni in questo loco. [A.2]
E perché medesimamente fu creduto cosa convenevole che la Compagnia della Centura e del Sufragio del Purgatorio, erette nella chiesa di S. Bartolomeo e governate da quei regolari agostiniani, così li officiali della med. compagnia, avvanzarono ancor esse le loro preghiere alle autorità sudd. per la rimanenza e sussistenza delli regolari agostiniani in questo Castello a beneficio della populazione e compagnie stesse.
Li popoli della Romagna prevedendo funesti avenimenti, non potendo passare sotto silenzio ed in poca curanza il fanatismo di libertà sognata de nostri bolognesi e ferraresi, non mancarono di produrre li loro sinceri sentimenti colla stampa. Quindi presagi di tristezza coll’unito foglio invitarono li popoli del ferrarese e bolognese a ricondurre l’errore loro e la pania in cui intrescavano. [A.3]
Ne furono spediti di queste stampe per la posta a diversi paesi. Ma che? Acciecate le genti dal fulgore di una aerea libertà vieppiù si fanno pertinaci le persone nella falsa loro opinione.
Li esempi di Castel Bolognese, di Cottignola, di Brisighella ed altri nell’opporsi ai sentimenti nemici del Governo aristocratico non bastano, anziché invece di amolire il duro cuore di tanti faraoni, sempre più l’induriscono.
Accade per tanto che facendosi la festa di S. Antonio Abbate trasportata nella vicina terra di Dozza la domenica doppo l’ottava di d. santo ove, essendo concorso di persone, li nostri patriotti, cominciando a manifestarsi nel caratere di libertinaggio, intesero burlare alcune citelle villane di Monte Catone ivi arivate onde li loro amorosi che erano di seguito a quelle, mal sofrendo la facilità di trattare delli nostri castellani con esse, passarono li amorosi a fare le loro lagnanze e da queste declinando giunsero al segno di attacare baruffa. Nicola Graldi, con Antonio Babina ed altri di Castel S. Pietro diedero guanciate alli amorosi per modo che, levatosi un rumor di popolo, vi accorsero li birri di quel feudo per imprigionarli senza armi.
Il Graldi ed il Babina presero corragio e data mano alle cortelline si fecero largo tantochè riescì loro fugirle dalla presa. Si unirono a questi altri patriotelli che
furono Giovanni Muzzi, Luigi Oppi detto Bavone e presero la parte del castello di Dozza dalla parte della Rocca. Luigi Majno, e Luigi Ferri detto il Rigidorino, ambo ladretti, si accompagnarono alli d. Graldi e Babina e giunti alla porta, che si voleva serrare dai dozzesi per imprigionare tutti li sedicenti, fecero forza ed aperto il portello, doppo avere ferito il custode di quello, se ne partirono.
Li birri volendo essi pure inseguire li nostri patriotti, corendo coll’armi da foco, non poterono altro che imprigionare il d. Oppi, perché pingue di corpo non aveva potuto tenere dietro alli di lui colleghi.
Li amorosi poi delle citelle, non fidandosi di ritornare alle loro case al di là della Selustra per timore di una imboscata dei nostri, si armarono entro Dozza con armi da foco prese in prestanza da loro amici e fatta conventicola, per la quale il Governatore Giovanni Soriani in quel paese temendo di sangue per che li birri volevano fermare ancora questi onde poi processare tanto quelli quanto questi, richiamò la sua Curia ed invitò li montecatonesi con parola di salva condotto a deporre verbalmente del fatto.
Si prestarono per ciò all’invito così, fatteli trattenersi entro Dozza fino al dì veniente, fu sopito tutto il rumore. Il principio della scena fu a caggione di portare in quel paese la coccarda francese tricolorata.
Adi 22 genaro si ritrovò nella corente del nostro Silaro una giovinetta, con un giovinetto legati assieme uno sopra l’altro, ambi morti di ferite e percosse, né si poterono riconoscere perché ambo forestieri, erano entrambi di bell’aspetto, biondi di capelli, corporatura snella e travestiti alla patriotta. Ecco li principi della entusiasmata repubblica cispadana.
Nel giorno 23 poi venne di dovere informare il magistrato sopra la via pubblica che porta a Medicina, cominciando dall’oratorio della Madonna e proseguendo dirittivamente fino alla Cartara, la quale è guasta ed impraticabile, stante un ricorso fattole dalli viandanti e commercianti. La Comunità per ciò informò che questa strada, essendo nella Villa di Poggio non nel comune di Castel S. Pietro, il suo pregiudizio derivava dall’interimento della fossa aderente non scavata da anni otto circa, motivo che sormontando le aque la stessa fossa la allagavano, ed in secondo loco per che la inghiaratura d. , assegnata al marchese de Buoi delli abitanti in Poggio, questa si era sempre fatta in mezo alla possidenza di quel cavaliere e non mai nelle altre strade e molto meno in questa.
Non ostante però tale informazione la d. strada non si accomodò mai perché tratavasi avere a fare con un senatore Marchese sud.. Parimenti perché la strada che porta a Castel Guelfo, fronteggiante li beni delle Monache della SS. Trinità detta la Capella, trovasi dalla parte del Silaro per un lungo tratto slamata e corrosa dalla corrente del Silaro a motivo di avere le monache stesse trascurati li suoi tereni, per cui le aque ne avevano portati via per una sementazione di tre corbe e minacciava come anco di presente minaccia la via medesima. Il marchese e senatore Filippo Ercolani fece premurosa instanza alla Comunità, ed anco giudicialmente nell’Assonteria delle Aque per che si riparasse al male. La Comunità replicò che facessero le Monache e l’Ercolani li lavori essi, che se la Comunità doveva lavorare voleva essa divenir padrona dell’aluvione che avesse fatta il Silero e perciò altro non si fece di lavoro.
Il giorno 25 d. venne aviso particolare al consolo Paolo Farnè ed a me Ercole Cavazza dal senatore Filippo Bentivoglio e Vincenzo Sangiorgi deputati alla giunta delli aloggi di dovere tratenersi in paese fino a novo ordine per affari di Stato. Contemporaneamente passavano truppe francesi dalle parti di Bologna alla Romagna con cariaggi e munizioni.
Le truppe francesi che andavano ora a pichetti ora a staccamenti, si fermavano in questo Borgo e volevano le sussistenze. E qui si ritrovavano li Comunisti in impegni per che non avevano le facoltà necessarie di fare ordinazioni, spessi (…) li impegni in cui si ritrovavano.
Li villani alla campagna non potevano salvare non che li polli ma nemeno li maiali. A questo passaggio vi si aggiunse altro passaggio di truppe traspadane, gente colletizia e cattiva massime per li furti e soverchierie. Alle case che erano nella strada romana domandavano l’apertura e commodo di aqua poi taluni si inoltravano, portavano via comestibili, rami e ciò che loro pareva. Il Borgo della vicina Toscanella non andò esente, mentre in alcune case doppo avere mangiato, bevuto, portato via biancheria, aprivano le botti e derubavano farine, rami, ori alle povere donne e ciò che loro fu in grado.
La Podestaria di Castel S. Pietro che fino ad ora era stata senza Sindico e chiuso l’officio quantunque il cittadino Bernardo Pezzi notaio colegiato fosse egli stato l’estratto, finalmente si aprì il giorno d’oggi 30 genaro in lunedì ed io Ercole Cavazza sostituito ne feci la mia prima seduta al loco destinato e consueto.
Il giorno seguente poi che fu li 31 d. venne una grossa gelata alla quale poscia seguì un’alta neve, che produsse mali di petto e rafreddori ostinati ed il vajolo che serpeggiava ne fanciulli ne portò molti al sepolcro massime ne poveretti per il freddo.
Il giorno seguente di febraro poi, quantunque fosse nevicato forte, non si arrestavano li passaggi delle truppe francesi e traspadane per il transito delle quali le genti tutte del paese chiusero le porte e le botteghe per evitare le insolenze militari.
Adi 31 genaro, giorno ultimo del mese, si ebbe avviso di Bologna che dovevano passare seimilla soldati per la volta di Romagna, parte francesi e parte traspadani, onde fu incaricato il Consolo a fare stare preparato il forno di pane e li osti delli paraggi per che doveva esservi anco tra questi della cavallaria, fu altresì ordinato che stessero preparate 30 carra colli bovi per il trasporto del bagaglio. La stessa sera vennero in questo loco li furieri, le avvanguardie e comissari. Pernottarono alla locanda del Portone e furono visitati quelli officiali dal Consolo Farnè e li due Conti consilieri, che gradirono al sommo questo ossequio in nome della Municipalità.
Avvenne che in questa notte si accese foco nella casa del fu D. Giovan Battista Vanti, onde non potendosi dare il solito segno della campana per che li officiali ed avvanguardia sudd. non entrassero in sospetto di rivoluzione, vi accorse ciò non ostante molto popolo spintovi da uno di d. officiali e fu smorzato senza pericolo su le ore 10 italiane e su le 13 si incaminarono li med. officiali colli furieri alla volta d’Imola prima che giungesse l’altra truppa.
Adi primo febraro 1797 stanti li avvisi giornalieri che si avevano dalle parti di Bologna delli progressi che facevano dalla Lombardia le truppe francesi alla nostra volta per andare nella Romagna, ogni familia di campagna fu avvisata guardarsi dallo albergare soldati ed a non molestarli nello stesso tempo, stanti le rigorose pene che venivano intimate. Ma perché vi erano soldati temerari, arischiavano questi addoprare le mani, perciò alla possessione de Calanchi ove eravi la familia Castellari, numerosa di uomini e giovinastri gagliardi, essendovi andati due cispadani e volendo questi a forza, dopo avere ben bene mangiato e bevuto, appigliarsi alli animali mediante cani, gli furono ajzati li cani della famiglia contro li rapitori, cani da presa onde li cispadani, dato mano al fucile, spararono ma invano archibugiata alli cani dei contadini, ma il colpo andò in fallo e restarono vitime quelli de militari.
Si acese quivi una altercazione tale fra quella familia e li soldati che circuiti furono disarmati e condotti al loro capitano che trovavasi al Piratello. Furono li soldati puniti severamente, ma non andò molto che ritornando la loro truppa dalla Romagna si portarono alla d. possessione per ingiuriare quei poveri villani, onde per non precipitare, se le fecero incontro le donne della familia e fecero un argine contro li soldati che schiamazzando avevano sollevata le familie villane del loro circondario ed avvanzandosi con coraggio contro li agressori militari le diedero
al veniente premio di bastonate alla ribaldaria loro. Poi venero al Castello ove era il loro comandante detto Monsù Novì e fattole il riporto giusto del fatto e riconosciute le persone de cispadani, furono tosto arrestati e nella publica piazza del Castello ricambiati con 50 pianate di scialba per ciascuno.
Non ostante il passaggio delle truppe che andavano in Romagna in qualità di amichi, si tenevano per fedeli li romagnoli al papa né per anco si erano volsuti da terminare di sottometersi al governo francese poiché li austriaci si tenevano forti nel mantovano e Mantova, capitale di quella provincia, era diffesa valorosamente dal comandante Vumpser generale tedesco. Aveva di più questi sotto il suo comando certo Frate Valentino dell’ordine francescano, insigne artigliere, il quale era così valente che colla direzione del suo canone infocava li canoni de nemici, onde poco profitto avevano li francesi. Solo la fame travagliava li mantovani, se questa si supera con ajuto di nove truppe tedesche non potranno che aspettare una cacciata de francesi.
Da quest’altro canto si allarmavano li romagnoli e li soldati pontifici mostravano gran coraggio. In Faenza vi si fa campo, vi si sono entro fonderie di metalli. A Castel Bolognese di là dal Senio, che per anco non avevano potuto penetrare li francesi, si fanno argini per le batterie. In somma da questa parte tutta la Romagna è disposta alla battaglia.
Adi sette febraro vennero di Bologna seimilla soldati, parte francesi parte cispadani, avevano questi due bandiere con l’arbore della libertà da un canto e dall’altro uno squadro, arma de liberi muratori. Avevano seco 14 canoni, tre bombe e fucine per le palle da infocare, erano metà cavallaria e metà fanti, erano loro condottieri due generali francesi, uno detto Lasnè e l’altro Deviotor, passarono dalle 16 fino alle 20 in diversi battaglioni, seguirono trenta carra di atreci militari, cioè sciable, fucili, munizioni, barre per li morti, badili zappe, selle. Giunti a Imola conquistarono tutta la città che le fu consegnata da quella municipalità essendo governatore di quella il dott. Luigi Fracassi filio del dott. Antonio, già medico condotto di questo castello.
Il giorno seguente giorno della Ceriola, andarono a Castel Bolognese, poi passarono alla volta di Faenza e giunti al fiume Senio, detto dai latini Vatreno, si appicò battaglia co’ papalini diretti dal colonello Ancajani, furono questi battuti e messa in fuga la cavallaria che fugì a Faenza. Li prigionieri furono condotti il dì 4 corente venerdì a questo Castello ne quali essendovi Dondini di Cento, finì li suoi giorni in questo ospitale della parocchia. Perdettero li papalini alquanti canoni che quivi furono trasportati. Nella battaglia che durò tre ore vi morirono molti francesi, li papalini al N. solo di due milla ne morirono da 400 ed altrettanti prigioni. Li villani faentini sentendo il N. grosso di francesi non concorsero al colpo di campana a martello, sbigotiti dal rimbombo delle canonate, fucillaria e dalla voce sparsa che se ne affollavano migliaia, non comparve di essi alcuno coll’armi in mano, molto più poi per che il comandante Ancajani aveva avuta intelligenza co’ francesi e nel tempo della battaglia molti papalini si arrolarono alli francesi e rivoltarono le armi contro i suoi nazionali.
Adi 3 d. fu fatta una requisizione di tutti li cavalli e muli per ordine de francesi, così che restò spogliato non solo il paese ma la provincia tutta.
In questo frattempo non avendo potuto ressistere Mantova all’abblocco francese, convenne rendersi a patti, ne venne in conseguenza l’unito manifesto stampato il giorno 4 andante. [A.4]
A scherno maggiore delli aleati all’Imperatore, fu fatto un rame pittorico in Bologna ove si vede delineato l’abbandono di quella inspugnabile fortezza, eccolo unito col titolo di mortorio di Mantova, è però d’avvertire che questa è una ristampa e vi fu levata la prima figura rappresentante il generale Vurmser, il motivo è ignoto. [A.5]
Ma perché le truppe francesi come si disse avvanti volevano sussistenza a forza, fu costretta la Comunità a spedire due consilieri al Senato e furono io, consolo Farnè e Francesco qd. Pietro Conti. Questi operarono in guisa che nel giorno 7 il comandante della piazza ordinò e proibì ad ogni militare di esigere qualunque minima cosa in quei luoghi ove non erano destinate le marcie. L’unita stampa lo giustifica più latamente. [A.6]
In questa guisa fu messo un qualche freno alla arditezza militare, furono consolati li paesani e alle taverne e botteghe se ne dispensò copia di simile ordine, si affissò per chiunque a regola del Governo.
In questo stesso giorno vennero in Castel S. Pietro il sen. Filippo Bentivoglio e Vincenzo Sangiorgi deputati della Giunta delli Alloggi. Chiamarono li Consolo Farnè ed Ercole Cavazza e le spiegarono li seguenti dispacci:
N. 1 Adi 7 febraro 1797. Libertà. Eguaglianza.
La Giunta delli Aloggi e forestieri e per essa li due deputati cittadini Sen. Bentivoglio e Sangiorgi alli cittadino Farnè Console ed Ercole Cavazza.
Essendo noi specialmente incaricati e deputati alla generale provisione per il passaggio delle truppe di cavallaria napolitana, invitiamo voi cittadini Consolo e cancelliere di Castel S. Pietro ad assistere al passaggio di esse truppe e farle servire dell’occorente tanto per allogio di ufficialità, che per l’opportuna pagliata alle truppe e stalle per li cavalli, prevedendo localmente tutto l’occorente sì di fieno che di paglia e brugiaglia e letti respettivamente forniti di tutto il necessario coerentemente alle altre invitazioni a voi instradate per le bisognevoli requisizioni all’uopo necessarie e altresì per i locali delle stalle e tutto altro che riconoscerete opportuno al bisogno. In oltre in adempimento della vostra comissione riceverete in consegna nei diversi magazeni convenuti li generi già ordinati, le respetive proviste e requisizioni, ricevendo tutto l’occorente da li contraenti. facendo loro circonstanziate ricevute de respettivi generi che saranno da voi distribuiti a norma delli ordini che vi veranno estradati, muniti delle sottoscrizioni, che noi vi indicheremo unitamente ai quantitativi delle respettive razioni di fienaglia e brucciaglia. Siete parimenti invitati a provedere l’ufficialità e soldatesca delli occorenti candelieri, brocche, cattini e biancheria grossa, lampioni per le stalle particolari e tutto altro di cui vedete indispensabilmente abbisognare ed insieme delli individui che vedete necessari per la dispensa, assistenza e polizia al necesario servigio delle truppe napoletane a voi tale effetto affidato, dando di tutto quanto a noi deputati incaricati per esserne rimborsati esatto conto.
Salute e fratellanza. Filippo Bentivoglio deputato, Vincenzo Sangiorgi deputato..
Il secondo dispaccio riguardò alle provisioni della legna accordata a lire undici e soldi dieci il carro, fassi di vite, carra due a lire undici e soldi dieci il carro. Paglia libre diecimilla a soldi 22 il cento e farete trasportare li sudd. capi nel luogo che vi sarà indicato per comodo della cavallaria napoletana, che doveva essere di passaggio. In oltre due bajochi per ogni notata ai padronali delle stalle che avessero ricevuto li cavalli e per ogni e ciascun cavallo nelle stale poste in requisizione.
Il terzo dispaccio ordinò porre in requisizione il palazzo Malvasia per la officialità ed il palazzo Locatelli per la soldatesca dovendosi in questo porre la pagliata per la med. In oltre ordinossi pore in requisizione la rimessa Malvasia per la paglia e la rimessa Locatelli per la legna e fassi.
Il quarto dispaccio riguardava la requisizione di 24 letti forniti di tutto il necessario da riportarsi dalli paesani da poi valersene per tutto il tempo di questo passaggio. In seguito di ciò, perché li due deputati non potevano attendere a tutto, invitarono il Consilio comunitativo, nel quale espose le incombenze sudd. e la facoltà di potere prevalersi di altri individui, fu perciò fatta dal consiglio la seguente deputazione.
Per le stalle e dispensa di fieni e paglia furono deputati li cittadini Francesco qd. Pietro Conti ed Agostino Ronchi. Per la requisizione de letti e biancaria furono deputati Francesco qd. Francesco Conti e me Ercole Cavazza. Per la legna e paglia furono deputati il cittadino Antonio Bertuzzi e Lorenzo Trochi.
Al console rimase il solo impegno di incontrare meco li comandanti e generali che di mano in mano dovevano arrivare. E perché non avessero ad acadere incontri tra la truppa francese e la cavallaria napoletana, il Consiglio scrisse al comandante Manuille francese ed alli deputati sud. Bentivoglio e Sangiogi che faceva duopo avere quivi un accoglitore francese, né andò guari che fu proveduta questa piazza e vi fu mandato Giovanni Gottier francese che fu tosto alloggiato nel Borgo in casa di Nicola Manaresi e proveduto di tutto dalla Comunità.
Credette la med. nello stesso tempo pregare il Senato a fare concorrere la Comunità di Medicina alla sovenzione di letti, biancaria ed altro occorrente che però tanto eseguì ma niuna risposta se ne ottenne.
Affinchè poi le cose andassero con bon ordine il Comissario di Guerra D. Ferdinando Ducarne napoletano venne in Castello e lasciò la seguente instruzione per il primo battaglione Regimento Re, da compagnarsi poscia di battaglione che pernottar doveva in Castel S. Pietro acciò ognuno sapesse li quartieri assegnati cioè:
Il quartiere per soldati intro il Castello, le stalle furono indicate colle bolette che furono consegnate al capo della Partita delli Alloggi. Li alloggi delli ufficiali furono espressati nelle cartelle che ognuno riceverà dal capo di detta partita che veniva avvanti a consegnarsi li quartieri. Li foraggi si dovevano prendere nelli magazeni Zini, Manaresi, Lugatti, Bertuzzi e Sentimenti ove eravi persona che consegnava quanto veniva addimandato a tenore delli Ricevi che si esibivano segnati dal maggiore del battaglione col visto Buono del Comandante di esso.
Le lampade assegnate nel quartiere furono N. 8, per le stalle N. 26, per le porte e corpo di guardia 3 compresa la stanza de bassi ufficiali che in tutte furono lampade N. 37. Doppo queste instruzioni fu lasciata altresì la seguente Tariffa per la truppa:
Vino sodi quattro al bocale.
Carne di manzo a soldi 6 ½ la libra
Pasta a soldi 3 e q.ni 3 la libra
Macheroni a soldi 3 e q.ni 3 la libra
Riso a soldi 4 la libra
Salame fino a soldi 16 la libra
Mezo salame a soldi 14 la libra
Mortadella a soldi 15 la libra
Lardo a soldi 9 la libra
Strutto a soldi 9 la libra
Forma a soldi 20 la libra
Formaggio di pecora a soldi 12 la libra.
Fu sottoscritta questa tariffa dal Sangiorgi e Ferdinando Ducarne come rilevasi dal suo originale presso di me scrivente. Fu poi altresì lasciato il seguente foglio instruttivo a me che colli sudd. ed altri dispacci conservo, cioè:
Foglio instruttivo per li cittadini Paolo Farnè consolo ed Ercole Cavazza procancelliere della Comunità di Castel S. Pietro dalli cittadini Sen. Filippo Bentivoglio e Vincenzo Sangiorgi, incaricati di assistere e provvedere al passaggio della cavallaria napoletana di Sua Maestà sicilliana per la Provincia di Bologna, dalla Giunta delli Aloggi a norma della concessione avutane dal Governo e dalli Comissari napoletani, cioè:
Febraro 1797. Giorni dell’arrivo di ciascun battaglione.
18 il primo battaglione, Reggimento Re
20 il secondo battaglione, Reggimento Re
22 il primo battaglione, Reggimento Regina
24 il secondo battaglione, Reggimento Regina
26 il primo battaglione, Reggimento Napoli
28 il secondo battaglione, Reggimento Napoli
Marzo 2 il primo battaglione, Reggimento Principe
Marzo 4 il secondo battaglione, Reggimento Principe.
Alloggi da passarsi per ciaschedun battaglione
Per un Colonello o tenente Colonello
Per un primo Maggiore o secondo maggiore
Per tre Capitani Comandanti
Per quindici officiali subalterni
per cinque Cadetti
Per tre Ajtanti e Chirurghi
Per 9 volontari
Per 270 soldati
Stalle per 324 cavalli compresi quelli delli ufficiali
Per due Proveditori e comodo di sei carri del treno per ogni battaglione
L’alloggio di un generale con sette ajutanti di campo, N. 40 loro guardie e genti di servigio.
Questo medesimo alloggio restò fisso per il Colonello Intendente D. Giuseppe de Bisognè e collo stesso numero di individui e corrispondente treno che passò doppo l’ultimo battaglione.
Foraggi ed utensili
Fieno a ragione di Lib. 17 ½ di oncie 12 la porzione per N. 324 cavalli compresivi quelli delli ufficiali
Paglia per dormire i soldati a ragione di oncie 60 il giorno per ogni soldato.
Legna a ragione di oncie 60 al giorno per ciascuno individuo.
Olio corispondente a N. 37 lampade giornaliere, cioè N. 8 di quartiere ad oncie 4 e N. 29 di stalle e corpo di guardia ad oncie 50.
Li sopradetti generi che furono soministrati ad ogni battaglione non furono consegnati se non con Ricevi del Maggiore munito del visto buono del Comandante del battaglione e questi furono spediti a Bologna alli sud. Bentivolgli e Sangiorgi. Furono poi lasciate in libertà alcune spese alli sud. Farnè e Cavazza che furono rimesse alla loro cognizione di bisogno.
Nel giorno 10 febraro venne d’ordine del comandane Manuille la sesta meza Brigata con 100 cavalli francesi, aloggiarono questi nel Borgo. La meza brigata si impadronì del quartiere destinato a napoletani nel palazzo Locatelli. Se ne diede l’avviso alla Giunta delli Alloggi che ciò sentì di malavoglia.
Ciò fu motivo che furono rinovate le instanze per collocare quivi un comissario francese e, per evitare qualunque altro impegno sopra li quartieri destinati, venero in paese li deputati Sangiorgi e Bentivoglio che partirono solo il 16 doppo che fu arrivato il comissario napoletano: questi visitati li quartieri partì per Imola ed il dì seguente 17 venero li officiali di avvanguardia napoletani che si impadronirono dei loro quartieri.
Ciò non ostante la mattina stessa arrivarono 600 traspadani che volevano fermarsi quivi non ostante avessero la rotta per Imola. Vi fu qualche contrasto fra li napoletani e li forieri traspadani per cui temevasi di qualche fatto. Li deputati della Comunità per ovviare ad un disordine fece passare 600 ruzzoli di pane fresco bianco alli traspadani e carra 5 per il trasporto del suo treno fino ad Imola.
La stessa sera poi delli 17 furono preparati tutti li quartieri nei palazzi sudd. per li napoletani, li quali giunsero la mattina su le ore 17 italiane condotti dal principe D’Assia quale, dovendo qui pernottare come fece, volle andare al teatro e fu accompagnato da 4 consilieri con torce cioè il Farnè console, li due Conti ed Ercole Cavazza, la mattina seguente che fu il 19 giorno di domenica, andò con ordinanza militare alla S. Messa nell’Oratorio del SS.mo nella piazza maggiore, stette quivi tutto il giorno poi partì il lunedì mattina a buon ora.
Il comandante francese della piazza di Faenza ordinò alla Municipalità ricevere mille prigionieri del Papa, che venivano da Ancona, ma avvisato che qui soggiornava per anco la cavallaria napoletana e che si attendeva il secondo battaglione Regimento Re, ordinò tosto che prosseguissero quei sfortunati il viaggio fino a Bologna come di fatti arrivati su le 14 italiane della mattina progredirono il viaggio. Erano tutti malmenati. con casacca color marone, precedevano 4 bandiere papaline di taffettà rosso e giallo inquartate e più oltre la bandiera anconitana su cui stava dipinto in taffettà bianco la Imagine di Maria SS. che anco in Ancona prossiegue ad aprire e chiudere li ochi, pochissimi erano li soldati francesi che accompagnavano questi sciagurati, in modo che ogni 40 prigionieri che sfilavano a due a due vi erano le sentinelle ,una da un canto e l’altra dall’altro. Di dietro poi a questa truppa vi erano solo 12 cavalli. Quando furono a questo Borgo li fecero andare con piede affrettato per timore o di fuga o di rivoluzione.
In questo stesso giorno 20 febraro arivarono sul meridio i napoletani a cavallo che fu il secondo battaglione Regimento Re condotti dal Colonello Gio. Battista Fardella che stette di albergo al Portone e partì la mattina giorno di martedì 21 d.
Arrivarono solo 40 dragoni francesi provenienti di Romagna con altri prigionieri papalini, che furono albergati nell’oratorio supresso di S. Cattarina entro il Castello.
Adi 22 sul merigio arrivò il primo battaglione di cavallaria napoletana Regimento Regina condotto dal brigadiere Comandante Barone Enrico di Melsch che dopo avere qui pernotato partì la matina seguente per Imola. Arivarono molte carra di feriti e malati francesi dalla Romagna, furono questi albergati nelli Ospitali del Borgo e Castello.
Fu contemporaneamente pubblicato bando di Bologna di non dovere dare comiato alle bestie a socida colli contadini, quando non avevano ottenuto licenza da Bologna. [A.7]
Il comandante francese per questa piazza Luigi (…) alloggiato in casa di Nicola Manaresi, cominciò egli a volere fare li abboni alli osti, che prima si facevano dalli militari passegeri e ciò a motivo che molti avevano la sussistenza doppia col prenderne una ad una osteria ed una ad un’altra con inviare li nomi loro, lo che faceva danno alla cassa pubblica.
Adi 23 d. giorno di giovedì grasso vigilia di precetto per la festa di S. Mattia, fu questa lasciata in libertà di farla in tal giorno dall’arcivescovo o permutarla in uno delli due giorni seguenti, lasciando ciò ad arbitrio de fedeli.
Il generale Napulione Bonaparte giunse improvisamente questa sera alla locanda del Portone in questo Borgo, dove ristorati li cavalli partì per la Romagna. Riconosciutosi il sogetto fu dal popolo che ivi si trovava alzato un lato schiamazzo di eviva il Generale Bonaparte, che udito da taluni che nulla sapevano fu creduta una insurezione, per che nel paese regnava un partito papalino onde molti si sbigottirono de paesani ma, rilevatosi il vero da paesani, tutto si compose nelle famiglie inpavorite del Borgo ed il Generale su le 4 di notte partì per Imola.
Fu pubblicato poi il dì seguente 24 febraro indulto per la vicina quaresima, come vedesi nella unita stampa. [A.8]
Sul mezodì giorno festivo di S. Mattia in venerdì arrivò il secondo battaglione di cavallaria napoletana reggimento Regina condotto da D. Giulio Antonetti primo maggiore, che aveva seco 20 officiali. Albergò nel palazzo Malvasia fino alla mattina seguente 25 d. in cui partì per Imola. Contemporaneamente essendo ripassato per Bologna il generale Bonaparte incognito, lasciò la gradevole nova della pace seguita fra la Francia col papa con 26 capitoli che furono poi pubblicati. Li più interessanti de quali sono: Il Papa rinoncia alla coalizazione de principi armati contro Francia. Che fra 15 giorni sia licenziata la sua armata e tutti li diritti che tiene il Papa sopra Avignone e la sua Legazione di Bologna, Ferrara e Romagna. Che la città e territorio di Ancona rimanga in potere de francesi fino alla pace del continente. Che il Papa paghi 31 milioni in oro, argento ed oggetti preziosi. Che somministri ottocento cavalli bardati ed altrettanti bovi o buffali da tiro ed altri prodotti dello Stato a compimento dello stabilito nell’armistizio. Che le truppe francesi restino nello Stato del Papa fino alla esecuzione del trattato e condizioni. Alle respettive scadenze e pagamento delle rate stabilite, che siano ripartitamente evacuati li stati del Papa. Che il papa dia riparazione dell’assassinio di Basville, la Posta e le Accademie francesi che saranno stabilite in Roma come prima della guerra. Che l’articolo dell’armistizio concernente li manoscriti ed oggetti d’arti abbia piena e pronta esecuzione.
Li 26 febraro domenica mattina venne a Castel S. Pietro D. Antonio Pinedo con 270 cavalli primo battaglione del Regimento Napoli tutta bella cavallaria montata di bianco e sciable e fuciletti bellissimi con pistolle come li altri, solo li officiali avevano li uniformi turchino carico. Partirono per Romagna il dì seguente.
Il dì 28 poi venne il tenente colonello napoletano D. Andrea De Liguoro col secondo battaglione di cavallaria Regimento Napoli e partì il primo giorno di quaresima e la sera arrivò l’avanguardia del Regimento Principe, alla quale il dì secondo marzo e secondo pure di quaresima seguì il battaglione sull’ora solita del mezo giorno condotto dal comandante D. Ottavio Spinelli che partì il dì seguente 3 marzo.
Finalmente il dì seguente 4 marzo sull’ora solita giunse l’ultimo battaglione Principe della cavallaria napoletana condotto dal bregadiere comandante sig. colonello D. Francesco Federici e D. Cesare Caraffa primo maggiore. Albergarono in casa Calderini ora Ghiselieri. Non poterono questi quietare poiché giuntole un espresso di Faenza convenne immediatamente a D. Cesare Caraffa partire con 16 cavalli e soldati in Faenza dove era seguita una baruffa fra 2 napoletani e 4 francesi per cui si era cominciata una insurezione di partito, socombettero li francesi ad uno de quali un moro napoletano tagliò netta la testa colla scimitarra e fece fronte da solo alli altri tre francesi. Il motivo di questa baruffa fu per che li francesi non volevano che entrassero in città li napoletani ma furono costretti a cedere al valore napoletano.
Essendo giunto il principe Carlo d’Austria, nel Tirolo con 12 mila combattenti, fratello dell’imperatore, Bonaparte che era in Bologna partì per Milano e richiamò subito le truppe che aveva nella Romagna e cominciarono a ripassare di quivi il giorno d’oggi 5 marzo.
Doppo essersi tenuto un comizio ed una assemblea seria in Modena fra le tre legazioni e li popoli della Lombardia si intese che la rissoluzione fu che la città di Bologna dovesse essere la capitale della Repubblica Cispadana e se ne fecero feste.
Il giorno seguente di lunedì 6 marzo cominciarono a passare li buffali del Papa.
Fu pubblicata la notificazione della nova Costituzione, quale nel dì 12 d. domenica se ne lesse al popolo il suo piano. Dodici dragoni a cavallo che servivano quivi il comandante partirono per Bologna, donde si intese che il principe Carlo aveva restato li francesi nel Tirolo e però ad effetto di ovviare ulteriori progressi, cominciarono a passare a marce sforzate li francesi il di 17 corente marzo. Essendo poi terminato il passaggio delli napoletani, la Giunta delli Alloggi riguardando le brighe da noi avute regalò al Consolo Farnè ed al cancelliere Cavazza tutti li fieni, paglia e majoliche rimaste da farne poi anco parte a chi aveva servito.
La domenica poi seguente 19 d. festa di S. Giuseppe inerendosi alla notificazione sud. essendo occupata la parochiale, si tenne il comizio nell’Oratorio della Compagnia del SS.mo la mattina e doppo pranzo, in cui si lesse prima il piano della nova Costituzione e doppo pranzo si mise a partito l’acettazione.
Perché poco piaque tal piano concorsero solo 100 votanti, parte volontari parte subornati e parte per riputazione, onde posto il partito furono li voti inclusivi 52 e li esclusivi 58 onde non ebbe alcuna approvazione.
In questa sessione naque una seria questione fra il notaio Francesco Conti e il dott. D. Pietro Castellari qui domiciliato e fu che il primo richiese all’arciprete presente se si poteva in Domino dare il voto favorevole a la richiesta approvazione. L’arciprete lasciò indeciso dubbio a motivo che vi erano alcuni articoli non troppo chiari per la religione catolica, ne seguirono indi altercazioni del momento ma poscia fu tutto calmato.
Si procedette indi alla elezione delli 20 decurioni per eleggere il Giudice di pace e furono li seguenti: Andrini Giulio, Andrini Gio. Francesco, Alvisi Lorenzo, Borelli Luigi, Cavazza Ercole, Cavazza dott. Francesco, Cardinali Luigi, Conti Francesco qd. Lorenzo, Fiegna Gio. Battista, Grandi Domenico, Grandi Stefano, Giorgi Andrea, Giorgi Carlo, Inviti Antonio, Lugatti Giacomo, Landi Francesco, Parazza Giuseppe, Roncovassaglia Antonio, Sarti Gaspare, Tomba Filippo.
Il lunedì seguente poi 20 d. venne a Castel S. Pietro Gian Pelegrino Savini Lojani col not. Francesco Aldini a nome di suo fratello Luigi notaio attuario nel vescovato e giunti alla chiesa di S. Bartolomeo, richiesto il priore ressidente nel convento delli agostiniani P. Antonio Bazani bolognese li intimò la supressione dichiarata del suo convento e per che non era passato il partito sopra la approvazione della Costituzione sud., li ufficiali che assistettero al partito cioè dott. Castellari presidente, arciprete Calistri, Antonio Giorgi segretario e Domenico Grandi inspettore, diedero suplica al Senato per farne la riproposizione.
Ebbero il rescritto favorevole li 21 corente ed il giorno 25 festa della SS. Annunziata radunato il comizio nell’oratorio sud. in N. di 113 votanti passò per voti N. 100 bianchi e 13 neri negativi, onde fu fatto un applauso con battimani.
Passò novamente una truppa francese di Romagna a Bologna di 2 mila persone, capo delle quali era Boussar, la sua truppa fu molto inpertinente per le donne e ne condussero via .
22 d. giorno di lunedì si chiuse il convento delli agostiniani d. di S. Bartolomeo. Restò solo il priore sud. Bazani interinalmente perché fu predicatore quaresimale, dovendo fare la questua e poi rendere conto delli effetti del convento. Tutti li altri frati partirono, col d. priore in convento rimasero li due preti francesi D. Natale Vernies e D. Giovanni Romezi colle pensioni di due pavoli al giorno per ciascuno finchè fossero ivi dimorati col priore soddisfacendo li oblighi del convento.
Intanto fu fatto l’inventario delle robbe del convento, a ciò furono deputati il cittadino Francesco qd. Pietro Conti e per notaio ser Antonio Giorgi di lui nipote ex sorore, li quali posero in gravissime angustie li d. tre sacerdoti, lasciandoli senza cucina, brucciaglia, fornimenti di tavola e perfino di piatti di terra e di pentole e non ebbero dalla (autorità) se non che il puro albergo e la chiesa.
Molte famiglie paesane considerando la loro situazione le mandarono chi pane, chi vino, chi brucciaglia e chi una cosa chi l’altra. in questo stato di cose essendo eretto in d. chiesa la Compagnia della Centura e quella del Suffragio per il Purgatorio, vedendosi inventariare promiscuamente le robbe loro, supeletili sacre con quelle del convento, si unirono li ufficiali dell’una e dall’altra compagnia e coll’inventario delle proprie robbe si portarono alla Giunta delli Eclesiastici per la separazione della robba loro.
Furono ascoltati e provisoriamente li fu lasciato in uso il tutto. Fu poscia pubblicato l’unito proclama sopra la acettazione della Costituzione. [A.9]
Sicome nella Marca ad Urbino si volevano inoltrare li francesi, così li spolvevari ed altra gente manesca uniti alli urbinati ed altri volontari fecero alto. Si fortificarono con trinciere attorno Todino e le montagne vicine, venero regolati da un comandante pesarese, uomo che aveva servito l’Imperatore in più di una campagna, il cui nome e cognome resta a me per anco ignoto.
Questi pertanto formò un corpo di 12 mila uomini sotto il suo comando ubbidientissimi. Li spolvevari facevano da se con pichetti su quelle montagne scorerie, facevano aguati e battevano teribilmente li francesi, che quanti ne scoprivano ne amazavano.
Sdegnati li med. scrissero a Bonaparte per avere ajuti, moltopiù che li spolvevari ne loro aguati e scorerie depredati avevano li francesi col levarle delle contribuzioni papaline che seco portavano. Crebbe talmente l’ira a francesi che pensavano assalire la città di Urbino, ma sortiti quei terazzani di getto uniti alla truppa sud. ed assaliti di fianco da vari corpi di spolverari si comise una forte scaramuccia, cosichè restarono socombenti li francesi e bon per essi che avisati dal bargello pesarese che li scortava si diedero ad una precipitosa ritirata, altrimenti restavano tutti morti.
Guadagnò Urbino in questo fatto d’arme la sua liberazione e prese ancora della artiglieria. Il bottino de spolvevari fu grande, cosichè fatti più coraggiosi tolsero anco la fortezza di S. Leo a francesi mediante uno statagema che quanti ivi ne ritrovarono ne ucisero.
Lo stratagema fu che scarseggiando S. Leo di bruciaglia se ne portarono ivi sopra giumenti e carette dalli incogniti spolvevari, fu contratata la provisione di alquante cariche con uno di questi finti villani colli francesi di presidio in quella fortezza al N. di 40 uomini. Si introdussero a poco alla volta al N. di 24 bravi spolvevari usi a più di una fazione, parte di questi aveva già scaricati altri contrabandi in quella piazza, l’altra parte che arrivò colla legna ne giumente vi aveva nei fassi nascosti li archibugi ed altre armi da foco, si unirono colli primi introdotti e, data mano all’archibuggio, cominciarono a battere li francesi di pressidio, così che pochi ne poterono fuggire e così divennero padroni li spolvevari di questa piazza.
Animati vieppiù da questo fatto li altri spolvevari, alli quali si erano anco uniti altri malviventi ed assassini per il perdono loro concesso dal Papa e superiori locali, formarono un corpo volante di 2 mila persone gente disperata. Questa truppa iregolata tendeva insidie sempre alli francesi e quelle robbe che venivano dal Papa per contribuzione, costoro glie le levavano per fino uccidendo li poveri condottieri, birozzanti e vetturali.
Non si fermarono quivi che si inoltravano anco nella Marca e nelli confini della Romagna e non solo sacheggiavano li francesi, ma passavano anco alle contribuzioni de quelle terre vicine, fra le altre fu contributato in poche ore Savignano per 500 scudi. Informato Bonaparte di queste cose mandò novi militari francesi a quelle parti e di qui mandovvi 600 polachi che erano al soldo francese, che passarono il di 28 cadente marzo.
In virtù delle notificazioni stampate e proclamate sopra li elettori nel dì 2 aprile fu invitato il Comizio elettorale nella chiesa di S. Cattarina, supressa compagnia. La elezione seguì in questi soggetti colli suoi respettivi voti. Pria dell’elezione fu affissa l’unita stampa di invito già publicata il 27 marzo in Bologna.
Ballarini Giuseppe voti 39
Ballarini D. Giovanni voti 30
Bianchi Gio. Battista voti 17
Cavazza dott. Francesco voti 20
Grandi Domenico voti 26
Farnè Arciprete voti 29
Lugatti Giacomo voti 12
Montebugnoli Domenico voti 21
Rabbi Ziffirino voti 49
Rabbi Gio. Francesco voti 26
Doppo ciò seguì la elezione promeditata della Municipalità:
Bianchi Gio. Battista voti 25
Ballarini Giuseppe voti 44
Bergami Ercole voti 23
Grandi Domenico voti28
Grandi Stefano voti 24
Lugatti Giacomo voti 25
Montebugnoli Domenico voti 22
Indi si procedette alla elezione del giudice di pace per la pluralità de voti e fu:
Antonio Giorgi voti 42, suoi assessori. D. Giovanni Ballarini voti 25, Zifirino Rubbi voti 21. Ciò fatto si terminò il Comizio su le 23 italiane con tutta quiete.
Li 7 aprile poi venero dalla Romagna verso Bologna 2 mila francesi con 80 carra di robbe incassate provenienti da Roma per la contribuzione di pace fatta dal Papa colla corte di Roma. Avevano seco quattro canoni, convenne quivi ritrovare le carra necessarie per il trasporto fino a Bologna di 70 para bovini e 20 publici cavalli, per che questi erano già stati levati prima.
La Comunità essendo stata esarcita fino a questo punto dal comandante Gollie, richiese questi il soldo alla med. in sc. 300. La Comunità per ciò scrisse all’Assonteria di Governo per farne il riparto ne libri camerali. Fu negativa l’Assonteria e convenne ricorrere al pressidio di valersi dei rediti ed avvanzi comunitativi.
Il giorno seguente 8 aprile ritornarono di Romagna alla volta di Bologna li 500 traspadani, tutta gente brava per li furti ed insolenze, ne rimasero 100 morti nella Marca dalli spolvevari, e fu quella stessa truppa che in N. di 600 le convene quietarla col pane come si disse addietro.
Nel dì 9 d. la municipalità d’Imola ordinò alla nostra l’impronto di 70 carra di bovi per il trasporto di malati e feriti provenienti dalla Marca. Venero ma furono fra questi 400 feriti e racontarono la strage de morti a Todino che ascese al N. di 5 mila e più francesi e collegati cispadani.
In Faenza contemporaneamente fu alzato l’albore della libertà, intorno a questo vi furono intreciati balli e cori. Non vi mancò chi approfitossi della libertà certamente. Vi furono due faentini inamorati che terminato il ballo si congiunsero in matrimonio a vista di tutti con questa solenne promessa che fu reciprocamente mantenuta. Disse il uomo giovine queste parole pria del contratto:
Questo è l’arbor dalle foglie
e voi siete la mia moglie
Replicò la donna ad udito di tutti la promessa conjuge
Questo è l’arbore fiorito
e voi siete mio marito.
Ciò detto stringendosi contenti la mano ed abbracciandosi condusse il uomo la donna a casa sua.
Li 11 e li 12 d. in Bologna si tenne il Comizio generale per la elezione delle Autorità nella chiesa di S. Paolo. A questo comizio intervennero li nostri elettori creati il di secondo del corente come si è sopra individuato.
La seconda festa poi di Pasqua di Resurrezione che fu il giorno 17 stante, la Compagnia del Sufragio e della Centura si unirono nella sagrestia di S. Bartolomeo e quivi elessero fra loro quattro deputati che furono Gio. Francesco Andrini, priore della Centura, Giovan Battista Fiegna depositario del Sufragio, dott. Francesco Cavazza e Lorenzo Trochi che, uniti ad altri confratelli, furono incaricati presentarsi a Bologna alla Giunta delli Eclesiatici e sopra li beni de medesimi, all’effetto di conservare le supeletili che sono delle loro compagnie in S. Bartolomeo.
Tanto fecero e ne ottenero la grazia provisoriamente fino alla determinazione della vendita de stabili. Il giorno 18 poi ultima festa di Pasqua venne un corpo di 220 polachi a piedi per andarsene nella Romagna, allogiarono nel palazzo Locatelli e partirono la mattina seguente 19 aprile.
Il giorno poi 25 cadente in mercoledì dopo la domenica in Albis partì il padre Antonio Bazani bolognese predicatore quaresimale ed ultimo priore di questo convento delli Agostiniani, compianta da tutti la sua partenza e se ne andò a Verucchio al suo convento di cui era già figlio.
La chiesa di S. Bartolomeo fu consegnata col SS.mo alli due preti francesi acennati che avevano in consegna il convento, ove celebravano quotidianamente e per li obblighi convenzionali e per il sufragio.
Il giorno che seguì 26 detto si pubblicò mediante stampa che erano seguiti preliminari di pace fra la Francia e l’Impero. Il motivo di ciò fu che essendo venuti a giornata li francesi colli imperiali alla cui testa evvi il Principe Carlo, superato il Tirolo in una situazione bona verso il veneziano doppo una sanguinosa battaglia, volendosi ritirare li francesi rimasero attorniati ed il generale Bonaparte riffugiatosi in un luogo presso Palmanova fu come prigioniero abblocato. Chiese quindi, per non essere tagliata a pezzi la sua armata, un armistizio di più mesi.
Le fu accordato a patti primieramente che fosse evacuata Mantova dalle truppe francesi, restituire tutto quanto fu inventariato da Vumsfer prima della sua resa e che infrattanto si tratasse del resto coll’Imperatore.
Fra li capitoli preliminari due furono li più interessanti, il primo la indivisibilità dell’Impero ed il secondo la cessione dei diritti sopra la Lombardia e le tre legazioni di Ferara, Bologna e Romagna all’Impero. Voglia il cielo che più non acadino rotture e battaglie di questa sorte per le grandi perdite di anime dall’una e dall’altra parte.
Doppo tale annunzio fu proclamata in istampa la vendita de stabili di alquanti conventi del bolognese, fra questi furonvi quelli di Castel S. Pietro, che sono le seguenti:
Un predio denominato la Colombarina di sem. annuali C. 6
Un predio denominato la Scania d’annuale sem. C. 13
Un predio denominato Casetta d’annua sem. C, 7
Un predio d. alla strada d’annuo sem. C. 10
una pezza di terra boschiva d. la Trucca di tor. 9 e 4 nel comune di Liano di Sopra.
Un picolo podere denominato Canova di sem. annua C. 5 ½, posti tutti d. fondi rurali nel Comune di Castel S. Pietro.
Fondi urbani nel med. Castello e fuori, cioè una casa grande con bottega in via Maggiore presso la chiesa di S. Bartolomeo, tre picole case nella via detta Piazza Liana, presso l’oratorio del SS.mo SS.to. altre due picole case nella via di Piazza Liana, una casa in via Maggiore indivisa con Domenico Albertazzi, altra casa concessa in emfiteusi al paroco di S. Mamolo in Bologna. Oltre questi beni stabili poi vi sono altre casette contigue al convento che formano orto e clausura, che non sono state indicate nel proclama.
Doppo questa pubblicazione li sudd. due preti francesi cioè D. Natale Vernies paroco e D. Giovanni Remezì suo vicario nativi di Lingua d’Occa il dì 2 maggio partirono dal convento ed andarono a Bologna a stabilirsi nel monastero di S. Gian in Monte e così il convento restò affatto chiuso e privo il paese di questi due sacerdoti veramente cattolici ed esemplari.
Adì 16 maggio, essendo già state seminate in questo Castello satire e cartelli denigranti e buffeggianti li novi funzionari repubblicani, ne fu fatta al Governo criminale di Bologna la relazione, non solo ma anco alli due Comissari Guido Antonio Barbozzi e Angeletti che soggiornavano in Imola per conto della Repubblica di Bologna e si presentò in Consilio, dove avuta una lunga sessione redarguì molto la Municipalità come poco vigilante sopra li individui del paese per qual cosa di notte tempo si sentivano archibugiate e conventicole di persone che non lasciavano la quiete e che non era molto lontana una insurezzione, tanto più che si sentivano biglietti e carte sparse fuori.
Il Consilio rispose adeguatamente che tali fatti venivano inventati probabilmente da quei paesani che odiavano li individui comunitativi. Soggiunse di poi il comissario Barbozzi che era già prevenuta una instanza contro tutto il corpo comunitativo il quale doveva andare presto in arresto quando non si mutava di opinione il comandante della piazza di Bologna ed il generale D’Alemagne francese.
Restò stupito il Consilio. Non passarono due giorni e quivi arivarono 68 militari della Guardia Nazionale detti Rigadini, sotto la condotta di tre ufficiali cioè cap. Gaetano Morelli e due tenenti cioè …….. genovese e …………. nobili, che loro fu preparato tosto il quartiere nel Convento di S. Francesco, tanto per la ufficialità che per li soldati, a quali sul momento convenne provedere li paglioni.
E’ da notare che fu spedito e presentato memoriale al sud. generale contro principalmente il notaio Francesco Conti e me scrivente come capi del partito tedesco e papalino e che aleati ne erano le famiglie seguenti cioè Giuseppe Magnani, Luigi Magnani, Antonio Magnani, cap. Pier Andrea Giorgi con quattro suoi figli, Francesco Giordani, Nicola Bertuzzi e suoi figli a quali famiglie si congiugevano poi altri suoi dipendenti. Questa instanza fu fatta da Antonio Sarti e li novi municipalisti.
Il decreto fu che il Conti e Cavazza dovessero immediatamente arrestarsi e condursi a Milano nella fortezza, si univano a questi Serafino Ravazini, Luigi Musi ed Antonio Mingoni e Bartolomeo Ponti detto Cavedlino.
La interposizione però del comissario Barbozzi fece sospendere l’aresto a municipalisti fino a che fosse purgata l’accusa. Furono solo arestati il Rovasini, Mingoni suo cognato e Musi che soffersero la carcere per molti giorni dopo de quali scoperti innocenti furono rilasciati e ritirato l’ordine dell’aresto a tutti li altri con ordine però che fossero guardati di vista giornalmente le sud. familie per che sospette fazionarie e di partito.
Stabilitasi quivi la truppa sudd. cominciò patugliare di notte tempo ed a vigilare ancora il giorno. Le relazioni che queste giornalmente spediva giustificarono abbastanza la innocenza di tutti.
Doppo due giorni ritornò il comissario Barbazzi di Bologna per intendere come stava il paese in quiete, riferì favorevolmente il cap. Morelli che niuna novità eravi, che il paese non che le familie erano quiete. Ne fu contento il Barbazzi e contemporaneamente presentò lettera del decano di Assonteria di Magistrati che imponeva levare lo stemma della Comunità nei sigilli e marche con cui si segnavano li documenti e sigillavano le lettere per che rapresentavano le chiavi di S. Chiesa col confalone sopra come da lettera del seguente tenore.
Libertà Eguaglianza
Alla Comunità di Castel S. Pietro, l’Assonteria de Magistrati li 21 maggio 1797.
Anno primo della Repubblica Cispadana
Cittadini.
Lo stema che adoperate a segnare li vostri dispacci, rappresenta il gonfalone e due chiavi, emblemi troppo relativi al passato governo. Noi incarichiamo il colega Barbazza di assistere affinchè essi siamo imediatamente cangiati e potete suplirvi anco colle parole: Comunità o Municipalità di Castel S. Pietro. Questa serva di avviso. Salute e fratellanza. E. de Bianchi decano magistrati.
In seguito di tal ordine furono tosto consegnati li due sigilli al med. senatore e comissario Barbazza che seco se li portò ed in vece delle chiavi di S. Chiesa che erano inposte nelli due sigilli vi fu sostituito l’emblema della libertà cioè l’arboro colla beretta di Bruto sopra, li fasci consolari, acette e le piche, con le lettere attorno: Municipalità di Castel S. Pietro. E’ da ramemorare quivi che lo stemma di S. Chiesa fu donato a questa Comunità fino dal 1407 per la fedeltà del paese al Papa. Riscontrasi questo da una lettera di Balsassarre Cossa governatore di Bologna, di cui ve ne è copia anco in un campione nell’archivio di essa Comunità e trovasi anco presso me nell’epoca sua in cui fu estradata questa lettera apostolica.
A questo proposito ritrovandosi entro il Castello sopra la porta maggiore incastrata nella torre l’arma gentilizia della famiglia patrizia Malvasia, che nel contratto formato colla Comunità dell’emfiteusi fu convenuto per patto e rogito di me notaio che tale stema non dovesse mai ammoversi, anzi conservarlo.
Fu scritto per ciò al senatore Conte Giuseppe Malvasia per la rimozione di questo stema per evitare la condanna criminale nei Bandi. Rispose egli favorevolmente che si levasse e si ubidisse all’ordine repubblicano, come si legge in sua lettera registrata nelli atti della Comunità, e così tosto fu murata e coperta con gesso e contemporaneamente furono abbassati tutti li altri stemi che si trovavano in paese tanto di macigno che scultorati e dipinti principalmente delle famiglie Gini, Tanara, Stella, Caldarini, Ercolani, Malvezzi, Malvasia, Locatelli, Comenda di Malta e delle Relligioni perfino nella chiesa.
Oltre li stemi delle familie sud. nobili, furono anco levate le armi delle famiglie cittadine del paese tanto estinte che sopraviventi cioè Comelli, Bini, Andrini, Conti, Cavazza, Murelli, Fiegna, Giorgi, Vachi, Graffi, Fabbri, Villa, Bertuzzi, Rinaldi ed altre che lungo saria annoverarle tutte quivi come quelle delli Serpa, Bartoluzzi, Nicoli, Battisti et altri familie illustri del paese.
Non bastarono queste che anco nella ressidenza della Municipalità furono levate le armi delli Podestà e quel che fu peggio anco le inscrizioni che vi erano sottoposte, frangendosi disperatamente dal furore e spirito repubblicano e così si sono perduti tanti belli monumenti di antichità e storia prendendola fino contro li fasti stessi, materia la più vile di tutte le altre.
In questa circostanza lo stemma comunitativo, rappresentante quello di S. Chiesa con due chiavi col gonfalone sopra portato in cima di una asta, il quale esisteva sopra l’imagine di Maria SS.ma esistente nella nichia formata entro la torre picola dell’orologio congiunto alla ressidenza pubblica nella piazza e che formava di corona e baldochino sopra l’imagine, volendosi levare dal muratore Vincenzo Parazza sopra una lunga scala appesa, accadde che si spaccò la scala e cadde miserabilmente il povero uomo e restò morto ai piedi della torre sotto la imagine, potendo proferire appena il nome di Dio.
Simili altri due casi sono accaduti in Bologna nel volersi levare questi stemi apostolici confitti nei muri delli edifici.
Adi 21 maggio domenica preventiva alle rogazioni di M. V di Poggio secondo il consueto si radunò la Comunità per la funzione, fu questa condecorata nel modo seguente:
spicò la Compagnia dalla Parochia, la seguitò il corpo comunitativo vestito di nero, parucca lunga ed all’uso antico di città, fu contorniato questo dalla truppa bolognese d. delli rigadini che quivi erano posti per guarnigione, seguì il clero e posteriormente ad esso venne tutto il rimanente militare colli tanburi.
Si andò al Borgo dalla SS. Annunziata, quivi levata la S. Imagine, cominciò a sfilare a due a due la truppa col fucile e baionetta in canna, seguì la Compagnia del SS.mo, indi il corpo comunitativo e finalmente la S. Imagine che da un canto all’altro veniva diffesa dalli militari.
Si procedette entro il Castello alla chiesa della Compagnia alla cui porta erano dodici soldati che vietavano l’ingresso ai villani e alle persone di bassa condizione ed ordinarie. Arivata la S. Imagine su la piazza si divise la truppa in due ali e tutto ad un tratto presentò l’arme alla med. cosichè, passata colli priori e prioresse, la truppa si rinchiuse e riunì in un solo corpo e poscia se ne partì pel suo quartiere.
Nella chiesa si fece la solita funzione di messa cantata in musica alla quale il corpo comunitativo assistette fino alla fine e tutto riescì gradevole alla popolazione nazionale e forestiera.
Li tre giorni seguenti poi delle Rogazioni cioè lunedì, martedì e mercordì furono similmente solennizati nella processione come si è detto. Il di 25 d. che fu il giorno della Assunzione il dopo pranzo con simile pompa fu levata la S. Imagine di Poggio dalla arcipretale e portata diritivamente alla piazza del Castello su la porta della chiesa della compagnia del SS.mo collo stesso ordine al quale vi intervenne per l’ultima volta il corpo comunitativo in forma, ove ricevuta la S. Benedizione ed accompagnata la S. Imagine al Borgo nella chiesa della Annunziata, ricevutasi l’ultima benedizione, fu congedata e ritornossi ogni corpo regolare e secolare colle compagnie alle proprie ressidenze pubbliche.
E perché la Comunità, cioè suoi dodici rappresentanti, erano stati posti in mala fede presso il governo di Bologna di essere di partito aristocratico inverso del Papa e dell’Imperatore, così ad effetto di ovviare a questi disordini ed a quelle mortificazioni che le venivano cominate, tanto più che la pubblica rappresentanza non aveva dato alcuna rimostranza al popolo di partito repubblicano, si pensò di ciò affettuare col porre l’orologio pubblico all’andamento francese come in tanti altri luoghi si era fatto.
Quindi per che la Comunità non aveva forza pecuniaria si pensò ancora fare tale spesa e, rimettendola a chi fosse stato in disborso. coll’addossarla ai libri camerali comunitativi di questo paese. Si scrisse perciò al governo di Bologna questa intenzione per averne il permesso di farne il comparto ammontante a l. 150 come altre volte fu stimata la spesa dall’ingeniere pubblico Pietro Toldi.
Li tre carcerati Ravasini, Mingoni e Musi doppo la prigionia di nove giorni in Bologna furono escarcerati.
Il sabato seguente 29 maggio vedendosi ormai il ceto communitativo a termine delle sue operazioni, credette ancora terminare il ministero col portarsi in forma alla vigilia di S. Bernardino da Siena protettore del paese e quivi nella chiesa delli MM. OO. farne l’ultima funzione di comemorazione del voto per il contagio. Tanto effettuò con il maggior decoro possibile.
La domenica imediata che fu il di 30 maggio si pubblicò un proclama che denunziava la nova licenza di potere farsi il mercato de bovini con alcune risserve però di (…) di sanità rispetto ai paesi esteri e limitrofi.
Nello stesso tempo si pubblicò un rigoroso bando contro quelli che parlavano contro le circostanze delle presenti guerre e davano novelle al popolo sopra le potenze belligeranti. [A.10]
Il comissario Barbazzi, che era stato in Bologna ritornandosi al suo ministero in Imola, riferì che aveva riportato dall’Assonteria de Magistrati l’oracolo sopra riddure l’orologio pubblico all’uso francese e fu che non occorreva fare tale spesa di l. 150, né variare la mostra dell’oriolo e che poteva caminare benissimo di sei in sei numeri, bastando solamente che la nostra regolata fosse all’uso francese colla batteria uniforme.
Riferì ancora che rapporto alli stemi o siano armi di macigno incastrate nella ressidenza pubblica delle autorità pretorie al tempo della repubblica bolognese passata non occorere per ora levarle, se non a novo ordine e così mantenere le inscrizioni che sono sottoposte essendo un lustro e del paese e della repubblica antica di Bologna.
Giunse contemporaneamente al Consolo Farnè lettera del Governo di Bologna di dovere mandarsi al med. la nota delli municipalisti ed autorità fatte e create dal popolo ne Comizi , fu ciò eseguito prontamente ed è la trascitta nelle seguenti pagine, fu altresì ricercata la Comunità della nota delli affari pendenti della med. che fu data prontamente e furono:
Il debito risseduato coll’Abbate Gio. Celestini Curiale di Roma per le sue funzioni nella lite contro li uomini di Poggio per la quale si ottenne dal Senato la facoltà di prendere a quotta l. 800 da estinguersi col riparto nei libri camerali comunitativi a ragione di l. 100 l’anno.
Il debito con il Curiale di Roma Francesco Pirelli diffensore della lite delle arti e finalmente il debito per funzioni fatte in Bologna col dott. Vincenzo Fontana Curiale della Comunità di che tutte ne mandò l’elenco.

  1. Elenco delli affari della Comunità di Castel S. Pietro ed in fine il suo ristretto che fu consegnato al Pres. Giacomo Lugatti:.
    Prima che fosse eretta la repubblica Cispadana la Municipalità di Castel S. Pietro teneva accese due liti in Roma. La prima contro li uomini della Villa di S. Biagio di Poggio, pretendendo la smembrazione dalla Comunità di Castel S. Pietro. Questa fu patrocinata valorosamente dall’Abbate Gio. Celestini avvanti una congregazione speciale deputata dal Papa. Le spese che importò questo litigio furono rillevanti, per soddisfare le quali fu costretta la Comunità ricorre al governo per prendere l. 800 a frutto al 5 per cento (ma la Comunità ne prese soltanto 600), coll’assenso dell’Assonteria di Governo. Si creò tal debito da estinguersi a ragione di l. 200 all’anno per il quale aspetto la med. Assonteria decretò il riparto nei Libri camerali comunitativi alla condizione però di pagare il frutto colle rendite particolari della stessa Comunità.
    Di tale riparto esistono l. 400 in depolio nelle mani del cittad. Conti depositario, (tali l. 600 furono spediti a Roma al sig. Abbate Celestini mediante cambiale soministrata dal cittad. Roco Andrini in settembre 1792 all’effetto di sodisfare il d. debito dalla eredità Vergoni) e l’altri l. 200 restano da risquotersi dall’esattore dei med. Libri comunitativi camerali nel corente anno.
    Li frutti decorsi sono stati tutti pagati dal d. depositario. Il creditore delli l. 600 è la eredità del fu Pietro Vergoni di Castel S. Pietro.
    L’abbate Celestini rimane creditore per ciò parte delle sue funzioni e spese che amontano a l. 30: 64 come da copia della stessa lista appare qui anessa, restando l’originale presso (….) ed è sibide ad ogni ocorenza.
    La seconda lite vertente in Roma contro li Calegari ed altre Arti di Bologna era patrocinata dall’Abbate Francesco Pirelli le cui spese amontavano a l. 92: 55, come da sua lista a conto delle quali sono stati pagati l. 20. per il rimanente il Pirelli si offre ad un ribasso.
    Tiene pure la Comunità accesa una lite per il Dazio pesce in Bologna, alli atti Tribuni contro li Dazieri. Cominciò questo sotto la legazione Boncompagni, fu nel progresso di essa ordinato che pagasse il dazio per modo di deposito ed il depositario fosse lo stesso gabelliere di Castel S. Pietro. In appresso fu decretato che li danari esatti per il medesimo fossero depositati, come seguì, nel S. Monte di Bologna, nel quale pure furono altresì depositate dal Depositario della Comunità le scritte l. 3: 5 annue, tassa che pagavasi dalla Comunità, onde il preciso del deposito in credito di chi supererà la lite è ignoto.
    Tale causa fu patrocinata dall’avv. Magnani e dal dott. Serafino Betti che sono creditori per anco de loro compensi ed atti giudiciali, della quale se ne trattava una transazione.
    Resta ancora creditore il dott. Vincenzo Fontana di Bologna per sue funzioni dell’anno presente in sc…..
    Giuseppe Avvoni curiere pedestre di Castel S. Pietro resta pure esso creditore per questa semestre primo 1797 di sue fatiche per trasporto di Bandi, lettere e dispacci.
    Che è quanto.
    Ristretto spedito così cantante:
    Affari pendenti della Comunità di Castel S. Pietro. Il primo è la lite superata nella prima proposizione contro la Villa di S. Biagio di Poggio in Roma avvanti una congregazione particolare deputata dal Pontefice.
    La seconda è l’altra lite pendente in Roma contro li Calegari ed altre arti di Bologna.
    Il terzo è la lite pendente in Bologna per gli altri triboli sopra il Dazio pesce contro la ferma generale passata dei Dazi
    Il quarto le funzioni delle quale lire devonsi pagare al dott. Vincenzo Fontana.
    Nota dei novi Municipalisti di Castel S. Pietro e sue autorità:
    Municipalisti
    Citt. Giacomo Lugatti di Castel S. Pietro
    Citt. Domenico Grandi fattore de Bernabiti in Castel S. Pietro
    Citt. Domenico Montebugnoli di Liano di Sopra
    Citt. Stefano Grandi Speciale di Castel S. Pietro
    Citt. Giuseppe Ballarini fattore in Poggio della Casa Bianchetti
    Citt. Ercole Bergami di Castel S. Pietro
    Citt. Giovan Battista Bianchi abitante nel Castello di Varignana
    Giudice di Pace
    Citt. Giuseppe Antonio Giorgi notaio di Castel S. Pietro
    Suoi assessori
    Citt. D. Giovanni Ballarini prete di Poggio
    Citt. Ziffirino Rabbi di Ozano sopra fattore di diversi padroni
    Inspettore
    Citt. Gio. Francesco Andrini già ten. militare di Castel S. Pietro
    Suo sostituto
    Citt. Giuseppe Parazza detto Squizzzino, servitore dell’arciprete
    Non ostante tutte queste vicende niuno però delli consilieri e del ceto comunitativo vecchio si avvilì né perturbò, anzi tutto si prese in bona pace, si ricompose alla meglio che si potette l’archivio della Comunità e si accomodò il resto della ressidenza per ogni e qualunque evento che si potesse incontrare con chi aveva sete del novo governo democratico.
    La nota poi delli ultimi e vechi comunisti è la seguente secondo il grado, dignità e posto, cioè:
    Paolo qd. Giuseppe Farnè, Consolo
    Ercole Cavazza, Decano e Notaio
    Francesco qd. Lorenzo Conti, Notaio
    Agostino qd. Domenico Ronchi
    Pier Andrea Capit.no qd. Carl’Antonio Giorgi
    Francesco qd. Pietro Conti
    Francesco qd. Antonio Gordini
    Gio. Battista qd. Giovanni Fiegna
    Lorenzo qd. Barnaba Trocchi
    Giuseppe qd. Francesco Mondini
    Antonio qd. Giovanni Bertuzzi
    Floriano qd. Flaminio Fabbri
    di tutti questi ne sono sortiti consoli li seguenti, cioè. Agostino Ronchi, Floriano Fabbri, Francesco qd. Lorenzo Conti e Paolo Farnè. Li altri rimasero imborsati.
    Il Teatro poi che stavasi presentemente concesso a dilettanti del Paese che facevano rappresentazioni fu rinonciato, colli palchi, quantunque questi fossere stati fatti a spese particolari delli padri di alquanti individui sud. cioè: Cavazza, Conti qd. Lorenzo, Ronchi, Mondini, Bertuzzi e Fabbri né addimandarono alcun compenso alla nova Municipalità.
    Adi 31 maggio fu mediante editto proclamata la installazione delli publici funzionari come si vede dall’antecedente stampa e sucessiva nomina de med. funzionari. [A.11]
    In seguito della quale fu pubblicato l’ordine che in termine di 48 ore fosero pure istalate le nove Municipalità. [A.12]
    Furono altresì pubblicati gli articoli della costituzione che riguardavano il potere giudiciario come dalle stampe antecedenti si riscuote. [A.13]
    In seguito a che il dott. Vincenzo Brunetti Comissario ordinò la installazione delle nove Autorità il giorno di venerdì la mattina avvanti il meridio.
    Deputato per Castel S. Pietro alla esecuzione di tutto il dott. Francesco Cavazza con le instruzioni annesse, al qual effetto munito di credenziali, fu intimata alla municipalità vechia unirsi nella consueta ressidenza, consegnare le chiavi, documenti e dare il possesso alli novi municipalisti et al Giudice di Pace.
    Ciò seguì colla maggior quiete e furono contentissimi li Municipali vechi della dimissione della carica, che seguì imediatamente e quivi faceva la prima seduta la nova autorità. Per essere appieno informato delle incombenze al dott. Cavazza legasi la unita instruzione. [A.14]
    Doppo ciò si pubblico novamente il Bando delli stemi gentilizi e quindi quei altri che trovavansi nella ressidenza comunitativa furono levati, fu altresì ordinata la inalberazione dell’arbore della libertà. Volevasi questo da taluni eretto nella piazza del mercato de bovini e altri nella piazza interna del Castello. Prevalse il partito di doversi eriggere entro il Castello, quantunque fosse creduto poco convenevole per la vicinanza alla Imagine di Maria SS.ma nella colonna in mezzo alla piazza pubblica.
    Adi 7 giugno il dott. Lorenzo Leoni, sostituto del dott. Brunetti si presentò in Castel S. Pietro e visitò la ressidenza publica e li novi consilieri a quali diede le dovute instruzioni repubblicane. Li stemi gentilizi che erano per fino nella chiesa furono tutti guasti e levati. Fu pubblicato un novo proclama per la guardia civica e la descrizione de cittadini abilitati cioè anni 18 compiti. A questa guardia furono anco obligati li eclesiastici ecettuati li instituti elimosineri.
    La matina che fu licenziato il Comizio vechio di questo loco fu plaudito il novo con sbarro di mortaletti ed una sinfonia di instrumenti e nulla altro seguì. In Bologna bensì favvi una dimostrazione vistosa e fu questa.
    Partito il Confaloniere Girolamo Legnani la mattina se ne andò in S. Mamolo colle fischiate alla propria abitazione. La sera poi di notte tempo fu inventata dal cittad. Giacomo Greppi e cittad. Giovanetti, nipote dell’arcivescovo, una pompa funerea e fu questa.
    Fu inventata una figura grande al vero di stucco similiante il Confaloniere ultimo Legnani, fu posta in un alto tavolazzo coperto a lutto, aveva la figura il capello co’ fiochi d’oro, parrucca e rubbone da senatore. Fu vestito in una casa di un povero vicino al Salario dietro S. Petronio, indi portato su la scala di S. Petronio ove ad un cenno furono acese 4 torcie ed ottanta candele che si tenevano in mano da plebei. Poi, discendendo la scala in forma di processione che veniva preceduta, invece di croce, da una lunga asta col capello confalonieresco sopra e le 4 torce acese e 4 trombettieri con trombe di cartone, che di quando in quando interpolatamente si sonavano.
    Seguivano le candele a due a due acese, si portò il finto cadavere attorno con tre giri all’arbore della libertà nel mezo della piazza. Quindi ad alta voce si cominciò dal popolo a gridare: fuori li lumi, lumi alle finestre democratici, chi non li pone è aristocratico e sarà segnato.
    Cosichè in un batter d’ochio restò illuminata tutta la piazza. Al qual esempio furono tosto spediti, per le contrade dove doveva passare la pompa funebre, avvisi a tutte le case e palazzi di dovere illuminare le finestre sotto pena di saccare, così che niuno mancò di ciò effettuare e restò la citta illuminata.
    Partito il cadavere finto d’attorno all’arboro fu portato sul tavolazzo alla porta del Palazzo publico chiedendo l’ingresso per il solito rito. La Guardia civica le chiuse la porta in faccia dicendo che quella non era più ressidenza senatoria. Così andossi dappoi per la via di S. Mamolo alla fiancata del palazzo del Legnani confaloniere ove, fatta breve passata, si alzò un alto grido popolare: Evviva evviva il Legnani quantunquemente. Così beffato le convenne illuminare per fino le picole finestre ove non erano, né potevano capire le torce.
    Si prosseguì quindi il viaggio verso la via della Barca di S. Andrea delli Ansaldi, direttivamente alla via d. di S. Stefano. Cantavasi una filastrocca ad uso di tiritera in tuono flebile ed era la seguente:
    Il confalonier Legnani è morto
    chi lo sepellirà ?
    La Compagnia de Zoppi per carità
    Viva la Libertà
    E’ da notare che il med. Legnani era di una gamba corta e perciò fu introdotta la Compagnia de Zoppi. Ciò cantavasi da una parte della processione a quisa di un salmo, replicava l’altra parte o sia coro in simile tuono.
    Il Senato è morto
    né più ritornerà
    son morti li tiranni
    Viva la Libertà
    Arrivata che fu la pompa alla via della Fondazza, quivi seguì un incontro di molti e chiassosi popolari. Quando si arivava ai palagi dei senatori si facevano grandi rumori e bizarie avvanti i loro portoni, segnatamente poi alla porta del senatore Lodovico Soprani ove seguì un ecessivo e brutto strepito perché questo è quel tale senatore che faceva le carte nel Senato col Legnani ed altri suoi compagni. Venendo dunque la processione dalla Fondazza per strada Maggiore diritivamente al mercato di mezo, tutto illuminato, ritornossi alla piazza a girare attorno l’arbore.
    Quivi finita la funzione fu chiesto il dove dovevasi sepellire. Il popolo gridò : al foco, al foco. Fu incendiato il cataletto e la figura confaloniersca. Fu richiesto di che si doveva fare delle ceneri. Il popolo gridò: al Mal Cantone dove si sepeliscono li giustiziati. Ciò seguì e quivi finì il bagordo che aveva messo la città in risa.
    Adi 6 giugno martedì notte ultima festa delle Pentecoste venendo al mercordì su le ore 6 italiane e verso le 7 di notte si fece sentire il teremoto ma però senza danno. Nella stessa notte essendosi uniti sedici bolognesi della Guardia Civica che erano stati a Imola, ma indarno, per erigere l’arbore della Libertà, per che li imolesi pervenuti vollero essi essere li autori, si fermarono in questo Castello per lo stesso effetto.
    Ma li soldati di guarnigione, prevenuti di ciò, stettero tutta la notte in armi a girare pel Castello e Borgo in quattro pattuglie e l’arbore, che ancora non era compito, fu guardato da sentinelle sotto il primo portico del Borgo avvanti l’ingresso del Castello.
    Questo contrapunto volevano fare li civici bolognesi alli soldati che guarniscono questa piazza, denominati li Rigadini perché, avanti di avere l’uniforme verde e rossa, andavano vestiti di tela rigata all’uso de villani, per che la maggior parte di essi sono dei contorni e delli orti vicini alla città.
    Volevano fare questo eroismo e contrapuntare di onore alli med. stante le vertenze di questi militari che fra una truppa e l’altra sono accaduti, ma li civici essendo in poco numero in proporzione delli altri che soggiornavano in Castello, non arischiarono le lore forze essendo li Rigadini al N. di settanta coll’armi da foco quando che li altri non avevano che la sciabla e così ne restò una baruffa estinta.
    Adi 9 giugno la guarnigione che qui trovavasi per un ordine inproviso le convenne partire ed andò a Imola. Nello stesso giorno si presentò alla nova Municipalità il dott. Lorenzo Lami, sostituto del comissario Brunetti, e doppo una lunga sessione ne lasciò alli municipalisti novi le instruzioni governative coll’obbligo di tenerle segrete e non produrle se non alli medessimi ed al bisogno. Vi intervenne ancora alla sessione il Giudice di pace Antonio Giorgi, che si creò esso un notaio di sua autorità e fu Antonio Becari provisoriamente coll’assenso delli suoi assessori D. Giovanni Ballarini e Zeffirino Rabbi.
    Adì 10 d. domenica giorno della SS. Trinita, il Giudice di pace pubblicò una notificazione alli Popoli del Cantone di Castel S. Pietro nella quale espose le ore che avrebbe tenuta ragione, cioè il lunedì.
    Per suo tribunale si elesse la sala della ressidenza comunitativa. Fu in questi giorni levato il suplizio della berlina nella colonna angulare della ressidenza municipale e vi furono confitti li ferri per la bandiera repubblicana.
    In questo giorno fu pubblicato l’editto del generale Dallamagne francese sogiornante in Bologna che niuno avesse in avenire coraggio portare l’uniforme francese, che era l’abito color blù cioè turchino carico con le mostrine e bavero color scarlatto, quando non era arolato alla milizia francese, altrimenti sarebbe stato marcato del nome di spia e si ordinava altresì l’aresto militare.
    Fu nella stessa giornata pubblicato il Bando sopra le monete dette carlini le quali nella sua prima cuniata valevano soldi 15 che poi furono ridotti alli soldi 14 quelli di Benedetto XIV, Papa Lambertini e li altri papi (…) cunitati sotto Papa Ganganelli e Papa Braschi vivente furono ridotti a soldi 13. Nel giorno d’oggi tanto li carlini interi quanto li doppi di 14 e di 13 furono decrementati e ridotti al valore di tre di meno per ciascuno cioè quelli da 13 furono ridotti a soldi 10 e quelli da 14 alli 11.
    La povertà e popolo la sentì molto male, gridava contro il recente governo. Ma che si ha a fare ? Castigo di Dio. Li ladri vanno in prigione la sera e la mattina in libertà. La ciurmaglia vilipende, provoca e cimenta le persone probe. Si salvano quelli sotto il mantello di divertimento e si deprimono li altri come austeri e nemici della società fraterna. Se due persone pulite si uniscono assieme fuori strada, sono prese di mira e si marcano come complotari e conventicolari.
    Il vivere oggi giorno nella propria classe è un delitto presso chi è male intenzionato e sedotto dallo spirito di malevolenza e poca cristianità.
    La stagione quantunque avvanzata è molto fredda e si camina col tabarro e si va col foco. La tempesta in alcuni luoghi del bolognese alla pianura verso la Lombardia ha fatto de gravi mali. Le piogge picole giornaliere non lasciano custodire li strami, insomma non vi è cosa che non sia dannegiata.
    Intanto raro è quel giorno che non passino francesi dalla Romagna a Bologna e, da Bologna nella Romagna, milizie cispadane per guarnire quelle città e paesi.
    Adi 11 giugno si tenne la prima seduta del Giudice di pace colli Assessori nella sala comunitativa, furono pubblicati due notificazioni d’ordine della Municipalità. La prima proibitiva sopra la vendita delle fascine, che fu ridotta a quattrini 8 per fascina. La seconda sopra li pollaroli e li compratori per essi. Inoltre fu publicata notificazione della Municipalità di Dozza che avisava il riparto ai possidenti in quel territorio per l’importo di 18 mila scudi per contribuzione pagata alli francesi.
    Non ti meravigliare lettore delle presenti memorie da qui in avvanti non troverai monumenti e notizie particolari comunitative e molto meno informazioni di Bandi e decreti, poiché essendo lo scrittore con tutti li altri suoi coleghi stati cassati ed esclusi dalla nova municipalità non può il med. segnare ciò, che con somma gelosia di governo si tiene segreto ed occulto a chiunque.
    In questo stesso giorno arrivò il comandante Flaviano Fabbri già nostro municipalista e la notte seguente con 300 uomini andò alla volta di Rimini a prendere quattro bocche da foco per andare poi a Ravenna dove è nata una insurezione de non volere quella cittadinanza sottomettersi alla capitale di Bologna.
    Adi 13 d. la Municipalità nostra di Castel S. Pietro provisoriamente instituì la sua Guardia Civica fino a nova presidenza, furono eletti li ufficiali cioè capitano Francesco qd. Pietro Conti, tenente Luigi Giorgi qd. Francesco e vice tenente Antonio Sarti, locandiere del Portone osteria di questo Borgo.
    Sabbato scorso che fu li 10 andante fu pubblicato un rigoroso bando sopra il corso delli carlini e mezi carlini che spendevansi a soldi 14 quelli di Benedetto XIV ed a soldi 13 quelli posteriori, onde essendo apparuto rumore in questa populazione fu tosto spedito l’avviso a Bologna. L’esito è stato che prossieguasi a spendere per ora secondo la nova providenza di caldo, che si avrà quanto prima riflesso nel danno che ne patisce la povertà e sarà compensata in altro.
    Il detto Fabbri passò comandante in Ancona. Il retroscritto Floriano Fabbri essendo passato Comandante in Ancona fu accolto ivi.
    Adi 13 giugno giorno di S. Antonio, la sera doppo l’Ave Maria, arrivò un furiere a piedi da Bologna che precedeva 100 polachi al soldo de francesi, li quali andavano nella Romagna. In appresso venne la truppa, gente bella ma stupida, che nel parlare nulla intendevano in toscano né in latino, né in altro linguaggio e neppure sapeva farsi intendere. Marciò subito verso Imola.
    Adi 15 giugno giorno del Corpus Domini la sera su le 13 italiane dopo la benedizione del SS.mo, per che tutta la mattina era stata piovosa non si era potuto fare la consueta processione, fu messa in esecuzione la Guardia Civica del Paese. Il quartiere fu stabilito interinalmente nella stanza abbasso presso la torre dell’orologio picolo in piazza ove eravi la ressidenza prima del vicepodestà e vi si teneva ragione. Dopo la Avemaria cominciò la pattuglia a caminare pel paese. Certi ladretti fuggirono dal paese.
    Sono molti giorni che piove e la racolta è avvanzata. La gente sospira. 14 d. fu proclamato dal cap. Francesco qd. Pietro Conti comandente provisorio della Guardia Civica di Castel S. Pietro che chi voleva farsi ascrivere al rolo della med. si dovesse ad esso presentare, perciò se ne soscrissero fino al N. di 70
    Adi 16 d. coll’istallamento delle nove autorità costituite quindi cessate tutte autorità passate e per conseguenza ancora il magistrato dei Tribuni della Plebe o siano Colegi di Bologna le di cui incombenze, relativamente a questo proclama oggi pubblicato dalla Municipalità, restarono addossate a norma della Costituzione al titolo 19, cap. 208, alla Municipalità per ciò fu dedotto a notizia di chiunque bottegaro, lardarolo e macellaro del Cantone di Castel S. Pietro di dovere spaciare le vetovaglie con esatezza tanto per la salubrità, qualità bona, quanto per l’osservanza delle tariffe. Fu altresì ordinato che tutte le bestie de minuti dovessero essere marcate col bollo rosso e quanto ai castrati e bovini con tinta nera.
    Adi 18 d., mediante proclama della Comunità, invitato il popolo per il giorno di domani lunedì 19 stante ad intervenire all’inalzamento dell’Arbore della Libertà, nel qual proclama fu anco notificato che si saria fatta la estrazione di 4 citelle povere del paese, maggiori di anni 12 e minore di anni 22 alle quali la Comunità le assegnava l. 10 per ciascuna per il loro maritaggio al quale effetto la detta cifra o siano scudi 10 sarebbero stati collocati nel Monte Matrimoniale di Bologna.
    Tutto ciò in memoria del compleano che in punto fu li 18 giugno anno scorso in cui fu data la conquista della città ai francesi dal senatore Carlo Caprara, che li introdusse pacificamente col pretesto del solo transito per Livorno.
    L’arbore però fu la notte precedente inalzato a scanso di ricevere la Guardia Civica di Bologna che voleva essa fare questa funzione. Su un bellissimo cipresso verniciato attorno a tre colori come fascia, cioè rosso ponsò, verde e bianco, alto piedi 54 che per lume de posteri ne aneto la pianta e dissegno colorato colle mesure fatto ed inventato dal dott. D. Pietro Castellari bolognese, che qui soggiorna in casa del primo pressidente della Comunità notaio Giacomo Lugatti. [A.15]
    Costò questo arbore con tutti li suoi anessi sud. l. (….)
    Fu publicato altro Bando sopra il calo delle monete papali così che a poco a poco li carlini e mezi carlini vanno ad (…).
    Il lunedì poi che seguì e furono li 19 giugno il doppo pranzo fu levata la Guardia Civica nazionale del paese dal palazzo Locatelli e si radunava per la scuola militare al N. di 70 civici con fucili, baionette in canna, fu preceduta da due corni da caccia e tamburi.
    Quando sonavano li corni vi era l’accompagnamento di 4 violini, violoncello e di una tuba detta volgarmente timballo, suonavano interpolatamente al tamburo la marcia o sia banda delli inglesi che, quando di qui passarono, la lasciarono scritta in musica. Giunta alla piazza diede una rivolta intorno l’arbore inalzato, poi si andò di prospetto in squadrone e qui presentò l’armi. Dappoi si spiccò un picchetto di quei militari con officiali et andarono alla ressidenza della Municipalità ove levarono il Corpo di questa, che venno a piedi dell’arbore ove era un gran palco con sedie, tavola e calamaro, carta e campanello.
    Il Palco guardava la strada che passa avvanti la piazza ed arbore. Fu su questo assiso il Corpo ed assentatosi il pichetto lateralmemte giunse altro pichetto soldati col giudice di Pace, assessori, inspettori ed altro ministero che pure assise il palco. Dalla parte poi sinistra della piazza poco distante dall’arbore vi era un altro palco per instrumenti da suono, appresso la casa del chirurgo Giordani sotto il suo terazzo ed altana.
    Quivi si incominciò una lietissima sinfonia, terminata la quale si procedette alla estrazione delle 4 citelle per le doti sudd. e di mano in mano che seguì la festa ad una di esse se le fece una nova festa con sinfonia fino all’ultima. Terminata la funzione partì il Corpo della Municipalità e Ministro sud. e fu accompagnato alla sua ressidenza dalla truppa sud. che assistette sempre con guardie la funzione.
    Le citelle estratte furono.
    Ghetti Maria Vittoria qd. Giovanni
    Santi Domenica qd. Antonio
    Masi Maddalena qd. Carlo
    Mazzini Giacoma qd. Giuseppe detto Muschino volgarmente.
    Contemporaneamente passò di quivi il generale francese Sughette, proveniente da Ravenna, terrorista che fece fucillare in Ravenna molte persone cospique e segnatamente il dott. Domenico Guarini in meno di 21 minuti nella pubblica piazza e molti altri nobili ha spedito a Forlì, centrale della provincia repubblicana di Ravenna, ove avranno il loro destino.
    Voleva questi incenerire li suborghi della città a motivo che avevano fatta una insurezione contro la milizia traspadana e cispadana che avea derubato e seguitava a rubbare quei contorni. Si interpose la Municipalità nova e tutto fu sospeso facendosi rifletere che tutti li suborbani non erano poi complici della insurezione.
    La stessa giornata, essendo lunedì giorno di mercato, seguirono alquanti aresti di persone per che avevano parlato male dell’arbore sud. e molto più lo biasimavano per averlo messo poco distante dalla colonna ove esiste la Imagine di Maria SS.ma del Rosario.
    Nel terzo dell’arbore vi era il triangolo con tre cartelli su de quali nella facciata d’avvanti eravi questo moto a letere majuscole: Solo il Popolo è Sovrano, nell’altro fianco: Morte ai Tiranni, e finalmente nel terzo fianco Libertà , Eguaglianza.
    Difatti non si distingue più grado nei titolo, che invece di dire Signor Fantaguzzi si dice Cittadino Fantaguzzi e così si nominano anco li birichini col titolo di Cittadini.
    Si distinguono solamente li caraterizati a quali si da prima il titolo di cittadino poi si soggiunge se è dottore il suo carattere e cosi quello de preti e sacerdoti di alto rango e regolari.
    Si miete il formento e si sente fredo. Il vento strepita fortemente e voglia Dio che non si abbiano a sentire e soffrire malori di febri acute e pleuritidi.
    Passano continuamente corpi di polachi e portano nelle loro armi le insegne e stemmi dell’Impero. Finora non si comprende questo mistero.
    Non esendosi volsuto dal Direttorio in Parigi acettare le proposizioni preliminari di pace coll’Imperatore, restò quindi rotto l’armistizio. Tra le proposizioni preliminari vi erano queste, che la Francia rifondesse 20 milioni di scudi all’Imperatore. Che li stati dell’Imperatore fossero colla Italia restituiti come prima e con essi ogni regione sopra le conquiste delle tre legazioni di Bologna , Ferrara e di Romagna.
    Adi 20 giugno stante l’esaurimento delle Casse nazionali, il Comitato Centrale della Repubblica Cispadana ordinò una contribuzione di un due per cento delle entrate che ognuno aveva, mediante un proclama di 30 articoli, unito a questo proclama il metodo di ciò eseguire col titolo di prestito forzoso. Di che ogni possidente, non che ogni negoziante se ne rissentì.
    La Fiera del Pavaglione anco poi quest’anno fu tolerata colla privativa in Bologna. Li 22 giugno il Giudice di Pace, colla Municipalità si porta in forma colla Guardia Civica alla visita delle botteghe per la prima volta in Borgo ed in Castello e si fanno poche catture e si sentirono novi richiami delli montanari e paesani sopra il calo del valore dei carlini, li quali esendo stati cuniati per il valore di soldi 15 l’uno ora si vogliono diminuire, quando che lo stesso governo li ha dichiarati pochi anni sono del valore acennato impresso nella stessa moneta.
    Fu pubblicata la organizzazione della Milizia civica con le sue leggi, le quali cose formerebbero quivi un tomo se si unissero tutte assieme. In seguito di ciò cod. Francesco di Pietro Conti eletto per capitano di questo loco cominciò ad estrudere ordini in iscritto diretti ora ad uno ora ad un altro per far la sentinella e girare in patuglia la notte e il giorno all’opportunità. Si sentono in Bologna arrivi di Polachi.
    Il giorno 27 cadente giugno, essendosi scoperto in Bologna una congiura contro il già confaloniere Legnani e nostri ex nobili fra quali Segni, Caprara, Ercolani e contro anco l’avvocato Magnani, Pietro Berti e diversi banchieri per trucidarli, la notte stessa del lunedì vegnente al martedì furono caturati li capi e spediti a vista a Ferara e furono due Giovanetti fratelli fra quali il canonico nipote dell’arcivescovo.
    Per conoscere questi quelli del suo partito si erano mozati li capelli. Sono notati in più di 5.000 ma come che questo fatto nulla apartiene a me, per ciò si lascia notarlo a chi scrive le storie di Bologna dalle quali noterà assaiissimo di storia e di statagemmi.
    Perché poi nella città e contado li libertini cantavano l’inno patriottico francese della libertà e temevasi che coll’alte grida fosse questo un segnale di unione per esecuzione della congiura scoperta da Giacomo Greppi che, previa la impunità, quantunque amicissimo delli Giovanetti e che per questo fu asserito che avessero l’animo di farsi signori di Bologna, fu tosto sospeso il canto dell’inno per questo dubbio, quand’anco perché la notte non si poteva avere un’ora di quiete.
    Spiaque moltissimo questa proibizione, che per avvalorarla fu coredata della pena della vita ai scapestrati e malviventi, li quali non per piacere semplice cantavano ma anche per provocare li boni cittadini.
    Nel nostro Castello e Borgo ogni sorta di gente si prendeva ogni sera di notte sul più bello per dormire, andava sotto le finestre delli vechi comunisti a schiamazzare in modo che più non si poteva quietare.
    Grazie al Signore che niun scompiglio è acaduto, perché tutti li individui della Municipalità passata la presero con indiferenza tale per non sacrificare le proprie familie, che si stancarono li disturbatori e così in oggi stante la providenza sud. si gode la quieta almeno notturna che tutta quanta era lunga la notte veniva il paese disturbato.
    Adi 2 lulio prima domenica ad effetto di cominciarsi ad ad organizare la Guardia Civica in Castel S. Pietro, furono chiamati tutti li individui della Comunità assegnata al cantone del med. castello e, per che non era possibile in uno stesso recipiente potersi unire tanti popoli, furono perciò destinate le seguenti chiese cioè: Oratorio della S. Annunziata del Borgo per il comune di Castel de Britti, Oratorio di S. Pietro per il Comune di Ozzano, Casola Canina. Oratorio della Compagnia del SS.mo per il Comune di Liano di Sopra, in S. Bartolomeo vi andò il Comune di Ciagnano, nel palazzo Locatelli il Comune di S. Giorgio di Varignana. Quivi furono eletti li respettivi capitani, tenenti e sergenti. Il comizio del Comune di Castel S. Pietro, Borgo e Villa di Poggio fu differito fino al giorno nove corrente.
    Fino dalli 27 giugno anno questo passato, esendo seguiti trattati fra il Papa e Bonaparte, crediamo opportuno unirli. [A.16]
    Si pubblicò parimenti un novo proclama sopra il prestito forzoso che doveva dare la nota dello stato attivo e passivo per poi contribuire ad tassativo per cento e il motivo si fu che niuno si volle presentare, onde per ciò il novo proclama invitava a somministrare la quarta parte del prescritto in d. primo proclama. Vi fu chi oltroneamente si offerse dando il proprio stato alla discrezione formato e deputato dalli agravi. Nel teritorio per altro finora niuno si è prestato.
    Sono talmente accaniti li nostri patriotti di Castel S. Pietro inverso di chi è stato propenso al governo eclesiatico ed aristocratico che non v’è giorno che non si sentano arresti militari di vendetta, anche su le cose più futili ed innette in modo che, conducendo alla città le persone caturate, subito sono escarcerate e ripresi li arestanti che con loro rossore vedono rimpatriare li loro odiati, che si vorebbero distrutti.
    Voglia il cielo che infra poco non abbiano ad acadere fazioni, mortalità, come purtroppo si pronostica a a motivo di questi altra diversa angustia che si fanno per colpa di lievissimo movente. E non acada ciò che pochi giorni e acaduto a Reggio fra li civici e villani a cagione della cocarda per lo che si sono battuti ed è convenuto accorervi alla truppa polacca e francese per mettervi riparo.
    A cagione per tanto che nel vicino Castello di Varignana si trovavano stemi incisi di particolari familie, essendo venuto ciò a notizia della nostra Guardia Civica di Castel S. Pietro, si portò colà uno stacamento di 10 militari, a furore furono alterate le armi e stemi che l’erano state denunziate e furono ambi di Agostino Stanzani nell’oratorio in mezo la via di Varignana.
    Trovandosi pure sopra questa porta maggiore di Castel S. Pietro incastrata nella torre l’arma della casa Malvasia ma coperta e murata fin dal principio dello scaduto giugno, abborita dalla moderna Municipalità ogni altro fatto della Municipalità antecedente, essendo pressidente della med. di pochi giorni Domenico Grandi, agente de frati barnabiti, nel di 7 lulio fece dimurarla, frangerla e ridurla in minutissimi pezzi nel modo che fece di tutti li altri stemi delli podestà esistenti e confitti nella ressidenza comunitativa, levandovi ancora le inscrizioni a quelle sottoposte. Barbarie invero che si estende perfino contro li stessi monumenti di chiarezza di persone e familie, per cui si può francamente dire col poeta: che si spezzano per fino li monumenti più belli dedicati ai fatti e alle familie:
    Munimenta fatiscunt
    mors etiam saxis nomini iusque venit.
    In che si a fare nella Francia non si è così certamente operato, segno che li francesi stessi asseriscono più cattivi li italiani nell’operare di quello sia stato nella Francia stessa. Non hanno neppure esente la inscrizione della gloriosa vittoria riportata dalla Comunità di Castel S. Pietro contro la villa di Poggio insorgente l’anno 1792 li 6 agosto in una particolare Congregazione deputata dal Papa, quantunque tale memoria fosse dipinta in legno nella sala comunitativa, ne vi fosse alcun stema, ma soltanto perché in quella venivano comendati il Papa Pio VI e li prelati che decisero.
    Fatta tale memoria per esemplare per poi incidersi in macigno e collocarsi posciamente nella facciata della torre picola dell’orologio nella piazza interna del castello, la quale inserizione, servendo anche di ornato nella sala della publica ressidenza, del seguente tenore fu fatta in pezzi e poscia abbruciata la notte che si inalberò l’arbore della libertà nei focolari che illuminavano la piazza.
    (………..)
    Pii VI P. O. M.
    qui ad elidendas Villa S. Blasi Podj
    Cavillationes
    Congregatione instituta clarissimar.
    S. Palagi Urbis Praedator
    Paracciani, Mastrocci, Eschine
    Consalvii et Lantes
    super pretensa separatione
    ab Oppida Comunitates Cas. S. Petri
    cum
    Plenis suffragiis decis. fuerit
    XII viri eiusdem Castri
    Memor. perennis ergo
    M.P.P.A.
    1794
    Adi 9 lulio inerendosi alla costituzione militare civica, si fece un comizio di sette compagnie nella chiesa e palazzo Locatelli per tutti li civici urbani di Castel S. Pietro abili alla milizia maggiori di anni 18 e minori di 50, nei quali comizi furono eletti i respettivi capitani, tenenti, sottotenenti e sergenti delle compagnie sud. Questi poi così organizati nel giorno seguente di lunedì si radunarono d’ordine della Municipalità nella sala della ressidenza pubblica per eleggere il loro capo battaglione per la truppa urbana del paese. Fu perciò eletto Francesco qd. Pietro Conti che era già primo comandante provvisorio.
    Il dott. Pietro Castellari bolognese sacerdote domiciliato in Castel S. Pietro, uomo di qualche abilità in ogni genere di belle arti, ma però democratico segnalatissimo, fece comporre l’inno patriottico unito e poi stamparlo in Imola, oltre ciò come dilettante di musica lo pose in nota figurata per farla cantare alla gente. [A.17]
    La poesia è del dott. Giuseppe Muratori medico condotto di Castel S. Pietro, è da notare che il med. dottore Castellari nel frontespicio dell’inno ha omesso il titolo del suo carattere presbiterale e il nome pure, ei si fa di Castel S. Pietro quando che è di familia civile di Bologna ed abborisca in questa guisa il proprio caratere e la patria. Da ciò congeturi il lettore di queste mie memorie quel che più le pare e piace, ma riguardi ancora le circostanze de presenti tempo ne quali è guasto tutto il mondo nelle idee e religione.
    Adi 26 lulio la mattina avvanti pranzo giunse da Bologna a Castel S. Pietro uno staccamento di 46 uomini condotti dal cap. Vincenzo Zucchi modenese e si fermarono al Borgo e, doppo avere mangiato all’osteria del Portone, non volendo pagare l’oste Bartolomeo Santi naque rumore a segno di mettere le mani all’armi.
    Gridò l’oste e chiamò ajuto, corse la Guardia Civica del Castello, sotto la condotta del tenente Filippo Conti in mancanza del suo capitano Giovanni Cella e, facendo alto alto da una parte e dall’altra gridando abbasso l’armi, presero li civici le bocche delle strade che portano alla Romagna in guisa che circondati li nemici furono costretti ad abbassar l’armi e lasciarsi mettere in aresto al N. di 23 compresovi il capitano.
    Li altri fuggirono nel conflitto che durò mezza ora. Stettero arestati e condotti al quartiere civico per due ore, ove poi capitolata la pace con questi articoli che pagavano il tutto, come seguì, che fossero accompagnati senza avere armi fino al ponte del Silaro e finalmente che tutte le loro armi fossero trasportate avanti fino al confine del teritorio ove le fossero poi restituite. Restò in sospeso il punto delli disertori che fuggirono nel tempo del rumore, dove che il capitano stesso volle fare il riporto nel caso che non si ritrovassero. Giunti al ponte si congedarono e si incaminarono per Ancona e così senza spargimento di sangue terminò tutto il tumulto.
    Il sabbato seguente poi che fu il 29 d. esendosi prima invitati tutti li officiali della Civica e li soldati tutti della populazione vennero a Castel S. Pietro alle ore 11 italiane per stabilire la guardia, per il quale effetto venne di Bologna il generale Tatini con il comissario Brunetti ed un segretario che furono incontrati fino alla posta di S. Nicolò da tutta questa ufficialità maggiore che lo prevenne con 16 cavalli, tutta bella gioventù, che complimentato fu sempre scortato dalla med. lateralmente colle sciable evaginate fino a cod. palazzo Malvasia, dove fermò il suo quartiere.
    Quivi, chiamata ogni compagnia del Cantone di Castel S. Pietro, furono confirmati tutti li capitani ed ufficiali subalterni. In fine furono eletti due capi battaglione, uno per l’abitato di Castello e Borgo e l’altro per la campagna. La elezione fu fatta dalla ufficialità maggiore tutta adunata avvanti il generale e comissario sud. centrale.
    Il primo per l’abitato fu il dott. Francesco Cavazza, mio filio, a voce viva non solo di tutta la ufficialità interna al quartiere ma di tutto il resto della milizia esterna al palazzo sud. nella vicina piazza Malvasia e Locatelli.
    Il secondo capo battaglione fu eletto Zifirino Rabbi per la campagna abitante nel comune di Ozzano e questi per scheda. Ciò terminato la Municipalità unita assieme diede pranzo da pesce al generale e suo ministerato su le ore 18 italiane. Il dopo pranzo si fece una visita alli quartieri militari e doppo partì il generale e comissario per Medicina accompagnato dalla ufficialità sud. tutta a cavallo con sciabla e bandiera montata, che fu cosa bella da vedersi, fino alla confina del nostro comune tenendo la via romana fino al rio detto della Masone ove fu licenziata e nel ritorno a casa presero in mezo il capo battaglione come vicegenerale, che lo condussero fino al quartiere generale nel palazzo Locatelli.
    Il comissario Brunetti e generale pubblicarono alla milizia che Milano era stato dichiarato dal generale Bonaparte per capo e centrale di tutta la Repubblica transalpina, al quale come centrale rimaneva sogetta Bologna, Romagna e Ferara, cosa che spiaque ai bolognesi per le enormissime spese fatte di fabbriche amontanti a più di 400 milla scudi, senza li altri debiti fatti. Soggiunse ancora il med. comissario dott. Vincenzo Brunetti che si sarebbero fatti novi comizi.
    Vero si è che le cose vanno di male in peggio.
    Li 14 agosto fu spedito a tutti li notai la unita notificazione. [A.18]
    Li 15 agosto fu supresso in Bologna il tribunale del vescovato. Furono pubblicati diversi Bandi sopra il novo governo repubblicano e segnatamente sopra li bovini infetti di epidemia.
    La chiusa sul Silaro pel molino di Castel S. Pietro trasferita sulla sponda di Crocecocona, come si scrisse, si cominciò a farla di pietra. Si sentì alli 23 d. il teremoto. Passano pure truppe che vanno nella Romagna, sono tutti polachi che vestono di color blò, abito corto e capello quadrato all’uso della beretta nera de poeti ma con fiochi bianchi e vanno nella Romagna.
    Si vedeva in questo tempo chiuso e profanata la chiesa di S. Bartolomeo ove avvi la chiesa del Sufragio, ma fatte supliche da confratelli al governo, rimase intatta, ma le robbe de frati supressi di quel convento nel settembre furono tutte vendute come se rubbate.
    Li 16 settembre fu pubblicato un bando sopra la collazione de Benefici eclesiastici col quale veniva tolta di mano alla Mensa vescovile.
    Nel 21 d. si publicò pure altro bando su la supressione delle comende. Tutti li preti emigrati francesi che domiciliavano in Castel S. Pietro nelli tre conventi di S. Bartolomeo, S. Francesco e Capucini partirono per ordine del governo. Vi fu clamore nel popolo per mancanza di ministri del culto.
    Li 20 d. fu proclamata la legge di dover tenere serate tutte le bettole e osterie alle ore due di notte col segno dell’aringo e campane del pubblico e cominciossi la sera della festa di S. Mattia apostolo.
    Adì 2 ottobre prima domenica, festa del Rosario si celebrarono in Castel S. Pietro la gloria di M. SS. del Rosario, vi intervennero la milizia del distretto con N. 36 ufficiali tutti colla nova montura verde e bavero scarlatato, bottoniere dorate e penachio in capello tricolorato. Vi fu messa solenne in parochia assistita dalle autorità locali. Alla elevazione del SS.mo ed alla benedizione dopo la processione consueta la mattina per la piazza, vi fu sbarro duplicato della fucileria della guardia paesana tutta ben montata in N. di 60 fucilieri. La sera fochi artificiali prevenuti da una sparata di 500 mortaletti.
    In mezo a questa letizia vi intervenne ancora la tristezza per un prestito forzoso ordinato per tutto lo stato bolognese da Bonaparte discrezionato a norma delle forze particolari di un 6 per cento.
    La torre famosa de Moscatelli in confine di questo nostro comune detta anticamente la torre di Facciolo Cattani di Castel S. Pietro come nella storia bolognese, ruinosa nell’angolo orientale, fu abbassata al piano dell’abitata vicina.
    Li 8 d. si pubblicò un proclama di doversi pagare pavoli dieci per ogni capo di bovini. Li 9 d. furono incantati li bovini della supressa Comenda di Malta di Castel S. Pietro nel pubblico mercato. Bisognosa la Municipalità di Castel S. Pietro di danaro proclamò con suo ordine di doversi pagare di ognuno possidente bovini soldi 10 per capo di bestia..
    Il letore P. Antonio Ravaglia filio di Liborio originario di Sassoleone, ma chiamato di Castel S. Pietro, fu arestato per il carteggio che aveva coll’Arciduca Carlo d’Austria nelle presenti emergenze, quantunque si dicesse fatta la pace.
    Il generale Bonaparte con suo proclama chiede a Bologna 60 giovani montati, con cavalli bardati ciascuno del proprio, di età maggiori di anni 17 ma non minori di anni 25. Si pubblicò ancora un altro editto del Corettore de Notai bolognesi estradato li 11 agosto di dovere li notai bolognesi mutare il loro sigillo portante stemi gentilizi come dalla anessa stampa spedita a tutti li notai.
    La notte delli 18 festa di S. Luca si vide in cielo un fenomeno risplendente che illuminava la terra e durò fino all’alba del giorno, facendo spavento per avere dalla parte di ponente li raggi sanguinolenti.
    Adi 20 ottobre venero a Castel S. Pietro sei deputati del Governo di Bologna, detto la Giunta sopra li Eclesiastici, a fare l’inventario di tutti li capitali de frati Cappuccini e MM. OO. e perfino le banche della chiesa.
    Fu contemporaneamente pubblicato un editto del governo per fissare una tassa sopra tutte le pigioni e rediti delle case delle castella del teritorio che sarà un campione titolato: il Casatico, mentre quanto alla tariffa di terratico si sarebbe stato alla stima universale fatta sotto il governo del cardinale Boncompagni.
    La esecuzione di questo Casatico tassativo avrebbe avuto il suo effetto dopo la descrizione fattasi in un campione dal segretario delle rispettive Municipalità. Adi 30 d. si cominciò tale descrizione e fu fatta dal segretario municipale Stefano Grandi di Castel S. Pietro. Il dì primo novembre la Municipalità avisò le corporazioni del suo castello a rendere conto delle respetive aziende.
    In apresso con piacere di tutti fu notificato al pubblico nella gazzetta la pace seguita fra la Francia e l’Austria, d’onde in seguito ne venne nel dì 3 novembre l’unito manifesto da Milano. [A.19]
    Fu in seguito pure publicato per le stampe l’unito discorso analogo alla consegna delli 60 giovani richiesti da Bonaparte e spediti al med. [A.20]
    Adi 5 novembre giorno di domenica venero di Bologna 350 francesi e partirono tosto per Imola. Medesimamente il lunedì 6 d. vennero altri in N. 600, la mattina tutti fanti e stettero fermi nel Borgo sotto li portici per ben due ore a motivo della pioggia poi si incaminarono per la Romagna onde andava a Ancona, che si teneva per li papalini.
    Licenziato il dott. Giuseppe Muratori dalla condotta di medico dalla Municipalità, fece egli ricorso alla centrale di Bologna per avere una adeguata gratuita giubilazione e vi furono molti contrasti.
    Pubblicata la pace fra la Francia e l’Imperatore che riconosceva la repubblica e sovrana la nova Repubblica Cisalpina composta dal milanese, mantovano, modenese, ferarese, Romagna, bolognese fino alla cattolica. Si fecero allegrezze da patriotti con sbarro di fucileria e messa solenne nella chiesa ed oratorio del SS. SS.to.
    Dovendosi formare una nova legge repubblicana li 15 novembre fu pubblicato il proclama delli prescelti che dovevano andare a formare la nova legge repubblicana di Francia a Milano. Il consilio fu diviso in due classi una detta dei Seniori nella quale si comprendevano li ammogliati e nell’altra detta dei Juniori si comprendeva quelli che non avevano moglie.
    Fra questi nel Dipartimento del Reno fuvvi il dott. Gaetano di Francesco Conti di Castel S. Pietro medico. Furono tutti eletti dal generale Bonaparte come da elenco stampato. Tanto li primi di una classe, che del secondo consilio fu decretato doversi ritrovare a Milano il di primo Frimale , vale a dire li 21 corrente novembre.
    Furono essi eletti dalle liste dei comitati riuniti, per questa sola volta furono fatte le nomine dal generale sud. La loro incombenza è che giunti in Milano debbino prendere il giuramento nella seguente formula.
    Io ……… giuro inviolabile osservanza alla Costituzione, Odio eterno al governo dei Re, delli aristocratici ed oligarchi e prometto di non soffrire giammai alcun giogo straniero, di cominare ancor con tutte le mie forze al sostegno della libertà, della eguaglianza ed alla conservazione e prosperità della Repubblica.
    Furono li 14 d. chiamati a Bologna tutti li municipalisti dalla centrale a dire contro le diffese prodotte dal dott. Muratori che si diffendeva dalla esclusione della condotta come estemporanea ed ingiusta e perciò non partirono che il giorno di sabato 19 corrente novembre.
    Adi 17 novembre passarono tre battaglioni di pollacchi provenienti da Bologna ed andavano nella Romagna per incaminarsi ad Ancona, ma una tale andata fu creduta , come di fatti accade, fu per inoltrarsi a Roma, così pagliando l’assertiva per unirsi a patriotti e sorprendere quella dominante con stratagema, mentre un coriere francese depose che, a posta sforzata, andava dal Papa con dispaci risservati.
    Li accennati battaglioni erano composti di 600 uomini a fantaria. Si pubblicò contemporaneamente un proclama col quale si abbolivano le scuole e le cattedre di Juscanonico e teologia e così gradatamente si inoltra la pestifera persecuzione della chiesa e non vogliono li maestri e le bone discipline per essere corotta la bona legge declinando la gioventù dalla libertà al libertinaggio, per cui le familie piangono amaramente.
    Li 28 d. passarono da Castel S. Pietro nella Romagna altri 800 polachi per avvanzarsi a Roma colli d. tre battaglioni.
    Fu intimato al papa colli dispacci su acennati provenienti di Francia che il Papa si dichiarasse entro otto giorni se voleva riconoscere o no la Cisalpina in Repubblica. Ecco novo motivo di attaccare lite e moverli guerra e fosse anco cacciarlo di Roma, giachè da patrioti così si sussura.
    Sulli primi di decembre fu pubblicata una legge in cui si dichiarava estinte ed abbolite le municipalità papaline e in ogni dove sarà ocupate le castella e città della Cisalpina.
    Adi 4 dicembre in Castel S. Pietro si celebrò la festa di S. Barbara, giorno di lunedì, dalla Guardia nazionale del paese nella chiesa ed oratorio del SS.mo in questa pubblica piazza con messa solenne in musica e fucilleria di 40, ufficiali, oltre li militari del Castello, comune e distretto. Mattina e sera vi saranno evoluzioni militari con sbarri a tamburo battente. Fu regolato tutto dall’ajutante Angelo Genovesi bolognese quivi stanziato per amaestrare li civici.
    Cominciò la festa sul far del giorno con diversi sbari di fucili. Un corpo di polachi che, per accidente composto di 50 uomini in qualità di avanguardia, precedeva un battaglione proveniente di Bologna per andare in Romagna, nell’accostarsi al nostro Castello quel corpo avvanzato, sentendo il tamburo battente e la fucileria dal Castello e temendo di insurezione, quando giunse al luogo detto la Crocetta distante dal Borgo due tiri di moschetto e temendo di essere sacrificato, non arischiò più inoltrarsi ed a marcia sforzata retrocedette fino all’osteria del Gallo ad unirsi al suo battaglione.
    Venuto ciò a notizia del Capo Legione del nostro Castello, mandò imediatamente il Genovesi con altri due ufficiali al Gallo ad assicurarli non esservi novità contro loro esibendosi essi per ostagi e difatti venuto tutto il corpo a Castel S. Pietro furono acolti li polachi non solo dalli nostri civici, acompagnati dallo stato maggiore di ufficialità, con allegrezza ed addimostrazioni di fratellanza ed allegrezza.
    La festa di S. Barbara si compì lietamente, solo nell’apparato della chiesa vi mancò il compimento a motivo della draperia, per modo che naque fra civici ed arciprete Calistri disparere nel averli negati in prestito pochi damaschi onde fu mormorio nel paese e, per rifarsi, li civici fecero apporre nel foglio che giornalmente si stampa in Bologna la relazione di tutto come si vede nella racolta al N. 46 del Democratico Imparziale che uniamo nel presente quinternetto ove sono altre notizie del dipartimento. [A.21]
    Nel sud.giorno di S. Barbara su le ore 20 italiane passò la cavallaria pollacca che seguiva il battaglione sud. col generale Leghi, aveva 17 canoni seco ed una canonessa grande detta volgarmente obice.
    Si videro contemporaneamente affissi proclami sul novo governo il cui indice si avrà in quinterno unito alla stampa sudd.
    Li 6 X.bre mercoldì vanne a Castel S. Pietro il dott. Luigi Piani col segretario Zechini delle Contrade di Bologna a visitare la Comunità ed informarsi della condotta de municipalisti, stanti li ricorsi avuti e per il dott. Muratori e per altri affari di governo. Contemporaneamente venero di Bologna 160 cavalli ussari della Cisalpina che partirono tosto per Rimini.
    Si intese che li polacchi sudd. avendo volsuto dare l’assalto al fortilizio di S. Leo spettante al Papa, quei bravi papalini in N. di 50 avendo dato il foco al canone perirono più di 1500 cisalpini senza potuto avere quel forte.
    Essendo venuti di Bologna altri 100 ussari per passare nella Romagna il dì 10 X.bre si fermarono nel Borgo per alcune ore. Accadde per ciò che due impertinenti di quella truppa, forse avvinati vollero soddisfarsi con una citella per nome Antonia Paderna, giovane di bon aspetto ed ottimo personale, quindi andando alla casa della med. abitante dietro la mura del Castello a ponente, tentarono il cojto. Si diffese che bravamente colla madre, ma fu contro forza invan ragion contrasta. Furono entrambe forzate e maltratate e gridando sopravenne il fratello della citella, giovinastro fiero e robusto e con sassi cominciò ad offendere i malfattori, che volevano sortire di casa e radunato popolo colli civici del paese furono quelli e questo arestati.
    Li ussari furono per ciò battuti a vista della sua truppa ed il giovinastro Paderna si tenne chiuso in aresto fino al di seguente nel corpo di guardia civico per sicurezza di persona.
    Contemporaneamente si proclamò una legge sopra i modi di eleggere novamente li parochi, allorché le chiese fossero vacanti e fu derogato il Gius del vescovato e trasferito nelli parochiani secondo li primi tempi della chiesa, la qual providenza compiaque a tutto il dipartimento
    L’arciprete Calistri sofrendo di malavoglia la maschera fattale nel foglio del suplemento al N. 46 del Domocratico Imparziale di cui si parlò sopra, nella data delli 6 andante per la festa di S. Barbara, fece produre per le stampe dello stesso Democratico una risposta insultante a proposito, che lacerando la probità di alcuni cittadini senza indicarli si fece piutosto ridere dietro, che plaudire.
    Queste si leggono in d. fogli stampati che uniamo al presente quinternetto N. 46 e 49 onde il lettore de nostri scritti si disinganni. [A.22]
    Li 20 dicembre passarono 400 polachi da Bologna ad Imola. Gran Dio! per incutere spavento alle nazioni sempre prima di venire per ostare, si milanta un numero delle med. duplicato di più che sono ed a contare li individui non giungono mai ad un terzo del numero decantato e gettansi così polvere nelli ochi alle populazioni. Nelle città poi ove si fermano a pernotare usano questo inganno teatrale. Sortiscono da una porta per poi traversio entrano novamente nella porta maestra di quella.
    Prima di terminare l’anno si publicò per li ministri di culto e per le genti un novo calendario con cui si levarono diciotto feste di precetto, cioè delli Apostoli toltone la festa di S. Pietro principe di quelli, che anco sopra il titolo di principe li fanatici irriligionari articolarono volendo che si dicesse primo e non principe tanto è l’odio che si porta al principato. Furono abbolite le ultime delle tre feste pascali di Resurrezione, di Pentecoste e di Natale che furono ridotte a solo 2.
    Per tale novazione in Castel S. Pietro si pospose anco la benedizione del SS.mo che dovevasi fare li giorni festivi di precetto fra settimana, funzione instituita come si scrisse dal fu Pier Antonio Cavazza mio avolo di B. M. nell’anno 1714 nella chiesa di questi P.P. Cappuccini del paese. Non si ottenne altro che di surogarla nelle domeniche prime di ogni mese la sera.

1798
Nel giorno secondo genaro martedì mattina arrivarono di Romagna cinquecento cispadani che venivano dalla presa della fortezza di S. Leo del Papa ed Urbino e Pesaro doppo avervi piantato l’arbore della libertà. Si intese ancora come in Roma era nata una rivolta fra li partitanti francesi contro papalini, dove rimase superiore il partito de papalini.
Contemporaneamente fu di novo pubblicato il proclama di dovere prendere il giuramento di odiare il governo monarchico, perciò il giorno 8 lunedì tutte le autorità del paese lo presero indistintamente avvanti questa Municipalità.
Solo si oppose e fu negativo D. Giovanni Ballarini prete e beneficiato di S. Maria di Poggio, uno degli assessori del Giudice locale del paese Antonio Giorgi, e solo si offerse di prenderlo condizionatamente quo che non fosse contro la relligione onde, non potendosi accettare, abbandonò sul punto il comizio e fu escluso dall’assessorato in cui fu sostituito Filippo Tomba sartore e fanatico patriotto.
L’arciprete Calistri che aveva intenzionato fare esporre al pubblico una risposta insolente al foglio del Lugatti nelle notizie del Democratico che si danno alla giornata in stampa sull’affare delli damaschi negati per la festa di S. Barbara, se ne rissentì la Guardia nazionale, ne fu aggiunta una risposta condegna da un civico di Castel S. Pietro col nome di : Tamburo civico di Castel S. Pietro in cui fu pettinato egregiamente l’arciprete. [A.23]
Ne venne in seguito che fu fatta una mozione e petizione alla municipalità contro il med. per che dovesse rendere conto la aministrazione de beni della supressa Compagnia di S. Cattarina destinati all’Ospitale delli Infermi nazionali di Castel S. Pietro. Il complesso municipale per essere nella maggior parte parziale dell’arciprete si scansò con dire non avere autorità e però scrisse alla Centrale di Bologna. A questa si presentò il cittad. Sebastiano Lugatti che ne aveva fatta la mozione e petizione. La centrale prescrisse alla Municipalità dieci giorni a farsi rispondere dall’arciprete, che spirava li 2 febraro.
Intanto esso marciò a Bologna per iscusarsi di non avere esso amistrato robba, quandoche era capo della stessa amministrazione. Fu promosso ancora su la aministrazione dell’Opera del Ritiro per le Oneste Citelle del paese, ma senza essere ascoltato.
Si scoperse in questa circostanza che Gio. Battista Castellari detto il Pritino aveva fatto il suo testamento l’anno 1783 e consegnato in forma segreta al fratello dell’arciprete notaio Modesto Calistri, in cui lasciava tutto il suo (patrimonio) di tre fondi rurali e uno urbano in Castel S. Pietro nella via Saragozza di sotto dopo la morte di Giacoma e Giuditta di lui sorelle, che furono nel testamento solo quotizate in legittima, ma usufruttuarie vitalizie sotto diversi capitoli. Copia di questo testamento è nell’archivio de Cappuccini del paese, ancor essi beneficati in d. testamento.
Adi 4 febraro ripassò di Bologna alla Romagna una cavalaria di 2 mila combattenti condotta dal Capo Brigata Monsù Buslar francese e doppo aver preso un beveraggio nel Borgo ove stette ferma per due ore, passò ad Imola. Li altri giorni seguenti, uno si e altro no, per una settimana intera arivavano truppe pedestri ed andando alla volta d’Imola si dirigevano ad Ancona per ivi formare una forza di 30 mila combattenti per passare a Roma a vindicare la rivoluzione seguita contro Brasville, che volevano quella metropoli sottoposta al libertinaggio francese.
In questo tempo in Bologna fu fatta la locazione delle ossa delli due giustiziati rivoluzionari di cui si scrisse avvanti, Luigi Zamboni e Giovanni de Rolandis, che erano stati sepelliti nel cemetero delli giustiziati in Bologna presso la Montagnola a S. Gioanino, il primo de sud. quantunque morto in carcere per suicidio. Si seppe dappoi che il Criminale l’aveva esposto strozzato ed il secondo fu veduto giustiziato nella Montagnola.
Le ossa di costoro furono riposte in una urna cineraria di creta ben cotta e con solenne pompa e rito della Guardia Civica della città furono collocate sopra la bellissima collonna alla Montagnola colle parole scritte al d’intorno all’urna in lettere romane maiuscole: Ossa di Luigi Zamboni e Giovanni Rolandi primi martiri della repubblica Cisalpina. In seguito si sentirono composizioni poetiche, delle quali alcune furono poste in musica figurata e fra queste la unica stampata dell’avvocato Giuseppe Vincenzi quale si cantò nel mentre che si faceva la tralocazione. [A.24]
Adi 12 d. giorno di lunedì un pichetto di sei francesi e due donne che avendo derubbata una tela di lana che dal mercato di Castel S. Pietro se la portavano a casa per la via di Imola, essendo stata avvisata la Civica di Castel S. Pietro, quando giunsero li ladri francesi al Borgo fecero alto li patriotti per arrestarli ma, quelli ressistendo con fuccilate, ne seguì baruffa di archibugiate avendo li paesani preso le bocche delle strade e tutti li passi, onde convenne ai ladri arrendersi all’aresto a nostri, che tosto li pasaro alla carcera del quartiere ed il giorno seguente furono condotti a Bologna bene amagliati, quantunque passassero truppe ad ogni momento.
Capo di questa fazione fu Antonio Sarti filio di Giovanni, già oste alla locanda vicina al Gallo, fu restituita la tela e premiati li civici nostri.
Per animare il popolo a plaudire la nascente republica fu dal Governo ordinato un pranso patriotico nella città, oltre del quale fu anco decretata una sovenzione dotale ad alquante citelle del teritorio. In seguito di ciò li 22 febraro, detto da novelli modernatori di tutto il mondo 2 piovoso, fu fissata la giornata del bacanale.
Del med. fu direttore Mauro Gandolfi figlio del rinomato Ubaldo Gandolfi pittore figurista. La relazione unita spiega a minuto il tutto. [A.25]
Nella estrazione delle doti furono beneficate Margarita Bernardi e Pascala Opi di Castel S. Pietro che sposò tosto Giuseppe Andrini macellaro, furono anco sovenuti diciotto poveri di l. 7 di Milano per ciascuno.
Adi 23 febraro N. sette militari francesi andarono alla casa Pietro Martelli nel comune e corte di Castel S. Pietro, abitanti in un loco già delli Agostiniani di S. Bartolomeo supressi, denominato la Possessione Strada, lungo la via Emilia ed adesivamente la via del Correre. Entrati in casa questi sette briganti cominciarono a svalligiare questa familia col portare fino le casse delle donne nel prato della casa assassinando tutta la familia.
Fu avvisata la Civica del paese in cui essendo di guardia il detto Antonio Sarti capitano levò tutta una sua pattuglia di bravi paesani e su le ore 10 italiane, nel mentre che si faceva bottino, andarono velocemente a ritrovare li briganti assassini, quelli, veduta la nostra guardia, cominciarono a far foco. Li nostri, che ciò avevano preveduto tenendo la strada sud. del Correre che per essere cupa, si salvarono tanto che giunsero alla casa de villani, quindi prese la posta corrisposero bravamente alle fucillate de francesi tanto che, avviliti, riescì alli nostri entrare in casa e salire le scale dove, essendo altri francesi, cominciarono questi a lanciare contro li agressori civici ciò che dava loro nelle mani.
Crescendo il rumore, avisato il quartiere per socorso, il quale prontamente rinforzò baruffa con altra patuglia. Cominciossi indi battere la cassa d’onde, adunati li vicini villani, prosseguendosi con maggior calore la baruffa sono in essa ammazzati due francesi ed uno ferito mortalmente che, doppo un’ora di battaglia, fu caricato in un birozzo e condotto a Imola per la strada inferiore alla via romana a motivo di scansare la truppa francese che viaggiava a quella volta, per non venire alle mani.
Ma giunto il ferito al Piratello morì l’infelice e li nostri, che avevano sentito avvicinarsi loro una truppa, abbadonarono il tutto col villano condottiere, che prese la bestia a mano ritornandosi alla volta di Castel S. Pietro fachinando dalla via coriera.
Restò il bottino in mano delli francesi che giungevano li contanti, ori, tutto ciò che avevano li altri briganti derubato. Li compagni poi delli assassini nel mentre che erano in baruffa, dandosi allora per vinti coll’alzare la mano sul capello, furono condotti da una parte de nostri giù al quartiere del castello scortati dal detto Sarti.
Nel mentre che aveniva questo arresto il detto Sarti invece di venire alla via romana co prigionieri, avendo veduto da lontano truppa e sentito un novo (pericolo) piegò il suo viaggio verso Castel Guelfo e giunto al palazzo (….) nel nostro comune, traversò la via e passando a guazzo il Silaro presso il loco detto Montironi ove essendo una fossa profonda, uno delli francesi si gettò sopra il d. Sarti e le riescì afferarlo perché era sdruciolato in vicinanza di quella, ma il valoroso Sarti abbraciò sul punto il francese e tanto lo tenne avvitichiato in braccio che ajutato da compagni ricuperò la sciabla colla quale poi percosse mortalmente l’agressore francese.
Ma perché non era ancora giorno, andò il Sarti colla sua gente e prigionieri alla casa della possessione detta il Gaggio, ed infrattanto passò per la via romana tutta la truppa francese cosichè fattosi giorno chiaro furono condotti li arestati al quartiere ed indi alle carceri del paese, ma li feriti nell’ospitale del paese.
Fu fatto il riparto alla Centrale di Bologna e furono comendati li nostri civici per tanta bravura.
Questo fatto passò per fama alla popolazione nostrale e vicina non che alla truppa francese, donde ne avvenne che li passageri francesi spicati dai loro corpi non si posero più a simili imprese.
Diede impulso a questo assassinio il ritardo delle paghe giornaliere a poveri soldati che, essendo tre mesi senza paga, conveniva loro andare alla ruberia.
Li 29 d. passò di Bologna al Imola tutto il convolio militare di sessantotto cariaggi di munizioni e canoni. Nel seguente marzo esendo venuto un ordine della Centrale alla Municipalità che tutte le compagnie che non sono Corpi fossero per il dì (….) abolite e si facesse ai capi lajcali ciò manifesto. Fu riferita questa sanzione all’arciprete Calistri il quale la sentì con amarezza tantoché egli si vedeva privato da una compagnia da lui inventata per il suo interesse detta la Compagnia Larga del SS.mo, a fronte dell’altra canonicamente eretta e cappata.
L’instituto di quella era ed è di accompagnare il SS. Viatico, le processioni mensili del SS.mo, fare la funzione solenne del Corpus D. e le Rogazioni della B. V. di Poggio, soministrare un censo pecuniario all’arciprete per la manutenzione della lampada sempre accesa avvanti il SS.mo ed altre incombenze.
Il dispiacere dell’arciprete fu per che l’altra Compagnia (…) e dappoi coltivata dall’arcivescovo Giovanetti, non le dava mai la sovenzione di scudi quattro annui, oltre il regalo di una donna, la rettora, e non si vedeva mai la versione di tutta questa robba che colava in di lui tasca.
Tutto il paese per ciò esaltò per questa pressione, tanto più ciò piaque al paese perché l’arciprete che odiava a morte la Compagnia vera del SS.mo, aveva ordinato che non più questa elemosinasse in chiesa per il SS.mo, dove che rendeva conto delle elemosine, ma elemosinasse l’altra compagnia da lui inventata e così infatti aveva incominciato quando che, essendo priore moderno Domenico Busi, la Guardia civica del paese vedendo questa (…) ed esosa proprietà dell’arciprete avido di danaro, imediatamente proibì li questuanti ed impose al d. priore Busi non portarsi più in posto ed in funzione, come seguì con piacere del popolo.
Soleva questo novo priore stare in mezo a due vilani e altre persone di infima classe di dietro al baldachino quando portavasi in processione il SS.mo senza cappa, ma col solo lume a cui seguendo popolo di sesso maschile con lumi, ne seguiva dappoi una donna, la rettora, con un lume e dietro a questa tutto il sesso feminile confusamente, né si osservava più il bon ordine cattolico.
Accadde in questa contingenza, che essendo capato il cittad. Sebastiano Lugatti colla cappa della Compagnia vera del SS.mo avendo veduto li questuanti della Compagnia larga raccorre in borsa le elemosine, terminata la funzione della processione del SS.mo in mezo la quale avevano questuanti li uomini dell’arciprete, ordinò a med. portare tutta la questua fatta alla chiesa dell’oratorio del SS.mo, come che tale questua era stata fatta per mezo del corpo capato e così seguì e fu deluso l’arcipretale prepotenza ed avarizia, che si portava in casa propria il danaro e non si poneva nella cassa ordinaria delle elemosine, d’onde non si vedeva mai li conti nel modo che si vedevano quelli della compagnia capata.
In seguito di ciò fu levata la tabella delli priori della Compagnia larga e fu per un amico a me consegnata che è l’unita. [A.26]
L’indulto della Quaresima fu pubblicato per carni ed ova e fermo la vigilia di tutti li venerdì, mercordì, sabbati e quattro tempora per l’uso di olio e fu concesso servirsi di tutti li altri cibi consueti.
E’ da notare che essendo stata abolita le feste di tutti li Apostoli con altre, li nostri villani nulla attendendo a questa proibizione vollero santificare la festa de medesimi come il consueto e la prima festa fu quella di S. Mattia apostolo.
L’arciprete andato finalmente a Bologna al rendiconto intimatole, ritornossi a casa scontento per il contraditorio patito col d. Sebastiano Lugatti, ocultandosi per ora l’esito essendo venuto in campo l’amministrazione delli rediti dell’ordinato Ritiro di Citelle e della compagnia supressa di S. Cattarina.
Essendo stati introdotti in Roma li francesi, tosto questi possero in ostaggio quattro Cardinali e quattro Principi col Papa guardati nel Vaticano. Fra li principi vi erano li due nipoti del Papa e li boni romani si sentirono male.
In appresso il Papa, poi condotto a Firenze scortato da 500 dragoni francesi in una letica, fu ragionato che egli stesso addomandasse questo viaggio per non vedere a Roma la rigorosa giustizia contro li di lui nipoti.
Essendo stato fatto predicatore quaresimale di questo loco certo D. Stanislao Bragaglia medicinese ed ajtante missionario, uomo di povero talento, accadde che predicando allora seminava proposizioni ereticali perciò fu deposto dalla predicazione.
Tornato in campo il rendiconto dell’arciprete, ordinò la centrale questo si effettuasse avvanti la Municipalità con il detto cittad. Lugatti.
Fu per la prima volta messo in esecuzione la Cedola per la riscossione delle tasse del terratico, le quali per il passato si maneggiò tanto dal Senato contro il card. Boncompagni per che non acadesse questa tassa, a cui fu dato il titolo di Scutato poiché a raguaglio del valore de tereni stimati a scudo e non a lire fu così denominata. Né si fermò quivi la imposizione poiché si appose anco sopra li edifici urbani e cioè sopra le pigioni delle case pagando un cinque per cento sulle pigioni che si riscuotono e fu detta questa imposizione: Casatico in modo che li possidenti tutti vanno in spesa e quel bene che commettevano li ribaldi, diviene una insolvibile gravezza a tutti.
Contemporaneamente fu intimato lo sfratto dalla Regul. a tutti quei poveri preti francesi che non avevano volsuto prestarsi al giuramento contro li sovrani ed il Papa.
Li francesi che erano entrati in Roma di quando in quando venivano batutti in quella, ma ciò non ostante passarono nel napoletano ove sebbene vi erano molti patriotti ebbero non indiferenti ressistenze con spargimento di sangue.
25 marzo giorno della SS. Anunziata e domenica di Passione si fece più del solito pomposa la festa del Crocefisso non velato alla cui processione vi intervenne tutta la truppa civica del Castello e Borgo, tutta in montura ed uniforme verde e divisa rossa scarlatata, con fucili uniformi. Fu questa truppa divisa in tre classi cioè di Fucilieri che portavano il capello con penone repubblicano, di Granatieri col berettone alla francese e di Cacciatori che portavano l’elmo in capo nella cui fronte vi era una lamina di ottone risplendente su cui era impresso un corno da caccia e sottoposte le parole a lettere majuscole Libertà o Morte.
Accompagnò questa truppa l’Imagine del X.to per il Borgo e Castello colla banda militare di Imola, composta delli suoi strumenti musicali che interpolatamente sonavano dopo li versetti del Vexilla posto in musica figurata, cioè sistro, pletro, oboe, fagotto, clarinè e corni, tutti in uniforme imolese turchina e bianca.
Terminata la funzione nella publica piazza del Castello colla benedizione della miracolosa imagine, seguirono dodici scarichi di fucileria con evoluzioni militari ora quadrate , ora di punta, ora di faccia, ora di fianco ed ora con ritirata e tamburo battente, il tutto diretto dall’ajutante Angiolo Genovesi quivi stabilito. A tale funzione vi fu gran concorso di forestieri.
In questo frattempo Antonio Giorgi Giudice di pace, vero egoista, fece un memoriale al Direttorio contro le familie del tenente Gianfrancesco Andrini, Sebastiano Lugatti ed Ercole Cavazza, facendo soscrivere la petizione a molti senza legerli il contenuto, ma solo verbalmente le diceva a suo capricio, quello le venne a mente per estorcere la loro firma. La copia passò alla Centrale a Bologna ancora.
Si conteneva in questo ricorso che le d. tre familie erano disturbatrici la quiete del paese e pure nella nova formazione delle autorità si prepara a non averle in considerazione. Fu la petizione soscritta da alquanti individui della Municipalità. Motivo di questo ricorso fu perché l’Andrini come ispettore non volle sottoscrivere la denunzia dell’arciprete Calistri data sulle entrate della chiesa perché questa era mendace facendo comparire di solo L. 727 di Bologna, quando che ecedeva le lire mille, appurato dalli aggravi.
Il Lugatti veniva attacato per petizioni contro la tranquillità dell’arciprete in causa del rendiconto su la Aministrazione de beni della supressa Compagnia di S. Cattarina appartenuti all’Ospitale delli Infermi parrochiali e viandanti. Rapporto a Ercole Cavazza per avere somministrati lumi e documenti di estorsioni ed avvanie dell’arciprete ed inconguenze note.
Adì primo aprile, domenica delle Palme, due ore avvanti il meridio, cominciò a nevicare e fu gran freddo. La neve fu alta quanto larga, durò a nevicare fino alle 21 d’Italia pomeridiane, venne molto alta ma durò poco in terra.
Si pubblicò ordine del Re di Spagna che richiamava a casa li exgesuiti, che dovessero alla fine del entrante Aprile partire li potenti ma li impotenti restassero ove erano stanziati.
Adi 9 aprile seconda festa di Pasqua di resurrezione avendo il cap. Sebastiano Lugatti fatto stampare un foglio e pubblicato, dispiaque oltremodo all’arciprete, cosichè fatti racorre tutti quelli che potette e la sera delli 15 che fu l’ottava di Pasqua li uscieri della Municipalità Carlo Giorgi, Lorenzo Alvisi con Filippo Tomba, verso l’avemaria mesero un foco alla vicinanza dell’arbore nella pubblica piazza del Castello, fra schiamazzo abbruciarono tutti li fogli raccolti de quali avendone noi copia stampata la uniamo alla presente [A.27] col foglio dell’arciprete del di lui stato ma tutto suretizio ed oretizio dietro la quale noi ne anettiamo la genuina nota. [A.28]
Accese le carte non mancarono Giuseppe Oppi detto Gussolo con Lorenzo Alvisi chiamare popolo e ragazzi che gridando seco loro: Mojano li romani, mojano li tiranni, era divenuta tutta la piazza un bacano. Giojva l’arciprete e da una fenestrella del suo fenile dove era l’oratorio vechio del SS.mo, vicino alla chiesa parochiale sopra il portico, ancor esso concoreva con battimano, vedevasi per questo tumulto adito aperto ad una insurezione a cui per ovviare il dott. Francesco Cavazza capo battaglione sortì con patuglia alla testa della quale ponendosi con uficiali fu terminato tutto il rumore, per coonestare poi questa nascente insorgenza il d. Oppi con Giovanni Inviti entrambi sonatori di violino, con Marco Martelli sonatore di corno andarono sul punto colli instrumenti loro a sonare danze attorno l’arbore dove sfacendati ed impertinenti donne sfaciate ballarono indecentemente. Ma presto terminò il bagordo all’arrivare della Civica.
La mattina seguente diede la relazione di tutto alla Municipalità che la ricusò per essere parziale dell’arciprete, ma fu poi spedita alla Centrale di Bologna e fu anco scritto al Direttorio di Milano.
Si duplicò la dispensa di detta stampa e furono seminate per il Castello e Borgo, contemporaneamente si videro cartelli affissi ai luoghi soliti di cui ne mettiamo la copia [A.29] da trascriversi dopo l’inserto del divisato foglio e apporsi a questo loco del seguente tenore, al quale aggiungendovi ancora la nota dei rediti della parochiale data dall’arciprete, si riscontrerà anco la apposita da noi fatta genuinamente.
In questa giornata ritornarono da Imola a Bologna 4 mila francesi dietro li quali il giorno seguente vi vennero mille polacchi per incaminarsi al mantovano temendosi ivi una rivolta.
Stanca la nostra Civica di stare di quartiere nella Casa Municipale, venne instanza alla Municipalità di traslocarsi nel Borgo entro l’Ospitale de Pellegrini nella via corriera. Ostò un pezzo la Municipalità, ma doppo lungo diverbio cedette alle ragioni della Civica a condizione che fosse provisoria la concessione. Con questo termine pendente l’affare, ricorse la Municipalità alla centrale per eludere la Civica, ma questa chiamata in contraditorio con il Capo battaglione Cavazza, l’ajutante Gaetano Andrini e il cap. Antonio Sarti, fu deciso che il quartiere permanesse nel Borgo.
Pendente ancora la dibriga del rendiconto dell’arciprete intorno alli rediti del Ritiro, il giorno 23 agosto furono date forti petizioni alla Municipalità in seguito delli impulsi publici per li cartelli affissi, altri gridavano contro l’arciprete ed altri contro la Municipalità. Lorenzo Alvisi, ma interotto da Nicola Bertuzzi, con voce alta gridò: No! poi: No Calistri, un Camero piuttosto. Riscaldati alcuni dal vino cominciarono ad altercare, ma la guardia vicina tutto pose in calma con due patuglie ambulanti.
Lusingavasi così l’arciprete eludere l’aspettazione comune et adormentare la municipalità, ma indarno le riuscì pochè, sortito per novo Presidente il cittad. Giacomo Lugatti fratello di Sebastiano, posto in divisione riescì tutto l’oposto, perciochè intimò all’arciprete presentare tostamente il rendiconto.
Adì 9 maggio, essendo iminenti le rogazioni di M. V. che cadono nel dì 14 corente, la Municipalità, inerendo alle nove providenze republicane di procedere nelle solenni processioni con distintivi, intimò la medesima alla arciconfraternita del Rosario deporre li suoi distintivi soliti cioè gonfalone, padilione, lo stendardo di tre traversi e la paliola ma solo dovesse portare la croce e deporre anco la bandiera, fu ancora ordinato rompere l’uso delli quattro Assunti e Mastro de Novizi, quali avendo il distintivo, li primi di portare ciascuno il loro bastone con sopra una reliquia e imagine di Maria dipinta e contornata di lamina inargentata ed il Mastro de Novizi, regolatore della processione con bastone di comando avente sopra sculturata in bronzo dorato la B. V., furono costretti deporre tali distintivi con intimazione fatta al loro priore dott. Luigi Trocchi.
Fu inibito ancora l’arciprete a ricevere la solita coletta con l’aggiunta che tali proventi li dovesse deporre nell’erario republicano, così fu ancora intimato all’altra compagnia del SS.mo SS.to, a cui competeva la funzione delle Rogazioni. Una tale novità fu un annunzio di persecuzione del Culto et onore di Dio. Universalmente fu dispiaciuta questa providenza e vi fu clamore.
Accadde in questo tempo che Rimigio Cella pizzicarolo, avendo venduto carne porcina investita, fece a molte persone male che si credette perdessero la vita, quindi la Municipalità, vigile alla salute, fece tosto fermare le carni salate ed investite. Al taglio erano rubiconde e belle, per quanta analisi si potesse fare alle med. nulla si potette dedurre.
Un carnajolo del med. Cella, invechiato nel mestiere, acusò che ciò procedeva dal sale poiché il Cella lo teneva in vasi di rame in modo che divenuto verde si poteva dal med. ricavare il verderame che è velenoso. Fu pronta la Municipalità al riparo ed insaccate tutte le carni investite le fece portare nel campo della Baruffa fori di porta Montanara e quivi, aceso gran foco, abbruciò tutta l’investita a vista del popolo e guardia Civica. Fu considerato il danno di scudi settanta romani.
Adi primo giugno in virtù di una circolare della Centrale di Bologna diretta a tutta le Municipalità del dipartimento di dovere sigillare tutti li archivi delli Corpi eclesiatici, libri, carte e riacontrare ancora li vasi sacri e cose preziose.
Il Pressidente Municipale Giacomo Lugatti si portò ne respettivi locali del paese e sigillò tutto e quanto ritrovò alle corporazioni del culto. Furono questi li Cappuccini, l’Ospitale delli Infermi della nostra nazione, la chiesa delli Agostiniani detta di S. Bartolomeo, Suffragio delle anime del Purgatorio in quella chiesa, nella parochia la Compagnia di S. Antonio Abbate, del Rosario, di S. Giuseppe della Compagnia del SS.mo, di S Francesco de MM. OO. e di S. Antonio da Padova in quella chiesa.
Dappoi ne venne altra circolare dal Direttorio ai capi de conventi di dare la nota de suoi sacerdoti, de laici e terziari ed oblati permanenti ne respettivi loro conventi il che fu tosto eseguito.
L’arciprete restio a dare li conti fu motivo a che il cittad. Sebastiano Lugatti scrisse ressentitamente all’avvocato Giacomo Pistorini, Ministro del Potere judiciario in Bologna, affine che desse sfogo alle replicate instanze contro l’arciprete che finora erano state inutili. Si scosse il Pistorini dal sonno e fu chiamato a Bologna il Lugatti dove si fece un diverbio. Queste vicende nascono poiché l’arciprete aveva corotto il Ministero, onde divulgatosi per la città escirono carte stampate intorno alla corutela che vengono originate sull’appoggio che quando si creano autorità del culto non si osservano le leggi.
Mentre una di d. carte così canta che la elezione de vescovi nei primi tempi della chiesa spettava al popolo e così quella de parochi o siano corepiscopi. In oggi tali elezioni si sono devolute rispetto ai primi al Papa, quanto ai secondi sono devolute le nomine ai vescovi, che hanno spogliato del Jus le populazioni e le comunità. Quindi si fanno per lo più li parochi per impegni e simonie, donde ne sono nati tanti abusi, che ancor che il loro ufficio non esercitino conviene sofrirli, né mai sono ammovibili, per che li vescovi essendo loro creature li stessi parochi non v’è ragione per rinovarli.
Le tasse li inpinguano, le primizie li inpoltroniscono, sia fisso loro un congruo assegno e levati tutti li interessi, sarà proveduto meglio il culto, onorata la casa di Dio e venerato maggiormente il medesimo.
Adì 7 giugno vigilia del corpus Domini venne ordine a questi P.P. Guardiani di chiudere la chiesa se fra tre giorni non avevano fatti li inventari della robba loro e data la nota de permanenti in convento.
Avutasi notizia che il paroco di S. M. di Varignana aveva fatto atterrare l’arbore di Libertà, che per farle dispeto era stato piantato avvanti la piazzola della di lui chiesa dalli democratici di quel castelletto, per li quali era capo Battista Bianchi, la Guardia Civica di Castel S. Pietro osservando alle presenti leggi portossi nel dì 9 giugno ad arrestare quel paroco D. Pietro Zanarini senza lasciarlo fare neppure le sue funzioni di culto divino ancor che fosse festa di precetto.
Era sacerdote buono, vero catolico e nemico perciò della idolatria e de nemici della chiesa e perciò vedendo certe contumelie ed affronti alla di lui ressidenza e casa di Dio, doppo avere veduto piantarsi per ben tre volte l’infame arboscello della libertà, fu sempre da esso fatto tagliare e l’ultima volta seguì il giorno sei andante dove mosso egli da estro catolico, dicendo che un legno insensato non doveva prevalere a quel legno della croce in cui Cristo fu per tutti confitto, armato di coraggio lo atterò esso colle proprie mani tanto più che era piantato nella piazza della sua chiesa invitando il popolo ad onorare in chiesa il legno della S. Croce, arbore in cui pendette la rigenerazione umana.
Stefano Grandi speciale e segretario della Municipalità di Castel S. Pietro portossi in Varignana e fatto quivi un processo verbale, tosto arestato il paroco, lo condusse a Castel S. Pietro in mezzo alla guardia in una sortita seco, quivi giunto perché patisse rossore il povero prete e fosse esposto alle contumelie republicane lo condusse per la via Maggiore alla piazza del castello ove era infinito popolo e quivi lo fece girare seco, tirato dalla caretta, tre volte attorno all’arbore repubblicano.
Si sentirono con risserva lagnanze dal popolo che vide questa vergognosa funzione. Fatta questa carola, fu condotto nella sala della Municipalità ed ivi raccomandato alle guardie, ove pernotò fino al giorno seguente 10 corente giugno ed il giorno 11 venne di Bologna il commissario Lai ufficiale di polizia ed in forma solenne lo condusse a Bologna di dove poi passò a Ferrara.
Sucessivamente il doppo pranzo, che era la domenica giorno sud. 10 giugno, la Guardia Nazionale di Castel S. Pietro con otto ufficiali e stato maggiore della med. si portò a Varignana col Presidente Domenico Grandi, fattore de P.P. Barnabiti, con Stefano Grandi segretario municipale e, spiegata la tricolorata bandiera, a tamburo battente progredirono a quel castelletto ove giunti piantarono l’arbore novamente nel loco dell’altro.
Li 14 d. fu proclamato d’ordine del direttorio che le corporazioni lajcali non dovessero più portare distintivo di cappa e sacco. Sul momento la municipalità intimò questo decreto ed ordine a tutte le compagnie del Castello, di cui ne anettiamo la copia diretta alla Congregazione del nostro Suffragio in S. Bartolomeo. [A.30]
Adi 19 giugno giorno di lunedì venne quivi l’Abate Valeriani di nazionalità veneziana, moderatore del Circolo Costituzionale di Bologna, coll’effetto di instituire in questo loco un Circolo ed andò, doppo un invito pubblico, nel teatro della nazione nostra e quivi ordinò che si facesse il circolo ogni domenica sera. Prevenne questa sua ordinazione con un suo lungo discorso sopra le eguaglianza e libertà, quale terminato elesse poi per suo Moderatore il cittad. Sebastiano Lugatti, quale sul momento fece una dotta introduzione.
Fu in appresso con altro decreto del Direttorio, di cui ne anettiamo una stampa, proibito fare processioni di penitenza, di giubilo e simili fuori dal Recinto ed interno delle respettive chiese, cosichè restò imprigionato il X.to. [A.31]
Adi 22 d. passarono da Bologna ad Imola truppe francesi. In questa contingenza fu posta fuori una contribuzione di letti in proporzione della forza de possidenti, ed a me ne toccò uno che mi convenne spedirlo a Bologna in S. Ignazio.
Contemporaneamente si pubblicò un editto che tutti li parochi e possessori di beni eclesiatici dovessero dare nota de loro proventi, non che de li loro agravi e pesi.
Seguì pure un altro ordine di Milano, che si opprimessero tutti li conventi delle monache del bolognese ed andassero alle respettive case, senza nepure portar via la propria dote.
Nel dì 22 d. fu intimato a tutti li Capi Cantone fare nel giorno 24 corente una festa populare e militare in memoria de l’arivo de francesi nel 19 giugno 1796 e della aleanza contratta fra la Cisalpina e Francia. Fu ciò eseguito puntualmente in Castel S. Pietro con evoluzioni militari nella piazza e con bagordi intorno all’arbore, dove intevennero tutte le autorità locali.
Nel dì 25 d. doppo questa congratulazione, si pubblico l’ordine di una nova contribuzione col titolo di prestito forzoso pecuniario in proporzione delle proprie possidenze.
Adi primo lulio domenica del mese si fece la processione del SS.mo solo entro la chiesa, quantunque fosse bel tempo e ciò a motivo del decreto di Milano di non sortire con funzioni. La sera di questo giorno si fece il primo Circolo nell’oratorio della sagrestia della Compagnia di S. Cattarina e non più nel teatro.
Fu posto in stato di accusa il Giudice di Pesce Antonio Giorgi notaio avvanti la centrale per le di lui arbitrarie condanne e corotta giustizia. l’ufficio della Gabella in Castel S. Pietro fu chiuso.
Essendo sempre continuata la pioggia dal mese di aprile fino ad oggi e raro era il giorno che non cadesse aqua e, non potendo li villani far le sue operazioni né mietere, si facevano perciò orazioni da per tutto, finalmente esposto alla pubblica venerazione il Crocefisso nell’oratorio del SS.mo SS.to per tre giorni , il terzo giorno cessò la pioggia e rasserenò il tempo cattivo. Ottenuta la serenità, si fece il solenne ringraziamento.
Le contribuzioni crescono e per danaro e per robba, letti, per prestiti forzosi e bestiami. Arivò ordine del comissario Carlo Caprara che si mandassero fuori dai conventi tutti li terziari. Furono perciò espulsi tre poveri terziari di questo convento di S. Francesco, con danno al med. e si sentì clamore nelle persone probe per mancanza di questi che servivano la chiesa.
12 lulio fu novamente messo in istato di acusa il sud. Giorgi Giudice di Pace per tre capi presso la polizia di Bologna, cioè di prevaricazione o sia corutela di giustizia, per lesa Costituzione e per estorsioni. L’acusatore fu il cittad. Sebastiano Lugatti ma, essendo patriotto il Giorgi, la facenda passò con una acre ammonizione. Le prove di acusa furono per avere decretato a favore di Francesco Tombarilli del Comune di Castel S. Pietro contro Luigi Tozzi di Dozza, per danari depositati in officio e vincolati col dividersi il deposito fra esso e creditore.
Le estorsioni furono col farsi pagare li emolumenti da notaio più della tassa da Giuliano Fiacca e Domenico Albertazzi. Per lesa Costituzione coll’avere mandato alla casa di aresto molti senza la dovuta cedola e per non evere volsuto esaminare Luigi Farnè detto Bevilaqua se non a suo talento e non entro il prescritto termine dalla legge. Molti altri aresti furono eseguiti per ordine suo senza processi. Molte altre prepotenze ed aresti seguirono anticostituzionali, che furono dedotti in Bologna presso la Polizia, ma fu spaleggiato molto da Filippo Tomba suo assessore.
Essendosi pubblicato un bando che tutti li parochi dessero noto de loro rediti e d agravi, profitò di questa mosione il cittad. Sebastiano Lugatti per chiamare novamente l’arciprete ad un rendiconto e di fatti l’arciprete tosto diede la nota, ma non fu fedele poiché era oretizia e suretizia in modo che il d. Lugatti invitò con sua stampa li parochiani a proclamare.
Il foglio dell’arciprete presentato fu copiato ed è l’annesso, colla stampa del Lugatti e la sucessiva analisi, ma niun effetto ebbe poiché l’arciprete Calistri col d. Giorgi e municipalità sono tutti quanti patriotti e però nella loro iniquità vengono anzi protetti, non che coretti né puniti.
Nota della rendita annuale di D. Bartolomeo Calistri di Castel S. Pietro a norma del proclama 20 giugno 1797:
Una possessione detta la Querzola ed un predio detto la Bassa posto nel comune di Castel S. Pietro d’una semina corb. 27, rendono un anno, per l’altro netti da spesa, l. 900
Primizie crivellate detratte le spese l. 238
Pezza di terra detta la Scania di Sotto, Crocetta affitata a Sebastiano Ciuchini l. 155
Pezze di terra dette Rivolta prima, Rivolta seconda, Chiusura, Larghetti nel comune di Castel S. Pietro affittata a Giovanni Rossi l. 220.
Pezza di terra nel comune di Liano affittata A Gio. Battista Ghini detta il Bosco l. 20 con più tre libre formaggio ed un agnello.
Censo contro il cittad. Nicolò Giorgi l. 200
Censo contro la cittad. Ginevra Conti Castelli l. 162: 10
Censo contro l’Abate del Pogetto l. 68
Censi contro li eredi Dalla Valle ed Alberici l. 20
Canoni contro li eredi Landi, Garbani, Confraternite di Castel S. Pietro e Municipalità l. 103
Somma l. 2088: 10
Agravi l. 1330
Rimane l. 758: 10
B. Calistri
Siegue la nota delli agravi e pesi per detta rendita.
Per libre due pepe al capitolo di S. Pietro di Bologna l. 3: 10
Per spolio e galero alla tassa nazionale l. 14:10
Per la tassa di tornatura l. 30
Al rettore di S. Biagio l. 85
Per candele di cera nel giorno della purificazione l. 16
Messe pro populo l. 85
Per l’esposizione del SS.mo l. 15
Messa festiva al capellano l. 85
Regaglia al med. per la descrizione dello stato dell’anime l. 15
Per il mantenimento dello stesso l. 420
Per il via delle messe in parochia l. 24
Per i biglietti della Pasqua l. 10
Per la pigione del beccamorto l. 10
Per il vino all’ospitale delli infermi L. 20
Per il mantenimento di un cavallo l. 250
Per il mantenimento di un uomo a governarlo l. 100
Per il mantenimento delle fabbriche della chiesa, canonica, campanaro e supeletili di chiesa l. 60
Per rimessa di arbori nella pezza di terra, ripari alla fossa l. 10
Per incenso e cera nella settimana santa l. 5
Per la visita pastorale, cresima conputata ripartitamente alle chiese del vicariato l. 30
Per la congregazione de casi l. 30
Tassa per la Guardia Civica l. 12
Analisi fatta alle addecontro spese che non susistono e sono le addecontrate alle partite ……..
…………………………………………………………………………………………………..…………………………
Le candele di cera nel giorno della Purificazione non si dispensano, ergo le Messe per il Popolo, ora che sono supresse le feste non sono che per giorni 40.
L’esposizione del SS.mo sta tutta in carico della Compagnia del Rosario ergo, la messa festiva del capellano sono pagate dalla compagnia di S. Antonio abate ergo …………………………………………………………….………………………………………
Vino delle messe in parochia, vi ci pensa il campanaro. Ergo. li biglietti di Pasqua per la comunione solo ogni 6 anni si tengono perché l’avarizia dell’arciprete fa servirsi de med. biglietti colla rinovazione del solo nome del millesimo.
Al bechino osia beccamorto non vi si dà paga, né pigione mentre questi vive colle tasse sinodali.
Il vino per li infermi è falsa la sovenzione poiché li ospitalieri vanno in questua dell’uva e colgono castellate, aggiungasi che li malati non bevono vino e solo tre giorni di convalescenza hanno in loco.
Per il cavallo, l’uomo non si paga, mentre è addossata la briga al campanaro. La manutenzione delle fabriche e chiesa non regge, mentre tutto sta male.
Per l’incenso e cera nella settimana Santa è pagata dalla Municipalità.
La visita pastorale è rarissima solo si fa ogni sei anni e più.
Per la Congregazione de Casi concorono alla spesa li parochi del vicariato .
Ergo si aggiuge che la semina della possessione è di c. 30 grano e si raccolgono un anno per l’altro c.200 grano e castellate uva N. 18 un anno per l’altro. La grugiaglia non si è computata. li marzadelli di fava, foglia moro, carne porcina, patti contanti si sono omessi colle regaglie.
Il livello dei beni a Ganzanigo, Landi e Garbagni sono scudi (..) 27 contro il fratello Modesto Calistri investito.
Il loco detto Bassa semina c. 4 e si raccolgono ogni anno 50 corbe grano, uva castellate 3 per lo meno, per atti. carne, ragaglia si è omessa. ergo….
Si sono omessi un luogo nel comune di Casalecchio de Conti semina c. 6 d’uva e di grano ed altro che si racoglie ergo….
Li rediti della Casa del Ritiro si sono ommessi,
Li l. 100 della cittad. Ginevra Fabri
Li l. 100 per la madonna di Guadaluppe.
Il profitto di Stola, Campane e Battesimi. per cera ed offerte.
Per le supoltuarie che in tutto ogni anno ammontano a l. 300.
Li livelli della Compagnia del SS.mo di l. 100, della supressa Compagnia di S. Cattarina l. 20 annue, tutto il mantenimento aparati, oglio e cera per la messa che si caricano alla Compagnia del Rosario ed esso ne va esente. Le ostie si pagano dal campanaro, la coletta delle ova in campagna e Castello, la coletta del filo per l’Ospitale, le sovenzioni della Compagnia di S. Antonio abbate, S. Giuseppe. Compagnia larga del SS.mo da esso inventata ed altretanti agravi da lui imposti che molto ci vorebbe a descriverli, perfino la sepoltuaria in chiesa ha la tassa, né si computa, ergo si vede la enormità.
Li terziari che erano in questo convento di S. Francesco furono spogliati dell’abito, le monache sono traslatate da un monastero all’altro entro carozze e molte altre si sono andate a casa e ritirate. Così hanno fatto anco li frati.
Li 16 d. venne una lettera stampata dalla Polizia di Bologna in data delli 12 messidoro diretta alla municipalità ed al paroco di non dovere da qui in appresso portare alli infermi il viatico SS. con lumi e pompa, ma incognitamente e coperto, così pure di non dovere più portarsi li cadaveri visibilmente alla popolazione ne salmeggiare.
Il primo cadavere fu la stessa sera di Pietro Minghetti e di un fanciullo per nome Sigismondo ………. Furono ricevuti alla porta della chiesa parochiale da D. Filippo Cupini tabulario e sagrestano se e come fossero stati cani senza suono di campane e lumi per modo che fu gran sussuro massime nelle donne.
Così pure accadde la stessa sera per un fanciullo filio di Antonio Mingoni detto Pighino, senza alzarsi croce e lumi.
Li 22 lulio in sabbato fu in Bologna nel prato di S. Francesco giustiziata alle ore otto italiane Annunziata di Domenico Morara di Castel S. Pietro per furti qualificati. Dall’anno 1712 fino a questa parte non si erano punite donne colla morte. Questa fu la prima che andò alla ghigliottina.
In questo giorno io fui estratto per Moderatore del Circolo Costituzionale di Castel S. Pietro e quantunque ricusassi l’impegno, fui cominato dalla polizia del paese di aresto per un mese intero, fui così costretto servire mio malgrado.
Li 23 d. in virtù di ordine del Direttorio e Centrale di Bologna questa Municipalità andò in possesso della Casa del Ritiro locale e suoi effetti, escluso quindi l’arciprete dal governo ed amministrazione.
Li 26 lulio giorno di S. Anna su le ore 10 italiane fu fatta la prima comunione di viatico nel Borgo senza lumi e nascostamente il SS.mo. Il popolo che teneva dietro al sacerdote capellano D. Francesco Landi portante il viatico in tasca entro un picolo scatolino o sia teca d’argento, fu infinito con gran susurro e pianto per la strada. Andò il SS. alla cittad. Domenica qd. Francesco Dall’Oppio vedova del fu Matteo Farnè ostessa alla locanda della Corona, casa propria.
Non ostante la proibizione del culto li figli della inferma Nicola, Antonio e Felice col loro staliere e serventi ricevettero nella porta dell’osteria il SS.mo che si teneva in tasca dal d. capellano oculto e con lumi fu accompagnato alla stanza dell’inferma.
Si accorse il popolo di questo viatico perché il sacerdote andava senza cosa alcuna in capo, ma acompagnato da un solo chierico, ancor esso scoperto il capo per venerazione di Dio.
Li 27 d. venerdì la municipalità andò in possesso de beni dell’Ospitale delli Infermi del paese. L’arciprete si vide perduto e tacque. Si pubblicò contemporaneamente un rigoroso bando sopra li alarmati e contro li preti parlanti di insurezioni e si imponeva nello stesso bando prendere le armi contro li insorgenti e fermarli sotto pena di morte, ingiungendo ancora reprimere li preti fugittivi.
Fu proclamata anco una legge sopra le Compagnie imponendosi alla medesime esercitare li loro ufici nelle respetive parochiali.
Venero fuori nove contribuzioni in via di prestito forzoso senza frutto. La municipalità pure proclamò con suo editto che si dovessero tenere chiuse le bettole ed osteria dopo l’ora di notte. [A.32]
Li 30 lulio si presentarono alla Municipalità alquanti Inspettori del Circondario e fecero instanza che volevano si osservassero li soliti riti per le S. Comunioni e feste. Questa mozione seguì sull’esempio di alquante parochie di Bologna che non volero accettare la legge sud. contro il culto ed in alcuni luoghi, volendosi accompagnare il viatico con lumi, naquero tumulti.
Così accadde oggi primo giorno di agosto mercoldì in Castel S. Pietro inperciochè, facendosi la S. Comunione a Stefano delli Antoni abitanti nella piazza del castello, fu levato a forza dalla parochiale coll’ombrello sopra il sacerdote portante la SS. eucarestia all’infermo cantandosi le solite preci accompagnato da alcuni populari, solo che non si suonarono le campane né si portò la croce avvanti.
Domenico Grandi fattore de Barnabiti fanatico patriotta, cominciò a biasimare la contradizione alla legge. Le genti cessarono il canto a voce alta, ma recitarono le solite orazioni e preci a voce bassa temendo la autorità di questo irriligionario ocupato nel governo democratico.
Li 15 agosto si ebbe nova per la parte di Venezia che nel fine dello scorso lulio fu distrutta la flotta francese dalli inglesi sotto la condotta del valorosissimo amiraglio Yot Christian Nelson inglese giovane di anni 35 quale con frotta di 13 bastimenti di linea che erano sotto Malta, passando da suoi posti vanno per il Faro e sorpresa la flotta nemica francese, coll’abbreviare il suo viaggio per cinque giornate, raggiunta la flotta francese le diede una fierissima battaglia a foco che affondò 13 bastimenti francesi, morirono 4 mila de francesi e più.
Furono fatti molti prigionieri, fra quali, Bonaparte, Bertier ed altri due de più illustri guerieri francesi che traportavano con tutto il convolio li tesori di Loreto e Roma in Francia. Riescì però con stratagema a Bonaparte la fuga ed a Bertier. La battaglia seguì quattro milia distante da Tolone porto della Francia.
Fu sentita la nova con grande giubilo dalli aristocratici. Le gesta del valorosissimo Nelson saranno registrate nei comentari delle presenti guerre e noi toccaremo solo di volo quel tanto che a noi appartiene in proposito.
Le racolte di grano sono ubertose. Li riti delle S. Comunioni che si ripristinarono furono di novo sospese. Li 26 agosto domenica si fece la fiera in Castel S. Pietro ove concorsero mercanti di ogni sfera.
In questo giorno non si fece il circolo a motivo che Stefano Grandi municipalista ancor esso ostava al med. che declinava in bagordo per le tante diverse composizioni che si recitavano doppo la spiegazione della Costituzione fatta dal Moderatore, né si poteva ciò negare quando il recitante lo chiedeva colle seguenti voci. Parola! Parola!
In questo stesso giorno si aprì la seconda speciaria entro il Castello dal cittad. Giuseppe Sarti paesano nella casa del cittad. Carlo e fratelli Conti, nella via Maggiore dove che li fratelli Stefano Grandi ed altri avevano fortemente sempre ostato, anco per via di estorsioni e regaglie.
Venero perciò due medici deputati e furono il dott. Tarsizio Riviera, dott. Antonio Gentili, vi erano seco il cittad. Francesco Lelli Speciale della Vita di Bologna con altro sogetto chimico e, per che non vi era il cancelliere notaio che si richiede in questi fatti per annotare li atti e la sigurtà del ministero tanto per la persona che per li medicinali, servì in questo fatto il dott. Francesco Cavazza come notaio da cancelliere
Adi 28 agosto, lunedì notte venendo al martedì su le ore quattro italiane, si sentì due volte il teremoto ma non fece strepito.
Dalla Centrale di Bologna essendosi decretato che si abolissero le quattro croci che in mezo alle strade delli quattro quartieri della città esistono fondate da S. Petronio, come pure si levassero le altre chiese che servivano di ingombro nelle strade in mezo.
Fu demolita la croce di porta presso S. Bartolomeo dove era un picolo pulpito in cui teneva S. Petronio le sue predicazioni posteriormente a d. croce e la capella picola in cui anco si celebrava ed erano queste quattro croci decorate di inumerevoli indulgenze. Nel distruggere questa capelletta si ritrovò incisa in marmo bianco la inscrizione seguente indicante essere decorato questo loco di insigni reliquie di S. Petronio, che convertì quivi molti eretici e fece venire alla religione cristiana molti ebrei li quali avevano poco distante il loro ghetto e cioè nella via vicina detta l’Inferno. La inscrizione è la seguente che in punto sono anni 1375 in cui fu consacrata.
Qui gregem suum
ab hereticis emundavit
hanc crucem
Insignibus reliquiis exornavit
anno partu virginis
C C C C X X X I I I
Le dette croci furono trasportate in S. Petronio, come si vede, colle stesse indulgenze per li catolici.
Adi 12 settembre si sparse voce che dal Governo si voleva in uno stesso punto ed ora un universale aresto di persone sospette che avessero intelligenza colla corte di Vienna, stanti li movimenti delle truppe austriache che si dicevano volte all’Italia, onde ognuno per tema si guardava dalle conferenze per evitare le accuse, ma poi non si verificò nulla.
Li 22 d. giorno di sabbato doppo la festa di S. Martino apostolo, essendo state consegnate due persone di Lugo e d’Imola con molta gelosia alla Guardia nazionale di Castel S. Pietro a motivo di malefici vistosi da consegnare poi alla guardia di Bologna, venero per ciò nel dì 24 d. giorno di lunedì dieci civici di Bologna per riceverli.
Accadde pertanto che, essendo mancanti dei dovuti recapiti, ricusò la nostra guardia consegnarli li arrestati fino a che fossero giunte le oportune lettere di Governo. Rimasero quivi per ciò li 10 bolognesi col loro capo squadra sergente Fornasini.
Dovendosi poi la sera per necessità fare la comunione per viatico Rosa Spisni moglie di Domenico Oppi detto Gambazza ad effetto di evitare la solennità di rito volute estinte dal Governo, il capellano parochiale Francesco Landi sull’Avemaria mandò fuori di chiesa tutte le donne che ivi erano adunate per la recita del Rosario già finita.
Si ingelosirono queste di una novità, alcune andarono alla casa ed altre sortite di chiesa si fermarono alla porta per vedere l’esito dell’ordine del capellano. Premurato il capellano dalli domestici della inferma prese tosto nel solito scatolino la particola sacra e sortito dalla porta della sagrestia della chiesa si incaminava velocemente alla inferma.
Le donne che di ciò si avvidero corsero ancor esse dietro al capellano, cosichè raggiunto in un drapelletto videro che portava il sacramento alla inferma sud. abitante nella casa di Antonio Magnani in facia alla chiesa di S. Cattarina ed a confina con l’orto delli supressi agostiniani. Arivato il prete alla porta della casa fu dal d. Magnani ed altri ricevuto il SS.mo con lumi e con quella devozione che si potette nelle presenti circostanze e fu chiusa indi la porta della casa.
Ma che? Passando ivi li Civici bolognesi col d. loro sergente cominciarono a cantare fortemente l’inno patriotico, in guisa che disturbavano le orazioni delli entroclusi nella casa.
Mosso dallo spirito pubblico il d. Magnani sortì e pregò li civici a desistere dal rumor per l’inferma e per la comunione che si faceva. Ubidirono questi e passarono dalla parte opposta alla casa prosseguendo il loro canto. Le donne che erano ivi amutinate aspettarono il ritorno del capellano per accompagnare il SS.mo alla chiesa credendo avesse più di una particola, onde poi ricevere secondo il consueto la S. Benedizione alla parochiale, ma si inganarono poiché il d. Magnani disse loro datevi alle vostre case e dite meco Viva Gesù, Viva Maria.
Si alzò tosto uno strepito grande che accorsero al med. ancora uomini, credendo una qualche insolenza accaduta dalli civici, li inseguirono fino fuori della porta di sopra ove venuti a parole seguì fra alcuni nostri paesani e quelli baruffa di pugni.
Li bolognesi quantunque avessero il loro sergente Fornasini armato di sciabla, che già l’aveva evaginata fu assalito con tale impeto da Luigi Musi detto Sbergnocola e da Lorenzo Alvisi usciere della Comunità che lo disarmarono. Le donne a tale tumulto fecero peggio delli uomini, cosichè restò finita quivi la pugna ma non del tutto, mentre ritornando in Castello li d. Sbargnocola col d. Alvisi incontrato altro civico bolognese che veniva in soccorso del sergente fu questo ancora sonoramente pugnato in modo che gridava: Misericordia. Pugnato a discrezione fu rilasciato.
Giunsero intanto di Bologna li ordini opportuni per la consegna delli arestati ma, non arischiandosi li bolognesi per timore di una altra pugna e seria baruffa, ricorsero alla Municipalità la quale, per non impegnare alcuno, fece partire li civici coll’arestato la notte del martedì accompagnati dalla Civica nazionale fino all’osteria del Gallo.
Adì 23 d. giorno di domenica furono pubblicate le nove leggi moderative e furono proclamati centralisti di Bologna l’avvocato Antonio Aldini di Bologna, Giuseppe dott. Mazzolani d’Imola e dott. Luigi Piani di Bologna per il dipartimento del Reno. Comissario del potere esecutivo Sebastiano Bologna.
Fu amazzato contemporaneamente Nicola Ponti detto Cavallino filio di Cesare Ponti da Pietro Oppi ed Antonio Sarti cognati nell’osteria del Portone quali tosto fuggirono nella Toscana. La medesima notte volendo la guardia arestare li sud. cognati fece nella piazza del Castello foco con mutue archibugiate ma nessuno restò ferito.
Li 26 d. da Bologna passarono per la Romagna N. 500 cisalpini che, doppo avere la notte scorsa fatta baruffa colli civici in cui restarono fra una parte e l’altra feriti 20 persone, si fermarono appena a bevere, temendo avere alla schiena un’orda di bolognesi, poi da Imola andarono alla volta di Ancona.
Si pubblicò nello stesso tempo che l’Imperatore aveva intimato la guerra alla Francia e Cisalpina. La Porta e la Russia fecero lo stesso. In seguito l’Inghilterra mandò una flotta contro la Francia nel Mediterraneo e così fece l’Austria contro la Francia. La prima abblocò i mari del genovesato e la seconda li mari del veneziano.
Il Circolo che finora era rimasto sospeso si riassunse ma durò poi poco.
Li 28 d. morì il sacerdote D. Luigi di Lorenzo Poggipollini di Castel S. Pietro in propria patria. Fu prete dotto e dabbene, esercitò lodevomente nel seminario di Bologna per anni dieci la Magistrale di Gramatica superiore nel seminari e fu comunemente spiaciuto.
In questo giorno vennero di Bologna 220 cavalli francesi e altrettanti pedoni, si fermarono nel Borgo ove, trovate le osterie chiuse a motivo del gran tumulto, naquero rumori temendosi di un sacco.
Il dott. Gaetano Conti filio di Francesco Conti di questo Castello essendo stato destinato per segretario della Centrale e popolo di Bologna presso il Direttorio di Parigi ed ambasciatore de bolognesi partì questa notte a quella volta per la via di Lombardia.
E perché le osterie non si chiudevano dalli osti non ostante l’ordine municipale a motivo che li osti acusavano non sentire le campane, ordinò la Municipalità che si battesse il tamburo all’ora di notte e così fu obedito il Governo.
Li 29 d. giorno di domenica si proclamò la legge delli Dipartimenti e distretti, non che l’ordine di un comizio generale per la approvazione della Costituzione della Repubblica Cisalpina.
Furono li comuni o siano parochie o sezioni N. 30 assegnati a Castel S. Pietro, come nel proclama unito in cui fu dichiarato capo cantone. [A.33]
Per d. comizio generale di Castel S. Pietro fu deputato Moderatore l’avvocato Luigi Ugolini che nel dì 31 del cadente ottobre venne a Castel S. Pietro. Arrivarono contemporaneamente 114 cavalli francesi e furono collocati in diverse stalle del paese.
Adi 31 ottobre adesivamente alle unite stampe si aperse il Comizio del distretto di Castel S. Pietro che viene segnato colla giornata 10 brumale anno 7 repubblicano all’ora indicata nella legge col N. di 143 cittadini aventi le condizioni prescritt dalla legge colla presidenza del cittad. Angiolo Scappi del comune di Liano come il più seniore delli intervenuti quale, colla assistenza di due segretari nominati cioè Vincenzo Andrini e Giuseppe Vergoni, fu scelto nella assemblea e dalla nomina del cittad. Ugolini, Domenico Grandi e per di lui segretari Sebastiano Lugatti ed Ercole Cavazza, per scrutatori furono deputati Bartolomeo arciprete Calistri ed Antonio (….).
In seguito si fece la lettura delle leggi delli 1 e 2 brumaio, ottenne il partito favorevole per la approvazione N. 51 voti affermativi e N. 94 negativi. Durò questa seduta più di ore sei italiane. Se vuoi maggiori lumi, lettore, io ti apresento le carte unite a stampa.
Contemporaneamente fu pubblicata la legge sopra la carta bollata da praticarsi nei contratti e tribunali, la quale al N. 4 resta unita ed aligata al presente quinternetto.
Essendo stato di novo chiuso e sospeso il Circolo, doppo fatta la seduta sud., si riaperse e mi convenne ritornare alle prime fatiche con mio incomodo e dispiacere. Ma che si ha a fare in tempi di insorgenze e rivoluzioni?. Ubidire anco a costo dello svantaggio. Unisco per tanto la prefazione da me tenutasi nell’oratorio della supressa compagnia di S. Cattarina ed è unita al presente quinterno al N. 5.(?)
Essendosi resa vacante per questi disturbi la scuola li 5 novembre furono affissi a stampa che anettiamo al N. 6. [A.34]
Contemporaneamente su mezo giorno arrivò la Centrale di Bologna a visitare questa municipalità, furono li centralisti li seguenti: Giuseppe avvocato Mazzolani d’Imola, Natale Cibò bolognese, quali fatte le loro incombenze e trovato tutto in posto partirono sull’ora de vespri per Bologna.
Li 11 d. Novembre passarono da Bologna ad Imola molti francesi pedoni e si publicarono altre leggi gravanti e disgustose, fra queste, che lungo saria annoverarle e registrarle, si publicò ancora la levata dei fondi stabili ai vescovi, lasciando loro solamente lire diecimilla milanesi annualmente, provento miserabilissimo alla dignità, al caratere ed alla autorita incompetente
Adi 19 d. venero di Bologna 22 canoni acompagnati da due battaglioni di francesi che doppo breve riposo andarono ad Imola.
Adi 28 novembre mercordì venne in Castel S. Pietro il generale della Civica di Bologna Sebastiano Tattini per organizare la Civica di Castel S. Pietro a cui erano sottoposti li comuni del suo cantone e distretto. Levò da questo tre sezioni cioè Castel de’ Britti, San Cristoforo, S. Lorenzo di Castel de Britti ed Idice.
Il quartiere della Civica nostra, traslatato nell’ospitale di Borgo, essendo stato giorni sono chiuso e trasportato nella casa municipale per dare quel comodo alle truppe francesi transitanti, il sud generale Tattini invitò il Consilio aministrativo municipale al quale radunato nella stanza delle sedute lesse alcune petizioni in proposito e declamò molto contro il pressidente Domenico Grandi ma fu poi persuaso del motivo della traslocazione, onde tosto se ne ritornò a Bologna accompagnato da nostri civici fino al Gallo.
Li 29 d. passò di Bologna ad Imola una grossa Cavallaria con bandiere spiegate ed instrumenti musicali d. volgarmente Banda. Si scoperse in Napoli una congiura contro il Re machinata dal principe Pignatelli, che scoperto fu arestato e severamente punito.
Malcontente le potenze di tante insurezioni di popoli fecero armi e genti per abbassare l’orgoglio francese ed invasione de stati non suoi. Furono queste l’Austria, la Russia, la Porta ottomana ed altre. In questi sconvolgimenti si scoperse in Bologna una maschera noturna ambulante vestita da scheletro umano guarnita d’arma da foco sempre calata, per cui le persone che la incontravano morivano di pavura, ne mai si potette sapere l’autore.
Temendo di qualche stratagema il comandante della piazza di Bologna, perché malveduti li francesi, ordinò che la Civica della città non dovesse più portare le armi cariche.
Il sale si acrebbe di prezzo e la gente gridò e temesi di una insorgenza.
Li 12 novembre Mariana Giorgi figlia di Nicolò, bella giovane, sposò Modesto Calistri fratello dell’arciprete nostro, uomo ricco ma di poca salute. Per tale matrimonio inaspettato si fecero grandi ciarle contro l’arciprete, perché la filia era troppo familiare ed attaccata all’arciprete seco lei amoreggiante.
Li 4 dicembre martedì avendo intesa la populazione di Castel S. Pietro come la domenica scorsa sull’ora di notte in Castebolognese era nata una sollevazione contro quella municipalità a motivo d’essersi fatte chiudere alcune chiese che durò fino alle 8 anco a motivo che il sale si era cresciuto di dazio e dippiù si era posto in quel paese il dazio della macina, giamai pagato da quella populazione, ne accadde perciò che a furor di popolo furono aperte.
Presentitosi dalla populazione di Castel S. Pietro che nello stesso modo si volevano pure chiudere alcune chiese, massime quella della compagnia del SS.mo ove è il crocefisso miracoloso, si amutinò costà la gente nella pubblica piazza e violentemente corse al quartiere della Civica esistente nella casa municipale e se ne impadronì le armi e di tutto cacciando la guardia e con clamore gridando: Vogliamo le nostre chiese aperte ed officiate.
Non ebbero ardire li municipalisti radunarsi per non arischiare la vita e così restò la casa e quartiere a discrezione del popolo, ma perché si incontrava la notte buja si accese foco nella piazza, prendendosi della bruciaglia destinata al Quartiere. La Guardia non avendo loco si impossessò dell’oratorio e chiesa per che non acadessero disordini e stette tutta la notte aperta a guardata fino a giorno.
La Municipalità diede aviso a posta forzata al Governo di Bologna per avere providenze. Intanto che si facevano queste cose, li populari, capo de quali si era fatto Gaspare Sarti fratello del sud. Antonio fece fare la esposizione del crocefisso e portarlo alla pubblica venerazione nell’altar maggiore di d. chiesa. Invitato così il popolo, la piazza ondeggiava di gente, vi si celebrarono messe e dissero orazioni. Il d. Sarti così si contenne anco per che era confratello di quella compagnia del SS.mo e per calmare il furore del popolo.
In questo contratempo abbisognando del viatico Teresa Tomba vedova Amadesi, venuto a notizia alla gente adunata in piazza corse nella parochiale all’effetto di fare eseguire al capellano il rito di culto publicamente secondo il consueto, ma in ora supresso.
Passò il popolo alla sagristia per forzare il capellano alla solennità del Viatico. Ricusò questi la pubblicità, ma li amutinati corsero al campanile e forzate le porte ascesero le scale e spropositamente sonarono le campane per modo che a tale iregolare suono invitati li contadini corsero al Castello chi con arma chi con bastoni ed entrando in chiesa tutti furenti si temeva di gran scandalo.
L’arciprete Calistri temendo di un ireparabile disordine, vestito di cotta e stola corse all’altare ed esposto il SS.mo per ammansare li animi acesi d’ira. Esposto il SS.mo e cantate le lodi a M. V. fece breve discorso ed aquietò in qualche modo la gente sollevata, dappoi diede la benedizione col SS.mo esortando li intervenuti alla pazienza ed obedienza alle presenti leggi che anco così si onorava Dio e facendo ostacolo ad una forza imponente che era un Castigo di Dio, aurebbero essi sacrificato le sostanze e le familie.
Non si arresero per ciò le persone alla persuasiva, dove che ritornato l’arciprete alla sagristia, vi si affaciarono molti coraggiosi dicendole non essere così paghi, ma volere assolutamente la processione del Viatico conforme lo stile e rito catolico. Non potete esentarsi da ciò l’arciprete e le convenne portare il Viatico alla inferma secondo il solito.
Il Capellano che se la vedeva brutta, tanto più che puzzava di fanatico patriotta, finchè si facevano questi discorsi fugì per la casa del campanaro nella vicina chiesa di S. Francesco, qui poi, volendo prendere una particola per comunicare l’inferma finchè si facevano tutte queste questioni, le fu negara da quei frati e bon per lui che se si scopriva e fosse andato al Viatico oculto e nefasto poteva corere il pericolo di vita, poiché li ragazzi armati di sassi atendevano fuori di S. Francesco dove non partì mai. E’ da constare che l’arciprete si dispose a fare la comunione come sopra perché le fu soggiunto dal vicepressidente della Municipalità Andrea Grandi, che contentasse il popolo poiché ancor esso era in pericolo mentre ognuno gridava ancora contro il med. Grandi: Ammazza, ammazza.
Eseguito quanto si volle dal popolo, li capi del med. radunato che fu il Consilio, fecero sapere che se acadevano novità contro essi ed il popolo sarebbero stati o presto o tardi responsabili colla loro vita, per ciò assicurati dal Consiglio che niuno avrebbe patito e che le chiese che presentemente sono aperte si sarebbero così conservate onde tutto passò come se non fosse giamai seguito.
Adi 9 dicembre domenica si incominciò un solenne triduo nella chiesa di questi P.P. M.M. O.O. ad onore del venerabile Bernardo di Porto Maurizio genovese beatificato e dell’ordine suo, che nell’anno 1747 fece in questo loco le sue missioni con gran frutto. Venero quivi poi due Comissari di Bologna li 11 d. e furono certi Gabussi e Vasuri col notaio Tesini all’oggetto di fare chiudere le chiese, ma accortosi il popolo di questo novo attentato naque una nova insorgenza nel popolo, che sussurando si riscaldava a poco a poco, cominciando dai ragazzi, onde manifestatasi la cosa e vedendo la mala parte, fuggirono li sud. tre inviati Gabussi, Vasuri e Tesini, il Gabussi nel fugire per la porta di sopra fu accompagnato con baja e fischiate.
Mercordì 15 decembre essendo arrivato di Romagna alla locanda del Portone Giovanetti bolognese già sacerdote professo camaldolese e nipote dell’odierno Arcivescovo Giovanetti, che aveva apostato e preso moglie, questa partorì un fanciullo maschio, vegeto e robusto. Ciò vedutosi dal d. P. Giovenetti proclamò forte: ecco rinato Napoleone Bonaparte e non lo volle batezare quivi e dopo pochi giorni partì per Bologna colla moglie e filio.
Li 14 d. venerdì su le ore 23 arrivarono al nostro Borgo N. 16 carra di feriti cisalpini, prigionieri che venivano dalle parti di Roma, maltrattati nella battaglia avuta colli napoletani. Alloggiarono nell’Ospitale del Borgo e nella chiesa di S. Pietro. Stettero quivi alquanti giorni fino alli 20 d. e finchè arrivarono altri da Imola di dove erano stati convogliati fino quivi da quella Civica e poi, accompagnati dai nostri, partirono per Bologna.
Li 16 d. giunse lettera da Bologna alla Municipalità di porre per requisizione quattro bovi da mazza, 40 castrati ed alquanti majali per servigio de francesi che dovevano passare da quella città ad Imola. Questi bestiami furono dalla nostra Civica levati alli montanari superiori al nostro Castello in tempo che si faceva il mercato e fu uno scompiglio grande.
A Budrio giorni sono seguì una insurezione a causa delle chiese serrate, che furono a furore di popolo riaperte, onde per le consuete funzioni si sentono novi sussuri in Castel S. Pietro. Alessandro Alvisi con Luigi Musi detto Sbergnocola essendo nel Borgo venero a parole con Ladislao Ronchi detto Lujno, filio di Agostino Ronchi, sopra le correnti circostanze di modo che riscaldati li animi partitanti li primi per li austriaci ed il secondo per li francesi, al cui soldo era stato, seguì non poca bulìa che fu poi calmata, ma la peggio si fu che li due coleghi si avventurarono con proposizioni allarmanti, dicendo che quanto prima sariano giunti tedeschi e napoletani e che in allora si sariano lavate le mani col sangue de municipalisti, gente vile e dedita solo ad impinguarsi colle ruberie alli poveri aristocratici, ma che l’orgoglio loro sarìa presto abbassato.
Furono tosto arestati, ma prima di essere esaminati furono catechizati dal cittad. Sebastiano Lugatti e le portarono cimate anco sul riflesso che il popolo era malcontento del governo, onde li municipalisti stettero in Consilio fino alle quattro di notte, temendo di insorgenza e la mattina li due arestati furono rilasciati senza pena.
Li 19 d. mercordì intesasi la battuta avuta dai francesi, polachi e cisalpini venero di Bologna 17 carra di palle da infocarsi per li canoni ed andarono a Imola, il peso di esse era il maggiore di libre 18 l’una e le minori per la metà, avevano seco anco le fucine guarnite di tutto.
Adi 24 decembre vigilia di Natale essendo stato proibito dal Comissario del Potere Esecutivo di Bologna dott. Angelo Maria Garimberti il tenersi aperte le porte maggiori di ogni chiesa, ma solo concesse le minori per la notte seguente e così proibito ancora il suono delle campane per la S. Messa, quando si giunse a mezzanotte ma non sonando le campane si ammutinarono li villani e paesani et andarono alla parochia.
Si fece capo di essi Lorenzo Coroluppi abitante nel Castello e giunti alla porta del campanile, che era chiusa, la rupero et andarono alto e suonarono le campane quante loro parve per adunare il popolo. Parte delli amutinati guardava il campanile e parte si portò alla casa del fattore Domenico Grandi, vice presidente municipale, per averlo nelle mani e trattarlo secondo il merito, ma si nascose né vi fu altro.
Lorenzo Alvisi poi, usciere della Municipalità, volendo resistere al furore dl popolo nella sagrestia della parocchiale colla sciabla svaginata, si guadagnò una bastonata sul capo e le convenne fugire in chiesa. Tutta questa notte girarono per l’abitato li contadini con armi da foco, da taglio e punta e con bastoni, sì che convenne alla Civica nazionale dissimulare tutto quanto vedeva per il brutto apparato.
Li poveri frati di S. Francesco per evitare simili disordini, levarono le corde alle campane. La mattina del S. Natale non si sentì né vide altro disdicevole.
Beltrandi filio di Pavolo, giovinetto robusto ma sogetto alla epilepsia ed in conseguenza era anco scimunito e stolido alle occasioni che il male lo voleva assalire, era però cattolico e divotissimo. Questi essendosi confessaro dall’arciprete Calistri nel coro dell’altare maggiore, abbracciò strettamente il med. ed ad alta voce cominciò a gridare: Avvanti, avvanti meco all’Oratorio a scoprire il mio Cristo miracolo, avvanti, avvanti!
Le persone che erano in chiesa sentito un tal rumore accorsero ivi e fecero in modo che l’arciprete avvilito restò sviluppato. Partito il Beltrandi andò all’Oratorio al crocefisso, di cui ne era divotissimo, né andava giorno che non lo visitasse e quivi genuflesso nel suppedaneo dell’altare dimorandovi più di un’ora con preghiere alla S. Imagine, fu assalito strepitosamente dal suo malore, di dove con isforzi grandissimi e terrore della gente fu portato fuori di chiesa.
Il fine de suoi malori e pazzie finirono sempre nell’onore ed amore di Dio a cui sempre è attacato in modo che quando era in chiesa conveniva guardarsi di fare la S. Comunione poiché cercava strapare di mano ai sacedoti le S. Particole e da se comunicavasi.
Vacata la scuola publica di aritmetica e latino fu eletto provisoriamente per maestro il Lettore Gian Tomaso capuccino di Castel S. Pietro della famiglia Dalfoco che al secolo portava il nome di Luigi, suoi genitori furono Ottaviano Dalfoco ed Umiltà Lucarelli fiorentina. E’ da notare che niuno volle concorere alla scuola per evitare il voluto giuramento contro la Monarchia e così si terminò l’anno.

1799
Giunto l’anno 1799 in seguito della legge di una Recluta di giovani per tutto il Dipartimento del Reno di cui ne anettiamo la nota. [A.35]
Nel seguente giorno secondo di genaro mercordì arrivò un dispaccio della Centrale di Bologna che imponeva procedere alla estrazione di 31 giovinotti dalli anni 18 fino alli 26 da estrarsi per il distretto di Castel S. Pietro all’effetto di completare il numero di novemilla militari per tutta la repubblica Cisalpina il che fece rumoreggiare il popolo.
Nel dì seguente 3 genaro in giovedì venne a di Castel S. Pietro l’avvocato Giuseppe Vincenzi turrinese per commissario alla estrazione dei giovani. Le fu dato per compagno il commandante di questa piazza mio filio dott. Francesco. Fu convocata la Municipalità per questo effetto, ma non si unì che il solo vice presidente Domenico Grandi e Stefano Grandi segretario e, perché niuno era intervenuto delli publici rapresentanti, si chiamarono tutti li inspettori delle sezioni soggette al Cantone di Castel S. Pietro per formare un ruolo di tutta la gioventù che doveva estrarsi.
Il contingente del cantone essendo di N. 31 giovani fu intimato a ciascuna sezione ed invitata per la estrazione decretata ne il giorno di domenica 6 corrente genaro. Cominciò questo alle ore 20 italiane e sortirono li addicontro segnati in nota, di Castel S. Pietro cinque perché la popolazione è grande. [A.36]
Su le ore 22 arivarono 200 cisalpini, circa 100 cavalli e 100 fanti condotti alla Romagna. Il loro comandante a piedi era certo Gibert che alloggiò in casa mia col tenente Manfredi ambi francesi. Furono distribuiti li soldati ed officiali nelle case dei particolari ove furono spesati e si sentirono forti lagnanze, per che il soldo colava in tasca loro imune. Vi era seco anco il generale cisalpino Calori modenese ex nobile. Vi seguirono seco il comissario del potere Esecutivo dott. Angelo Maria Garimberti bolognese già segretario del Senato ed aveva seco il canonico Landi bolognese per suo segretario, con essi pure vi venne un criminalista ed allogiarono in casa di Francesco qd. Pietro Conti nel Borgo la qual casa è delli fratelli Baldazzi Mariano e D. Matteo paroco di Liano posta nella via Maggiore che introduce nel castello alla destra.
Tutto questo convoglio venne quivi per imporre tema alla populazione, che mal sentiva la Recluta per cui si erano sparse voci d’insorgenza e per fare nello stesso tempo il proceso alli insorgenti della notte di Natale pel suono delle campane.
Il comandante della cavallaria, detta Dragoni, abitò in casa delli fratelli Lugatti nel Borgo. Prima della estrazione sud. l’avvocato Vincenzi fece una eloquente parlata alli civici tutti armati non che all’adunaza tutta, facendole con essa constare che la sussistenza della Repubblica consiste nel valore e diffesa militare e che la gioventù aguerrita era la maggior fortezza di tutti li fabbricati.
Tutta la notte il comandante francese fece girare le sue pattuglie doppo che ebbe pattugliato la nostra Civica fino alla mezza notte. Li nomi delle pattuglie si parteciparono mutuamente a scanso di diserzioni secondo l’ordine militare.
Il lunedì 7 d. si fece la rivista a tutta la Civica nella piazza publica e cui vi intevenne la sud. fanteria e autorità, dappoi passarono tutti li nostri civici montati di uniforme a fare evoluzioni con bandiera spiegata e tamburo battente, vi fu popolo e furono plauditi.
Ciò fatto si procedette all’aresto delli tumultuanti per il suono delle campane e ne furono fermati cinque, li altri fuggirono di patria.
Durò la processura a tutto il martedì 8 genaro nel qual tempo arivò un ordinanza da Imola che fece la sera marciare il commissario a Castel bolognese colla cavallaria che era quivi con una parte di pedoni a motivo che non si vole da quel popolo la Recluta nelli suoi figlioli.
Giunse un avviso che li filioli unici dovessero andare esenti dalla recluta dove che prima non si era avuto alcun riguardo.
Dozza poi malcontenta di questa Recluta non si volle prestare ad alcun ruolo, così che restò inoperosa la estrazione di Castel S. Pietro interinalmente.
La notte del martedì, venendo al mercordì 9 genaro si incendiò la casa della nostra Municipalità ed abbruciò fino al giorno chiaro la metà di tutto il tetto, se non accorevano li cisalpini abbruciava interamente.
Li castelli e terre di Bazano, S. Giovanni in Persiceto, Piumazzo ed Anzola negativi alla Recluta si posero in insurezione non avendo volsuto fare li ruoli. Lo stesso fecero Sassoleone, Scaricalasino e Lojano di dove sono stati cacciati li commissari con una baruffa contro la Municipalità. Essendosi poi saputo che si arrolano ancora volontari nella Recluta per il tempo di dieciotto mesi, si arolarono N. sette di Castel S. Pietro di queste familie cioè Barnaba Oppi, falegname, di Ferri un filio detto il Rigidorino, Chiari detto Buccilaio, Sgambillo della famiglia Paderna, Battalino della familia Nannini, Ruggi Antonio ed Andrini detto delli Rinieri, ma questi più non sono ritornati, dietro loro vi sono andati altri belli giovinotti, robusti e valorosi.
Li 11 genaro dalla parte di Romagna arrivarono quivi 314 prigionieri napoletani della battaglia seguita fra li francesi e quelli di là da Roma. Furono scortati da 90 civici imolesi che alloggiarono nel palazzo Locatelli. Questi sventurati quasi tutti nudi in una staggione ruida, nella quale erano nevi e ghiacci essendo malmessi ed affamati, che gridavano e movevano a compassione e levavano nel nostro paese compassione, imperciochè una doniciuola per nome Camilla filia di Giuseppe Fabbri andò alla questua per quelli e racolse fra farine e contanti tanto che quietarono un poco la fame. Li cisalpini, che quivi erano, partirono per Bologna, la mattina delli 12 sabato. Partirono anco per Bologna li sud. prigionieri scortati dalla Civica sud. imolese e dalli nostri di Castel S. Pietro.
Li estratti per la Recluta di Castel S. Pietro si ridussero a soli 20 stanti li volontari che erano accresciuti al N. di 11. Andarono tutti lieti a suono di tamburo a Bologna per essere ivi montati in uniforme e fucili, la cui nota si è unita avanti.
Li 22 d. arrivarono 60 cisalpini con otto dragoni da Bologna e quivi si fermarono, poi la mattina seguente delli 23 si incaminarono verso Sassoleone a fare aresti a cagione che la notte di Natale fattasi una insurezione ivi erano suonate le campane contro il divieto del governo e si era fatta la funzione solenne. Arrivarono collassù li cisalpini malmessi dalle nevi che erano in terra dalli 13 dicembre con gelo e non ritrovarono che il paese voto di uomini, ma solo di donne, vechi e ragazzi né altro si fece.
Adi 31 genaro continua a nevicare e li villani non potendo lavorare si dolevano quantunque il grano si vendette pavoli 25 la corba ed il formentone pavoli 13. La carne di manzo alle macellarie sette bajochi la libra, avendola fin qui venduta otto. La carne porcina grossa si vendeva lire trenta il cento.
L’erario publico divenuto esausto per le tasse e rubbarie de ministri accresciuti al numero possibile per essere patriotti e riscuotere bone paghe, si accrebbero le contribuzioni di in mezo bajocco per scudo di estimo a tutti li proprietari di fondi stabili. L’inventore di questa imposizione fu l’ex senatore Lodovico Savioli, che si guadagnò un odio implacabile da tutti.
Febraro adì 6 primo giorno di Quaresima si pubblicò l’indulto da carne che si usa per tutto l’anno, aggiungendovi dippiù che li primi quattro giorni colli altri venerdì e quattro tempora si possa mangiare ova, latte e burro. [A.37]
Crescono le persecuzioni alla chiesa cattolica. Li 9 d. furono espulse tutte le monache dai loro conventi in Bologna e nel teritorio. Si salvarono solamente li conventi delle Capucine di S. Maria Egiziaca, della Santa e tutte l’altre andarono alle case loro. In Castel S. Pietro rimpatriò suor Gioseffa, sorella di Domenico Albertazzi, che era monaca in S. Vitale di Bologna, suor Illuminata Landi, sorella del capellano D. Francesco monaca di S. Giovanni Battista, e conversa suor Maria Marabini monaca conversa di S. Cristina ed altre che erano di stirpe contadina.
Adi 11 d. prima domenica di Quaresima il dott. medico Angiolo Lolli abitante nel convento di S. Bartolomeo diede una festa da ballo a suoi compatriotti avocato Vicini, dott. Gaetano Conti paesano ed altri bolognesi qui intervenuti con donne, ma pochi paesani vi intervennero per essere di quaresima ed in un convento la festa da ballo vicino alla chiesa dove era anco il SS.mo per la funzione fatta in oggi.
A questa festa vi intervenero anco maschere disdicenti fra le quali Antonio Roncovassaglia muratore vestito da cappucino con barba finta, ma poi senza maschera il quale veniva tirato come bestia per il cordone da Giuseppe Oppi vestito pure esso da frate agostiniano ed una parte che l’esortavano con pantomima a ballare colle donne, così beffando l’abito sacro e la religione, il che fu spiaciuto da boni cattolici e da ogni altra persona vituperato.
Sortì una legge di Milano per l’impronto di alquanti millioni da ricavarsi sopra il consumo di grano per ogni familia. Cominciossi a dare esecuzione a quella legge il di 18 d. col raccogliere dalla voce viva dei capi di familia il quantitativo di grano che in farina si consuma dalla famiglia. Per questa legge furono fatte due classi di populazione. La prima era quella della città, l’altra per quei luoghi comprensivi il N. di 2 mila persone. La Municipalità per evitare la maggiore tassa formò tre populazioni di questo loco cioè: il Borgo una, il Castello l’altra e la terza la campagna e così fu minorata la imposta nova.
Li 28 febraro su le ore 13 italiane morì il sacerdote prete D. Antonio Scerna spagnolo ex gesuita in casa delli fratelli Lugatti nel Borgo. Questi fu l’ultimo exgesuita spagnolo degente nel nostro Castello mentre tutti li altri, rivocati dall’esilio dal Re, nell’anno scorso erano partiti.
Perché l’Ospitale delli Infermi del nostro Castello era depauperato di tutto per avere tenuto tanti francesi feriti, pensò la Municipalità che ne aveva la aministrazione di quello ad intraprendere un qualche solievo. Qundi deputò tre donne del paese, le più energiche e capaci a procacciare sovenzioni.
Furono queste la Cittadina Brigida, moglie di Carlo Bettazzoni, Lucia di Antonio Inviti ed Ottilia di Ercole Cavazza ambe nubili. La Municipalità ne fece loro l’invito per lettera della quale ne annetiamo una. [A.38]
In seguito le d. fecero una questua per il Borgo e Castello e raccolsero molto filo e lire settanta q.ni l. 20 di Bologna, che mai tanta somma e robba si era raccolta al tempo che l’Ospitale fu governato dai preti del paese.
Furono poi nel di 22 marzo elette e pubblicate le nove autorità locali dalla Centrale di Bologna ed approvate dal direttorio di Milano cioè dott. Angiolo Loli medico, agente municipale Francesco qd. Giuseppe Farnè e suo ajutante Luigi Cardinali detto Scagliola.
Nel dì 25 d. seconda festa di Pasqua di resurrezione morì in conpendio e repentinamente Filippo Tomba sartore e patriotta fanatico e cattivo quale sosteneva anco le veci di assessore al giudice di pace avv. Giorgi. Questa morte fece spavento non solo ai boni catolici, ma anco a suoi seguaci per essere egli stato grande avversario alla chiesa di Dio e monopolista nelli Comizi, rapinatore grande e sfaciato in qualunque ingegno republicano. Li capelli ritti ed irti restarono nel punto che fu assalito dalla morte, partì dal mondo senza sacramenti ed ajuto di alcun ministro di Dio de quali era nemico mortale.
Fu dichiarato per commissario di Castel S. Pietro e suo cantone nelle presenti emergenze il dott. Francesco Pellegretti bolognese. Quantunque sia stata abolita la terza festa di Pasqua di ressurezione non ostante è stata quivi santificata dal popolo tanto civico che rurale.
Essendo stata fatta la mozione del Direttorio di Milano per opprimere la Relligione de M.M. O.O. e capucini fu questa rigettata. Cominciarono in questo tempo le ostilità fra l’Imperatore austriaco da una parte e li francesi e cisalpini colegati dall’altra per cui in appresso seguì una sanguinosa battaglia fra Verona e Legnago che durò due giornate, furono socombenti li francesi. Un corpo di 600 tedeschi disperso si ritirò nel ferrarese, dove trovata la città di Ferrara sprovista entrarono facilmente e se ne impadronirono. Credettero li ferraresi che fosse una agressione e per il di 30 sud. in giorno di sabbato fuggì quella Centrale a Bologna. Dovevasi fare una nova estrazione di Recluta e perciò fu sospesa.
Nel di sud. 29 marzo arrivò in Bologna il Duca si Toscana contorniato da alquanti francesi ed alloggiò nel palazzo Caprara colla familia.
Molti malandrini patriotti di Bologna, capo de quali si fece il dott. Pietro Gavasetti legale andarono attorno al palazzo e gridavano ad alta voce morte ai tiranni, morte alli austriaci. Avevano molto in ispavento quei poveri e sventurati signori ma furono poi animati dai francesi a non temere della loro vita. Ciò fu dispiaciuto al Governo e la mattina di buon ora partirono con tutta la familia per Ferara.
In Toscana partito il loro principe si inalzò l’arbore della libertà già preparato da ribelli.
Il Papa che trovavasi nella Certosa di Firenze partì ancor esso di (nascosto) e venne la sera stessa in Bologna ed alloggiò nel Colegio di Spagna, povero vecchio, ma rassegnato alle disposizioni del Signore. La mattina delli 31 marzo, giorno di domenica, celebrata la messa partì per Lombardia alla volta di Modena e Reggio per stabilirsi in Parma od in Piacenza.
Adì 4 Aprile venne a Castel S. Pietro il novo Commissario del Potere Esecutivo dott. Francesco Pellegrelli bolognese, giovine cattolico, quieto e piuttosto aristocratico che democratico, per invigilare sopra la Municipalità.
Li 7 d. domenica la sera venne il dott. Antonio Bechetti per istallare la nova Municipalità che furono li sud. Lolli, Farnè e Cardinali. Ciò fatto partì per Bologna.
Contemporaneamente si visitò dal perito fabriciere ed architetto Bassani di Bologna la bella Chiesa ed Oratorio del SS.mo all’effetto di costruire nel med. le abitazioni ed altre località per il novo governo republicano a norma delle proposizioni fatte dal dott. Angiolo Loli e cittad. Francesco qd. Pietro Conti padre del dott. Gaetano, ma come che non fu creduto a proposito il sito, non che la fabbrica dispendiosa che sarebbe occorsa, fu proposto il convento di S. Francesco de M.M. Oss.ti col traslare li med. poi nel tugurio del convento delli già supressi agostiniani di S. Bartolomeo, approvato che fosse stato il progetto del convento e chiesa di S. Francesco. Si propose ancora, giacchè questo rimane in un angolo del paese, di levare una parte del cemetero parochiale fino alla piazza di S. Francesco nella stessa latitudine, nel modo che era anticamente e si chiamava piazza di Saragozza.
Quanto poi alla parte del cemetero che si riduceva a strada, fu proposto che si dovesse compensare con terreno presso alla celletta della madonna della Scania ed ivi formare un campo santo, ma nulla però si fece dall’architetto.
La stessa sera giunse in paese il dott. Bartiroli processante criminale di Bologna coll’avv. Gaetano Savini a formare tosto processo contro li carcerati per il suono delle campane nella notte di Natale e sopra l’accompagnamento solenne fatto col SS.mo Viatico quando fu portato a Teresa Andrini vedova Amadesi. Ciò accade in seguito di una petizione fatta a Milano a prò delli arestati dal cittad. Sebastiano Lugatti.
Adi 15 aprile, saputosi che nelle nostre montagne superiori vi era un corpo di 2 mila uomini parte francesi, cisalpini, piemontesi cacciati dal fiorentino ed in parte disertori, per non avere avute le paghe, a cui si erano unito insorgenti, li quali tutti infestavano quelle parti e si acostavano alla pianura per la parte di Lojano e di Sassoleone e Scaricalasino e Monte delle Formiche, pose il governo in agitazione, tanto più che dall’altra parte del Finale di Modena si era intesa una insorgenza di 800 finalesi spaleggiati da tedeschi che veniva in loro soccorso ed erano al ponte di Lagoscuro, per la qual cosa Bologna fece chiudere otto porte alla città, lasciando solo aperte le quattro principali di S. Felice, Galiera, Strada Maggiore e strada di S. Stefano.
Furono in seguito chiamati alla città li capi battaglione del teritorio e convenne a mio filio dott. Francesco, che copriva la carica di comandante di questa piazza sul momento partire per Bologna ed ivi consultare col Governo le providenze nella presente crisi.
Si pubblicò contemporaneamente un avviso che la patria era in pericolo e si esortavano le persone prenderne diffesa. Furono poi comessi arresti su persone sospette. In Castel S. Pietro furono arrestati N. 7 e condotti imediatamete alla città per completare le truppe di linea e furono Natale Galavotti, Alesandro Alvisi detto Sandrone, Antonio Giordani detto Frabbino, Beltramelli detto Magalotto, Antonio e Nicola Graldi detto Cita, Marianno Cenni detto Saltino.
Per tale subitaneo aresto si ammareggiarono familie del paese, per cui temevasi una insorgenza tanto più che li cisalpini erano stati battuti nella Lombardia da un corpo di insorgenti indisciplinati, capo de quali si era fatto Filippo Zogoli del fu Antonio Zogoli di Castel S. Pietro col di lui figliolo ed avevano seco seicento uomini tutti del partito austriaco. Questi Zogoli detti Barboni sono sempre stati facinorosi per che di parentado esteso e tutti avevano un sopranome, il d. Filippo veniva chiamato Patano. si avvanzava questi nel ferarese e predava facendo come li antichi saccomani onde tutti temevano e si arrendevano massime nelle parti di Argenta e Comacchio dove aveva grande pratica di quei paesi per esservi lungamente abitato ed esercitata l’arte di macellaro.
Nelle di loro scorrerie, che si facevano da fuori collegati parte a cavallo e parte a piedi, quando giungevano ove erano arbori di libertà li atteravano e si sostituivano con croci di legno sotto pena di morte a chi l’avesse dileggiata o levata. Bologna in questo frangente mandò a Lugo 800 fanti e 100 cavalli.
Adi 18 d. terminata la sud. processura per l’accompagnamento del viatico, partirono li processanti, erano in cinque persone, costò la permanenza scudi centoundici. Il loro grande apparato e processo consistette in pochissimi esami. ma in moltisime recreazioni ed (…) e giochi proibiti di carte e biribisso.
In questo tempo si sentirono parti e fatti mostruosi nelle donne che atterivano. Nella vicina possessione detta il Casino de Graffi alias la Fossa, presso al nostro Borgo, Orsola Tombarelli moglie di Antonio Martelli partorì una creatura femina col capo di pecora e cornette spuntate. Si attribuì ad una voglia di testa di pecora cocinata in lesso di cui ne era avida. Nella Villa di Poggio appresso la Frabbaria, Maria Canè moglie di Luigi Tortora doppo aver portato il corpo incinto di 18 mesi diede alla luce un corpo umano col capo di mulo, fu creduto essere stata la paura sorta di un munduto che voleva coprire una giumenta vicino alla partoriente. Li parti sud. privi di battesimo furono suffocati e sepolti oculatamente.
Li 19 dello stesso mese si sentirono baruffe contro li francesi nelle parti del ferrarese, ove era malcontento.
Nella impresa Bevilaqua si eccitarono tumulti di villani, furono questi ajzzati da Giuseppe di Paolo Bertuzzi di Castel S. Pietro per esperimentare la loro fedeltà ove egli era ministro della casa Bevilacqua e gridava nelle conventicole: Morte alli assassini, Morte alli francesi, lo chè teneva la paura quelle genti, alle quali corispondendo li altri si vide apperto l’adire a un brutto scompiglio. Imperciòcchè l’ex marchese Bevilaqua cavalcando per la citta di Cento insortava alcuni cittadini ed acclamando il governo imperiale si posero la cocarda nel capello in modo che atterirono la città, non altro per allora ne seguì, mentre il governo di Bologna spedì tosto a quella volta uno staccamento di 1600 armati che tutto posero in calma.
Furono affissi sul momento nei capiluoghi proclami contro quelli che pronunciavano proposizioni allarmanti e contro li club o siano complotti intimandosi la morte in mano di 24 ore a chi si trovasse in fallo.
Morì in Bologna Giuseppe Mondini filio di Francesco originario di Castel S. Pietro, fu bravissimo giocatore di pallone e lucrò molti danari in Londra per la sua bravura, lasciò doppo di se un filio maschio per nome Francesco, giovine di condizione ma guasto di opinioni di culto. il d. Giuseppe fu l’ultimo del numero de consilieri della Comunità di Castel S. Pietro ed il filio sud. si è stabilito in Ancona colla moglie di nazione tedesca,
In questo giorno 19 aprile, doppo la pubblicazione della legge sopra li discorsi alarmanti e li club o siano comploti, il sacerdote D. Baldassarre Juniore Landi, prete preso di mal’ochio da Antonio Giorgi giudice civile e della Polizia di questo paese fu fatto arrestare e tosto ben guardato nel quartiere della Municipalità dai civici del paese. Esaminato si difese bravamente e nell’esame suo fece constare l’impostura del processante Giorgi, quale non potendosi esimere da una condanna, fu posto il processato sotto banca e rillasciato il sacerdote detenuto.
Crescendo il partito delli austriaci contro li repubblicani nelle parti del ferarese, giunsero al nostro Borgo li 22 aprile N. ottanta reclutati faentini con un canone ed erano diretti alla volta di Medicina per andare poi alla Molinella e verso Malalbergo ove sono molti insorgenti uniti alli centesi. Prima che li faentini si introducessero nel nostro Borgo la civica nazionale armò il quartiere e pose la guardia nelli posti avvanzati del ponte del fiume ed al Portone, appresso il quartiere collocato nell’Ospitale de viandanti.
Giunti li faentini presso il ponte quella sentinella col corpo avanzato avvisò tostamente l’altra sentinella del Portone, quale nell’arrivare li faentini fece il suo: Chi vi è, per due volte, ma non rispondendo li faentini chiamò la sentinella nostra l’altra sentinella che stava al quartiere col caporale e soldati che inteso l’avvanzamento de faentini la nostra sentinella aveva calato il fucile contro il capo de faentini, che non ardì punto più inoltrarsi fino a che non fu riconosciuta amica o nemica la truppa faentina. Giunse imediatamente il nostro caporale con una patuglia e interogato il capo de faentini a dichiararsi rispose esser stacamento amico repubblicano proveniente da Faenza e verificò con documenti il faentino la sua risposta e tosto fu introdotta nel Borgo quella truppa alla quale presentandosi al nostro quartiere, li nostri soldati divisi in due ale presero in mezzo li faentini e presentaronli le arme, dappoi tolti così nel mezo, furono acompagnati al quartiere destinatole sul momento nel palazzo Locatelli. Aveva questo stacamento un carattone di munizioni da foco, un altro col suo bagaglio dietro al canone e due birozze di pagnotte.
Crescendo il rumore verso il centese e Malalbergo ne naque ivi una baruffa fra li insurgenti partitanti delle austriaci colli repubblicani. Nelli primi vi era Giuseppe filio di Paolo Bertuzzi di Castel S. Pietro quale fece alto e le riuscì rigettare il nemico. Finchè si faceva queste cose acadde un’altra insurgenza in Cento alla quale vi accorse il d. Bertuzzi, ma essendo di forze minori del nemico, si ritirò dopo avere combattuto e si riunì ad un altro corpo di insorti.
Il fatto di Cento fu poi in appresso relazionato e stampato, copia del quale in stampa è la unita onde il Lettore puole soddisfarsi. [A.39]
Li faentini dopo aver qui pernotato la notte delli 22 fino al giorno del 23 aprile andarono a Medicina Quivi inteso l’ingrossamento delli insurgenti austriaci e prevedendo il loro sagrificio totale essi dalla parte di sotto se ne ritornarono a Faenza e li civici bolognesi, che ancor essi erano andati alla volta di Cento, fecero lo stesso col ritornare a Bologna.
Li insorgenti erano divisi in tre corpi uno si era diretto a S. Alberto nel ferarese de quali si era fatto capo Filippo Zogoli ed Andrea di lui figlio. il secondo corpo era a Malalbergo ed il terzo era verso le parti di Brecello poco distante da Ferara, che poi si congiunse con 500 tedeschi li quali in tale contingenza avevano arestati Giulio Andrini e Gaetano Andrini padre e filio di Castel S. Pietro come sospetti perché ivi erano andati a provedere per il loro trafico formentoni e grani. Furono condotti al campo austriaco ed insorgente composto dalla magior parte di villani, di cittadini feraresi disperati, di burlandotti e sgherri e malviventi e perché in questo corpo vi erano ancora altre persone di Castel S. Pietro e fra questi Luigi Dondi del fu Francesco di Castel S. Pietro detto per sopranome Magallo che da qualche tempo sogiornava nel ferarese per essere contumace della Giustizia di Bologna con Ignazio del fu Gioachino Poggi bravo archibugiere con Francesco qd. Giovanni Conti detto delle Fornace Mondini, che si erano fatti ufficiali dell’ammutinamento dell’insorgenza, procurarono poi la liberazione delli Andrini come seguì fra due giorni.
Li 23 aprile domenica si pubblicarono due leggi per una nova contribuzione, una fu detta del registro per tutti li contratti e l’altra fu un testatico sopra le persone onde col ricavato fare guerra all’Imperatore latino Giuseppe secondo di casa d’Austria e contro le le tre potenze seco coalizate. Questo testatico fu addossato alli possidenti maschi dalli anni 16 in su fino alla morte. La tassa fu regolata sulla rendita de fondi e su lo stato dato per occasione dal prestito forzoso e la paga del medesimo testatico si effettuò entro 48 ore doppo la pubblicazione della legge.
Fu perciò grande sussuro che deponeva in sollevazione e purtroppo accadeva se quivi sollevi subito il recivitore del danaro, ma non essendovi, le persone pavide, per non incontrare le cominate condanne proclamate nella legge, pagarono la respettiva tassa in mano di Domenico Grandi fattore de P.P. Barnabiti exmunicipalista.
Essendo poi prossime le feste delle Rogazioni consuete della Vergine SS.ma di Poggio, né sapendosi se si potessero fare le processioni colla med. si mise a cuore la consueta funzione il cittad. Luigi Facenda, capellano della compagnia del SS.mo, a cui incombeva la funzione delle d. Rogazioni, già supresse da Milano colle attuali compagnie, e per eseguire tale funzione, unito col cittad. Giovanni Battista Fiegna confratello di d. compagnia, diede supplica alla Municipalità a cui era in petto accordare o negare le cosidette funzioni onde averne facoltà.
L’arciprete Calistri, quanto nemico della già supressa compagnia, altrettanto bene affetto delli componenti la Municipalità sentendo la declamazione e mormorio che si faceva contro di esso, come fautore e nemico delle cose belle e buone del paese che si facevano fuori della sua chiesa, temendo di aggravi nella sua persona fece, coll’intelligenza delli municipalisti, fare il trasporto della Imagine di Poggio di nottetempo per mano di alcuni villani nella di lui chiesa parochiale e così li 26 corrente aprile si vide improvisamente la S. Imagine esposta al pubblico culto all’altar maggiore di d. chiesa.
Si quietò in parte il mormorio contro la Municipalità ma non contro l’arciprete che poteva operare con maggior decenza verso la S. Imagine e colli malcontenti supressi, ma ciò non ostante tutto andò a termine bene. L’ultimo giorno poi delle Rogazioni, fatte colle solite processioni da fedeli senza cappazione, che al finire di aprile si ebbe notizia come li russi coalizzati colli imperiali avevano preso Milano, Parma, Piacenza, Modena, Reggio ed uniti alli imperiali conquistarono la terra della Lombardia senza molestare li patriotti dove che li beneficavano.
Per tali conquiste il Direttorio di Milano si disperse e li componenti med. parte fuggirono a Torino e parte a Bologna. Intanto giunse nel bolognese la truppa austriaca che doppo una scorsa si ritirò nel modenese. Li civici di Bologna vedendosi in istato di essere attaccati intimarono a vista alli francesi ed alli cisalpini che erano in città onde partissero.
Difatti sortirono ed il dì seguente giorno dell’Ascensione venne a Castel S. Pietro un battaglione di cisalpini fuggitivi e doppo due ore di riposo andò a marcia sforzata ad Imola perché avevano alla costa ancora li insorgenti feraresi.
Li 3 maggio rimpatriarono li arrestati e carcerati per il suono delle campane fatto la notte di Natale, ritornati a casa colli loro capi che erano stati Marco Tesei e Lorenzo Corolupi per le grandi petizioni, quattro al governo in pro loro dal cittad. Sebastiano Lugatti, furono da buoni paesani accolti con plauso.
Impadronitisi di Milano li russi colli austriaci, vedendosi a malpartito in Bologna il generale francese Monteichard co suoi francesi richiese prima dell’abbandono della città due milioni di scudi romani in meno di tre giorni al Governo, altrimenti avrebbe dato alla città un sacco di tre ore. Per evitare un massacro si convenne dare un milione. Furono perciò anco spedite apoche di contribuzioni per il contado, a Castel S. Pietro ne fu diretta a Pavolo e Francesco Farnè una di scudi 420, alla cittad. Maria Mazzanti moglie di Paolo una di l. 20. A Giulio e fratelli Andrini una di l. 60, a me altra conforme di l. 60 e così ad altri in proporzione dell’opinione.
Il paese si mise in allarme, si ricorse alla Municipalità per la diminuzione alla pretesa ed uniti tutti li intimati al pagamento si posero in istato di emigrazione come fecero tante altre famiglie del distretto. Furono ascoltati li ricorenti e diminuita tutta la addomanda che fu ridotta per l’intero a l. 420 che furono proporzionalmente ripartiti a tutti li possidenti..
Sparsa la voce che venivano a Bologna 8 mila tedeschi per la parte di Modena molti bolognesi al N. di 8 mila e più andarono ad incontrarli per porta S. Felice ma l’incontro fu vano poiché li tedeschi declinarono da Modena al ferrarese.
Per tale voce sparsa molti di Castel S. Pietro partirono e fugirono di patria, fra li altri fuggì il dott. Gaetano Conti famoso e andò a S. Agata travestito dal di lui zio paterno. Li patriotti del nostro Castello e Borgo malsoferendo la intesa invasione delli austriaci si ammutinarono fra di loro e minacciavano di un sacheggio a paesani del partito aristocratico, onde le persone probe temendo la disperazione dei briganti stavano chiuse in casa.
Per tale disordine la Municipalità scrisse al generale Tatini capo dei civici in Bologna onde mandasse gente a tenere in sogezione li turbolenti. Ricusò egli sul riflesso non mandando truppe per un timore panico. Amareggiava vieppiù li turbolenti per quietare li quali fu publicato dalla polizia locale un aviso rigoroso contro chi avesse usato proposizioni e discorsi allarmanti e così tutto il fermento fu calmato e li galantuomini assicurati.
Attese le quali providenze alcuni più modesti aquietarono, ma altri però dotati di insobordinazione vieppiù mentivano. Accadde quivi che dovendosi fare un triduo al SS. Crocefisso dell’oratorio per ottenere la serenità del tempo, furono messi fuori li avvisi di quella compagnia invitando li fedeli devoti ad intervenire con atti di pietà. Fu messa a questione la proposizione di atti di pietà dai giacobini dicendo che li atti di pietà inverso una compagnia povera non significava fare la divozione, voleva dirsi atto di avidità di danaro ed una bottega di preti. In seguito si videro fuori cartelli affissi alle colonne che dicevano.
La pietà della compagnia catolica
consiste tutta in bucolica
Furono levate le carte e portate al tribunale di polizia quale amministrato dal giudice Antonio Giorgi e dott. Lolli quali, quantunque fossero indiziati dell’autore, non ostante portarono la facenda in una puerile fantasia, mandarono sottobanco la instanza fattale dalli ufficiali della compagnia. L’arciprete Calistri applaudì a questo piego per due capi, l’uno per che l’autore era suo dipendente e l’altro perché la compagnia è da esso atterita al punto di vollerla supressa, perché vorebbe esso ingojare, come si giustifica dai decreti per esso estorti dal bon arcivescovo Giovanetti acciecato dalla sua corte.
Li progressi de francesi quantunque fossero acclamati nella massima parte delle persone queste non di meno si vedevano e leggevano giornalmente declamazioni contro la Francia. Su le altre ne anetiamo una titolata: Indirizzo ai francesi del Pievano Di S. Nicolò di Venezia, dalla quale il Lettore de nostri scritti potrà una volta soddisfarsi sul caratere della nazione gallicana e suoi seguaci. [A.40]
Quantunque per la parte de boni cittadini fossero adempite le leggi repubblicane, non cessava Antonio Giorgi di cimentare e brutalizzare l’onore delli suoi cittadini e congiunti. Avvene che certa Gesualda figlia di Pascale Vignali rimase incinta per opera di alcuni patriotti, fu denunciato all’ufficio e come che questa arrossiva del suo errore da una parte, né dall’altra poteva aspettarsi alcun rillieva da sposa ed andava ad incontrare uno smacco pubblico perché i malfattori erano genti miserabili e figli di familia, consultata col Giorgi del modo onde sortirne col minor danno possibile e il Giorgi, avute col sacerdote D. Baldassare Landi parole dispiacevoli intorno alle sue imprudenze ed ingiuste condanne che si faceva alla povera gente coll’esanguarli ed esaurirli di danaro altrimenti si faceva distenere in aresto e poi nelle carceri senza processarli e dare evasione alli reati e colpe loro, porse il contratempo di vendicarsi col sacerdote Landi il quale abitava in confine colla sud. Vignali per cui tallora si abboccavano onde le suggerì il Giorgi alla incinta giovinetta incolpare il povero prete e tanto seguì.
Onde fatto obbrobriosamente arrestare lo fece detenere alcuni giorni, finchè il prete stremato depositò scudi otto per la spesa del parto, quali pagati, ebbe il coraggio dirle in faccia che le elemosine dei preti si convertivano nella carnalità e nel coito. Arrosì il povero prete in modo che, sortendo di aresto né potendosi isfogare della infame impostura, piangeva a calde lagrime e fu poi riconosciuto innocente.
Le vicende della guerra presente andando di male in peggio per li francesi, si intese che questi avevano avuta una batuta nella Lombardia in modo che erano necessitati abbandonare l’impresa. Furono in tale contingenza posti in vendita cartelli con dissegni stampati indicanti il fine fatale della sedicente Repubblica Cisalpina de quali ne uniamo tre, non essendoci riuscito avere il quarto foglio. [A.41]
Dietro a questi sortì una stampa titolata: Relazione ex Officio della morte della Repubblica la quale pure annettiamo, stante che in essa si riscontra la verità di quanto accade con un epitafio esprimente la verità di fatto. [A.42]
Vendesi questa con precauzione, mentre li patriotti si sentono di mal animo, onde ne sono nate in poscia disgrazie.
Il rinominato Giorgi, essendo vedovo con cinque figlioli maschi e uomo anche di età, abbagliato dello spirito anticatolico, essendosi messo in capo di amogliarsi la seconda volta, prese di mira una sorella della defunta moglie Vittoria di Nicolò Giorgi. Ne diede quei passi che si usano (in caso) di matrimoni. Ricusò il padre prestarsi al consentimento e, per che questi era ancor esso vedovo né poteva attendere alla custodia
della figlia per la molteplicità dei suoi interessi, pose la figlia nubile per nome Gertrude Giorgi nella casa dell’avia materna della stessa cioè Anna Fantaguzzi, donna in età avanzata, onde guardasse la figlia. Poscia interpose l’arciprete Calistri onde come amico stretto e compatriota di d. Giorgi lo dissuadesse da questa sua intenzione.
Operò l’arciprete ma con poco frutto, per che il Giorgi ostinato fece intendere all’arciprete che l’aurebbe fatto arestare come quegli che perturbava la libera volontà della giovane. L’arciprete o fosse timore o fosse patriottismo si abdicò dall’impegno. Divulgatosi un tale fatto, li paesani cominciarono a titubare come una autorità potesse immergersi in un affare contrario a tutte le bone leggi, quando che dovrebbe vietare ed infraporsi onde simili inconvenienti non solo seguissero, ma nemeno si promovessero da chi dovrebbe essere la lampada del bon governo.
Si videro fuori cartelli che prendevano in impegno di ricorsi, onde difammata la giovane ributò il Giorgi e l’avia stessa minacciollò di farlo battere se fosse entrato in di lei case onde tutto andò a monte.
Prosseguirono poi li tedeschi a battagliare contro li francesi nella Lombardia ed in altri stati, cosichè arrivavano di quanto in quanto nove che animavano li probi uomini e le Nazioni. Avutasi poi nova che la città di Alessandria era stata presa dalli imperiali, furono stampate le relazioni del fatto d’arme. Tali stampe furono raccolte da patriotti e poi date al foco ma non si sopresse la perdita fatta da francesi. Non per questo però si impaurirono li parziali austriaci che si animarono e fecero ristampare la cosidetta relazione, copia della quale è la unita stampa. [A.43]
Stanti poi le Rogazioni e processioni della Imagine SS. di Poggio fatte fare dall’arciprete Calistri entro la sua chiesa, esclusi li confratelli della Compagnia del SS.mo, vedendosi l’arciprete dovere subire del proprio a tante spese, occorse che ad esso non bastò l’animo ricavarne quello che ricavava la compagnia, essendo il paese tutto, colla populazione, ammareggiati della condotta del sud. declamava e non solo di esso mormorava, ma neppure andava alla vista di d. S. Imagine della quale se ne voleva impadronire, ed avendoci messo del proprio in d. funzioni lire settantacinque, pensò liberarsi da ulteriori che incontrava trattenendola di più, perciò d’improviso la notte delli 5 maggio prese d. S. Imagine e coperta la mise in un corgo di vimini ed a notte alta la spedì per un villano alla chiesa di Poggio, ove fu consegnata al custode D. Giacinto Protti che vedendo una tanta irreverenza, non potette contenersi dalle lagrime.
Pochi giorni però passarono che l’arciprete fu assalito da una flussione di capo che, divenuto come una testa di bue, per tre giorni stette da non cibarsi, ma solo bevere ed ancor bevendo si lagnava e muggiva come bue. Questo accidente fu tenuto celato quanto mai ma poi si riseppe dalli suoi.
Giovanna Bergami, che parzializava per li aristocratici e come parente e cugina delli d. Zogoli insolentiva non che contro li patriotti ma ancora con bestemie ed imprecazioni inveendo contro l’arbore posto sulla pubblica piazza e con sassetti ancora, fu acusata alla Guardia locale del paese ed alla polizia la quale sul momento accorse ad arrestarla et a distigare l’ammutinamento di ragazzi che volevano gettarlo a terra e certamente loro riesciva. Si intese ancora che la d. Giovanna si era protestata unirsi con altre donne ed entrare con stratagemma nella seduta del Consilio ed ivi giunta, prese le armi delle sentinelle perché non fossero offese, dappoi gettare dalla finestra il giudice di polizia avv. (…).
Adi 9 maggio giovedì, la Municipalità non ostante avere fatto afissare il sud. proclama, cominciò a processare li sospetti partitanti delli austriaci o del papa. Fu in seguito comesso l’aresto alla persona di Serafino Ravasini giovine di bella statura, ben formato di corpo, robusto, forte e capace di fare qualunque ressistenza alle soverchierie, abitante nel Borgo. Si volle questo aresto consumare dall’ajutante Angelo Genovesi con altri bravi della sua Civica il giorno 10 corrente maggio, ma il Ravasini nel punto che doveva confermarsi l’aresto, chiese al Genovesi l’ordine in carta, come ordina la legge presente repubblicana.
Fu rinuente il Genovesi, così che naque mormorio e fece alto il d. Serafino né si volle addattare all’aresto in modo che fermatosi popolo e parenti del med. in Borgo entrava in insurezione, ma Giacomo Ravasini fratello maggiore di d. Serafino si maneggiò tanto che indusse il fratello alla obbedienza.
Conducendosi intanto alla casa l’aresto, il d. Serafino, incontratosi con Ottaviano Galavotti detto il Bellino di lui gargione con Natale Galavotti, il d. Bellino giovine facinoroso saltò in mezo la guardia e la patulia, abbrancò il Genovesi e cacciato in terra le tolse il fucile e restando questi colla sola sciabla. In tale mischia il d. Serafino volendo ancor esso fugire abbraciò un civico che fu Filippo Muzzi detto Tarnone, ancor esso facinoroso, e quivi scioltosi si diede alla fuga.
Mentre fugiva il d. Tarnone le scaricò alla schiena una fucillata. Al rumore tanto della Civica, che era venuta poi rinforzata da altri civici armati, quanto le grida dei congiunti del Ravasini avendo messo in rumore tutto il Borgo ne avenne che per evitare spargimento di sangue furono consiliati li aderenti del Ravasini a deporre la prepotenza, mentre erano in pericolo di ruinare loro stessi e tutta la patria. Il che ottenutosi altra soddisfazione non vole il Ravasini se non di andare da se alla Casa d’aresto senza accompagnamento come pontualmente ed in parola di onore eseguì.
Il cittadino Sebastiano Lugatti avendo volsuto esagerare sopra tal fatto, il dì seguente le fu minacciata una archibugiata da Giuseppe Oppi detto Passilo, ma andò in fallo. Temendosi dalli individui municipali di essere massacrati e molto dal Giudice Antonio Giorgi caminavano taluni di essi con sentinella a fianco.
Adi 13 maggio lunedì seconda festa di Pentecoste su le ore 14 italiane della mattina Gioachino Badiali di Castel S. Pietro mise il paese a rumore con ramoscelli di bussolo verdi. Costui quanti uomini e giovinastri incontrava per istrada ne dava un picolo ramoscello a ciascuno, a chi gliela faceva porre sul capello, levando la tricolorata coccarda, ed a chi glie lo faceva porre in petto se e come fosse una parte all’uso delle donne, poi gridando Viva Gesù, Viva l’imperatore e mojano li assassini si portò così con una ciurma di ragazzi, donne e uomini alla piazza maggiore del Castello. Le tenero dietro altri suoi seguaci che avendo ancor essi rami di bussolo ne facevano la dispensa come il d. Badiali.
Mentre che si facevano queste cose scopiò per accidente nel quartiere interno del Castello una archibugiata. Fu creduta una baruffa. Il Genovesi, che era in quartiere, fu di lassù levato ed asicurato della vita dal cittadino Antonio Bertuzzi capitano interinale della Guardia pedestre austrica provisoria e con altri ufficiali fu accompagnato alla di lui abitazione nel Borgo. Venne pure accompagnato Giacomo Ravasini alla di lui abitazione nel Borgo che a fucili calati e sciable evaginate lo scortavano e così fu calmato il rumore.
Nelle vicine Castella di Sassoleone, Casalfiumanese e Casola Valsenio fu levato l’arbore della Libertà. La mattina seguente Gioachino Badiali colli suoi seguaci si impadronì del quartiere della Municipalità, disarmò li civici col solo coraggio e rimase il quartiere municipale in mano della guardia imperiale che si distingueva col ramosello di bossolo in capo. Le coccarde repubblicane colle barette furono sul momento supresse.
Le pattuglie ambulanti camminavano colle coccarde imperiali. Ciò fatto li sollevati andarono a tutte le chiese del paese e fecero alzare le campane a doppio dalli respetivi campanari. Filippo Monti in mezo a tante novità diede petizione al Comisario del Potere esecutivo di Bologna perché si facessero le processioni del SS.mo pubblicamente come una volta per le strade del Castello e Borgo così li viatici ed altre simili funzioni.
Favorì il Comissario ed in seguito la prima processione che si fece fu quella della B.V. Addolorata, dappoi l’arciprete ordinò una processione di penitenza. Invitò quindi le due relligioni francescane colla condizione che intervenissero senza la loro croce ma intervenissero come clero sotto la sua croce. Ecco un novo impegno per un paroco torbido per sottopporre alla di lui tiranide anco li regolari, non contento delle angustie passate fatte alle altre corporazioni ed alle particolari familie del paese. Vi fu perciò un serio bisbiglio che comprometteva il paese. Fu detto essere questa una insurezione patriottica per cacciare le religioni, mentre l’arciprete era di sentimenti e massime repubblicane.
Ma li frati messi al forte ricusarono e l’arciprete fece fare la procesione al suo clero et aderenti, la visita alle sole chiese ove conservasi il SS.mo.
Il dott. Angiolo Lolli pressidente municipale che aveva veduto il paese in pericolo, marciò a Bologna ad informare la Centrale dell’accaduto. Pendenti questi fatti, la Municipalità fece un comitato e chiamò in ajuto il tenente Gianfrancesco Andrini, Antonio Bertuzzi e Giacomo Ravasini per comporre le discordanze fra li animi amareggiati ed anco ad operare al bisogno. Avendo per ciò li paesani deposte tutte le cocarde francesi, la Municipalità mise fuori una notificazione colla quale ramemorava l’osservanza delle leggi relative alle cocarde, onde ritornarono in uso come prima.
Per evitare poi novi tumulti, la Municipalità ordinò altri due corpi di Guardia oltre li altri due che esistevano cioè uno alla porta di sopra del Castello e l’altro all’ingresso del Borgo dalla parte di Bologna.
Essendo poi venuti a parole alcuni di Monte Catone con quelli di Doccia nell’ocasione delle presenti feste di Pentecoste, uno della familia Calacca capo popolo patriotta diede una mentita ad uno di Monte Cattone e la facenda si (…) saria per modo che li montecatonesi riuniti le sortì prendere la salita del Castello dietro la Rocca e rumoreggiandosi discesero dal vicino Monte Catone molti di quei villani che spallegiati dal fattore delli Cavalca per nome Stanislao …………… venero in Dozza in rinforzo de suoi e quivi accresciuto il rumore, furono necessitati li patriotti ritirarsi nella rocca, li montecatonesi corsero alla piazza e preso il quartiere di quella guardia disarmarono li civici, portarono lo paglioni in piazza presso l’arbore repubblicano e l’incendiarono.
Ma, come che Dozza nelle presenti circostanze era subordinata a Castel S. Pietro, ricorsero li dozzesi alla Municipalità di Castel S. Pietro rapresentandoli non solo l’acaduto ma che cresceva l’insorgenza de montecatonesi che abbruciavano le seraglie della casa comunale, usci, finestre, tavole e quanto credevano di spettanza municipale.
Inteso un tanto disordine la Municipalità di Castel S. Pietro come capoluogo intimò mediante lettera diretta al capo de montecatonesi la partenza ed abbandono di quella terra, che nulla si apparteneva a Monte Catone, altrimenti se le sarìa spedito un corpo di mille uomini scortati da francesi, essendone arrivato uno stacamento di 30 da Medicina per abbassare l’orgoglio de montecatonesi.
Risposero questi negativamente che volevano tenere la Terra in suo potere e sacheggiarla ancora al vogo e che intanto volevano da quella populazione essere mantenuti fino a che la forza li avesse cacciati.
A questo effetto andarono tosto alla casa del cittad. Presidente Nerozzi ricevitore della cassa publica e volero l. 150 di Bologna che a forza le furono pagate contro ricevuta poi mandarono a D. Geminiano Cassani arciprete di S. Lorenzo per altri l. 100. Dal prevosto di Dozza Ottavio Nerozzi vollero pane, vino, carne e ciò le venne in capo. Stettero questi agressori tre giorni nella terra, onde li agenti municipali della med. ricorsero di novo a Castel S. Pietro con li aggiunti della Toscanella. Castel S. Pietro mandò un novo messaggio con nove intimidazioni e minaccie. All’arrivo di questi fu ricevuto con armi calate e quando fu aperta la letera vollero sentirne tutto il contenuto per darle concordemente la risposta e fu che si sarebbero essi prestati all’abbandono della terra, qualvolta la comune di Doccia le desse sei di sua guardia per accompagnamento e di più le dessero sei ostaggi che poi solamente la domenica prossima 20 maggio avrebbero evacuata la terra per unirsi alli altri insurgenti nella Toscana e che tutti li giorni fino al punto della partenza loro la Municipalità di Dozza pagasse pavoli due a testa delli insorgenti colla pagnotta giornaliera.
Intese queste capitolazioni la municipalità do Castel S. Pietro colla comune di Dozza, fu approvata e così decamparono il giorno stabilito.
Fino che si facevano queste cose di questo canto, contemporaneamente la Municipalità di Lojano, carica di truppe francesi da alquanto tempo che l’avevano devastato quel paese, scrisse alla Municipalità di Castel S. Pietro che le mandasse alquanti bovi per servigio di quelle truppe, stante che la Centrale di Bologna aveva così concordato con Castel S. Pietro, ma come che questa niun aviso né ordine aveva avuto, rispose non potersi prestare alla richiesta.
La stagione intanto prosseguiva ad essere fredda di modo che giunti alli 18 maggio il grano spuntava apena la spiga, donde si prevedeva carestia, onde il grano crebbe di prezzo e così li altri generi, il primo da l. 10 la corba amontò a l. 15, il formentone da l. 5 amontò a l. 7, le carni bovine poi per la libertà di prezzo fu accresciuta la libra dalli soldi 4 alli 9, li altri comestibili divenero tutti cari e le ova di gallina si vendettero a soldi 4 la copia, il danaro diventa scarsissimo.
Il suono delle campane per li morti, che fino ad oggi era stato supresso, si cominciò di novo a farsi sentire e così pure si incominciarono li riti di S. Chiesa nelle città.
La notte del 18 presentitosi che li insorgenti andavano in corpi qua e là per fare aggressioni e bottinare, pattugliando il sotto ajutante Gaetano Andrini con Giacomo Ravasini caporale nel d’intorno al Borgo o Castello incontrarono sotto il ponte del Silaro una truppa di 14 armati che ascosti ivi meditavano entrare nell’abitato. Furono costoro invitati al solito: Chi vi è! . Mai risposero, finalmente invitati la 3° volta non risposero ma cominciarono a far foco contro la pattuglia, la quale bravamente rispondendo li cacciò in fuga e ne ferirono tre fugitivi di nove che erano. Fra una parte e l’altra andarono 36 fucilate e niuno de nostri restò offeso quantunque per lungo tratto di strada verso Castel Guelfo fossero inseguiti.
Il comandante Capo battaglione dott. Francesco Cavazza rinonciò al ministero per le altre occupazioni datole. Filippo Zogoli, di cui si scrisse sopra come uno dei capi insorgenti sul ferarese, venendo in queste parti da solo coraggiosamente fece prigioni due ufficiali francesi e li condusse al campo tedesco nel modenese. Crebbe di modo il suo credito che fu promosso col filio a maggior posto fra li insorgenti.
Li 19 maggio finalmente, doppo lunga sospensione dei riti eclesiatici in questo loco circa la sepoltura de morti che si portavano alla chiesa come cani ed altre bestie senza croce e senza lumi, pressentitesi li avvanzamenti delli austriaci colegati colli russi e che di Milano avanzavano cacciati li francesi e distrutto il Direttorio, cominciossi a ripristinare tutto. Li primi che furono portati al sepolcro con croce e lumi furono due gemelli di diverso sesso figli di Matteo Martelli ed Orsola Tombarelli contadini di professione di giorni 13 nati il primo col nome di Antonio Abramo e la seconda col nome di Margarita. Il popolo catolico esultò molto ed il rito fu più solenne del consueto.
Li 20 d. un corpo di cisalpini unito ad alquanti civili di Imola in lunedì, accompagnati da alquanti dragoni francesi, andarono a Tossignano dove un capo di insorgenti si era collassù fortificato con molti suoi partigiani. Questo capo era il bargello delli sgherri di quel paese licenziato perché serviva il governo pontificio e facendosi chiamare, per il gran seguito che aveva, il generale Santa Croce per che ovunque andava e ritrovava l’arbore della Libertà si atterrava e li sostituiva la S. Croce di legno inalberandola, per la qual cosa intendendo li cisalpini e civici rimettere l’arbore.
Appena che furono giunti a quel confine cominciarono a battersi dando campana a martello. Fu la battaglia così fiera che di 112 collasù andati ne tornarono a imola solo 14 fra quali alquanti feriti con sei dragoni a cavallo. Li insorgenti bene appostati non mancò che un solo uomo. Presero tal coraggio li insorgenti che venero poco distanti ad Imola, traendo seco molti seguaci.
La città si mise in timore e chiuse le porte anco alla rocca e fra li morti sud. vi restò uno di casa Zappi imolese. Intanto arivò un generale francese ad Imola fuggitivo di Ancona. Apena giunto fece sequestrare in palazzo il cardinale vescovo Chiaramonti, arestò tutto il capitolo e lo pose in rocca con alquanti nobili per ostaggi onde assicurarsi da una comune insurezione essendo la città malcontenta de francesi, poi fece chiudere due porte della città e fece arestare chiunque non aveva la cocarda francese.
Li 22 maggio mercoldì mattina la Civica di Castel S. Pietro in N. di 26 uomini marciò coll’ajutante Andrini Gaetano, avendo anco seco il Presidente Angiolo Lolli col segretario Stafano Grandi, alla volta di Dozza dove erano già partiti li insorgenti di Monte Catone per levare quell’archivio e trasportarlo a Castel S. Pietro, come difatti seguì. Si procedette con questa cauzione sul timore che dalli stessi insorgenti imboscati si facesse una nova aggressione. Ritornarono li civici col pressidente sud. con due carra di robba che fu collocata in questo convento di S. Francesco sotto chiave
Li 23 d. giorno del Corpus D.ni, essendo fino ad ora stato sospeso e proibite le processioni pubblicamente del SS.mo fuori di chiesa, stante le rivoluzioni incominciate nei vicini paesi della Romagna bassa e di Tossignano e Sassoleone, per evitare simili fatti in Castel S. Pietro, fu concessa la funzione publica con solo dodoci capati della Compagnia del SS.mo ma poi con l’intervento delle due fratterie locali. A questa funzione vi intervennero la Civica in uniforme, vi fu gran popolo con quantità di lumi fino al N. di mille, vedensi per fino li fanciulli e fanciulle con candele di cera accese.
Andò la processione generalmente per tutte le strade del Castello e Borgo, passò per li Palazzi tutti e, finalmente ritornata in chiesa il SS., si benedì il popolo dopo solenne Tantum Ergo. La Compagnia del SS.mo SS.to, riconoscente ancor essa di tanta grazia e di non essersi abbolita la sua chiesa ed oratorio, cominciò la sera stessa un solenne triduo al suo Crocefisso coll’esporlo alla pubblica venerazione dove stette all’altar maggiore esposto tutto il venerdì, sabato e domenica 24, 25 e 26 maggio con quantità di messe.
La sera sud. del Corpus D. si incominciò una insurezione di un nulla che poi andò a terminare per cagione della notte. Inperciochè il pressidente Lolli andando al passeggio in compagnia di Giovanni Inviti, Giulio Grandi e Stefano Grandi segretario municipale verso la via che porta a Bologna sull’ora fresca incontrarono di là del ponte della Crocetta Gioachino Veroli filio di Andrea detto Romagna con Luigi Canè che venivano alla volta del Borgo portanti ambidue una piccola frasca sul capello. Il pressidente Lolli col d. Inviti veduta tale frasca, intimarono alli incontrati la deposizione della frasca. Risposero coraggiosamente questi che non essendovi leggi in contrario credevano poterla portare, tanto più che li francesi ancor essi la portavano colli cisalpini ed altri civici del Castello e Borgo. Per tale coraggiosa risposta adirato il pressidente sfoderò la sciabla e Giovanni Inviti sul momento schiantò la frasca a Luigi Canè. Naque rumore onde in un punto si alarmarono tutti li aderenti al partito austriaco e Gioachino Badiali inventore della frasca accorse e convenne al presidente ed all’Inviti nascondersi.
Il Badiali che era stato l’autore delle frasche su li capelli e berette, amutinati con armi calate cominciarono a caminare per l’abitato cercando triche e occasioni di battersi. Durò questa storia fino all’ora di notte italiana onde le persone amanti di tranquillità si chiusero nelle case. Tutta la notte girò il Badiali con altri aderenti in modo che la pattuglia civica non ardì pattugliare.
La mattina seguente 27 maggio giorno di lunedì si viddero li capelli e beretti più carichi di frasche di quello che si vedessero prima. Fu per ciò fatta instanza alla Amministrazione centrale dal presidente Lolli, Stefano Grandi e Francesco Farnè e Luigi Cardinali suoi colleghi onde riparare al disordine. Fu ascoltata la instanza e perciò al nascere del sole li 28 cadente maggio venne a Castel S. Pietro in presidio uno staccamento di 50 militari dalla parte d’Imola, de quali la metà erano civici d’Imola e l’altra metà cisalpini li quali andati alla piazza maggiore del castello presero possesso del quartiere e così fecero li altri nel Borgo che si impossessarono di quel quartiere esistente nel locale dell’ospitale de Viandanti poi si misero in azione quattro sentinelle, due cioè al quartiere della Municipalità e due al quartiere del Borgo. Ciascuna di un cisalpino ed un civico.
Queste cose accadono per che le autorità locali sono guaste e di semente cattiva, per cui si può dire col Poeta mantuano nella (…)
Infelix lolium et steriles dominantur avena
Fortunato però è stato in questa crisi il mio figlio che in tempo rinunciò il ministero di capo battaglione, per modo che se ciò non faceva non era più in tempo ad esimersi essendosi proclamata una legge colla quale niuno poteva più rinonciare alle cariche militar, stante li movimenti che si facevano dalli austriaci ed il numero delli insorgenti che cresceva ogni momento.
Li 29 maggio su le ore 14 italiane giunse dalla parte di Roma un altro corpo di francesi e reclutati cisalpini al N. di 100 che coli francesi erano N. di 180 fra quali vi erano alcuni dragoni e quivi si stabilirono in presidio della nostra piazza per le giornaliere battaglie e baruffe di insurgenti contro li patriotti nella Romagna, donde si sentivano cannonate e progressi di insorgenti, da Budrio si approssimarono insorgenti e nella Romagna si avvanzavano napoletani, Ravenna era già occupata da anglorussi e maomettani onde Castelbolognese sebene presidiato viveva in sospetto.
Furono contemporaneamente in Castel S. Pietro e Borgo arestati molti paesani che avevano portato la frasca nel capello il giorno del tumulto eccitato da Gioachino Badiali e posti tutti nel corpo di guardia e casa di arresto, dove dalle ore 10 italiane stetero fino alla sera e poi rilasciati, rimase solo in aresto Giuseppe del fu Giovanni Ghetti, giovine di alta statura, ben complesso e valoroso che avendo tentata la fuga, fu maltrattato con sciabla e su le 22 italiane del dì seguente fu condotto da 50 polachi in Imola. in questo momento giunsero di Romagna 100 francesi che albergarono nel palazzo Locatelli.
Trovavasi per ciò il paese guarnito di 800 armati tra civici, piemontesi, polachi e francesi. Posero la guardia alla porta di sopra con un corpo di soldati, un altra sentinella con un corpo avanzato nella via romana alla Crocetta, un altro pichetto di soldati con sentinella al ponte sopra il canale presso la tintoreria, un altro con sentinella nell’ingresso del Borgo al Portone poco distante dal quartiere dell’Ospitale, in modo che tutte le strade nei capi loro erano guardate.
Tutta la notte altro non si sentiva che il Chi vive! ed Altò!, parola francese che equivaleva al nostro ditterio del : Chi va là!, a motivo che di Romagna pasavano in Bologna cariaggi, birozi e legni. Passò ancora un generale con altri ufficiali dello stato maggiore ed in appresso la truppa sud. che era quivi slogiò restandoci li soli civici. In vista di questa impensata fuga il dottor Lolli fuggì senza sapersi dove. Fugirono ancora altri patriotti per tema della vita di notte tempo.
Rimpatriarono poi la mattina seguente ma poco poiché la notte delli 30 andando alli 31 maggio fuggirono li più fanatici patriotti e furono Antonio Sarti, Giuseppe Oppi detto Pussolo, Alvisi Lorenzo, Camillo Ronchi, Gaetano Ronchi, Ciriaco Bertuzzi, Filippo Muzzi detto Tarmone ed altri che tenendo la via della montagna e collina andarono a Bologna.
Partiti che furono costoro si seppe un tradimento, che machinavano contro li paesani, che avevano intenzionato di eseguire contro boni e probi cittadini ed era di fare archibuggiare otto paesani come rivoluzionari cioè Giuseppe Ghetti, Giulio e Gaetano padre e filio Andrini, Gioachino Badiali, Luigi Lasi detto Majolino, Luigi Berluzzi detto Pistolino, Ottavio Galavotti detto il Bellino, Giacomo Rovasini ed altri poi in conseguenza, ma non le riuscì, perché questi, pure avendo presagito la trama, erano fuggiti. Avevano ancora intenzione di sacheggiare poscia sei familie cioè li d. Andrini, Nicola Manaresi, li fratelli Lugatti e la mia familia, quella di Carlo Conti e di Francesco Conti notaio.
Avevano ancora fatta una nota di mandare 40 persone ai ferri per alquanti mesi atteso essere del partito aristocratico e ciò a piacimento del generale Usurò. Erano le persone segnate li fratelli D. Luigi e Giuseppe Sarti speciale, Francesco Giordani, Francesco di Lorenzo Conti, Ercole Cavazza, Carlo Conti, Gio. Francesco Andrini, Sebastiano Lugatti, Nicola Manaresi, Luigi Farnè detto Bevilacqua, Ignazio Farnè, Luigi Musi detto Sbargnocola, Antonio Mingoni detto Pighino, Filippo Monti, Luigi Mazanti, Benedetto Rossi, Nicola Bertuzzi, Giovanni di Pietro Conti, Carlo Bettazzoni, Antonio Bertuzzi, il P. Benvenuto da Bologna guardiano de MM. OO. di S. Francesco, Nicola Dalla Noce ed altri, ma andò in fallo la congiura poiché, doppo avere spedita questa nota di queste tre classi di persone al generale sud. con processetto fatto ocultamente dal solo presidente Lotti, non potette avere il suo effetto attesa la fuga che si prese la truppa francese dalla città di Imola. E’ da notare che il processetto dovevasi spedire alla amministrazione centrale di Bologna, oppure al tribunale dell’alta Polizia per averne l’imediato aresto, non avendo preveduto che li d. due tribunali avrebbero avuto delle convenienze, ricorsero per ciò alle forze militari.
Gioachino Badiali che si era arrolato alla insorgenza colla protezione delli imperiali, essendo stato fuggitivo, giunse a casa su le ore 17 italiane avendo seco truppa tedesca e bene armata ed in arnese. Al di lui arrivo si comosse tutta la populazione del paese gridando: Viva il Papa!, Viva l’Imperatore!. Li parziali francesi si nascosero e parte fuggirono. Fra non molto arrivò Ottaviano Gallavotti detto il Bellino, Luigi Bertuzzi detto Pistollino, Nicola Bertuzzi e Giacomo Ravasini dal campo tedesco. Avevano in capo la cocarda tedesca inquartata con la papale e la frasca novamente.
Più non si sentirono li inni patriottici cantare, né Viva la Libertà!, né Morte ai tiranni! ma bensì altre cantilene fra le quali le seguenti
Bella coccarda cambia colore
morte ai francesi, viva l’imperatore
A questa vi si aggiunse altra che si cantava dalla ciurma bassa e plebaglia in lingua e dialetto bolognese cioè
Viva’l Papa e l’imperator
Viva ‘l fornar e l’ brictador
Viva l’ortlan con ‘l radis
per piantarli da dri ai francis
Perché erano fugiti ancora l’agente municipale Francesco Farnè, Luigi Cardinali aggiunto della Municipalità ed erano andati a Bologna, rimase per ciò sprovisto tutto il paese delle autorità locali per la qual cosa furono sul momento dal vicecomandante Antonio Barbazzi, che era rimpatriato, surogati in quello li cittad. Gio. Francesco Andrini e Sebastiano Lugatti detto Il Romano. Si procedette così perché si attendevano a momenti da Imola li tedeschi accompagnati da bon numero di insorgenti.
La notte seguente che fu il giorno primo di Giugno furono dalli nostri civici o pattuglie sequestrati tutti li capitali e comestibili del fugitivo Lolli pressidente, il quale aveva già mandato la moglie a Bologna e la famiglia a Medicina.
Acclamato l’Imperatore ed il Papa per sovrani li ragazzi del paese corsero tosto alla piazza a contumeliare di parole e sporchizie l’arbore e tirar sassi alli trofei repubblicani appesi a questo.
La mattina posteriore delli 3 giugno si videro affissi ad alcune case delli primari patriotti e cioè di Francesco Farnè, di Antonio Giorgi ed altri li seguenti versi in cartelli manoscritti e così alla casa del Lolli:
Libertà fra le catene,
eguaglianza nelle pene
Relligion de Giacobini
Fratellanza d’assassini
or godete, o malandrini
L’arciprete Calistri partecipante e patriotto politico, vedendosi a mal partito per tanta novità si raccomandava a chiunque del bon partito per non essere dannegiato in forza de suoi monopoli praticati contro il diritto e ragione. Li Andrini poi mandarono tosto ad Imola a chiamare li tedeschi ma non venero perché erano andati a Faenza a prenderla. Penetratosi ciò dal dott. Lolli presidente da Francesco Farnè agente municipale e da Luigi Cardinali detto: Scaliola suo aggiunto, fugirono a Bologna ai quali vi tennero dietro il fattore Domenico Grandi, Ercole Bergami, Giuseppe Oppi detto: Guffolo, Filippo Muzzi detto Tarmone, Antonio Sarti, li tre fratelli Camillo, Gaetano e Ladislao Amadesi detto Laino invece di Ladislaino, Agostino Piacenti, Lorenzo Alvisi principali e con essi altri patriotti per tema di non essere arestati dalli insorgenti e dei partitanti volontari dell’imperatore. Giunti a Bologna fecero tutte le instanze possibili per non essere molestati nella robba e persona.
Adì primo giugno sabato, fermentandosi sempre più la congiura del paese contro li patriotti, trovandosi in Bologna tutti li individui municipali, divenne il paese un anarchia che declinando all’estremo. Si radunarono per ciò nella casa municipale li cittadini Sebastiano Lugatti, Gio Francesco tenente Andrini, Antonio Bertuzzi, Giacomo Ravasini col segretario Stefano Grandi. Prevedendo che stava sul momento per scopiare la congiura e che li insurgenti di Romagna stavano per entrare nel nostro abitato, fu proposto una contribuzione per quietarli, da addossarsi alli paesani. Fu invitato alla sudetta Antonio Giorgi giudice di pace per che ancor esso assistesse, ricusò di presentarsi e tutto rimase sospeso sul riflesso che si avvicinavano li francesi doppo avere sacheggiato S. Giovanni in Persiceto dopo aver massacrato in quel loco 800 persone col canone a mitraglia.
Il presidente Lolli di ciò informato e ritornato in patria processò 43 familie, né però vi stette poiché avvisato che insolentemente venivano li insorgenti, di volo se ne tornò via e bon per lui che se mantenevasi era sicuramente fermato, poiché la sera dello stesso giorno, che fu la domenica, su le ore 22 italiane giunse un picchetto di dodici dragoni tedeschi da Imola vestiti di color verde chiaro e busta nera in capo, accompagnati da alquanti mascalzoni a piedi. Entrarono in Castello dopo aver preso il Borgo e poste le sentinelle a tutti i capi strada, corsero alla piazza poi alla casa municipale ed al quartiere de civici, ove essendo li civici non fu concessa alcuna ostilità. Li terazzani non si mossero e li pusilanimi si ritirarono nelle chiese e proprie case. Cercarono li individui municipali ma perché il detto Lolli presidente con li sud. Farnè e Cardinali erano in Bologna non trovandosi in patria che il segretario Stefano Grandi.
Chiamato nella ressidenza municipale, non potendo da se solo sfogare l’urgenza, chiamò in ajuto li cittad. Antonio Bertuzzi, Gianfrancesco Andrini e Antonio Giorgi giudice attuale per quietare li agressori insorgenti. Si interpose ancora il cittad. Sebastiano Lugattiu e calmati li insorgenti chiesero un beveraggio e l’ebbero. Ciò ottenuto corsero all’arbore e l’abbracciarono, poi andarono alla casa del cittad. Giulio Andrini nel Borgo, non si sa il perché, e trovate solo donne peggiorarono questa casa per scudi trenta ma fu creduta (…) per la aderenza che Gaetano Andrini aveva colli tedeschi.
Ercole Bergami gran patriotto e nominato Scalfarotto, essendosi appiattato, fu multata sua moglie che pagò scudi 40. Li figli del fattore Domenico Grandi pagarono a testa l. 6 e quanti avevano la cocarda francese furono spogliati della med. contumeliosamente. Indi passati all’arbore per atterarlo niun castellano si pose all’opera. Questo atterato ritornarono alla casa municipale e da questa portarono via due bandiere repubblicane con alcuni fucili e tamburo, poi partirono per la Romagna ad unirsi con altri.
Adì 3 d. giorno di lunedì avvanti giorno arrivò dalle parti di Bologna il generale francese Holin, terrorista francese senza strepito di tamburi, piantò un canone sul ponte del Silaro rivolto al Borgo e Castello ed un altro canone piantò nella piazza de bovini, poi chiamato Stefano Grandi segretario municipale ordinolle che in meno di un ora fosse inalberato un novo arbore repubblicano, poi rinfrescò la truppa e cavalleria che aveva seco. Ciò fatto mandò a circondare colle sue guardie e civici nostri le case di Francesco Giordani di Carlo Conti, la mia e quella di Gio. Francesco Andrini e Sarti ma, questi fugiti, furono posti solo in ostaggio li sudd. quattro e caricati in un legno fossimo condotti a Imola alla piazza publica dove era tutto l’armamento francese arrivato.
Quivi si fucillarono sette poveri sventurati imolesi che fugivano per timore e furono creduti insorgenti. Aspettavamo noi altri quattro l’avviso di essersi sottoposti alla fucillazione, ma un affare di maggiore rillevanza lasciò calmare l’ira e il furore del terrorista Holin. Stettimo così nella piazza ad aspettare il nostro destino fino al mezzogiorno ben guardati senza sapere il nostro reato e la sorte. Finalmente fossimo condotti nel quartiere civico ed introdotti nel palazzo municipale senza cibo e solo guardati da duplicate sentinelle fino all’Avemaria e fu fortuna nostra che da Castel bolognese giunse avviso che quel paese era in insorgenza e si battevano le persone onde Holin corse sul momento a marcia forzata verso quel paese e noi restassimo affidati al capo battaglione d’Imola che fortunatamente era il cittad. Domenico Antonio filio di Roco Andrini cugino del sud. Gian Francesco nostro collega ostaggio che tostamente in quel scompiglio nella città fossimo assicurati nel convento di S. Domenico, ben guardati da sentinelle. La mattina seguente delli 3 d. fossimo trasportatai a Bologna, dove fatici girare la città in un legno fossimo posti nella Casa di S. Ignazio già de gesuiti nel Borgo della Paglia.
La sera dello stesso giorno fossimo condotti nel convento de P.P. de Servi in strada maggiore e dati in consegna alla guardia civica di Bologna dove erano molti nobili bolognesi, senatori, canonici e per fino mons. Lauri vicario generale del vescovato.
In tempo che seguì il nostro aresto, sconposto tutto il paese, spatriarono molti e fra questi vi furono anco arestati, Giulio Andrini, Gaetano e Vincenzo suoi figli, Luigi Farnè detto Bevilaqua, Felice Farnè ed Antonio suo fratello, Sante e Gaetano Giorgi, tre fratelli andarono per sua sicurezza a Castel del Rio. Sebastiano Lugatti, Angiolo Visibelli, Pietro Alvisi, Giuseppe Noni, Gioachino Badiali, Ottaviano Galavotti detto: Il Bellino. Questi ultimi cinque si unirono alli insorgenti e loro capo fu Luigi Musi detto: Sbargnocola. Li seguenti poi si sparsero per la campagna: Antonio Mingotti detto Pighino, Luigi Bertuzzi detto Tistillino andò nel ferarese.
D. Luigi Sarti col fratello Giuseppe speciale, Andrea ……. detto Il Toretto con Pietro ……. detto Maranga, Nicola Bertuzzi e Giuseppe Farolfi detto Bochino , dal becco leporino, con Luigi Bergami detto Boldrina furono arestati e condotti a Bologna. Il cittad. Ravasini e Serafino fratello, Pietro Alvisi detto Naso di ottone con Giovanni Cella andarono nel veneziano.
Non ostante queste fughe, Antonio Sarti ed Agostino Piacenti famosi patriotti benchè sapessero essere fuggiti li probi cittadini Sebastiano Lugatti ed il d. Antonio Bertuzzi andarono in loro case a scompigliarle simulando non sapere la fugita, andarono ancora con questo pretesto al convento de Cappuccini, dove erano quattro boni religiosi, perlustrarono tutto il convento e repostili del med. suggerendo che quivi fossero delli fuggittivi e minacciarono di incendiare il loro convento se non le davano nelle mani qualunque aristocratico avessero.
Non avendo trovato alcuno si portarono questi due manigoldi accaniti immediatamente al convento di S. Francesco, ove neppure trovati li sud. intimarono d’ordine della Municipalità l’esilio del P. Benvenuto di Bologna guardiano di dovere sloggiare in termine di ore 12 sotto pena di aresto e fucilazione. Egli tosto partì né si potette intendere il suo reato.
In vista di tutti questi movimenti il generale Holin che era in Imola partì e nel dì 7 andossi a Bologna con uno stacamento di 100 cisalpini che lasciò in guardia del nostro Castello dove dimorarono fino alli 12 giugno mercoldì di dove condusero Nicolone Bertuzzi, Bochino, ed Angiolo Visibelli alle carceri. Nel mentre che questa truppa stava in Castello, li civici avendo il quartiere alla casa municipale fecero alquante bombardiere nella parete dell’orto che guarda la piazza del Castello. In casa mia in questo tempo alloggiarono quattro ufficiali cisalpini.
Li insorgenti della Romagna venuti ad Imola accompagnati da tedeschi fecero una scorreria al nostro Borgo ed entrati in Castello giunsero al quartiere della Municipalità di dove impossessati portarono via 26 fucili. In questo tempo mi fu incendiata in campagna una casa dette l’Olmo, nel teritorio di Dozza, dove perì la stalla, fenile, porzione di casa e portico.
Il governo del nostro Castello al presente era affidato al cittad. Dott. Angiolo Lolli, Francesco Farnè e Luigi Cardinali detto Scagliola. Li governanti della Civica erano Antonio Sarti capo battaglione, Agostino Piacenti suo ajutante, ufficiali Camillo, Gaetano e Ladislao Ronchi fratelli, Luca Giorgi e Giuseppe Oppi detto Gussolo.
Li 12 d. essendo venuti 13 dragoni tedeschi nel nostro Borgo ad esplorare. li sud. civici fecero alto, presero li posti e tanto fecero che li presero in mezo, onde fatti prigionieri furono disarmati e condotti al quartiere e casa d’aresto. La mattina seguente furono condotti ambiziosamente prigionieri a Bologna al campo francese e furono compagnati al generale francese Holin ed al comandante della piazza Manuir francese.
Furono ricevuti dai bolognesi e francesi con letizia e fra li evviva. Tosto furono venduti all’incanto i cavalli e ricavato il prezzo di scudi 300, fu ripartito ai civici nostri che erano N. 18 restarono solo al generale le carabine, sciable e gistelle. E perché fra nostri civici vi era Ciriaco Bertuzzi filio di Nicola Bertuzzi detto Nicolone che era in mano de francesi come capo di insorgenza in Castel S. Pietro, le chiese in grazia la vita paterna e fu consolato. La sera stessa furono condotti a Bologna altri due cavalli tedeschi prigionieri e furono premiati i civici che li avevano arrestati e furono Antonio Curti detto Brasula e ………… detto Capanino ambi cognati Marchi.
Questi fatti produssero una amarezza tale nei tedeschi che fu minacciato il paese di sacheggio ed anco di uno spianamento del Castello e Borgo. Molte familie del paese spatriarono, portando seco ciò che potevano mentre si diceva che a momenti sarebbero arivati li imperiali, oppure li insorgenti. Chi emigrava nella vicina Romagna, chi al monte, chi a Bologna. Le principali che emigrarono furono li Lugatti, Pietro Ronchi detto Marmino, Celso Manaresi, Andrini, Bertuzzi Giacomo ed Antonio, Giorgi, Conti, Beltazzoni, Grandi Stefano e Grandi Domenico fattore de Barnabiti gran patriotta, la vedova Maria Graffi, la mia familia, Conti di Lorenzo, Trochi Lorenzo, Giordani chirurgo, Sarti, Lolli ed altri per modo che il paese era evacuato avendovi temuto ancora dietro l’arciprete e la chiesa chiusa.
Siamo alla metà di giugno e la stagione fredda ancora domina la campagna, la pioggia continua onde li formenti ed altri seminati sono oppressi da una umidità tale che non possono rissorgere abbatuti, si teme di penuria ed il grano si vende pavoli 36 la corba.
Avutasi nova dal comandante tedesco che era nella Romagna bassa dello aresto fatto dai civici di Castel S. Pietro, tosto con 300 uomini decampò dalla situazione ove era e si diresse al nostro Castello per vendicare l’ingiuria fatta a suoi militari dove che niuno dei civici vi doveva entrare. Giunto alla Toscanella mettendosi in ordine per battere il nostro paese con canone, lo sopragiunse stafetta di rivolgere il viaggio a Ferrara dove si riducevano francesi per ogni parte onde aveva quella città senza foco, per la qual cosa tostamente rivolse la truppa a quella parte, rimanendo in Imola però il comandante maggiore tedesco.
Vedutosi il pericolo da nostri paesani furono spediti oratori al Cardinale vescovo Chiaramonti d’Imola, acciò si interponesse presso quel comandante per il perdono. Furono questi Roco Andrini, Antonio Magnani e Camillo Bertuzzi, operarono destramente facendo constare che la rapresaglia era stata promessa ed effetuata ad opera di Antonio Sarti capo battaglione, dal d. Piacenti suo ajutante, Ciriaco Bertuzzi, Luca Giorgi, Filippo Dalla Noce, Giuseppe Capelletti, Antonio Amaduzzi ed altri scapestrati non già da boni cittadini, li quali anzi abborivano e declamavano contro li agressori. Ascoltò il comandante li oratori col cardinale, ma non assolvette li malandrini differendo la rissoluzione. Pervenuta altra stafetta al d. comandante di portarsi tutta la sua forza a Ferrara dove li francesi facevano alto, si dirizzò là con tutti li insorgenti.
Crebbero li rumori de patriotti e s’animarono più contro le persone probe del paese e massime contro il partito aristocratico, onde alcuni fugirono, fra quali il cittad. Antonio Bertuzzi che andando verso il veneziano quando fu a Cento fu creduto un emissario e spia francese onde fu arestato e condotto in quella città ad ochi bendati, ove il popolo centese vedutolo gridava: Alla morte! alla morte! ma tradotto in casa d’aresto, esaminato e giustificata la sua fuga, non che la qualità del suo grado, date le opportune cognizioni, fu rilasciato fra tre giorni da Cento ma condotto a Ferrara prigioniero per ivi sentire dal generale tedesco la sua sentenza.
In questo mentre fu arestato da civici nostri Lorenzo di Mattia Andrini ospitaliere per sospetto di machinatore del sacheggio, dicendosi avere esso la nota delle famiglie da sacheggiarsi del partito francese e patriotico, fondando il sospetto per avere servito per molti anni nella Marca e Romagna da militare al soldo pontificio e per che conosceva molti delli insorgenti di Romagna.
In Bologna Stefano Grandi segretario municipale fu arrestato da francesi per avere capitolato verbalmente colli insorgenti la seconda volta che venero in Castel S. Pietro la sera del 2 corente giugno.
Li 17 di questo mese fu in Imola arestata dalli insorgenti tutta la Municipalità creata dalli patriotti e condotta a Ravenna, così seguì in Faenza dove ne furono arestati 17 exnobili e menati via.
Li 20 d. li insorgenti la mattina andarono fin sotto le mura di Bologna a strada Maggiore in bon numero, parte a cavallo e parte a piedi ed alla porta S. Vitale ve ne andarono 250. La Civica della città ed il generale Holin, che ressiedava in quella, andovvi tosto con 30 cavalli e poi civici e piemontesi N. 60 colle munizioni fuori strada Maggiore per battersi ma essendosi quelli ritirati al ponte di Savena col comandante tedesco con alcuni dragoni, vedendo crescere la truppa francese, si ritirò e poscia venero per traversie a S. Lazaro nella via romana ripartendosi parte per la via di Medicina e parte alla volta di Castel S. Pietro ove arrivarono alle ore 20 italiane al Borgo.
Ciò presentitosi dalli civici, corsero tantosto all’armi et (posto) alla testa della guardia il capo battaglione Antonio Sarti se le fece incontro chiedendo a quel comandante tedesco per nome Lituarez chi fosse e cosa addomandava colla sua gente avvanti entrassero nell’abitato. Rispose il tedesco essere imperiale e che voleva sul momento mille scudi di contribuzione dalla Municipalità. Rispose il capo battaglione non essere possibile onde fu minacciato il sacco e di far foco. Coraggioso il Sarti soggiunse che prima di ciò aveva tremilla uomini da sacrificare al suo comando e che tantosto l’invitava alla operazione.
Infatti presi li posti li civici castellani e borghesani cominciò una baruffa, battuto il tamburo si radunarono li civici colle armi e facendo foco, animati dal giudice Antonio Giorgi, andarono molte fucilate. Li villani che erano al quartiere di Borgo nell’Ospitale abbandonarono il loro posto e fuggirono in modo che restando nella battaglia li civici riescì a Lituarez entrare col cavallo nell’abitato in cui incontratosi il Giorgi ed interogato a qual entro il castello si batteva la cassa, rispose essere un esercizio militare di gioventù e così ingannò il Lituarez in guisa che restò in mezo al foco con li tedeschi a piedi ed a cavallo, che furono di essi sagrificati cinque morti avendo ricevuto dalla finestra di Antonio Inviti archibugiate dalla porta del Castello, onde vedendo la mala parte Lituarez di sua parte ed esso in pericolo, prese la strada di S. Pietro con velocità del cavallo ed andò alla volta della via romana per andare nella Romagna e congiungersi colli altri insorgenti. Perdette il capello ed un anello nella mischia nella quale stettero forti fino che ebbero cacciati li nemici solamente N. 20 civici.
Durò quattro ore il foco del quale il maggior bolore fu per avere la porta maggiore del Castello il che non riescì rimanendo vittima della morte 5 militari tedeschi e li altri avendo veduta la fuga di Lituarez e sentendo crescere il rumore fuggirono parte feriti e parte sacheggiando. Maltrattarono le familie e case di Giulio Andrini e del capitano Pier Andrea Giorgi. Delli civici niuno restò ferito perché erano a coperto colla persona e facevano foco dalle case.
Terminata la baruffa furono caricati in due carra ed un birozzo li feriti e tradotti a Medicina in quell’ospitale per essere curati. Le spoglie delli ucisi tocco alli civici. Il bagaglio militare fu portato a Medicina in un carro. Le sentinelle che erano sulla mura dalla parte de capucini, essendo archibugiato abbandonarono il loro posto e venero alla porta del Castello per assalire li insurgenti che tentavano di entrare, ma vedendosi respinti e ben difesa la terra spedirono ad Imola per avere soccorso. Furono tosto spediti a Bologna avvisi onde il generale Holin mandasse ajuto, ed imediatamente spedì 300 francesi e piemontesi a Castel S. Pietro, già liberato da quell’attacco.
Arrivati la mattina seguente il rinforzo, fu presidiato il Castello e Borgo di 200 delli sud. e cento ne furono spediti a Medicina ove fatti prigionieri quelli insurgenti feriti che non potettero andarsene dall’ospitale furono sul momento ivi fucillati dai francesi che fatta la operazione ritornarono a Castel S. Pietro ove essendo rimasti due feriti de quali eravi un faentino bel giovane ed un altro forlivese, trasportati fori dall’Ospitale per ordine del dott. Lolli presidente furono fucillati. Stetero alla guardia di Castel S. Pietro li francesi fino al giorno di domenica 23 d. di dove decamparono et andarono a Bologna.
Lasciato sprovisto il paese il presidente Lolli, vedendo in pericolo la terra per la vicinanza delli insorgenti di Romagna, andò di volo dal generale Holin chiedendole diffesa. Ordinò questi che si fortificasse il Castello con palancati e bariere ove fosse di bisogno e che si rimettessero le porte che ne abbisognasse la terra. Fu contemporaneamente spedito a Bologna in ostaggio Nicola Farné locandiere alla Corona ed io fra tre giorni fui liberato per grazzia ottenutami dal pressidente, per che mio figlio era stato per il passato capo battaglione. Tenero ancora a Bologna molte donne del paese arestate, né si seppe la cagione.
Seguì un’altra scorreria di insorgenti da Imola al nostro Castello all’effetto di imprigionare Antonio Giorgi giudice interinale del paese a motivo di avere inganato Lituarez e sollicitati al foco li paesani contro i med., ma prevenuto se ne fuggì dal paese per la montagna superiore verso Bologna dove stette fino alli 30 giugno.
Per li boni portamenti fatti nella baruffa sud. fu chiamato Antonio Sarti e Agostino Piacenti suo ajutante dal generale Holin e furono premiati coll’assoldarli nella truppa francese, in una nova guardia a cavallo di dragoni e furono entrambi fatti caporali.
Floriano di Flaminio Fabbri che era capitano delli artiglieri in Milano, essendo stato fatto prigioniero da tedeschi nella presa di quella città, condotto a Modena pressentendo di essere trasportato nella Germania, fuggì da Modena e venne a Castel S. Pietro, quale di giorno in giorno si evacuava di familie, perché si minacciava il canonamento del paese dalli tedeschi a motivo della su acenata baruffa, tutti non si aspettava altro che sentirne lo spianamento mentre la vigilia di S. Pietro che era il venerdì 26 giugno venero dalla parte di Romagna alquanti dragoni tedeschi con grosso numero di insorgenti, presa la parte del Borgo e Castello che era quasi evacuata furono presi in mezzo quei pochi abitanti rimasti e tutta gente povera indi si incominciarono a sacheggiare. Furono daneggiati fra gli altri e più volte ognuno Paolo Farnè per l. 500. Ercole Cavazza per più di mille, mentre trovandosi tutta la familia in Bologna rimase la casa a discrezione e piena libertà de malfattori. L’arciprete Calistri per l. 300, Francesco di Pietro Conti per l. 200, Stefano Grandi per l. 200, Camillo Bertuzzi per l. 300 e tanti altri di cui ne ha fatto l’elenco Il cittad. Gianfranco Andrini ancor esso maltrattato. Dal venerdì fino al lunedì mattina durò l’orrida scena per cui fuggivano le persone dai manigoldi insorgenti. Furono caricate 83 carra di supelletili, robbe e capitali senza li comestibili e danari e tutto fu portato nella vicina Romagna che si vendette in Imola, Faenza, Forlì, Lugo ed altri luoghi.
Erasi determinato l’incendio, il che presentitosi da D. Vianello Bragaglia che faceva le veci dell’arciprete Calistri bon giacobino col suo capellano D. Francesco Landi, che erano fuggiti per assicurare la vita, il d. D. Bragaglia invitato il clero regolare unito al secolare fece inalzare sul momento la croce e colla S. Imagine del Rosario caminando pel Castello andrò ad incontrare il comandante tedesco e tanto pregò ed implorò che ottenne la grazia della esimizione del foco. L’orore della tragica metamorfosi, la ruina delle robbe, la insecuzione de beni a probi cittadini formavano il più somesso della scena non perdonandosi ad alcuno, ne meno ai poveri frati francescani, da cui queste pestifere genti volle lire cento di Bologna altrimenti andavano le sacre supeletili ed argenti essendosi impossessati del convento e sagrestia.
Li paesani più perfidi si unirono alla furente orda che distruggeva ciò che non poteva trasportare. Le vetriate, li seramenti, li metalli ed altre cose non andarono esenti. Il mal peggiore lo facevano i nazionali che insegnavano le cose e familie ove sfogare l’avidità e rabbia loro.
Furono abbruciate tutte le carte della Municipalità, le leggi repubblicane ed anco li libri di contabilità, per cui si sono perduti molti monumenti. Ciò che sucede nell’archivio municipale acadde ancora ad altri ed a me pure, che avendo il prosseguimento della storia del Vizani da me racolto, vi fu la (…), con molti autentici documenti attinenti al capitolo di S. M. Maggiore di Bologna, li cui fragmenti con altri manoscriti sono testimoni e reliquie della furibonda insorgenza. Li libri stampati, di rarità. li (..) mutilati e scompagnati per cui ne posso affermare il danno per 40 zechini. Mi hanno lasciato una memoria lagrimevole e raccontare il nostro tumulto non è possibile.
Il tomo primo titolato: Avvenimenti politici, eclesiastici, militari e civili di Bologna e suo territorio dall’ingresso della vittoriosa truppa austro russa accaduto li 30 giugno 1799. [A.44]
Foglio 18 viene indicato ma laconicamente questa vicenda nel modo seguente:
Castel S. Pietro non era tranquillo, collà per opera di pochi fu fatta in addietro ressistenza ai soldati imperiali, ne derivò la fatale conseguenza di un saccheggio. Caduta Bologna e stabilito il governo austriaco li abitanti di Castel S. Pietro fremevano apertamente contro li autori della loro sciagura. Due sogetti principalmente presi di mira dal astio universale come li sig. Lolli e Giorgi, l’uno pressidente della Deputazione e l’altro Giudice locale, che la Regenza stimò opportuno di sostituire loro altri sogetti più felici nella politica stima comune. Il sud. Lolli aveva già spontaneamente richiesta la propria dimissione. La
nomina cadde a favore del sig. Antonio Bertuzzi per la carica di Presidente e di Ercole Cavazza per quella di giudice. Il Paese applause la scelta ed il fremito pericoloso cessò.
Furono tosto licenziati li insorgenti. [A.45]
Presa Bologna dalli imperiali, io restai libero per grazia ottenuta dal Comandante della piazza da cui ne ebbi il rilascio unito. [A.46]
Furono per ciò gettate le coccarde repubblicane e sotituite le imperiali di color giallo e nero. Gli ostaggi che anco erano distenuti nel convento de Servi fuggirono nel tempo che li tedeschi entravano, fu tosto atterrato l’arbore nella città e seguì in Castel S. Pietro ed in altri luoghi ove si fecero allegrezze. Perché non accadessero nella città scompigli fu proclamato l’ingresso delli austriaci come dalla anessa stampa ed acadero altre providenze.
Li 4 lulio rimpatriato io colla mia familia, riconobbi non essere più Castel S. Pietro per mia patria, primiera spogliata di persone, di robbe e di spirare lutto ed orrore. Furono tosto mandati tedeschi quivi, li quali nominarono nove autorità col nome di Reggenza. Furono in questa notati Luigi Fantuzzi, Giacomo Ravasini, Lorenzo Trochi, Luigi Masi ed Antonio Magnani. Fecero chiudere questi tosto le bombardiere fatte dalli patriotti nella parete della Casa municipale, nel quartiere di Borgo nell’ospitale ed in altri luoghi spettanti alli nazionali. Fu ordinato dalla nova Regenza che si portassero le armi tutte nella Casa municipale.
Il rimanente delle carte repubblicane che erano nell’archivio municipale furono date al foco, onde nessuno potesse ristampare cosa. La stessa giornata delli 4 lulio, giovedì in paese giunsero alquanti dragoni tedeschi condotti dal capitano Schifer.
Si posero perciò da questi sentinelle alle case de civici, che al tempo che venero colli insorgenti la prima volta in paese avevano contro essi fatto foco, per incendiare in oggi le case loro in riconpensa.
Le case furono queste cioè quella di Nicolò Giorgi nel Borgo ove erano state sparate archibugiate in tempo della baruffa, il quale quantunque non fosse egli colpevole, essendo fuori di paese colla familia, non ostante il di lui filio Giuseppe fu arestato e posto nelli Camerini del Borgo. Alla casa pure di Antonio Inviti furono messe fascine per darle foco, ma furono prese in protezione dalle nove autorità in grazia che l’incendio si sarebbe propagato nelli vicini edifici, li di cui padroni erano innocenti.
Furono poi arestati Camillo Ronchi, Zifirino Sassatelli, Luca Giorgi, Luigi Castellari detto Bandella ed altri ed indi condotti a Bologna. La sera stessa furono prese in nota, visitate e sequestrate con tutti li capitali le abitazioni di Gaspare ed Antonio Sarti fratelli, quelle di Antonio Giorgi giudice, che aveva sollecitati li civici a fare foco e quella di Domenico Grandi fattore de barnabiti tutte in Castello, nel Borgo furono quella di Francesco qd. Pietro Conti e quella di Filippo Conti. L’arciprete Calistri presentendo tutte queste cose si nascose in Bologna. Acadero molte altre cose che lungo sarebbe il comentarle. In questa contingenza si videro fuori molte stampe allusive alla cacciata de francesi ed alla supressione della repubblica delle quali ne anettiamo alcune colla stampa del Testamento fatto da un bello spirito per la supressione della sedicente repubblica. [A.47]
Fu ancor veduto replicato per stampa il bello epitafio in versi già nello scorso aprile composto che ci piace qui riscriverlo per la sua venustà e lepidezza:
Qui giace una Repubblica
già detta Cisalpina
di cui non fu la simile
dal Messico alla China
I ladri la fondarono
i pazzi la esaltarono
i saggi la esecrarono
i forti l’ammazzarono.
In questo sol mirabile
carogna non più udita
che non puzzò cadavero
ed appestava in vita
All’occasione del sacheggio avendo li paesani malandrini profittato delle circostanze per rubare ancora essi, fece sapere a tutti li derubanti la dovuta restituzione alli proprietari, ma pochi adempirono.
Il generale Gril tedesco ressidente in Bologna ordinò ora che le autorità passate tornassero provisoriamente alle funzioni del loro istituto. Fu arestato in tale frattempo Antonio Giorgi giudice di pace, fu posto nel quartiere civico del Borgo, ben guardato a motivo della animosità avuta contro li tedeschi per ammazzarli ed imprigionarli. Siccome non parve ad alcuni uficiali cosa ben fatta lasciarlo libero entro la casa d’aresto. il sabbato sera 6 lulio fu posto alle strette ne camerini dove stette fino al lunedì mattina 8 dello stesso lulio.
Intanto furono fatte diverse instanze dal popolo sopra d. autorità passate onde fossero proscritte. Tali instanze furono spedite alla Reggenza, fu pure richiesto che si facesse una aggiunta nova alli presenti individui municipali con la nomina di persone titolate Sindici, lo che fu spedito al comandante la piazza di Bologna.
Attese poi le iniquità e scelleraggini comesse dalli insorgenti e che prosseguivano, ordinò con suo proclama che ognuno si restituisca alli suoi posti.
Li 10 d. in mercordì dalla parte di Medicina arrivò la compagnia delli insorgenti condotta dal Conte Milcetti faentino ed andò alla Romagna, erano tutti vestiti di bella bocassina bianca colli paramani gialli e rovescio, l’abito era corto e succinto, sembravano lachè o siano valetti.
In questa circostanza si vedono stampe e composizioni poetiche in lode dell’imperatore e biasimo della Repubblica Cisalpina e francesi.
Il giorno 11 d. giovedì sendo stati arestati 14 individui del paese che furono mischiati nella baruffa seguita contro li dragoni tedeschi ed insorgenti nel Borgo e Castello furono esaminati nella Municipalità in via di processo e tutti concordemente deposero che l’attacco seguì per insulto dell’ex giudice Antonio Giorgi e di Antonio Sarti comandante della Civica, patriotta del Castello, onde fu il med. dichiarato decaduto dal di lui ministero e fui surogato provisoramente, così accadde al presidente Lolli a cui fu surogato il sig. Antonio Bertuzzi che prese il possesso il seguente venerdì 12 lulio. Terminato il processo contro quelli che avevano fatto foco verso li tedeschi, ordinò che fossero spediti a Bologna accompagnati da Giacomo Ravasini e da Luigi Musi detto Sbergnocola ambi paesani che prendessero seco Luigi Bergami detto Bolorina, Gioachino Tomba, Gioachino Badiali tutti bravi di sua vita con ordine di ben guardarli, e compagnarli al tribunale competente lo che fu puntualmente eseguito.
Cessato fino a questo giorno il rito di levare li cadaveri dalle loro case coll’accompagnamento della Compagnia alla chiesa, essendo morto Francesco di Pietro Zucheri detto Piscione, confratello della compagnia del SS.mo, fu trasportato dalla med. cappata secondo l’uso vechio alla chiesa premessa la recita delli sette salmi penitenziali da otto fratelli cappati. Fu questo il primo morto che ottenne ripristinate le funzioni della chiesa.
Ritornata da Bologna la guardia sudd. arrestarono sul momento il dott. Lolli e lo condussero alle carceri del Torone di Bologna ove era il d. Giorgi con altri. Fuggirono per ciò di patria Lorenzo Alvisi, Ciriaco Bertuzzi, Giuseppe Oppi, suo cognato e si nascosero in Bologna e così fecero li figlioli di Antonio Inviti, Cioè Giovanni e Pietro. Il d. Giorgi e Lolli furono condotti a Ferrara dal capitano Ocra tedesco al campo. Furono graziati sulla parola di non mettere più piede, come autorità cessate, in Castel S. Pietro.
Adi 22 d. giorno di lunedì, io tenni, qual Giudice surogato e provisorio, la prima udienza in casa mia con un solo assessore che fu Ziffirino Rabbi avendo rinonciato l’altro cioè Giuseppe Ballarini patriotto. Si pubblicò contemporaneamente un proclama solo per Castel S. Pietro e sua giudicanza analogo al dare e prendersi comiato dalle case ed abitare stante che il giorno di S. Pietro a motivo dello scompiglio per il sacco sofferto niun proprietario e niun inquilino si era potuto accomiatare onde fu prorogata la legge per tuto il corente lulio ad accomiatarsi.
Li 24 d. con altro proclama della Regenza fu ripristinato ai notai l’uso del sigillo con ambedue li emblemi proibiti all’ingresso de francesi, allor quando fu proibito ancora l’uso delli stemi o siano armi civili delle familie.
Li 28 d. giorno di domenica, stante la cacciata de francesi e la vittoria avuta dall’Imperatore, si fece un solenne ringraziamento a Dio nella arcipretale con scelta musica ed apparato. Vi fu la domenica mattina la processione solenne del SS.mo SS.to per il Castello colle compagnie capate del SS.mo e quella del Sufragio eretta in S. Bartolomeo il che per l’addietro non si trova esempio. Vi intervenne pure la Compagnia del Rosario co suoi distintivi e precedeva quella del Rosario ma con due scalchi del SS.mo indicanti che la funzione del sacramento ad essa per suo instituto spettava, poi seguì quella del Sufragio, indi per ultima la accenata del Sacramento, poi li cleri regolari e secolari.
Terminata la funzione seguì una sparata di fucili. La funzione fu eseguita dall’arciprete di S. Martino in Petriolo D. Giacomo Mazzoni stante che l’arciprete Calistri era fuggiasco giacobino onde non ebbe coraggio venire in paese. La sera stessa poi fu illuminato tutto il Castello e Borgo colle quattro torri del Castello collo stema della casa d’Austria Imperatore. Fu universale la letizia a questa accrebbe il giubilo per essere stata presa Mantova per assalto dalli austro-russi, presa Luca e tutta la riviera di Genova con molti prigionieri fra quali li principali terroristi francesi. Abolito il governo francese furono surogati li partitanti imperiali.
Oppresse le deputazioni del territorio, rimase tutto l’incarico del governo giudiciario in me del Giudice anco dell’Economico, al quale effetto fu decretato che tutte le leggi future si dovessero affissare alla porta del di lui officio, onde io che coprivo la carica avevo tutto l’impegno ed alla mia porta si legevano tutte le sanzioni ed era guardata da sentinelle tedesche
Poiché poi l’erario pubblico era divenuto esausto fu ordinato che si pagassero tosto tutti li prestiti forzosi non pagati. Fu ancora ordinato che si esiliassero tutti li francesi stabiliti in questa provincia.
Per quietare poi la populazione, che dubitava di una rivolta in Bologna fu conseguentemente eseguito l’aresto alle persone più luminose della città, che furono l’avvocato Giacomo Pistorini per avere cospirato contro li imperiali e fu condannato ai ferri in Palmanova. L’ex senatore Carlo Caprara alla morte, il dott. medico Azzoguidi, Bernardino Lolli, Bernardino Monti ebbero la stessa condanna con due preti, cioè Canonico Landi e ……………
Di giorno in giorno giungevano nove di vittorie che allegravano i popoli, onde si sentivano sempre ringraziamenti a Dio. Le città di Novi, Lodi e Tortona furono spettatrici di un sanguinoso fatto d’arme fra li austro-russi contro 50 mila francesi che furono compiutamente battuti con perdita di 26 canoni, cassa militare, morto il generale Espert in capito con altri cinque generali feriti mortalmente ed imprigionati.
Nel seguente agosto furono proclamati altre providenze governative che le annetiamo (…) un quinterno a (…).
Se avremo vita e intento scriveremo ciò che in paese accade alla giornata ed anco talvolta menzioneremo le leggi che si pubblicano.
Adì 2 agosto, giorno del perdono, li cappuccini, contenti ancor essi del bono che ne proveniva alla cattolica relligione per le vittorie imperiali, cantarono la sera il Tedeum doppo un breve sermone fatto da un relligioso del suo ordine, col quale declamò acremente contro li giacobini.
Li 4 d. fu proclamata una nova Regenza in Bologna, non fu troppo acclamata per esservi introdotti due patriotti che furono l’ex senatore Cospi, fratello della moglie del senatore Ghiselieri, pressidente imperiale e l’altro fu Alemanno Isolani, che già avevano dato saggio del loro patriottismo sufficientemente. In seguito fu pubblicato ordine col quale si comandava ai sindici territoriali di Bologna l’eseguire puntualmente li ordini della Reggenza sopra li approviggionamenti de militari per le vettovaglie e per li alloggi della truppa tedesca.
Perché poi vi erano molti li quali o fosse la loro impotenza o fosse rinovanza di pagare danari per li francesi, non soddisfacevano alle loro delegazioni, fu pubblicata una notificazione nel dì 14 agosto acciò ognuno addebitato a prestiti forzosi adempisse la legge.
Dubitavasi ancora che li forestieri, li quali in molta quantità erano domiciliati in Bologna e territorio, potessero unitamente alli patriotti, fra quali forestieri vi erano assai fugiti dalle loro patrie, susitare una qualche rivolta contro li inperiali, fu perciò con proclama intimato a tutti e singoli di quelli la partenza in termine di giorni quindici sotto gravi pene come da stampa delli 14 d.
) La amministrazione poi de beni di pubblica spettanza, essendo stata malmenata da chi ne aveva l’impegno, fu mediante notificazione delli 16 corrente agosto intimato il rendiconto. Fu in questo stesso giorno replicata la intimazione della partenza alli forestieri sotto rigorose pene.
Essendo state battuti li francesi dalli imperiali nelli contorni di Novi, fu pubblicata la vittoria (….) sotto la condotta del generale Melas.
Esigeva il presente governo che le decisioni publiche fossero assunte da un Capo, perciò il governo nel giorno 17 corrente emanò un decreto che tutti li sindici di campagna dovessero assumere tutte le funzioni che facevano li massari preventivamente fino a nova providenza.
La tassa dello scutato venendo ritardata da chi doveva compierla, il Governo con suo invito stampato li 19 d. replicò le sue premure onde ciascuno pagasse li aretratti che erano tassati a ragione di danari cinque di Milano.
La mutazione del governo essendo più umana della passata de francesi avendo data ansa ai trafficanti nelle grane di comettere estrazioni dal contado, il governo per tanto li 20 agosto publicò Bando rigoroso che proibiva tali estrazioni sotto penali gravose. Contemporaneamente si publicò la gloriosa vittoria delli austro-russi contro li francesi nella Lombardia alla quale corrispose da quest’altro canto l’ingresso de napolitani in Roma con 4 mila russi, che avevano liberato quella città da patriotti e da francesi.
Li 23, 24, 25 d si fece la fiera pubblica di Castel S. Pietro di ogni genere di merci. Fu deputato sovrintendente a quella il tenente Gio. Francesco Andrini colla intelligenza del giudice locale.
Furono dippoi supresse tutte le Municipalità e deputazioni e restarono solamente in attività li Sindici detti vulgarmente li Massari li cui oblighi furono stampati nel trentesimo foglio. Furono ancora promulgate altre stampe di luminose vittorie tedesche.
Adi 7 settembre l’arciprete Calistri, che fino ad ora era stato in Bologna nascosto né si arrischiava venire a casa, finalmente assicurato da suoi parziali che erano di governo in Bologna ed in Castello si restituì alla sua chiesa.
Li 8 d. giorno di natività della Madonna si fece nella chiesa de francescani un bellissimo apparato. Posta alla pubblica venerazione la loro Imagine dell’Imacolata all’altar maggiore, vi fu fatta un elegante panegirico e dippoi cantata messa solenne in musica, vespro e benedizione del SS.mo in ringraziamento a Dio del mutato Governo.
Li 14 d. il Papa tradotto in Francia e trasportato in Valenza, essendo morto fino dal dì 29 scorso agosto in età di anni 81, compianto da tutti e da quei boni cattolici, fu pubblicata la di lui morte e si intese essersi in alcuni dipartimenti rivolta alla Francia.
Li 14 settembre non trovandosi nella vicina ex podestaria di Casal Fiumanese alcuno che coprisse la carica di giusdicente, fui io aclamato per tale da quei popoli, quantunque ricoprissi la carica giudiciaria di Castel S. Pietro e suo distretto.
Fu nello stesso tempo fatta la scielta di due amministratori nativi di Castel S. Pietro e furono Lorenzo Trochi e Paolo Farnè i quali non potendo da due soli compiere le incombenze amministrative, chiesero un comitato di tre concitadini, furono per ciò ad essi aggiunti il dott. Francesco Cavazza, mio figlio ed il cittad. Gio. Battista Fiegna e Francesco di Lorenzo Conti notaio.
Furono in seguito questi ricercati dal Governo di Bologna che fossero li giacobini che esistevano nel governo vechio della Comunità come ne deve risaltare dalli atti comunitativi. Antonio Giorgi, ex giudice di pace eletto sotto il governo republicano, essendosi restituito in paese, li boni paesani cominciarono a titubare contro il med.. Appogiavano li loro riclami sopra le birbate, angustie, monopoli e tiranie ed ingiustizie fatte e finalmente li disordini accaduti per di lui colpa all’ingresso che fecero li imperiali nel paese, li quali, ingannati col dispacciarsi Governatore della patria, avendoli introdotti colla parola di autorità costituita non sarebbero stati molestati di dove che, entrati in Castello e Borgo li fece arrestare tutti quelli che potette e condurre a Bologna e finalmente, doppo essersi introdotti altri austriaci, aveva egli insinuati li paesani giacobini a fare foco contro quelli sventurati tedeschi de quali ne restarono morti e molti feriti.
Al titubamento si aggiunse un amotinamento di paesani contro il med che lo volevano nelle mani per vendicarsi del sofferto sacheggio di 52 ore che aveva desolato molte famiglie per di lui colpa.
Presentato questo rumore convenne a voce come capo giudiciario invitare tutti li amutinati in casa mia, con molta fatica indussi quelli a calmare la loro ira colla promessa che avrei procurato dal Governo di Bologna l’alontanamento del d. Giorgi dalla patria.
Non si vollero attendere le mie promesse ma si volle che sul momento in loro presenza si scrivessero tutte le loro accuse e a loro si consegnasse il dispaccio. Mi convenne fino a mezza notte sofrire di un bollore e fremito in modo che avvilito fui necessitato servire la populazione insorta contro quest’uomo e consegnare la instanza a uno de principali amutinati, che sul momento portossi a Bologna, né giovarono le parole, né le perorazioni in verun modo, stante che nel Criminale di Bologna si faceva su la condotta del Giorgi rigoroso processo.
La mia lettera di uficiale fu diretta al Marchese Francesco Ghiselieri, pressidente della Regenza imperiale in Bologna. Sul momento di risposta fu esiliato dal paese il cosi detto Giorgi come si riscontra dalle lettere ed ordini da me avuti in proposito. Non furono contenti di ciò li paesani, ma vollero anco espulso il filio di Antonio Inviti, per nome Giovanni come quelli che aveva ammazati tedeschi con archibugiate, onde anco per questo oggetto fu scritto al Governo, di dove ne venne altro ordine per esiliarli e così li 8 ottobre le fu da me intimato l’esilio.
Nella partenza di costui alcuni suoi nemici travestiti le fecero l’aguato per oprimerlo ma non riescì loro poiché avuto dall’amante di sua sorella Domenico Grandi, fattore de gesuiti, un veloce corridore, valicando le vicine colline, se ne andò alla volta della città ove, neppure vedendosi sicuro, prese la strada del ferrarese. Neppure quivi era sicura la vita mentre Gioachino Badiali, capo d’insorgenza nel paese avuta di ciò notizia lo prevenne e raggiuntolo per traversia lo fece prigioniero e condotto al campo tedesco in Cento. Fu liberato colla perdita del cavallo e di ciò che aveva seco, ma più non si vide più in patria.
Li 11 ottobre in venerdì si siede il segno, con li sagri bronzi di tutte le chiese del paese alzati a doppio, della morte del Pontefice seguita in Valenza e si vide la relazione della med. in istampe che anettiamo alla presente scrivenda. [A.48]
Li cardinali chiamati in Venezia per la elezione del novo pontefice si radunarono nella chiesa di S. Giorgio di quella città.
Quantunque avessero danneggiato li francesi questi stati pontifici nel temporale e spirituale massimamente ed in ogni altro luogo, non essendosi estinto il loro partito fino nella ruina vi fu una cittad. faentina che ebbe coraggio esporre li suoi sentimenti di condoglianza e compatimento al loro operato. Rissentito un degno sacerdote di quella città che fu il prete D. Alessio Camaggi, precettore di umane lettere in questo paese, espose la risposta in una canzone stampata per l’Archi in Faenza, dove ora soggiorna in qualità di precettore pubblico che noi qui anettiamo in secondo loco, per piacere del Lettore una qualche volta de nostri scritti. [A.49]
Sono in questa tutta le scelleratezze francesi fatte alli eclesiatici ed anco alli secolari. Fu plaudita da chiunque la composizione.
Adi 15 ottobre cessarono tutte le autorità di Giudici di pace nelle Castella e distretti della provincia e subentrarono novamente li Giudici pedanei col titolo di Podestà, come prima della invasione de francesi, facendosi la estrazione da una borsa cui esistevano tutti li notai coleggiati della città e non più li nobili come per l’avvanti si usava nel giorno di S. Floriano ogni anno.
Fu perciò estratto per Castel S. Pietro, il probo ed onesto cittad. Antonio Giusti. Questi sostituì il dott. Francesco Cavazza mio filio. Per Casal fiumanese fu estratto l’onesto cittad. Angelo Michele Baciali segretario dell’ex Senato di Bologna, quale nominò e sostituì me notaio Ercole Cavazza per suo supplente.
Beatificato il ven. Bernardo da Ossida Capuccino, presero il contratempo questi relligiosi capuccini di Castel S. Pietro di farne a di lui gloria un solenne triduo nella loro chiesa e contemporaneamente il ringraziamento a Dio per la liberazione ottenuta dai francesi nemici dello stato pontificio.
Fu questo triduo il giorno 22, 23 e24 ottobre con concorso di persone, esquisita musica mattina e sera della stessa giornata con fochi artificiali di gioja esprimenti lo stema francescano. Nello stesso giorno vennero di Romagna alla volta di Bologna 200 tedeschi, passò pure una cavalleria tedesca di 250 cavalli senza fermarsi avendo seco bandiere spiegate ed instrumenti da fiato, tutta bella gente ma più belli li cavalli, ben bardati e pasciuti.
Nel giorno 25 d. ritornarono di Bologna 250 fanti tedeschi ben disciplinati e non diedero fastidio ad alcuno nella robba e persone. Pernottarono quivi e la mattina seguente si incaminarono ad Imola. metà stette nel convento di S. Bartolomeo e metà nell’ospitale del Borgo.
Adi 25 d. in Bologna fu carcerato il dott. Angiolo Lolli ultimo presidente del partito patriotico della Comunità di Castel S. Pietro, terrorista famoso e giacobino ben conosciuto.
Presa finalmente la città di Ancona dalli imperiali austro-russi e napoletani, vennero di Romagna il dì 21 novembre in giovedì li prigionieri francesi al N. di tremilla con patriotti uniti e furono condotti a Bologna, erano guardati da 800 austriaci ed ungaresi, li primi erano a cavallo e li secondi erano pedoni. Avevano grandissimo convoglio e bagaglio, cominciarono a passare sul far del giono e durarono fino alle ore sedici italiane.
Fu poi publicata notificazione della Regenza di Bologna nella quale manifestava li individui rappresentanti ogni Comunità della provincia. Furono reintegrati nell’officio loro di municipalisti tutti quelli individui che erano del Governo pontificio l’anno dell’invasione francese 1796. In Castel S. Pietro non vi si lasciò altro in governo che Lorenzo Trochi, Paolo Farnè e Francesco di Pietro Conti; li altri di lui colleghi furono dott. Francesco Cavazza mio filio, Benedetto Poggipollini, Nicolò Giorgi, Giovanni Landi, Antonio Magnani.
Il numero de pubblici rappresentanti che era di 12 individui fu ridotto a solo N. nove. Ciò accadde per un monopolio dell’arciprete Calistri amico strettissimo della moglie del Marchese Ghisilieri pressidente della reggenza, mentre il med. arciprete spiaceva molto se tutti li vechi individui municipalisti fossero stati ristabiliti a motivo dello triduo passato e perché temeva di essi molto, tanto più che si era già scoperto del partito repubblicano e comprovato della sua condotta e fatti che favorivano li republicani anco nelle funzioni pubbliche. Attesa poi la nomina sud. mio filio rinonciò tosto all’impegno si perché era malato, si perché vide nella scielta sud. un raggiro assai fino che poi scoppiò in appresso.
Adi 3 dicembre passò una truppa numerosa tedesca che andò nella Romagna a purgarla da giacobini. Benedetto Poggipollini venuto in chiaro ancor esso dello stratagema dell’arciprete nella nomina sud. rinonciò ancor esso al posto municipale. Furono perciò installati li sud. rimanenti e fatta la installazione si cavò a sorte per Consolo il citt. Nicolò Giorgi.
La notte seguente delli 6 dicembre venero in Castel S. Pietro per la prima volta li sbirri dessignati in N. di 17 per breve tempo. Albergarono nella locanda della Corona e fra tre giorni partirono per Romagna. Adi 13 dicembre la notte seguente su le ore otto italiane si fece sentire il teremoto e si ebbe in seguito notizia che aveva fatto gran male a Camerino. Genova pure che era in questo tempo tenuta da francesi, fu liberata dalli austriaci ed essi si impadronirono con plauso di quei popoli tenuti in catene da francesi. Si ebbe pure notizia che Cuneo fu preso e che in Parigi si sentivano disposizioni per una rivolta, mentre li componenti quel direttorio erano fugiti.

1800
Lode sia al Supremo Motore di tutto che incominciamo l’anno con quiete universale, quantunque ancora siamo incerti del nostro destino di dominio e sovrano onde prosseguiremo le memorie di ciò che alla giornata accaderà per memoria de lettori.
Cominciata la pioggia e continuata dal giorno festivo di S. Tomaso apostolo prossimo passato, fino al giorno d’oggi primo genaro 1800, si mutò il tempo e trasformossi in gelo e neve per dieci giorni continui.
Nel dì 2 genaro fu confirmato consolo della Municipalità di Castel S. Pietro Nicolò Giorgi.
Li 3 d. ritornò alle sue primere funzioni di instituto e vestito solamente la Compagnia capata del SS.mo SS.to. L’arciprete Calistri sempre attento ai contrapunti ed a compromettere il paese, ripose in attività la sua Compagnia larga del SS.to e nominò per priore Domenico Albertazzi e volle che in questo giorno in cui correva la prima domenica del mese ed anno si facesse la solenne processione.
La pubblica rappresentanza di questo loco, poco pratica delle prerogative comunali, essendosi lasciata addossare il peso del testatico per li paesani senza reclamare e sentendo titubamento nel paese, ricorse, ma tardi, alla Regenza di Bologna onde essere esentati ma, non essendo ascoltata, prese la Municipalità l’espediente di rinunciare alle incombenze in proposito e mandò la rinuncia alla Regenza che non fu accettata e la risposta fu che oltre la carcere a tutti li individui sarebbero ancora stati multati.
Sembrava che il tempo dopo essersi sfogate le nevi e gelo si volesse mutare in meglio quand’ecco una dirotta pioggia, deludendo l’opinione, ha prodotto infiniti mali colla escrescenza de condotti.
In seguito delle cominatorie della regenza alla comune di Castel S. Pietro sopra il testatico fu pubblicato un editto particolare il giorno 7 corrente genaro imponente il pagamento tassato del testatico.
Li 8 febraro il filio di Onofrio Fiegna, fatto relligioso professo dell’ordine de MM. OO. d. di S. Francesco di questo luogo, inaspettatamente il giorno 8 febraro si produsse pubblicamente in Bologna e ne sortì egregiamente col fare le sue filosofiche conclusioni pubbliche dando loco a chiunque di argomentare. Riescito nell’impresa, fu spedito a Parma ad assumere altre cariche nella relligione de predicatori. Il di lui nome nella relligione è di P. Lodovico di Castel S. Pietro.
Li 16 febraro giunsero di Bologna 800 pedoni tedeschi e 100 cavalli e pernottarono quivi e la mattina delli 17 partirono per la Romagna dirigendosi ad Ancona.
L’arciprete Calistri sempre intento ad opprimere il culto, dovendosi fare nella chiesa di S. Bartolomeo la esposizione del SS. di suo instituto li ultimi tre giorni di carnevale 18, 19, e 20 corrente, si oppose, intendendo che bastasse la sola benedizione del popolo. Il tenente Gian Francesco Andrini priore moderno della compagnia del Sufragio andò di volo a Bologna dal vicario quale Patrizio Fava ed espose tutta la ostilità del Calistri.
Il vicario bene informato del caratere di questo arciprete, ordinò che tutto si eseguisse secondo il solito e nel caso di dovere benedire il popolo, trovandosi neghitoso il paroco o altrui suo delegato, ordinò che, premesso l’aviso di un quarto d’ora avanti la funzione, se non fosse intervenuto il paroco o suo deputato si facesse la funzione dal capellano della compagnia e così fu eseguito con rabbia dell’avversario.
Continuando la pioggia, si era talmente inzuppata la terra che si sentivano benespesso lavine grandi che ingojavano le case, portando e trasportando terreni e campi interi su li beni delli fronteggianti. In Lojano ne seguirono alcune. Nel comune di Bello sopra il torrente Selustra seguì lo stesso, che è incredibile il fatto per chi non l’ha veduto, trasportando un campo di terreno dalle parti di levante a ponente sopra li beni denominati il Casone della eredità Graffi, chiudendo ancora tutto il corso della Selustra, facendosi superiormente un lago d’aqua onde vi furono liti civili per il sopraterra e fu deciso che quanto all’arboratura fosse del primo proprietario colli raccolti di quell’anno e non più, cosichè il danneggiato fu l’erede Graffi.
Per tali piogge che continuavano fu promesso un triduo avvanti la B. V. del Rosario in questa parochiale e fu effettuato nelli giorni 1, 2 e 3 marzo dandosi su la sera la benedizione col SS.mo per la serenità necessaria ai lavori di campagna ed alla salute umana.
Cresceva il prezzo del grano ed altre granalie di giorno in giorno onde li fornari facevano il pane picolo e cattivo. Era cresciuto il prezzo del grano fino a scudi 5 la corba ed il formentone a scudi tre e soldi cinquanta, onde la farina del med. essendo divenuta cara per la povertà, il popolo si lagnava non vedendosi dal Governo alcuna providenza sopra il peso e prezzo dei generi.
Accade perciò che il giorno 11 corrente marzo facendovi quivi mercato, li monopolisti principali del paese portatisi nel Borgo fecero colli contrabandieri di Castel Bolognese contratto di tutti li formentoni e grani e fattosi fare la obbligazione de med. generi, si chiuse in un momento ogni magazeno e bottega e si asportarono le chiavi a casa li monopolisti. Furono in capito questi cioè Camillo Bertuzzi, Luigi Farnè detto Bevilaqua, Ercole Bergami detto Scalfarotto, Domenico Grandi fattore de barnabiti e Giulio Viscardi con Francesco di Pietro Conti. Arrabbiata la povertà suscitò clamore grande e minacciava la morte contro quelli, che stettero alquanti giorni chiusi in casa, finchè fu proveduto al disordine.
Crescendo le vittorie delli austriaci contro li francesi, li cisalpini non potevano salvarsi dalle contumelie, si vedevano carte e stampe fuori che beffeggiavano la novella republica che andava a terminare fra le altre riescì avere l’unita, stampa di testamento, con sonetti onde il Lettore possa soddisfarsi. [A.50]
Adi 14 di marzo si ebbe la fausta nova della elezione del sommo pontefice che cadde sopra la persona del Card. Gregorio Chiaramonti cesenate e vescovo d’Imola nel conclave tenutosi in Venezia. Questo degno prelato per le sue prerogative fu plaudito da tutte le corone e perfino dalli francesi stessi, essendo la familia Chiaramonti oriunda di Francia ed anco in qualche modo congiunta di parentela colla moglie di Bonaparte, anco essa di progenie de Chiaramonti. Molte cose accadero intorno alla elezione di questo Pontefice, che pressagirono la sua assunzione al papato che le lasciamo scrivere a chi nota su di lui vita.
Il med. pontefice esendo confratello di questa nostra compagnia del SS.mo a cui aveva fatto regali per la devozione al suo Crocefisso e grazia ottenuta dalle di lui sign. Maria e Contessa Ghini di Cesena, fece questa nostra compagnia un solenne triduo colla S. Imagine di quello in ringraziamento nelli giorni 23, 24 e 25 corrente marzo dando ogni sera la benedizione col SS.mo SS.to.
Doppo la festa, il corporale della compagnia addunata, il priore di quella Carlo Bettazzoni fece una deputazione di due confratelli a presentarsi al fratello del detto Papa, ressidente privatamente in Bologna per congratularsi di si bella elezione a nome della compagnia. Furono il legale Sebastiano Lugatti e mio figlio Francesco Cavazza che avute le convenevoli credenziali si presentarono e furono benignamente accolti e ne ringraziò per lettera la compagnia.
Il card. Giovanetti arcivescovo di Bologna, doppo il concilare rimpatriato, finì la sua vita il giorno 8 aprile.
Per l’incettamento delle granaglie andò fuori una Crida di doverne dare la nota esatta, come pure della farina.
Non essendo ancora bene organizata la guardia forense di questo loco, furono quivi dal Governo spediti li cittad. ex nobili di Bologna Marchese Ercolani, Conte Dondini e Conte Agocchia ed abitarono nel palazzo Malvasia dove dalli 17 corente aprile stettero fino alli 21.
Avutasi dalli imperiali Ancona venero quivi 250 tedeschi con li suoi canoni, si fermarono nella piazza de bovini e stettero d’alloggio nel Borgo di dove partirono la giornata delli 21 per Bologna con molto bagaglio e munizioni. Consecutivamente ne vennero altri mille pedoni e furono le loro bagaglie condotte dalli villani di Castel Guelfo e Medicina.
Mutatosi il Governo, l’arciprete tornò ad impossessarsi dell’Ospitale delli Infermi per monopolio di Stefano Grandi e Francesco di Pietro Conti, furono perciò fatti amministratori del d. Ospitale e suoi rediti li fautori del d. arciprete e furono Domenico Grandi, Luigi Cardinali, Gaspare Sarti ed Ercole Bergami vulgo: Scalfarotto o Pidino, tutti patriotti.
Sino dall’anno 1792 la Compagnia del SS.mo capata aveva ottenuto dal Papa il rescritto di potere portare nelle publiche funzioni e pompe il confalone come la Compagnia del Rosario, ma il card. Giovanetti si era sempre opposto ora con un cavillo ora coll’altro per impegni dell’arciprete Calistri ed ora essendo morto il Cardinal Giovanetti la Compagnia del SS.mo si presentò al Vicario capitale Canonico Patrizio Fava per la esecuzione della grazia. Questi, quantunque di autorità suprema, potette senza alcuna interpellazione ed aviso all’arciprete dare evasione alla graziosa determinazione pontificia, nondimeno chiese all’arciprete che chiamasse la Compagnia del Rosario e le manifestasse le supreme ordinazioni, onde si dovesse aquietare per le funzioni avvenire.
La Compagnia del Rosario male intenzionata e suasiva dell’arciprete non volle riconoscere per verun conto come colega l’altra compagnia del Rosario. Quindi preso di sospetto il cittad. Lorenzo Trochi, invitata una congregazione straordinaria, cassò dalla Matricola il d. Trocchi, quale essendo priore attuale fu ancora deposto per partito dal suo officio, acusandolo di ribelle alla propria compagnia. Ricorse questi al tribunale del vescovato per la reintegrazione. Fu scritto all’arciprete Calistri acciò lo reintegrasse nel posto. Ricusò l’arciprete e perciò altro non si fece per le solenni funzioni.
Pervenute le rogazioni cadute li 19, 20 e 21 corrente maggio la Compagnia del SS.mo invitò quella del Rosario per le solenni processioni, ricusò l’invito, quale non ostante la compagnia del SS.mo SS.to inalberato il suo gonfalone o sia padilione uniforme alla cappa con liste turchine e caudo si fecero le consuete processioni colla B. V. di Poggio.
La Compagnia del Rosario piena di livore ed odio non solo non intervenne alle funzioni, ma neppure volle in sua capella la S. Imagine onde fu scandaloso il fatto, molto più per essere mano viva dell’arciprete
Calistri. Non si fermò quivi la avversione loro ma continuò fino alla solennità del Corpo di X.to.
La Compagnia del Sufragio del Purgatorio eretta in S. Bartolomeo, avendo veduto la ostinazione e perversità delli individui del Rosario col rifiutare la S. Imagine di Poggio si offerse ella riceverla nella chiesa sua anziché a confusione de malevoli.
Pregò la compagnia del SS.mo a farne il trasporto della S. Imagine il mercoldì per ivi fare le consuete funzioni che facevano li frati agostiniani, come di fatti fu eseguito colla maggior pompa possibile, e fu ricevuta ed incontrata quella miracolosa Imagine al principio della piazza della chiesa sud. con 24 confratelli capati del suo in uniforme, cioè sacco bianco e mazzetta nera, ed introdotta nella chiesa si fecero li solenni riti ed in fine fu regalata di 6 libre di cera ed accompagnata, terminata la funzione, fino alla ressidenza della Compagnia del SS.mo SS.to, lo che si sentirono titubamenti contro il paroco Calistri.
Adi 10 giugno sparse la nova che li francesi ritornavano ne Stati pontifici e che già erano fugiti di Bologna il Marchese Francesco Ghisilieri presidente regio ed in seguito si era eletto un Comitato delli seguenti patriotti: avvocato Aldini, avvocato Magnani, ex senatore Isolani e dott. Gaetano Conti di Castel S. Pietro e che li primi due avevano ricusato la carica.
Ne naque in Castello un non picolo rumore di patriotti. Antonio Giorgi notaio ex giudice di pace tosto si portò sfacciatamente alla osteria del Portone esercitata da Giosafatte Benati padrone di quel locale ed intimò al med. la restituzione di un crocefisso in stampa di rame fra tre ore con altre carte al di lui zio Francesco Conti padre del d. dottor Gaetano sotto pena della carcere, spacciandosi quel fanatico per la prima autorità del paese. Stefano Grandi segretario interinale della Municipalità diede segni di piacere esendo esso pure di partito patriottico. Il paese per ciò divenne tutto titibante Né mancarono di suoi aderenti di manifestarsi provocando li probi cittadini.
La notte seguente in casa di Antonio inviti si fece un comizio di congiura in N. di cinquanta patriotti dove si decretò quanto da loro dovevasi operare. La prima dichiarazione fu di ammazzare D. Luigi Sarti maestro di scuola, Gioachino Badiali, Giuseppe Nannini detto Muzzone, giovinastro bravissimo di sua vita quale da solo con un legno in mano era bastevole fermare quattro bravi patriotti, colli sassi da solo fece fuggire giorni sono nella Gajana cinque suoi pari facendo adurare tutti in un gorgo per non essere circuito a forza di sassate che non sbagliava alcun colpo, è bel giovine, alto, robusto e ben complesso, Simone Ravasini, Gioachino di Matteo Tomba, Ottaviano Galavotti detto il Bellino, Antonio Fabbri detto Stricca e Luigi Musi detto Sberniocola.
Oltre questi volevano condannati ai ferri altri 24 individui del Borgo fra quali vi erano 5 della familia del cap. Pier Andrea Giorgi, Vincenzo Violetti, Giulio Viscardi ed altri dentro il Castello. Poi altri 20 individui fra quali D. Luigi Facendi, Giuseppe Sarti, sucessivamente fu determinato che seguito l’aresto sud. rinchiuderli nel convento di S. Bartolomeo ed indi dare un sacco alle loro familie a discrezione.
Stettero tutte le persone in gran timore, perché la facenda era condotta dalli figli di Antonio Inviti e da Antonio Sarti, gente senza relligione e rispetto. Altro poi non seguì poiché li francesi per allora non venero e ciò non ostante la notte giravano patuglie false.
La processione del Corpus D. fu perturbata dalle solite sovercherie dell’arciprete. Usavasi prima che a tale processione interveniva la Municipalità in forma e precedeva il Corpo suo al clero secolare, doppo il balanchino sopra l’Agustissimo SS. guardavano li uomini regolatamente che avevano i lumi, indi le donne colla loro prioressa. Fece egli sul momento posporre al baldachino il Corpo municipale, ma ciò che fu più
scandaloso fece, mediante il suo tabulario D. Filippo Cugini, entrare in mezo alla municipalità la prioressa della di lui Compagnia Larga e proseguendosi la processione le fece occupare il primo posto dopo il SS.mo sotto il baldacchino. Fu non poco scompiglio e titubamento nella processione che poco mancovvi che non declinasse in un miscuglio fazionario.
Essendosi punto calmata la congiura ma calandosi quanto si poteva avvenne che, non essendo potuti passare il Po li francesi impediti dalli austriaci, si animarono li boni cittadini per far fronte alli audaci patriotti, quali temendo di un aresto, fuggirono in Bologna il giorno 13 d., onde ovviare alle funeste conseguenze e furono li capi congiurati che, in silabo fatto dal cittad. Gaetano Andrini eletto per loro segretario nella sessione, ci venero confidati li nomi e cognomi de quali primi sono: Antonio Giorgi, Antonio Inviti con Giovanni e Pietro suoi figli, Salvatore Chiari, Giuseppe e Luigi fratelli Vergoni, Luigi e Giovanni Muzzi, Francesco Bernardi fornaro, Camillo Bertuzzi, Lorenzo Alvisi, Pietro e Giovanni Amaduzzi, Giuseppe Oppi detto Gussolo, Domenico Grandi fattore de Barnabiti col filio Giulio, Francesco Farnè, Giuseppe di Nicolò Giorgi, Zifirino Sassatelli, Camillo Ronchi, Antonio Tragondani, Matteo di Ercole Bergami, Marco Martelli, Ciriaco Bertuzzi, Filippo Muzzi detto Tarmone ed altri di minor grido.
Doppo questa fuga si ritrovò altro loro decreto che avevano fatto in casa del d. Inviti cioè che all’arrivo de francesi si dovessero trucidare e fucillare nella pubblica piazza del Castello li seguenti paesani come del partito aristocratico: D. Baldassarre Landi, Antonio Bertuzzi comandante de paesani austriaci, Giacomo Ravasini, cap. Francesco Giordani, Nicola e Felice Farnè, Sebastiano Lugatti, Ercole Cavazza e P. Giantomaso guardiano cappucino di Castel S. Pietro della familia Dalfoco filio di Ottaviano.
Pervenuta questa notizia al Governo militare di Bologna di cui ne era capo e comandante Mayn tedesco, questi nel dì 17 giugno spedì a Castel S. Pietro 22 corazzieri con un notaio a fare processo. Antonio Giorgi ex giudice, penetrato questo fatto, fuggì alla montagna verso Sassoleone con un di lui fratello ed un figliolo. La notte seguente furono arrestati Camillo Bertuzzi detto l’ Albretto, Antonio Facendi, Salvatore Chiari, Francesco Bernardi, Farnè e Zifferino Sassatelli. Fuggirono Stefano Grandi, Francesco Farnè, Antonio Inviti colli due figli Giovanni e Pietro, fugì il medico condotto dott. Luigi Rossi ed altri di familia.
Li 19 d.si pubblicò la nova che li francesi erano stati battuti nella Lombardia con perdita di 18 mila uomini, essendo tra quattro fochi il generale Ot.., seguì un armistizio di tre mesi per venire alla pace e furono che niuno si mova da suoi posti. Li progetti furono che Genova rimanesse come prima, la Lombardia austriaca alli francesi, le legazioni papali fino ad Ancona all’Imperatore e finalmente che il Piemonte fosse evacuato . Fino a che si trattavano queste cose dalla Russia, Prussia, Danimarca, Svecia e Spagna fu ordinato che non si facessero ostilità dalle parti.
Li 20 giugno la sera di notte fu arestato Stefano Grandi segretario e comissario della Comunità di Castel S. Pietro col di lui cugino Gaetano Andrini, furono imediatamente condotti a Bologna. Il paese diviso in due partiti si scompigliò maggiormente. A detti due arestati vi si aggiunsero Ziffirino Sassatelli, Giuseppe Vergoni il d. Bernardi fornaro e Ciriaco Bertuzzi.
Li 24 giugno fu estratto Consolo per il secondo semestre Giovanni di Lorenzo Landi.
Li 25 venne a Castel S. Pietro il P. Giambattista Giacomelli agostiniano di Bologna spedito dal P. Pietro Tonarini priore di S. Giacomo di d. Città accompagnato da decreto della Regenza per il reintegro del convento di S. Bartolomeo alla Relligione Agostiniana colli beni del med., [A.51] come si rileva ancora da comendatizia e credenziale a me diretta che è l’unita. [A.52]
Si andò tosto da me col filio dott. Francesco alla chiesa e convento e fu impossessata la Relligione, si fecero li scritti alli inquilini ed a coloni. Contemporaneamente fu data suplica all’Imperatore da paesani per un ristoro del sacco sofferto il di cui tenore è l’unito. [A.53]
Che non ebbe alcun ascolto, bensì li arestati che erano in S. Giovanni in Monte di Bologna furono liberati di carcere.
Nello stesso giorno fu arestato in Bologna Antonio Bertuzzi comandante della Guardia nazionale di Castel S. Pietro a motivo di aver fatti arrestare li sud. senza partecipazione del Maggiore dell’armi di Bologna Conte Dondini, ma doppo un giorno di aresto fu liberato il Bertuzzi e deposto dalla carica di comandante e fu adesso sostituito il dott. Francesco Cavazza mio figlio.
Im mezo a tutte queste rivolte, inpensatamente giunsero in Bologna li francesi plauditi dal popolo insano. Presero in mezo loro tutti li patriotti e li posero al Governo di quella piazza.
La sera delli 29 d. giugno giorno di S. Pietro ritornarono a Castel S. Pietro tutti li fuorusciti e caminando in drapelletti posta la cocarda francese sul capello, baldanzosamente corbellavano e motteggiavano li boni cittadini. Fu motivo per ciò che alcuni tedeschi adoprarono le mani, li quali poi partirono per Imola.
Partiti li tedeschi, alquanti patriotti si unirono a suono di tamburo e portatisi alla piazza del Castello ivi drizzarono un legno e lo sostituirono nel posto dell’arbore della libertà, tutto contornato di frasca di bussolo e fiori, poi carolandovi intorno con ragazzi e donne festeggiarono la riviscenza repubblicana. Li capi di questa solennità furono Vincenzo Andrini benchè zoppo filio di Giulio, Giuseppe Vergoni, Pietro di Francesco Tomba, Domenico di Luigi Magnani, Ladislao Ronchi detto Laino ed altri al N. di 20 fanatici.
Prevenne poi la voce che li insorgenti di Imola si vedevano alla nostra confina armati e minacciavano di scorreria e di sacheggio. Si scrisse prontamente al generale Dondini per averne providenza. Il generale Monier francese che era in Bologna scrisse al comandante Cavazza mio filio che le spediva come fece 50 dragoni, lodando la di lui condotta prudente in tale affare.
Il dott. Bertuzzi Antonio con Giacomo Ravasini ed altri suoi colleghi fuggirono alla volta del fiorentino ad unirsi colli aretini che valorosamente battevano li francesi in quelle parti.
Adì 5 lulio N. 50 patriotti del Castello armati andarono alle case del dott. Bertuzzi, Ravasini, Badiali. Alessandro Alvisi e Luigi Musi per arrestarli credendoli nascosti in casa, ma essendo fugiti come si è detto, arestarono il solo Masi sventurato e fu posto in carcere.
Fu publicato un proclama che il Governo presente non si ammovesse fino a novo ordine e solo furono abbassate le armi imperiali e sostituite le repubblicane. Si proclamò ancora il rispetto alli sacerdoti di qualunque classe. Li patriotti ogni sera cantavano l’inno patriottico e li ragazzi rispondevano Evviva, evviva.
Nel volersi poi consumare l’aresto nelle sud. persone, tanto era il bollore della vendetta e velocità delli amutinati che impavorite anco altre familie dal furore, credendosi una aggressione di insorgenti molte persone nel fuggire pericolarono ed altre incontrarono malattie ed alcune ancora vi lasciarono la vita. Fra queste fuvi Giovanna Ballarini madre di Camillo Bertuzzi che, sentendo strepiti ed ululati nella casa di Luigi Musi suo vicinante, si impaurì talmente che data in una convulsione morì fra poche ore, finalmente ciò accade in una familia di Giacomo Ravasini che vi lasciò la vita, Pietro Cugini nel fuggire al rumore si ruppe una gamba d’onde andò a morte.
Adi 6 lulio giorno di domenica il locale, per riceversi e diffondersi le lettere di posta, che si era levato dalla locanda della Corona e traslatato a quella del Portone per volere del Mastro di Posta della Romagna, fu di novo traslatato il buco nella locanda della Corona per volere di Agostino Corticelli Mastro di Posta di Imola a cui è sottoposta questa di Castel S. Pietro.
Adi 8 d. venne uno staccamento di cisalpini e francesi che andarono alla volta della Romagna, nello stesso giorno di bon mattino fu circondata la casa di Pier Andrea e Nicolò Giorgi ad instigazione dell’exgiudice Antonio Giorgi benchè di loro nipote e fu pure circondata la casa di Gaetano Andrini da francesi, venendo loro imputato di avere anche meditato li tre fratelli Sante, Gaetano ed Emilio Giorgi una insorgenza ma, sventata la calunnia, abbandonarono li soldati la impresa. Io pure fui calunniato dallo stesso Giorgi di avere fatto memoriale contro li patriotti alli comandanti tedeschi colla nota delli patriotti, onde mi convenne fuggire a scampo di maltrattamenti.
Il giorno 9 d. la sera venuto da Bologna in paese un novo stacamento di francesi e di novo si inalberò nella piazza del Castello l’alboro atterrato. Ciò fatto le truppe si inoltrarono nella Romagna. Ciò fatto tramutarono ancora le autorità in Bologna e nel teritorio per la amministrazione.
Li 11 d. attesa la siccità dell’aqua che non si poteva macinare, ma ancora perché le biade ne campi andavano a male, si fece un triduo colla processione della Madonna del Rosario per il Castello e Borgo e l’ultimo giorno che fu il di 13 in domenica si diede al popolo la S. Benedizione.
Li 15 lulio la mattino venero di Bologna alla volta d’Imola ottocento francesi li quali, passando ove erano case , spogliavano di tutto quei poveri abitatori massime di comestibili ed ancora andarono fuori strada alle case de poveri contadini. Nel nostro contorno andarono alle case della Comenda, a Casa Torre sopra il Castello, al Castelletto, a Liano così in altri luoghi prosseguirono nella Romagna.
Fu pubblicato anco il proclama sopra le funzioni dei giudici di pace e per li Notari il dovere scrivere nelli loro atti l’epoca alla norma francese.
Li 17 lulio mercoldì passarono nella Romagna 600 francesi a piedi per tenere in avere quei popoli. Nello stesso giorno venne a Castel S. Pietro il capitano Gio. Battista Tattini di Bologna per organizare novamente la guardia nazionale di Castel S. Pietro nella quale fu eletto comandante di questa piazza Stefano Grandi.
Li 18 lulio, arrabiati questi patriotti contro li aristocratici, avvenne che, sortendo dal caffè di Luigi Giorgi per andarsene a casa, fu assalito da tre patriotti che furono Filippo Muzzi detto Tarmone, Luigi Cavina e Luigi Castellari detto Bardella, il d. Muzzi capo affaciossi all’Andrini e provocandolo col dirle dell’aristocratico. Rispose l’Andrini che non intendeva questi termini, che perciò egli se ne andava per il suo interesse, a tale risposte fu assalito l’Andrini con pugni ed atterrato da questi manigoldi, fu maltrattato in modo che appena potette alzarsi per le battiture e percosse avute anco nel capo finchè li agressori furono stanchi. In questa bulia non si trovò cristiano che vi si inframettesse, mentre questo fatto era stato premeditato per un principio di massacrare li aristocratici, che avessero proferita parola e così far corere di sangue il paese. Di ciò non si fece alcun atto di giurisdizione.
Li 21 lulio lunedì passarono altri francesi in N. di 100 ed andarono nelle Romagna e così seguirono altri picoli stacamenti di persone ma con molti tamburi per far credere che erano migliaja ed atterire il popolo. Venero tutti questi dal ferarese che a computarli tutti assieme non arrivarono al N. di 500. La ritirata di essi nella Romagna fu perché nel ferrarese si erano inoltrati molti tedeschi che avevano prese molte piazze di quella provincia con fare prigionieri ed imporre tasse militari e sovenzioni di viveri e foraggi.
Antonio Sarti di Castel S. Pietro rimase prigioniere in Ferrara dei Tedeschi, fuggì travestito e ritornò in patria, dove giunto fu acclamato per comandante della guardia del paese, deposto il d. Grandi.
Fatta la nova Municipalità nel paese composta de seguenti patriotti: dott. Angiolo Lolli medico condotto e pressidente, Francesco Farnè, Luigi Cardinali detto Scajola e Stefano Grandi per segretario. Furono questi installati dalli deputati di Bologna cioè Giovanni Bragaldi di Castel Bolognese, avvocato Filippo Gambari di Bologna, si partirono tosto ed andarono a Dozza col dott. Gaetano Conti filio di Francesco Conti di Castel S. Pietro detto Ucellone ad installare ivi quelli agenti municipali e ritornati la sera fecero festa da ballo.
La mattina seguente fecero un pranzo lautissimo patriottico in casa di Pietro Pasi già antica abitazione delli Serpa paesani poi Calderini di Bologna e sucessivamente Ghiselieri che ne fece la vendita al d. Pasi pochi anni sono. Il veglione poi che si fece la sera stessa fu prevenuto con inviti in scritto a tutte le familie patriotte per mano del segretario Stefano Grandi collo stema della Municipalità anteriore su cui eravi l’arma imperiale per corbellare così ancora li boni cittadini e porre in derisione quel monarca.
Le tre mattine seguentisi videro attaccati ai muri cartelli con motteggi, provoche e scherni alle persone probe di ogni gerarchia. Fra questi si vedero 36 individui nominati con la intestazione:
Cattalogo delli aristocratici che compongono il Corporale delli austriaci: Don Luigi Sarti pressidente, D. Luigi Facendi, D. Baldazzarre Landi, Giovanni Landi, Giuseppe Sarti, Carlo Conti, Francesco Giordani, Domenico Giordani, Antonio Bertuzzi ed altri ed in fine Ercole Cavazza segretario.
Ritornati li francesi in questi Stati, fu ripristinato il loro governo in seguito di che la Municipalità di Castel S. Pietro andò formalmente in possesso della Terra e Castello di Dozza. Il possesso fu preso dalli seguenti: dott. Angiolo Lolli pressidente, Francesco Farnè, Luigi Cardinali e Stefano Grandi. Avevano anco convolio seco di persone fra le quali il dott. Gaetano Conti, l’avvocato Vicini, Ugo Pizzoli ed altri.
Li 31 d. arrivarono di Bologna N. 100 pedoni francesi mischiati con mori. Li uomini di Dozza capi di quel paese venero a Castel S. Pietro a riconoscere per suo Capo la Municipalità e furono Pietro Nerozzi, Felice Cassani, Inocenzo Bartolotti e Francesco Masina notaio e segretario di quella Municipalità.
Il dì primo agosto furono mandati a questo loco nove contribuzioni ai mercanti da pagarsi in termine di 24 ore e furono fra gli altri Giulio Andrini per scudi 100, Paolo Farnè per l. 200, Pietro Ronchi per l. 80, Carlo Conti per l. 70 e così altri, per modo che portarono via più di l. mille.
Tutti li sudd. francesi che non ardirono entrare in Castello e Borgo, accamparono nella piazza dell’Ospitale e delli Capuccini. Dopo la sud. contribuzione portarono via grani ed altre robbe, l’uno volle un sacco grande come li poveri contadini del vicinato.
La raccolta fu scarsa d’onde si ebbe solamente il due o al più il quattro per corba di sementazione, crescono perciò li ladri onde nei circonvicini abitati si viveva poco sicuri.
In Dozza naquero rumori onde furono collà spediti francesi da Castel S. Pietro ed in appresso la Municipalità di Castel S. Pietro si partì in forma a quel castelletto con Antonio Giorgi ad installare la Civica di quel loco ove vi lasciarono 28 francesi di guardia. Rimase nel nostro Castello il capo battaglione nominato Antonio Turan colla sua brigata, abitò nel Borgo in casa Vachi. Tutta la notte passarono truppe dalla Romagna a Bologna a motivo che si erano oltrepassati li termini e confini dimarcati colli austriaci interinalmente per un breve armisticcio. Li altri ufficiali francesi al N. di 14 alogiarono in diverse case del paese.
Stante la penuria de grani e farina la Municipalità emanò una Grida che niuno più facesse pane bianco di fiore e nemeno i fornari, che se avesse qualcuno operato diversamente e le fosse tolto il pane cotto o crudo, sarebbe stato levato bene.
Temendosi dalli francesi una invasione delli austriaci anco dalla parte montana a motivo che li fiorentini si diffendevano valorosamente nelle parti di Arezzo, tirarono per ciò li francesi un cordone di truppa nelle vicine nostre colline e monti di dove si temeva molto e furono le situazioni loro in Dozza, Varignana, Liano, Monte Calderaro, Stifonti, Ozano, Castel de Britti ed in altri luoghi di bella osservazione fin sopra Bologna. Altro divario non vi fu che Monte Calderaro fu abbandonato per mancanza di alberghi quantunque Battista Quaderna patriotto e capo di quella sezione avesse lusingati li francesi anco con danno proprio.
La notte delli 5 d. in martedì arrivò una marchia inpensata alli francesi, quali tutti retrocedendo dalla Romagna andarono a Bologna. Amareggiati vieppiù li patriotti per vedersi instabile il comando francese, vedendo che li boni cittadini sospiravano un tempo felice ed attendevano un riparo alle loro enormità, le quali volevano non solo continuare ma neppure intendevano che alcuno le vituperasse per lo che le spiacevano li aristocratici tutti, pensarono levarseli con un massacro di sotto alli ochi.
Quindi nel Borgo in casa di Antonio Inviti si fece una assemblea di essi ove intervenero li seguenti terroristi e micidiari: Battista Quaderna, Filippo Muzzi, Luigi Tomba. Luigi Castellari, Luigi Vergoni, Ladislao Ronchi detto Laino, Marco Martelli, Luigi Cardinali, Antonio Giorgi not., Pietro e Giovanni Inviti, Domenico Grandi fattore de Barnabiti, Gaspare Sarti fino al N. di 40.
Quivi si ebbe lungo contrasto per le persone da essi studiate per opinione che fossero loro avversarie. Nel contrasto fu che, dovendosi dai francesi guereggiare a termine dell’armisticcio, si dovesero fare nascere cimenti contro lo boni paesani senza ragione ma unicamente per avere motivo di rissare ed attacata la rissa verbale con provoche ancora di insolenti parole venire in seguito al masacro delli partitanti del Papa o dell’imperatore o almeno creduti tali, indi appropriarsi le loro sostanze. Ma la facenda non ebbe quel fine che si aspettavano e però tutto fu sventato ed avvisati li paesani della congiura si andarono tutti ai loro quartieri né si vedeva più alcun galantuomo girare per il paese e nemeno accompagnarsi con amico né parente.
Attesa la scarsezza de grani essendosi diminuito il peso del pane e li fornari non potendone smerciare, ricorsero alla Municipalità per averne una qualche providenza al bisogno. La Municipalità tosto pose un contributo di grano ai possidenti oppure danaro. Alquanti si prestarono ma non tutti. Io fui tassato per l. 500 di Bologna o grano.
In questa notte pasarono di Romagna francesi ed andarono a Medicina, poi al ferrarese, ne passarono 500. Si fecero le opportune pagnotte in Castel S. Pietro.
Organizata la Guardia di Dozza come si è detto, vi si lasciò per comandante Antonio Sarti con Luigi Tomba detto Stanghetto. Abbisognoso il d. Sarti di civici destri ed arditi, perché si sentivano in quel contorno insorgenti, scrisse alla Municipalità di Castel S. Pietro per avere socorso, il portatore della lettera era il d. Tomba. Informati li insorgenti di Monte Catone de quali era capo Stanislao …………, fattore delli Cavalca, disceso dalla sua stazione ed accompagnato da sei bravi di sua brigata che furono Luigi Rivalta detto Righino, Giovanni Zanelli, Girolamo Rolli, Carlo Calazza, tutti di Dozza, con Andrea Brusa d’Imola, famoso ladro, tesero aguato al . Tomba ed al capo battaglione di Dozza Inocenzo Bartoletti per averli nelle mani, ma avisati fuggirono a Castel S. Pietro e così Dozza rimase poco guardata.
Le nostre pattuglie poi non avendo capo che li tenesse in dovere caminavano a loro piacere e facevano ciò che era di loro capricio, quindi la notte si sentivano entro l’abitato scoppi di archibugio che scomponevano la tranquillità noturna. Autori e capi furono Camillo Ronchi e Luca Giorgi detto Luchetta, fratello del Giusdicente Antonio Giorgi. Furono questi arrestati, ma perché erano della comitiva patriotica dopo 24 ore furono rilasciati.
Li insorgenti di Monte Catone in aguato presero il d. Sarti comandante della Guardia di Dozza, che dal suo posto si era slontanato. Fu quindi mandato per traversia di boscaglie alla volta del fiorentino. Dozza libera dal comandante Sarti, entrarono in quella li insorgenti sud. e levato il quartiere di quella guardia che, avvilita dalla presa del Sarti, disarmarono tutto il quartiere e poi partirono.
Passarono più di 400 patriotti di Romagna che da Cesena, Faenza e Forlì fugivano a Bologna accompagnati da cisalpini e francesi per timore delli insorgenti ed il lunedì seguente 11 agosto vi seguirono più di 30 carra col loro bagaglio, onde nel paese cominciò a mancare il pane e si temeva di saccheggio.
Al Piratello e Toscanella essendo stati ucisi alquanti francesi da li insorgenti, fu rinforzato il nostro Castello di truppa francese sotto il comando di monsù Lemoins ed alle ore 21 italiane arrivò ancora un corpo di cisalpini, la massima parte ladri, ed alle ore 22 arrivarono ancora li civici bolognesi con un canone e canonieri, capo de quali era Luigi di Domenico Bechetti bolognese. Stettero quivi fino alla domenica mattina 17 stante e dappoi andarono in Romagna.
Ciò non ostante li insorgenti temevano poco, poi quelli di Monte Catone di notte tempo assalirono Dozza, la presero e, per grazia di Dio nel tempo dell’assalto, li capi di quel Castello cioè Pietro Marozzi, agente municipale, ed Innocenzo Bartoletti, capo battaglione, fugirono a Castel S. Pietro.
Questi pochi francesi che guardavano la piazza nostra, intesa la presa di Dozza, fecero un corpo militare col N. di 50 con nostri patriotti, parte de quali andò per la via romana a quel Castelletto e parte per la traversia della collina tenendo la via di S. Lorenzo. Avvisati li insorgenti spalancarono le porte presso la rocca ove giunti li civici di Castel S. Pietro si cominciò la baruffa ma, sentendosi dall’altra porta del Castello arivare li francesi, fugirono alla boscaglia di Monte Catone.
Non dimeno si perdettero di coraggio per che, esplorato esservi rimasti solo in Dozza pochi francesi con pochi civici di Castel S. Pietro essendone partiti più della metà, ritornarono li insorgenti alla presa di Dozza nella festa di S. Cassiano la mattina in N. di 30 de quali una parte si imboscò all’ospitaletto vicino per arestare al bisogno li fuggitivi. Difatti avanzato il primo corpo alle porte di Dozza travestiti da francesi, le fu dalla sentinella fatto il Chi vive, a cui risposero con fucilate e tosto fu chiusa la porta e la sentinella che era Giuseppe Vergoni, quantunque ferito legermente, rispose col fucile, ma poi uniti li altri civici di Castel S. Pietro compatriotti cioè Domenico Magnani, Giovanni Neri vedendo il furore dell’insorgenza, scalarono le mura del Castelletto e con l’arma bianca si internarono nella vicina vigna e salvarono la vita, lasciata a discrezione dell’inimico Dozza colli francesi.
Durò la Baruffa per due ore continue, ma presentatasi la venuta di Bologna in Romagna del generale Muniè, che giunse un ora doppo, abbandonarono li insorgenti l’impresa. Si fermò il generale con tre battaglioni in Castel S. Pietro che erano 1200 uomini e poi ne giunsero altri per modo che il paese era pieno di truppa. Li ufficiali alloggiarono nelle case de paesani, in casa mia ve ne erano fra soldati ed uficiali N. 21 con 19 paglioni e nel quartiere de miei mezani, abitato dal dott. medico Muratori, ve ne erano N. 10. Abitarono perfino entro le chiese a norma della distribuzione fatta dal pressidente della Municipalità.
Il paese era sfornito di pane e di farine onde cresceva il tumulto, tanto più che vi si aggiusero 200 cavalli cisalpini, li quali vedendosi poco di foraggio andarono ad Imola per inoltrarsi fino a Pesaro, punto dimarcato per l’armisticio coll’Imperatore.
In questa circostanza trovandosi sprovisto di brugiaglia ogni paese, la soldatesca ruinava le campagne ed oltre di sacheggiare le uve e frutti alla campagna, portavano viali pali nelle vigne e tagliavano ciò le pareva per fare foco e molto più in quei fondi di proprietari che avevano dato segno di compiacenza per la invasione austriaca, sollecitati da patriotti.
In Dozza dove erano stati accampati 250 francesi, io sentii più di tutti il danno nella vigna e nei poderi dove che non potetti avere che un grapolo d’uva. A Varignana dove erano 500 francesi acadde lo stesso e così nelle altre alture a noi vicine.
Li 18 agosto fu pubblicato il decreto del Direttorio di Milano che si cavassero tutti li beni delli agostiniani di S. Giacomo di Bologna e sucessivamente si spogliassero affatto li altri conventi di questa Relligione. Per Castel S. Pietro fu comissionato Francesco qd. Pietro Conti e Carlo qd. Marco Bettazzoni di Castel S. Pietro ad impossessarsi della robba e case di questi agostiniani locali d. di S. Bartolomeo.
Partiti per la Romagna li francesi sud. dal nostro Castello, ne venne un altro battaglione di pressidio il di cui capo alloggiò nella casa Vacchi presso il nostro canale e li altri uficiali per le case del Borgo e Castello. non ostante questi movimenti si fecero li soliti mercati e fiera di S. Bartolomeo nel nostro Castello.
Essendo state chiuse le due chiese in Castello di S. Bartolomeo e del SS.mo nella piazza ove più non si celebrava, furono di novo riaperte per ordine del Vicario capitolare ma per poco, poiché l’arciprete Calistri inquieto sempre e dotato più di spirito patriotico che di bon prete, non mancò per il suo conaturale livore ed odio a questi due santuari di se procurare altro ordine del d. Vicario che novamente si chiudessero al culto e l’ottenne, ma si sentivano rumori e declamazioni contro il med. per il paese, mentre la Compagnia del Sufragio più non operava e l’arciprete voleva quelle elemosine e l’altra perché il crocefisso non era più venerato.
La brigata de francesi quivi di presidio stanziata faceva due volte al giorno l’esercizio militare in diversi luoghi di contorno al paese, nella piazza Cappuccini, nel foro boario, di dietro ai palazzi ed anco in mezo la piazza del Castello, ciò si eseguiva sul far del giorno e la sera alle 21 italiane. Il corpo della loro guardia si teneva nel quartiere della nostra guardia nazionale nella casa municipale e giorno e notte si faceva la guardia con sentinelle copulativamente.
La penuria di tutti li viveri faceva rumoreggiare il paese, onde fu in necessità alla municipalità prevedere ad un grande disordine tanto più che li francesi sacheggiavano qua e là per la campagna.
Il grano valeva l. 35 la corba, la fava l. 13, il formentone l. 22 e la farina di questo soldi 3 ½ la libra, quella di grano 4 ½, il pane venale era di oncie 9 per soldi 4.
Il d’affare è grande per il Governo, la Municipalità tiene 12 persone al servigio: due uscieri, due segretari, due fachini, un porta lettere, due segretari, due amanuensi ed altri e tutto di spesa si addossa ai paesani. Nella presente penuria si fanno requisizioni di grani, farine e vino ai possidenti del paese.
Per ovviare però a malcontenti pensò la Municipalità formare un corpo di annonari e ne emanò il proclama il di cui tenore è l’unito in cui sono dessignati dodici civici del paese cioè Carlo Bettazzoni, Giuseppe Ballarini, Domenico Grandi fattori di casa Malvasia, Bianchetti e Barnabiti, Giulio Andrini e Nicolò Giorgi mercanti con Ercole Bergami, Francesco di Pietro Conti, Antonio Giorgi, Gaspare Sarti, Camillo Bertuzzi e Paolo Farnè li quali tutti formarono un corpo separato dalla Municipalità onde fare le loro funzioni e furono di mandare alli possidenti cedole di requisizione, delle quali ne anettiamo la formola stampata. [A.54]
La prima congregazione seguì nella sala municipale il dì primo settembre.
Nel secondo giorno di questo mese di settembre avenne un prodigio nelle vicinanze di Roma, che fu poi relazionato ed a noi è solo pervenuta la seguente copia:
Naque nella villa di S. Pietro cinque miglia fuori della città di Roma li 7 settembre 1800 alle cinque della notte un fanciullo filio di Domenico Franchini qd. Pietro e Donina Luigia Marchetti qd. Gaspare jugali ambi della stessa villa ed alle ore 22 dello stesso giorno fu portato al S. Fonte per essere ammesso alla Cattolica Religione sotto li auspici di S. M. Chiesa. Mentre il sacerdote battezante recitava il credo et alle domande che faceva, improvisamente quelle parole che doveva ripetere il padre in di lui vece rispondeva il bambino cioè: Credo, Abnunzio, Volo, Amen. Giunto al S. Fonte, doppo che il sacerdote ebbe infusa l’aqua sopra il capo del bambino ponendole il nome di Angiolo, con voce di giubilo disse il fanciullo: “R. P. in quest’anno avenire si avrà una pace ed abbondanza per tutta la Cattolica Relligione se li uomini si pentiranno dei loro misfatti”.
Furono testimoni di udito in d. chiesa molti, fra quali li seguenti: D. Giovanni Busatti curato di d. Villa., li padrini del neonato fanciullo cioè D. Giacomo Tomaselli e D. Maria Cervalta, la alevatrice Antonietta Rossani, assistente di chiesa Paolo Benvenuti in oltre Francesco Demeneghini, Natale Canessi, Giuseppe Benforti, Eustachio Giacomazzi, Matteo Bassi, Domenica Francesca Popolani, Domenica Fachinetti, Vittoria Lamberti, Anna M. Mieta, Claudia Vitori, Giacoma Marchesini, Maddalena Bertuzzi e molte altre persone.
Non bastò questo miracolo, che nel seguente ottobre si viddero nella lingua di un altro infante nato in Borgo S. Sepolcro per nove mattine consecutive le seguenti lettere iniziali che furono notate e nella relazione di esse furono anco interpretate cioè da una bona serva di Dio di Monte Lugo, dopo avere preso tempo di tre giorni per interpretazione che fu la seguente:
Prima mattina O.C.I. con Orazione, Contrizione, Inocenza, .
Seconda mattina C.I.E. Carità, Innocenza, Elemosina.
Terza mattina C.O.V. Confessione, Odio al Vizio
Quarta mattina Q.T., Questo è il Trionfo
Quinta mattina C.R.R. Cuori Raveduti Regneranno
6 – E.C.A. Eletti Confutate l’Ateismo
7 – S.O.R. Sarà opresso un Regno
8 mattina C.V.N. Cristo Vincerà il Nemico
Nona mattina C.V.O. Chiedete Umilmente ed Otterete.
Doppo avere fatte le sud. osservazioni andarono le persone interpolatamente a vedere il fanciullo e facendole aprire la bocca si videro nella lingua altre lettere iniziali romane che furono annotate e solo nelli giorni di venerdì in cui il lattante non voleva cibarsi. Li venerdì furono N. cinque nel primo si videro queste che medesimamente dalla serva di Dio furono interpretate cioè
Primo venerdì C.V.O Chiedete Umilmente Orate
2° venerdì C.A.V.O. Cristo Ascolta i Voti Ossequiosi
3°venerdì A.C.G.O.C. Amore, Costanza, Gesù Chiede e Comanda
4° venerdì C.A.G.C Che Avrete Grazia Certamente
Ultimo venerdì S.O.V.C. Sicuramente Otterete Vittoria, Cooperando.
In questo giorno partirono tutti li francesi sud. per Bologna, erano della Lorena e stazionarono quivi per un mese . Oltre le angustie sud. il Governo acrebbe le tasse sulle possidenze di danari nove per ogni scudo di valore. A queste calamità si aggiunse il male ne bovini, per cui si chiusero alcune stalle nel nostro comune. Agostino Ronchi già comunista del passato governo morì, lasciò 4 maschi, tutti di umore republicano cioè Camillo, Gaetano, Ladislao detto Laino e Vitaliano.
Partiti li sud francesi di Lorena da questa piazza, arrivarono tosto la sera altri 500 della provincia di Bordò, che stanziarono fino alla mattina deli 7 corente settembre per dar loco a 100 cavalli cisalpini che arrivarono di Romagna e partirono tutti il doppo pranzo per andare a Mantova e Ferrara che si temeva dalli imperiali.
Li nostri patriotti vedendo una marcia così precepitata si avvilirono. Appena evacuato il nostro paese, li principali patriotti di Dozza, abbandonata quella terra venero a Castel S. Pietro per tema delli insorgenti, capo de quali era Stanislao Gottardi di Monte Catone, valoroso e destro nelle imprese. Li dozzesi furono Pietro e D. Domenico Nerozzi nipoti di quel prevosto D. Ottavio Nerozzi, Felice Cassani notaio fratello di D. Geminiano Arciprete di S. Lorenzo di Dozza ancor esso patriotta, Inocenzo e Domenico Pietro e filio Bartoletti e D. Lorenzo Poggipollini prete e maestro di scuola di quel paese, che fu da essi tutto abbandonato, lasciando la robba a discrezione. Chiesero ajuto e diffesa alla municipalità di Castel S. Pietro, quale tosto spedì a quel loco li più bravi patrioti del paese e furono Camillo Ronchi sud denominato il Moro, Filippo Muzzi detto Tarmone, Marco Martelli, Giuseppe Vergoni, Sebastiano Capelletti ed altri per rinforzo della guardia di Dozza. Li emigrati sud. dozzesi stettero nel nostro Castello fino al 17 corrente settembre in cui partirono a (lasciare) quivi solo li Bartoletti. Rimpatriati li sud. come che erano questi del Ceto di quella Municipalità mandarono tosto fuori un riparto di contribuzioni ai possidenti del loro territorio da pagarsi entro tre giorni sotto rigorose pene.
La Municipalità di Castel S. Pietro attesa la carestia de grani e farina pensò formare una anona mediante contribuzioni a paesani possidenti onde deputò 12 sogetti che furono notati in notificazione e tassati capriciosamente dalli componenti la Municipalità di fanatici patriotti. [A.55]
Io fui tassato scudi 140 ma come che il proclama notificante era allarmante contro li boni cittadini ed incitava il popolo a far nascere sacheggi, li contributari scrissero a Bologna, onde in seguito furono tassate le familie credute nemiche della Repubblica fra le quali furono queste: Francesco di Lorenzo Conti, Carlo Conti suo fratello, D. Luigi Sarti e Giuseppe suo fratello, Giovanni Landi, Giuditta e Giacoma sorelle Castellari dette: le Pretine, Filippo Conti, Carlo Savini per la Marianna Graffi sua madre e molti altri da quali ebbe sovenzioni.
In seguito di questo fatto la Municipalità per avere il suo intento, doppo avere avuto prima dal d. Francesco Conti corbe 40 di grano, altre 40 da Carlo, dall’arciprete 42 e così da altri con promessa di pagarle il suo prezzo corrente, ma mancò di parola, onde avuto il grano vi pose sopra una taglia e rapresalia a talento, cioè a chi di l. 300 a chi di 100. Ebbe ancora la Municipalità sud. invece de grani da taluno vini e biade, valendo il grano la corba scudi 10 romani.
Questi generi furono poi passati alle bettole ed alli forni che lucrarono molto, essendo questi amministrati da giacobini. Si seppe ciò in seguito, mentre l’oste del Portone Giosafatte Benati sul d. vino ebbe tanti abboni in carta per l. 1960, affare che fa orrore. Si disse e seppe ancora che in questo conto vi entravano le vittuarie alterate e che si facevano portare alle proprie familie li pressidenti Lolli, Luigi Cardinali e Stefano Grandi segretario della Municipalità che avevano introdotto l’uso di stare colli capi di truppa alle locande quando passavano e quivi si fermavano.
Li deputati anonari fatti poi dalla Municipalità avevano ancor essi decretato un segretario pressi loro ed un computista colla paga mensile di scudi sei per ciascuno, così pure avevano deputato un assistente alla vendita del pane colla giornaliera paga di pavoli cinque e simili pavoli cinque all’assistente alla macina de grani, da ricavarsi tale danaro sopra li grani contributati. Furono altresì deputati due provveditori per gli altri grani da comprarsi con danaro da ricavarsi dalle casse delle familie commercianti e possidenti. Furono questi Francesco di Pietro Conti e Giulio Andrini e furono fatte altre enormi disposizioni che se perveranno in nostra mano le trascriveremo per regola e governo de posteri, come la unita su la molitura(235). [A. 56]
Adì 12 detto, essendosì già cominciate le ostilità dalli inglesi e russi contro li francesi nell’Adriatico, si avvisò che da quelli si bombardava Ravenna ove erano le truppe delli ultimi. Da quest’altro canto per terra si scoperse nella Romagna una insorgenza di nazionali che nominata truppa ausiliaria batteva li francesi e loro fautori. La truppa cisalpina volendo imporre, unitamente a civici, leggi, furono respinti da forlivesi aristocratici. In Imola accadde lo stesso ove li ausiliari fatto foco contro li patriotti si impossessarono dalla porta del Ponte e cacciarono li cisalpini a piedi ed a cavallo di dove, fuggiaschi venendo, andarono alla volta di Bologna doppo breve dimora fatta nel Borgo di questo Castello. Quella città andò a rimove di modo che due coraggiosi villani di quel territorio levarono un canone a cisalpini, ma poco lo tenero perché non essendo ajutati convenne loro dal furore ed impeto dei nemici abbandonarlo e per che niuno soccorso ebbero.
In seguito però li 13 d. arrivarono a Castel S. Pietro molti patriotti di Romagna ed andarono a Bologna. Si contarono dalla mattina fino alla sera 124 carozze piene di patriotti fuggitivi per li quali li osti facevano guadagni imensi. Il vino che per la carestia d’uva la quale si vendeva scudi 40, 44 e 46 la castellata in questo loco ed in Bologna l. 60 fino alli scudi 66, si vendeva il vino perciò in Castel S. Pietro soldi 12 il boccale. Le granaglie ancor esse erano a prezzo esorbitante. La fava pavoli 52 la corba, il formentone 40 ed il grano pavoli 60 ma crebbe fino alli scudi 10. Il mondo è sossopra.
Ferrara in questo tempo era battuta dalli imperiali, ai confini di Romagna vi erano napoletani e russi con altre truppe ausiliarie per modo che seguivano scorrerie e sacheggi da queste ultime.
Adì 14 d. stante il male ne bovini per cui ne morivano molti, si fece in Castel S. Pietro una solenne festa a S. Antonio Abbate a cui seguì poscia un triduo devoto. Il male nelli bovini fu piutosto causato dalli disaggi, vetture e fatiche fatte per il trasporto di militari e bagaglio e robbe di quello che fosse influenza, fu anco questo un motivo che pochi careggiavano e volevano andare coll’uva a Bologna onde solo li veturali sulle barozze tirate da muli erano li conduttori.
La Municipalità sentendo il rumore de paesani su le funzioni eclesiatiche, portossi in forma a S. Bernardino nella chiesa di S. Francesco a sentire la consueta messa.
Si fanno spese e tasse enormi contro li poveri possidenti, né si vede la versione del danaro.
Terminato il triduo sud. di S. Antonio si fece colla di lui statua la processione per il paese e giunta nella piazza diede nelli quattro angoli la benedizione.
Fu richiamato il generale Meles dalle sue truppe da queste piazze e sostituito il generale Belegard imperiali. Evacuati questi luoghi dalli imperiali, sucessero li cisalpini onde vennero poi 60 cavalli, li fanti poi in appresso un grande bombardamento dalla parte di ponente. Sentendo li patrioti l’affare malparato vennero di Romagna molti a Bologna. La notte seguente venendo alli 15 d. giorno di lunedì alle ore 4 italiane giunse un mezo battaglione di cisalpini cioè 500 pedoni dalla Romagna ed alle 5 ore giunse l’altro mezo battaglione, dove entrato in Castello e Borgo fecero assai rumore per li aloggi e scompigliarono le familie.
Furono li ufficiali tostamente allogiati nelle case e furono fatte alzare di letto le persone e sommovere le familie tutte con impeto tale che poco mancovvi ad una insorgenza e molto più che oltre il comodo di albergo e letti volero ancora la sussistenza. Nacquero per ciò amarezze contro la Municipalità la quale sapendo tutto l’aveva taciuto e così tradito li paesani.
Qui più non fermossi la malvagità del capo di quella che era il Dott. Lolli, uomo quanto di bassi natali e nativo di Vetrana, altrettanto era altero, crudo ed inumano. il med. vedendosi in situazione di dovere abbandonare il paese cominciò a fare tutte le iniquità possibili, delle quali ne condusse alcune al fine ed altre Dio non volle che avessero l’esito.
La prima fu di insaccare tutte le carte della Municipalità perché non si vedessero tutti li di lui delitti e sceleratezze, la seconda fu di portare via tutta la cassa e danaro cumulato dalli intimati e chiamati al sussidio della Anona del paese e fra tanti furono segnati li seguenti, che furono, si può dire francamente, derubbati. Carlo qd. Lorenzo Conti per tanto vino l. 260 di Bologna, Francesco Conti notaio di lui fratello in tanto grano per l. 900. L’arciprete Calistri per tanto grano l. 1200, ma questi fu indenizato per che suo amico, Carlo Bettazzoni grano per l. 200, Carlo Savini grano per l. 300 ed altri che se avrò la nota saranno in questa registrati li loro nomi e cognomi. Il danaro non si può calcolare, ma computati li prezzi sud. col danaro fu per 2 mille scudi circa romani questo ladro impune e singulare cabalista ed il migliore fra li framassoni.
Che se non accadeva il presente caso per cui fugire, depauperava tutte le familie a forza di scelerateze, prepotenze e soverchiarie, coadiuvato dalla fece de populari disperati de quali era esso il loro dio , e dove non poteva avere grani li faceva dare farina ed altri generi e conveniva ai boni cittadini, che non si volevano rompere il collo, tacere ed adatarsi alla circostanza del tempo. La terza, che non vi riescì, poiché il capo battaglione francese Menos fu galantuomo e cristiano, fu che ricusò servirlo nella crudeltà, voleva fare ostaggi ed imporre loro per il riscatto una taglia arbitraria, la quale non pagandosi sul momento, voleva fossero diportati dallo stesso Menos a cui aveva offerto dividersi con esso il ricavato.
Li destinati alla pena si sa che furono dodici nel Borgo cioè Felice e Luigi Farnè d. Bevilacqua, Gaetano ed Emilio Giorgi, oppure il loro padre Pietro, Andrea Giorgi ufficiale di dogana, D. Baldassarre col fratello Giovanni Landi qd. Lorenzo perché era stato di governo sotto l’Imperatore ed il legale Sebastiano Lugatti perché declamava contro questa perfida condotta.
In Castello poi Ercole e dott. Francesco Cavazza creduti di opinione aristocratica avendo servito l’Imperatore e il papa, Carlo qd. Lorenzo Conti, Francesco qd. Gio. Battista Giordani, D. Luigi qd. Pietro Sarti per essere stato precettore publico di scuola in patria, D. Luigi qd. Francesco Facenda per essere aderente al med. Sarti. Tutto ciò tentò costui per che volleva con tiranide usurparsi ciò che non poteva per la via retta. E’ da notare che li sud. mai avevano contrariate le legi e il loro reato altro non era perché non volere concorrere nelle massime prove del med. Lolli e perché compassionavano le povere familie, che si desolavano e si sovertivano le filiolanze.
Fece altre iniquità sopra li abboni militari dividendosi il dippiù che si apponeva nelle cedole di abbono colli altri suoi compagni e bisognava tacere. Con questi proventi trattavasi da signore in casa e si manteneva una bagascia, per quello si diceva. Questa baldracca era della Molinella. Li tenevano poi mano in queste sue ribaldarie li fanatici patriotti Stefano Grandi speciale del paese, Domenico Grandi, fattore de Bernabiti e Giosafatte Benati oste al Portone che dava tutti li pasti che loro volevano in modo che le familie de sud. vivevano lautamente.
Restarono poi scoperti per questi abboni li macellari di carne grossa di scudi mille e seicento. Li carnajoli per scudi 560 né poterono avere nulla, mentre Stefano Grandi col dott. Lolli facevano essi le riscossioni e si insacavano a talento e quietavano con ciancie e belle parole li creditori, né potevano ricorrere perché minacciati dalla forza.
Per coonestare poi questa sua condotta proclamarono l’unito ordine(?). Vedendosi poi questi egoisti alle strette, attesa la insorgenza di alcuni popoli nella Romagna che uniti in forma di truppe ausiliarie si avvanzavano a queste parti, e temendo di essere sorpresi e massacrati anco dalle truppe tedesche che nella Romagna inseguivano li cisalpini, dove che le avvanguardie erano giunte ad Imola, tutti li patriotti di notte tempo sloggiarono dal Castello e Borgo colle robbe e andarono a Bologna ed altrove per assicurarsi evacuando così tutta la terra.
Li principali fuggiaschi furono li d. Grandi che caricate per fino le granalie, Ercole Bergami d. Scalfarotto, Francesco di Pietro Conti d. Ucellone, mandarono in molti carra per fino il vino e brugialie. L’oste Bonoli caricò un bavule di monete ed altri contanti. Li altri paesani di buona legge ed aristocratici assicurarono come potettero quel che credettero.
La mattina seguente di lunedì fu grande sconvolgimento delle truppe patriotiche forestiere e nostrali. Molti fanatici sentendo apressarsi in Imola le truppe ausiliarie e le avvanguardie e posti avvanzati alla Toscanella, si determinarono abbandonare questa sua patria et andarono a Bologna in gran numero, parte in forma di truppa di linea e parte disordinati.
Li primi marciarono a suono di tamburo colla bandiera francese spiegata di tre colori verde, bianco e rosso. Fu loro condottiere Antonio Sarti che faceva le veci di Capo battaglione, erano tutti bene montati di armi e di uniforme cisalpina. Levarono tutti li fucili e guarnigioni dal quartiere, con armi tutti da punta, taglio e da foco. Furono questi Ubaldo Tomba detto Stanghetto, Luigi e Giuseppe Vergoni, Luigi Muzzi il musico con Filippo Muzzi suo fratello detto Tarmone perché marcato di vaiolo, Ciriaco Bertuzzi, Luigi Cavina, Luigi Castellari detto Bardella, Salvatore di Francesco Chiari, Giovanni Neri, Sebastiano Capelletti, Francesco di Giuseppe Farnè con Rafaele suo nipote, Giulio di Domenico Grandi, Domenico Magnani, Luigi Cavina, Domenico Bartoletti, Luca Giorgi qd. Giovanni, Pietro Inviti, Giuseppe di Nicolò Giorgi, Lorenzo Alvisi, Giuseppe Oppi detto Gussolo, Marco Marzochi e molti altri al N. di 40. Oltre questi se ne arolarono seco molti altri, ecettuati li villani, che niuno si volle prestare. Portavano li sud. dietro le spalle il loro fardello militare detto patrona. Fuori della d. brigata vi seguirono il pressidente dott. Lolli, Antonio Giorgi notaio e giudice attuale, Luigi Cardinali con Francesco Farnè manicipalisti, Gaetano e Vincenzo Andrini, Innocenzo Bartoletti, Ercole Bergami, Francesco di Pietro Conti, tutta la familia del fattore Domenico Grandi. Alli detti emigrati vi tenero dietro ancora le loro spose ed andarono a Bologna senza tanti altri patriotti per modo che il paese sembrò rinato, esendosi liberato della turba di persone scostumate e dissolute.
Per tale circostanza rimase ancora la terra priva di farine e pane in modo che la classe de poveri esclamava. Nel fratempo che fuggivano queste genti il dopo pranzo arrivarono sul nostro ponte del Silaro due corpi avvanzati di ausiliari a cavallo che espiavano la strada e luoghi ove temevano imboscate, avendo lasciato addietro alla Toscanella un corpo di cinquanta coalizati loro. Li sud. corpi avvanzati, perlustrato il paese, né avendo trovato alcun ostacolo, calarono la via romana et andarono alla possessione di Paolo Farnè fratello del fanatico Francesco, denominata la Balestriera già delle monache supresse di Medicina, la quale è una delizia rurale, fertile tereno e coredata di ogni sorta di piante.
Portarono di qui via tutti li raccolti di grano e vino si di parte dominicale che rusticale, forzando l’agricoltore coll’armi caricare tosto tutto e condurlo a Imola. Fecero altresi quelli armati intendere alli villani conduttori che fra poco veniva la loro truppa a spesarsi a tutte spese del d. Farnè Francesco come uno de capi giacobini, volendo farine, carni, vino ed altri comestibili.
La Congregazione che doveva farsi questa mattina in Castello sopra l’Annona andò a monte per lo scompilio occorso.
Adì 17 d. mercoldì giorno delle quattro tempora arrivarono in Castello venti insorgenti dalla Romagna, entrati nel Borgo presero li posti opportuni, dippoi andarono ai capucini e cicondarono il Castello. Loro capo conduttore era Giuseppe di Bartolomeo Giordani di questo loco detto il Strabbino, nel paese non fecero alcun male a paesani, ma alla campagna vollero dai coloni de giacobini tutti li viveri.
Rimpatriarono perciò Giacomo Ravasini, Gioachino Badiali, Alessandro Alvisi d. Sandrone il Mondatore, Luigi Fabbri detto Stricca ed altri paesani senza armi però e stettero in contegno senza offendere alcuno delli suoi avversari.
Francesco Nannini detto Muzzone, giovinastro bravo di sua vita, forzoso, bello e grande da solo nel condotto Gajana ritrovati sei giacobini di quel quartiere che le volevano far fronte a forza di sassate li fece ridurre tutti in un club e li cacciò alla volta di Budrio facendoli scarsi lontani quanto poteva un tiro di moschetto, quantunque non avesse nella destra che quattro dita.
Sul meridio ritornarono li insorgenti e volero la vituaria da paesani, fu discreta la richiesta. Carlo qd. Lorenzo Conti le diede una bigoncia vino, Paolo Farnè fece lo stesso. l’arciprete le diede pure vino, salato e pavoli 40. Tutto ciò fece perché era segnato nel N. de giacobini col suo capellano D. Francesco Landi, che si nascose nelli fornici della chiesa. Sfamati li insorgenti tornarono nella Romagna.
Finchè trovavansi in paese li sud. ausiliari venero alla volta di questo Castello alcuni dragoni cisalpini per guarnire il paese ma a metà della strada nelle larghe di Magione, avuto aviso che cresceva il N. delli insorgenti, si diedero alla fuga verso la città. Alcuni de nostri patriotti che erano andati a Bologna presero ivi il soldo ed andarono nella guardia cisalpina a Reggio. Per tutti questi movimenti restò il nostro Castello e Borgo senza governo, senza guardia e senza armi.
La notte seguente delli 17 venendo alli 18 li paesani che erano andati a Bologna, sentendo evacuato il paese delli ausiliari rimpatriarono ma per che il paese era sfornito di pane, farine ed altri comestibili, prevedendosi un disordine della classe delli indigenti, si portarono alle case de contadini a prendere pane, andarono fra le altre case alla Maranina abitata dalla familia di Giacomo Cenni, che erano del buon partito, con animo di sacheggiarla, ma li giovani di quella familia fecero alto, respinsero li agressori e nel rumore restò ferita una povera sposa, che fra pochi giorni socombette.
La notte delli 20 sul far del giorno venero da Imola alcuni insorgenti esploratori e si fermarono alla chiesa di S. Giacomo al ponte del Silaro. La guardia del paese avisata spedì una patuglia, ove giunta ad un posto avvanzato fece il caporale il “Chi va là”. Risposero li emissari con archibugiate dalla d. chiesa ove avevano piantato il quartiere. La pattuglia spedì tosto al Castello per avere rinforzi. Avvedutisi di ciò li insorgenti decamparono ed andarono alla Toscanella, fra quali vi erano mischiati tedeschi ed ungari.
Li nostri paesani spedirono tosto l’avviso a Bologna per avere soccorso ma non furono ascoltatati, onde il paese venne in gran timore, tanto più che venendo al Castello alcuni carra di farina per li forni furono queste predate da militari austriaci che crescevano di numero in Imola.
Declamava il paese per questa circostanza, alla fine arrivarono di Bologna 25 cavalli cisalpini per avvanguardia e dopo un quarto d’ora andarono alla Toscanella. La sera arrivarono 200 fanti cisalpini a tamburo battente, allogiarono li uficiali nella casa de boni cittadini di Castello e Borgo, non andarono poche ore che giunse una truppa di patriotti bolognesi con un canone, il capo de quali era Giuseppe Jussi bolognese. La mattina seguente si incaminarono verso Imola per dissipare li ausiliari ma loro non riescì nulla.
Finchè si facevano questi movimenti, la Municipalità timorosa di un disordine per la farina e grano mancante, pubblicò un proclama col quale ordinava sovenzione di farine alli fornari. Furono sordi li paesani, ma crescendo il clamore popolare, la Municipalità mandò alle case con la forza a prendere le sussistenze per li indigenti, lasciando ai poveri concittadini il puro bisognevole e convenne chinare il capo per evitare il massacro delli individui.

(241s) La chiesa di S. Bartolomeo ed Oratorio che finora erano state chiuse si aprirono.
Lli 25 d. la notte alle ore tre ritornarono col loro cannone li cisalpini bolognesi che avevano inseguiti li insorgenti ausiliari fino a Brisighella. Tutto questo tempo fino al loro ritorno stettero chiuse le porte del Castello colla guardia nazionale. Giunsero ancora N. 200 pedoni cisalpini, il comandante di guardia era veneziano che albergò in casa mia.
Restìo essendo ognuno altro paesano dare sovenzioni alla Municipalità per la vittuaria, la med. proclamò novamente che si dovessero prestare li paesani al prestito e sovenzioni. [A.57]
Ma sempre furono li paesani negativi perché avevano avuto preventivi esempi che li municipalisti si ingojavano loro, onde si ricorse al prefetto in Bologna, il quale ordinò che si facesse un invito a tutti li contribuenti che avevano avute le polize e che adunati nella sala municipale eleggessero esse le persone loro piacevoli per l’azienda dell’interesse anonario.
Inseguito adunati in N. di 40 si elessero quivi N. quattordici dal loro seno e furono: D. Francesco Dalfiume per pressidente, me Ercole Cavazza per depositario, Giuseppe Santi per segretario, Antonio Magnani, Francesco di Pietro Conti detto Ucellone, Filippo Conti suo fratello, Carlo qd. Lorenzo Conti, Carlo Bettazzoni, Giulio Viscardi, Gio. Battista Fiegna, Giuseppe Gallerani, Luigi Giorgi, Giovanni Landi e Paolo Farnè. Fra essi loro furono distribuiti li offici.
In seguito adunati questi si lessero le leggi venuta di Bologna in proposito, colla condizione che alla congregazione loro dovesse intervenire sempre un municipalista. Furono fatte indi le tasse da riscuotersi, grano, danari.
Fu contemporaneamente data una accusa a Stefano Grandi dalli colegati Francesco Farnè, Luigi Cardinali e dott. Angelo Lolli perché fosse rimosso dall’ufficio di segretario municipale. Li capi di acusa furono: che il Grandi aveva avuto intelligenza colli insorgenti con lettere, che il med. aveva per ciò tradito la Municipalità e che avendo esso sgombrata la propria abitazione, il paese si era messo in allarme per cui su questo esempio emigrarono colla robba, finalmente che si erano trovati dispaci avere esso intelligenza coli inperiali.
Adi 30 settembre partirono li Cisalpini per Imola. Il capo brigata era Federico Brasa veneto, che abitò in casa mia, uomo quanto che cristiano altrettanto dabbene e pulito.
Adì 5 ottobre alla mezza notte arrivarono mille francesi e la mattina seguente, domenica del Rosario, andarono a Imola e sucessivamente ne arrivarono altri 1200 con quattro canoni da batteria, facendo campo nel Borgo, la sera partirono per Imola. Quando questa truppa giunse in Castello era il paese sfornito di tutto, andò tosto alla Municipalità facendo alto, minacciando sacheggi, aresti e massacri. Furono quietati con pane di familie e con vino come si potette.
Notasi quivi che essendo fugito nella Toscana il citt. Antonio Bertuzzi, che sotto il governo austriaco copriva la carica di comandante nazionale, il di lui fratello Giuseppe spogliò la casa di tutto ed assicurolla in Bologna dalla prepotenza de patriotti nazionali e fece bene, poiché costoro, accaniti contro il med. e forse anco solecitati da suoi aversari Lolli ed Antonio Giorgi notaio, se ne impossessarono della med. e vi posero il quartiere della truppa mobile cisalpina. E’ questa casa posta nella via maggiore del Castello presso la canonica.
Non contenti di ciò ogni mattina li patriotti si univano in Club, poi entrando in quella e sortendo facevano a voce alta questi scherni: “illustrissimo sig. Antonio, Comandante, siete in casa ? Posso servirvi ?? all’Ordine, all’ordine”. Con altri motteggi e scherni che provocavano anco il contegno delli paesani adunati. Autori di queste impertinenze furono li fratelli Luigi e Giuseppe Vergoni ancor essi con altri del loro partito.
Le rubberie che poi si comettono da francesi e cisalpini sono infinite, li poveri villani non si possono salvare. La pace infrattanto si tratta, ma invano essendovi frodi in ogni loco. Abbisogna la truppa di danaro. Fu proclamato che si dovevano pagare 12 millioni di lire milanesi per tutto il dì 11 novembre. Per effettuare ciò si sarebbe venduto il rimanente de fondi ecclesiatici, col distruggere sucessivamente le corporazioni relligiose forzando li commercianti e facoltosi a farne li aquisti mediante sborso di danari, robba, grani, vini , legna ed altro.
Intanto la città di Bologna penuria di grani e solo per questo mese vi è la provisione, onde si teme di una rivolta nel popolo. Li latrocinii furono incalcolabili che si commettono dalli patriotti e dalle truppe.
Adi 7 ottobre venerdì vennero di Bologna 600 francesi parte a cavallo e parte pedoni, li cavalli andarono nella Romagna e quivi restarono solo 300 fanti, de quali ne partirono la notte seguente per Conselice 150. La mattina delli 8 andante, temendosi qualche sommossa nelle picole terre malcontente, fu guarnita Dozza dalla Guardia nazionale di Castel S. Pietro e vi fu spedito Antonio Sarti con sedici fucilieri in guarnigione tutti paesani.
L’ufficialità francese che era qui venuta, fu distribuita nelle case del paese, furono messi in requisizione 150 letti, forniti di 300 lenzuoli, coperte, panni e materazzi. Bologna sempre più esclama pei viveri. La truppa che soggiornava de francesi in questo Castello essendo sfornita delli necessari utensili da tavola e foco, il pressidente dott. Angiolo Lolli ordinò una requisizione alli paesani per le posate da tavola, calderine ed altri rami.
Questo cane in figura umana per vieppiù tiraneggiare il paese, mandò la guardia francese alle case ed alle famiglie che erano rinuenti dare la loro robba a gente sconosciuta e rapace. Fra le altre familie maltrattate fu quella del cittad. Antonio Bertuzzi, la quale fu consegnata alla discrezione del capo guardia de francesi onde fu maltrattata ne mobili ed in tutto altro che le parve.
Adi 8 d. mercoldì, Stefano Grandi segretario della Municipalità, fu destituito dalla sua carica stante le sue ribalderie non essendosi potuto ritrovare né capo né fine nel suo rendiconto a Bologna. Nel di lui impiego fu sostituito dal not. Antonio Giorgi fanatico patriotta e di testa guasta, ed ecco un error peior priore, ed al med. fu attribuita anco la polizia punitiva. Dispiaque ciò alla populazione per ciò trattasi di un uomo capace di qualunque sceleratezza, avendone date bastanti prove.
Non essendosi potuto avere quivi il N. completo delle 150 coperte per li letti alli francesi furono trasmesse da Bologna.
Adi 11 d. ritornarono di Romagna due battaglioni di francesi et andarono a Bologna in guarnigione, temendosi di una rivolta per la penuria di viveri. La notte seguente vennero dietro alli sudd. battaglioni N. 80 cavalli e la domenica seguente 12 ottobre partirono per Pianoro, onde inseguire li austriaci che erano al confine della Toscana co’ loro aderenti, ed andarono fino a Piancaldoli ove era il nostro cittad. Antonio Bertuzzi del partito imperiale, in qualità di capitano ma furono respinti.
14 d. martedì li francesi si erano inoltrati fino sotto la porta di Firenze. Li 18 d. giorno di S. Luca in sabato alle ore 16 italiane trovandosi in casa del citt. Lorenzo Trochi in via di Saragozza di sopra per li patimenti sofferti, un ufficiale francese quivi disperatamente si uccise da se in questo modo. Prese il suo fucile carico, si pose a sedere sopra una carega, montato il fucile se lo rivolse colla bocca sotto il di lui capo poi colli piedi addattandosi lo scatarello, diede una compressione al med. in modo che andò l’archibugiata e franse tutto il capo. Il motivo fu la disperazione per essere da lungo tempo mancante della paga militare e del disaggio di malattia.
Il giorno seguente 19 d. in domenica la sera su la 13 italiana la civica guardia di questo Castello adunata in N. di 31 fece la funzione della di lui sepoltura in questo modo:
portossi a casa del morto a tamburo battente coperto a lutto, vi seguirono li 31 fucilieri col fucile rivolto a terra, vi seguì la ufficialità locale, indi il clero laicale, il cadavere chiuso in cassa coperta di nero vi stava sopra il di lui capello e spada, vi seguì la municipalità. Vi furono molti lumi, giunto alla chiesa non entrò, ma portato nel cemetero vicino quivi tutti li fucilieri spararono il loro fucile all’aria, ma però sopra la testa a due a due. Terminata questa funzione fu tosto sepolto dopo questo rito. Aveva nome Angiolo Salviga francese.
L’andata della Municipalità ordinata dal d. Lolli dispiaque a tutti li cattolici del paese, venendo riprovata la sepoltura in loco sacrato e condannato l’arciprete come insubordinato ai S. Canoni che proibiscono la sepoltura eclesistica a quelli che comettono suicidio, ma l’arciprete per essere patriotto, non si curò punto delle leggi eclesiastiche ed attese piuttosto al repubblicanismo
21 d. vennero di Bologna mille pedoni francesi et andarono in Romagna, Contemporaneamente furono messe fuori dalla Municipalità requisizioni di fieni per tutto il distretto di Castel S. Pietro, furono messi in requisizione formentoni diretti alli mercanti intervenienti in questo loco, che a vista fu da loro magazeni trasportato nel locale destinato.
Capi di quest’affare furono Giuseppe Parazza campanaro della parochiale detto Squizzino, Camillo Bertuzzi e Lorenzo Alvisi, li quali incontrarono durezze da quelli di Castel Bolognese, perché non le davano danaro, ma carta, molto più per che dicevano li d. tre delegati che il formentone doveva servire per biada alla cavaleria francese, quandochè niun cavallo si vedeva né si sentiva venuta di cavaleria. Ne seguì indi rumore con quelli, capo de quali fu Marc’Antonio Contoli di Castel Bolognese.
Li grani in questo tempo vagliono scudi sei e mezo la corba, il formentone l. 4 e soldi 45 e si per anco al principio della messe.
Li francesi che erano andati alla volta del fiorentino dalla parte del Santerno tenendo la via di Fontana, Borgo di Tossignano e Casalfiumanese saccheggiarono tutti li poveri contadini di quei quartieri per la vittuaria.
Il vino si vende dieci bajochi il boccale ed è debole e novo. La farina grano si vende quattro bajocchi e mezo la libra e quella di formentone soldi 3 ½ la libra cosa mai più sentita. Le castagne cotte un quattrinello l’una e così di mano in mano vendendosi le noci colla guscia a libra non potendosi scoprire se bone o guaste.
Adi 24 d venerdì la Municipalità con atto arbitrario mandò la guardia nazionale alle case de paesani ove erano comprate le robbe del saccheggio e le fece restituire a propietari senza rifonderne la spesa della compra. Molti si amareggiarono e fu fatto ricorso al Comissario del potere esecutivo per averne providenza.
Nello stesso tempo Antonio Sarti capo di questa guardia portatosi alla casa di Gioachino Badiali, capo delli insorgenti, per ricuperare alcune sue robbe, fu sorpreso improvisamente dal d. Badiali nascosto in casa quale, dal nascondilio uscito, avvilichiatolo colle braccia, seguì fra loro non poco dibbatimento, alfine discioltosi il Sarti diede una fucilata al Badiali, che andò in fallo.
La familia di Giacomo Cenni lavoratore al fondo Maranina. che finora era stato in carcere a Bologna a motivo della aggressione della quale si scrisse in addietro, fu liberato come inocente dalle accuse.
26 d. giorno di domenica il doppo pranzo Ciriaco Bertuzzi armato cominciò a caminare per il paese e dove trovava due o al più tre persone unite, li minacciava di morte come aristocratici. Assalì Domenico Busi servente delli Graffi e Savini perché era accompagnato con Tomaso Sandrini e minacciolli di torle la vita, così fece alla speciaria di Giuseppe Sarti, lo stesso a Domenico Alvisi, che lo fece fuggire in casa. Similmente a Giuseppe Nepoti, a Pietro Nepoti, Gaetano Giordani ed altri che passeggiavano, a Luigi Farnè nel Borgo ed a tanti altri che la facenda cominciava a declinare in tumulto per questo terorista.
La mattina seguente del lunedì 22 ottobre il curiale Sebastiano Lugatti rimpatriato fu assalito da Ubaldo Tomba detto Stanghetto con altri minacciandolo di bastonate se avesse girato fuori di casa. Nel pubblico mercato del Borgo naquero altri simili casi, onde il paese era scomposto. Si riccorre a Bologna, ma non si fa giustizia.
Nello stesso giorno vennero di Romagna due battaglioni francesi et andarono a Bologna ed indi al ferrarese.
Adi 28 d., festa di S. Simone, il Governo di Bologna avendo giorni sono spedito a questa parte alcuni esecutori per sequestrare li morosi che non avevano pagate le tasse esorbitanti sopra li terreni ed avendo fatto esecuzioni nelle vicine colline e montagne coll’asportare seco danari e robbe consegnate al massaro di Castel S. Pietro Paolo Vanini, in compagnia del quale vi erano andati seco Ciriaco Bertuzzi con Filippo Muzzi detto Tarmone, furono questi fermati da sette insorgenti nel nostro comune in loco detto Alborro, ove era l’antico castello detto dai latini Alborium.
Capo di tali insorgenti era Giuseppe filio di Innocenzo Adversi villano lavoratore nel vicino loco detto il Poggio. Furono perciò disarmati li d. Bertuzzi e Tarmone e svalligiati.
Li compagni dell’Adversi insorgenti furono tutti pezzi di carne cattiva che malamente andarono a finire cioè Brusa da Imola con Monduzzo, Luigi Rivalta di Dozza detto Roina e Pandolfi suo conpatriotta dozzese.
Venuto l’avviso a Castel S. Pietro su le ore 17 italiane, si armò la guardia nazionale e sotto la condotta di Antonio Sarti capo comandante andò con 18 civici ad Alborro per arestare li aggressori, ma indarno poiché li sette insorgenti facendo foco nel vicino fondo del Poggio, luogo eminente, le riescì fuggire e solo doppo 4 ore di combattimento riescì alla guardia impadronirsi di quella situazione, ove imprigionati tutti li bestiami bovini col socio del luogo e condotti al Castello con le supeletili, majali e due sacchi di formentone.
Li 29 d. si pubblicò una legge di Milano di dovere improntarsi tostamente per la guerra sei milioni di lire milanesi da pagarsi alla truppa francese, tali danari furono addossati ai commercianti. Al Cantone di Castel S. Pietro o sia Distretto che chimavasi Podestaria, furono addossati lire seimilla di Bologna. L’elenco de tassati fu fatto dalla Municipalità e conseguentemente spedito a Bologna.
Novembre adi 8. la notte del sabbato venendo alla domenica fu arestato da francesi il medico condotto di questo loco Dott. Luigi Rossi perché aveva fatto dare a campana e martello contro li francesi quando egli era a S. Agata medico col padre e faceva la funzione di pressidente municipale. Su le ore 7 della stessa notte vennero ufficiali cisalpini, doppo due ore di riposo andarono nella Romagna.
In Bologna fu dimessa la Deputazione amministrativa e venne un commissario di Milano di cognome Pelosi uomo severo. Il motivo della dimissione fu perché non si volle da quella prestarsi a determinare né imporre una contribuzione sopra li comercianti imposta dalla Legge di Milano per un milione di lire milanesi mensilmente addossato al Dipartimento del Reno e perché avevano messe le mani alcuni della Deputazione nella cassa delle finanze di Bologna coll’avere dato 64 mila lire bolognesi ad un francese, che le volle a forza e furono in oltre condannati quelli al reintegro dello smanco nella cassa.
Furono destituiti ancora altri bolognesi dalle loro cariche ed altri rinonciarono, fra quali vi fu Carlo Savini che rinonciò, onde sdegnato Pelosi li intimò una multa di mille scudi se fra 24 ore non si rimetteva. Si diffese il Savini bravamente la sua rinoncia e pagò nulla.
17 novembre lunedì sull’ora di notte arrivarono due brigate francesi con 114 ufficiali e scomposero tutti li abitanti del paese poiché vollero entrare ed albergare nelle case loro. La mattina seguente partirono per Bologna alle ore 13 italiane e si diressero a Casalmaggiore verso Cremona ove li tedeschi volevano passare il Po, nello stesso giorno ne vennero altri di Romagna e passarono a Bologna.
Perché poi nella presente crisi era stato carcerato in Bologna Luigi Masi detto Sbargnocola, a motivo di essere partitante tedesco e marcato per insorgente, al quale vi si faceva un rigoroso processo di ribelle.
Avendo io rogato come notaio attestati in di lui difesa, il presidente Lolli mi chiamò all’ufficio e minacciommi di arresto se già rogavo simili documenti come fautore ad un nemico repubblicano. Dopo averlo avertito che niuna legge ha mai vietato le difesse ai rei, per barbara che fosse la legge, le soggiunsi che veduta questa legge avrei desistito di operare in simili cause. Se però qual pressidente esso Lolli richiedeva da me che per favore mi astenessi, allora mi saria prestato alle sue intenzioni, non mai per obbligo, mentre le L. L. delle genti e della natura in questo proposito favoriscono sempre li miserabili e niuno si condanna senza diffesa.
Adi 27 novembre giovedì la Municipalità di Castel S. Pietro, composta dal dott. Angiolo Lolli, Francesco Farnè aggiunto, Antonio Giorgi segretario unitamente con Stefano Grandi speciale, capo battaglione e le guardie forensi di questo capoluogo, andarono a Dozza a fare il rendiconto a quella comunità per li pagamenti di danari della massaria e formentaria di quel paese. Trovarono ivi molti assurdi e disordini, ladronecci e birbate fatte da quei rappresentanti. Riscontrò per la formentaria, che oltre avere contributtati tutti li possidenti di certa quantità di grano di un sessanta per cento sul grano raccolto, dopo averne avuta le denunzie, avevano fatto uno smanco notabile senza pagare li contributati, ed in altro aveva comprato altro grano ad alto prezzo, e quel che era peggio averlo spianato più di quel che si doveva, in modo che, creato un debito notabile, lo avevano addossato ai possidenti.
Doppo essere scoperto ciò, si scoperse ancora essere stati esentati alcuni possidenti dal contributo sud. ed erano questi stati li stessi rappresentanti che per essi loro si erano fatti immuni dal contributo ed ancora esentati dalle tasse catastali e segnatamente erano li capi Nerozzi di quel paese, li quali di 18 fondi rurali coi terreni di bona qualità e che fruttavano assai bene, non pagavano per tassa catastale, che solo ventitre scudi romani all’anno , essendo che ne avrebbero dovuti pagare per lo meno l. 60 onde fu decretato che si dovesse fare un riparto novo per l’avvenire.
Fecero poi ivi li nostri municipalisti una lautissima cena e dappoi levarono tutti li danari da quella cassa e se li portarono a Castel S. Pietro.
Scarseggiando la città di Bologna a viveri, avendo comprato a Forlì quantità di grani al N. 2 mila corbe grano ed esendo quella populazione in fermento per vedersi sprovedere di grano, Bologna vi mandò 60 cavalli e 200 pedoni con un canone ed obice quale stette quivi fino li 29 corrente entro il Castello poi partirono il dì seguente su le ore 10 italiane di notte.
Sucessivamente arrivò uno staccamento di francesi sull’aurora, scortato dall’exnobile Marchese Astorre Ercolani a cavallo con 40 cavalli bolognesi e 200 pedoni nazionali, gente tutta colletizia di statura diseguale e brutta. La cavallaria era soffribile, aveva due trombetti, vestita di la truppa tutta di color verde scuro, la fantaria non aveva grande uniforme, poiché pochi erano quelli che tenevano la marsina. Arrivarono a Imola su le ore 12. Vi tennero dietro N. 12 della guardia di Castel S. Pietro de più sfacciati e coraggiosi, le cui familie furono Oppi detto Barone, Sebastiano Capelleti, Ubaldo e fratelli Tomba detto Stanghetto, che lungo saria addividuarli tutti.
30 novembre domenica sera presso il torrente Selustra della vicina Romagna, nella via sopra strada romana che porta a Dozza, il medico dott. Luigi Olivieri, le fu segata la gola e poi piantato il coltello in asta sopra il capo che lo lasciò spento su la via alle ore 23 circa. Questi aveva molti nemici in quel paesetto per essere stato egli patriotta fanatico, contrario alli insorgenti suoi concitadini ed inconoclastico famoso.
La mattina seguente del lunedì il formentone si vendette scudi sei la corba. La miseria cresce ed in ogni dove manca il vivere.
La sud. truppa bolognese col loro nobile, che erano andati a Forlì per condurre grano e formentone a Bologna, non potendo far frutto per la negativa di quelli non che delli imolesi ed altri romagnoli, che erano tutti alarmati, mandarono a chiedere rinforzo di persone al nostro Castello dove erano cinquanta soldati francesi, li quali tosto partirono per la Romagna con animo di battersi co’ forlivesi ed altri che li avessero fatto ostacolo, mentre che tutta la Romagna e perfino li contrabandieri di Castel Bolognese parlavano male de bolognesi.
Ma perché il sudetto rinforzo non era sufficiente contro li amutinati, su le ore 22 della stessa sera vennero 200 cisalpini e la mattina seguente del martedì su le ore 14 italiane partirono per Imola. Furono questi alloggiati prima nelle nostre case e conventi, dove furono obbligati darli letti, lumi. foco e ciò che loro era in bisogno. Li paesani la sentirono male moltopiù che la legna destinata alla truppa si consumava nella ressidenza municipale ed in casa del dottor Lolli pressidente e di Antonio Giorgi segretario.
Per quante diligenze si facciano onde scoprire l’omicida del dott. Olivieri sono tutte vane e quello che è più da amirare che il fatto accadde in giorno chiaro, di festivo, poco distante il loco del Piratello ove si era data la benedizione del SS.mo e dove pasava gente di continuo. Ciò si attribuisce al volere di Dio, pochè il d. Olivieri nulla approvava le imagini né li santuari, imperciocchè tre anni sono, quando fu sospeso il culto alle Imagini, egli fu il primo in Dozza che levò là una Imagine di M. SS. che era nella strada pubblica conducente dal castello di Dozza alla via romana, poco distante fuori della porta di sotto e cavolla dal suo sito, ove riceveva tallora da viandanti e molto culto da vicini villani, e l’aveva nascosta per defraudarli del dovuto onore.
Per la qual cosa avendo li insorgenti di quel Casteletto e del vicino Monte Catone presa la terra, fu quell’infelice assediato in casa e presa ed il primo saluto che ebbe da quei sollevati tutti armati si fu che le fecero ritrovare a forza di pugni e calci ritrovare la imagine nascosta e dappoi la fecero portare al med. per tutto il Castello di Dozza in mano come un ostensorio processionalmente, dandole di quanto in quanto calci e doppie guanciate fra urli e schiamazzi, così che credendosi condotto a morire gridava misericordia e li insorgenti di quando in quando ove incontravano persone gliela facevano bacciare, aggiungendole contumelie, sarcassoni e percosse. Finalmente fu accompagnato in questa guisa con una scala di legno al loco della S. Imagine, ove credendo essere ivi appicato con capestro col quale veniva legato al collo con suo gran rossore, fra fischiate e urlate fu fatto ascendere la scala e riporre colle proprie mani la Imagine nel suo primiero loco. Ciò fatto sempre col capestro al collo fu ritornato entro Dozza e avvanti tutte le S. Imagini di M. e de santi lo facevano genuflettere. La situazione della Imagine di terra cotta, meza majolica era alla sponda della strada del calanco alla destra, scendendo da Dozza, che imediatamente porta alla via romana contro la Ca’ del Vento ove appunto fu scannato.
Da qui seguì il fatto di levare quella B. V. dal suo posto. Mai più la famiglia di quel miscredente godette pace et andò dispersa. Il di lui primogenito assoldato fra cisalpini nelle battaglie seguite fra li cisalpini e tedeschi e francesi fra Mantova e Cremona restò sul campo, li altri suoi figli andarono dispersi per il mondo. Ecco la fine di chi poco onora e vilipende le Imagini di Dio, suoi santi e massime della di lui SS. Madre, porta del paradiso, per cui ne è venuta la salute a tutto il genere umano.
Adi 4 decembre, in virtù della legge fatta di dovere riscuotere da tutti li comercianti indistintamente un tassativo proporzionato al loro comercio per il quale Castel S. Pietro e suo distretto venne tassato per lire seimilla, si cominciarono a dispensare le cedole di tasse fatte dalla Municipalità fantasticamente ed idealmente, onde perfino li bancaroli furono tassati. Si sentì perciò un non piccolo esclamo nel basso popolo, massime nelle presenti miserie di vitto.
Francesco di Pietro Conti fu deputato per riscuotitore, ma abbandonò fra pochi giorni l’impegno per le grandi lagnanze e lamenti non solo de tassati ma anco di altre familie gravate .
All’oggetto poi di rimpiazzare la cavalleria francese che trovavasi nel bresciano, ove si erano battuti li tedeschi e francesi, fu pubblicato un rigoroso proclama del generale Brun francese per una requisizione di cavalli forniti di tutto, per il pagamento de quali fu ripartito il prezzo alle Comunità distrettuali del territorio bolognese. A Castel S. Pietro ne occorono cinque, per lo che si spedirono imediatamente fuori le cedole di prestito e sovenzioni pecuniarie. A me ne toccò una di lire cento da pagarsi entro 24 ore. All’arciprete Calistri una di l. 150, alle sorelle Giuditta e Giacoma Castellari detta la Pritina una di l. 100, a D. Sebastiano Dall’ossa altra per l. 50, a D. Luigi e fratelli Sarti per altrei l. 50. a camillo Beruzi per l. 100 ed a tanti altri del paese fino all’importo di l. 4mila bolognesi. fu perciò non poco rumore non solo per il contante quanto per la tassa fatta a talento del dott. Lolli pressidente. Quelli che più la sentirono furono Antonio Tomba per l. 120, Lodovico Oppi per l. 350, Pascale Tomba per l. 100 e molti altri quali per un agravio sproporzionato alla possibilità loro hanno disestato il loro picolo asse.
In seguito il giorno 6 decembre si fecero le riviste de cavalli requisiti nel prato dell’exconte Stella, eredi Riguzzi in questo nostro Borgo lungo la via che porta al canale del molino. Ne furono scartati molti de cavalli quivi condotti ancorchè buoni, poiché lo stimatore de medesimi ricevette un paraguanto da proprietari.
Adi 8 decembre li cispadani che erano andati in Romagna per condurre li grani da Forlì a Bologna ritornarono questa mattina ed andarono a Bologna senza avere potuto fare frutto, e come dicesi colle trombe in sacco, poiché li forlivesi li contesero bravamente l’ingresso nella loro città, mentre l’avvanguardia che si presentò alla porta fu sul momento salutata con archibugiate da forlivesi e ne restarono 4 morti e molti feriti, per la qual cosa il corpo maggiore che era in Faenza con altri soldati nazionali bolognesi non si arrischiarono e molti disertarono in modo che rimase quasi disfatta la truppa. D’onde poi molti de disertori al N. di 51 furono arrestati condotti a Bologna.
Il comandante Ercolani che aveva veduto la mala parte de suoi soldati, la notte antecedente se ne ritornò al bujo a Bologna colli suoi canoni e fu per ciò deriso. Per questo fatto le altre città di Romagna incorragite per non spropriarsi di vittovalie presero l’armi. In Faenza il Comissario di Polizia avendo inteso di procedere contro li alarmati, fu uciso di giorno in quella piazza. Cesena, Rimini, Pesaro non lasciarono sortire di città cosa alcuna per che ancor esse città penuriavano.
In Castel S. Pietro la farina di formentone in questo tempo si vende soldi cinque la libra e non se ne ritrova, il pane si vende, per oncie sette di peso, soldi quattro. La povertà si ciba di ghiande bollite. Li morti di disaggio crescono alla giornata. Le pioggie sono spesso. Li fiumi, torenti e condotti nelle escrescenze daneggiano li vicinati. La chiusa del Silaro, divenuta guasta dalla corente, non lascia macinare. In queste angustie generali altro ristoro non si ha che si è posta regola ai molinari nelle scopule ai generi che si portavano per la molitura, onde il Governo invece della scopulatira ordinò che per ogni corba grano si pagasse macinato un paolo e quanto alli altri generi sei bajocchi per corba. Questa tassa essendo stata promulgata nel dì 29 agosto e reiterata nel dì 5 settembre anno presente non fu messa in esecuzione se non nel presente mese di decembre.
In questo giorno 8 decembre essendosi avvanzata una avvanguardia di ungaresi e tedeschi fino a Faenza, li patriotti ed altri aderenti sospetti fuggirono dalla Romagna a Bologna. Il passaggio alle carozze ed altri legni da tiro e porto era così spesso e frequente che le locande de paesi, ancorche picoli non potevano albergare li fuggitivi e si durò fino a meza notte.
Il dì seguente 9 decembre martedì uno stacamento di ungaresi di cavallaria arrivò a Imola, si fecero chiudere le porte alla città, venero fino al Corechio su la strada romana di qua della città, per inoltrarsi nel bolognese. Questi fermarono tutti li formentoni e granalie che venivano alla volta della confina nostra. Furono perciò fermati 42 carichi e fatti prigioni colli cavalli e carette e furono condotti alla Massa ed a Lugo.
Per tali novità si spaventarono molti paesani di Castel S. Pietro in modo che fugì tutta la Municipalità colla guardia nazionale a Bologna. Fuggì pure lo stacamento della guardia mobile, che aveva il suo quartiere in questo Borgo nell’ospitale de Pellegrini ed il paese rimase sprovisto delle autorità tutte a riserva del Giudicante dott. Francesco Cavazza mio filio.
Li (…) della formentaria ed impanizazione del paese fuggirono pure e portarono seco alla volta di Bologna 500 corbe di grano, cosichè il paese rimase quasi che abbandonato di viveri. Si chiuse la ressidenza pubblica e molti altri accidenti acorsero che l’enarrarsi saria essere truppo prolisso e di poca rillevanza.
Morì come si scrisse un officiale francese in casa del cittad. Lorenzo Trochi che da se si uccise il di cui nome era Edoardo Brines di patria di Lione in Francia e come per la di lui morte non meritava il sepolcro eclesiastico e nemeno sufragato essendo perduta l’anima, la notte seguente si cominciò a sentire stepito in quella casa e stanza dove seguì il suicidio. Si sentiva aprire la porta e la finestra e tremare tutta quella parte di quartiere.
Fu fatto il riferto e divulgossi la facenda, alcuni però non la volevano credere, accadde perciò che, essendo in oggi venuto quivi uno staccamento della colonna mobile militare di Bologna, furono allogiati alcuni in quella stanza nostri bolognesi, cioè Prospero Lambertini e Luigi Mazzoni, giovani coraggiosi quali presentita la cosa si chiusero molto bene in quella, dicendo non essere possibile che lo spirito di un trapassato potesse fare tutto quello che si raccontava, quando ecco fra non molto fu spalancata la porta della stanza, levato il cattenaccio interno, rotta la legatura con grande strepito ed aperta pure impetuosamente la finestra che guardava la strada, ebbero a morire di spavento e perciò fuggirono non solo dalla stanza senza armi, ma ancora dalla casa.
A tale racconto niuno ardiva più stare in d. casa. Il vicinato stesso abitava di malavoglia in appresso, poiché lo strepito di catene rissonava in ogni canto. Fu fatta benedire la casa, ma Dio fino ad ora non ascoltava. Finalmente doppo alquanti giorni intervenuto il bon sacerdote D. Luca Bartolotti, che morì quivi in aspetto di santità, missionario apostolico sepolto nella parochiale, con frequenti esorcismi quietò quell’inferno domestico.
Adì 10 decembre su le ore 16 italiane arrivarono di Romagna N. otto Corazze tedesche ed andate alla casa municipale cercarono la rappresentanza fuggita. Quella poca guardia nazionale che era tutta di villani ivi provisoriamente intervenuta, abbassate le armi, non fu molestata ma solo licenziata. Le d. Corazze andarono all’arbore e lo gettarono a terra, erano accompagnati dalli seguenti paesani di Castello e Borgo cioè Gioachino Badiali e Luigi Fabbri capi popolo. Atterrato l’arbore partirono, lacerate le stampe che trovarono di leggi repubblicane minacciarono l’incendio, ma pregato sospesero il foco, sparsero voce che era imminente la truppa del comandante Maijr tedesco, si intese perfino che Bologna era bloccata e solo quattro porte davano l’ingresso nella città, quale era sconsigliata. Le porte furono strada Maggiore, S. Felice, Galliera e strada S. Stefano. Li carcerati tutti di quella furono condotti a Milano, fra quali il povero dott. Luigi Rossi già nostro medico condotto e Luigi Musi indicato, vi andarono due preti di Medicina fra quali l’arciprete e D. Spiridione …… con altri di Romagna. Li nostri paesani che fugirono jeri furono questi: di Municipalità dott. Angiolo Lolli presidente, Francesco Farnè e Luigi Cardinali aggiunti col segretario Antonio Giorgi, Stefano grandi comandante della truppa. Patriotti militari: Giovanni Inviti, Filippo, Giovanni e Luigi fratelli Muzzi, Ciriaco Bertuzzi, Camillo, Ladislao e Gaetano fratelli Ronchi, Sebastiano Capelletti, Giuseppe e Luigi fratelli Vergoni e molti altri fino al N. di 42.
In Bologna essendosi fatti molti ostaggi in N. di 20 maggior parte nobili, furono condotti a Modena. Fu fortunata la partenza de patriotti di Castel S. Pietro per li altri boni cittadini imperciochè si scoperse che per manovara del dott. Lolli presidente dovevano arestarsi quivi e tenersi per ostaggi 30 paesani dei più probi, fra quali erano questi: D. Luigi frate col fratello Giuseppe Sarti, D. Luigi Facendi, D. Sebastiano Dall’Ossa. P. Angiolo da Castel S. Pietro della familia Cavalli, vicario di questi P.P. Cappucini locali. P. Luigi Perdieri M.M. O.O. dipendente nel convento di S. Francesco e me Ercole Cavazza col dott. Francesco mio figlio, Nicola. Antonio e Ignazio Farnè, Luigi Farnè detto Bevilaqua, Gian Francesco Andrini, Gaetano ed Emidio Giorgi, Giulio Viscardi, Vinvenzo Violetti, Givanni Landi, Giuseppe Nepoti, Carlo Conti, Francesco Giordani ed altri. Nella Partenza del dott. Lolli pressidente, esso portossi via tutte le carte di Municipalità dall’archivio coll’ajuto di Lorenzo Alvisi usciere.
Adi 11 decembre 1800 su le 22 ore italiane arrivarono di Romagna settanta cavalli ungheresi condotti dal capitano Lituarez ungaro, quale si fermò alla locanda del Portone ed alloggiò ivi li suoi cavalli, dappoi ricercò della Municipalità quale, sentendo che era fuggita ricercò delli ultimi rappresentanti, ma questi non trovandosi, chiamò l’unica autorità domiciliata rimasta in paese e fu il dott. Francesco Cavazza mio filio. Intervenuto dal med. le ordinò in nome del Barone Scustech generale maggiore della piazza di Ferrara di ripristinare la Regenza cessata colla installazione de seguenti sogetti cioè Giovanni Landi Consolo, Antonio Magnani, Paolo Farnè, Lorenzo Trochi, Sebastiano Lugatti, Giuseppe Sarti e Gio. Francesco Andrini, così che la mattina seguente venerdì 12 corente furono intimati e si raddunarono nella pubblica ressidenza ove fu loro ordinato di mettere tosto in attività la Guardia urbana per il bon ordine.
Imposto altresì di atterrare tutti li emblemi e stemi repubblicani tanto in Castello che suo distretto, sostituendole lo stema imperiale. Ordinò ancora che trovandosi nel Castello e distretto robbe ed effetti pertinenti alla Repubblica francese e cisalpina si dovessero da regenti porre sotto sequestro e di ciò darne avviso al medesimo Lituarez. Infine commise alli Regenti la vigilanza ed impegno per la pubblica quiete ed arrestare li perturbatori e che si dovesse dipendere dalla regenza d’Imola fintanto che Bologna fosse in mano delli imperiali.
Pressentitosi dalli patriotti di Castel S. Pietro ritirati in Bologna che la truppa tedesca era in questo loco, si fortificarono al Ponte vechio di Savena vechia. Direttore della fortificazione esterna fu Antonio Sarti ajutante della guardia nazionale di Castel S. Pietro. Egli di prima vista barricò con arbori ed altri materiali le bocche delle strade alla testa del ponte dalla parte di sera, fece tagliare le strade, fermò il suo quartiere nella vicina caserma. Indi fece sapere a questi paesani che erano rimasti in patria che fra pochi giorni sarìa rimpatriato. Intanto che si facevano queste cose fuori della città, da quella non si rischiava sortire alcuno. Da quest’altro canto si erano avvanzati li tedeschi fino alla Claterna ed essi pure non lasciavano passare alcuno alla città.
Aflitta la populazione da questi movimenti, non cessava la carestia di viveri al segno che le castagne se ne vendevano due al quattrino e i miserabili raccoglievano le guscie de maroni bolliti detti volgarmente ballosi e li succhiavano per sostenersi in vita, raccoglievano le granelle dei formentoni e legumi smariti e li divoravano. La pioggia poi che continuava non lascia caminare alcuno ne fare le occorenti facende, tutto è miseria.
Adi 14 d. le avvanguardie tedesche si avvanzano verso Bologna fino a Savena vecchia. Li cisalpini colli patriotti assalirono la Molinella dove erano imperiali, ma furono repinti. Dalla parte di Toscana calarono 200 cavalli tedeschi e cacciarono da Pianoro li patriotti. A Cento seguì una baruffa fra cisalpini, patriotti e tedeschi, rimasero li primi socombenti e ne furono imprigionati 70. Dalla parte di strada Maggiore di Bologna sortirono alquanti patriotti co’ cisalpini e scorsero fino a Savena, ma furono respinti.
La città penuria di viveri e la farina formentone si vende ivi soldi sei la libra. Nel nostro Castello dopo l’arrivo de tedeschi e calata e si vende solo soldi 4 e quatrini 2. Manca però il grano a cagione che la nostra Municipalità ne trasportò la sudd. corbe 500 alla Cassa del danaro, non però la truppa né li paesani disagiano perché siamo soggetti ad Imola di dove vengono granelli, pane ed erbaggi.
Adì 14 d. giorno di lunedì si fece poco mercato per essere chiuse le comunicazione tutte da tedeschi fino fra li territoriali e solo abbiamo il comercio con Imola. Il formentone è calato di prezzo e ridotto a l. 30 la corba dove ne faceva 35. Li mercanti bolognesi non possono penetrare né altri compratori.
Da che sono partiti li patriotti e francesi e qui governano li tedeschi non si sente alcun minimo furto e tutto è in quiete. Questa sera sono arrivati 300 croatti da Imola. Niuno intende come si accostino a Bologna con poco numero di gente li tedeschi ed a pezzoni e staccamenti e senza strepito di instrumenti militari e questi sono nella massima parte a cavallo.
Le familie del paese non hanno alcun incomodo né sentisi strepito. Li nostri municipalisti Lolli, Farnè, Cardinali con Antonio Giorgi segretario sono partiti di Bologna né si sa il perché. Camillo Bertuzzi, Inocenzo Bartoletti e l’usciere Lorenzo Alvisi incaminatosi verso Milano, incontrate truppe francesi e cisalpine, ritornarono addietro e furono anco posti in libertà li ostagi di Bologna ed altri luoghi.
Adì 17 decembre li tedeschi tutti avendo avuta resistenza da cisalpini e francesi arrivati dalla parte di Toscana, abbandonarono il paese nostro, che restò bersalio de fuorusciti e de nemici.
18 d. sparsa voce che retrocedevano li tedeschi e perciò venivano novamente li francesi a Bologna per modo che temendosi di ostaggi, tutti quelli che erano in timore abbandonarono questa sua patria e furono da 30 familie, ma poi assicurati, si restituirono alle case loro dì 20 detto, mentre li cisalpini si rivoltarono a Imola. Ciò non ostante il nostro Castello era senza autorità, per la qual cosa la Deputazione di Bologna appaudì la condotta del Giusdicente Cavazza per non avere abbandonato la sua ressidenza e patria di Castel S. Pietro mediante documento che trovasi in casa. Adi detto ritornati li patriotti a Castel S. Pietro divennero più insolenti e cimentanti.
A prova lo posso io esporre, mentre sulla caduta del sole andando colli miei due figlioli alla chiesa e trovandosi amutinati li d. patriotti nella publica piazza, fossimo provocati con ingiurie e contumelie gravi. Furono li capi Luigi e Giuseppe Vergoni fratelli, Ubaldo Tomba detto Stanghetto, Luigi Castellari detto Bardella, Luigi Cavina sartore e Bartolomeo Sarti, che se non si fosse usata prudenza era compromessa la vita nostra.
Adì 23 d. antivigilia di Natale martedì, attesi li ricorsi e richiami pervenuti a Bologna contro cod. dott. Lolli, pressidente, per le sue prepotenze, soverchierie, atti arbitrari e dispotismo, la Amministrazione di Bologna spedì a questo loco il cittad. Carlo Savini con ample facoltà di riparare, provedere ed oprimere ancora l’audacia de cattivi. Il med. pertanto giunto in Castello, si portò immediatamente dopo l’Ave Maria nella pubblica ressidenza municipale. Quivi spiegato il di lui caratere ed autorità amministrativa, sugellò sul momento tutte le carte del dott. Lolli che potette avere, ed il giorno seguente 24 decembre vigilia di Natale si portò in consilio novamente ove ricevette molte comparse e si portò in guisa che alcuni offesi dalli patriotti si conciliarono colli offesi. Le altre instanze furono portate a Bologna, fra le altre vi fu la seguente cioè:
Giunti a casa li d. patriotti provocarono li individui delle familie a mettersi le mani addosso coll’incominciare essi. Il primo assalito fu Camillo Tussani uomo di anni 70 con bastonate all’improvviso datale da Emidio Tomba senza provoca né di fatti né di parole. Luigi Lelli ed Emidio filio del capitano Pier Andrea Giorgi fu assalito da Luigi Castellari detto Bardella con pugni senza occasione preventiva. Anna Masi moglie di Luigi Masi detenuto con sellate di notte tempo, rompendole le seraglie delle finestre e riempiendole la casa di sassi e imondizie. D. Baldassarre Landi fu fatto fuggire e cacciato in casa a forza di pugni ed urti. Gianfranco Andrini essendo in casa propria fu assalito da Bartolomeo Sarti e Ciriaco Bertuzzi e dal sud. Tomba con armi alla mano minacciandole la morte, ma fu diffeso bravamente dal di lui nipote Gaetano Andrini giovine di spirito e capace di qualunque atto diffensivo ed offensivo. Furono pure minacciate altre persone che si trovavano fuori di casa dopo l’Avemaria. Intese tutte queste cose il Savini procurò ad alcune la conciliazione ed altre furono portate in Bologna e riconobbe quindi d’onde derivava il malore.
Prese altre providenze e fece altre cose in proposito, le quali sonosi risservate a Bologna non essendosi potute penetrare. Non di meno se ne penetrò una enorme che fu avere il Lolli ed il Giorgi segretario avere posto corbe cento di avena nei conti della Municipalità per soministrazione fatta alla truppa repubblicana per il valore di scudi duecento sessante l. 260, dove che Stefano Grandi accusatore procacciatosi attestati di Camillo Bertuzzi e Giuseppe Parazza fornitori, custodi e dispensatori delle biade e foraggi e giurarono di non avere fatta tale sovenzione e però essere la partita falsa.
Siamo alla fine dell’anno oramai e per anco non si sono fatte le autorità giudiciarie per il Dipartimento né si comprende il mistero.
Adi 25 decembre, la sera di Natale verso le ore due italiane di notte, si levò a rumore il Castello e Borgo da tutti li patriotti. Presero quindi le arme tutti quanti atteso che dicevasi venire di Romagna la truppa ungarese. Fece ciò credere perché prima delle ore due erano passate due carozze con ufficiali cisalpini tirate a quattro cavalli che andavano velocemente con altre carozze posteriore a due cavalli il di cui postiglione aveva detto che addietro nella Romagna venivano li tedeschi.
Ciò pose il paese in sommossa tale che nè li probi paesani né li patriotti sapevano a qual partito appigliarsi. Alle ore 5 poi passarono tutti li cisalpini che erano nella Romagna et andarono a Bologna. Contemporaneamente furono presentate a Bologna al Governo altre accuse controil dott. Lolli in seguito delle quali fu escluso dalla condotta medica di Castel S. Pietro e reintegrato in essa il dott. Luigi Rossi della quale ne era stato spogliato dal dott. Lolli. Ritenendo ciò non ostante il dott. Lolli la carica di pressidente, questi allo spirare dell’anno creò pubblico maestro di scuola condotto un frate MM. OO. bolognese, degente in questo convento di S. Francesco, chiamato a nome P. Christoforo Pedrini da Bologna gran patriotto, stanziato quivi giorni sono per l’espulsione sofferta da altri suoi conventi della provincia come uomo declinato e troppo fanatico per la democrazia, d’onde era anco stato sospeso a divinis per tre anni. Cominciò adunque le sue scolastiche all’entrata dell’anno novo e fu escluso D. Luigi Sarti prete assai dotto, paesano e del bon sistema amante, di probità e bona morale fornito.
Essendo poi riempiuta Imola di ausiliari, detti volgarmente insorgenti, fecero perciò novamente premure li nostri patriotti e Municipalità onde avere soccorso e si guarnisse questo loco di francesi, tanto più che Faenza era ben guarnita di austriaci ed ungaresi che stavano sulle molle e facevano scorrerie sin quivi. Non fu sordo il Governo che spedì tosto quivi li 31 decembre 150 cisalpini sotto la condotta del capitano Brasa tutti pedoni. Si fermarono poco e si inoltrarono fino ad Imola.
Così terminossi l’anno 1800.
E’da notarsi che nel giorno 2 settembre scorso naque nella Villa di S. Pietro cinque miglia distante da Roma ad un povero contadino un fanciullo che diede segni prodigiosi. Il padre era Domenico Franchini qd. Pietro e la madre del fanciullo Domina Luigi Marcheselli qd. Gaspare ambi della stessa Villa. Alle ore 22 dello stesso giorno fu portato al S. Fonte per essere ammesso alla relligione catolica. Nel mentre che il sacerdote recitava il credo ed alle dimande che faceva il padrino del neonato fanciullo rispondeva questi in vece dell’altro. Credo, Abrenuncio, Volo Amen. Giunto al S. Fonte dopo che il sacerdote ebbe infusa l’aqua nel capo del fanciullo a cui fu posto il nome di Angiolo, il medesimo bambino pronunciò queste parole: Padre nell’anno avvenire accadrà una pace e si farà abbondanza.
A tali fatti furono presenti D. Giovanni Bufetti paroco di d. Villa, padrini Giacomo Tomasetti e D. M. Cervata alevatrice, Antonietta Rossiani, assistente di Chiesa Pavolo Benvenuti. testimoni Francesco Domeneghini, Natale Canessi, Giuseppe Bonforti, Anastasio Giacomazzi, Matteo balli, Domenico Pegolani, Domenico Fachinetti e tanti altri che si legono nella relazione stampata e nelle gazette.

1801
Col nome del Signore cominciaremo la narrazione di quanto giornalmente accadrà nello pincominciamento dell’anno 1801.
Dopo essersi battuti li francesi colli imperiali nel ferarese con perdita di questi, vennero tantosto nel bolognese alquante truppe tedesche e vennero da Medicina a Castel S. Pietro cometendo mille mali nelle campagne. Adì 8 genaro Carlo qd. Lorenzo Conti finì la vita. Partirono dippoi le truppe da Castel S. Pietro ove ritornato il dott. Lolli pressidente ordinò a tutte le chiese del paese festeggiare con ringraziamento a Dio per l’ottenuta vittoria de francesi e suonarono tutte le torri, finalmente nella parochiale si cantò il Tedeum, ove intervenne il clero tutto e la Municipalità con tutto il suo ministero. Prima poi di dare la S. Benedizione col SS.mo l’arciprete Calistri raccomandò al popolo 3 pater, il primo in ringraziamento de benefici passati, il secondo per li bisogni del paese ed il terzo per la confederazione repubblicana d’onde si fece conoscere l’attacamento suo al patriottismo e fu biasimato.
Data la detta S. Benedizione seguì lo sbarro di tutta la fucilaria nazionale, indi la guardia si portò sulla piazza ed a bandiera spiegata inalberossi il novo arbore di Libertà nello stesso loco ove era stato tagiato l’altro da tedeschi a suono di trombe e tamburi. Assodato l’arbore, Luigi Cardinali detto Scagliola a piedi dell’arbore fece una allocuzione al popolo radunato, vi assistette da un canto e dall’altro il novo maestro di scuola F. Cristoforo Pedrini di Bologna, quale fu poi cacciato dal paese. Nel mentre che il d. Cardinali esponeva li sentimenti a periodo per periodo, il sud. frate spiegava all’uditorio i termini che erano difficili ed il dott. Lolli stava alla renghiera del palazzo pubblico municipale ad ascoltarlo.
Terminato questo il med. Lolli gettò dalla finestra e renghiera al popolazzo del danaro. Dappoi con cedoloni invitò ogni abitante ad illuminare le proprie finestre di lumi a spese delli med., indi nella sala municipale fece un bacanale, diede rinfreschi e ballo fino a mezzanotte dove finì tutta la festa con rumore di campane.
Adi 20 d. passarono di Bologna ad Imola due battaglioni di francesi, la maggior parte soldati e pochi cavalli, li quali passarono a Faenza e Forli per tenere in freno la insorgenza ivi nata.
Fu contemporaneamente arestato Alessandro Alcisi per insorgente e processato in questo loco dalla municipalità. Prima di partire da Bologna il comissario Pelosi milanese creò un Deputazione di tre soggetti e fu chiamata delli Appositi, con facoltà di imporre tasse per dodici milioni di lire milanesi da riscuotersi in tante quote di l. 12 mila per ciascuno coll’asegnare ai quotiziati tante azioni sopra li beni eclesiastici invenduti nel milanese. A Bologna, suo territorio e Imola, furono prescritte 128 azioni. Queste furono ripartite a capriccio alle familie credute più facoltose ed a comercianti. A me ne fu intimata una di lire dodocimilla milanesi da pagarsi in termine di 40 giorni.
La sera delli 25 genaro sud. mi fu eseguita per l’incasso, a Gio. Lodovico Oppi comerciante ne fu eseguita simile, alli fratelli Giulio e Gianfrancesco Andrini simile cedola. Le altre familie del paese andarono esenti, ancorchè facoltosissime. Alli Nerozzi di Dozza che hanno una possidenza di 22 fondi non fu nulla intimato, perché patriotti. Alli fratelli Farnè che hanno una bona possidenza di 100 corbe e più di sementazione, oltre il florido comercio e traffico, all’arciprete Calistri nulla, al dott. Gaetano Conti nulla, e così di tanti altri.
29 genaro giovedì su le 22 italiane fu arrestato il cittad. Sebastiano Lugatti in questo Borgo dalla Guardia nazionale e tradotto in quartiere. La notte tentò la fuga e le riescì, ma fu sventurato poiché andando per il Castello, la sentinella se ne accorse e cominciò a gridare : Ferma, ferma e fu arestato verso la porta superiore del Castello alle ore sette italiane di notte. La mattina seguente, per opera di Luigi Vergoni e di Luigi Castellari detto Bardella con Ubaldo Tomba detto Stanghetto, fu remesso nella segreta , prigione sospesa d’onde poi fu levato e posto in casa del custode delle carceri.
Li tre sogetti sud. avuta notizia, si portarono dal carceriere e trovato ivi il Lugatti, lo maltrattarono di pugni, guanciate, tirate di capelli e cacciato giù dalla scala e posto novamente nella d. carcere.
Li parenti del Lugatti lagnandosi giustamente col pressidente Lolli, che doveva punire li malfattori, nulla fece e prendendo l’affare con riso, non fece altro che dalla carcere fu tradotto ne Camerini del Borgo nello Spedale de Pellegrini. Prima però di ciò effettuarsi fu esaminato da Antonio Giorgi segretario, quale interogato della causa del suo arresto, rispose il Lugatti essere stata la cagione di avere fatte petizioni contro esso Giorgi e dott. Lolli. Seguirono altre interogazioni, alle quali il Lugatti rispose che le auria date in Bologna a chi spettasse. Onde la mattina delli 31 spirante genaro su le ore 20 italiane fu condotto a Bologna da due della guardia che si voleva andasse a piedi incatenato come bandito di vita, il che non fu concesso.
Febraro adì 4 e 5 passò artiliaria francese doppo essere stata riposata nella nostra riviera di dietro al convento di S. Francesco e delli palazzi Malvasia e Locatelli. Furono 12 canoni ed andavano nella Romagna per incaminarsi a Napoli. Contemporaneamente fu pubblicato un bando che in nessun pulpito si dovesse più predicare ne di alcuna persona fuori de parochi e capellani a cui fu solo concesso la spiegazione del vangelo, quando prima non si era avuta la licenza del Direttorio di Milano, onde fu non poco susuro nel popolo, che declamava contro.
Adi 8 d. giorno di domenica in Dozza la Guardia di quel paese arrestò Luigi Rivalta detto Roino, supposto reo dell’omicidio comesso nella persona del dott. Olivieri ed in altri francesi, prima però di arendersi fece alle archibugiate per tre ore contro d. Guardia di notte. Col d. Roino eravi Giuseppe Adversi del comune di Castel S. Pietro, ma questo fuggì e per altro per mancanza di munizioni le convenne arrendersi e fu perciò imprigionato e condotto al Castello il lunedì sera molto maltrattato.
Il formentone si accresce di prezzo e nel mercato d’oggi è asceso al valore di l. 6: 50 la corba. La povertà piange e la mortalità cresce. L’inverno finora è senza nevi, ma con nebbie, che producono raffredori pestilenziali in ogni familia. Li profummi di ginepro, zuccaro, palma e semole tengono le case sane. Il letto però è il miglior remedio.
In questo mezo si pressenta il Piemonte in rivolta onde li francesi collà portano le armi. L’armistizio fra li francesi ed austriaci si è protratto fino al prossimo marzo.
Nel paese ogni familia vende vino alla minuta. Li osti gridano né sono mai sazi e si lagnano a torto perché vendono il vino soldi 10 il boccale e li paesani soldi 8.
Li 14 febraro in sabbato notte alle ore sei italiane la guardia di Castel S. Pietro scortata dall’ajutante Antonio Sarti portasi nell’imolese a Turano ove erano cinque insorgenti, fra quali due imolesi bravi di sua vita, circondata quivi la casa con 14 nostri nazionali ed altri di Dozza fino al N. di 20, cominciarono a battersi. Domenico Oppi detto Barone di Castel S. Pietro per essere troppo coraggioso, riportò una ferita mortale sul petto che lo condusse al sepolcro la domenica sera in sua patria e fu sepolto in parochia a spese pubbliche
15 d. la sera della domenica alle ore 22 italiane fu da questa guardia nazionale arrestato un cappuccino da Comachio, per nome P. Faustino che stava quivi di stanza e tostamente fu condotto in Imola entro una carozza. Fu condotto a Imola per ordine di quella polizia. La cagione fu perché aveva esagerato essersi fatta la pace colle condizioni che le tre legazioni di Bologna, Ferrara, e Ravenna tornavano al Papa per impegno forte di Paolo II Imperatore della Russia e Bonaparte.
La pace veramente era seguita come si legge nella unita stampa. [A.58] Voglia Dio che duri.
Adi 16 il formentone cresce di prezzo ed ascende a scudi sette e soldi 20, dico venti la corba. Mentre la povertà si lamenta della miseria le altre familie si dolgono perché crescono le contribuzioni e tasse e mortalità che cresce e si sente nel genuesato una epidemia grande che a capo di 13 giorni moiono le persone. Il tempo si sconvolge e dona pioggia e neve.
Passano non di meno truppe francesi e vanno nella Romagna. Dietro a queste passò di Bologna alla Romagna pure un corpo di 2 mila pedoni di infanteria della Legione italiana et andò a Imola con quattro canoni e munizioni di guerra.
23 d. la infanteria del generale Munier che era nella Romagna ritornò a Bologna per ritornarsene nella Lombardia attesi li preliminari di pace coll’Imperatore d’Austria.
25 d. mercordì per guarnire Ancona, tolta al Papa senza veruna ressistenza e con stratagemi ed intelligenzadelli presidi, passarono da Bologna a questa parte indi ad Imola due milla fanti divisi in cinque battaglioni che si inoltrarono a quella volta a bandiera spiegata con due pezzi di canone a cui seguì poscia la cavallaria di 80 usseri. Imola esausta di viveri declamava fortemente, ma non era scolta.
27 d. Venerdì notte arrivò ordine di ritornarsene a Bologna, come fece la notte seguente del sabato. Intesa perciò la pace seguita fra la Francia e l’Imperatore d’Austria, nelli capitoli piu interessanti di doversi mantenere quattro repubbliche: Elvetica, che sono li Grigioni, Ligura che sono li gennesi, Baltava che sono li olandesi e finalmente la Cisalpina.
Pubblicati li capitoli sudd. nelli inserti nel presente quinterno, coll’avvertenza non saranno giammai contenuti. [A.59]
28 d. giorno di sabbato se ne ritornarono addietro le sud. truppe alla volta di Romagna ed il dì seguente primo di marzo domenica su le 22 italiane passò la cavallaria da bologna ad Imola onde li soldati tutti erano adirati per questi ordini e contrordine. Durò il passaggio fino al lunedì mattino 2 d..
La miseria di viveri è così grande che il pane si vende otto bajocchi la libra ed il formentone naturale si vende la corba scudi otto e mezo. la farina sua soldi sei per libra. Il grano scudi undici la corba e più a piacere ed è ancor cattivo.
Adi 3 marzo, martedì, vennero di Romagna 800 cavalli della divisione del generale Munier. la notte alloggiarono nel Borgo e Castello. fecero molte iniquità nelle botteghe, portarono via la robba né la volevano pagare e se parlavasi, adopravano le mani. Paolo Farnè ebbe una sciablata nel ventre e minacciavalo di morte, onde per che il soldato più non li avesse a offendere, smorzò il lume. A Francesco di Pietro Conti le portarono via due botti di vino, al sud. Farnè sei carra di grano oltre li comestibili. A Camillo Bertuzzi vino e stramme e così a tanti altri che furono danneggiati chi in un capo e chi in altro.
La mattina delli 4 d. alle ore 12 italiane andò la detta truppa a Bologna ed appena colà giunta, fu fatta ritornare a Castel S. Pietro non potendosi penetrare il mistero, pernottarono quivi e la mattina andarono a Imola.
Nella pubblicazione delli capitoli di pace fu concesso ai popoli di addottare e scieglirsi quel governo politico che loro fosse piaciuto.
Adi 5 d. giovedì vennero da Imola 2 mila fanti della divisione sudd. di Munier ed il sabato seguente 7 d. venero da Bologna 1500 cisalpini ed andarono dirittivamente ad Imola.
Le granelle non si mutano di prezzo. Il riso si vende soldi 8 la libra. Il pane soldi 8 per una libra e mezza di peso, tutta farina per che proibito il grano bianco. Li fagioli bianchi detti saponi, soldi 5 e mezzo la scudella, e quelli dell’ochio soldi sei e mezo la scudella. La povertà non puote vivere e quel che è peggio non trova da lavorare, onde per disagio molti vanno al sepolcro.
Li giorni 10, 11 e 12 passano molti francesi da Bologna ad Imola sebbene fatta la pace fra l’Impero e la Francia.
In questo giorno la Municipalità andò alla visita delle botteghe e catturò molti bottegari perché non avevano bollati li pesi e misure ed il governo non aveva mai il suo. Fu cresciuto il prezzo ai generi tutti e si sentono solo lamenti. A motivo del saccheggio passato fu arrestato Gaetano Andrini per instanza di Antonio Sarti d’ordine del pressidente Lolli.
Li 13 d. fu intimato alli terziari di S. Francesco de MM. OO. di questo loco spogliare fra 20 giorni l‘abito francescano. Nello stesso mese li 22, domenica di passione, si fece la solenne processione del Crocefisso non velato per tutto il paese dalla Compagnia del SS.mo, a cui intervennero tutte le autorità locali, colla guardia nazionale, solo la Compagnia del Rosario e ne meno l’arciprete Calistri vi intervenero. Ercole Bergami che ne era il priore, benchè invitato non volle prestarsi alla funzione, il che dispiaque alla populazione intera.
Stesso giorno delli 23 su le ore 10 italiane andò a Bologna arrestato l’arciprete Calistri ed Antonio Sarti, il motivo non seppe poiché essendo entrambi patriotti fu strozzata la giustizia e sortirono tosto fra tre giorni. Scarseggiava molto l’Ospitale delli Infermi della nazione di Castel S. Pietro onde la Municipalità deputò 4 questuanti giovanette del paese e donne maritate. Furono queste le cittad. Brigida Frabetti moglie di Carlo Bettazzoni, Lucia Inviti, Ottilia Cavazza e Rosa Giordani, fecero abbondante raccolta fino alla somma di l. 150 bolognesi, cosa mai più ottenuta per le ova e filato, alla campagna ed in Castello fu grande la sovenzione.
La Guardia nazionale del paese che si era sospesa a motivo del quartiere, in quet’oggi dovendosi riunire con muta di soldati civici, si attivò di novo e per il quartiere novo di riunione fu stabilito l’Ospitale de Pelegrini nel Borgo, onde nel giorno 26 d. si unì nella casa municipale e alle ore 23 italiane si portò al Borgo a tamburo battente. Ciò appena eseguito , tutti li villani se ne partirono ed abbandonarono il novo quartiere ove restavano li soli patriotti.
28 marzo morì Modesto Calistri fratello dell’arciprete in Bologna e lasciò vedova Mariana di Nicolò Giorgi con una bambina. Cresce la fame ed il riso si vende sette bajochi e mezo la libra, la farina di castagne soldi sei, il pane cattivo e se ne danno oncie sette per quattro bajochi. Le ova cinque bajochi la copia, la carne bovina sei bajochi.
Li 3 aprile , Venerdì Santo, venero di Bologna per la Romagna cisalpini, venne l’ordine di Bologna di spogliare tutti li terziari delle relligioni. Dietro questo ordine, ne venne un altro che tutte le chiese dovessero essere chiuse alle 23 ore italiane e terminati tutti li offici divini, sotto pena di aresto ai contraventori.
In questa contingenza, che passarono li cisalpini sotto la condotta di Monsù Francesco Venier francese di Granoble avendo bisogno di pane si fermarono alcuni al forno esercitato in Castello da Giuseppe Parazza ed aministrato per interesse pubblico da Ercole Bergami e da Domenico Grandi fattore de bernabiti a quali, chiedendosi di pane per servigio della truppa da alquanti cisalpini, le fu negata adducendo non avere tale impegno. Si adirarono li cisalpini e fecero alto, volendole far fronte il Parazzo le fu dato un colpo di sciabla nella panza ma non fu investito, li coleghi Bergami e Grandi si attaccarono ma non vedendosi troppo sicuri perché crescevano di N. li cisalpini, fu chiamata la guardia civica in ajuto, quale intervenendo vi fece argine, ma di poco giovò perché, vieppiù adirati li cisalpini, crebbe l’ardore nellea baruffa e furono feriti alcuni paesani fra quali Lorenzo Alvisi usciere della Municipalità ed altri ricevettero bastonate, così che convenne alla gurdia ritararsi.
Li cisalpini si impadronirono del forno e le diedero il sacco portando via tutto il pane e danaro e ciò che loro parve, poi si diedero ad inseguire li patrioti che ebbero di grazia fugire in chiesa.
Adì 5 d. domenica di Pasqua di Resurrezione, due ore avvanti il meridio si pubblico la ratifica della pace fra l’Impero austriaco e la Germania unita alla Cisalpina, a cui seguì uno strepito di tamburi col suono di tutte le campane del paese ed un treplicato sbaro di fucili intorno all’albore. Furono poi dalla ringhiera municipale gettate al popolo stampe di esultazione delle quali ne anettiamo una.(?)
Adi 8 aprile furono arrestati in Bologna l’arciprete Calistri, D. Giacomo Mazzoni, arciprete di S. Martino in Petriolo perché avevano dispensati li Polizini per la Pasqua e stettero fermati in Bologna 18 giorni. Questa sera poi il capellano D. Francesco Landi dovendo fare la comunione per viatico ad un infermo invitò dopo l’Avemaria il popolo col campanello a mano su la porta della chiesa seguendo lo stile vechio, fu accusato al presidente Lolli che, doppo fatta la S. Comunione, le fu intimato l’aresto in casa per tre giorni. Ma domenica seguente in Albis ottava di Pasqua, ritornò a Castel S. Pietro l’arciprete Calistri e l’arciprete Mazzoni.
Adì 14 d. il Sacedote D. Luca Bartolotti bolognese della parochia di S. Arcangelo di Bologna, già missionario apostolico, il quale si era stabilito nella canonica di questo arciprete Calistri otto mesi sono, facendo esso tutte le funzioni parochiali colla massima edificazione, carità alli infermi, elemosine ai poverelli, vivendo santamente, infirmatosi questi il mercoldì dopo Pasqua 8 cor. non si alzò più di letto e morì la sera delli 15 in martedì nella canonica al suono dell’Avemaria, dopo aver perduta la favella sul meridio, recitò colli astanti le salutazioni angeliche del Regina caeli laetare al termine della quale spirò santamente. E’ da notare che prima della recita angelica, cominciando a parlare, fu interogato dall’arciprete Calistri se moriva volentieri o no, se abbisognava di nulla e se moriva volentieri, rispose lietamente: al mondo non so che mi fare, la morte non mi perturba, dunque si faccia la volontà di Dio, io non abbisogno di nulla, poi scopertasi la destra alzando li ochi al cielo soridendo alle interogazioni dell’arciprete e facendosi il segno di S. Croce da se, pronunciando le parole a chiaro ed alta voce: In manus tues Domine comendo spiritu meu, chiuse li ochi in placido sonno senza agonia con volto illare, ben colorito, cosichè tutti li astanti piansero per tenerezza. Fu portato il suo corpo da tutto il clero, acompagnato dalla Compagnia del Rosario nella chiesa parochiale dove stette finchè furono compite le esequie nel dì 15 aprile.
Fu chiuso in una cassa di rovere e sepolto in mezo della chiesa contro la particelle laterale. Entro la cassa in un tubo di latta le fu lasciata in mano la seguente annotazione composta dal dott. Luigi Farnè di Castel S. Pietro, moderno arciprete di Varignana che qui uniamo e trascriviamo.
Luca Bertolotti sacerdoti bononiensi, qui in apostolicis laboribus Bartolomeo Dal Monte socius primevus, comes individuus, imitator superstes. In pauperes munificentia, in deiparam devotione omnibus effulgens, humilitate, paupertate, puritate conspicuum, haustum ab illo zelum, concionum fervore, maximo cathecheseos perspicuitate ad mirabilis, confessionum exceptione assidua, monalium directione presentissima qua sponte, qua vocatus innumeris que lustraverat locis, constans, indeficiens irriquietus essudit. Apostolicus et ipso plane vir tantarum virtutum memoriam servandi ergo hoc monimentum appositus. Vixit an. 73 menses 9 . Decessit in pace anno 1801 idibus aprilis.
Expleta quadresimali predicatione exuvias corporis protinus deposuit,
in edibus canonicalibus Castri S. Petri.
Rectore Bartolomeo Calistri.
Morì miserabilmente perchè tutto dava in elemosina.
Nell’inverno scorso essendo stato a Poggio da quel bon paroco D. Alessandro Dal Bello, incontrato un poverello scalzo nudo, egli si cavò le proprie scarpe e diede a quello, facendo lungo tratto di strada a piedi senza scarpe fino al Castello. Il simile fece con altro dandole la propria camiscia. Talmente povero che non se le ritrovarono che quaranta soldi che non ebbe tempo di dispensare. Fu pianto da tutti perché bon prete e ottimo confessore. Non si scopriva malato, che non visitasse tostamente senza essere chiamato. Le furono tagliati li panni di dosso. Predisse la sua morte 20 giorni prima in una sua predica fatta in questo Castello sopra le chiamate che fa Dio col testo: Multi sunt vocati, dicendo al popolo che doppo Pasqua grande doveva morire, che la di lui morte doveva essre spiacevole a molti, che egli non vi sarìa stato a consolare li suoi penitenti.
Sebastiano Lugatti che fu arrestato li 19 genaro scorso sortì di carcere in Bologna. Molti cisalpini passarono di Romagna a Bologna li quali non si vollero imbarcare per timore delli inglesi.
Adi 24 aprile venne una brina grande che ruinò tutti li legumi seminati.
Stante la giustizia eseguita il 31 genaro in Bologna nelle persone di Michele Manganelli, Antonio e Giovanni fratelli Coterini, assassini che furono uomini inumani, esendosi in oggi publicata la uniamo al presente quinterno la relazione. [A.60]
Attesa la pace fatta volendo la Municipalità dare un contrassegno del piacere, ordinò con proclama una sovenzione publica arbitraria che fu estesa a diecisette parochie cadenti sotto il Cantone di Castel S. Pietro formato dal direttorio di Milano per il contingente di 3 mila individui.
La divisione cominciò dal Condotto detto la Centonara a sera ed a mattina fino al torrente Selustra nella Romagna a mezo di tutto il comune di Sassoleoneed a borea tutto il medicinese, furono poscia nominati li giudici che sono uniti alla stampa, ma questi non acettarono poiché essendo la maggior parte curiali di Bologna riconoscendo lo svantaggio che loro veniva, ricusarono e rinonciarono alla nomina.
Essendo stata consumata la giustizia di un ladro sacrilego in Bologna non ci estendiamo farne la descrizione, potendo il lettore de nostri scritti leggere la relazione in istampa unita al presente foglio. [A.61]
Li sette maggio in Bologna morì Giuseppe Bertuzzi filio del fu Giovanni, pubblico notaio di Castel S. Pietro, fratello questi dell’ultimo arciprete e l’altro nipote ex frate. Stavi di questa familia vivente solo Antonio fratello del defunto con una familia emigrato dal paese e stabilito nel veneziano a motivo di avere servito l’Imperatore nell’ultima rivolta di questo Castello in qualità di comandante.
Attese le nove recenti sparse delle non seguita pace, furono sospese tutte le mutazioni delle autorità e contado.
Adì 10 maggio fu sospeso l’uso della cappa e sacco alle compagnie onde questa mattina giorno di domenica essendo la B. V. di Poggio nella chiesa della Annunziata nel Borgo per fare le rogazioni, si andò solamente colla Compagnia del SS.mo cappata a riceverla e portarla nella sua chiesa ed oratorio. Le mattine del lunedì, martedi e mercoldì si fecero le solite processioni pel Castello e Borgo in cui non intervennero che li soli Cappuccini, francescani e clero secolare e solo sei confratelli del SS.mo portavano la cappa per l’uso del baldachino.
Era mutata in Bologna la Centrale e fu composta delli seguenti, cioè avvocato Mazzolani d’Imola, Coen ebreo di Cento, Bernardino Monti bolognese ed avvocato Riguzzi di Cento.
Sparsa la voce che il papa era morto in Roma patriotti esultarono molto, ma non verificata, ed avuto avviso che la Russia di Alessandro primo aveva intimata la guerra alla Francia, si ratristarono. Avendo in Milano radunato il Direttorio, si avvisò che la Repubblica Cisalpina si divideva in tanti dipartimenti e li paesi sottoposti al Dipartimento o siano Distretti si sariano denominati Cantoni, come di fatti seguì. Bologna fu smembrata di molti paesi. Imola fu chiamata Dipartimentale Città del Santerno, prendendo il nome dal fiume che la costeggia, se le sottoposero li seguenti cantoni colle sue ville e castelli cioè Lugo, Massa, Medicina, Castel S. Pietro, Castel Bolognese, Dozza colli respettivi distretti. Furono dichiarate supresse tutte le municipalità e concentrate in un solo agente ed un aggiunto, vale a dire un ajutante per ogni comune.
Tutto è manovera dell’avvocato Manuti imolese e cavaliere Alessandro Sassatelli ressidenti ora in Milano, ma poca sarà la durata per l’universale bisbiglio. Come cresce la fame, crescono le tasse e le contribuzioni in ogni dove della repubblica.
Adi d. si pubblicò la legge che per l’avvenire li contadini fossero essi esentati dal pagamento delle tasse prediali, ma che queste restassero addossate per l’intero a proprietari dei fondi, il che anco fu pubblicato nelle chiese parochiali inter solemnia missara. Adi 15 d. giorno dopo l’assenso fu arrestato il cittad. Gian Battista Fiegna con impostura datale che l’anno 1799 in lulio aveva fatto scrivere una petizione contro le autorità del paese che erano composte dal dott. Angiolo Lolli, pressidente, Antonio Giorgi, Giudicente, per cagione delle loro birbate e sceleratezze. Li accusatori furono Francesco Chiari, Francesco Bernardi, Antonio Inviti ed altri.
La stessa mattina delli 15 maggio passarono da Imola a Bologna 800 ussari a cavallo tutti piemontesi vestiti di rosso e si incaminarono poi alla volta di Mantova perché la pace realmente non era seguita e li tedeschi ed ussari erano venuti a Verona per battere la Cisalpina ed invadere la Lombardia e mantovano.
16 detto in sabato fu escarcerato il sud. Fiegna doppo avere pagato al Lolli e Giorgi sei zechini e perché non apparisca questa furfanteria li d. Giorgi e Lolli lacerarono il processetto e fecero aparire al Fiegna che era una grazia che li facevano ed abbruciossi tutta la processura.
Perché la polizia sussidiaria era in mano della Municipalità e Giusdicenza, si facevano delle iniquità, furono abolite tutte queste polizie per legge di Milano ed in conseguenza furono liberati tutti li arestati, quali poscia reclamando furono puniti li malfattori e sottoposti a pene pecunarie, ma queste non si pagarono da quelle autorità che erano giacobbine. Liberato Sebastiano Lugatti dall’aresto per essere stato imputata la petizione contro il Lolli e Giorgi, il med. si fece sentire a Milano e ne ebbe le convenienti soddisfazioni. La ribellione delle tasse fu appoggiata a Stefano Grandi et a Domenico Grandi fattore de barnabiti.
Li 17 maggio stanti li rumori che erano nel paese per il malgoverno delli patriotti venero quivi in pressidio 80 polachi con due comandanti, uno de quali era in casa mia. Il loro uniforme era bellissimo, tutto di color turchino scuro, tornito in bianco, in capo portavano un berettone alto che nella somità era quadrato come la beretta de preti e nelle quatro punte vi cadevano cordoni bianchi con perla che inamoravano.
Cresce la fame ed il grano si paga l. 12 la corba.
Facendosi da villani il riattamento colla ghiara nel comune di Ozano sottoposto a Castel S. Pietro, accadde che quindici corsari francesi tolsero a viva forza li para bovi a quei poveri villani con un carro e vennero tutti armati alla volta di Castel S. Pietro per passare alla Romagna, tenendo in mano le armi montate da foco per usarle chi le avesse volsuto fare forza. Fatto rapporto del fatto la nostra guardia nazionale del Castello, tostamente questa armata in N. di 20 de più coraggiosi e bravi, uniti ad alquanti polachi, corsero per le vie traverse alla vicina collina sopra la Toscanella tantoche tagliarono la strada alli corsari, quali giunti al borgo della Toscanella, fecero alto li nostri, andarono alquante fucilate, onde vedendosi li corsari colti da una forza maggiore delle loro, abbandonarono la preda ed il villano con le sue bestie ritornossi al Castello.
Li masnadieri furono dispersi per la vicina campagna e si intese dappoi essersi riuniti nelle vicine colline a danno delli dozzesi tenendo la via del Condotto selustra. Adi primo giugno appresso il ponte swl Silaro nella via postale furono arrestati due villani della familia Martelli per suposto di avere voluto ammazzare due piemontesi a cavallo. Furono processati e poi dimessi incolpabili.
Adi 2 giugno passarono di Bologna a Imola 1400 cisalpini. Luigi Busi detto Sbargnocola che nelle carceri di polizia di questo castello era rimasto solo, non si potette liberare stante le calunie avute nelle quali continuavano li suoi avversari che lo vogliono morto sono questi sogetti estratti dal processo:
Dott. Lolli presidente e medico condotto, Stefano Grandi speciale, Bartolomeo Sarti oste al Gallo, Antonio Giorgi notaio,Camillo Bertuzzi, Domenico Grandi fattore de barnabiti, Francesco di Pietro Conti detto Futilone, Ladislao Ronchi, Antonia Inviti e Lucia Inviti sorelle, Luigi Muzzi, Paolo e Francesco Farnè, Luigi e Giuseppe fratelli Vergoni.
Sopra il sepolcro di D. Luca Bartolotti fuvi aposta la seguente inscrizione
LUCAS BARTOLOTTI
missionarius apostolicus
aplic expecto donec veniat
immutatio meo
Vixit an …. LXXIV obiit …..
Perchè la presente inscrizione era scorretta e male esposta fu tolta gastigata con rossore di quel prete ignorante che la compose e fu creduto l’arciprete Calistri.
Adi 6 giugno in sabato partirono da Castel S. Pietro li polacchi sud. et andarono a Bologna. Il loro comandante che stette sempre in casa mia colla sua servitù partì in gala ed aveva nome Stefano Chiatchoscht ed era primo capitano del terzo battaglione e compagnia V, uomo pulito, onorato, nè della sua truppa alcuno si potette dolere e, quando passò il SS.mo per casa mia nella processione del Corpus D., volle che tutta la sua guardia ben montata facesse la parata ed a suono di tamburo e zuppoli fu nel cortile venerato il SS.mo il dì 4 d.
Adi 7 giugno,prima domenica del mese, la processione del Venerabile si fece solo entro la chiesa arcipretale colla compagnia capata.
Rappresentandosi la stessa sera nel teatro pubblico della Municipalità una comedia da istrioni forestieri accadde che terminato il primo atto si alzò un rumore populare, che gridava : Morte ai ladri. morte ai ladri. L’ajutante Antonio Sarti della guardia nazionale che ivi era, invece di calmare il rumore, alzò la voce più di ogni altro e gridò: lo so bene a chi si deve gridare Morte, crescendo il fermento ognuno ammutolì prevedendosi un disordin,. Cominciossi dalli recitanti il secondo atto, alla fine pure di questo fu rinovato il rumore, per la qual cosa il dott. Lolli che era presente con Antonio Giorgi di lui segretario, prevendo mal parata la vicenda, fuggirono destramente dal teatro.
Il motivo di ciò fu, per che entrambi ricevute 100 pezze cotonate dal capo delli insorgenti d. Stanislino Gottardi di Monte Catone si era accomodato colli d. Lolli e Giogi nella di cui (…) come capi di Municipalità, che teneva in questo tempo la polizia criminale, avevano liberato il d. Stanislino. Seguito questo rumore tutti li patriotti nazionali cacciarono via dal Castello le cocarde patriottiche.
La sera seguente delli 8 seguì altro rumore nel d. teatro e fu che insorsero li stessi patriotti e, rivolti al palco di mezo ove stavano li attinenti di d. due soggetti. si fecero ad alta voce intendere che se erano emigrati dal paese alcuni per avere servito l’Imperatore li volevano restituiti a casa e loro facevano pace, gridando: Pace, pace colli nostri fratelli e concitadini. A casa cittadini, a casa cittadini, non più nimistà, ma pace pace.
Li principali emigrati e detenuti in Bologna erano Antonio Bertuzzi, N.N. filio di Battista Fabbri, Giacomo Ravaglia, Luigi Musi, che era alle secrete nelle carceri di Bologna, il Belino d. Ottaviano Galavotti ed altri, oltre il loro seguito di amici.
Adi 10 giugno con ragiri del dott. Lolli ed Antonio Giorgi, l’ufficio delle lettere postali, che era alla locanda del Portone, fu levato e traslato entro il Castello nella casa municipale dove poi dal d. Lolli e Giorgi si facevano le più fine ruberie del mondo.
Dopo tali fatti furono chiamate a Bologna tutte le autorità del paese e vi andarono, restando solo in patria Stefano Grandi capo battaglione.
Adì 12 d. per queste vicende ritornarono li sud. polacchi ed ebbero li stessi alloggi di prima. Li 14 d. arrivò loro un ordine pressantissimo di partire per la Romagna, dove eravi maggior bisogno ed andarono tosto a Imola.
Stanti li accidenti accaduti in teatro. la municipalità che aveva veduto deposti da patriotti tutte le cocarde, mise fori un editto che in tempo di ore 24 dovesse ognuno ritornare la coccarda primiera, altrimenti saria stato dichiarato nemico e sotoposta alla carcere. Passarono le ore 24 ma nessuno obbedì, ne tampoco fu arrestato perché erano tutti ammutinati contro il pressidente Lolli per le di lui briconate.
Adì 14 d. passò da Bologna ad Imola molta cavallaria stanti che si diceva per una bocca stessa che erasi fatta una alianza fra la Russia, Danimarca, Svezia ed Inghilterra contro la Francia, si disse pure che il Papa sarìa detronizzato.
Adi 15 d. lunedì il grano si vendette fino a scudi diecisette e soldi cinquanta la corba. Il formentone scudi undici la corba. Li montanari che erano discesi dal monte per venire a mietere il grano e ricevere vitto e danaro, stante la gran miseria, rimasero delusi poiché nessun contadino li prese ad opera e, quelli che li presero ed andarono al travaglio, vi andarono per la sola cibaria ed al più quelli che si portavano all’opera non avevano che soli soldi quattro alla giornata a motivo della grande miseria e vi furono anco di quelli che lavorarono per un soldo e mezo moneta di Bologna.
Il freddo che continua ancora fa si che si porta medesimamente il tabarro sebbene siamo a metà di giugno e si va al foco.
Le vicende presenti sono che assai male si vocifera della guerra e si sentono confederazioni fra li popoli del nord contro la Francia. La raccolta va assai male.
Adì 17 d. mercoldì la guarnigione di Rimini che erano 60 piemontesi vennero a Castel S. Pietro per andarsene a Bologna dove che, passata la notte collà, si portarono, mentre temevasi di una rivolta, esendosi già preceduto un tumulto ed un sacheggio di pane per la miseria ai forni principali della città, cioè di S. Stefano, della seliciata di S. Francesco, di strada S. Vitale ed altri dove furono spoliati li forni ed alquante case dal furore del popolo. L’exconte Carlo Stella Riguzi volle fare resistenza nel forno di S. Stefano colla sciabla alla mano ma riscosse una coltellata nella pancia. Li soldati cisalpini e francesi che erano in cità fuggirono fuori di quella e si chiusero tutte le porte della città che così stettero fino al mezodì della giornata 18 d.
Nel giorno di sabato 19 d. si chiuse l’Officio della Gabella di Castel S. Pietro, che era nel Borgo e trasportossi ad Imola. Rotta la pace ultimamnete seguita fra l’Imperatore di Germania e la Francia, quello si coalizò colli Russi, Inghilterra e Turco contro francesi onde perciò sono in mossa le truppe cisalpine a motivo che li inglesi e russi, preso seco in clientela il Re di Napoli, si erano avvanzati nel mare Adriatico ed avevano messo in blocco li porti pontifici laonde li francesi, dubitandi di uno sbarco, richiamarono le truppe che avevano nel fiorentino e le spedirono a Rimini, Cesenatico ed Ancona in guarnigione e passando per questo loco nel dì 21 giugno in domenica mostrarono malcontento.
Dietro questa truppa pedestre nel di 23, 24, 26 d. sempre di notte tempo col favore della luna passarono cavalli. Li 28 d. venne uno staccamento di 150 cisalpini de quali ne restarono 100 in Castel S. Pietro e 50 passarono a Dozza in guarnigione.
Li raccolti che si fanno sono mediocri, il pane è ancora picolo e si danno oncie 8 per quattro bajocchi, doveche in altri luoghi è di maggior peso e sono per ciò incolpati li municipalisti mentre il grano si vende in oggi solo scudi sei romani la corba.
Grandi preparativi si fanno di guerra nel mantovano, perché a Vicenza vi sono li tedeschi uniti ai russi, onde si attende una sanguinosa battaglia.
Fu pubblicata una Legge di Milano colla quale si fa un comparto del territorio di tutta la cisalpina in dodici dipartimenti in data delli 23 fiorile, vale a dire (19 maggio 1801) Li dipartimenti sono questi:
1) Agogna, 2) Lario, 3) Olona, 4) Serio, 5) Molla, 6) Alto Po’, 7) Mincio, 8) Crostolo, 9) Panaro, 10) Basso Po’, 11) Reno, 12) Rubicone.
Nel dipartimento del Reno fu determinato capoloco Bologna e diviso in quattro distretti cioè:
Bologna, Imola, Cereto e Vergato. Nel secondo distretto cioè d’Imola capoloco vi furono sottoposti 55 castelli oltre li borghi, vilaggi e comuni che furono: Castel S. Pietro, Vidriano, Liano di sopra, Liano di sotto, Capella, Poggio villa, Castel Guelfo, Medicina co’ loro territori, come si legge nel libro delle Leggi stampato in Milano.
Passaremo al secondo semestre del 1801 ove essendo riescita scarsa la racolta più dell’anno scorso, non volendo per tanto alcuno organizare, all’avere li fornari rinonciato al loro impegno. Adi 16 lulio d’ordine venuto dal governo di Bologna, si chiamò un congregazione di dodici cittad. di Castel S. Pietro onde formare una Annona in paese, ma ne comparvero solamente nove.
Adì 17 d. si replicò la congregazione e furono deputati a presentarsi in Bologna li cittad. Giuseppe Sarti e Giulio Viscardi alla amministrazione per la approvazione di alcuni capitoli fatti sopra il metodo novo della formentaria di Castel S. Pietro. Andarono e fu tutto approvato.
Adì 20 d. si fece altra congregazione sopra ciò e fu deputato per depositario mediante voti a scheda Paolo Farnè, in seguito furono eletti per amministratori li seguenti cioè Giulio Viscardi, Ercole Cavazza, Giuseppe Sarti, Gaspare Sarti, Stefano Grandi, Camillo Bertuzzi, Domenico Albertazzi, Don Francesco Dalfiume, Giuseppe Ballarini.
Adì 22 d. fu estrato per presidente D. Francesco Dalfiume, segretario Giuseppe Sarti. Indi si fecero alcune leggi in proposito della annonaria, composta delli sud. sogetti e si distribuirono le cariche.
27 d. si pubblico un bando sopra il Bollo della Carta e vi fu rumore. Perché poi vi erano inconvenienti per li generi di vittuaria, la Municipalità si fece carico di proclamare con suo editto le unite providenze.(?)
La congregazione delli annonari perché non aveva erario, colla partecipazione del Governo, estradò apoche di prestiti forzosi delli distrittuali del paese per la sovenzione di granalie o di danaro.
Non bastando queste calamità locali del paese, se ne aggiunsero altre di Bologna, che imponevano una contribuzione pecuniaria e tutti si dolevano.
Agosto, Adi 2 giorno di Domenica, essendo in questo Castello e Borgo N. venti ussari cisalpini in guarnigione, chiesero alla municipalità la razione doppia della paglia per il letto dei cavalli, il dott. Angiolo Lolli che era pressidente ricusò e portossi alla locanda del Portone ove erano albergati li cavalli ed ussari. Quivi naque un diverbio grande al segno che li cisalpini sfidarono la guardia nazionale alle archibugiate e su l’Avemaria entrarono in Castello sei delli d. ussari con la cherubina monta e sciabla evaginata e scorrendo col loro brigadiere avvanti e indietro per tutte le strade nessun paesano si mosse, posero in seguito le guardie alle porte del castello, né lasciavano sortire né entrare alcuno. Si ricercò il Lolli ma non si trovò, dopo mezza ora tutto andò in fumo.
Il giorno seguente di lunedì venne di Bologna il Not. Battista Canali capo brigata ad organizzare novamente la Civica di Castel S. Pietro, lo che fatto se ne partì per Bologna.
Adi 10, giorno di S. Lorenzo, doppo avere fatti li ufficiali dello Stato Maggiore, che furono Domenico Grandi fattore de’ barnabiti detto il Fattorone e fu dichiarato capo brigata, capo battaglione fu Carlo Bettazzoni ed altri successivamente.
Adi 13 agosto molti paesani esendo ritrosi a pagare la tassa della annona, il presidente Lolli mandò tre soldati alla casa di questi e furono Vincenzo Trapondani, Gio. Paolo Mansani ed altri coll’obbligo di spesarli e pagarle cinque paoli il giorno a testa finchè avessero pagata la tassa, onde così tutti pagarono. Quanto poi alle tasse di casatico e terratico consuete pagarsi di bimestre in bimestre e che scadevano alla fine del venturo, sortì una nuova legge che si dovesse pagare a (…) il dì 20 corente agosto sotto rigorose penalità. Giunse un corriere dalla Romagna e depose che Sinigaglia era blocata dal Turco e che tutti li mercanti furono intimati sloggiare colle loro derate.
In questo giorno passò il filio del Duca di Parma ed andò a Bologna in qualità di Re etrusco.
Adi 13 d. il generale Ottavi cisalpino di nazione napoletana, vescovo apostato, si fermò quivi per il giorno d’oggi. Fu complimentato dal dott. Lolli pressidente, da Domenico Grandi capo brigata ed Antonio Sarti capo battaglione. Fu condotto ai Cappuccini del quale instituto ne era stato prima adorno, visitò le stanze inferiori del convento, la chiesa e vasi sacri poi dopo aver comendata questa familia, andò a S. Francesco e fece lo stesso de Cappucini. Doppo ciò decretò che il quartiere di riunione per la guardia nazionale del paese si facesse nel convento di quei poveri frati di S. Francesco, il che fu spiacciuto universalmente da tutti.
Dopo quattordici mesi di prigionia finalmente Luigi Musi detto Sbargnocola fu liberato in Bologna e li 15 d. venne in patria senza la pace de suoi aversari Antonio Inviti, Domenico Grandi e delli fratelli Vergoni che sempre si erano opposti alla liberazione.
Adì 16 d. domenica, giunsero 150 cisalpini quali erano tutti patriotti napoletani, li quali ebbero il quartiere nelle case de paesani.
Adì 23 agosto domenica venne di Bologna Andrea Costa, altro della amministrazione centrale di questa città a rivedere li conti municipali ed a commutare li componenti municipali. Presentatosi in consilio con lettera credenziale in seduta, fu dimesso il dott. Lolli pressidente per le sue ribaldarie, poi furono levati tutti li libri di conteggio e portati a Bologna. Cosa che fu da tutto il paese plaudita. Fu ancora con decreto della amministrazione sud. espulso dal posto di segretario Antonio Giorgi e dall’officio di Giudice.
Adì 24d. festa di S. Bartolomeo venne a Castel S. Pietro il generale Ottavio Ottavi, corsico preso al servigio de francesi, Alloggiò e pranzò ai cappuccini e pagò tutto di suo. Visitò questi patriotti composti di napoletani, romani, marchiani, romagnoli, piamontesi e di altre anzioni che in N. di 40, quasi tutti officiali, si erano venuti quivi a stabilire giorni sono. Trovò in essi, che erano quasi tutti graduati ed il loro grado si tace per dovuto rispetto al loro casato, somma corispondenza per che nati di bona educazione. Fra med. vi erano alcuni claustrali e prelati regnicoli, altri erano preti con monache accompagnati, le quali erano state espulse dai loro monasteri come discole ed altre fuggitive. E perché si vociferava con poco bona convenienza delli med. patriotti e monache, li 28 d. giunse ordine, per evitare li scandali e mormorio che dovessero di qui partire alla fine del mese che fu il lunedì 31 d. agosto.
Contemporaneamente fu installato per pressidente della Municipalità Francesco qd. Pietro Conti. Il dott. Gaetano Conti filio del med. Francesco venne qui per delegato politico a formare processo per li occorsi disordini del Lolli e Giorgi, questi è per anco spatriato e dimesso dal segretariato.
Prossieguono ad accrescersi le tasse di imposizioni e vengono gravati li padroni dei fondi per li inquilini e lavoratori di campagna. Il d. Giorgi a forza di impegni fu reintegrato nell’impiego di Giudicente e così il dott. Lolli nell’impiego di segretario provvisoramente, il che dispiaque a tutto il paese.
Settembre adì 8 giorno della Madonna accadde dirottissima pioggia al monte che gonfiando li condotti e torenti daneggiò molto, nel nostro Silaro portò via tutta la chiusa di pietra, che stavasi fabbricando dal molinaro Domenico Rivani. In questa sera l’arciprete Calistri banchettò in canonica li primi patriotti del paese e furono questi: il dot. Gaetano Conti sud., Francesco Conti di lui padre, il dott. Lolli, Antonio Giorgi, Francesco Farnè ed altri. Doppo la cena assonniti dal vino andarono a ballare tutti nel palazzo Malvasia, ove fecero ciò che le parve e convenne al fattore Carlo Bettazzoni soffrire tutto per la forza di quelli.
La pioggia dirottamente prossiegue. Avutasi notizia che li patriotti di Pesaro avevano respinti li soldati papalini da quella città, li nostri di Castel S. Pietro esultarono e cominciarono a gridare per le contrade: Morte al Papa, Morte all’Imperatore.
Il terremoto si fece sentire in Fano ed altri luoghi vicini. Il dott. Luigi filio di Lorenzo Trochi fu fatto arciprete della Abbadia presso S. Giovanni in Persiceto aclamato da quella popolazione.
Adi 11 d. nella torre sopra l’ingresso maggiore del Castello si rinovò la mostra dell’orologio che andava prima alla italiana di sei in sei ore, fu segnata di 12 in 12 alla francese.
Il P. Ermenegildo, capuccino da Campeggio stabilito in questo convento fu egli il dipintore della mostra, sotto cui nel circondario della fascia verde avvi la memoria delle lettere iniziali F.E.F.A.X.R., cioè Fra Ermenegildo fece l’anno X repubblicano. Quello poi che accomodò la batteria delle campane fu un medicinese dilettante d’orologi.
12 d. passarono di Romagna a Bologna 300 cavalli francesi e la mattina seguente passarono molti cisalpini e francesi che tutti andarono da Bologna nella Romagna non intendendosi questo mistero. Le gravezze crescono.
Questa stessa mattina in sabbato la guardia imolese di patriotti con bagaglio seco ben montata in N. di 70 pedoni e 30 cavalli, vestiti alla cisalpina passarono per Bologna onde unirsi ivi alli altri patriotti, ma quando furono passati questo Borgo per fino alla Crocetta le giunse una stafetta di Bologna con ordine di ritornare alla loro città, ma conoscendo questi la poca loro convenienza andarono avvanti fino alla Claterna e quivi nel mentre che si ripossavano per un beveraggio giunse altro ordine di ritornarsene, come di fatto eseguirono e ripassarono su le ore 21 italiane ove si fermarono nella piazza maggiore fino alle ore 23 poi andarono a Imola.
Nel settembre sucesivo poi adì 19 la med guardia imolese di 24 cavalli vestiti all’usera, cioè color rosso con una tronbetta avvanti vestita di panno bianco trinati torchino e 100 pedoni ritornarono a passare per Bologna a ricevere il premio della loro fedeltà repubblicana e la mattina seguente in Bologna le furono donate due grandiose bandiere dalla Amministrazione. La prima dei quali portava la seguente inscrizione: Terore delli insorgenti, la seconda per li cavalli questa: Spavento alli ribelli. Li sud. imolesi venero la sera giorno di S Martino 21 d. ed alla ora di notte si fermarono nel nostro Castello e Borgo ed erano ubriachi e solo il martedì partirono a mottivo della grande pioggia.
Il giorno stesso di lunedì venne di Bologna un temerario esecutore ed esattore per nome Barbieri affine di fare certa riscossione di testatico per pagare ogni familia l. 1: 12 onde soddisfare la giubilazione data (…) al dott. Giuseppe Muratori. Codesto esecutore andava alle case e colla mano forte facevasi dare (….) e danaro.
Non esendosi per tanto veduta una tal legge si ammutinò la populazione nella piazza a fare clamore, ma niuno aveva coraggio essere il primo a farsi avvanti. Finalmente Sebastiano Capelletti si portò nella ressidenza municipale ove eravi tutto il corpo adunato nel quale ne sosteneva la pressidenza Francesco di Pietro Conti e di mano in mano si avanzavano li altri popolani nella sala. Quivi affaciatosi il pressidente ove era pure il d. Barbieri che si vedeva in pericolo, chiese il Capeletti perché si facesse questo novo aggravio, cosa che mai era stata in azione per l’addietro e parlando alto il pressidente richiese a questi se era egli il capo delli amutinati a cui coraggiosamnete rispondendo disse:
Signore siamo tutti capi, non attendete che io sia il primo a parlare, molti parleranno e vi aspettano sulla piazza e se anco non credete affacciatevi alla ringhiera e guardate come si affollano anco qui dentro. Affaciossi e vide il vero e sentì il clamore. Volle il d. Barbieri interloquire ma il Capelletti fatto più coraggioso per il seguito che le cresceva ed era ormai piena la sala pubblica, si rivolse all’esecutore e lui così parlò:
Che si pensi che il popolo di Castel S. Pietro anco in mezo all’armi sia affatto avilito delle sue minacce, che siano li individui d’ogni sesso ed ogni età senza sangue nelle vene, senza coraggio e senza forza. Né ci sono rimaste anco delle munizioni di quelle colle quali facessimo fronte alli insorgenti ed alli austriaci nell’ultima baruffa. Siamo avvezzi altri che li suoi pari. Sortisci di residenza e vedrai che perfino li fanciulli ti lapiderano e li provetti faranno della tua carne tanti pezzi che non ve ne resterà tanta che possino lambirla li cani. Sappi che quella vita civile e sangue che ci vorresti togliere è quello che ci basta per anichilare il tutto orgoglio e di mille tuoi pari.
Si allarmarono li altri popullari e la guardia nazionale stava sull’aspettazione di essere disarmata, ma raccomandandosi il messo Barbieri a braccia aperte, fu colla interposizione del pressidente Conti tutto sospeso col temperamento di scrivere a Bologna per un provvedimento e così tutto fu posto in calma.
Venuta poi la risposta di Bologna, che tutte le familie pagassero ripartitamente a testa per una sola volta, fu quietato il popolo in qualche modo. Ma quando si fu all’atto del pagamento sentendosi sproporzionata la tassa si eccitarono novi tumulti, li quali furono poi sedati per la pubblicazione della pace fra l’Inghilterra e Francia
26 d. giorno di sabbato li patriotti napoletani che erano partiti per Piacenza ritornarono nella Romagna per stabilirsi in Forlì nel prossimo inverno.
Adì 6 ottobre prumulgata una legge di Milano sopra un incasso di 10 milioni di lire milanesi collo stabilire una lottaria di tanti premi o voci da distribuirsi alli possidenti stabili nelle città e teritori di Bologna. Secondo l’Opinione furono quindi dispensate le voci tassate. All’arciprete Calistri ne tocarono dodici da scudi 50 per ciascuno, a me due voci e così alli altri della comune di Castel S. Pietro per il contingente di 300 voci si sentiromno per ciò rumori.
Terminate le due mostre nove dell’orologio maestro in questo loco nella torre su la porta maggiore del Castello. Mancava solo sentirsi il battere delle ore alla francese nella campana e perché la campana essitente sulla torre fu creduta piccola, venne in capo alli pubblici rappresentanti levarla e sostituirne una maggiore.
Fu perciò destinato levarsi la campana grande dal campanile delli frati agostiniani di S. Bartolomeo e allocarla nella torre. Tanto avenne ed in seguito la Municipalità intimò al cittadino Lorenzo Trochi, machinista del paese, levarla e collocarla nella torre sopra l’orologio maestro e quella che vi esisteva trasferirla nel suo primo posto nella torre picola di piazza alla casa municipale. Ma perché il d. Trochi era priore della Centura nella detta chiesa di S. Bartolomeo ricusò servire e li altri ufficiali del Sufragio del Purgatorio pure ostavano e furono il tenente Gio. Francesco Andrini ex priore e Gio. Battista Fiegna.
Concordarono scrivere al comissario del Potere esecutivo d. Banci milanese, significandole l’inconveniente che accadeva per mancanza di questa campana che serviva la chiesa e le compagnie erette in quella. Fu poi determinato che si portasse a Bologna il d. Andrini e Fiegna avvanti il d. comissario, alla deputazione aministrativa de Beni Eclesiastici ed avvanti il Vicario Capitulare del vescovato Mons. Fava, quali uditi li sud. inviati promisero di providenza.
Fintanto però che si facevano queste cose in Bologna si portò pure in Bologna il pressidente Conti, nemico di questa chiesa e con esso Francesco Farnè, agente municipale uomo torbido, iriligionario e patriotto sviscerato contro la chiesa. Ritornati senza più parole si portò questi dal sagristano Mariano Ponti per ascendere il campanile, ma non trovato, vi si aggiunse al sud. il muratore Antonio Roncovassaglia detto Baccarana, Antonio Sarti e Luigi Cardinali con Sebastiano Capelletti ed entrati nella sagrestia andarono al campanile e, cacciata giù la porta, levarono la campana poi la mandarono alla torre dell’orologio.
Pesa questa campana libbre 800 bolognesi. Metalo è mediocre ed il suono per ciò e tintinito è duro. Non potendo questa introdurre nella somità della torre per l’angustia delli ochi med., fu tagliato uno scaglione di essi dalla parte di ponente ed indi mercoldì seguente fu posta in opera. Nel mentre che si tirava con funi sopra la torre si dicevano contumelie e dispregi ai santi che erano nella campana. Erano li iriligionari ed iconoclasti Lorenzo Alvisi, Giovanni Neri, Sarti sud. e Farnè con Antonio Giorgi notaio, li quali corbellavano anco la sacrajetà dicendo: tira su la campana prima che venghi la scomunica. altri dicevano diamo la corda a S. Nicola, presto, presto che viene da Roma la scomunica, la scomunica è inpicata, vola al cielo sopra la torre.
Ciò uditosi dalla gente ivi affollata, venivano vituperati li maldicenti. Ne fu data la relazione alla polizia da Eugenia Mingoni, moglie di Giuseppe Zardi d. Casetta e da Luigi Bottazzi, per che ebbero a dire colli sud. Farnè e Sarti. La polizia non operò perché era in mano della Municipalità. Contestualmente passando D. Filippo Cugini sagrestano sacerdote della parocchiale fu provocato da Antonio Giorgi in proposito, che alla fine li intimò se non sonava bene la d. campana si sarìa tosto andato a prendere la maggiore dalla arcipretale, né altro più poi accadde.
Nello stesso giorno vennero di Bologna due deputati a visitare il cemetero presso la parochiale per levarlo affatto dal centro del paese e traslatarlo fori dell’abitato ed in seguito dilatare la strada che porta alla chiesa di S. Francesco, come lo era anticamente. Per effetuare ciò fu socritta da molti una petizione al Governo, fu anco determinato che si demolisse la fabbrica fatta dall’arciprete a capo del med. cemetero senza licenza di alcuno avendo così occupato parte del medesimo per farvi un nascondilio di formentoni ed altri generi di incettazione.
Adì 8 ottobre vennero di Romagna tre battaglioni di francesi con due bandiere che andavano a Bologna. Avevano seco due bande di instrumenti, cioè due fagotti, due clarine, due corni e due plettri che si suonavano e battevano con un sistro da due mori. Stettero fermi nel borgo e Castello tre ore della mattina poi partirono.
La lottaria anunziata di dieci milioni andò a monte. La vendemia fu molto scarsa al segno che si vendette l’uva fino a scudi venti la castellata. L’altra campana, che era nella torre fu posta nella torre della piazza, ove già era un’altra volta.
Su le ore 14 italiane si sentì il teremoto fortemente, che fu di gran spavento.
Li 10 d. in sabbato venero di Bologna due personaggi incogniti coll’uniforme imperiale e portavano in petto l’Ordine colla Croce di Malta ed il Toson d’Oro al collo. Il loro siniscalco deposero che passavano al Papa per alcune differenze, quali apurate sariano ritornati al comando delle truppe austriache. Li cavalcanti dalle loro carozze avevano deposte le coccarde francesi e surogate le austriache ed avevano li paramani nell’abito loro alla imperiale cioè giallo neri. La stafetta e coriere che precedeva aveva nel petto e nel braccio destro li armi austrorussi. Questi depose che presto questi stati aurebbero mutato padrone e che essendo questa piazza di Castel S. Pietro ben guarnita di giacobini si sarebbe purgata da questa genia di gente cattiva. Un tale riserto mise in aprensione tutto il paese. La Municipalità avendo avuto una grave reprusione dal Governo a causa delle campane sud. il temerario Lorenzo Alvisi usciva la notte caminando pel Castello e Borgo dipinse campane alle case delli confratelli del Sufragio di S. Bartolomeo più affetti alla chiesa. Le case furono queste di Gio. Battista Fiegna, di Francesco Chiari, Giuseppe Ponti, Francesco Andrini ed altri. La polizia concentrata nella Municipalità non fece alcuna mossa perché l’Alvisi era inteso con li publici rapresentanti avendo nella ressidenza fatto una marca che rapresentava la campana come sfaciatamente confessava con tutti li suoi amici.
Crescono a più potere le tasse e ciò che più spiaque fu la tassa personale di un peculio mensile, fino alla morte di l. 1 bolognese. Bella libertà in vero.
Li 11 d. in domenica, esendosi pubblicata la pace generale fra le potenze belligeranti, se ne diede il segno a tutte le chiese colle campane. La Guardia civica del paese vestita del suo uniforme, spiegata la bandiera nazionale, levatasi dal quartiere si portò alla piazza entro il Castello dove con replicati sbari di fucillaria ne mostrò il giubilo. La sera delli 11 d. lunedì fu posto in arresto da questa guardia civica il cittadino Sebastiano Lugatti d’ordine del capo brigata Domenico Grandi fattore delli F.F. Barnabiti.
14 d. venero di Romagna alcuni battaglioni francesi ed andarono a Bologna vociferandosi di essi che ritornavano in Francia evacuando l’Italia.
Li 20 ottobre di notte tempo fu inalzato un Arbore di Libertà nella piazza de cappuccini di Castel S. Pietro. Si sentì il teremoto con ispavento e si scopersero le S. Imagini. 20 ottobre la Municipalità decretò che si facessero le saliciate tutte nelle strade del Castello e Borgo dando essa li opportuni materiali, ma le maestranze si pagasero dalle respettive padronanze delle case fronteggianti le strade e furono deputati sopra il lavoro Lorenzo Trochi, Gio. Francesco tenente Andrini e Carlo Bettazoni. Si cominciò il lavoro nella via Maggiore, ma non fu poi continuato a motivo delle nove discordie fra potentati.
Adì 2 novembre trovandosi in Bologna il generale francese Gobert con molta truppa intimò alli civici che guardavano la città e palazzo a deporre la (…). La classe delli carubinieri bolognese, cacciatori e granatieri ricusarono per ciò si misero in cimento facendo alto al palazzo pubblico a segno di volere canonare li francesi, ma infrapostasi la Amministrazione, il generale Dondini, Ercolani ed altri si pacificarono col generale Gobert che aveva avuta una spiatonata da un civico ed un pugno sul petto da Luigi Pistocchi cannoniere che aveva già caricato a mitraglia il canone contro li francesi che si affacciavano al palazzo.
Ma interposti mezani da uno all’altro per che la città non andasse a rumore, si fece la pace ed ognuno andò al proprio quartiere, ma ciò non ostante questo fu dalli francesi secondo il loro costume franta ed a tradimento fu arrestato il Dondini e Pistocchi, il capitano Fabbri della Barisella e Masini di Bologna, che tosto di nottetempo furono spediti a Ferrara occultamente e la notte seguente nel più profondo silenzio fecero prigioniere le sentinelle civiche del palazzo e si impossessarono li francesi del med..
Fu in seguito intimato sotto rigorosa pena che tutti li civici portassero le loro armi al quartiere de francesi nle convento de Servi, ma niuno volle obbedire. Furono replicati più rigorosi proclami, ma ciò non ostante furono ostinati li bolognesi, quindi la città sta tutta in ispavento né vagliano le minacie de francesi. Questo fatto fece impressione molta alli popoli, per modo che molti imitarono la presente ressistenza, onde li francesi dopo dieci giorni posero tutto in silenzio. In Perugia, Regio e Milano seguirono per ciò rivolte fra papalini e patriotti, ma sempre furono abbassati li partiti francesi.
Essendo in Castel S. Pietro contumace di giustizia Ottaviano Galavotti detto il Bellino, giovinetto veramente bello, robusto, bravo di sua vita nel sortire di teatro di Castel S. Pietro, fu arrestato dalla guardia civica e condotto in aresto in queste carceri. Venuto a notizia tale aresto alli di lui fratelli, giovani ancor essi forti e coraggiosi per nome uno Vincenzo detto Bussolotto e l’altro Natale si unirono con Antonio Sarti detto del Portone di questo luogo ed armati di notte andarono al quartiere dove stava arestato il Bellino, disarmata la guardia e sentinella, ruppero le feraglie della carcere e liberarono il Bellino.
Ciò fu alli 8 d., poi la mattina seguente lunedì li sudd. fazionari senza alcun spavento caminavano armati pel Castello e Borgo e niuno ardiva, fori de loro amici, salutarli poiché vi erano altri loro partitanti, come a me riferì il d. Natale disposti ad una insorgenza funesta contro li patriotti che erano diretti da Domenico Grandi fattore de bernabiti e suoi figli, il quale per non volere mostrarsi pavido, sortì colla patuglia di alcuni paesani.
Era esso quel capo brigata nella testa, lo seguiva Carlo Bettazzoni capo battaglione con altri, vi era pure seco Antonio Giorgi segretario della municipalità, per coonestare la patulia che faceva vista di invigilare sopra li rivendivoli ed altri abusi del mercato de viveri, ma li sudd. fazionari incontrata la pattuglia la fecero retrocedere al quartiere e furo assediati della vita li sud. patuglianti con Antonio Giorgi ne altro più seguì.
Deposta pure la guardia civica di Imola e toltole il palazzo e piazza dalli francesi nel modo che si fece a Bologna. La sera delli 16 stante ne venero N. 20 delli d. francesi e si fermarono quivi per esplorare le novità, né vi ebbero poco gusto poiché prevenuti di essere tutti amazzati dalli sud. malcontenti abbandonarono tosto il paese.
Intanto si pacificarono li due partiti del paese, ma la pace fu finta per la parte del capobrigata, inperciochè il giorno di S. Martino, combinata una gozoviglia fra li pacificati ed entrato il Bellino nella locanda di Vincenzo Trapondani in Castello alla insegna di S. Marco con altri suoi compagni, d’improviso li sud. suoi avversari e ministri di polizia che erano li sud. Domenico Grandi fattore, Antonio Giorgi not. e Carlo Bettazzoni e con essi l’usciere Lorenzo Alvisi, tutti in uniforme, entrarono in pattuglia a fucile calato nella bettola tanto dalla parte anteriore che posteriore ed arestarono il d. Bellino poscia lo condusero nelle carceri.
Arrivarono fra non molto 60 francesi che andarono a tamburo battente al quartiere nazionale. In tale frattempo giravano altre patuglie nazionali per avere in mano li altri due fratelli Galavotti, Vincenzo Bussolotto e Natale che, avisati sul momento per salvarsi di volo colla vita ed un miserabile coltelletto ed un ben tristo schiopetto, presero la fuga per la via di S. Carlo dirittivamente a Medicina.
Giovan Battista di Antonio Quaderna capitano de civici che aveva mutata la guardia la mattina, unitamente con altri suoi aderenti tenta la presa di quei due fratelli sventurati e fuggitivi. Le corse dietro assieme con Giovanni Muzzi ed altri, loro riescì raggiungerli nella via sud. presso la Braglia ad un sito detto il Pilastrino della Madonna ne’ beni della eredità Graffi denominati la Fossa, Possessione del Casino, e siccome il Quaderna era velocissimo al corso prevenne il d. Muzzi ed assalì Natale Galavotti gridando contro l’altro fugitivo Vincenzo: Fermo, fermo, onde impavorirlo ed animare il Muzzi retro. In frattanto percosse col fucile Vincenzo, quale caduto a terra e vedendolo in tale stato, il fratello Natale retrocesse e dato mano al coltelletto si alzò l’oppresso Vincenzo che ripreso il miserabile schiopetto diede una archibugiata al Muzzi che si avanzava e restò spento poi l’altro Galavotti Natale disarmato il Quaderna col proprio fucile di questi lo percosse tanto che finì la vita miseramente nella pubblica strada.
Poi entrambi li d. fratelli fuggendo si smarirono nella vicina campagna e li altri civici atteriti non si inoltrarono di più. Il Muzzi caduto morto fu disarmato del fucile e sciabla da Vincenzo Galavotti. Quando furono più oltre li due fratelli Galavotti vedendosi all spalle Sebastiano Capelletti e Marco Martelli civici di rinforzo, si fermarono li fuggitivi a petto scoperto, poi intimarono ai due civici il ritorno a casa colla minaccia che sarebbero ancor essi rimasti vitima del lor valore e fatta compagnia a Casa del Diavolo alli sud. due ucisi, e così vedendosi la mala parte ritornarono a casa colle trombe in sacco, ma disdegnosi di non avere potuto fare l’aresto, quante persone ritrovarono per istrada le affrontavano e menavano le mani, cosichè temevasi sentire tutto il Borgo infazione. Li francesi sud. non si vollero infraporre nella baruffa quantunque invitati dai civici e nesuni potette comprendere questo enigma.
Arrivò infrattanto di Bologna il dott. Pietro Gavasetti per Giudice procesante sopra il fatto della esimizione della carcere del Bellino, comesso da Antonio Sarti e fratelli Galavotti, il quale solo processò il fatto sudd. né si volle intromettere nella causa delli ammazzati Quaderna e Muzzi, vero si è che la truppa sud. solamente a processo terminato andò in traccia di quelli ma senza frutto.
Antonio Sarti avuta notizia che li insorgenti di Romagna si avvanzavano a questa parte e da quest’altro canto venivano in tracia del med. Sarti per il processetto sud. e delli Galavotti che avevano adunati altri amici per togliere il Bellino che già stava in quartiere serato, prese il med. Sarti un cavallo ed andossi alla volta di Bologna ove verso Idice incontrata la truppa che di lui veniva in traccia, andò coragiosamente in facia alla med. e non conosciuto diviò dalla strada ed andossi alla parte montana.
Arrivati li francesi a Castel S. Pietro (…) delli insorgenti di Romagna, posero le guardie al Borgo ed al Castello e quartiere civico, ove facevano la sentinella duplicata di un civico e di un francese. La notte seguente li francesi di sentinella facendo il solito: chi viv, vale a dire Chi va là, vi furono paesani per minchionarli, che erano del partito Galavotti, rispondevano: è morto, è morto, aludendo la rsposta alli amazati Quaderna e Muzzi. Le persone dabbene si chiusero nelle case alla sera e fino alla levata del sole non si vide alcuno per tema della baruffa.
Si publicò quindi un proclama che dalli francesi si volevano 5 mila giovani maggiori di anni 18 fino alli 25 compiti per metterli in guarnigione delle citta di Lombardia a timore di una sorpresa di austriaci. Si pubblicò ancora un bando sopra la denunzia del vino, sotto pena della perdita del med. Cosa non più sentita.
Alli 20 novembre si pubblicò un bando di Milano in data delli 13 portante l’avviso che la repubblica Cisalpina era riconosciuta per tale nei trattati di pace coll’Imperatore, libera ed indipendente. Fu pure intimata una consulta da farsi in Lione di N. 144 individui repubblicani per formare una assemblea che doveva poi formare la costituzione repubblicana nelli 12 dipartimenti composti di 40 città principali, li quali sono enunziati nella legge delli 21 brumale in cui vi sono espressi li nomi e cognomi delli assembleisti.
Adi 21 novembre venerdì lo stacamento delli 60 francesi partì questa mattina da Castel S. Pietro ed andò a Bologna conducendo seco il Bellino finora carcerato, partì ancora il Gavasetti giudice processante. Nella partenza del Bellino molti paesani lo seguirono suoi amici e crescendo il numero, timorosi li francesi e ben giustamente che nascesse qualche fatto, prima di sortire dal Borgo fecero ritornare con minacie alle loro case li adunati, che se così non si procedeva seguiva assolutamente un fatto d’armi prima di sortire dall’abitato.
Li 21 novembre venne pubblicata una legge che non più si dovessero pagare le tasse con moneta erosa, ma a moneta fina. Fuvvi per ciò molto diverbio e rumore, furono riportati li libri di esazione nel palazzo municipale di Bologna dalli esattori ed era prossima una rivoluzione e certamente accadeva se non fosevi stata in Bologna truppa di francesi.
Eravi in Castel S. Pietro una sanzione municipale per mantenere la guardia nazionale ed era che tutti li uomini dalli anni 50 in su, dovessero pagare un testatico di lire una mensili da erogarsi poi il ritratto nel pagamento della guardia paesana. Acadde che molti, e per così dire nessuno, si prestò al pagamento che dovevasi fare in mano dell’esatore municipale Luigi di Francesco Giorgi e fosse ignoranza della legge municipale o fosse rinuenza di obedire o impotenza in alquanti paesani, naque un serio rumore, cosichè l’esattore convenne desistere e nascondersi come fece e poi fu fatto ricorso a Bologna al Comissario di Milizia per avere la abrogazione della legge, ma fu vano e crebbero li richiami.
Nella precedente notte in Bologna fu attaccato all’arbore patriottico nella piazza maggiore un quadretto dipinto e colorato rappresentante questi un altare con lumi accesi, stava all’altare vestito da secerdote col nome sopra il capo Bonaparte che rivolto al popolo proferiva queste parole: Ite missa est. Da un canto eravi un cisalpino che serviva la messa rispondente: Deo gratias, dall’altro canto un chierico romano che incensava il popolo cisalpino ed il fumo offuscava li adunati. Fu mirabile che non si scoprisse l’autore sul fatto esendo la piazza guardata dalli francesi.
Fu ordinato dal Governo con circolare che visistasse la Municipalità le botteghe di vittuaria e cosi pure quelle che non avessero la misure, bilance e stadiere bollate, cadderò molti in condanna.
Adi 10 decembre fu data una petizione contro Antonio Giorgi not. segretario della Municipalità e giusdicente del paese, per la sua mala condotta. Furono tanti li capi di accusa ed impugnata la petizione, che dalli acusatori fu aserito che il Giorgi aveva altrettanti reati dippiù quanti erano li secondi dell’anno, vale a dire li minuti delle ore giornaliere e notturne. Fu chiamato a giustificarsi a Bologna. Vi andò ed ebbe seco per compagno il di lui zio Francesco di Pietro Conti e Francesco Farnè aggiunto municipale accusato ancora esso. Sono in istato di dimissioni tutti dal loro officio.
In tale frattempo tutti li inquilini posti dalla Municipalità del paese ad abitare nel convento de supressi agostiniani di S. Bartolomeo furono assogettati chi a malattie mortali, chi a prigionia e chi espulsi dal paese. Fu attribuita una tale crisi alla mano di Dio, per che erano tutti democratici e disturbavano le orazioni alle anime del purgatorio esendovi in d. chiesa la compagnia del Sufragio la quale non poteva officiare con quiete e si voleva o per amore o per forza abbolirla. Le familie furono: il dott. medico Luigi Rossi bolognese quivi condotto, accusato di proposizione contro il presente governo fu detenuto in carcere a Bologna ove stette 4 mesi e la di lui moglie ebbe una malattia mortale. Il dott. Angelo Lolli medico sostituito nella condotta, ancor esso fu svaligiato dalli insorgenti. Gio. Battista Quaderna fu amazzato come si scrisse. Il chirurgo venturiere Domenico Trebbi bolognese ebbe una malattia di più mesi che lo rese inoperoso. La di lui moglie, donna avennente favorita dal dott. Lolli, fu attaccata di colica con pericolo di vita.
Li 21 d. chiamati a Bologna dalla amministrazione pubblica Francesco Farnè ed Antonio Giorgi sud., che provisoriamente si erano restituiti a casa, furono dimessi e fu loro notificata la elezione del novo Presidente Ercole Bergami detto Scalfarotto, uomo ignorante e di poca relligione. Questi pressentendo che la repubblica Cisalpina vacillava nella sua esistenza avvanzò alla Amministrazione centrale di Bologna la sua rinoncia.
Si ebbe infrattanto notizia che in Ancona erano approdati molti ungaresi detti Unni, che li francesi avevano abbandonata quella piazza senza ressistenza delli francesi in conformità delli accordi di pace.
Di notte tempo si fecerp vedere in patria li due fratelli Natale Galavotti e Vincenzo Galavotti detto Bussolotto micidiali delli accennati Quaderna e Muzzi. Vollero alcuni della guardia nazionale la notte delli 20 d. tentare l’aresto in pattuglia, caporale della quale era un villano, ma incontrò mala sorte che fu disarmato e ne ebbe grazia salvare la vita.
Il segretario Antonio Giorgi, nemico giurato delli d. Galavotti vedendosi ancor esso poco sicuro di vita e con esso il capobrigata Giulio Grandi col di lui padre che sosteneva la carica di ufficiale di polizia nel paese, fecero instanza a Bologna acciò venisse a sogiornare in paese uno staccamento di 50 militari di linea, ma non furono ascoltati.
Li 27 d. fu pubblicata la pace fra il generale Morò francese e l’arciduca Carlo. Li capitoli della quale sono li uniti, [A.62]
A voce però comune si disse che non era durabile poiché li francesi per loro instituto non mantengono parole né contratti con alcuna potenza.
Adì 29 decembre nel Borgo della vicina Toscanella fu arrestato Francesco Nannini di Castel S. Pietro detto Muzzone, per mancarle il polize nelle destra mano, fu condotto a queste carceri per omicidio comesso a Castenaso. Era uomo da temere e molto valoroso di sua vita, giovine bello, grande e forzoso, di pelo biondo con ochio si vivace che atteriva chiunque anco in mezo alla forza.
Stanti li riclami fatti per il pagamento mensile della tassa personale per la guardia nazionale essendo venuto il decreto di esentazione a quelli oltrepassavano li anni 55, il capobrigata Domenico Grandi, il capobattaglione Carlo Bettazzoni, il campionista Gaetano Ronchi e Luigi Giorgi caffettiere riscuotitore, vedendosi privi di emolumento, rinonciarono alla carica, onde ciò venuto a notizia de paesani si videro la mattina seguente delli 30 decembre affissi cartelli che così dicevano:
Li boni cittadini servano senza tirar quatrini
non fan così però li ladri e li assassini
Adì 31 decembre ultimo giorno dell’anno la notte si levarono in contrasto un vento boreale con un vento sirocale con tanto impeto che le case deboli vacillarono, demolirono molti camini e portarono per aria fenili e quivi terminiamo l’anno 1801.